Laboratorio di storia contemporanea Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di «Ettore Gallo» - Istrevi

No. FT/2011/1

ISTITUTO STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA DELLA PROVINCIA DI VICENZA ETTORE GALLO

Fonti e testimonianze

Responsabile di collana Giuseppe Pupillo – [email protected]

Giornata oscura e dolorosa per Enego 21 Giugno 1925 Breve ricostruzione di un piccolo episodio di storia locale

di Carla Poncina

CARLA PONCINA è stata docente di storia e filosofia presso il Liceo Ginnasio Statale “Antonio Pigafetta” di Vicenza, Supervisore SSIS per l’indirizzo di Scienze Umane e docente a contratto di Didattica della Storia presso l’Università di Padova. Fa parte del Direttivo ISTREVI. Ha tra l’altro pubblicato: L’idea di Europa tra utopia e radicamento (Cleup 2006), Insegnare filosofia oggi (Ed. Sapere 2008), Insegnare filosofia tra disciplinari età e interdisciplinarietà (Ed. Sapere 2009), L’Etica della Responsabilità al femminile (Lampi di Stampa 2010).

La collana del Laboratorio di storia contemporanea è pubblicata a cura dell’Istrevi e intende raccogliere memorie, interviste e documenti utili per ricostruire le vicende politiche, sociali ed economiche del Novecento vicentino e .

I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» sono scaricabili all’indirizzo: www.istrevi.it/lab c/o Museo del Risorgimento e della Resistenza – Villa Guiccioli Per contatti: [email protected] Viale X Giugno 115 - I-36100 Vicenza

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Giornata oscura e dolorosa per Enego 21 Giugno 1925

Breve ricostruzione di un piccolo episodio di storia locale

Carla Poncina

“Giornata oscura e dolorosa per Enego”, così nel libro delle cronache parrocchiali (p. 112) don Antonio Barausse titola la relazione da lui redatta il primo Novembre del 1931, in cui ricostruisce una penosa vicenda di arroganza fascista verificatasi sei anni prima. La controfirma del vescovo Elias Dalla Costa, in visita pastorale, ne costituisce quasi il suggello simbolico, si vedrà perché.

È necessario calarsi nella pesante temperie culturale e politica di quegli anni. Nel ’22 la marcia su Roma aveva, con un esito paradossale, portato al potere il “rivoluzionario” Benito Mussolini, chiamato direttamente a tale incarico da Vittorio Emanuele III. Egli era a capo di un governo di coalizione, poiché il numero dei deputati fascisti (una trentina) non gli avrebbe consentito un monocolore “nero”. Ne facevano parte cattolici popolari e liberali.

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No. FT/2011/1 Non tutti i cattolici tuttavia erano d’accordo con questa scelta. Se le alte gerarchie vaticane e lo stesso Papa potevano vedere in Mussolini colui che avrebbe fatto argine al dilagare del socialismo “ateo”,1 i cattolici di base, parroci e fedeli, ne coglievano il carattere violento, l’arrogante difesa dei privilegi, l’odio nei confronti di chiunque si mettesse dalla parte dei deboli, fossero associazioni di carattere socialista o cattolico. Va detto anche che, a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891), la questione sociale era stata affrontata dalla Chiesa con novità di accenti, dando origine ad una assai interessante dottrina sociale, cui i cattolici più sensibili non volevano rinunciare. Ma non è questa la sede per discutere in modo approfondito questo aspetto. Ci limitiamo a citare uno studio di storia locale riguardante il Movimento cattolico padovano.2 Vi si descrive una realtà assai prossima ai fatti che andremo a narrare. Scrive Vittorio Marangon3: Sul fascismo montante l’Azione Cattolica aveva assunto una posizione chiara fin dall’inizio. Già in data 21 novembre 1920 «Noi giovani»4 aveva dato un giudizio pesantemente negativo sui fascisti, di cui si diceva che erano bestie umane che trionfavano […] Si pensò anche all’istituzione di “avanguardie cattoliche” per l’autodifesa, ma la proposta venne respinta.5 Il settimanale diocesano «La Difesa» (19 febbraio 1922), racconta gli ultimi avvenimenti della Bassa e denuncia con forza: «Centinaia e centinaia di lavoratori furono bastonati a sangue! I feriti da arma da fuoco furono oltre trenta. Gli incendi di case e di masserie di lavoratori furono innumerevoli.»6 Marangon continua raccontando come neppure i preti furono risparmiati, costretti a bere l’olio di ricino7. Il risultato di tanta violenza, e delle pressioni della gerarchia cattolica, fu che l’Azione Cattolica dal ’22 adottò la linea del silenzio, evitando i temi socio-politici e ripiegando sempre più sulle questioni religiose, pur persistendo in alcuni ambiti l’ostilità al fascismo. Scrive sempre Marangon: Mentre la piccola borghesia e il ceto medio abbandonano il Partito Popolare, non lo abbandona quel mondo contadino che, con i suoi preti in testa, rifiutava la violenza fascista, dissentiva profondamente in materia

1 Pio XI il 14 Febbraio del 1929, dopo la firma dei Patti Lateranensi, in un discorso pubblico di ringraziamento, riferendosi a Mussolini disse: “E forse ci voleva anche un uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare…” 2 Va ricordato che Enego, il paese in cui si svolsero i fatti di seguito narrati, appartiene per l’appunto alla Diocesi di Padova. 3 V. Marangon, Il movimento cattolico padovano, Centro Studi Ettore Luccini, parte prima, Padova 1997, p. 83. 4 Si tratta di un giornale, espressione dell’Azione Cattolica, che usciva in quegli anni, cit. a pag. 83. 5 Ibidem, p. 84. 6 Ivi. 7 Toccò – tra gli altri - al parroco di Codevigo don Luigi Corradin, così come all’arciprete di Bovolenta don Giuseppe Sgarbossa (p. 85).

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politico-sociale e sentiva il fascismo come estraneo perché prescindeva dalla religione e dalle parrocchie.8 Sappiamo ciò che accadde dopo le elezioni politiche del ’24, quando il partito fascista, favorito dalla legge Acerbo predisposta all’uopo, ottenne la maggioranza in parlamento. La denuncia dei brogli costò la vita all’onorevole Giacomo Matteotti, la cui morte provocò l’ultima, breve fiammata di ribellione tra i democratici. Dopodiché la dittatura fu accompagnata da una seconda ondata di violenze, che insieme all’emanazione delle leggi “fascistissime”, piegò per vent’anni la resistenza al nuovo regime. La struttura della monarchia costituzionale, disegnata originariamente dallo statuto albertino, formalmente rimase inalterata ma di fatto, come aveva denunciato Giacomo Matteotti nel suo ultimo discorso in Parlamento, si instaurò il primo regime totalitario in Europa. *

Fu proprio nel ’25, precisamente il 21 giugno, che avvenne il fatto che ci accingiamo a narrare. L’episodio mi era stato raccontato in varie forme da paesani, devo dire per lo più con accenti di palese anticlericalismo, come testimonianza dell’indipendenza degli eneghesi nei confronti del potere dei preti. Finché un amico, Tullio Meneghini,9 a suo tempo giovanissimo partigiano, non mi parlò di un nodoso bastone “di vigna” - così lo definì - da lui conservato religiosamente, dopo che gli era stato donato dallo zio Gino Meneghini, accompagnato dal racconto dello scontro tra fascisti e parrocchiani fedeli al loro arciprete, monsignor Bartolomeo Codemo. Questa versione favorevole, per così dire, all’arciprete, mi fu in seguito confermata da un’anziana signora pure residente a Enego, Antonia Rossi.10 Gino Meneghini, racconta il nipote Tullio, venne bastonato gravemente dai fascisti eneghesi per essersi levato in difesa di don Codemo. Questi, durante la celebrazione della messa domenicale nel bel duomo di S. Giustina che domina il paese, venne rabbiosamente interrotto ed insultato per le critiche rivolte, nel corso delle prediche, alle violenze di cui i fascisti si erano resi responsabili in tutto il paese nei mesi successivi al discorso che Mussolini tenne alla Camera il 3 gennaio del ’25, che diede il via alla seconda ondata di aggressioni contro gli antifascisti dopo quella del ’22, come si è già detto. I fedeli chiesero fosse concesso al prete di terminare la messa. Ma all’uscita nacquero tafferugli tra fedeli e fascisti, con motivazioni, quanto ai primi, più di tipo etico-religioso che politico. In paese non esistevano certo gruppi di consapevoli antifascisti. Il partito dominante fino alle elezioni del ’24 era stato il Partito

8 Ibidem, p. 86. 9 La conversazione è stata registrata a Enego, a casa dello stesso, sita in via Roma, il 30 agosto 2009. 10 La signora abita ad Enego in via Groba.

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No. FT/2011/1 Popolare, e molti di quei maggiorenti che ora si proclamavano fascisti, erano stati iscritti al partito cattolico. Il grosso dei paesani, per lo più assai poveri, viveva tuttavia al di fuori di queste logiche di potere, e da buoni cristiani si erano semplicemente levati in difesa del loro pastore. Gino Meneghini venne pesantemente picchiato. Fece alcuni mesi di ospedale e come conseguenza di quanto accaduto si ammalò poi di tubercolosi. Tuttavia nel corso dei tafferugli riuscì a sottrarre ai picchiatori il nodoso bastone che in questo caso aveva assunto piena valenza di “manganello”, simbolo quest’ultimo, insieme all’olio di ricino, dello “stile” tipico delle squadre fasciste. Lo conservò gelosamente fino alla morte, a testimonianza di un fosco periodo storico. Il nipote a sua volta lo tenne gelosamente con sé, donandolo infine all’Istituto vicentino per la storia della Resistenza. Fin qui i racconti ascoltati in paese, che hanno trovato conferma negli archivi della parrocchia. È curioso tuttavia come nel libro parrocchiale che raccoglie le cronache dei principali avvenimenti, si fa menzione dei fatti in esame solo con molto ritardo, e non per mano del diretto interessato, don Codemo. La causa dell’omissione è solo ipotizzabile. Forse pesava troppo sul parroco la contestazione violenta ad opera di suoi parrocchiani. Oppure prevalse il timore di non essere obiettivo, né caritatevole, nei confronti dei colpevoli. Di fatto la cronaca venne redatta dal successore di mons. Codemo, don Antonio Barausse, ma non a ridosso degli avvenimenti, bensì sei anni dopo, il primo novembre del 1931, in occasione della visita pastorale del vescovo di Padova Elias Dalla Costa, che ne controfirma la stesura, quasi che solo il passare del tempo consentisse una ricostruzione sufficientemente “fredda” dell’accaduto. * Riporto qui, solo parzialmente, quanto scritto nel registro parrocchiale (p. 112): Da qualche anno le relazioni tra l’autorità Ecclesiastica e Civile non correvano tanto buone, anzi diremo meglio, gli animi erano talmente inaspriti, che i fatti dolorosi che ora narreremo altro non furono se non l’epilogo di una lotta diuturna fra l’Arciprete locale Don Bartolomeo Codemo e l’Amministrazione Comunale, seguita dai propri partigiani. Quando gli animi sono in rivolta, qualsiasi occasione si rende propizia per fare scoppiare la folgore. E questa scoppiò, tremenda, disonorante per persone e cose. Venne in Enego una giostra veramente indecente, ed allora l’Arciprete incominciò a protestare, specie dal pulpito, contro lo sconcio.11 Era la domenica del 21 Giugno 1925, Don Codemo celebrava alle otto e mezzo la Messa parrocchiale. Al Vangelo torna sull’argomento…12 Egli critica le autorità che «hanno permesso alla giostra di por piede in Enego.»

11 Nella ricostruzione non vengono indicati i motivi di tale valutazione (n.d r.). 12 Pagina 112 del registro parrocchiale

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Cita in proposito una circolare13di Monsignor De Bono, richiamando i fascisti locali ed ogni Autorità a compiere il proprio dovere. Continua il racconto: In un attimo la scintilla fu accesa, e il fulmine scoppiò [….] Ed ecco che in un batter d’occhio lo scompiglio, il terrore regnano sovrani nella Casa di Dio. Si urla, si bestemmia, si maledice, molte donne svengono e i bambini urlano spaventati, e l’arciprete pallido viene circondato dalle Autorità fasciste, dai R.R.Carabinieri, e da alcune Guardie di Finanza.14 Frattanto mentre la folla scompigliata esce, entra in Chiesa il Sindaco locale Cav. Stefano Bertizzolo.15 Appena don Codemo lo vide, gli gridò forte: “perdono cavaliere, perdono… facciamo la pace…” il Sindaco con scatto: troppo tardi, sono quattro anni che lei va seminando odii, rancori, ingiustizie… non si può aver pace.16

Mi fermo a questo punto per una breve riflessione sugli effetti poco appariscenti ma profondi e pericolosi, perché quasi sempre inconsapevoli, della dittatura, di tutte le dittature, sulla struttura più intima e vulnerabile dell’io. Colpisce l’umiliazione del parroco, che è vittima ma chiede perdono al sindaco fascista, che con i suoi scherani aveva addirittura interrotto una funzione sacra. Questo gesto dà la misura dell’indebolimento “spirituale” dei singoli, arricchisce la nostra percezione di ciò che è stato il fascismo: non solo violenza fisica, olio di ricino, bastonature e assassinii. Non è stato questo il peggio. L’effetto più tragico va individuato nella violenza fatta alle coscienze con l’assuefazione a piegarsi, a servire. L’umiliazione delle coscienze e la loro corruzione, questo l’effetto più ambiguo e pericoloso, tanto da spingere l’agnello a scusarsi col lupo, come già duemila anni prima aveva lasciato intendere Esopo con le sue favole. Temo che i vent’anni della dittatura abbiano lasciato un segno profondo negli italiani, spingendoli quasi inconsapevolmente verso il cinismo e l’ipocrisia, o almeno accentuandone l’attitudine. Non riesco a spiegare diversamente l’accettazione, da parte di milioni di persone, di comportamenti, linguaggi, sprezzo delle regole e della Costituzione nata dalla Resistenza, queste ultime a volte guardate con noia, se non con irrisione, anche da chi formalmente appartiene all’area democratica.17

13 Mi sono permessa di usare la minuscola per la parola circolare al posto della maiuscola usata da don Barausse, che di maiuscole fa un uso veramente indiscriminato, per tutti i termini che in qualche modo dovevano sembrargli attinenti al potere, temporale od ecclesiastico che fosse. Sembra quasi di vederlo chinare il capo in segno di rispetto intanto che scrive determinate parole! Anche questo è un piccolo segno dei tempi. 14 Ho riportato le iniziali maiuscole usate dallo scrivente, testimonianza -se ce ne fosse bisogno- del forte senso dell’ autorità insito negli italiani all’epoca. 15 Si tratta del padre di quel Giacomo Bertizzolo che ebbe parte non secondaria nella tragica vicenda del rastrellamento del Grappa, culminata, il 26 settembre del 1944, nell’impiccagione di trentuno giovani partigiani appesi agli alberi di quello che ora è chiamato Viale dei martiri. 16 Pagina 113 del registro parrocchiale di Enego. 17 Cfr.: Maurizio Viroli, La libertà dei servi, ed. Laterza, 2010.

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Riprendiamo la narrazione con le parole di don Antonio Barausse: Terminato il S. Sacrificio, Egli passa in Sacristia, si spoglia, fa per andare in Casa Canonica, ma vien preso ed accompagnato per la porta del Campo in Caserma, seguito dal Reverendo cappellano Don Cleto Pastor.18 Il disordine in parrocchia è immenso […] I pochissimi nemici dell’Arciprete, quasi novelli Giudei imprecanti sotto la Croce del Nazzareno, s’accendono maggiormente d’odio, mentre la grande turba del popolo fedele, a guisa di timidi Apostoli…relicto Eo, fugerunt…19 Lo stile di don Antonio sa di seminario con le sue pretese classicheggianti, ma non si può dire manchi di una sua popolare drammaticità. Si racconta poi come i sacerdoti ausiliari dell’arciprete, i cappellani, per protesta si rifiutano di celebrare le funzioni sacre e chiudono le porte della Chiesa, ma don Codemo, dalla caserma in cui era rinchiuso, dà ordine che queste vengano compiute. A questo punto, contraddicendo quanto precedentemente detto a proposito del popolo di Enego che sarebbe stato in larga misura dalla parte del proprio Pastore, si descrive una scena ben nota a chiunque abbia letto il Vangelo: «Don Codemo viene fatto oggetto di derisioni, di insulti, di villanie, e vi fu anche chi… gli sputò in faccia gridando: “prendi, ben ti sta!”20 Il sacerdote viene interrogato la sera stessa da un tenente dei carabinieri di e da non precisate “altre autorità” e dichiarato in arresto “per offesa alle Costituzioni Nazionali.”21 Anche il trasferimento ad Asiago dell’arciprete viene descritto con toni drammatici, nonostante al momento della stesura siano passati anni dall’evento: Alle dieci della stessa sera viene condotto ad Asiago. Nel passare per la piazza di Enego Egli guarda, e gesticolando con la testa e con le mani, grida al popolo: “Perdono a tutti i miei figli”. Ah povere e troppo tarde parole che altro non ebbero per eco che nuove villanie ed imprecazioni!!! Al mattino del lunedì 22 Giugno 1925 fu condotto nelle prigioni di , dove rimase sino al mercoledì seguente, nel qual giorno mediante i buoni uffici del vescovo di Padova, Monsignor Elia Dalla Costa, ed avendo l’Arciprete Codemo promesso dinanzi alle autorità di rinunciare alla Parrocchia di Enego, fu messo in libertà provvisoria. Così liberato passò a rifugiarsi presso il Parroco di Rocca d’Arsiè, Don Bernardino Rossi, suo ex Cappellano.

18 Le maiuscole, usate a profusione anche per nomi comuni, sono state conservate nel testo in quanto indicative del senso di soggezione e riverenza nei confronti del potere, sacro o profano, caratteristico dell’epoca. 19 Ibidem. 20 Ivi, p. 114. 21 Perché si parli al plurale di “Costituzioni Nazionali” non è dato sapere. Si può ipotizzare che più che allo Statuto s faccia riferimento ai nuovi ordinamenti fascisti, alle “leggi fascistissime” che a partire dal discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, stravolsero la fisionomia del vecchio stato liberale.

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Il giorno del 9 Luglio successivo, chiamato a Padova da S. E. Monsignor Vescovo, dava la sua rinuncia alla Chiesa Arcipretale di Enego, in attesa di processo.22 Venne poi inviato ad Enego in qualità di reggente, proveniente dalla parrocchia di Camposanpiero, don Antonio Barausse, che ad Enego rimase fino al 1932, estensore della cronaca fin qui riportata. * Giustizia rapida, non c’è che dire. Il tanto auspicato “processo breve” sotto il fascismo era brevissimo, almeno per quelli che erano considerati i nemici del regime. Questo episodio, seppur minimo rispetto alla grande storia, illumina assai bene gli effetti dei regimi totalitari, per cui chiunque rappresenti ufficialmente il partito, fin nei più sperduti paesini di montagna, dispone del potere nella sua forma originaria di pura violenza e sopraffazione. Se vogliamo tirare le somme, mettendo uno accanto all’altro i nudi fatti, ne vien fuori questo: il parroco di un paesino di montagna, che già in passato aveva mostrato di non aderire all’ideologia fascista, dopo che Mussolini, nel ’25, si impadronisce totalmente del potere in Italia, togliendo l’aria agli oppositori di qualsiasi fede: cattolici, socialisti, liberali, viene brutalmente tirato giù dall’altare, incriminato e cacciato in galera per volontà di pochi fascisti locali, divenuti oltremodo arroganti e violenti, mentre la turba dei fedeli, non più cittadini ma sudditi, relicto eo, come dice la cronaca, fuggono spaventati. A tutti coloro che ancor oggi sostengono con tranquilla sicumera che il fascismo godette dell’appoggio della stragrande maggioranza degli italiani verrebbe da chiedere di chiarire meglio quando: se all’inizio, durante, o alla fine del ventennio. L’episodio di Enego chiarisce le modalità di tale consenso: in principio fu la paura, poi il conformismo, infine il disincanto. Dal ’29 al ’36 fattori di gran peso costruirono effettivamente un consenso assai ampio: il Concordato con la Chiesa rappresentò di fatto una con-sacrazione ufficiale per la dittatura. Contemporaneamente un sapientissimo uso della propaganda, facilitato dal diffondersi di nuovi media come la radio e il cinema, e dal controllo totale sulla stampa, costruirono soprattutto nei ceti medi un immaginario fascista.23

22 Ibidem. 23 Questo immaginario non è stato purtroppo demistificato nei sessant’anni successivi. È sopravissuto latente costituendo un fondo limaccioso, inquinante, che dopo il crollo della cosiddetta prima repubblica è sfrontatamente venuto alla luce senza che nei decenni precedenti, come è accaduto in Germania, una seria pedagogia repubblicana, unitamente alla conoscenza dei fatti storici, potesse fare argine. Nell’ignoranza dei più si è potuta diffondere una vulgata antiresistenziale purtroppo divenuta senso comune. È stato un errore colossale compiuto dalla classe politica sia cattolica che marxista, entrambe poco inclini a riconoscere alla

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No. FT/2011/1 La nascita di un Impero, ancorché di cartapesta come poi si vide, parve consolidare l’immagine di un Paese nuovo. I fatti successivi dimostrarono tuttavia la fragilità se non l’inconsistenza del tutto. La guerra mise a nudo la fragilità del regime, il velleitarismo militare e politico del duce e della sua corte. Una tragica guerra civile dilaniò dal ’43 al ’45 il Paese. In quei drammatici anni una minoranza di vecchi antifascisti temprati dalla prigione e dall’esilio, e di giovani rimasti miracolosamente integri dopo anni di indottrinamento forzato, insieme al buon senso e al coraggio delle classi popolari che il larga misura erano rimaste estranee alla retorica di regime, produssero il miracolo della Resistenza. È triste constatare come, nei decenni successivi, miopia politica e ignavia, abbiano trascurato la memoria di quanto avvenuto, lasciando sopravvivere prima, ostentando sfacciatamente poi, una vulgata antifascista fatta di luoghi comuni, ricostruzioni false, rancori irranciditi negli anni che sono dilagati nei media, in particolare giornali e TV, a partire dal 1994, in seguito all’ascesa al governo di una destra che definirei non tanto antidemocratica e illiberale, quanto a-democratica e a-liberale. Questa destra, che poco ha a che fare con la tradizione dei grandi partiti moderati e conservatori occidentali, risulta infatti del tutto estranea a quei valori di democrazia, libertà repubblicana, integrità morale che sono all’origine della nostra Costituzione. Costituzione recentemente definita da una grande intellettuale francese24 “la più bella del mondo occidentale”. C’è un grande lavoro che attende intellettuali ed educatori del nostro Paese, lavoro vitale per la sopravvivenza dello stesso: far conoscere in modo più serio e veritiero quantomeno i centocinquant’anni successivi alla proclamazione dell’Unità d’Italia. Facciamo nostre le parole di un grande poeta, anche civile, purtroppo oggi sempre meno studiato, Ugo Foscolo: O italiani, io vi esorto alle storie!25 * Il fenomeno del Totalitarismo è stato analizzato con grande lucidità e rigore da Hannah Arendt26. Ma non meno efficaci, soprattutto per dei giovani, possono risultare opere di carattere nostra storia nazionale lo spazio dovuto, al di fuori della retorica fascista. Si tratta di un disastro formativo di enormi dimensioni, cui sarà difficile porre rimedio in breve, posto che lo si voglia. La vicenda della scuola di Adro, zeppa di simboli leghisti, bella sua assurdità lo testimonia. 24 Jaqueline Risset il 20 settembre 2010 a Fahrehneit, spazio culturale pomeridiano su rai 3, ha per l’appunto espresso questo giudizio dialogando con Predrag Matvejevic e Younus Tawfiz a proposito di “Roma, capitale di quale Stato?”. 25 Ugo Foscolo, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura 26 Hannah Arendt, Le origini del Totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano 1996.

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No. FT/2011/1 letterario o cinematografico. Mi riferisco nel primo caso ad un libro uscito per la prima volta nel 1947 e recentemente riedito da Sellerio: Ognuno muore solo, di Hans Fallada27. Ciò che impressiona durante la lettura è constatare come individui mediocri, al limite disadattati, si sentano onnipotenti, certi dell’impunità, autorizzati a compiere qualsiasi tipo di violenza, dall’appartenenza al partito del Führer. Recentemente ci sono stati due film che, meglio di molte ricostruzioni storiche, grazie alla forza evocativa delle immagini legate alla parola, hanno mostrato con straordinaria forza gli esiti tremendi dei regimi totalitari. Sto parlando del Nastro Bianco28 e di L’Onda29, La costruzione di gerarchie basate sull’appartenenza a gruppi ristretti trasforma gli individui in prepotenti nei confronti di chiunque, fosse pure un ministro del culto. Le singole individualità scompaiono in questi contesti, e ciò che segnala il valore, la potenza è l’appartenenza al gruppo, segnalata per lo più da una divisa: camicia nera, cravatta verde, nastro bianco o qualsiasi altro segno identifichi un’appartenenza e nello stesso tempo neghi l’individualità, e con essa la soggettività.

27 Primo Levi lo giudicò a suo tempo il miglior libro sulla Resistenza tedesca. 28 Il film, del regista Michael Haneke, ha vinto la Palma d’oro al festival di Cannes 2009. 29 Die Welle, di D. Gansel, uscito in Germania nel 2008.

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