Cap.1 Pittori Del Seicento Napoletano Dipinti Senza Autore Ed Autori
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Cap.1 Pittori del Seicento napoletano Dipinti senza autore ed autori senza dipinti Il ritardo, per motivi editoriali, nella pubblicazione del mio regesto sulla pittura napoletana del Seicento (2000 foto a colori riguardanti circa 150 artisti tra maggiori e minori) mi ha indotto ha cominciare a rendere noto a studiosi ed appassionati parte del mio lavoro e comincio con un capitolo originale dedicato a quei dipinti che, nonostante l’elevata qualità, attendono ancora dalla critica una giusta attribuzione, con la speranza nel contributo di quanti, napoletanisti o meno, vogliano collaborare in questa ricerca di paternità. La pittura napoletana seicentesca, il famoso secolo d’oro, è ricco di autori senza opere, per quanto siano stati reperiti i documenti di pagamento e di opere senza autore, come quelle che andremo ad esporre, avanzando quando possibile una nostra ipotesi attributiva. Cominciamo da un ritratto di Salvator Rosa nella veste di David (01), transitato in asta ed attribuito a Micco Spadaro senza convincere gli specialisti dell’artista, passiamo poi ad una tela raffigurante lo sbarco dell’infanta Maria d’Austria a Napoli , un episodio famoso ed un’opera di pregio per la quale non mi sento di avanzare alcuna ipotesi, quindi affrontiamo una scena di costume, un Bagno pubblico per uomini che potrebbe oscillare tra il Gargiulo ed il Rosa, quindi una Madonna delle Grazie (02) che mi sentirei, per analogie stilistiche e per collocazione in una sede dove il pittore ha avuto altre commissioni, di assegnare a Giuseppe Marullo, la Negazione di San Pietro (03), di recente avvicinata al catalogo di Ribera giovane, dovrebbe rimanere l’opera di un ignoto caravaggesco nordico attivo a Napoli intorno al 1620. Il San Procopio, siglato PB, della pinacoteca D’Errico, per il quale si è speso il nome del misterioso Beato, probabilmente rimane di un ignoto riberiano, mentre per il Vesuvio in eruzione (04) dobbiamo contentarci di un anonimo nordico attivo sul finire del XVII secolo, il Sansone e Dalila, respinta un’insostenibile attribuzione al genovese Fiasella, potrebbe ragionevolmente entrare nel catalogo di Onofrio Palumbo, un allievo napoletano della Gentileschi, mentre la Maddalena penitente (05) tradisce ampiamente i modi del Vaccaro. L’Andata al Calvario, di modesta fattura, attribuita al Piscopo richiede una verifica trattandosi di un pittore citato dalle fonti, ma senza opere certe, mentre il Pescivendolo che pulisce una razza (06) è frutto di una collaborazione tra uno specialista di figura ed un generista eccellente per il quale sono aperte più ipotesi, probabilmente Giovan Battista Recco o Porpora. Il David (07), ha sostenuto più attribuzioni dal Guarino al Vaccaro, senza escludere van Somer. Il Crocifisso con la Maddalena di grande qualità richiama un prototipo del Ribera e denota lo stile di Cesare Fracanzano, ma potrebbe riservare una piacevole sorpresa con l’identificazione di una nuova personalità, la S. Maria Egiziaca in estasi e la Santa in preghiera tradiscono lo stesso pennello ed un milieu culturale tra Vaccaro, Vitale e Guarino, la Tunica insanguinata (08) ha suggestionato a lungo la critica, la quale, dopo un’ipotesi iniziale verso Van Baburen, ha virato verso il De Bellis ed infine verso il Falcone giovane. La languida e sensuale Maddalena (09) di Capodimonte ha richiamato l’attenzione degli specialisti, che hanno evocato firme prestigiose da Sellitto a Vaccaro, per concludere mestamente con la creazione della figura di un maestro dal nome convenzionale derivato dal soggetto del dipinto al quale affiancare altre opere, la Morte di S. Alessio tradisce l’impronta di un ignoto giordanesco suggestionato dai modi riberiani e la Giuditta con la testa di Oloferne ritenuta di un seguace del Cavallino ha tutti i numeri per entrare nel catalogo di Agostino Beltrano. La Vanitas (10) possiede una sostenibile attribuzione al De Simone, mentre la Battaglia tra Turchi e Cristiani (11) rimane nell’alveo di un ignoto battaglista, l’Apollo e Marsia di potente bellezza oscilla tra Giordano e Ribera, arduo trovare un nome certo per il riberiano del San Girolamo penitente (12) e per l’autore del Sansone e Dalila (13). 2 La S. Caterina per la quale si era pensato alla Gentileschi più probabilmente è del Palumbo, per il Cristo e l’adultera (14) si è pensato ad un maestro di convenzione, misterioso l’artefice del San Matteo e l’angelo (15), per il Ratto di Elena (16) un potente ed abile giordanesco, per Giunone ed Argo (17) oltre ad un riberesco si può pensare anche ad un veneto. Il prode Cavaliere attribuito da Zeri a Gargiulo rimane di ignoto, mentre il Suonatore di violino può ragionevolmente entrare nel corpus del Di Maria e Mosè che calpesta la corona del faraone in quello del De Bellis, ad un ignoto specialista nordico appartiene la Veduta del porto di Napoli (18) e ad un abile generista tra Ruoppolo e Porpora la splendida Natura morta con pesci e rami (19). Il Nudo disteso emana afrore napoletano ma resta un enigma, mentre la perfida Giuditta è opera in caravaggesco attivo nel secondo decennio. 01 - Ritratto di Salvator Rosa come David 02 - Madonna delle Grazie (Marullo?) Napoli, Londra, Trafalgar Galleries Fondazione Mondragone 04 - Vesuvio in eruzione e lanterna del molo, 03 - Negazione di San Pietro (Ignoto acquerello su carta (Anonimo nordico attivo sul caravaggesco nordico attivo 1620 circa) finire del XVII secolo) Napoli, già Collezione Alisio 3 06 - Pescivendolo che pulisce una razza (G.B. Recco? e pittore di figura) Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica 05 - Maddalena penitente (Vaccaro?) Napoli, Museo del Banco di Napoli 08 - La tunica insanguinata ( De Bellis, Falcone, Van Baburen?) Matera, Pinacoteca D’Errico 07 - David (Guarino, Vaccaro?)Torino, già Galleria Voena 09 - Maddalena penitente Napoli, Museo di 10 - Vanitas (De Simone?) Napoli, Quadreria del Capodimonte Pio Monte della Misericordia 4 11 - Combattimento tra turchi e cristiani (Ignoto 12 - San Girolamo penitente Ajaccio, Musèe Fesch battaglista) Ajaccio, Musèe Fesch 14 - Cristo e l’adultera Semenzato, aprile 1991 13 - Sansone e Dalila Londra, Sotheby’s aprile 1993 15 - San Matteo e l’Angelo Semenzato, dicembre 1990 16 - Il Ratto di Elena (Ignoto giordanesco) Semenzato, ottobre 1990 17 - Giunone ed Argo (Ignoto riberesco, pittore veneto?) Semenzato, dicembre 1996 18 - Veduta del porto di Napoli Napoli, Finarte 19 - Natura morta con pesci e rami Finarte, marzo 1997 2002 5 Cap.2 Carlo Sellitto e Filippo Vitale due caravaggisti DOC Tra i pittori napoletani che tributarono al Merisi l’accoglienza più entusiastica vi è in prima fila Carlo Sellitto, nato culturalmente in ambito tardo manierista filtrato dall’insegnamento del fiammingo Lois Croise, per accogliere poi il nuovo messaggio e dar luogo a composizioni drammatiche, animate da un’intensa tensione emotiva e da una spasmodica ricerca di verità, con un dominio della luce che modella le immagini attraverso un sottile gioco di ombre patognomonico del suo stile. La sua prima opera documentata, unica firmata, è del 1606 e si trova in provincia ad Aliano. Essa raffigura una Madonna in gloria con donatore e nonostante l’impronta manieristica baroccesca presenta in basso un’immagine del committente dalla precisione ottica stupefacente, a lampante dimostrazione dell’abilità dell’artista come ritrattista. Sempre in Basilicata, terra natia del pittore, è conservata a Melfi una Madonna del suffragio con anime purganti, intrisa di naturalismo con la luce che evidenzia le figure ed i gesti, sottolineando la drammaticità della scena. In ambiente napoletano la sua più importante commissione lo impegnerà dal 1608 al 1612 in Sant’Anna dei Lombardi nella cappella Cortone, nell’esecuzione di un ciclo su San Pietro, dove ha l’occasione di lavorare al fianco di Caravaggio attivo nella cappella Fenaroli e del Caracciolo operante nella cappella Noris Correggio. Un cataclisma, distruggendo la chiesa nel Settecento, non ci ha permesso un confronto tra le opere in gran parte distrutte. Delle cinque eseguite dal Sellitto se ne sono salvate soltanto due, segnate da un fascio luminoso potente che scandisce i corpi nel ritagliarsi violento delle ombre. In seguito egli esegue, tra il 1610 ed il 1613, il San Carlo per la chiesa di Sant’Antoniello a Caponapoli e la splendida Santa Cecilia all’organo per la chiesa della Solitaria, entrambe oggi a Capodimonte, 6 l’Adorazione dei pastori per la chiesa degli Incurabili e la Visione di Santa Candida per Sant’Angelo al Nilo, percorsa da un brivido di luce calda e avvolgente. Altre opere da aggiungere al suo scarno catalogo sono la Santa Lucia del museo di Messina ed il David e Golia del museo nazionale della Rhodesia. Un segno tangibile del prestigio raggiunto dal pittore presso la committenza fu l’incarico, nel 1613, di eseguire una Liberazione di San Pietro da collocare su un altare del Pio Monte della Misericordia, ma l’opera per l’improvvisa morte del Sellitto fu poi affidata al Battistello. Egli lasciò nella sua bottega numerose tele incompiute, tra cui il Crocefisso per la chiesa di Portanova, oggi purtroppo scomparso per un ignobile furto ed il Sant’Antonio da Padova per i governatori di San Nicola alla Dogana, ricco di un gioco luminoso sui volti ed in cui si può leggere come segno distintivo, quasi una firma nascosta del pittore, il classico tocco di luce sulle fisionomie dei personaggi, che si può apprezzare anche nella famosa tela di Santa Cecilia all’organo. Nel suo atelier vi erano anche una serie di quadri di natura morta, di paesaggio ed è inoltre noto dai documenti che fu celebre ritrattista, ricercato da nobili e borghesi, una produzione al momento completamente sconosciuta agli studi eccetto poche esempi. Tra questi possiamo segnalare il Ritratto di gentildonna in vesti di Santa Cecilia, transitato più volte sul mercato, nel quale si avverte un contemperamento dei caratteri caravaggeschi con intenerimenti classicistici e preziosismi cromatici di matrice reniana, consentaneo alla presenza a Napoli nel 1612 del divino Guido.