Università Degli Studi Di Napoli “Federico II” Facoltà Di Lettere Dottorato Di Ricerca in Scienze Archeologiche E Storico-Artistiche XX Ciclo

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Università Degli Studi Di Napoli “Federico II” Facoltà Di Lettere Dottorato Di Ricerca in Scienze Archeologiche E Storico-Artistiche XX Ciclo Università degli Studi di Napoli “Federico II” Facoltà di Lettere Dottorato di Ricerca in Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche XX ciclo Tesi di dottorato “B ELLA E FERACE D ’INGEGNI (SE NON TANTO DI COLTURA ) PARTENOPE ” IL DISEGNO NAPOLETANO ATTRAVERSO LE COLLEZIONI ITALIANE ED EUROPEE TRA SEI E SETTECENTO Tutor Prof.ssa Rosanna De Gennaro Coordinatore Candidato Prof. Carlo Gasparri Dott. Mario Epifani Anno Accademico 2006-2007 INDICE INTRODUZIONE Pag. IV CAPITOLO I – NAPOLI Disegni in raccolte seicentesche: il barone di Frosolone e il principe di Tarsia 1 Gaspar Roomer, i fratelli Garofalo e altri collezionisti minori 4 Il marchese del Carpio 8 Il “libro de’ disegni” di Bernardo De Dominici 16 Dalle Vite di De Dominici: collezioni di artisti 22 Il conte Firmian 25 Collezioni napoletane del tardo Settecento: Francesco La Marra e i fratelli Terres; i disegni Brencola 27 Appendice A – I disegni della collezione Spinelli di Tarsia 36 Appendice B – Disegni con montaggio De Dominici (?) a Capodimonte 39 Appendice C – I disegni napoletani della collezione Firmian 40 Appendice D – I disegni napoletani dei fratelli Terres 42 CAPITOLO II – ROMA La collezione di Cristina di Svezia: i disegni napoletani e il corpus di Lanfranco 43 Padre Resta 47 Il cardinal Gualtieri, la collezione Corsini e i disegni napoletani della Farnesina 56 Disegni napoletani in collezioni di artisti romani: Carlo Maratti e Giuseppe Ghezzi 61 La collezione Cavaceppi-Pacetti: qualche ipotesi sulla provenienza dei disegni napoletani del Kupferstichkabinett di Berlino 66 I disegni di Domenico Gargiulo a Berlino 75 Il Double-numbering collector 80 Appendice A – Note di padre Resta su disegni napoletani dal manoscritto Lansdowne 82 Appendice B – I disegni napoletani della collezione Cavaceppi-Pacetti a Berlino 91 II CAPITOLO III – FIRENZE E ALTRI CENTRI ITALIANI Il cardinal Leopoldo de’ Medici e i disegni napoletani degli Uffizi 94 Filippo Baldinucci 102 Disegni di Salvator Rosa e di Luca Giordano nelle collezioni fiorentine 105 Francesco Maria Niccolò Gabburri 110 Disegni napoletani in altri centri italiani: Bologna, Venezia, Palermo e la collezione del marchigiano Alessandro Maggiori 113 Appendice A – Disegni napoletani nella collezione mediceo-lorenese alla fine del ’700 118 Appendice B – Disegni napoletani nelle collezioni mediceo-lorenesi tra Sei e Settecento 122 CAPITOLO IV – L’E UROPA La Francia: Crozat e Mariette 123 Dezallier d’Argenville, Nourri, Saint-Morys e altri collezionisti francesi 132 L’Inghilterra 139 Nicodemus Tessin il Giovane e l’album di Francesco Curia a Stoccolma 146 Appendice A – La scuola napoletana nel catalogo dell’asta Mariette (1775) 149 Appendice B – La scuola napoletana nel catalogo dell’asta Nourri (1785) 154 BIBLIOGRAFIA 156 III INTRODUZIONE La nostra conoscenza attuale dei disegni di artisti napoletani nel periodo che va dall’inizio del Cinquecento alla fine del Settecento appare ancora piuttosto limitata se confrontata con la ricchezza della produzione pittorica, scultorea ed architettonica che caratterizza l’ambito partenopeo in questo stesso periodo. La scelta di questi termini cronologici è tutt’altro che casuale: soltanto a partire dal Rinascimento, infatti, l’esaltazione del ruolo dell’artista consentì di attribuire un significato nuovo anche alla pratica del disegno, giustificando una maggiore attenzione per il mezzo grafico, inteso come forma espressiva autonoma. Se tra Quattro e Cinquecento i disegni cominciarono ad essere considerati oggetti degni di essere conservati – e finanche esibiti – al pari dei dipinti e delle sculture, e non più soltanto in quanto strumenti di lavoro, in sede di discussione teorica l’esercizio grafico fu parallelamente eletto a fondamento di ogni pratica artistica, (con)fondendosi con il concetto di “disegno” come valore intellettuale di quella stessa pratica, secondo un processo di nobilitazione del mestiere di artista che procede coerentemente dagli scritti del Vasari a quelli di Federico Zuccari, fino a Bellori e a Baldinucci, per arrivare allo stesso Bernardo De Dominici, il maggiore biografo degli artisti napoletani. È d’altra parte innegabile che, per quanto riguarda Napoli e l’Italia meridionale, solo nel Cinquecento – e più esattamente in età manieristica – la produzione di disegni abbia assunto quei tratti specifici che consentono di individuare in tale area geografica un fenomeno di proporzioni e di rilevanza tali da meritare una denominazione a sé stante. Viceversa, nel Settecento si assiste alla definitiva affermazione delle accademie – istituzioni in cui la produzione artistica viene incanalata in un iter formativo che tende a normalizzarla, sottoponendola a canoni predefiniti e universali – e ad una sempre maggiore mobilità degli artisti, che favorisce un forte rapporto di osmosi con altre scuole (ormai non più) locali. Questi fenomeni toccano anche Napoli e consentono di individuare negli ultimi anni del XVIII secolo le colonne d’Ercole oltre le quali parlare di una ‘scuola napoletana’ – almeno per il disegno – non ha più molto senso. Napoli e il disegno sono stati spesso considerati come i due termini di un ossimoro; non sempre a torto, va detto, poiché la pratica del disegno presso gli artisti napoletani nel periodo che va dal Manierismo al Neoclassico assunse effettivamente caratteri specifici che distinguono nettamente tale ambito da quello romano, bolognese o fiorentino, in modo IV forse ancora più evidente che nel campo della pittura. Il disegno, in questo senso, è davvero la migliore espressione – senz’altro la più immediata – di ogni tendenza artistica, di cui tradisce gli impulsi primari, più difficili da discernere nell’opera finita. A Napoli, i motivi della scarsa fortuna del disegno come espressione figurativa autonoma sono stati di volta in volta ravvisati nel predominante e vincolante modello caravaggesco, a seguito dei soggiorni napoletani del pittore lombardo – notoriamente refrattario alla pratica disegnativa – nel primo decennio del Seicento; nella scarsità di collezionisti locali di grafica, di cui si ha notizia da testimoni contemporanei quali l’oratoriano padre Sebastiano Resta e l’abate Pietro Andrea Andreini, agente del cardinale Leopoldo de’ Medici; e perfino nella peste del 1656, che avrebbe comportato la distruzione dei fogli presenti nelle botteghe dei pittori morti in tale occasione (Cavallino, Stanzione, Pacecco De Rosa, Francesco Fracanzano) 1. Tali considerazioni, indubbiamente plausibili, sono tuttavia diventate quasi un alibi per giustificare l’indifferenza nei confronti di un campo per molti versi ancora inesplorato 2; per di più, esse paiono in contrasto con le testimonianze offerte da Bernardo De Dominici nelle sue Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, pubblicate tra il 1742 e il 1745. Sul disegno napoletano sembra gravare ancora il lapidario giudizio espresso nel Seicento da Giovan Battista Passeri, il quale nella sua biografia di Salvator Rosa scriveva che “li pittori napoletani non sono molto dediti ad una lunga applicazione al disegno, ma sogliono prima del tempo dar di mano ai pennelli, e come essi dicono a pittare ”3 – (pre)giudizio invariabilmente riportato da chiunque si occupi dell’argomento, quasi a confessare il carattere donchisciottesco di una simile impresa 4. A dispetto di simili premesse, e nonostante le oggettive difficoltà con cui si scontrano le ricerche in quest’ambito, gli studi sul disegno napoletano hanno vissuto un momento di grande fortuna tra gli anni Sessanta e primi anni Settanta del secolo scorso, grazie alle pionieristiche ricerche di Walter Vitzthum, purtroppo interrotte dalla precoce scomparsa dello studioso tedesco 5. 1 Sulle testimonianze di padre Resta e dell’abate Andreini cfr. infra . Per l’ipotesi che gran parte dei disegni di Cavallino e Stanzione siano stati distrutti per paura del contagio dopo la peste del 1656, cfr. PERCY 1985, p. 71; SIMANE 1994, p. 10; FISCHER , MEYER 2006, p. 14. 2 Cfr. SESTIERI 1984, p. 59. 3 PASSERI 1772, p. 417. 4 Cfr. VITZTHUM 1971, p. 7; MEYER 1999, p. 51; FISCHER , MEYER 2006, p. 9; FARINA 2008. 5 In seguito, nonostante la pubblicazione di vari studi specifici su pittori napoletani in cui si è proposto un catalogo dei disegni (in alcuni casi, tuttavia, alquanto selettivo: ricordiamo le recenti monografie su Curia, Battistello, Ribera, Gargiulo, Preti, Rosa e Giordano), non si è più tentato di affrontare in modo globale il discorso sul disegno napoletano, cosicché ci si trova spesso a doversi rifare ancora agli studi di Vitzthum. A Napoli, Marina Causa Picone ha curato i cataloghi dei disegni della Società Napoletana di Storia Patria e del Museo Nazionale di San Martino (CAUSA PICONE 1974, 1999b), ma manca ancora un catalogo completo della collezione pubblica di più antica ed illustre origine, quella del Museo di Capodimonte (benché alcuni fogli V Le testimonianze a noi pervenute sulla presenza di collezioni grafiche a Napoli tra Sei e Settecento sono effettivamente piuttosto modeste 6. La rarità di citazioni e ancor più di descrizioni esaurienti relative ai disegni negli inventari è, d’altra parte, un dato di fatto col quale ci si scontra, per lo stesso periodo, anche in altri centri italiani. Le frammentarie informazioni fornite dalle note inventariali possono tuttavia essere integrate da altre sporadiche citazioni documentarie (carteggi, pagamenti) e letterarie (guide, biografie). Uno spoglio sistematico dei documenti inerenti le collezioni napoletane sei-settecentesche è stato recentemente pubblicato da Gérard Labrot nell’ambito del Getty Provenance
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