Erminio Ferrari Alberto Paleari

Ossola Quota 3000 Tutti i 75 Tremila Indice

Istruzioni per l’uso 4 I 3000 in ordine di altezza 6 1. Pizzo Bianco 8 2. Punta Lagger 12 3. Punta Grober 16 4. Testa Nera 20 5. Corni di Faller - Punta Rizzetti 23 6. Corni di Faller - Punta Calderini 7. Corni di Faller - Corno di Faller 8. Punta Tre Amici 28 9. Jägerhorn 32 10. Piccolo Fillar 36 11. Gran Fillar 42 12. Cima Brioschi 46 13. Torre di Calstelfranco 14. Cima di Jazzi 52 15. Punta del Nuovo Weisstor 56 16. Corno Nero 60 17. Cima occidentale di Roffel 62 18. Cima orientale di Roffel 19. Cresta di Stenigalchi 66 20. Corno Rosso 72 21. Seewjjinenhorn 76 22. Joderhorn 80 23. Pizzo di Antigine 86 Antrona 24. Ofentalhorn 90 25. Pizzo Cingino Sud 94 26. Pizzo Cingino Nord 27. Cresta di Saas: Punta di Saas 98 28. Cresta di Saas: Pizzo di Camposecco 29. Cresta di Saas: Pizzo Loraccio 30. Cresta di Saas: Pizzo Scarone 31. Cresta di Saas: Punta Banella 32. Cresta di Saas: Cima dello Spigolo 33. Cresta di Saas: Cimone di Camposecco 34. Cresta di Saas: Augstkummenhorn 35. Pizzo Bottarello 106 36. Pizzo di Loranco o Mittelrück 110 37. Pizzo d’Andolla 116

2. Sempione 38. Portjenhorn 124 39. Tällihorn 128 40. Tossenhorn 136 41. Sud 138 42. Rothorn 142 43. 146 44. Seggchuppa 150 45. Gamserchopf 46. Boshorn 154 47. Hübschhorn 158 48. Breithorn Sud 162 49. Breithorn 166 50. 170 51. Punta di Terrarossa 174 Veglia 52. Punta del Rebbio 178 53. Punta Mottiscia 182 54. Punta delle Piodelle 55. Helsenhorn 56. Punta di Boccareccio Devero 57. Pizzo di Boccareccio 198 58. Pizzo Cornera 206 59. Punta Devero 210 60. Pizzo Cervandone 214 61. Punta Gerla 220 62. Punta Marani 63. Monte Giove 222 64. Corno di Ban 224 65. Cima Cust 228 66. Arbola 67. Hosandhorn 232 68. Strahlgrat 69. Blinnenhorn 236 70. Rothorn 240 71. Punta dei Camosci 244 72. Kastelhorn 246 73. Pizzo 248 74. Basodino 75. Tamierhorn 252

3. Istruzioni per l’uso

L’ è la valle del fiume Toce che nasce in Formazza e sfocia nel Lago Maggiore. Si trova all’estremità settentrionale del Piemonte, incuneata nella Svizzera tra il Vallese a ovest e il Ticino a est. A dividerla dalla Svizzera sono le Alpi Pennine Orientali e le Lepontine Occidentali. I Tremila dell’Ossola si trovano alla testata della valle principale (Antigorio - Formazza) e a quelle delle valli tributarie di destra, cioè: Devero, Divedro, Antrona, Anzasca (nella Val non ce ne sono). Alcuni sono interamente in territorio italiano (in Ossola o al confine tra Ossola e Valsesia), altri ai confini con la Svizzera o interamente in Svizzera. Abbiamo considerato ossolani tutti i Tremila che si affacciano sul bacino imbrifero del Toce e dei suoi affluenti, quindi anche quelli del Passo del Sempione, dove il confine non passa sullo spartiac- que ma più in basso e a sud e si trovano in Svizzera.

In questo libro i Tremila interamente italiani sono contraddistinti da una bandierina italiana, quelli interamente svizzeri da una bandierina svizzera, quelli sulla linea di confine dalle due bandierine. Nell’ultimo caso, se la località di partenza per salirli è in Italia è stata messa prima la bandierina italiana, se è in Svizzera quella svizzera.

Per ogni montagna abbiamo scritto un racconto, che a volte è storico e a volte descrive la nostra salita. Alla fine di ogni racconto c’è il nome di chi l’ha scritto e la data in cui è stato scritto: anche le montagne cambiano e il racconto generalmente si riferisce al loro stato nel momento in cui sono state descritte. Segue un breve prospetto con il nome della via di salita scelta, il nome della località di partenza, i nomi dei primi salitori, il dislivello, la difficoltà (valutazione d’insieme) espressa nella scala UIAA, e il materiale occorrente. Il dislivello non è mai l’esatta sottrazione della quota di partenza dalla quota d’arrivo perché spesso ci sono dei saliscendi che l’aumentano. Non abbiamo mai usato il GPS per cui a volte non è pre- cisissimo. A dir la verità durante le ascensioni abbiamo usato poco anche le cartine, pur avendole nello zaino succedeva quasi sempre che ce ne ricordassimo soltanto quando ormai ci eravamo persi. Il fatto di perdersi in montagna è la cosa più naturale e bella del mondo, prima di tutto perché si ha l’occasione di tornarvi a trovare la strada migliore, poi perché spesso perdendosi si scoprono luoghi bellissimi che facendo la strada giusta non si sarebbero mai visti. Viene poi il giudizio sulla bellezza dell’ambiente in cui si svolge la via (da una a tre stelle), sulla bellezza della salita (da una a tre stelle), e sulla solitudine, cioè sulla possibilità di trovarvi pochi alpinisti o addirittura nessuno, anch’esso espresso in una scala da una a tre stelle (in questo caso aumentando le stelle aumenta la solitudine). Questi giudizi sono strettamente personali e non c’è alcuna presunzione di imporli a nessuno. Alla fine c’è la relazione della via scelta per la salita e la discesa. Spesso questa via è quella più facile ma a volte è descritta la più classica, quasi mai le vie scelte sono tra le più difficili.

Che bella avventura questi Tremila dell’Ossola: Alberto e Erminio.

Foto pagina a fianco: l’Andolla, simbolo delle montagne ossolane, qui si specchia nelle acque del Lago di Cheggio (Bacino dei Cavalli) in Valle Antrona. Sullo sfondo in alto a destra si affaccia la

4. 5. I Tremila in ordine di altezza Fletschhorn (m 3985) Sempione Ovest Alpi Pennine Lagginhorn Sud (m 3971) Sempione Ovest Alpi Pennine Jägerhorn (m 3970) Monte Rosa Alpi Pennine

Cima di Jazzi (m 3803) Monte Rosa Alpi Pennine Punta Tre Amici (m 3780) Monte Rosa Alpi Pennine Gran Fillar (m 3676) Monte Rosa Alpi Pennine Pizzo d’Andolla o Portjengrat (m 3653) Antrona Alpi Pennine Cima Brioschi (m 3642) Monte Rosa Alpi Pennine Torre di Castelfranco (m 3632) Monte Rosa Alpi Pennine Piccolo Fillar (m 3621) Monte Rosa Alpi Pennine Punta del Nuovo Weisstor (m 3639) Monte Rosa Alpi Pennine Schwarzberghorn o Corno Nero (m 3609) Monte Rosa Alpi Pennine Senggchuppa (m 3607) Sempione Ovest Alpi Pennine

Portjenhorn (m 3565) Sempione Ovest Alpi Pennine Cima occidentale di Roffel (m 3563) Monte Rosa Alpi Pennine Monte Leone (m 3553) Sempione Est Alpi Lepontine Punta Grober (m 3497) Monte Rosa Alpi Pennine Pizzo Bottarello o Sonnighorn (m 3487) Antrona Alpi Pennine Cima orientale di Roffel (m 3478) Monte Rosa Alpi Pennine Tällihorn (m 3448) Sempione Ovest Alpi Pennine Cresta di Stenigalchi (m 3445) Monte Rosa Alpi Pennine Breithorn (m 3438) Sempione Est Alpi Lepontine Augstkummenhorn (m 3419) Antrona Alpi Pennine Gamserchopf (m 3403) Sempione Ovest Alpi Pennine

Cimone di Camposecco (m 3398) Antrona Alpi Pennine Blinnenhorn (m 3373) Formazza Alpi Lepontine Breithorn Sud (m 3366) Sempione Est Alpi Lepontine Pizzo di Loranco o Mittelrück (m 3363) Antrona Alpi Pennine Cima dello Spigolo (m 3361) Antrona Alpi Pennine Pizzo Scarone (m 3342) Antrona Alpi Pennine Punta Banella (m 3330) Antrona Alpi Pennine

Rothorn o Corno Rosso (m 3289) Formazza Alpi Lepontine Basodino (m 3272) Formazza Alpi Lepontine Helsenhorn (m 3272) Veglia Alpi Lepontine Böshorn (m 3267) Sempione Ovest Alpi Pennine Punta di Terrarossa o Wasenhorn (m 3246) Sempione Est Alpi Lepontine Punta Loraccio (m 3238) Antrona Alpi Pennine

6. Ofenhorn o Punta d’Arbola (m 3236) Formazza Alpi Lepontine Corno Rosso di (m 3230) Monte Rosa Alpi Pennine Pizzo Cingino Nord o Jazzihorn (m 3227) Antrona Alpi Pennine Tossenhorn (m 3225) Sempione Ovest Alpi Pennine Pizzo Cavergno (m 3223) Formazza Alpi Lepontine Pizzo Bianco (m 3215) Monte Rosa Alpi Pennine Pizzo Cervandone o Scherbadung (m 3210) Devero Alpi Lepontine Punta di Boccareccio (m 3207) Veglia Alpi Lepontine Seewjinenhorn (m 3204) Monte Rosa Alpi Pennine Punta di Saas o Latelhorn (m 3204) Antrona Alpi Pennine Strahlgrat (m 3204) Formazza Alpi Lepontine

Punta Rizzetti (m 3196) Monte Rosa Alpi Pennine Punta del Rebbio o Bortelhorn (m 3194) Veglia Alpi Lepontine Pizzo di Camposecco o V. Latelhorn (m 3193) Antrona Alpi Lepontine Hübschhorn (m 3192) Sempione Est Alpi Lepontine Pizzo di Antigine o Spechhorn (m 3189) Monte Rosa Alpi Pennine Hosandhorn o Punta del Sabbione (m 3182) Formazza Alpi Lepontine Testa Nera (m 3180 circa) Monte Rosa Alpi Pennine Punta Mottiscia (m 3158) Veglia Alpi Lepontine Punta Calderini (m 3145) Monte Rosa Alpi Pennine Corno di Faller o Monte Turlo (m 3128) Monte Rosa Alpi Pennine Kastelhorn (m 3128) Formazza Alpi Lepontine Punta Marani o Schwarzhorn (m 3108) Devero Alpi Lepontine

Pizzo Cingino Sud (m 3094) Antrona Alpi Pennine Punta Gerla (m 3087) Devero Alpi Lepontine Tamierhorn (m 3087) Formazza Alpi Lepontine Pizzo Cornera o Gischihorn (m 3083) Devero Alpi Lepontine Cima delle Piodelle (m 3081) Veglia Alpi Lepontine Ofentalhorn (m 3059) Antrona Alpi Pennine Punta Lagger (m 3051) Monte Rosa Alpi Pennine Cima Cust (m 3045) Formazza Alpi Lepontine Bättelmatthorn o Punta dei Camosci (m 3044) Formazza Alpi Lepontine Joderhorn (m 3036) Monte Rosa Alpi Pennine Pizzo di Boccareccio (m 3027) Devero Alpi Lepontine Corno di Ban (m 3027) Formazza Alpi Lepontine Rothorn (m 3018) Sempione Ovest Alpi Pennine Punta Devero o Pizzo della Conca (m 3011) Devero Alpi Lepontine Monte Giove (m 3009) Formazza Alpi Lepontine

7. 21 Monte Rosa

Seewjinenhorn (m 3204)

Era l’estate del 1954 e il Tino Micotti e il Piero Amedeo erano ormai quasi in vetta al Nordend. L’avevano salito per la parete est, tracciando, per un errore di percorso, una variante: quella che sulla guida del Monte Rosa di Gino Buscaini figura come itinerario 223aa al Silbersattel, ma attri- buita erroneamente a due salitori che la fecero nel 1962. Che strano, la precisione e l’affidabilità di Buscaini sono sempre state proverbiali. È che il Tino si era dimenticato di dirglielo, quando gli aveva trasmesso le informazioni sulle proprie salite, in fase di redazione della guida. Quella volta, sul Nordend, il Tino aveva diciannove anni, si trovavano nel pieno di una bufera d’in- ferno e lui imprecava dando fondo a tutto il repertorio di cui disponeva: di parolacce e di perizia alpinistica per venirne fuori. “Il Piero no. Lui pregava”. Con il Tino davanti a tirare, ce la fecero a uscire e poi a scendere alla Capanna Bètemps, la Mon- terosahutte di oggi. Ma non avevano un ghello in tasca, e ritornare a casa via era fuori discussione. Risalirono il giorno dopo al Passo Jacchini in una nebbia da perdersi, e all’una della notte successiva bussarono alla porta della guida Vittorio Marone, a Macugnaga. Il Tino aveva un pollice nero e dolente. “Temevo che fosse congelato, e mi stavo chiedendo se con quattro dita sarei riuscito lo stesso ad arrampicare. Poi il Vittorio ha guardato ‘sto dito e mi ha detto: Tino, non è congelato, devi averlo ridotto così a martellate. Il pollice era salvo. Stai a vedere che le preghiere del Piero erano servite più delle mie parolacce”. Ero andato da Tino per farmi dire qualcosa della sua via sulla cresta sud-sud-est del Seewjinen- horn, del 1967, ma poi non ho resistito: e di cima in cima siamo arrivati sul Nordend. Dallo Jo- derhorn, a ritroso verso il Rosa, non c’è montagna dove il Tino non abbia lasciato un segno. Prime salite, prime ripetizioni, prime ripetizioni credute prime salite (il crestone sud-est della Jazzi: “Il Gino Buscaini l’aveva già salito da solo nel 1952, ma non lo sapevamo”). Tra lo scorcio finale degli anni Cinquanta ai Sessanta inoltrati, fu tutto un individuare linee, scoprirne di nuove. Tentativi riusciti, ripiegamenti con le pive nel sacco, bivacchi e altri bivacchi. Al Tino piacevano quelle montagne, piaceva arrivare in cima. Se poi si aggiungeva una bella difficoltà era un piacere in più. Ma non in- dispensabile. Era Maurice Brandt, mi ha ricordato, a sostenere che il vero alpinista arrampica bene anche su rocce marce. Il Gualtiero Rognoni, suo “secondo” storico, gli aveva regalato una Vespa 48, con il cambio a bac- chetta; così Macugnaga era diventata più vicina, anche per un giovane con pochi soldi in tasca. C’era competizione, e con chi? Beh, sì che c’era, quella scritta lungo tutta la storia dell’alpinismo. I locali (“eh, il Luciano Bettineschi…”) avevano soprattutto il Rosa come orizzonte e si interessavano a quei satelliti, ma senza esagerare. E i varesini, sì, loro tecnicamente un gradino più su; e con mag- giore disponibilità di tempo, che vuol dire di soldi. Bisogna sfogliare il Buscaini e si capisce tutto. Quando salì la cresta del Seewjinenhorn (e voglio ricordare che della compagnia faceva parte anche Piero Sartor, appartato e fortissimo alpinista) il Tino aveva ormai esplorato l’intero settore. Quella stessa via gli apparve, e la ricorda, ben più facile di quelle tracciate in precedenza, ma non per que- sto meno interessante. “E pensa – si è ricordato mentre ne parlavano – che l’Enrico Serino è andato a ripeterla, aprendo una variante d’attacco. Gli è piaciuta e ha voluto dirmelo”. Tino, gli ho chiesto allora, ma non ti è mai venuto in mente di scriverle queste cose? Ha sorriso, come per trovare una giustificazione alla risposta che era: no. Anche sua moglie Carla, che ci ascoltava con l’affetto che ha sempre nello sguardo, mi ha detto: “no, non ha annotato niente, ma quando racconta ricorda ogni dettaglio”. Ho pensato a quante Iliadi e quante Odissee sono custodite nella memoria di chi mai si è preso la briga di scriverle. E pazienza se noi ce le perdiamo. Erminio, 28 dicembre 2017

76. Monte Rosa

77. Monte Rosa

Itinerario: Cresta Est Località di partenza: Macugnaga (m 1362), funivia del Monte Moro. Dislivello: dall’arrivo della funivia del Moro m 400. Difficoltà: cresta di roccia facile, neve e misto secondo la stagione, ghiacciaio, PD sup. Materiale: scarponi, piccozza, ramponi, corda, due chiodi da ghiaccio, imbragatura, casco. Giudizio: Ambiente ★★★ salita ★★ solitudine ★★★

Questa salita è più interessante in una bella giornata invernale o primaverile, con ancora molta neve. In piena estate non è consigliabile perché i pendii innevati si trasformano in pietraie. Dall’arrivo della funivia del Monte Moro (m 2810), seguire il primo tratto della Traversata dei Camo- sci fino alla Bocchetta di Galkerne (m 2904). Dal valico alzarsi sulle rocce della cresta, mantenendosi preferibilmente sul filo, con tratti di facile arrampicata alternati a pendii nevosi. Dall’arrivo della funivia h 2.30’. Discesa: continuare in cresta verso ovest per scendere alla Bocchetta di Seewjinen (m 3108), tra il Se- ewjinenhorn e il Corno Rosso (h. 0.30’). Da qui scendere sul ghiacciaio e incrociare la Traversata dei Camosci dalla quale si raggiunge la Bocchetta di Galkerne e il Passo del Moro (dalla cima h. 1.30’).

Itinerario: Cresta sud-sud-est Località di partenza: Macugnaga (m 1362), funivia del Monte Moro. Prima salita: Carlo Carmine, Renzo Diverio, Tino Micotti, Pierino Sartor, 7 luglio 1967. Dislivello: dall’arrivo della funivia del Moro si scende per circa di 200 m fino all’attacco. Dislivello della via 500 m. Difficoltà: AD. passi di III sup. Materiale: scarponi, piccozza, ramponi, corda, qualche friend, cordini, due chiodi da ghiaccio, imbragatura, casco. Giudizio: Ambiente ★★★ salita ★★ solitudine ★★★

Riportiamo la relazione della guida del Buscaini:

Dalla stazione di arrivo della funivia del Moro (m 2810), si segue per pochi minuti il sentiero della Traversata dei Camosci, e, quando è possibile, si scende a sinistra fino a circa 2600 metri. Da qui si scavalca a destra attraverso un marcato colletto lo sperone che scende dalla Bocchetta di Galkerne, per raggiungere a circa 2700 metri il ripido pendio alla base della parete Sud-Est (h. 0.50’). L’attacco avviene per un’evidente finestra nella bastionata inferiore della parete. La cresta si segue poi sul filo, sempre con percorso evidente, fino in cima. Dall’attacco h. 3.

Discesa come per l’itinerario precedente.

Foto pagina precedente: sulla cima del Seewjinenhorn, sullo sfondo Dufour, Nordend, Gran Fillar Foto pagina a fianco: in alto salendo al Seewjinenhorn, e in basso sulla cima

78. Monte Rosa

79. 57 Devero

Pizzo di Boccareccio (m 3027)

La prima volta ci trovammo a Crevola alle cinque, l’ora dei condannati a morte, poi partimmo da Devero nella mattina tenebrosa, di notte era piovuto e sulla sterrata per Piedimonte c’erano ancora le pozzanghere. La mia frontale non funzionava, mi accodai a Erminio sfruttando la luce sfuggente della sua, era ancora nuvolo e la luna, che avrebbe dovuto essere quasi piena, non si vedeva. Schiarì quando giungemmo all’Alpe Buscagna; le cime del Cornera e dell’Helsenhorn erano ancora nelle nuvole, ma dal grande est il sole freddo di ottobre trovò uno spiraglio per illuminarne le pendici spolverate dalla prima leggera nevicata della stagione. Camminavamo adagio per dar tempo al sole di alzarsi e di sciogliere la nuvolaglia e la neve, ma giunti alla conca sotto i due passi dei Fornaletti: il Nord e il Sud, che portano ambedue all’Alpe Ve- glia, si alzò un vento gelido proveniente da nord, e nuvole veloci presero a rincorrersi sulle creste. Per fortuna ero già venuto in inverno con gli sci, e conoscevo bene i canali che portano ai tre colli, i due dei Fornaletti, e alla loro destra, labirintico, quello che sale al Bocchetto del Corno. Sì, proprio un bel canale quello che sale al Bocchetto del Corno, che poi è il Corno del Rinoceronte (ma a me piace chiamarlo “Ago di Cleopatra” come Democrito Prina agli inizi del Novecento), con quelle due dita di neve sui boccioni frananti già lì non si stava in piedi. Azzeccammo un paio di bivi mentre il canale diventava sempre più stretto e ripido, passammo pat- tinando sotto la parete Est del Corno: il terreno indurito dal gelo e nascosto ormai da cinque centi- metri di neve avrebbe richiesto l’uso dei ramponi, che non avevamo, e arrivammo sotto il Bocchetto. “Chissà poi perché al maschile” disse Erminio, “non potevano chiamarlo come al solito bocchetta?” Ma lo disse prima che il bocchetto desse prova della sua virilità. Infatti gli ultimi trenta metri furono proprio ostici: per passare uno strapiombino verglassato dovetti tirar fuori dallo zaino il martello e un chiodo, che piantai più in alto possibile in una provvidenziale fessura. Ci legai uno spezzone di corda e tirandomi su quello riuscii a uscire dal mouvais pas, poi attrezzai una sosta su uno spuntone e gettai la corda di assicurazione a Erminio, che salì svelto. In cresta c’era uno stravento che non si stava in piedi, indossavo tutti vestiti che avevo eppure tremavo dal freddo, il Pizzo di Boccareccio era avvolto nella tormenta. Il tempo di fare due foto e di congelarmi le dita della mano, uno sguardo verso il Veglia che per un attimo apparve tra lo sventagliare delle nubi, e iniziammo la discesa. Lo strapiombino lo scendem- mo con una breve doppia, poi tra uno scivolone e l’altro arrivammo in fondo al canale, dove la neve nel frattempo si era sciolta. Anche il sipario di nebbie si aprì, e sotto di noi apparvero le praterie della Buscagna e i dossi on- dulati e marezzati di neve del Cazzola: un immenso altipiano tibetano senza segni di costruzioni e umanità: all’orizzonte catene di montagne azzurre che sembravano i confini del mondo. Tutto questa bellezza, pensai, rischia di scomparire se verrà realizzato il progetto di ingrandire la stazione sciistica di San Domenico con un impianto sulla cima del Cazzola e nuove seggiovie sul suo ver- sante di Devero. L’eterna lotta dell’uomo contro la natura, come se l’uomo non ne facesse parte, è giunta fin qui, in quello che per una beffa crudele è chiamato Parco Naturale. Sarebbe un oscuro destino, un destino di morte per queste praterie, quello di essere sfregiate dalle piste di sci e dagli impianti, e magari da un ristorante con self service sulla cima. Via via che scendevamo, su quelle praterie, e il sentiero, morbido e ondulato, restituiva al passo la sua elasticità, il tempo migliorava; al Devero ormai c’era un bel sole e faceva caldo. Era stata una bella giornata di alpinismo, senza rimpianti per la cima non raggiunta: al Pizzo di Boccareccio ci saremmo andati un’altra volta, magari dopo le prime grandi nevicate, coi ramponi, salendo veloci nei canali pieni di neve. Alberto, 17ottobre 2017

Foto pagina a fianco in alto: in Val Buscagna, in basso discesa con la prima neve dal Bocchetto del Corno

198. Devero

199. Devero

La seconda volta è stata quella buona. Potevamo essere contenti: non sempre (e non solo in mon- tagna) ci è data una nuova possibilità, e non è neppure detto che poi ne sappiamo fare buon uso. Ma era il principio di giugno, ultimo scorcio di una primavera inzuppata di piogge, e il mondo sembrava lontano. Più lontano di Devero, disertato dalla folla nella stagione che cambia, e di noi che ce ne andavamo per la Val Buscagna con le nostre età che avanzano, lontane anch’esse da ciò che eravamo. Da come eravamo, per meglio dire. E i canaloni delle Caldaie, dei Fornaletti, e quelli di cui non ricordo il nome promettevano bene. Una neve stesa e consolidata a coprire le rovine di massi su cui avevamo arrancato per poi discendere scivolando nella ritirata sconsolata e serena di otto mesi prima. Così l’arrivo al Bocchetto del Corno – che io, passato in testa per mere ragioni anagrafiche, avrei probabilmente mancato seguendo una diramazione ingannevole del Canalone – ci ha messi di umore buono quanto era stato il fiatone che era occorso per raggiungerlo. Si vedevano persino un po’ di Veglia e la salita che ci attendeva. Lontanissimi brontolii di temporali in esaurimento. Tutto lontano. Il mondo, il Devero, i temporali, il 1913 della prima salita alla cima che ci toccava quel giorno. Forse non così lontana, sebbene fosse passato più di un secolo, una incompresa, più che insensata spinta a cercare un appicco su cui faticare e sulla cui cima fermarsi e guardare via e pensare qualcosa di nuovo di sé e di tutte le vite di cui siam fatti. Incompresa anche da chi ne viene mosso, dico. Non ho idea di chi fossero Daniele e Piero Robbiati, i primi salitori, ma è pur di loro che ripeteva- mo la strada. Andrea Bocchiola ha scritto della “selvatica indomabilità dell’alpinismo”. Si riferiva al Mallory dell’Everest, d’accordo, ma mi piace credere che valga anche per noi che andiamo a cercare, con la scusa di farne una guida, montagne sulle quali nessuno pianterà mai una bandiera né sarà mai disposto a pagare o a morire. Alpinista vecchio, più per la capacità di capire e prendere la montagna in un modo ignoto ai gio- vani, piuttosto che per gli acciacchi che da un po’ di tempo va confidando, l’Alberto ha preso il comando della cordata. Una paretina, una deviazione, una cresta, ancora un’altra, e siamo arrivati in cima. Solo che non era quella. Distante, separata da una breccia profondissima, la vetta che probabilmente dal fondo della Busca- gna fa intendere di essere la principale; e poi, lungo una cresta che va verso la Punta di Boccareccio, due torri, la seconda delle quali pareva avere un ometto sulla cima. Abbiamo provato dunque in di- rezione Buscagna, fermandoci però sull’orlo di un dirupo affacciato su un Canalone profondissimo, di quelli che ultimamente fanno la gioia degli sciatori del ripido, e le cui relazioni e i cui commenti alimentano i cosi, i social. E infatti su un pietrone era stato abbandonato un anello di corda, per una presumibile doppia improvvisata. Ancora più distante una vecchia corda penzolante nel vuoto, a testimoniare un altro ritiro. Non è quella, ha decretato l’Alberto. Vedi l’alpinista vecchio: ha puntato alla seconda torre, e con un breve tiro di corda si è trovato in cima ad assicurare la mia più cauta (ma l’aggettivo esatto sarebbe goffa) arrampicata. C’eravamo. Sì, questa volta c’eravamo. Madonna che posto, è tutto quello che mi venuto da dire, e l’Alberto sapeva che era un grazie anche per lui. La nuvolaglia, che andava e veniva oltre la Punta delle Caldaie e il Pizzo del Moro, scopriva e rico- priva Veglia, Cistella, Diei, il Rosa, i vivi e i morti e il resto del mondo. Da qualche parte, qualcuno suonava le ultime battute della quarta di Bruckner, quella tensione crescente degli archi che precede il clamore finale, e io pensavo già alla nostalgia che prima o poi avrei avuto di quell’istante.

Erminio, 14 giugno 2018

Foto pagina a fianco: la cima del Pizzo di Boccareccio all’estrema sinistra con il suo grande ometto. In secondo piano la cresta che porta alla Punta di Boccareccio

200. Devero

201. Devero

Itinerario: Via normale da Devero Località di partenza: Devero (m 1630). Prima salita: Daniele e Piero Robbiati, 24 agosto 1913. Dislivello: m 1400. Difficoltà: se fatta nella stagione giusta (maggio - giugno) canaloni di neve fino a 50°, poi roccia spesso a blocchi malfermi e sfasciumi (AD inf.). Altrimenti i canaloni sono più problematici. Materiale: scarponi, piccozza, ramponi, 40 m di corda, imbragatura, casco, 3 o 4 friend piccoli fino allo 0.75, cordoni da abbandono per sostituire o integrare quelli in loco. Giudizio: Ambiente ★★★ salita ★★ solitudine ★★★

Da Devero salire in Val Buscagna, meglio se da Misanco - Curt du Vel. Continuare nella valletta dopo il corte fino a quota 2119, da cui piegare a destra in mezza costa pianeggiante sotto il monte Cazzola. Raggiungere il fondo della Buscagna a quota 2239, nei pressi della località Curt Vita (h. 1.40’). Da qui si ha davanti il tratto di catena montuosa che va dalle guglie gemelle Boni e Abele Miazza (a destra) alla Punta delle Caldaie (a sinistra), con i numerosi canaloni che ne raggiungono il crinale. Inconfondibile, al centro di questa catena e sopra di noi, abbiamo adesso la bella guglia rocciosa del Corno del Rinoceronte (o Ago di Cleopatra). Il Pizzo di Boccareccio (di cui non si vede la vera cima) è la prima montagna a destra di questa guglia. Attraversare la val Buscagna e risalire il canale che sale verso il colletto a sinistra del Corno del Rinoceronte, giunti poco sotto il Corno prendere il canale di destra, e costeggiando la base del Corno, ritornare poi a sinistra per raggiun- gere il Bocchetto del Corno tra quest’ultimo e il Pizzo di Boccareccio (m 2850 h. 1.40’ da Curt Vita, h. 3.20’ da Devero). Con poca neve gli ultimi metri per raggiungere il bocchetto sono costituiti da una paretina rocciosa con un breve passo iniziale impegnativo (III).

Dal Bocchetto del Corno salire a destra la spalla di sfasciumi, poi una breve cresta affilata. La cresta si congiunge con una parete triangolare dapprima di rocce rotte poi compatte. Salire fino alla base delle rocce compatte (passi di I, rocce delicate) rimanendo piuttosto a sinistra. Qui, 12 metri sopra si vede un cordone per doppia che servirà in discesa. Se non lo si è già fatto, conviene legarsi. L 1 35 m attraversare sei metri a destra sotto la parete compatta per una cengia pulita, salire una placca appoggiata di bella roccia, entrare nel sovrastante diedro aperto, continuare per circa 25 metri fin dove diventa verticale. Uscire a sinistra su una cengia (III) e fare sosta poco dopo. Difficoltà: II con passo di III L 2 20 m aggirare all’esterno lo strapiombino sopra la sosta, continuare verso sinistra per una cengia ascendente, dopo qualche metro salire una rampa-diedro di grossi blocchi che è la continuazione della cengia, da cui si esce a sinistra. Difficoltà: II L 3 8 m scendere a sinistra uno o due metri su una cengia, risalire un muretto e fare sosta poco sopra a sinistra, si è giunti su un spalla a sinistra del triangolo roccioso. Difficoltà: II

Continuare per una ottantina di metri su sfasciumi e rocce facili salendo in diagonale verso sinistra fin sotto una fascia rocciosa. L 4 20 m salire un camino sormontato da un blocco incastrato (sul blocco cordone per doppia) e uscire su una terrazza detritica. Difficoltà: III

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Continuare di conserva o con un breve tiro facile (I) fino alla soprastante cresta. Seguirla per 50 metri (facile) verso sinistra. Si raggiunge l’anticima da cui si vede, alla fine della cresta, la torre di vetta sormontata da un grosso ometto. (Sembra più difficile di quello che è realmente). L5 14 m raggiunta per cresta aerea e pianeggiante la base della torre salire per fessure alla cima. Cordone per doppia. Dal bocchetto del Corno h. 2. Difficoltà: II sup.

Discesa: dalla cima fare una breve doppia su spuntone (stare leggeri). Scendere per la via di salita alla sosta di L 4 (doppia di 20 m su blocco incastrato, stare leggeri). Qui continuare a scendere per un sistema di cenge e rampe a zig zag, cercando di rimanere più a sinistra possibile, fino a trovarsi sopra un tratto di roccia compatta poco sopra alla base del triangolo roccioso (doppia di 12 m su grande spuntone ). Da qui si segue la via di salita fino alla Val Buscagna.

Da sinistra la guglia evidente è il Corno del Rinoceronte, alla sua destra il Bocchetto del Corno, poi la cresta che sale al Pizzo di Boccareccio (la prima torre trapezoidale)

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