POLITECNICO DI MILANO SCUOLA DI ARCHITETTURA URBANISTICA INGEGNERIA DELLE COSTRUZIONI CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA A.A. 2015 / 2016

Ricomposizione delle stratificazioni storiche nell’area del Foro di Cesare: Percorsi, accessi, spazi espositivi

Relatore: prof. Pier Federico Caliari Correlatore: arch. Sara Ghirardini

Tesi di Laurea Magistrale di: Giovanna Gelso Matricola 834266 Maria Pedrazzini Matricola 833821

SOMMARIO

ABSTRACT 3

INTRODUZIONE 4

PARTE I. STUDIO DEL SITO 5

1. IL CONTESTO 6 1.1. Età protostorica 6 1.2. Età regia e repubblicana 7 1.3. Età imperiale 8 1.4. Età medievale 13 1.5. Età moderna 14 1.6. Età contemporanea 16 1.6.1 Ottocento 16 1.6.2. Novecento 17

2. IL FORO DI CESARE 21 2.1. Presupposto 21 2.2. Un progetto interrotto 25 2.3. Posizione 25 2.4. Orientamento 28 2.5. Dimensioni 30

PARTE II. PROGETTO 32

1. OBIETTIVI E LINEE GUIDA 33

2. L’ASSE DI SIMMETRIA 33 2.1. La piazza 35 2.2. Il portico 36 2.3. Il Tempio di Venere Genitrice 37

3. L’ASSE REPUBBLICA-IMPERO 40 3.1. Il Foro Repubblicano 40 3.2. La Curia 41

1

3.3. Il portico di Augusto 42

4. L’ASSE IMPERO-MEDIOEVO 44 4.1. Il Tempio di Marte Ultore 44 4.2. La piazza della Chiesa dei SS. Luca e Martina 45

5. IL COLLEGAMENTO CON GLI ALTRI FORI 47 5.1. La Basilica Argentaria 47

6. GLI SPAZI MUSEALI SUL CLIVO 49

7. IL BOOKSHOP E LA TERRAZZA 32

8. IL SISTEMA URBANO 33 8.1. La sistemazione di via dei Fori Imperiali 34 8.2. La passerella di via Bonella 55

BIBLIOGRAFIA 57

SITOGRAFIA 61

INDICE DELLE TAVOLE 62

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ABSTRACT

Il presente lavoro di tesi si inserisce all’interno di un dibattito più ampio volto alla valorizzazione di Via dei Fori Imperiali a Roma. Si concentra sull’area del Foro di Cesare e si pone come obiettivo la ricomposizione delle stratificazioni storiche e la sua musealizzazione, prestando particolare attenzione agli accessi, ai percorsi e alla progettazione di adeguati spazi espositivi. Si è deciso di intervenire su quest’area, in quanto il Foro di Cesare ha avuto una notevole influenza sulla topografia dell’area e sulla tipologia dei Fori Imperiali stessi, costituendo un prototipo di architettura monumentale. L’area presa in esame è inevitabilmente legata alla storia di Roma antica, ma allo stesso tempo rappresenta una parte della città profondamente ibridata dal moderno e dal contemporaneo. Essa è infatti l’esito delle millenarie stratificazioni del tempo, che hanno visto la costruzione, la cancellazione e la riscrittura dell’assetto archeologico e urbano. Tutto il lavoro ha dovuto necessariamente confrontarsi con la frammentarietà dell’area, che si esplicita nella compresenza di materiali e tecniche costruttive differenti, e di diverse quote, spesso autonome e non comunicante tra loro. Si è cercato di conservare tale complessità, garantendo contemporaneamente una visione d’insieme unitaria, attraverso percorsi e allestimenti che permettono di accedere e visitare le diverse parti del complesso. Il progetto si sviluppa principalmente su due quote: quella archeologica e quella urbana. A livello archeologico l’intervento mira a rafforzare, attraverso opere di anastilosi e di ricostruzione, caratteri, allineamenti e spazialità, oggi poco leggibili e riconnettere tutti i Fori tra loro. A livello urbano, invece, lavora sulla creazione di viste privilegiate e nuovi spazi di accesso che permettano di collegare le due quote tra loro. In seguito all’analisi storica effettuata e alle osservazioni sullo stato attuale dell’area, sono stati individuati tre assi principali secondo i quali si articola l’intero progetto. Si tratta di allineamenti e configurazioni, appartenenti a diverse epoche storiche, in gran parte andati perduti o poco comprensibili.

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INTRODUZIONE

Via dei Fori Imperiali a Roma risulta oggi caotica e disordinata: la mancanza di un progetto unitario che consenta una lettura chiara delle numerose trasformazioni, degli spazi e delle architetture che si sono susseguite nel tempo, rende spesso la comprensione di questa zona incompleta e molto difficile. L’obiettivo del lavoro, in un’ottica museografica, è quello di ricomporre le stratificazioni storiche per restituire leggibilità all’area, attraverso interventi di scavo, ricostruzione e attraverso la progettazione di nuove spazialità a supporto del sistema espositivo che si andrà a delineare. Per farlo si è deciso di intervenire in particolare sull’area del Foro di Cesare, con l’idea che esso possa essere nuovamente matrice del sistema dei Fori Imperiali. Esso fu il primo Foro ad essere realizzato e determinò l’orientamento e la posizione dei successivi. Come allora, oggi esso può tornare ad essere l’origine della rinascita di tutta l’area nel suo complesso. Il lavoro si è strutturato quindi in due parti. Per prima cosa è stato necessario un lungo e approfondito studio dell’area dal punto di vista storico. Si è indagata in questa sede tutta l’Area dei Fori Imperiali e l’area occupata dal Foro Romano, dall’età protostorica alla contemporaneità. Si è inoltre approfondito lo studio del Foro di Cesare e, per comprenderne a pieno il progetto, ci si è interrogati sul perché della sua posizione, del suo orientamento e delle sue dimensioni. Una volta raccolte le informazioni storiche e dello stato di fatto, si è sviluppato il progetto, che prevede: un nuovo accesso all’area archeologica dal Clivo Argentario, la connessione dei Fori tra loro e con il Foro Romano, nuovi spazi espositivi e l’allestimento di quelli esistenti. L’intervento arriva così a configurarsi come un ulteriore strato che si aggiungere agli avvicendamenti storici avvenuti sull’area.

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PARTE I. STUDIO DEL SITO

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1. IL CONTESTO

L’aspetto che più colpisce dell’area dei Fori Imperiali è la compresenza di insediamenti appartenenti a diverse epoche storiche: sono state ritrovate testimonianze che risalgono addirittura all’età protostorica. Per tale motivo è stato assolutamente necessario individuare e analizzare le varie fasi che si sono succedute. La ricerca è stata realizzata in linea con gli obiettivi di lavoro, tenendo quindi presente un’area circoscritta che comprende la zona che verrà occupata in fase repubblicana dal Foro Romano e quella su cui verranno realizzati in età imperiale i Fori, con accenni al contesto circostante, al fine di comprendere l’area nella sua complessità e nei suoi rapporti con l’intorno. Questo paragrafo punta quindi a riconoscere questa realtà come generale e unica. L’analisi storico-archeologica che seguirà si propone di essere una sintesi di queste trasformazioni e perciò si articolerà in 6 punti: lo stato dell’area nell’età protostorica, quando si svilupparono i primi insediamenti; lo sviluppo della città nell’età regia e repubblicana, la realizzazione del Foro Romano, del e la progressiva occupazione residenziale dell’area circostante; la realizzazione dei Fori Imperiali e la radicale trasformazione del territorio nell’età imperiale; il progressivo abbandono dei Fori e la successiva trasformazione degli edifici in una cava di materiali dopo l’editto di Papa Giulio II; la riscoperta della classicità e la visione romantica ottocentesca dei resti archeologici; il progetto fascista di via dell’Impero e gli scavi archeologici del XX secolo. È interessante notare come lo sviluppo di quest’area non sia stato lineare, e che negli anni si siano verificate trasformazioni che hanno turbato l’equilibrio, intervenendo in modo drastico, abbattendo e ricostruendo, cancellando e riprogettando l’assetto urbano.

1.1. Età protostorica

L’area presa in esame, intorno al XVII secolo a.C., doveva avere un’orografia varia costituita da una zona pianeggiante (denominata Velabro), due zone collinari (il colle Capitolino e l’) e due zone intermedie (la sella compresa tra il colle Capitolino e l’Arx, chiamata Asylum e la sella compresa tra l’Arx e il colle Viminale, chiamata Argiletum). A causa delle inondazioni stagionali del Tevere che interessavano, nei casi di piene eccezionali, la quasi totale estensione del Velabro, per molto tempo fu impossibile l’insediamento stabile delle popolazioni locali nelle aree

6 pianeggianti. Il primo villaggio nacque infatti, intorno al 1600 a.C., sulla cima del colle Capitolino, al riparo dalle piene del Fiume e in una posizione molto vantaggiosa dal punto di vista difensivo. Nei secoli si svilupparono nuovi insediamenti sui colli adiacenti, si trattava ancora di piccoli villaggi, composti da capanne in fango, tetti di paglia e recinti di tronchi, che realizzarono le loro necropoli nell’area dell’Argiletum. A sottolineare il passaggio alle epoche storiche successive compaiono in questo periodo i primi edifici in muratura, sul modello delle architetture greche, e i primi rudimentali piani urbanistici mutuati dalla civiltà etrusca.

1.2. Età regia e Repubblicana

I villaggi stabilitisi sull’area si unirono tra loro e intorno alla metà del VIII secolo per la prima volta l’area urbana si estese anche nel territorio pianeggiante. La parte centrale del Velabro, in quanto zona neutrale, esterna all’abitato e alle mura rituali, venne scelta per accogliere il Foro: il luogo di incontro della nuova comunità. L’area fu riempita di terra in modo tale da alzare di un metro il piano di calpestio e riuscire così a far fronte alle esondazioni del Tevere. Questo grande spazio pavimentato era pensato per accogliere attività commerciali, politiche e religiose. La zona settentrionale era occupata dal Comizio1, dove si tenevano le assemblee tra i membri delle 30 curie in cui si divideva la popolazione, e dalla Curia Hostilia, il più antico luogo delle riunioni del Senato. Nei secoli successivi si assiste all’aumento e alla diffusione dei quartieri residenziali che sempre di più si avvicinano a quello che ormai è a tutti gli effetti il centro di Roma. Verso la metà del VI secolo a.C. infatti vennero costruite due domus sul versante sud- orientale delle pendici capitoline, nell’area del futuro Foro di Cesare, e una terza accanto alla Curia Hostilia, a diretto contatto con il Foro Romano. La zona retrostante, che successivamente accoglierà i Fori imperiali, conobbe un’urbanizzazione assai più precaria costituita da abitazioni più povere destinate ad una vita breve. La città quindi continuò ad espandersi e intorno al 550 a.C. Servio Tullio ampliò il Pomerio e fece realizzare le mura serviane che arrivarono a includere tutto il sistema urbano. Il sistema murario era dotato di porte che permettevano il collegamento con l’area

1 “il primo Comizio fu allestito intorno alla metà del VII secolo a.C.” in Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol. 1 p.153

7 esterna alla città, una di queste, la posta Fontinalis, era situata nei pressi del Foro, a nord-ovest del Comitium, ed era attraversata dal Clivo Argentario. Nell’età repubblicana le principali trasformazioni architettoniche e urbane dell’area avvennero nel Foro Romano, che, a causa di diversi incendi, fu coinvolto in un progetto di ristrutturazione sia architettonico che funzionale. Per avere un’immagine completa e dettagliata dei numerosi cambiamenti avvenuti, rimandiamo all’Atlante di Roma antica curato da Andrea Carandini, in questa sede si riportano solo due cambiamenti dell’area settentrionale che sono utili per comprendere il progetto. Il primo riguarda il locus funestus, il luogo in cui secondo la leggenda Romolo scomparve, identificato nel Volcanal nei pressi del Comizio. Il primo intervento di monumentalizzazione di quest’area avvenne verso la seconda metà del IV secolo a.C. quando venne posata una pavimentazione marmorea su una piccola superficie rettangolare. Due secoli più tardi Silla fece costruire nello stesso luogo, a un livello più alto, un lastricato di marmo nero, che prese il nome di Lapis Niger. In asse con questo il console fece anche costruire la nuova sede del Senato, che probabilmente aveva le stesse dimensioni della Curia Iulia, ampliata a causa dell’aumento del numero dei senatori. La seconda trasformazione è invece quella che interessa l’area tra il Comizio e quello che sarà il Foro di Cesare. Essa accoglieva la Curia e la Basilica Porcia, che erano rispettivamente il luogo dove si riuniva il Senato e lo spazio per amministrare la legge, distrutte entrambe nel 52 a.C. nell’incendio divampato durante il funerale di Publio Clodio Pulcro. Inoltre probabilmente ospitava l’Atrium Libertatis2, il luogo dove veniva conservato l’archivio dei censori; di questo edificio parla per la prima volta nel 212 a.C. Tito Livio3 e sappiamo che venne ricostruito e ampliato nel 194 a.C..

1.3. Età imperiale

Il passaggio dal sistema politico repubblicano a quello imperiale, fu l’esito di circa un secolo di guerre civili, prima tra Silla e Mario, poi

2 per uno studio approfondito Amici, C. M., Atrium Liberatis, in «Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia», Vol. LXVIII, Tipografia Vaticana, 1996-1997.

3 riferendo che quell’anno che vi erano custoditi degli ostaggi. Si veda Ab Urbe condita, 25.7.12.

8 tra Cesare e Pompeo e infine tra Ottaviano e Antonio. Questa transizione ha modificato radicalmente la civiltà romana, e con essa, anche l’assetto urbano della città. L’architettura risulta infatti uno degli strumenti più efficaci di propaganda ed è in questo periodo che si assiste alle prime opere architettoniche monumentali autocelebrative. Il centro di Roma subisce numerosi e radicali cambiamenti: non solo l’area del Foro Repubblicano viene trasformata e rinnovata, ma interi quartieri, nati nell’area dell’Argiletum, vengono sacrificati per far spazio ai nuovi Fori Imperiali, realizzati nell’arco di due secoli. Queste cinque opere monumentali di committenza imperiale4 vennero costruite in continuità topografica ma in discontinuità funzionale5 con il Foro Romano. Esso resterà una presenza importante nell’assetto urbanistico di Roma, tuttavia andrà a perdere lentamente il suo ruolo centrale nella vita politica, religiosa e amministrativa dell’Urbe, come del resto accadrà per tutte le istituzioni repubblicane. Il primo tra i Fori Imperiali venne costruito per volontà di Giulio Cesare con il pretesto di ampliare il Foro Repubblicano come una precisa risposta alla realizzazione pompeiana del colossale complesso nel Campo Marzio. Esso è a tutti gli effetti un monumento del periodo imperiale, ma al tempo stesso un importante testimonianza dell’ultima repubblica e fu l’unico costruito per soppiantare direttamente le funzioni civiche tradizionali dell’originale Foro Romano6. Venne realizzato alle pendici del Colle Capitolino, nei pressi del più importante spazio civico del Foro repubblicano - il Comitium -, in un’area che come si è visto era fino a quel momento occupata da abitazioni nobiliari. Eugenio La Rocca, nell’opera da lui curata I Fori imperiali, sottolinea l’incredibile particolarità e rivoluzione che questo Foro porta con sè: è il luogo in cui fu concepito e le strutture che furono coinvolte nel gioco, in primo luogo la Curia, uno dei massimi simboli della libertà repubblicana, a rendere il Foro di Cesare un monumento autoelogiativo che non aveva eguali nella capitale7.

4 si considera qui, per semplicità, anche Cesare, che tuttavia non fu mai imperatore.

5 Castrorao Barba, A. “Continuità topografica in discontinuità funzionale: trasformazioni e riusi delle ville romane in Italia tra III e VIII secolo”, in «PCA: The European Journal of Post-Classical Archaeologies», 4, 2014, pp. 259-296

6 Roger B., U., “ and the Creation of the Forum Iulium” in «American Journal of Archaeology». Vol. 97, 1 (Jan., 1993), p. 49

7 La Rocca, E., a cura di, I Fori imperiali, Progetti Museali, Roma 1995. pg. 36

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La pratica di fare propaganda politica attraverso le grandi opere architettoniche non era certo una novità, tuttavia immaginare un intervento così radicalmente innovativo da un lato, ma contemporaneamente rispettoso delle tradizioni e della struttura sociale dall’altro, dimostra una strategia politica molto chiara che Cesare esplicita nella lettera scritta il 5 marzo del 498: Facciamo dunque un tentativo in questo senso, per vedere se possiamo riconquistare il consenso di tutti (omnium voluntatem recuperare) e conseguire una vittoria durevole. Ricorrendo alla ferocia, gli altri non sono riusciti ad evitare l’odio né, tanto meno, a conservare durevolmente il frutto della vittoria. Il programma urbanistico di Cesare fu molto ambizioso, non si limitava a fornire un nuovo centro a Roma con la realizzazione di un ulteriore Foro, ma prevedeva interventi in tutta l’Urbe e nello stesso Foro Repubblicano. Tuttavia, sebbene mascherata, la rivoluzione di cui Cesare si fece portatore lo condannò a una morte violenta. La sua prematura scomparsa impedì di concludere il grandioso progetto ma ne accrebbe la popolarità. Molto presto si sviluppò un vero e proprio culto intorno alla sua persona ed è anche in quest’ottica che deve essere letta la scelta di Ottaviano di portare a termine alcuni progetti non conclusi dal suo predecessore, nel rispetto delle volontà di Cesare. Il Foro di Cesare infatti, inaugurato dallo stesso Cesare nel 46 a.C., fu in realtà completato solo in un secondo momento da Augusto. Il complesso era composto da una piazza rettangolare circondata da portici su doppia altezza, che sul lato lungo occidentale celavano dieci tabernae, e ospitava nel lato corto in fondo il Tempio di Venere Genitrice. L’intervento di Augusto previde la realizzazione della Curia, che andò a sostituire la Curia Hostilia, e il conseguente prolungamento della piazza di venti metri, portando così il Foro ad attestarsi sull’Argiletum - via di comunicazione che connetteva il Foro repubblicano alla -. Era possibile accedere alla piazza direttamente dal Foro repubblicano attraversando la Curia, dall’Argiletum passando dalle porte aperte nel grande muro di cinta che inglobava la piazza e dal Clivo Argentario, tramite delle scale che spezzavano il sistema delle Tabernae.

8 Canfora, L., Giulio Cesare: Il dittatore democratico, Economica Laterza, Bari 2006. p. 166

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Il Foro di Cesare diventò così un modello architettonico vero e proprio, con la sua piazza rettangolare e gli alti muri che la circondavano, in netta antitesi con il modello greco dell’Agorà, più aperto e inclusivo. È possibile perciò studiare gli altri Fori solo tenendo presente la profonda relazione geometrica, tipologica e politica che essi instaurano con il Foro di Cesare. È con Augusto tuttavia che quest’opera viene formalmente riconosciuta e utilizzata come modello architettonico per un’architettura imperiale. Egli infatti, negli ultimi anni della sua dittatura, inaugurerà a sua volta un altro Foro, che non si propone più, come era stato per Cesare, come ampliamento del Foro repubblicano, ma come alternativa ad esso, riproponendo una piazza rettangolare, nel cui lato corto è posto il Tempio - in questo caso dedicato a Marte Ultore -, circondata da alti portici su tutti i lati. La continuità non è solo tipologica ma anche spaziale: Augusto infatti farà realizzare il nuovo Foro adiacente al precedente, orientato perpendicolarmente, anch’esso quindi si attesta sulla via dell’Argiletum. Il progetto, sebbene presenti caratteristiche simili al Foro di Cesare, si distingue da esso per altri due aspetti: la presenza dell’altissimo muro a cui si appoggiava il tempio, realizzato per separare la piazza dalla Suburra e per difenderla dai numerosi incendi che divampavano nel quartiere; e la presenza di due spazi coperti con forma semicircolare posti oltre i portici su entrambi i lati lunghi. Come dichiara Stefano Maggi queste due esedre dimostrano una matrice barocca9 nello stile architettonico adottato in quest’occasione da Augusto, molto diverso dallo stile classico e formalmente più sobrio di Cesare. L’area dell’Argiletum, prima occupata da edifici residenziali, diventa così in pochi anni parte del centro monumentale di Roma: i due Fori si estendono infatti nell’area compresa tra il Foro repubblicano e la Suburra a nord dell’antica strada dell’Argiletum. Bisognerà aspettare invece più di mezzo secolo per vedere comparire il terzo Foro imperiale. Il Tempio della Pace, costruito dall’Imperatore Vespasiano come celebrazione della conquista di Gerusalemme, venne realizzato in asse con il Foro di Augusto, ma dal lato opposto dell’Argiletum. Presenta tutte le caratteristiche di un Foro imperiale - una piazza centrale a forma quadrangolare, in questo caso orientata come il Foro di Cesare, un porticato sui lati lunghi e un tempio nel lato

9 Maggi, Stefano, “L’ellenismo del principe (ovvero: le esedre del Foro di Augusto a Roma)” in «Latomus». T. 61, Fasc. 4, Octobre-Dècembre 2002. p. 912

11 corto - ed è per questo motivo che successivamente assunse la denominazione di Foro e venne a far parte a tutti gli effetti del sistema dei Fori Imperiali. Presenta comunque delle differenze importanti rispetto ai due fori precedenti: la forma quadrata e non rettangolare dello spazio centrale, progettato come un giardino, con aiuole e fontane, e non più come una semplice piazza, e la presenza di diversi spazi, affiancati al Tempio, che conservavano le spoglie del Tempio di Gerusalemme e diverse opere d’arte. Il Foro venne distrutto per un incendio nel 192 d.C. e ricostruito da Settimio Severo che, in una delle aule meridionali, vi pose la Forma Urbis Marmorea nella quale era rappresentata in pianta la Roma antica e della quale furono rinvenuti solo alcuni pezzi. Questo Foro risultava perciò separato dai Fori di Augusto e Cesare dalla via dell’Argiletum. Pochi anni più tardi essa venne inglobata nel Foro di , conosciuto inizialmente come Foro Transitorio, proprio per la sua caratteristica di luogo di passaggio e collegamento tra il Foro repubblicano e la Suburra: esso infatti si estendeva dal retro della Basilica Emilia fino all’esedra del Foro di Augusto, incastonato tra i tre Fori esistenti. Questo nuovo Foro venne costruito per volontà dell’imperatore Domiziano e inaugurato da Nerva, da cui prenderà il nome, nel 97 d.C. . Vista la forma molto allungata e il poco spazio a disposizione, non fu possibile realizzare un vero e proprio portico, tuttavia, essendo esso uno degli elementi principali di questa nuova tipologia architettonica, venne realizzato un sistema decorativo di colonne e trabeazione posto a pochi centimetri di distanza dal muro perimetrale, non si tratta quindi di lesene, ma di vere e proprie colonne, realizzate rasente i muri longitudinali. Il Tempio, dedicato a Minerva, trova invece spazio nel lato corto in fondo, addossato all’esterno dell’esedra del Foro di Augusto. Per realizzare i Fori Imperiali fu trasformata l’orografia dell’area, distrutti edifici pubblici, strutture sacre e cancellati interi quartieri abitati, ma nessun intervento si rivelò invasivo come quello che fu necessario per la realizzazione dell’immenso Foro di Traiano nel 112 d.C.. Quest’ultimo complesso per volontà dell’imperatore Traiano doveva essere realizzato adiacente al Foro di Augusto e in collegamento con i Foro di Cesare, là dove a quei tempi si trovava la sella montuosa che collegava il colle Campidoglio e il colle Quirinale. Furono necessarie quindi costosissime operazioni di sbancamento, che l’Imperatore finanziò principalmente con il bottino di guerra delle campagne Daciche. Altri imponenti lavori di scavo avvennero alle pendici del Quirinale dove vennero realizzati i mercati di Traiano. A differenza degli altri Fori

12 quest’ultimo aveva dimensioni incredibilmente superiori (quasi il doppio della superficie del Foro di Augusto) e spazi più articolati. Esso infatti oltre ad ospitare la grande piazza porticata con due esedre ai lati, come il Foro di Augusto, accoglieva al suo interno la posta nel lato corto in fondo, dove ci si aspetterebbe di trovare il Tempio. Alle sue spalle si erge ancora oggi la Colonna Traiana, posta tra due biblioteche, una greca e una latina. Il Tempio, dedicato allo stesso imperatore e a sua moglie Plotina (divinizzati entrambi dopo la loro morte), fu realizzato successivamente da Adriano. Il complesso comprendeva anche i mercati di Traiano, alle pendici del Quirinale e la Basilica Argentaria dal lato opposto, che connetteva il nuovo Foro al Forum Iulium. Quest’ultimo intervento determinò un rinnovamento di tutta l’area settentrionale del Foro di Cesare e coinvolse, oltre al muro di fondo e ad alcune tabernae, il Tempio di Venere genitrice, che, come vedremo approfonditamente più avanti, venne radicalmente trasformato. Intorno al 112 d.C. l’area presa in esame risultava quindi profondamente trasformata: non più spaccata in due, il Foro repubblicano e la zona di collegamento con la Suburra, ma un unico grande centro monumentale in espansione10.

1.4. Età medievale

Alla fine dell’impero romano d’Occidente Roma, che negli anni precedenti aveva subito diverse invasioni e saccheggi da parte delle popolazioni barbare11, era profondamente cambiata. L’area dei Fori Imperiali e del Foro Romano tuttavia mantenne il ruolo nodale nell’assetto urbano della città fino al 608 d.C. circa, anno in cui, per volontà di Smaragdo, supremo comandante d’Italia, venne eretta davanti ai rostra, nel Foro Romano, una colonna corinzia dedicata all’imperatore bizantino Foca. Essa, ergendosi per un’altezza di oltre tredici metri, su un basamento cubico di marmo bianco, rappresenta l’ultimo monumento realizzato nell’area dei Fori. Non solo la caduta dell’impero, ma anche l’avvento e la diffusione del cristianesimo determinò un cambiamento profondo nella

10 questa non è la sede dove riportare approfondire le trasformazioni dell’area a Sud-Est, ma ricordiamo che durante il periodo tardo-imperiale saranno anche realizzate ad esempio la Basilica di Massenzio e l’Anfiteatro Flavio.

11 l’invasione dei Goti avvenne nel 410 d.C. e quella dei Vandali nel 455 d.C..

13 struttura urbana della città: molti edifici, persa la loro funzione politica e religiosa, vennero abbandonati e destinati all’oblio; solo gli edifici che vennero convertiti e riutilizzati, si conserveranno fino a noi. Ne è un esempio la Curia Iulia che nel 630 d.C., non essendo più utilizzata per le riunioni del Senato, venne trasformata nella chiesa di Sant’Adriano al Foro, mille anni più tardi restaurata in stile Barocco e infine negli anni Trenta del Novecento spoliata di tutte le decorazioni successive all’epoca domizianea ed è oggi uno tra gli edifici del periodo imperiale che si sono conservati meglio fino a noi. Intorno al IX secolo d.C. quindi l’area fu progressivamente lasciata a sé stessa e lentamente abbandonata. Al sistema forense di piazze e portici, si sostituì un tessuto frammentario, che alternava ambienti agricoli e abitati. Le residenze aristocratiche si spostarono sulle nuove vie di comunicazione principali, allontanandosi sempre di più dall’area dei Fori e un tessuto più compatto si formò a cavallo del XI e del XII secolo là dove qualche secolo prima si ergeva il Foro di Traiano. Le piene del Tevere ripresero ad estendersi in quest’area portando con se detriti e terra che lentamente coprirono i resti più bassi degli antichi Fori. Dopo la nascita del Comune di Roma nel 1143-44 l’area dei Fori Imperiali fu gradualmente e quasi completamente disabitata. Si mantennero piccole baracche e costruzioni assai precarie costruite addossandosi ai resti delle strutture antiche. Nacquero così il Campo Vaccino, in corrispondenza del Foro Romano, e il Campo Torrecchiano nell’area dei Fori Imperiali, il primo prende il nome dal settimanale mercato dei buoi che lì vi si teneva, il secondo dalle numerose torri presenti nell’area, di cui restano in piedi ancora la Torre del Grillo, la Tor dei Conti e la . Nonostante i numerosi saccheggi a cui furono sottoposti gli edifici imperiali, il Foro Romano ancora nel XII secolo era il luogo prescelto per le processioni papali che, arrivando dal Colosseo, passavano sotto l’Arco di Settimio Severo e procedevano lungo il Clivo Argentario.

1.5. Età moderna

L’area perse completamente il suo ruolo centrale e simbolico per Roma nel 1503, quando Papa Giulio II, nel suo progetto di rinnovamento edilizio e artistico dell’Urbe, diede il permesso di trasformare i Fori in una vera e propria cava di materiale da costruzione: i marmi e i travertini così recuperati spesso venivano

14 gettati nelle fornaci per essere trasformati in calce. In breve tempo molti dei più grandiosi monumenti della Roma imperiale scomparvero. Molti artisti dell’epoca, tra cui Raffaello e Michelangelo, si opposero a queste spoliazioni, ma ciò non riuscì a fermare gli abusi. In una lettera del 1519 indirizzata a papa Leone X e tramandata da Baldassare Castiglione, Raffaello manifesta il suo interesse per la conservazione dei monumenti dell’antica Roma, rappresentando uno dei primi esempi di progetto di liberazione dei fori: «Non deve adunque, Padre Santissimo, essere tra gli ultimi pensieri di Vostra Santità lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre della gloria e della fama italiana, per testimonio del valore e della virtù di quegli animi divini che pur talor con la loro memoria eccitano alla virtù gli spiriti che oggidì sono tra noi, non sia estirpato e guasto dalli maligni e ignoranti»12. Un esempio significativo di questa spoliazione è il caso della Forma Urbis. Realizzata tra il 205 e il 208 da Fabio Cilone, essa rappresentava la pianta dell’antica Roma, incisa nell’età severiana su lastre di marmo in scala 1:240. Era esposta, come già visto nel capitolo 1.4, su una parete della sala a sud-est del tempio del Foro della Pace, dove si appoggiava la Basilica di Massenzio. Nel 1562 furono ritrovati alcuni frammenti che vennero donati ad Alessandro Farnese e poi esposti, quasi due secoli dopo nel museo Capitolino. La vera scoperta avvenne nel 1899 quando, demolendo un muro presso il , si ritrovano 600 frammenti usati nel VI secolo come materiale da costruzione. Successivamente nel 1956 fu rinvenuta la parete dell’aula, ancora in piedi poiché inglobata nel convento dei SS. Cosma e Damiano, su cui era originariamente affissa la pianta marmorea. Studiando i fori presenti sul muro e le grappe metalliche ancora conservate si è scoperto che la pianta completa era composta da 150 pannelli di cui oggi si conosce solo un ventesimo. L’area del Campo Torrecchiano, con la messa fuori uso del sistema fognante romano, era tornata ad essere paludosa, tanto da essere denominata popolarmente i Pantani. Intorno alla fine del XVI secolo, grazie agli interventi di bonifica voluti dal cardinale Michele Bonelli, soprannominato l’Alessandrino, venne occupata da un

12 Estratto della lettera https://archive.org/stream/letteradiraffael00raph/letteradiraffael00raph_djvu. txt

15 nuovo quartiere che prese il nome del suo fondatore. La via che lo attraversava longitudinalmente (la via Alessandrina) tutt’oggi è conservata e attraversa l’esedra del Foro di Traiano, il Foro di Augusto e quello di Nerva. La via Bonella, chiamata così in onore del cardinale, è invece stata recentemente tagliata per permettere gli scavi nel Foro di Cesare. Tuttavia è stata mantenuta la sua sezione in cui è possibile vedere il sistema fognario cinquecentesco. Il quartiere costituiva un tessuto edilizio fitto, spezzato solo da cinque vie, oltre alle due già citate c’erano via del Priorato, via dei Carbonari e piazza delle Chiavi d’Oro. Accoglieva al suo interno principalmente abitazioni semplici, ma anche alcuni edifici religiosi, come la chiesa di Sant’Urbano e il convento delle sperse di Sant’Eufemia, o più prestigiosi come il palazzo dei Ghislieri e il palazzetto di Flaminio Ponzio. Risulta abbastanza semplice farsi un’idea dello stato dell’urbanizzazione di quest’area nel XVIII secolo grazie all’incredibile mappa topografica realizzata nel 1748 da Giovanni Battista Nolli, con l’aiuto di Giuseppe Vasi e di Giovanni Battista Piranesi e grazie al sostegno economico di Papa Benedetto XIV. L’espansione urbana non interessò invece l’area del Foro Romano e del Velabro che rimasero aree agresti.

1.6. Età contemporanea

1.6.1 Ottocento

“La Roma medioevale e moderna era cresciuta integrando nel proprio tessuto i resti antichi. Questo equilibrio fu incrinato nel XIX secolo con i progetti elaborati, anche se non completamente attuati, da Napoleone, nelle cui intenzioni Roma doveva diventare la seconda città dell’Impero.”13 Così Dunia Filippi descrive il radicale punto di svolta che diede il via ai primi interventi di scavo nell’Area Archeologica Centrale. In questi anni cambia lo sguardo verso il passato: sono gli anni della riscoperta della classicità. La rovina assume un nuovo valore in quanto testimonianza del passato e l’architettura e l’urbanistica si adattano a questa nuova esigenza. Vengono così a crearsi dei vuoti, delle aree di rispetto, intorno ai resti parzialmente scavati: ne è un esempio il caso della Colonna traiana, rappresentata nelle incisioni

13 Filippi, D. in Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol.1 p.145

16 dell’epoca in una fossa di scavo, al centro di un’area vuota di rispetto. I primi progetti per l’area voluti da Napoleone e realizzati solo in parte, furono curati da Giuseppe Valadier, Giuseppe Camporesi e Martin Berthault e risalgono al 1811-1812. Ad essi si deve l’ingrandimento della Piazza della Colonna Traiana e la prosecuzione degli scavi nel Foro Romano, iniziati nel 1803. Si assiste qui ai primi interventi di demolizione della città contemporanea, tesi a riportare in luce le antiche architetture romane. Gli scavi nel Foro Romano continueranno, con alcune interruzioni, per due secoli, trasformando così l’area del mercato dei buoi in “Passeggiata Archeologica”. Di questo lungo periodo è importante ricordare due passaggi significativi. Il primo risale agli anni Settanta dell’Ottocento: contemporaneamente alla decisione di realizzare sull’Arx l’imponente monumento al primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, venne affidata a Rodolfo Lanciani la direzione dei lavori di scavo al Foro. Da una visione neoclassica dell’antico si passa a una visione più romantica. Questo cambio di sguardo determina un cambio anche nelle modalità di intervento sulle aree archeologiche: non ci si limita più a scavare per riportare alla luce i resti, ma si progettano i resti come delle vere e proprie quinte sceniche per la città. Un secondo momento importante risale al 17 gennaio del 1887, quando venne ratificata la Legge Bonghi Baccelli, che prevedeva l’istituzione della “Zona monumentale di Roma”. Questa legge risulta particolarmente importante perché è il primo caso, in Europa, di tutela paesaggistica, e non solo architettonica, dei monumenti e del loro contesto. Numerosissime furono le scoperte fatte, nell’area del Foro romano, in questi anni: ad esempio il rinvenimento del Lapis Niger nel 1898 e della pavimentazione del Foro.

1.6.2 Novecento

L’area dei Fori Imperiali, a differenza dell’area del Foro repubblicano, non subì trasformazioni fino alla seconda metà degli anni Venti del Novecento quando iniziarono i lavori per la realizzazione di Via dell’Impero. Il progetto, voluto da Mussolini, al quale lavorò Antonio Muñoz, che era in quegli anni ispettore generale delle Antichità e delle Belle Arti del Governatorato di Roma, prevedeva la realizzazione di un grande asse di collegamento tra e il Colosseo. Questo intervento faceva parte di

17 una serie di opere urbanistiche e architettoniche previste in tutta la penisola, atte ad esaltare la patria rapportata alla gloria della Roma imperiale. L’Altare della Patria e l’Anfiteatro Flavio rappresentavano rispettivamente i due monumenti per eccellenza dell’Impero Romano e dell’Impero fascista e la via era l’elemento urbanistico più significativo per rappresentare questa volontà di rapportarsi all’Impero Romano. L’idea di fondo del progetto si evince chiaramente dalle parole di Mussolini del 1925: “Le mie idee sono chiare, i miei ordini sono precisi e sono certo che diventeranno realtà concreta. Voi continuerete a liberare il tronco della grande quercia da tutto ciò che ancora lo aduggia. Farete dei varchi intorno al Teatro di Marcello, al Campidoglio, al Pantheon. Tutto ciò che vi crebbe intorno nei secoli della decadenza deve scomparire. Entro cinque anni, da per un grande varco deve essere visibile la mole del Pantheon. Voi libererete anche dalle costruzioni parassitarie e profane i templi maestosi della Roma cristiana: i monumenti millenari della nostra storia devono giganteggiare nella necessaria solitudine” e ancora nel 1924: Bisogna liberare dalle deturpazioni mediocri tutta la Roma antica; ma accanto all’antica e alla medioevale bisogna creare la monumentale Roma del XX secolo”.14 Per concretizzare il progetto fu necessario demolire l’intero quartiere Alessandrino: gran parte dei detriti vennero utilizzati per la realizzazione di via del Mare, permettendo di portare a livello il terreno nell’area della via Ostiense. Via dell’Impero venne realizzata in un solo anno per il decennale della “Marcia su Roma”, della rivoluzione fascista, ma i lavori per la sistemazione dei suoi fianchi proseguirono fino agli anni quaranta: in quest’occasione venne distrutta la chiesa di Sant’Adriano e riportata alla luce la Curia Iulia, parte del Foro di Cesare, liberata la colonna traiana e ricostruiti in anastilosi colonne e muri. “Si può senz’altro affermare che senza il sacrificio del quartiere Alessandrino, non sarebbero visibili i Fori Imperiali e senza gli sterri del Lanciani e il relativo sacrificio degli Orti Farnesiani, non sarebbero visibili i Fori Repubblicani e l’impianto neroniano della ”15 Con la fine della Guerra e la caduta del Fascismo, la via venne rinominata Via dei Fori Imperiali e non subì ulteriori

14 Mussolini B., Opera Omnia, Firenze 1956, vol. XX, pp 234-236

15 Basso Peressut, L.; Caliari, P. F., Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive Edizioni, Roma 2014. p.

18 trasformazioni fino alla fine degli anni Novanta del Novecento. Tuttavia in questi anni fu oggetto, insieme a via Alessandrina, di dibattiti e discussioni in merito alla possibilità o meno di eliminarle per riportare alla luce ciò che ancora si nasconde sotto la quota stradale, e in merito all’eventualità di creare un parco archeologico che andasse ad includere per intero l’area compresa tra il Campidoglio e il Colosseo. Nel 1995 iniziarono i primi scavi archeologici nell’area del Foro di Nerva: i sorprendenti risultati della campagna di scavo permisero di stilare un programma ad ampio respiro che prevedeva scavi in tutti i Fori Imperiali. Si tratta di scavi stratigrafici tesi a restituire le testimonianze di tutti i periodi storici. Questo progetto prese l’avvio nel 1998 e fu inserito nel Piano degli Interventi per il Giubileo del 2000. Tra il 2004 e il 2006 lo scavo si ingrandì fino ad includere l’area triangolare compresa tra Via dei Fori Imperiali e Via Alessandrina, quest’ultima assunse così l’attuale aspetto di viadotto. Le campagne di scavo non sono ancora terminate come fa sapere in una nota il Campidoglio il 24 novembre 2016: “Riprenderanno domani gli scavi della Via Alessandrina, dopo una interruzione di alcuni mesi dovuta allo spostamento di un cavo elettrico di media tensione. Lo scopo è unificare i due settori del Foro di Traiano rimasti separati dalla strada dopo gli scavi del 1998-2000. Il progetto, diretto dalla Sovrintendenza Capitolina, entra così nella sua fase esecutiva per ricostituire nella sua interezza una delle più importanti aree archeologiche esistenti a livello mondiale. I cittadini romani e i turisti, grazie agli affacci sull’area di scavo, potranno seguire le diverse fasi dei lavori. Verrà rimosso il tratto iniziale di via Alessandrina per una lunghezza di circa 30 metri. Il nuovo grande scavo urbano, reso possibile grazie a una donazione di un milione di euro da parte del Ministero della Cultura e del Turismo dell’Azerbaijan, consentirà di restituire al suo originario contesto una porzione importante del Foro di Traiano”16 Negli anni più recenti il dibattito più sentito dai cittadini è invece la pedonalizzazione dell’area. La via venne interdetta al traffico dei mezzi privati nella sua totale lunghezza solo nel 2013, dieci anni prima era stata resa pedonale solo la parte che da Largo Corrado Ricci si estende fino al Colosseo.

16 http://www.ansa.it/lazio/notizie/2016/11/24/ripartono-scavi-per-riunire- foro-traiano_71a8a5bc-dd0e-4204-81d3-251da4b27eef.html

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Via dei Fori Imperiali è ancora oggi oggetto di dibattiti in merito alla sua valorizzazione e alla sua sistemazione poiché le campagne di scavo non hanno previsto un progetto urbanistico unitario e complessivo per l’area, determinando la configurazione di un paesaggio che più che altro sembra un enorme cantiere frammentato. Sono stati realizzati alcuni progetti circoscritti ad aree limitate dei Fori, come ad esempio il sopra-citato intervento sulla via Alessandrina, ma non progetti ad ampio respiro. Il 10 marzo 2016 è stata bandita la Call For Project internazionale per Via dei Fori Imperiali sul tema della riqualificazione e risignificazione dell’asse urbano, della comprensione e fruibilità del patrimonio archeologico, architettonico e urbanistico in generale, connesso al tracciato monumentale che collega Piazza Venezia (Auditorium di Adriano) con il Colosseo e il .17 La consultazione, promossa dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia di Roma, è di fatto il primo concorso incentrato sull’Area Archeologica Centrale dopo quello del Palazzo del Littorio nel 1934, in cui confluì l’intera cultura architettonica italiana del tempo.

17 http://lnx.accademiaadrianea.net/piranesiprixderome/call/bando-call- internazionale/

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2. IL FORO DI CESARE

Il Foro di Cesare, all’interno di questo sistema, assume quindi un ruolo determinante nella configurazione di tutto l’assetto urbano dei Fori: fu, di fatto, il simbolo della fine di un’epoca e contemporaneamente il modello per le nuove architetture imperiali. Per capire tutto il palinsesto forense è quindi necessario comprendere bene il progetto del primo complesso imperiale. Partendo dal presupposto che la progettazione antica tradizionalmente era legata ad una pianificazione su base ortogonale18, ci si è interrogati sull’esistenza o meno di un principio compositivo che possa stare alla base del progetto di Cesare, indagando la natura della sua posizione, del suo orientamento e delle sue dimensioni. Al fine di procedere nell’analisi, è stato ritenuto necessario dare una preliminare descrizione (più approfondita di quella data fino adesso) degli spazi di cui è composto, per poi procedere con lo studio dell’area in cui si decise di realizzarlo, delle preesistenze in loco e nel contesto che ne determinarono la conformazione.

2.1. Presupposto

Il Foro di Cesare, come abbiamo visto, ha subito nel corso dei secoli diverse trasformazioni. In questo paragrafo si è deciso di dare una descrizione sintetica ma più approfondita dei suoi spazi prestando particolare attenzione alle principali trasformazioni subite nell’età imperiale e allo stato di conservazione attuale.19

Tempio: Il Tempio, costruito su un basamento di 5 metri, era dedicato a Venere Genitrice e accoglieva al suo interno la maestosa statua della dea. Era ottastilo, picnostilo e sine postico. Subì due fondamentali cambiamenti: il primo avvenuto in epoca traianea a seguito degli interventi sulla sella montuosa a cui il

18 Caliari P. F., Torricelli A., Basso Peressut L., La Forma trasparente di Villa Adriana. Quasar, 2012 Roma.

19 per farlo si è fatto riferimento soprattutto ai testi, riportati in bibliografia, di Carla Maria Amici, di Andrea Carandini, di Elisabetta Bianchi e di Roberto Meneghini.

21 tempio si appoggiava, il secondo sotto l’Imperatore Domiziano che ne fece eseguire un restauro. Dell’edificio rimangono essenzialmente il nucleo cementizio del podio, una scala sul lato occidentale e scarsi resti della cella. Gli scavi effettuati si attestano esattamente sul lato orientale del tempio liberandolo completamente. È inoltre possibile farsi un’idea dell’altezza dell’edificio grazie all’anastilosi di tre colonne del peribolo del lato occidentale.

Piazza: La piazza rettangolare, sviluppata in senso longitudinale, era lastricata in blocchi di travertino molto regolari. Il piano di calpestio aveva un andamento leggermente inclinato vero i lati lunghi per far defluire l’acqua piovana in due canali di scolo direttamente collegati alla Cloaca Massima che si trovava esattamente sotto la via dell’Argiletum. Lungo tutto il perimetro fu realizzata una scalinata continua di tre gradini che rialzava il piano del portico rispetto alla quota della piazza. Lo spazio fu allungato di venti metri verso l’Argiletum in un secondo momento in età augustea. La piazza accolse al suo interno la statua equestre di Giulio Cesare20 e probabilmente le statue delle Appiadi che vennero poi trasferite nell’Atrium Libertatis. Oggi è possibile apprezzare alcuni resti della pavimentazione, parte della scalinata occidentale e alcuni frammenti del basamento della statua equestre.

Portico: Il Portico, rialzato rispetto alla piazza, si sviluppava lungo tutto il perimetro del Foro, ad esclusione del lato corto occupato dal Tempio. Una doppia fila di colonne in blocchi di marmo bianco definiva due navate ad andamento regolare. Ogni lato però si rapportava in maniera differente rispetto al contesto: il lato occidentale presentava un alto muro di fondo chiuso, il lato occidentale si affacciava sulle tabernae e il lato d’ingresso, attraverso una terza fila di colonne si apriva sull’Argiletum. Successivamente anche il portico d’ingresso venne chiuso da un alto muro in laterizio, in occasione della realizzazione del Foro Transitorio: è possibile ancora oggi vedere gli stilobati di marmo bianco incastonati nel muro perimetrale. Tutto il porticato si

20 Per una descrizione più approfondita si veda Delfino A., Di Cola V., Rosati F., Rossi M., La statua equestre di Giulio Cesare: un’ipotesi ricostruttiva, in «ScAnt», 16, 2010, pp. 349-361

22 sviluppava su due piani coperti da una copertura a spiovente unico verso la piazza probabilmente rivestito di coppi in laterizio. Del portico rimangono alcuni resti della pavimentazione in blocchi di travertino del lato occidentale e del lato d’ingresso - il lato orientale infatti ancora oggi non è stato scavato - e numerosi frammenti delle colonne. Anche in questo caso è possibile farsi un’idea dell’altezza del primo ordine di colonne grazie all’anastilosi, di dodici colonne del portico occidentale. è importante tuttavia sottolineare che la fila di colonne più esterne doveva avere un passo dimezzato rispetto alla seconda fila, perciò l’anastilosi realizzata potrebbe risultare fuorviante.

Tabernae: Le tabernae erano dieci spazi lunghi e stretti, affiancati gli uni agli altri e sviluppati ortogonalmente rispetto al Foro. Sebbene avessero tutti la stessa larghezza, l’estensione longitudinale era molto irregolare. Si affacciavano direttamente al piano terra del portico attraverso un muro in blocchi di peperino rivestito con lastre di marmo. In corrispondenza di ogni taberna il muro presentava una grande porta rettangolare, probabilmente chiusa con un portone in legno e un’ampia finestra appena sopra. Quattro tabernae, dalla quarta all’ottava, presentavano una copertura interna voltata, realizzata in cemento alleggerito e un sistema di soppalcatura lignea. Al secondo piano si sviluppavano altri ambienti, in opera laterizia, che probabilmente in una prima fase ricalcavano l’articolazione degli spazi sottostanti. I piani di calpestio di questi spazi si impostavano su quote diverse, seguendo l’andamento del Clivo Argentario da cui era possibile accedere direttamente, inoltre furono collegati alle tabernae del piano inferiore tramite una scala a tornante, trasformata in epoca augustea in una ripida scala lineare, realizzata al posto della terza taberna. In epoca traianea questi spazi vennero adattati per far spazio a una latrina semicircolare rivestita in marmo. In quest’occasione la nona taberna fu sacrificata per introdurre un’ulteriore scala, meno ripida della precedente, che collegasse direttamente il Foro a una quota più bassa del Clivo Argentario. Questo nuovo e articolato sistema si affacciava su strada su due piani e probabilmente doveva avere un aspetto molto simile alla via Biberatica. Le tabernae sono, ad oggi, gli spazi meglio conservati del Foro di Cesare e rivelano il segno del tempo e delle trasformazioni secolari. La facciata, che mostra chiaramente le due piattabande delle porte e delle finestre, l’arco di scarico e i piedritti, è una ricostruzione realizzata nel 1933 con i frammenti ritrovati durante gli scavi.

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Basilica Argentaria: La Basilica Argentaria è uno spazio autonomo rispetto al Foro ma intimamente connesso ad esso. Venne realizzata in epoca Traianea come edificio di collegamento tra il Foro di Traiano e il Foro di Cesare, a seguito dello sbancamento dell’istmo tra Campidoglio e Quirinale voluto da Domiziano. Venne realizzata alle spalle del Tempio in continuità con il sistema delle tabernae: il muro di fondo è chiaramente il proseguimento del muro delle Tabernae. Si trovava una quota di due metri più alta rispetto al Foro e per questo motivo vennero realizzate due scale in travertino di raccordo in fondo ai due portici ai lati del tempio, andando a sacrificare l’abside di fondo e connettendo il lato settentrionale del Foro al nuovo spazio. L’edificio al piano terra era di fatto un portico monumentale, pensato come prolungamento del portico occidentale. Ancora oggi sono visibili le volte a crociera delle prime quattro campate di una delle due navate, parte dei pilastri in laterizio e peperino e frammenti del pavimento in opus spicatum. Al primo piano invece era costituito da spazi in affaccio diretto sul clivo Argentario, in continuità con gli spazi esistenti delle Tabernae. Vennero inoltre realizzati ambienti anche sull’altro lato del Clivo di cui ancora oggi sono visibili dei resti. La maggior parte della Basilica Argentaria si trova attualmente sotto il livello stradale, ma, in seguito a degli scavi effettuati per opere fognarie, grazie al ritrovamento di alcune strutture murarie, sono state confermate le ricostruzioni ipotizzate. Come accento è comunque possibile vedere in alzato tutta la prima parte della navata occidentale e numerosi resti della parte in affaccio sul Foro.

Curia: La Curia, già prevista nel progetto iniziale di Cesare, ma realizzata solo in un secondo momento da Augusto, era una sorta di spazio filtro tra la Roma repubblicana e la Roma imperiale. Essa era in realtà un edificio autonomo rispetto al Foro su cui si affacciava, ma strettamente connessa ad esso. Venne realizzata in opera laterizia in asse con il portico d’ingresso, tra l’Argiletum e il Comizio, a sostituzione della Curia Hostilia, bruciata poco tempo prima. Lo spazio a pianta rettangolare aveva una struttura lineare, rafforzata in un secondo momento da Diocleziano con quattro speroni negli angoli. La copertura a capriate era probabilmente nascosta all’interno da una volta a botte. Questo edificio si è conservato in modo sorprendente fino a noi.

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2.3 Un progetto interrotto Per portare avanti questa ricerca è necessario tenere in considerazione che il Foro di Cesare, sebbene costruito in due fasi, potrebbe essere nato da un unico progetto che prevedeva già l’edificazione della Curia. Se ciò fosse vero, come sostiene Andrea Carandini nell’Atlante di Roma Antica21, la posizione e in particolar modo l’orientamento troverebbero nuove giustificazioni. Tenendo conto della finalità propagandistica dei progetti architettonici e urbanistici dell’epoca, non deve stupire la scelta di Cesare di realizzare, accanto al Foro, la nuova Curia, sebbene essa fosse la sede delle riunioni del Senato e quindi il luogo simbolico della libertà di Roma e della Repubblica. Nonostante quindi un’azione politica che di fatto puntava all’annullamento del potere politico del Senato e degli organi repubblicani in generale22, appare evidente che la politica di Cesare aveva uno scopo preciso e aveva chiaro il ruolo decisivo del Senato nella politica di Roma.

2.2. Posizione

Il Foro Romano, centro delle attività politiche e commerciali, era affiancato dalla Basilica Aemilia, dalla Basilica Iulia, dall’Ades Castoris, dal Tribunal e dai Rostra, e non era quindi possibile posizionare il nuovo Foro adiacente al precedente. Tuttavia, dal momento che esso fu pensato, o se non altro giustificato, come ampliamento del precedente, era necessario che il nuovo Foro fosse strettamente collegato all’originale. Risulta così necessario cercare uno spazio nelle immediate vicinanze, adatto ad accogliere il nuovo monumento.23

21 “Il Lapis venne ricostruito nella stessa posizione del precedente, ma con l’orientamento del nuovo Foro, quindi della nuova Curia, segno che Cesare ne aveva già scelto il sito, anche se la sua costruzione fu decretata solo nel 44 a.C.” in Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol.1 p.167

22 Canfora, L., Giulio Cesare: Il dittatore democratico, Economica Laterza, Bari 2006. p.166

23 Il vecchio Foro Romano era stato quasi completamente occupato da fabbriche nel corso dei cinque secoli, cioè dalla sua fondazione fino all’Età di Cesare, e gli edifici sorti sui margini, cioè la Basilica Giulia, la Basilica Emilia, la Regia e i templi di Vesta e dei Dioscuri rendevano impossibile un ulteriore ampliamento dell’area sacra per tre lati, mentre a nord la rocca Capitolina sbarrava interamente il passo. Occorreva andare altrove a cercare un’area disponibile, ma che fosse nelle immediate vicinanze e di facile accesso. in Lugli, G., Roma Antica. Il centro monumentale, Bardi, Roma 1992. p.245

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Il luogo che più si adattava a queste esigenze era l’area a Nord dei Rostra, dove si erano stabiliti bottegai e artigiani. La zona fu occupata fin dal X secolo a.C., come dimostra il rinvenimento di un sepolcreto protostorico costituito da sei tombe ad incinerazione e da tre a inumazione, rinvenuto nella parte meridionale del foro di Cesare. La necropoli era composta da pozzi, scavati nel terreno naturale e rivestiti da pietre di tufo. A pochi metri dalla necropoli, sono stati ritrovati inoltre resti di un insediamento, che tra il VIII e il VII secolo a.C. si era stabilito sull’area: si tratta di fosse, buche di palo, e un pozzo24. Quando Cesare decise di realizzare il Foro la zona era abitata25 e ciò è confermato dalla presenza di altri tre pozzi rinvenuti sotto la cella del tempio, messi fuori uso in seguito alla sua costruzione, e dalla scoperta dei resti delle fondazioni di due domus, probabilmente aristocratiche, vista la posizione centrale rispetto al Foro Repubblicano e al costo esorbitante dell’esproprio dei terreni26. Prima delle costruzioni cesariane l’area era in pendenza sia in senso nord-sud (dall’istmo tra Campidoglio e Quirinale all’Argiletum), sia in senso est-ovest (dalle pendici del Campidoglio alla Suburra). Per la costruzione del Foro, fu quindi necessaria un’opera di sbancamento e sostruzione, al fine di rendere pianeggiante lo spazio che sarebbe andato ad ospitare la piazza. Il retro del Tempio di Venere Genitrice infatti fu costruito contro terra, appoggiato alla sella montuosa. La zona occidentale, occupata dalle Tabernae, era con ogni probabilità già scavata. Quest’ipotesi, suggerita dall’andamento irregolare del muro di fondo è sostenuta da Carla Maria Amici27 e Alessandro Viscogliosi28, che la attribuiscono alla presenza di una cava di materiale impermeabilizzante. Confrontando i disegni

24 http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_antica/aree_archeolo giche/fori_imperiali/l_area_prima_dei_fori

25 Cicerone, Ad Att. XVII, 7

26 Svetonio, Caes. 26,2

27 Amici, C. M., Il Foro di Cesare, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, pag. 22.

28 Viscogliosi, A., I Fori Imperiali nei disegni d’architettura del primo Cinquecento: ricerche sull’architettura e l’urbanistica di Roma, Gangemi, Roma 2000. p.

26 ricostruttivi dell’Atlante di Roma Antica29 si è sviluppata l’ipotesi che le tabernae si addossassero, o addirittura sfruttassero, le strutture delle mura serviane. Le operazioni di livellamento e di uniformità dei piani per la realizzazione del Foro furono quindi eseguite con sbancamenti circoscritti e limitati. Altre preesistenze che hanno sicuramente condizionato il progetto del Foro si trovano nell’area a nord-ovest della chiesa dei SS. Luca e Martina, in una zona che, per le alte quote del terreno vergine, sembra risparmiata dalle realizzazioni cesariane. Si hanno pochissime conoscenze sull’area compresa tra il Foro romano e il Foro di Cesare: la scarsità della documentazione rimasta e l’impossibilità di integrarla con l’analisi diretta non permettono di precisare quali edifici ci fossero. Tuttavia sono state fatte delle ipotesi a partire dai pochi resti rinvenuti e dai documenti ad essa riferiti che spiegherebbero il limite sud-occidentale del Foro. Recentemente infatti alcuni studiosi propongono di riconoscervi la Curia Hostilia 30, che, in quanto templum, era orientata secondo i punti cardinali, e quindi a quaranta gradi rispetto alla Curia Iulia31. Nell’area immediatamente ad ovest della Curia Hostilia è stato rinvenuto un capitello ionico di quella che era la Basilica Porcia, la cui disposizione non è ancora ben definita. Nell’area si trovavano anche il Carcer o Tullianum, dove venivano tenuti i detenuti politici in attesa di giudizio, il Saxum Tarpeium, dal quale venivano gettati i traditori condannati a morte e le Scale Gemonie, sulle quali venivano abbandonati i cadaveri. L’area a nord è stata comunque volutamente rispettata dalle trasformazioni e sventramenti cesariani e domizianei, pertanto si ritiene che sia stata una zona di una certa importanza. Alcuni studiosi ritengono che l’estensione del Foro verso Nord sia stata arrestata anche dalla presenza dell’Atrium Libertatis, l’antica sede dei censori, usata fino alla tarda età imperiale32.

29 confrontando la tavola 14 con la tavola 30 in Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol.2

30 Amici, C. M., Il Foro di Cesare, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, pag. 26.

31 L’identificazione è stata accettata per la scoperta di una porzione di pavimentazione in mosaico bianco, datato all’età sillana, sotto l’angolo destro della facciata dei SS. Luca e Martina

32 Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol.1 p.161

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Un altro vincolo importante rispetto alla realizzazione del Foro era rappresentato dal Clivo Argentario. Questa strada collegava in quota l’area del Comitium al Campo Marzio meridionale. Sotto il lato orientale del Clivo scorreva anche un fognone che si dirige verso il Velabro passando sotto l’arco di Settimio Severo e tra la Basilica Giulia e il Tempio di Saturno di incerta datazione: è posteriore agli edifici repubblicani, in quanto li evita, ma è precedente alle costruzioni domiziano-traianee. Infine un’altra possibilità che abbiamo ipotizzato è che il Foro si addossasse, o addirittura sfruttasse, le strutture delle mura serviane e aureliane.

2.3. Orientamento

Chiarita la scelta dell’area, si è cercato di comprendere il perché del suo orientamento. L’architettura classica si fonda su assi e allineamenti, perciò il fatto che il nuovo Foro non sia allineato con il Foro Romano, come invece ci si aspetterebbe, non può essere casuale. La scelta di non avere una relazione geometrica con il vecchio Foro potrebbe essere dovuta alla necessità di distinguersi da esso, senza tuttavia spezzare il forte legame che si vuole costruire con esso, e di porsi come modello nuovo e differente: il primo passo verso una nuova Roma, imperiale. La tesi di Andrea Carandini, secondo cui gli interventi successivi di Augusto sono in realtà la realizzazione di un progetto già previsto da Cesare, suggerisce questa idea. Se infatti si tiene conto che il lato corto del Foro, una volta concluso, si attesta esattamente sull’Argiletum, quest’ultimo potrebbe essere considerato a tutti gli effetti il primo asse orientativo del progetto. L’Argiletum infatti, oltre ad essere una direttrice stradale molto importante, era anche la via che collegava l’ingresso del nuovo Foro direttamente con il Foro romano e con la : sceglierlo come limite avrebbe garantito di mantenere vivo lo stretto legame con il Foro repubblicano, a fronte di un’evidente intenzione di autonomia. La causa dell’interruzione dei lavori e della realizzazione di un Foro più corto rispetto alle dimensioni previste è attribuita, da Andrea Carandini, alla mancanza di denaro dovuta agli espropri e agli sbancamenti necessari: da solo il costo del terreno, secondo Svetonio, superava i cento milioni di sesterzi33. Le abitazioni

33 Con i proventi dei bottini di guerra avviò la costruzione di un Foro, il cui terreno venne a costare più di cento milioni di sesterzi. in Caio Tranquillo Svetonio, Caes. 26, 2., trad. Edoardo Noseda, Vita dei Cesari, Aldo Garzanti, 1977, Milano. p. 15.

28 presenti nell’area, come abitualmente accade nei centri città, appartenevano alle classi più ricche e perciò il costo degli espropri dovette essere effettivamente alto, tuttavia volendo realizzare il nuovo Foro in collegamento con il precedente, non era possibile trovare un’area meno costosa. I costi sarebbero potuti diminuire considerevolmente se il complesso fosse stato realizzato in una posizione che non richiedesse scavi così importanti. Perché allora Cesare ha deciso di costruirlo così a ridosso del Clivo Argentario? Con l’ausilio delle planimetrie ricostruttive realizzate nell’Atlante di Roma Antica34 è stato possibile prolungare verso Sud-Est l’asse di simmetria del Foro, che, passando dal centro dell’abside del tempio di Venere Genitrice e attraversando a metà il lato corto opposto, raggiunge esattamente uno dei quattro cippi del Pomerium35 realizzato da Romolo: il cippo delle Curiae Veteres. Questo cippo prese il nome dal complesso, attribuito dalla tradizione scritta a Romolo, dove si riunivano originariamente gli abitanti dei sette pagi a scopo religioso. Quando divennero insufficienti per accogliere i curiales, furono sostituite, per volontà dello stesso Romolo, dalle Curiae Novae. La scelta di monumentalizzare l’edificio in epoca augustea e giulio claudia36 avvalorerebbe l’ipotesi che Cesare abbia consapevolmente deciso di orientare il Foro allineandosi con questo cippo, riuscendo così in un solo gesto ad esaltare le origini del Senato, ingraziandosi i senatori, e ad onorare il fondatore di Roma, gloriandosi della sua discendenza divina. In quest’ottica va interpretata e compresa la scelta di inserire all’interno del progetto la nuova Curia. Inoltre, come riporta l’Enciclopedia Treccani alla voce Pomerium, “stando ad un passo dell’Historia Augusta (Vita Aur., 21) sembrerebbe che soltanto Silla avesse osato allargare la linea pomeriale in

34 alla tavola 61 è stata sovrapposta la tavola 30, usando come riferimento le tavole fuori testo 19-20 in Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol.2

35 Per uno studio approfondito sul Pomerio si rimanda a: De Sanctis, Gianluca, “Solco, muro, pomerio”, in «Mefra». vol. 119, 2, 2007, pp. 503-526. oppure anche a Simonelli, A., “Considerazioni sull’origine, la natura e l’evoluzione del Pomerium” in «Aevum»: Rassegna di Scienze storiche linguistiche e filologiche. Vol. 75, 1, Gennaio-Aprile 2001, pp. 119-162. Per le modifiche in epoca Sillana si veda: Maccari, Aurora, “Habebat ius proferendi pomerii’ (Gell., Noctes Atticae, XIII, 14). L’evoluzione dello ius prolationis dalle origini a Silla.”, in «Sco» Studi Classici e Orientali. Vol.62 - Anno 2016, pp. 161-184.

36 http://archeopalatino.uniroma1.it/it/content/santuario-delle-curiae- veteres

29 virtù d’una disposizione che dava facoltà di fare questo a coloro che avevano ampliato i confini dello stato”, la scelta di Cesare di allineare il Foro a uno dei cippi del Pomerium originale troverebbe un’ulteriore conferma nella politica di ostentata opposizione portata avanti nei confronti di Silla.

2.4. Dimensioni

Come si è detto i costi dei lavori furono così importanti da impedire allo stesso Cesare di concluderli come preventivato e da obbligarlo a realizzare un Foro più corto di 20 metri privo della Curia. Anche in questo caso sembra evidente la volontà di Cesare di ricercare un allineamento che giustifichi l’estensione del Foro, che a questo punto non si attesta più sull’Argiletum. Questo allineamento è ritrovato nel Miliarium Aureum il punto di inizio di tutte le strade dell’Impero, sottolineato da Augusto nel 20 a.C. con una colonna rivestita in bronzo dorato. Augusto concluderà i lavori ampliando il Foro fino all’Argiletum e realizzando la Curia, il cui asse trasversale è allineato al Lapis Niger. Come spiega chiaramente Carandini, la pavimentazione del Lapis Niger è stata orientata in asse con il nuovo Foro già da Cesare tra il 47 e il 46 a.C.37. Questo fatto, oltre a dimostrare la sua precedente trasformazione, può essere considerato la prova che la pratica di allineare e orientare gli edifici in base al contesto, giustificando così le scelte progettuali anche da un punto di vista politico e religioso, era assai diffusa, tanto da spingere a modificare il contesto stesso, adattandolo al nuovo edificio. Con la costruzione della Curia Iulia non si hanno più notizie sull’area tra il foro di Cesare e quello romano: si ignora tutto il suo assetto imperiale. Nell’età altomedievale probabilmente l’area a sud fu resa paludosa dall’intasamento della Cloca Maxima, nell’età tardomedievale l’area è denominata Pantano di San Babilio e occupata da orti. Si è cercato di ricostruirne la storia attraverso alcuni disegni del Cinquecento, tra cui quello del Sangallo Il Giovane è il più interessante. Il disegno riguarda il complesso delle chiese di S. Adriano (ex-curia cesariana) e di S. Martina (già

37 Nel 47/46 a.C. […] Il Lapis [Niger], venne ricostruito nella stessa posizione del precedente, ma con l’orientamento del nuovo Foro, quindi della nuova Curia, segno che Cesare ne aveva già scelto il sito, anche se la sua costruzione fu decretata solo nel 44 a.C. in Carandini A., a cura di, Atlante di Roma Antica, Electa, Milano 2012. Vol.1. p.167

30 presente nel 700); emerge un perfetto allineamento del muro di fondo delle costruzioni, impostate evidentemente sul muro di facciata delle tabernae del foro. Sulla facciata della chiesa di S. Martina si notano due grandi piloni in travertino che storici ritengono essere un arco tetrapilo (dedicato a Marco Aurelio), ridimensionato in seguito alla costruzione dell’arco di Settimio Severo38. L’arco in asse con il tempio di Marte Ultore, aveva il ruolo di propileo ad un percorso privilegiato attraverso tre fori. Sotto il pontificato di Pio V la zona è bonificata, nel 1580 Sisto V cede la chiesa di S. Adriano ai Mercenari che vi aggiunsero il convento e la chiesa di S. Martina all’Accademia di San Luca.

38 Ricci C., Per l’isolamento degli avanzi dei Fori Imperiali, Calzone, Roma 1913. p.

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PARTE II. PROGETTO

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1. IL CONTESTO

1. Obiettivi e Linee Guida

Come accennato in precedenza, il progetto si pone come obiettivi la musealizzazione e l’allestimento dell’area corrispondente al foro di Cesare. Si tratta di un’opera di musealizzazione in loco, che si esplicita nella valorizzazione dei resti archeologici e nella realizzazione di spazi espositivi, volti alla conservazione di alcuni reperti nel loro contesto di scavo, assicurandone un’adeguata condizione di fruizione da parte della collettività, sotto l’aspetto culturale e formativo. L’architettura del Foro di Cesare è stata particolarmente influente sulla topografia dell’area e sulla tipologia dei fori imperiali, proponendosi come prototipo di un’architettura monumentale, destinata alla celebrazione del princeps. Molti studiosi sostengono, infatti, che sia la piazza con il suo porticato, che il tempio del complesso cesariano sono diventati dei riferimenti necessari, non solo per i successivi complessi forensi, ma anche per alcuni edifici templari. Ciò che colpisce dell’area e la compresenza di tracce storiche appartenenti a culture e popolazioni differenti. Ogni fase storica ha scritto un proprio palinsesto, alcuni dei quali ben riconoscibili altri meno; piccole tracce sul suolo, allineamenti, scavi, ricostruzioni e giustapposizioni recenti ci parlano di un passato e di un luogo in continuo divenire; suggeriscono un incessante processo di trasformazione, nonostante gli innumerevoli vincoli imposti. Il progetto tiene conto di tutto ciò e cerca di cogliere l’essenza del luogo e della sua storia; non intende isolare una particolare fase storica dell’area, ma comprenderne la sua complessità. Lo scopo è quello di conservare e valorizzare le testimonianze fondamentali e storicamente significative delle diverse tappe di questa stratificazione, rendendole leggibili. Si è cercato di conservare tale frammentarietà, garantendo, allo stesso tempo, una certa accessibilità e fruibilità del sito, attorno al quale ruota il maggior flusso di turisti della città. Oggetti di studio imprescindibili sono stati il rapporto tra ciò che è vecchio e ciò che è nuovo e i modi possibili con cui approcciarsi a un’area così ibridata. Prima operazione effettuata per pianificare l’intervento è stata quella di valutare ed analizzare le diverse quote. Il progetto si articola su due livelli principali: quello archeologico e quello

33 urbano. A quota archeologica, a circa 14 m s.l.m., si intende rafforzare caratteri, allineamenti e spazialità, oggi poco leggibili e immediati, principalmente attraverso opere di anastilosi e di ricostruzione. Per la realizzazione di tali opere si è deciso di usare materiali che fossero distinguibili da quelli preesistenti per colore e struttura. Si è scelto, così, il mattone, lavorato e sagomato, per seguire al meglio le linee della composizione delle ricostruzioni di murature e colonne, mentre per la pavimentazione si è optato per il battuto in microcemento grigio, al fine di valorizzare i resti rinvenuti. Il sistema urbano, invece, strettamente vincolato alla vita contemporanea della città e a circa 22 m s.l.m., si è lavorato sulla creazione di viste privilegiate e sull’accessibilità, confrontandosi inevitabilmente con la monumentale via dei Fori Imperiali. In seguito alla ricerca storica effettuata e all’analisi dello stato di fatto dell’area, sono stati tracciati tre assi principali, secondo i quali si sviluppa l’intero progetto. Tali assi fanno riferimento ad allineamenti e configurazioni, più o meno antichi, risalenti alle fasi originarie del foro, ma anche alle sue più recenti trasformazioni. Un ulteriore scopo del progetto è stato quello di garantire una maggiore permeabilità a quota archeologica, che oggi risulta molto disordinata. Si è cercato di garantire degli adeguati collegamenti, tra i vari fori, compreso quello repubblicano, considerando il foro di Cesare come il punto di partenza del percorso archeologico e il fulcro dell’intero palinsesto. Di seguito sono esposti singolarmente i vari interventi, in riferimento ai tre assi e al sistema urbano.

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2. L’ Asse di simmetria Il foro di Cesare, come la maggior parte dell’architettura romana, ha un’impostazione assiale e frontale. L’intero complesso si sviluppa secondo un asse di simmetria, che termina nell’abside del tempio di Venere Genitrice, rappresentante il fulcro di tale ordinamento. I due porticati longitudinali e il tempio risultano disposti così simmetricamente, rispetto all’asse maggiore dello spazio rettangolare costituito dalla piazza scoperta. Inoltre, molti studiosi e storici sostengono che il progetto del foro, nonostante avesse subito diverse e profonde trasformazioni nella fase imperiale, specialmente in quella domizianea e traiana, si basa su una costruzione modulare: Greg Wightman, nell’articolo The of . Some Design Considerations39, riconosce una serie di proporzioni tra le principali dimensioni del foro, come tra la larghezza della piazza e quella del fronte del tempio, che risulta essere la metà della prima. Tale impostazione, basata, quindi, su assialità, frontalità e modularità, è stata riproposta in configurazioni diverse, da Augusto e dai successivi imperatori per i loro monumentali fori. Con il passare del tempo, questi caratteri sono andati perduti, rendendo difficile la lettura e la comprensione dell’intero palinsesto. Pertanto il progetto si pone come obiettivo quello di rendere manifesto e sottolineare tali principi di sviluppo del foro, prevedendo opere di liberazione e ricostruzione sulla piazza, sul porticato e sul tempio.

2.1. La piazza Il progetto vuole riportare la piazza del foro di Cesare alla sua originaria dimensione, liberando così la parte nord-ovest, oggi coperta dal tracciato di Via dei Fori Imperiali. La piazza è stata ripensata come un prato, che accoglierà i resti della millenaria stratificazione. Concentrati prevalentemente sul lato sud-est, sono conservati i resti del lastricato in travertino, che costituiva l’antica pavimentazione della piazza Iulia. Si tratta di blocchi di dimensioni variabili e di spessore compreso tra i 30 ai 45 cm, molto probabilmente risalenti all’epoca cesariana40. La prima fila di blocchi del lastricato, adiacente alla scalinata, è invece opera di un restauro degli anni trenta, realizzato in parte con materiale non originario. Davanti al tempio di Venere Genitrice, agli spigoli del podio si trovano i resti delle due fontane, con basse vasche marmoree, di cui si è deciso di ricostruirne il basamento in mattoni. Nella parte centrale si conservano anche parte del podio, che

39 G. Wightman, “The Imperial Fora of Rome. Some Design Considerations”, in Journal of the Society of Architectural Historians, vol. 56, n. 1, marzo, 1997; pp. 64- 88. 40 C. M. Amici, Il foro di Cesare, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, p.35.

35 all’origine doveva essere il supporto della statua equestre bronzea di Cesare (Equus Caesaris), e due pozzi pre-cesariani. La piazza è delimitata sui tre lati da una scalinata costituita da tre gradini, di cui il progetto prevede la ricostruzione, preservando il restauro degli anni Trenta nella parte settentrionale. Sul lato meridionale, si elevano, nel prato, tre fondazioni rettilinee e parallele tra loro, che documentano la prima configurazione del foro di Cesare, caratterizzata da una lunghezza inferiore rispetto a quella oggi conosciuta. La parte settentrionale della piazza ospita, invece, una terrazza, che accoglie alcuni resti del quartiere Alessandrino, sorto nel Rinascimento. Si tratta di una serie di murature in mattoni, che definiscono piccoli ambienti, i quali molto probabilmente rappresentavano scantinati e cantine di abitazioni popolari. Tali vani sono a circa 1,50 m dalla quota della piazza e sono resi accessibili dal portico nord-est, la cui spazialità viene in parte ricostruita.

2.2. Il portico Il progetto prevede la liberazione, a livello archeologico, della superficie corrispondente al portico nord-est, anch’esso oggi completamente coperto da via dei Fori Imperiali. Si viene a definire un ambiente lungo 11,7 m e largo 12,2 m, che solo in parte ricalca le originarie dimensioni del portico cesariano. È stato pensato come una lunga galleria, destinata ad esposizioni, che prospetta sulla piazza con una muratura in mattoni, scansita da un colonnato, arcato e vetrato in corrispondenza degli ingressi. All’interno è divisa longitudinalmente da una fila di pilastri, che ripropone la posizione delle colonne cesariane. Su questi ultimi e sulle paraste delle murature laterali si impostano le volte a crociera della copertura. La galleria presenta un doppio ingresso: uno adiacente al lato nord del tempio, raggiungibile tramite una rampa, e un altro in corrispondenza del portico di Augusto. Dallo spazio espositivo è possibile accedere alla terrazza, che attraverso delle scalinate, permette di visitare i suddetti resti del quartiere Alessandrino. Per quanto riguarda gli altri due lati del porticato, si è deciso di non ricostruire la copertura; è stata ripristinata in parte la larghezza del portico sud-ovest, liberandolo dal terrapieno della piazza della chiesa dei SS. Luca e Martina, delimitato da una muratura in mattoni, che conserva la doppia sezione della fogna, probabilmente di origine medievale. Per rendere leggibili le due navate, in cui il portico era diviso, è stata progettata una parziale ricostruzione per anastilosi del colonnato originario, in corrispondenza degli angoli e davanti alle Tabernae, preservando il restauro del 1934. Il lato meridionale e quello orientale sono pavimentati in battuto grigio, conservando e inglobando resti della pavimentazione originaria, in marmo bianco, e della pavimentazione tarda

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(probabilmente dioclezianea41) in lastre di granitello, marmo grigio e paonazzetto, con rappezzi di materiali di riutilizzo.

2.3. Il Tempio di Venere Genitrice Come scrive Vitruvio42, il Tempio di Venere Genitrice rappresenta il primo tempio picnostilo, costruito nella Roma antica, che ha introdotto tra l’altro la soluzione di sostituire il lato di fondo con un’abside. Inoltre, Patrizia Maisto e Massimo Vitti, nel Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma del 200943, sostengono che debba essere considerata come una delle tante soluzioni innovative cesariane anche l’articolazione interna in due ordini architettonici aggettanti, che definivano una serie di spazi idonei a ospitare opere d’arte. È chiaro, quindi, che la realizzazione del tempio di Venere Genitrice ha apportato notevoli innovazioni nell’architettura templare, diventando un edificio esemplare. Pertanto, si è ritenuto indispensabile restituire parte della sua eccellenza. In un primo momento, al fine di rimettere in luce il suo originario perimetro, si è pensato all’isolamento del tempio, liberando il lato est, oggi non scavato per lasciare un margine di rispetto a Via dei Fori Imperiali. Si è optato, in seguito, anche alla sua ricostruzione per anastilosi, che risulta limitata a una metà del tempio, con lo scopo di sottolineare la caratteristica conformazione simmetrica del foro. Il tempio, periptero e ottastilo, infatti, chiudeva, sul fondo, la piazza rettangolare, posizionato sull’asse di simmetria dell’intero complesso. La scelta di ricostruire soltanto la porzione nord-ovest del tempio, è stata dettata dalla volontà di permettere la vista della sezione da via dei Fori Imperiali. L’opera di anastilosi ha richiesto necessariamente uno studio e un confronto con le varie fasi costruttive, che hanno interessato il tempio, dal progetto cesariano fino agli ultimi lavori di restauro. Data l’importanza e l’originalità di ogni progetto e ristrutturazione, si è deciso di non indirizzare il lavoro di anastilosi verso una singola fase costruttiva, ma di farne convivere diverse. Della fase cesariana del tempio si conserva l’assetto planimetrico generale, escluso l’abside contro-terra, la maggior parte del podio con la scalinata centrale e la disposizione del colonnato, anche se gli elementi architettonici superstiti appartengono a fasi successive. La peristasi esterna è stata ricostruita solo in parte, ricalcando l’assetto originario e recuperando resti delle basi ioniche, delle colonne

41 Ivi, p. 38. 42 Vitruvio, III, 3, 3. 43 Maisto P., M. Vitti, Tempio di Venere Genitrice: nuovi dati sulle fasi costruttive e decorative, in D. F. Maras I. Corda, a cura di, “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma”, CX, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2009, p.72.

37 scanalate in rocchi di marmo bianco e dei capitelli ionici, la maggior parte dei quali risale all’epoca traianea. Si è deciso, inoltre, di conservare le tre colonne, con la relativa trabeazione, rialzate nel 1933. Nell’angolo ovest del colonnato, si è pensato di innalzare parte della muratura in opera laterizia, che chiudeva il colonnato nell’epoca Domizianea. Nel progetto, il muro di circa 1,50 m di spessore, ingloba le tre colonne angolari e si imposta sul monumentale doppio arco, che faceva da cerniera tra il tempio e la Basilica Argentaria. Risulta ancora conservato in posto il pilone dell’Arcone, con zoccolo di base, rivestimento marmoreo e cornice aggettante. Simmetricamente, è stato ricostruito anche l’arco sul lato orientale del tempio. L’opera di anastilosi di questi si è servita dei numerosi resti delle masse murarie, trovate nel pronao del tempio e spostate, negli anni Trenta, nella piazza. All’epoca traianea appartiene, la scansione con lesene, che si è deciso di riproporre sulle pareti interne ed esterne della cella. Tra le lesene esterne si alternano su due fasce parallele, di altezza 1,20 m, quattro pannelli in marmo lunense, con bassorilievi raffiguranti amorini. Sono giunti sino a noi due pannelli quasi integri: il primo è esposto nel museo Archeologico di Napoli, e raffigura amorini che sacrificano tori, mentre l’altro è conservato nella collezione di Villa Albani a Roma e rappresenta amorini, tra volute di acanto, che collocano offerte in un braciere44. Sono stati ritrovati anche altri frammenti, custoditi nel museo dei fori e nei magazzini, che hanno permesso la ricostruzione grafica dell’intera decorazione. Si è pensato, così, di realizzare delle riproduzioni in marmo da poter esporre sulla parete, come si presentava in origine. L’anastilosi della parete esterna della cella ingloba anche resti della decorazione in finta opera quadrata, in marmo lunense, di epoca traianea, i cui resti si conservano nei depositi del foro. Per quanto riguarda la copertura, si è deciso di non restaurare l’intera struttura, in quanto non risulta indispensabile per la comprensione del monumento. Inoltre l’assenza di resti e di informazioni sulla sua originaria conformazione, non permette una ricostruzione veritiera. Il progetto prevede soltanto la ricostruzione di parte della cupola, dell’abside terminale della cella, che doveva ospitare la statua di Venere, l’architrave e metà del timpano, le cui decorazioni traianee si trovano nel museo dei Fori Imperiali. In merito alla pavimentazione, esistono pochi resti; tale frammentarietà rende il loro restauro particolarmente difficile. Attualmente sono conservati soltanto tre lacerti di pavimentazione; uno nell’ambulacro della peristasi, in corrispondenza delle tre colonne rialzate, uno all’interno della cella, ed uno nel pronao Da questi si nota che il tipo di pavimentazione utilizzata nella cella risulta differente da quello della peristasi e del pronao: tale soluzione era comunque una prassi nell’architettura romana. Si è

44 Ivi, p. 20.

38 deciso di ricostruire il disegno della pavimentazione della cella, con il suo schema reticolare a maglie rettangolari, dedotto dal disegno di A. Bardon45. La pavimentazione, in opus sectile, era costituita da lastre rettangolari in giallo antico (cm 148 × 74), delimitate da fasce di pavonazzetto con una larghezza di 45 cm, con quadrati di risulta ai vertici delle lastre rettangolari. Per gli interventi di anastilosi si è fatto riferimento al lavoro sul Capitulium di Brescia.

45 Ivi, p. 68.

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3. L’asse Repubblica-Impero Come già scritto in precedenza, il foro di Cesare si configurava come un prolungamento e un potenziamento del foro repubblicano, non più sufficiente ad ospitare le funzioni politiche e giudiziarie di una città in continua espansione. Con la realizzazione della Curia Iulia, a sud-est del complesso forense, avutasi soltanto nel 29 a.C., sotto l’impero di Augusto, la connessione tra il Comitium e il foro cesariano è definitivamente concretizzata. Analizzando l’area, è evidente che il posizionamento della nuova curia non sia stato casuale, ma sia stato dettato dalla volontà di rinforzare tale continuità tra Repubblica e Impero e legittimare, per tanto, il potere dell’imperatore. Come già visto, infatti, tracciando l’asse di simmetria della Curia Iulia e estendendolo verso il foro repubblicano, si incontra il simbolo delle origini di Roma, il Lapis Niger, l’altare, che secondo la leggenda corrisponde al luogo di sepoltura di Romolo. Tale asse è prolungato, in seguito, da Augusto con la realizzazione del suo foro, che si addossa, perpendicolarmente, al lato settentrionale del complesso cesariano. Il progetto vuole rievocare questo carattere unitario del complesso del Foro Romano e dei fori imperiali, che originariamente contraddistingueva tutta l’area, andando a lavorare, così, sull’asse trasversale allo sviluppo del foro di Cesare, che passa per il Lapis Niger, la Fons, la Curia Iulia, il portico di Cesare e il portico di Augusto. Si è pensato di collegare, non solo visivamente, il foro di Augusto alla curia, liberando il portico est augusteo dal terrapieno della via dei Fori Imperiali, e di prevedere un collegamento diretto tra il foro di cesare e quello repubblicano attraverso la curia.

3.1. Il Foro Repubblicano Il Comizio repubblicano è stato oggetto di diverse fasi di restauro e di scavi, iniziati tra il 1899 e il 1904 da parte dell’archeologo veneziano, Giacomo Boni, e continuati, poi, nel 1955 con Pietro Romanelli. La lettura dell’area e dei sui monumenti risulta molto complicata, in quanto, negli anni, i vari elementi che compongono il complesso sono stati continuamente aggiornati o ricostruiti, spesso con materiali di scarsa resistenza, come il cappellaccio e il tufo. Ai fini del progetto, è stata presa in considerazione solo la parte prospiciente la curia Iulia. Si è deciso di non intervenire sull’area sacra del Lapis Niger, in quanto su di essa sono ancora attivi lavori archeologici, per approfondire le conoscenze storico- artistiche del luogo, che ospita una delle più antiche iscrizioni in lingua latina, datata al 565 a.C. Si conserva, così, l’attuale sistemazione del monumento, recentemente inaugurata, caratterizzata da una innovativa recinzione multimediale. Il

40 progetto prevede, invece, la ricostruzione della Fons, in asse con la curia. Dell’originaria fontana oggi rimane solo parte del disco marmoreo, posizionato lungo il prospetto meridionale della curia, che sarà quindi inglobato in una struttura in mattoni che riproporrà la struttura originaria, presentata dallo storico Carandini.

3.2. La curia Per quanto riguarda la curia, si è optato per il mantenimento allo stato attuale dell’edificio, che presenta un buon grado di conservazione, per la sua continuità di utilizzo e per il restauro del Novecento. Liberata tra il 1930 e il 1936, dalle costruzioni della chiesa di S. Adriano, è stata soggetta ad un lungo lavoro di restauro, che ha portato alla luce parte della struttura dioclezianea, come la copertura a capriate e parte della pavimentazione marmorea. Il progetto mira a valorizzare la posizione strategica della curia. Situata in prossimità del limite nord-occidentale del foro, tra l’arco di Settimio Severo e l’Argiletum, essa fa da cerniera tra il foro cesariano e quello repubblicano, proponendosi come uno spazio espositivo di passaggio ai monumenti repubblicani. Non sono stati pensati particolari interventi di allestimento, in quanto lo spazio risulta già abbastanza caratterizzato: si articola in un settore centrale, con una pavimentazione, in opus sectile, colorato, ai lati del quale si trovano tre gradinate in marmo, all’epoca destinate ad accogliere i seggi dei senatori. Sulle pareti longitudinali si aprono tre edicole, che ospitavano statue, inquadrate da piccole colonne su mensole. Sono presenti anche resti delle pitture bizantine risalenti alla trasformazione in chiesa del VII secolo. Sul lato corto verso il foro di Cesare, si eleva un podio, che era usato per la presidenza e qui si trovava anche la statua della Vittoria voluta da Augusto. In merito all’allestimento si è deciso di lasciare esposti i due rilievi di epoca traianea, ritrovati nel foro repubblicano, tra il Comitium e la colonna di Foca46. Le due grandi lastre marmoree, lavorate su entrambi i lati, sono dette plutei istoriati o anaglifi di Traiano e probabilmente erano utilizzate come balaustre dei Rostri del foro romano. Esse rappresentano un’importante documentazione della vita quotidiana nell’antica Roma e della struttura del foro repubblicano. Sui lati interni dei pannelli sono scolpiti riti sacrificali con animali (un toro, una pecora e un maiale), mentre sui lati esterni, sono rappresentati due importanti avvenimenti della vita forense: il condono dei debiti ai cittadini e l’istituzione degli alimenta, ossia dei prestiti a favore di giovani italici. Entrambi i rilievi sono un elogio alla figura dell’imperatore, come benefattore sia della città che delle province. Molto evocativi sono anche gli sfondi architettonici delle scene, che offrono una ricostruzione del

46 http://www.romanoimpero.com/2010/02/curia-iulia.html.

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Foro, come si presentava nel II sec. d.C. Sono rappresentati il tempio di Vespasiano, la basilica Giulia, la statua di Marsia, posta sul lato inferiore del foro, accanto ad un fico sacro, e l'Argiletum che costeggia la Curia, prima del restauro di Diocleziano.

3.3. Il portico di Augusto In continuità con la curia e il lato corto del porticato del foro di Cesare, si apre il portico orientale del complesso di Augusto. Si è deciso di liberare la parte meridionale del porticato, oggi nascosto sotto via dei Fori Imperiali e via Alessandrina, prevedendo così un accesso diretto dal foro di Cesare, come nella configurazione originaria. Lo spazio è riproposto nelle sue originarie dimensioni, in planimetria, con una larghezza massima di 16,10 metri, mentre in alzato, la presenza del tracciato stradale, a quota urbana, ha vincolato la sua ricomposizione, definendo così un’altezza massima di 6 metri. Lo spazio si configura come una galleria ipogea, di passaggio dalla piazza del foro di Cesare a quella Augustea, in cui sarà possibile ammirare statue e ulteriori elementi decorativi, ritrovati durante gli scavi sull’area. Lo spazio è scandito da una serie di arcate trasversali, in laterizio, che si susseguono con un interasse doppio rispetto a quello dell’originario colonnato augusteo. Per quanto riguarda la parte occidentale del porticato, già liberata dagli scavi degli anni Trenta, si è ipotizzata la ricostruzione per anastilosi di parte del colonnato corinzio, recuperando i numerosi resti in marmo bianco di capitelli, rocchi e plinti, abbandonati nella piazza e nei depositi sottostanti via Alessandrina. Si è deciso di ricostruire soltanto le colonne alle estremità, per rievocare maggiormente i limiti del porticato e il suo sviluppo longitudinale, bloccato a nord dall’imponente muro di blocchi bugnati in peperino e pietra di Gabi, disposti tra fasce di travertino. Si prevede, inoltre, la ricostruzione in mattoni, della parte meridionale dell’esedra, definendo una separazione più netta tra il foro di Augusto e quello di Nerva. La parte nuova dell’esedra sarà ben riconoscibile da quella preesistente, non solo per il contrasto materico, ma anche per la sua altezza, che non supererà la quota del tracciato stradale. Il passaggio portico-esedra è segnato sia dal cambiamento della pavimentazione, che dalla presenza di un ordine di undici pilastri, articolati verso il portico in semicolonne di cipollino. Anche in questo caso si è scelto di ricostruire solo i pilastri delle estremità dell’esedra. A differenza del portico di Cesare, quello di Augusto è caratterizzato dalla presenza di numerosi resti dell’originaria pavimentazione, che con l’accostamento di marmi dai colori diversi, testimonia la vivacità di

42 questi ambienti. Lucrezia Ungaro47 sostiene che l’utilizzo del marmo colorato in un luogo pubblico fosse una forma di autorappresentazione del committente e al tempo stesso un modo per definire l’articolazione degli edifici. L’esedra ha una pavimentazione a lastre rettangolari, di marmo giallo antico e africano, usati anche per il pavimento del portico. La pavimentazione ha subito recenti interventi di restauro, tra il 2012 e il 2013, dopo la sistemazione degli anni Trenta, che prevedeva l’allettamento delle lastre superstiti dei portici su uno strato di cemento, per permetterne la conservazione. il progetto mira a evocare la policromia della pavimentazione e la vivacità di questi ambienti, proponendo la ricostruzione della pavimentazione con i disegni e i colori originari.

47 M. Milella, L. Ungaro, M. Vitti, “Il sistema museale dei Fori Imperiali e i Mercati di Traiano”, in J. Ruiz de Arbulo, a cura di, Simulacra Romae, Roma y las capitales provinciales del Occidente Europeo. Estudios Arqueológicos, Reunión Tarragona, 12-14 dicembre 2002, Tarragona 2004, p. 17.

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4. L’asse Impero-Medioevo Il terzo asse preso in considerazione nell’elaborazione del progetto, rispetto agli altri precedentemente esposti, risulta di meno immediata percezione. Si tratta di un asse, trasversale allo sviluppo del foro di Cesare, che ricalca l’originario allineamento tra l’asse di simmetria del tempio di Marte Ultore, nel foro di Augusto, e quello di un arco tetrapilo, oggi andato perduto, che all’epoca rappresentava un ulteriore ingresso monumentale al foro di Cesare. Si hanno poche informazioni sulla natura dell’arco, di cui però, parlano diversi studiosi, tra cui Carandini e Viscogliosi, i quali lo collocano sul lato meridionale del foro di Cesare, considerandolo come un accesso al complesso, non meno importante dei preesistenti. L’arco originariamente era impostato su quattro piloni, ridotti a due con la realizzazione dell’arco di Settimio Severo, che sorgeva nelle immediate vicinanze. Dai disegni cinquecenteschi di Antonio da Sangallo si può notare la presenza dei due piloni, inglobati nella facciata della chiesa di S. Martina, risalente al VI secolo, costruita, probabilmente, sui resti della curia hostilia e delle Tabernae cesariane. Tali piloni sono andati perduti, quando, trasformata nella chiesa dei SS. Luca e Martina, dopo la concessione da parte di papa Sisto V all'Accademia di S. Luca, la chiesa fu completamente ricostruita da Pietro da Cortona nel 1630, in stile barocco. Nonostante ciò, tale allineamento è sopravvissuto e rappresenta, in parte, il collegamento tra il palinsesto imperiale e l’assetto urbano del medioevo e dell’epoca moderna. Per evidenziare tale continuità, si è lavorato sul tempio di Marte Ultore, prevedendo delle opere di ricostruzione in anastilosi, e sulla terrazza della chiesa dei SS. Luca e Martina, che collocata tra il foro romano e quello imperiale, rappresenta un apprezzabile belvedere, in continuità con la quota urbana.

4.1. Il Tempio di Marte Ultore Il foro di Augusto ricalca l’impostazione compositiva del foro del padre adottivo, che vede i portici longitudinali e il tempio disposti simmetricamente rispetto alla piazza centrale. Il tempio di Marte Ultore, collocato su un podio con un’altezza di circa 3,55 metri, si appoggia sull’alto muro di fondo del foro, riproponendo, in scala maggiore, alcuni dei caratteri del tempio di Venere Genitrice. Si tratta, infatti, anche in questo caso di un tempio periptero, sine postico, ottastilo, con colonne di ordine corinzio, in marmo lunense. Il monumento augusteo, come quello cesariano, presenta una cella absidata, raggiungibile tramite un’imponente scalinata centrale, in origine, rivestita di marmo. Tra il IX e il X secolo sul podio del tempio si insediò un nucleo del monastero di San Basilio, passato tra il XII e il XIII secolo ai

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Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Papa Pio V, nel 1566, donò il complesso alle monache domenicane, che costruirono un nuovo monastero e una chiesa, di cui sono ancora visibili le tracce delle strutture sul muro perimetrale del foro. Il monastero venne demolito tra il 1924 e il 1932, liberando i resti dei monumenti imperiale. Oggi, in seguito ai restauri degli anni Trenta, sono rimasti in piedi soltanto tre colonne del lato meridionale del tempio e il pilastro terminale, con una parte del muro della cella. Al fine di rendere leggibile il terzo allineamento, preso in esame precedentemente, il progetto prevede la ricostruzione in anastilosi delle due colonne centrali, del colonnato anteriore del tempio, utilizzando i resti di marmo rinvenuti sull’area. Le due colonne con un’altezza di circa 15 metri, risultano ben visibili dalla quota urbana, e soprattutto dalla terrazza della chiesa dei SS. Luca e Martina, che quasi perfettamente in asse con il tempio, offre una vista privilegiata sull’intervento.

4.2. La piazza della chiesa dei SS. Luca e Martina Collocata ai piedi del Campidoglio e affacciata contemporaneamente sul Foro Romano e sui Fori di Cesare e di Augusto, la piazza della chiesa dei SS. Luca e Martina gode di una posizione strategica, tale da considerarla un elemento focale dell’intero progetto. La chiesa, oggi, rappresenta l'unico superstite degli edifici, che, prima dell’apertura di via dell’Impero, si ergevano sull’area del foro di Cesare. Nel 1932, la chiesa fu isolata dagli edifici adiacenti, inclusa la contigua sede accademica, liberando così l’attuale piazza. L’accesso alla chiesa avviene dal lato meridionale dell’edificio, tramite una monumentale facciata barocca, in marmo, leggermente convessa, realizzata dal Cortona. Il lato settentrionale, che prospetta su via dei Fori Imperiali presenta, invece, un carattere più modesto, con una semplice muratura in mattoni, costituendo il retro dell’edificio. Obiettivo del progetto è la valorizzazione dell’intera piazza, che oltre a conservare la sua funzione urbana di luogo di aggregazione dei cittadini, diventerà un’importante meta del percorso esperienziale e conoscitivo del sito archeologico. Come sarà approfondito nei capitoli successivi, la terrazza rappresenterà il punto di partenza della visita al foro di Cesare e agli spazi espositivi progettati, che saranno accessibili proprio da questo punto. Considerata come una sorta di belvedere sull’area archeologica che la circonda, la terrazza sarà ripavimentata, dopo essere stata ridimensionata sul lato settentrionale, come già precedentemente descritto, per liberare, a quota archeologica, il porticato dell’adiacente foro. La piazza, accessibile soltanto dal clivo Argentario e dalla scalinata in direzione del Campidoglio, in seguito agli scavi sul foro di Cesare, risulta, in parte, isolata dal

45 sistema viario urbano principale. Per questo motivo, si è deciso di riconnetterla a via dei Fori Imperiali, ritracciando l’antico tracciato di via Bonella, che sarà descritto nei capitoli successivi. A quota archeologica, in corrispondenza dell’affaccio settentrionale della terrazza, si è ipotizzata la ricostruzione in anastilosi del doppio ordine del portico del foro di Cesare, oggi completamente andato perduto. Le informazioni sulle originarie dimensioni sono state tratte dai documenti del Carandini e di Amici48. Il primo ordine ha un’altezza di circa 8 m, con colonne di 0,90 m di diametro, mentre il secondo ordine è caratterizzato da colonne di altezza di m. 4,50.

48 C. M. Amici, Il foro di Cesare, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, pp. 37- 39.

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5. Il Collegamento con gli altri Fori Come già chiarito precedentemente, uno degli obiettivi principali del progetto è quello di garantire una maggiore permeabilità a quota archeologica e di garantire degli adeguati collegamenti tra i vari fori, compreso quello repubblicano, oggi poco definiti e immediati. Considerando il foro di Cesare come il punto di partenza del percorso archeologico, attraverso le piazze forensi, si è pensato di prevedere i collegamenti in corrispondenza dei passaggi originari. Per quanto riguarda il foro repubblicano, si è pensato di riproporre la parte meridionale del tracciato dell’Argiletum. La via, unendo il Foro Romano con la Suburra, in età repubblicana, rappresentava un importante asse, tanto da definire l’orientamento e la posizione del foro di Cesare, che aveva degli ingressi porticati proprio lungo la strada. Con la realizzazione del foro di Nerva, nel 97 d.C., il primo tratto dell'Argiletum è stato distrutto. Oggi, invece, la parte settentrionale corrisponde alle attuali via Leonina e via della Madonna dei . L’intervento prevede la ripavimentazione, in battuto, del primo tratto della via e la sistemazione dei resti dell’antico basolato, in continuità con la via Sacra. La via si presenterà in pendenza, per permettere l’accesso al foro repubblicano, che si trova ad una quota inferiore rispetto a quella del porticato Cesariano. Il collegamento con il foro di Augusto è garantito dalla liberazione del porticato augusteo, a quota archeologica, di cui già si è scritto nei capitoli precedenti. Sul lato nord del portico di Cesare, si apre il passaggio arcato in mattoni, proprio in corrispondenza dei due originari passaggi. Nella galleria espositiva del portico di Augusto, è stato pensato, inoltre, un passaggio, che permette l’accesso al foro di Traiano, attraversando i resti del quartiere alessandrino. Dal foro di Cesare sarà possibile, inoltre, accedere al foro Transitorio dal lato sud-est, dove è stato ricostruito parte del muro perimetrale del foro, compreso l’antico collegamento. La piazza di Nerva sarà accessibile anche dall’Argiletum. In merito al collegamento con il foro di Traiano, si è pensato di liberare, a quota archeologica, il pian terreno dell’antica Basilica Argentaria.

5.1. La Basilica Argentaria La Basilica Argentaria rappresentava un monumentale portico dal caratteristico andamento spezzato, costruito nell’epoca traianea, in seguito allo sbancamento domizianeo sul retro del tempio di Venere Genitrice. Si sviluppava in asse con il portico di Cesare, costituendone il prolungamento a nord, e rappresentava la connessione tra il primo foro imperiale e il complesso traianeo. La Basilica fu liberata in seguito agli scavi del 1932 e in parte restaurata

47 per il ritrovamento sul campo di numerosi resti. Oggi, per la buona conservazione dei resti, è facilmente ricostruibile la sua conformazione. Sono visibili le due navate, in cui era diviso il porticato, delimitate da pilastri in laterizio e peperino e coperte da volte a crociera. Il progetto prevede la sistemazione della parte già scavata della Basilica e l’apertura del tratto settentrionale, ancora coperto dal tracciato di via dei Fori Imperiali. Gli spazi sono resi accessibili dal porticato di Cesare, attraverso una scalinata, che, adiacente all’arco ricostruito, copre tutta la larghezza del portico sud. Questa permette di superare la differenza di quote tra il piano di calpestio dell’area della Basilica e quella del foro di cesariano (+1,50 m dal portico e 2 m dalla piazza forense). Sul lato nord del tempio si prevede anche la realizzazione di una rampa, per permettere l’accesso anche ai diversamente abili e a chi non può usufruire delle scale. La rampa è accessibile dallo spazio espositivo del portico di Cesare, passando sotto l’arco, adiacente al tempio. Per quanto riguarda l’area settentrionali della Basilica, si è deciso di scavare e portare alla luce i resti, che giacciono sotto via dei Fori Imperiali e che nel maggio del 1986 furono identificati, rilevati e poi ricoperti, durante gli scavi effettuati con mezzi meccanici dall’Italgas49. Tale scelta è stata dettata dalla volontà di permettere una maggiore leggibilità e comprensione della Basilica, attribuendole di nuovo una delle sue funzioni originarie, ossia quella di collegare i due fori. Si definisce uno spazio, in parte ipogeo, senza compromettere la linearità di via dei Fori Imperiali a quota urbana, la cui struttura portante si imposterà sui pilastri in muratura, che insisteranno sui resti rinvenuti. Anche nell’area della Basilica si prevede la conservazione dei resti della pavimentazione in opus sectile (conservato tra i primi due pilatri della navata esterna) e la pavimentazione in battuto, delle aree sconnesse, per facilitarne la percorribilità, mentre le murature contro terra saranno rivestite in mattoni. Sarà inoltre reso leggibile il clivo che costeggiava l’esedra di traiano, con la sistemazione dei resti del suo basolato. la struttura portante della via soprastante Si configura, così, non solo un passaggio ma anche uno spazio espositivo archeologico, che potrà ospitare mostre in cui i resti romani potranno costituire uno sfondo suggestivo ad opere di arte contemporanea.

49 C. M. Amici, Il foro di Cesare, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, p. 20.

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6. Gli spazi museali sul Clivo Nei capitoli precedenti sono stati descritti interventi che si rapportano in maniera diretta, quasi esclusivamente, con la quota archeologica. Come si è potuto constatare, si tratta di opere di anastilosi, di ricostruzione, in alcuni casi, filologica, e comunque di interventi in continuità materica e figurativa con le preesistenze antiche. L’intervento sul Clivo Argentario si configura, invece, come un’operazione con carattere completamente diverso. Il progetto prevede la realizzazione di un edificio museale, che va a racchiudere e coprire i resti delle tabernae e della latrina semicircolare, che, adiacenti al foro di Cesare, si aprivano sul Clivo. L’idea alla base di tale progetto si fonda sul concetto della sovrapposizione, secondo cui il nuovo nasce sopra al vecchio. L’obiettivo principale di tale intervento è quello di rivalorizzare il Clivo e la piazza della chiesa dei SS. Luca e Martina, che oggi risultano isolati dal resto del sistema urbano di Roma. Si è deciso così di riattribuire al Clivo la sua funzione di accesso al foro Cesariano e quindi ai fori in generale, e di trasformare la piazza, che rappresenta uno spazio nodale per l’affaccio su diversi monumenti, in una sorta di hall all’aperto del nuovo edificio museale e uno spazio di raccolta per i visitatori. Obiettivo secondario dell’intervento è quello di rendere le tabernae, sia a quota archeologica che a quota urbana, visitabili e fruibili come suggestivi spazi espositivi, in quanto oggi versano in condizioni di abbandono e degrado. L’edificio, pensato come punto di partenza per la visita al foro di Cesare, si compone di una serie di volumi, che si articolano seguendo l’asse longitudinale del foro di Cesare. I volumi, che si affacciano sul foro, presentano una forma geometrica regolare e lineare, più pulita, con coperture piane, a diverse altezze. Questi si impostano, con uno strato di compensazione, sulla preesistente facciata delle Tabernae, lasciandone intatta la leggibilità. Sono caratterizzati, inoltre, dalla presenza di soli due superfici finestrate, che si aprono nello spazio semicircolare della latrina, in corrispondenza delle due arcate della facciata preesistente, in blocchi di peperino. I volumi, invece, che prospettano sul Clivo presentano un’articolazione più varia, con copertura a falde, e dei caratteristici tagli verticali vetrati. Si è ricercato, comunque, in tutto l’intervento, un carattere di pulizia e di linearità, in contrapposizione con la varietà e frammentarietà dei resti. L’intero edificio, con struttura in acciaio, si sviluppa in autonomia rispetto ai resti murari archeologici, senza rispondere a criteri di allusione a come potrebbe essere stata in origine l’area. La sua configurazione è comunque segnata da alcune preesistenze, come le scale, in corrispondenza delle quali si hanno dei tagli, e dalle diverse quote in cui si articola l’area. Esternamente è rivestito da pannelli prefabbricati, in laterizio, dallo sviluppo verticale. Si è

49 scelto tale materiale in quanto, sia per la tessitura che per il colore, riesce a confrontarsi in modo adeguato con i materiali preesistenti, ma allo stesso tempo risponde alle richieste tecnologiche contemporanee. L’intero edificio è concepito come prodotto contemporaneo autonomo e ben distinguibile dalla quota archeologica; esso vuole configurarsi come un ulteriore strato in quel processo di stratificazione, che caratterizza l’intera. Tale soluzione è stata dettata dalla peculiarità dell’area del Clivo, che rappresenta un punto di contatto tra quota archeologica e urbana, una cerniera tra i due livelli. Per quanto riguarda gli interni, si è dovuto risolvere il problema delle diverse quote delle Tabernae pensando ad un sistema di rampe, che definiscono un percorso tra gli spazi espositivi. Il rivestimento della pavimentazione e delle pareti è realizzato in microcemento, un rivestimento a base cementizia molto resistente, impermeabile, facile da impiegare e dalla forte aderenza. Usato, nel colore grigio naturale, il microcemento spatolato, permette di creare superfici continue e minimaliste, prive di fughe e di giunti. Dopo aver attraversato la biglietteria, è possibile accedere al foro di Cesare mediante due ascensori e le scale preesistenti, che si pensa di restaurare. Qui, lungo il portico meridionale, si aprono le nove Tabernae, precedentemente usate come cantine per le case di via e poi liberate tra il 1932 e il 1934. La prima e la seconda, a est, che hanno subito notevoli ricostruzioni negli anni Novanta, accolgono spazi di servizio, quali deposito, servizi igienici e vano ascensore. Le restanti, esclusa l’ultima che è stata lasciata libera per le ridotte dimensioni, sono state pensate come degli spazi espositivi. Si configurano come degli spazi stretti e lunghi, dalla copertura a botte, separati dall’esterno attraverso delle grate in metallo. All’interno sono pavimentate in battuto liscio, mentre le pareti sono lasciate allo stato attuale. Sono allestite con basamenti, illuminati nella parte bassa, e supporti reticolari, in metallo scuro, su cui si possono appoggiare delle mensole e dei pannelli per l’esposizione. Nella sesta taberna è possibile ammirare resti della pavimentazione originaria. Dopo aver visitato l’area archeologica, è possibile ritornare al piano superiore per concludere il percorso espositivo, che si articola tra i resti delle tabernae affacciate sul clivo. Qui, dopo aver attraversato la prima taberna, mediante una rampa esterna all’edificio, si accede al caratteristico spazio semicircolare della latrina, dove sono esposte la riproduzione della statua di Venere Genitrice che si trovava nella cella del tempio e le due riproduzioni delle statue, che adornavano il tetto della curia. Il pavimento della forica è in parte vetrato per permettere la vista di parte del sistema fognario e l’intercapedine in cocciopesto, che costituiva l’originaria pavimentazione, sostenuta da suspensurae50. Proseguendo per la rampa, si entra negli ultimi due ambienti in cui

50 Ivi, p. 119.

50 sono esposti resti di oggetti di vita quotidiana dell’antica Roma, ritrovati in seguito agli scavi sull’area. L’uscita è in corrispondenza della grande esedra, che faceva da cerniera tra la Basilica Argentaria e il porticato di Cesare.

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7. Il Bookshop e la Terrazza Il progetto prevede anche la sistemazione dell’area lungo il tratto più occidentale del Clivo Argentario, che oggi versa in condizioni di completo abbandono. Affacciata sul foro di Cesare e in continuità con la terrazza superstite della Basilica Argentaria, l’area offre una vista molto suggestiva sul palinsesto dei fori. Nell’età traianea, qui, alle spalle del primo piano del tratto iniziale della Basilica, si aprivano sul clivo una serie di ambienti, con piani di spiccato e di calpestio a diverse quote, in relazione alla pendenza della strada. Oggi rimangono solo alcuni brandelli dei muri perimetrali e della pavimentazione, in parte nascosti dalla vegetazione. L’attuale terrazza corrispondeva, invece, al solaio del primo piano della Basilica, dove si trovavano spazi con volte a crociera, impostate su muri e pilastri di laterizio, simili a quelli del piano terra. In quest’area è prevista la realizzazione di un ulteriore edificio, che con una superficie di circa 175 mq, accoglie un ampio bookshop, che fa da supporto alle attività museali degli ambienti adiacenti. Esso ingloba la terrazza, che è pensato come un ampio belvedere, di 180 mq, sul foro di Cesare e sul tempio di Venere Genitrice. All’interno del bookshop sono conservati i resti archeologici, che trovandosi a una quota inferiore rispetto al piano di calpestio dell’edificio, sono visibili attraverso la pavimentazione vetrata. Il bookshop, pertanto, assolve sia la funzione commerciale che quella espositiva. Le scelte tecnologiche sono simili all’edificio descritto nel capitolo precedente: presenta una struttura in acciaio, rivestita esternamente da pannelli di laterizio ed internamente da battuto di microcemento. A differenza degli spazi museali, il bookshop è caratterizzato da una maggiore permeabilità e trasparenza, dovuta alla presenza di numerose aperture. I pannelli di laterizio sono alternati da tagli verticali, vetrati, che coprono l’intera altezza del volume e che creano suggestivi giochi di luce. Il bookshop è pensato come spazio ultimo del percorso museale: qui il visitatore può terminare la visita con il piacere di perdersi tra libri, oggetti d'arte e prodotti di design, capaci di ricostruire l'esperienza vissuta. Non sarà destinato soltanto alla vendita, ma sarà anche uno spazio d’incontro, culturale e sociale, pensato per i visitatori del museo e per tutta la città, dove si potranno ospitare eventi e incontri. Si tratta, quindi, di uno spazio che nasce con l'obiettivo di promuovere la conoscenza e l'esperienza museale, considerata estendibile anche al di fuori del contenitore culturale, attraverso libri e oggetti, comunque pertinenti alla collezione esposta.

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8. Il sistema urbano L’area archeologica non può essere trattata come un parco archeologico indipendente, ma è necessario considerarla come parte integrante della città e della vita urbana. Si ritiene, pertanto, che sia impossibile elaborare un progetto sui fori senza coinvolgere, in modo diretto, la quota urbana. L’intervento cerca di offrire una sistemazione urbana idonea all’importanza del luogo, con lo scopo di preservare i segni storicamente fondamentali e significativi delle diverse fasi di stratificazione della città. Per la lettura e la comprensione dell’area, è indispensabile mantenere la distinzione tra la quota urbana e quella archeologica, ma è altrettanto fondamentale prevedere la loro connessione in determinati punti, per evitare l’isolamento dei due settori. Intervenire a quota urbana è altrettanto difficile che operare a livello archeologico; infatti, la prima, anche se ha meno vincoli culturali e storici, deve assolvere alle molteplici funzioni urbane. Il progetto è volto, dunque, principalmente, alla ridefinizione del sistema degli accessi e dei percorsi, in connessione con la quota archeologica. Per quanto riguarda la sistemazione viaria, si prevede il mantenimento e la valorizzazione degli assi esistenti, come tracciati urbani ormai consolidati, per la loro importanza monumentale e storica. Si conserverà il tracciato di via dei Fori Imperiali, di cui si parlerà successivamente, e di via Alessandrina. Quest’ultima, aperta nella seconda metà del Cinquecento e restaurata tra il 2007 e il 2013, rappresenta un’importante testimonianza storica, essendo una delle poche tracce dell’antico quartiere alessandrino. La via rappresentava un importante asse, lungo più di 400 metri, e collegava il quartiere residenziale, basso medievale, costruito sull’area del foro di Traiano, alla Basilica di Massenzio, che all’epoca si credeva costituisse il Foro della Pace51. Sulla strada si affacciavano tipiche case medievali a più piani allineate a schiera. In seguito all’apertura di via dei Fori, si è conservato solo una parte del tracciato. Questo si presenta come un viadotto, che, collegando via dei Fori Imperiali a via Santa Eufemia, attraversa e divide le aree archeologiche dei fori di Traiano, di Augusto e di Nerva. Oggi la via costituisce un punto di vista privilegiato e suggestivo per ammirare i resti dell’area forense e dei resti medievali. Il progetto interviene sulla via soltanto in corrispondenza del foro di Augusto, sia a quota urbana che a quella archeologica. A livello archeologico si è deciso di scavare sotto il sedime della strada, per liberare parte del portico di Augusto, senza interrompere a quota urbana il suo tracciato. Si mantiene, inoltre, il suo caratteristico prospetto settentrionale, in mattoni, con arcate. A quota urbana, invece, si prevede la ripavimentazione della via pedonalizzata, con

51 https://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/via_alessandri na_storia.pdf

53 lastre rettangolari di pietra naturale, grigio chiaro.

8.1. La sistemazione di Via dei Fori Imperiali “Via dei Fori Imperiali è l’esito di un progetto risalente già al Sette-Ottocento e poi realizzata, carica anche di finalità ideologiche e retoriche, in epoca fascista. Si tratta dunque di un asse che oramai è parte integrante del paesaggio urbano, oltre ad aver svolto e a continuare a svolgere, sia pure in maniera ridotta e limitata al trasporto pubblico, una funzione di collegamento essenziale nella Città”52. Via dei Fori Imperiali, come specificato dalla Commissione Paritetica MiBACT per l’elaborazione di un Piano strategico per la sistemazione e lo sviluppo dell’Area Archeologica Centrale di Roma, rappresenta un segno urbano e culturale consolidato, di cui è impensabile pensare la cancellazione. L’asse si estende per circa un chilometro, collegando piazza Venezia all’Anfiteatro Flavio, con una sezione media di 30 metri. Oggi la via presenta un assetto confuso e un’area pedonale poco definita, con un sistema di accessi e uscite dalla quota archeologica molto disordinato. Il progetto intende preservare il suggestivo rapporto visivo tra Piazza Venezia e il Colosseo e valorizzare l’affaccio privilegiato sugli scavi dei Fori Imperiali e sui Mercati di Traiano. L’intervento consiste, pertanto, nel ridisegno sia della sua sezione che nella sua planimetria e prevede la pedonalizzazione dell’asse viario, che va a costituire così una passeggiata significativa per la comprensione della quota archeologica. L’obiettivo è quello di ridurre ogni forma di barriera architettonica, estendendo e specializzando lo spazio destinato ai pedoni. Il ridisegno della strada tiene in considerazione le funzioni urbane assolte dall’asse e dei vari vincoli dimensionali e prevede la compresenza di almeno due settori quello pedonale e quello del verde e dell’alberatura, che corrono in maniera quasi parallela. La piantumazione dell’alberature, ai due lati della via, è pensata in modo tale da non interrompere l’asse visivo tra il Colosseo e Piazza Venezia. La nuova posizione delle aiuole, oltre a sottolineare tale asse visivo, ricalca la scansione delle colonne del porticato di Cesare, riproponendo a quota urbana caratteri dell’area archeologica. Si prevede un ridisegno dei suoi margini meridionali, in corrispondenza del foro di Cesare, per la liberazione a quota archeologica della piazza forense, del portico e di parte dell’esedra del foro di Traiano. Per quanto riguarda la ripavimentazione, si è

52 Commissione paritetica MiBACT-Roma Capitale per l’elaborazione di uno studio per un Piano strategico per la sistemazione e lo sviluppo dell’Area Archeologica Centrale di Roma, Roma, 30 dicembre 2014, p.15.

54 optato per lastre rettangolari, di pietra naturale di colore grigio chiaro, disposte secondo un disegno regolare, che è orientato lungo gli assi di sviluppo del foro di Cesare. Tale disegno ripropone, con delle fasce trasversali, i tre principali allineamenti, in base ai quali si è evoluto l’intero progetto.

8.2. La passerella di via Bonella Nel progetto è previsto il ripristino di parte di via Bonella, che del cinquecentesco quartiere Alessandrino costituì uno degli assi principali. Le origini della strada risalgono al 1570, quando il Cardinale Michele Bonelli, promosse un intervento di riqualificazione del quartiere dei Pantani, che occupava l'area di Via dei Fori Imperiali. La nuova via, oggi distrutta, incrociava ad angolo retto il nuovo asse di via Alessandrina, partendo dall’Arco di Settimio Severo, passando lungo il fianco della chiesa di Sant’Adriano, l’antica Curia del Senato e della chiesa di Santa Martina, fino a giungere all’Arco dei Pantani, presso il foro di Augusto. L’asse collegava via Baccina della suburra al Foro Romano. Sulla via prospettava l’ingresso della sede storica dell’Accademia di San Luca, demolita, e si aprivano botteghe e osterie. La via Bonella fu demolita con il resto del quartiere Alessandrino nel 1932. Oggi resta solo un piccolo tratto sul fianco della Curia, trasversale all’attuale via dei Fori imperiali. Il progetto prevede la realizzazione di una passerella, di circa 56 metri, che ricalca solo la parte meridionale di via Bonella, collegando via dei Fori Imperiali alla piazza della chiesa dei SS. Luca e Martina. L’intervento è stato pensato nel rispetto dei monumenti circostanti, senza intaccare la materia antica e cercando di ridurre al minimo l’impatto sullo skyline dell’area archeologica. Il ponte attraverserà il foro di Cesare con una struttura in metallo, che si appoggerà, nella parte settentrionale, alla muratura in mattoni, elevata in corrispondenza dei resti medievali. Tale muratura riproduce, in alzato, parte degli spazi delle cantine e dei piani interrati degli isolati residenziali del quartiere cinquecentesco. Si è deciso di non prevedere dei pilastri lungo lo sviluppo della passerella, per non ostacolare a quota archeologica la vista verso il foro di Cesare. Per superare il dislivello, che esiste tra la piazza della chiesa e di via dei fori, si è pensato a un sistema di scale e rampe adiacente alla chiesa, che permette di raggiungere la quota del ponte, che corrisponde a quella della via, 2 metri più alta di quella della piazza. La passerella pedonale costituisce una vista privilegiata sul foro di Cesare, immergendo il visitatore nella fruizione del paesaggio archeologico, e permette la valorizzazione della piazza della chiesa dei SS. Martina e Luca, collegandola al sistema viario principale e quindi reinserendola nella vita urbana di Roma. La passerella è pavimentata in pietra naturale ed è dotata di sedute

55 centrali, che dividono la sezione, di circa 4 metri, in due fasce e che permettono ai visitatori di sostare, ammirando il complesso del foro di Cesare e i monumenti circostanti.

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SITOGRAFIA http://www.romanoimpero.com http://www.sovraintendenzaroma.it/

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INDICE TAVOLE

1. Inquadramento: area di progetto 2. Fasi storiche: Roma antica 3. Fasi storiche: dal Medioevo ai giorni nostri 4. Progetto: linee guida e planimetria archeologica 5. Progetto: planivolumetrico 6. Dalla Repubblica all’Impero: sezione a-a’ e planimetria relativa 7. Simmetria: sezione b-b’ e planimetria relativa 8. Dalla classicità alla contemporaneità: sezione c-c’ e planimetria relativa 9. Spazi espositivi: sezione c-c’ e planimetria relativa 10. Trasformazioni: prospetto del portico occidentale del Foro di Cesare 11. Trasformazioni: prospetto occidentale del Tempio di Venere Genitrice

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