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Lavoro sulla storia dell' 5AL Gruppo: Sara Baruchello, Niccolò Desii, Ishikabye Jankoo, Alice Laudicina, Sara Lotti

PIETRO MASCAGNI

Pietro Antonio Stefano Mascagni nasce il 7 dicembre 1863 a Livorno. Il padre Domenico Mascagni è proprietario di un forno mentre la madre si occupa della famiglia. Pietro ha quattro fratelli e da subito si mostra il più intelligente e interessato agli studi e per questo, malgrado le ristrettezze economiche, viene avviato agli studi umanistici. In seguito, il giovane che sogna di fare il compositore, affianca agli studi umanistici quelli musicali: studia pianoforte e canta come nella Schola Cantorum della chiesa di San Benedetto e, tre anni dopo, intraprende studi musicali più regolari e diviene allievo di Alfredo Soffredini, fondatore dell'Istituto Musicale Livornese. La sua prima composizione musicale, la romanza Duolo eterno!, risale al 1878, seguita da altre come: Elegia per , violino e pianoforte (1879), Ave Maria per soprano e pianoforte (1880), Pater Noster per soprano e quintetto d'archi (1880), Sinfonia in fa maggiore (1881), nello stesso anno viene eseguita a Livorno la sua cantata In filanda a quattro voci soliste e a piena orchestra. E nel 1882 la cantata Alla gioia, su testo di Friedrich Schiller. Nel 1882 si trasferisce a Milano grazie all'aiuto economico del conte de Larderel, il suo secondo mecenate (il primo fu lo zio morto un anno prima). A Milano, entra al conservatorio e stringe amicizie con il mondo artistico dell'epoca; fra questi incontri spicca quello con Giacomo Puccini, Amilcare Ponchielli e con Vittorio Gianfranceschi, che diverrà il suo più grande amico. Nei tre anni successivi compone la romanza per tenore con orchestra "Il Re a Napoli", su parole di Andrea Maffei e inizia a dedicarsi all'opera "" di Heine. Nel 1885 lascia il conservatorio in polemica con il direttore e si dedica ad una serie di tournée in giro per l'Italia come direttore d'orchestra di diverse compagnie d'opera. Nel 1886 conosce Argenide Marcellina Carbognani da cui ha un figlio che muore a soli quattro mesi di età; si sposano un anno dopo. Il comune di Cerignola gli offre di dirigere la filarmonica della città. Nel 1888 partecipa ad un concorso indetto dalla casa editrice Sonzogno per un'opera in un atto. L'argomento con cui decide di partecipare è "La ", opera tratta dall'omonima novella di Verga", composta assieme ai librettisti Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci. L'anno seguente nasce il primo figlio, Domenico. Nel 1890 La "Cavalleria rusticana" viene proclamata vincitrice del concorso su 73 partecipanti e il 17 maggio debutta al Teatro Costanzi di Roma dove ottiene un notevole successo di pubblico e critica. Nel 1891 mette in scena un'altra opera al Costanzi di Roma, "L’amico Fritz". Nello stesso anno nasce il secondo figlio Edoardo e nel 1892 la figlia Emilia. Nel 1895 va in scena alla Scala il "Guglielmo Ratcliff" di Heine diretto dallo stesso Mascagni. Nel 1897 inizia la collaborazione con Luigi Illica con il quale lavora all'"" per l'editore Sonzogno e alle "Maschere" per l'editore Ricordi. L'anno seguente dirige sei concerti alla scala fra cui la "Patetica" di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, fino ad allora mai eseguita in Italia, e il poema sinfonico a "Giacomo Leopardi", composto per le celebrazioni dei cento anni dalla nascita del poeta di Recanati. Dal 1899 al 1903 Mascagni è impegnato in alcune tournée che lo portano a dirigere nelle più importanti città italiane, europee e americane. Rientrato in Italia assume la carica di direttore della Scuola Nazionale di Musica di Roma carica che affianca a quella di direttore del teatro Costanzi di Roma, che ricopre dal 1907. Continuano le tournée all'estero. Nel 1927 rappresenta l'Italia a Vienna per la celebrazione del centenario della morte di Ludwig Van Beethoven. Nel 1929 viene incluso fra gli accademici della Reale Accademia d'Italia. Nel 1935 viene messa in scena alla Scala la sua ultima opera . Nel 1940 l'opera "La Cavalleria rusticana" compie 50 anni e viene incisa su disco. Nel 1944 si dimette dalla carica di direttore artistico del teatro Costanzi. Pietro Mascagni muore il 2 agosto 1945, all'età di 82 anni, nella sua camera d'albergo all'hotel Plaza di Roma dove risiedeva dal 1927.

• Musica e composizioni Dal punto di vista stilistico, la musica di Mascagni è spesso definita esasperata, sia per la propensione verso gli acuti, che per il largo uso ch'egli fa del declamato. In realtà, ciò riguarda una parte della sua produzione operistica (specialmente l'ultima fatica, il Nerone), ovvero quella finale, quando si era già in pieno clima espressionista. Nei primi lavori (Cavalleria, Amico Fritz, Ratcliff, Iris, Maschere e Rantzau) è invece vivo uno stile fine, ma decadente, che riaffiora similmente nella poesia e nella pittura di quel tempo. L'unica vera e propria opera verista di Mascagni, insomma, fu Cavalleria, il cui successo venne poi emulato da con i . Quanto a Umberto Giordano, che spesso viene definito compositore verista (e giustamente, per opere minori come Mala vita), il suo stile è assai più vicino a Giacomo Puccini che a Mascagni. In sintesi, al di là dello stile dei musicisti coetanei di Mascagni (la cosiddetta Giovane Scuola Italiana), l'opera italiana, a cavallo tra Otto e Novecento, non fu interamente verista. Vi fu - è vero - un gran successo del , specie dopo Cavalleria, ma ben presto, già dal 1896, quest'ultimo cedette il posto all'opera decadente (che comprendeva il simbolismo, l'esotismo e il dannunzianesimo) e, più tardi, a quella espressionista; di tutti questi stili, Mascagni si fece grande ambasciatore, dando prova di grande coraggio (nonché di spirito eclettico), anche se spesso mal compreso.

CAVALLERIA RUSTICANA - L'OPERA "Cavalleria rusticana" è un melodramma in un atto musicato da Pietro Mascagni con di Giovanni Targioni-Tozzetti e di Guido Menasci. L'opera è tratta dall'omonima opera di Giovanni Verga. "Cavalleria rusticana" fu la prima opera composta da Mascagni ed è una delle sue più celebri composizioni, insieme a "Iris", "L'amico Fritz" e “Guglielmo Ratcliff”. Fu composta in realtà per un concorso. Infatti nel 1888 l'editore milanese Edorardo Sonzogno annunciò un concorso per tutti i giovani compositori italiani che ancora non avevano rappresentato un'opera. I partecipanti dovevano comporre un'opera in un unico atto e le tre migliori opere venivano poi rappresentate a Roma a spese dello stesso Sonzogno. Il 5 marzo 1890 la giuria selezionò 3 opere: "Labilia" di Nicola Spinelli, "Rudello" di Vincenzo Ferroni e "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni. L'opera fu rappresentata per la prima volta il 17 maggio 1890 al Teatro Costanzo di Roma.

• Personaggi - Santuzza, una giovane contadina (soprano) - Turiddu, un giovane contadino (tenore) - Lucia, madre di Turiddu (contralto) - Alfio, carrettiere (baritono) - Lola, moglie di Alfio (mezzosoprano)

• Composizione dell'orchestra Mascagni compose l'opera per: - 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti - 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, tuba - timpani, grancassa, triangolo, piatti, tamburo, campane tubolari, frusta - 3 arpe (2 in orchestra e 1 sulla scena), organo, archi

• Trama Durante il Preludio, Turiddu, figlio di mamma Lucia, canta una serenata a Lola, di cui era innamorato prima di arruolarsi e che, al suo ritorno, ha trovato sposata con compare Alfio, un ricco carrettiere. Siamo nel periodo pasquale, infatti le campane suonano e i contadini e i paesani cantano cori gioiosi che inneggiano alla vita. Santuzza, l'amante di Turiddu, avendo saputo che il giovane è stato visto a tarda notte presso la casa di Lola e sospettando che egli abbia ripreso l'antica relazione, si reca a cercarlo all'osteria di mamma Lucia. Quest'ultima afferma che il figlio è fuori a comprare del vino ma Santuzza sa che Turiddu non si è mai mosso dal paese. Lucia è sconvolta dalla rivelazione fatta da Santuzza e invita la ragazza ad entrare in casa per parlare più liberamente, ma la giovane, disperata, rifiuta perché è "dannata" per il suo rapporto scandaloso con Turiddu. Il dialogo è interrotto dall'arrivo di compare Alfio, che celebra la vita beata del carrettiere insieme a dei compagni, e dalla folla che si prepara alla processione pasquale e che intona inni alla resurrezione di Cristo. Tutti entrano in chiesa, eccetto Santuzza perchè peccatrice: sconvolta, confessa in lacrime a mamma Lucia il suo amore per Turiddu. Infatti è stata sedotta dal giovane ma adesso Turiddu ha occhi solo per Lola, che a sua volta tradisce apertamente il marito. Arriva infine Turiddu e Santuzza lo affronta, rinfacciandogli il suo amore per Lola; egli dapprima nega, poi si mostra irritato dalla gelosia della ragazza. L'alterco è interrotto da Lola che entra intonando uno ritornello allusivo allasua passione per Turiddu: fra le due donne vi è unoscambio di battute ironiche, poi Lola entra in chiesa. La discussione riprende tra i due amanti, ma quando il giovane va per entrare in chiesa, la donna gli augura minacciosamente la "mala Pasqua". Sopraggiunge allora Alfio e Santuzza, presa dalla gelosia, gli svela il tradimento della moglie: Alfio si rende conto che la ragazza dice la verità e giura di vendicarsi. Dopo un sinfonico, la folla esce dalla Chiesa; Turiddu invita degli amici a brindare all'osteria della madre e offre da bere anche a compare Alfio, che rifiuta sdegnosamente. È un chiaro segno che egli sa la verità ma anche un gesto di sfida. Turiddu, secondo il rituale del codice d'onore rusticana, accetta la sfida, versa a terra il vino e abbracciando Alfio gli morde un orecchio: i due si accordano per un duello immediato. Prima di avviarsi per la sfida, Turiddu saluta per un'ultima volta la madre, attribuendo il suo turbamento al troppo vino bevuto, e la invita, se egli non tornasse, a prendersi cura di Santuzza. I duellanti si battono fuori scena e gli abitanti del paese, ben consapevoli di ciò che sta succedendo, attendono con ansia l'esito della lotta, finché una voce grida: " Hanno ammazzato compare Turiddu!". • Analisi dell'opera L'opera riscosse subito un grande successo, tanto è che in pochi mesi valicò le Alpi arrivando in Germania e Austria dove Eduard Hanslick dedica al lavoro un saggio entusiastico e dove l'opera sarà diretta da Gustav Mahler. Mascagni porta delle innovazioni nel melodramma soprattutto per quanto riguarda la gestione dei cori (molto importanti sia nell'opera che nella novella di Verga). Infatti il compositore fa intervenire il coro per tutto l'atto, a rafforzare il senso di una presenza di massa, di un popolo in scena. Inoltre Mascagni rende l'orchestra protagonista, tanto da farla eseguire in due brani da solista (Preludio e Intermezzo), e non più limitata all'ouverture classica. Altra innovazione è l'interruzione del Preludio generata dall'inizio della serenata Siciliana (oh Lola, c'hai di latti la cammisa) cantata da Turiddu. Quest'aria, a differenza per esempio dello stornello di Lola Fior di giaggiolo, è cantata in siciliano. Se da un lato abbiamo delle innovazioni, dall'altro abbiamo un solido impianto drammaturgico: • una struttura ripartita "a numeri" chiusi (romanze, duetti, cori, concertati) • una distribuzione convenzionale dei ruoli vocali (es. I due amanti sono tenore e soprano) • l'opera si apre con un preludio e un coro di introduzione.

CAVALLERIA RUSTICANA DI GIOVANNI VERGA

Una delle parti più importanti della produzione del capostipite del Verismo italiano Giovanni Verga (Catania, 1840 – Catania, 1822) è la raccolta di novelle “Vita dei campi” edita nel 1880. In effetti, è proprio questa opera a rappresentare l'inizio della stagione verista.

• VITA DEI CAMPI La raccolta si compone di 8 testi: Fantasticheria, Cavalleria Rusticana, L'amante di Gramigna, Jeli il pastore, La Lupa, Rosso Malpelo, Guerra di Santi, Pentolaccia. Queste novelle mettono in luce le condizioni di vita della società dell'epoca, in particolar modo la realtà quotidiana dei ceti più bassi della campagna siciliana, ambientazione della maggior parte dei testi. I temi principali sono l'amore vissuto come sentimento lacerante e trasgressivo; l'interesse economico, che rappresenta spesso la molla delle azioni umane; il carattere viscerale e primitivo dei personaggi, condannati alla solitudine sullo sfondo di un mondo immobile e arcaico. Attraverso un sapiente uso delle tecniche espressive veriste (prima fra tutti, l'impersonalità), Verga esegue un'analisi delle leggi che regolano rapporti umani dell'epoca, costituite da principi che risulteranno validi universalmente nella Storia dell'uomo, ad esempio l'utile economico. Tuttavia si può ritrovare un barlume di speranza all'interno dell'opera, rappresentato dalla valorizzazione del mondo degli umili: questi ultimi non vedono il tornaconto economico come il principio più importante, infatti essi sono ancora legati profondamente ai concetti di “famiglia” e “onore”. Si può quindi parlare di “ideale dell'ostrica”, uno degli assi portanti dell'ideologia verghiana: secondo questa filosofia, chi si allontana dalla famiglia è perduto e destinato a soccombere, poiché in una società contemporanea dominata da ideali quali il guadagno materiale, l'unico valore fondamentale sono gli affetti familiari. Questa teoria garantisce l'appartenenza individuale a una comunità non ancora falsata dalle convinzioni sociali.

• CAVALLERIA RUSTICANA “Cavalleria rusticana” è una delle novelle più conosciute della raccolta. La storia è ambientata a Vizzini, un paese siciliano, nel secondo Ottocento. I protagonisti del racconto ci fanno rivivere le loro storie e vicende umane provando sentimenti diversi come l’amore, la gelosia, l’invidia, il desiderio di vendetta e il dolore, adottando come metodo comunicativo un linguaggio definito “popolare”, alle volte caratterizzato dall'uso di espressioni dialettali tipiche siciliane. Il romanzo è incentrato sulla vita di un contadino siciliano, figlio di Nunzia, che si chiama Turiddu Macca, tornato nel suo paese di Vizzini, che si sta preparando ad intraprendere il servizio militare. Il giovane appartiene ad una famiglia poco agiata: la madre, infatti, è costretta a vendere la mula per garantire la sopravvivenza della stessa, ma attira su di sé l’attenzione di tutti per il suo modo di porsi e di atteggiarsi, sfoggiando la sua divisa da bersagliere ed in particolare il bellissimo cappello, icona unica e riconoscibile del corpo militare. Turiddu, anche se viene lusingato da parecchie donne, ha occhi solo per la bella Lola, figlia del massaio Angelo. Tra loro, inizia un corteggiamento e poi l’amore e i due si fidanzano prima che lui parta per il servizio militare. Durante la sua assenza, Lola però viene a conoscenza di un ricco carrettiere che si chiama Alfio, che riesce a rapire sentimentalmente la giovane donna. Dopo un lungo periodo di frequentazione con Alfio, Lola decide di cancellare definitivamente dalla sua vita il giovane Turiddu e di fidanzarsi con Alfio. Quando Turiddu, al suo ritorno, viene a sapere della notizia del fidanzamento di Lola cerca tutti i modi per riuscire a dimenticare la ragazza, ma senza riuscire ad ottenere il risultato sperato. Il colpo di grazia arriva quando Lola decide di convolare a nozze con Alfio, per poter anche godere di un tenore di vita migliore, visto il livello sociale più alto del suo prossimo sposo. A questo punto del racconto si evidenzia la svolta di vita che il giovane Turiddu deve affrontare. Ormai, apparentemente rassegnato ad aver perso definitivamente la sua Lola, è costretto a lavorare come guardiano delle terre, presso il vicino di casa di Alfio, ovvero Massaio Cola. Turiddu, rosso dalla gelosia, studia un piano per vendicarsi di Lola. L’uomo decide così di corteggiare la figlia del Massaio Cola, che si chiama Santa, dirimpettaia proprio di Alfio e Lola. Il giovane riesce così nel suo intento di far ingelosire Lola, senza preoccuparsi della povera Santa che si invaghisce di lui credendo nella sincerità dei suoi sentimenti. Lola, gelosa di Turiddu, studia un piano e decide di invitarlo a casa sua approfittando dell’assenza del marito Alfio. Tra i due, quasi inevitabilmente, scoppia la passione e Turiddu riesce a ottenere il suo scopo diventando ben presto l’amante di Lola. Si avvicina il periodo delle festività di Pasqua e Lola decide di confessarsi per non destare sospetti nella gente e per placare la preoccupazione nata in lei, dopo aver sognato una notte dell’uva nera che, secondo la tradizione popolare siciliana, significa guai in arrivo per la persona amata. Infatti, da lì a poco, Santa si accorge della tresca tra Turiddu e Lola e, sentendosi presa in giro, racconta tutta la vicenda dei due amanti al fratello Alfio, di ritorno da un viaggio di lavoro. Avuta la notizia, Alfio, accecato dagli istinti di rabbia, dapprima se la prende con la moglie Lola, poi va a cercare Turiddu, per sfidarlo a duello con lo scontro della resa dei conti, che naturalmente accetta, obbediente alle leggi della cavalleria del mondo contadino. Il giorno dopo, Turiddu si reca da sua madre per darle l’ultimo saluto, mentre Alfio fa capire a Lola quello che da lì a poco sta per accadere, il duello. Alfio e Turiddu si incontrano. I due si scambiano il “bacio della sfida” e iniziano a duellare, armati come insegna il codice, di solo coltello. Alfio, all’inizio del duello, sembra avere la peggio, ma poi riesce a riprendersi in extremis e infliggere la sua vendetta mortale a compare Turiddu, finendolo con una coltellata alla gola, riuscendo a dire sole le sue ultime parole prima di morire: “Ah, mamma mia!“. La vicenda si conclude, così, in modo tragico, con la morte di Turiddu tra i solitari fichi d’India della Canziria e, con quella coltellata, Alfio vendica non solo il suo amore ma anche il suo l’onore.

• Analisi della lingua Ci sono numerose espressioni dialettali, ad esempio ”racinedda”, e una frase in dialetto ”facemu cuntu ca chioppi e scampau,e la nostra amicizia finiu” che Turiddu rivolge a Lola ma, sia la frase sia il termine isolato, sono scritti in corsivo. L'autore non ha voluto servirsi della lingua siciliana stretta nella maggior parte delle sue opere perché, così facendo, avrebbe limitato il suo pubblico rendendo le sue novelle fruibili solo a chi conosceva il dialetto. Ha utilizzato la lingua italiana intessuta di espressioni e vocaboli dialettali, adatta a caratterizzare i suoi personaggi, mantenendo il testo comprensibile a tutti. La soluzione linguistica è stata, quindi, originale. Tutte le battute sono riportate nella parlata dei contadini, anche attraverso l'uso di diminutivi (es. Turiddu) e la forma di cortesia “Voi”, diffusa nel Meridione, invece di “Lei”. Nella novella si cita l'inizio di un proverbio, ovvero “la volpe quando all'uva non ci potè arrivare... “ e si fa allusione ad un altro proverbio: “quando il gatto non c'è i topi ballano”. L'uso dei proverbi, in Verga, con la loro saggezza arcaica, ha la funzione di evocare un mondo mitico ormai morente, ricco di valori e tradizioni, ma anche di pregiudizi.

“Cavalleria rusticana” ha riscosso un notevole successo sia di pubblico che di critica, grazie alle tematiche affrontate dallo scrittore, ovvero il dramma d’amore e di gelosia, che da sempre scatena e mette in luce i pensieri più profondi della mentalità popolare. Ma una altrettanto importante ed indelebile notorietà al romanzo venne portata dal compositore Pietro Mascagni che scelse la trama del racconto come focus della sua opera e melodramma omonima che andò in scena, per la prima volta, a Roma al teatro Costanzi, nel 1890, risultando essere poi la più nota fra le sedici opere composte dal compositore livornese. Verga decise però di far causa al musicista e all’editore per far valere i propri diritti d’autore. Il processo terminò con la vittoria di Verga, che ottenne a titolo di rimborso la considerevole somma di 143.000 lire.

GUGLIELMO RATCLIFF DI PIETRO MASCAGNI A seguito dell'opera più celebre di Pietro Mascagni (Livorno, 1863 – Roma, 1945) “Cavalleria Rusticana” tratta dall'omonima novella di Giovanni Verga, si può collocare un altro dei suoi capolavori: “Guglielmo Ratcliff”, su libretto di Andrea Maffei.

• Introduzione Molti autori internazionali quali il russo Cezar' Antonovic Kjui, Cornelius Dopper e Volkmar Andreae si avvicinarono con interesse al “”, dramma di , definito dal celebre critico Filippo Filippi un "bellissimo soggetto d'opera". Tra questi troviamo anche Mascagni, il quale ci propone la propria versione rappresentata per la prima volta il 16 febbraio 1895 alla Scala di Milano. L'opera è stata poi eseguita in diverse altre occasioni, tra cui il 5 ottobre 1933 negli studi dell'Eiar di Torino (con la direzione dell'orchestra dello stesso Mascagni e con il maestro Carlo Prato nel doppio ruolo di Robin e di John), fino alle più recenti, quella in forma di concerto, del 25 novembre 2003, data alla Alice Tully Hall di New York, diretta da Alfredo Silipigni, e quella in forma scenica del 2015 al Wexford Festival Opera con la direzione di Francesco Cilluffo e la regia di Fabio Ceresa. Comunque, l'opera non entrò mai nel repertorio, in parte a causa del ruolo del tenore, fra i più difficili mai scritti. La ballata tragica di Heine non fu certo semplice da tradurre e le parole di Andrea Maffei, morto dieci anni prima, non riuscirono a rendere meno faticoso il lavoro. Mascagni lavorò a lungo a questa composizione, nonostante i continui riferimenti alla prepotente ispirazione e alla creatività immediata. In poche parole, la musica passò più volte dal pianoforte al cassetto della scrivania, con un'altalena di eccitazione e ripensamento davvero incredibile. Molto probabilmente il musicista toscano non era consapevole di quanto fosse impegnativa la gestione di un libretto tanto lungo, ma l'amore per l'argomento fu superiore a qualsiasi titubanza. Non è un caso che i suoi ricordi di quel periodo furono sempre piuttosto "pomposi": “I versi mi parevano tutti belli e li declamavo di notte passeggiando su e giù per la camera.” L'immedesimazione fu dunque totale, nonostante qualche sospiro che si può intuire nelle lettere scritte all'epoca della composizione ("Ah, il mio Ratcliff!"). Il compositore teneva così tanto a questa opera che scrisse in merito alla complessa stesura le seguenti parole: “Povero Guglielmo che dorme e invecchia. Lo finirò, ne sono certo. Guglielmo è tutto per me, io l'ho fatto, io l'eseguisco, io l'applaudo, io son felice.” Da queste frasi si può evincere quanto totale fosse la dedizione dell'autore nei confronti del suo lavoro: si tratta della sua opera più tormentata, ma anche della più desiderata.

• Trama e struttura dell'opera Complessivamente si deve parlare di un'opera composta da una serie di episodi, ben scandita nei quattro atti, ma con quattro fisionomie ben distinte. È particolarmente noto l'intermezzo del terzo atto - comunemente noto come “il sogno” -, inserito nella colonna sonora nel film di Martin Scorzese “Toro Scatenato”. L'opera è ambientata nel nord della Scozia agli inizi del XIX secolo.

• Atto primo Il Conte Douglas, fidanzato di Maria, arriva al castello dei MacGregor. Egli narra loro di come è stato attaccato da banditi nei pressi del castello, ma salvato da un cavaliere sconosciuto. Maria sviene, e poi si riprende. MacGregor parla a Douglas di Guglielmo Ratcliff, che Maria aveva respinto come pretendente. Ratcliff, per vendetta, ha deciso di sfidare a duello i seguenti due pretendenti di Maria uccidendoli entrambi. Il Conte Douglas riceve un messaggio da Ratcliff, recapitato dal suo amico Lesley, in cui lo sfida a duello a Black Rock.

• Atto secondo In una locanda frequentata da ladri e truffatori, il locandiere Tom sta tenendo il figlio Willie sulle ginocchia. Quando chiede al bambino di recitare la preghiera del Padre nostro, questi inciampa più volte sul verso "E non ci indurre in tentazione". Tom diventa sempre più arrabbiato con il ragazzo e gli dice che lui finirà come la clientela della locanda, e alla fine lo manda fuori dalla stanza. Ratcliff racconta poi a Lesley, come il rifiuto di Maria lo ha portato alla determinazione di uccidere ogni uomo che è riuscito a conquistare l'amore di Maria. Ratcliff è disturbato dalla comparsa di strane figure che, a sua insaputa, sono i fantasmi dei pretendenti di Maria da lui uccisi. • Atto terzo Douglas arriva a Black Rock per il duello con Ratcliff. Le due strane figure che avevano seguito Ratcliff appaiono brevemente e poi spariscono. Quando Ratcliff giunge, Douglas capisce che è il cavaliere che lo ha salvato dai banditi, e quando sta per avere la meglio su Ratcliff, nel duello, rifiuta di ucciderlo. Ratcliff rimane a terra e gli appaiono ancora le figure spettrali.

• Atto quarto Nella sua stanza, Maria sta preparandosi alle nozze con Douglas. La sua nutrice, Margherita, racconta a Maria la storia della morte di sua madre Elisa. Prima di sposare MacGregor, Elisa era stata innamorata di Edward, il padre di Guglielmo Ratcliff, ma entrambi sposarono poi altri. Edward ed Elisa si resero conto del loro errore e divennero amanti. Quando MacGregor lo scoprì, uccise Edward, ed Elisa morì di dolore. Guglielmo Ratcliff entra nella stanza di Maria, coperto di sangue, dopo il duello con Douglas, e la implora di fuggire con lui. Con la storia di sua madre ancora sulla sua mente e il pensiero che avrebbe potuto fare lo stesso errore, Maria in un primo momento prova pietà per Guglielmo, ma poi gli chiede di andarsene. Il suo rifiuto rende Guglielmo pazzo d'ira. Uccide sia Maria che suo padre, che si precipita nella stanza dopo aver sentito la sua richiesta di aiuto. Ratcliff, a questo punto si toglie la vita. L'opera si conclude con le sue ultime parole: "O Maria, vengo a te! Son qui, Soave Maria!" .

• Musica ed esecuzione vocale La scrittura vocale di "Guglielmo Ratcliff" è davvero complessa e soltanto pochi tenori sono stati e sono ancora in grado di tenere testa al ruolo principale dell'opera. Si potrebbe parlare di un vero e proprio trionfo del romanticismo, con una dose incredibile di emozioni e narrazioni, il Ratcliff però non può essere ridotto a una serie di "numeri" e non è nemmeno inquadrabile in un filone specifico. Gianandrea Gavazzeni parlò di una sorta di punto di contatto tra il verismo e il romanticismo, ma non è sbagliato nemmeno scorgere delle influenze verdiane. Mascagni parlò senza mezzi termini di "polmoni da mettere alla prova", forse il vero grande limite di quello che poteva essere un capolavoro a tutti gli effetti. La difficoltà vocale, comunque, non ha a che fare con la tessitura, ma più che altro con il canto prolungato: non è un caso che il compositore toscano abbia rilevato delle analogie con l'Otello di Giuseppe Verdi, rappresentato per la prima volta otto anni prima. Il tenore è senza dubbio l'assoluto protagonista di quest'opera mascagnana di ambientazione scozzese, ma il mezzosoprano (Margherita, la nutrice di Maria), capace di mettersi in luce con un racconto sillabico e struggente e una cantilena nel primo atto, oltre al baritono (il Conte Douglas), messo alla prova con diciannove mi. La presenza quasi superflua del coro e gli interventi cupi dell'orchestra potrebbero essere altre due caratteristiche che hanno reso difficile l'identificazione di questo lavoro e la sua definitiva affermazione.

RUGGERO LEONCAVALLO Ruggero Leoncavallo nasce il 23 aprile 1857 a Napoli; durante l'infanzia vivrà con la famiglia in varie località del Sud Italia. Il padre Vincenzo, magistrato regio, allarmato dalle gravi condizioni fisiche della moglie Virginia chiese ed ottenne il trasferimento da Sanza a Castellabate, dove Ruggero trascorre i primi anni della propria vita. Anni dopo si trasferì con la famiglia in provincia di Cosenza (Montalto Uffugo), dove il padre fu pretore. Qui trascorse gli anni della sua spensierata fanciullezza, anni in cui iniziò ad avvicinarsi alla musica e agli studi, non trascurando i giochi e le esperienze che ne avrebbero caratterizzato la personalità. Con il maestro Sebastiano Ricci ebbe inizio la vita musicale di Leoncavallo sui tasti della spinetta. A Montalto Uffugo il piccolo Ruggero visse anche una drammatica esperienza, la sera del 4 marzo 1865, quando assistette all'omicidio del suo accompagnatore, il giovane Gaetano Scavello che, all'uscita di un convento, dove si erano recati per assistere ad una rappresentazione teatrale, fu ucciso da alcuni uomini. Questo episodio sconvolse la vita del paese e anche quella di Ruggero che 27 anni dopo (1892) riuscì a trasformarla in una delle sue opere liriche più rappresentate: "Pagliacci. ". Nel 1873 il padre venne trasferito a Potenza subito dopo la morte della madre. Ruggero rimase a studiare a Napoli. Studiò pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli sotto la guida di Beniamino Cesi, e dopo il periodo potentino si trasferì a Bologna, dove conobbe un giovane Pascoli e Richard Wagner, che nel dicembre del 1876 era arrivato in città per la rappresentazione di Rienzi e del quale Leoncavallo stesso era un ammiratore. Cominciò a lavorare ad un progetto che chiamò Crepusculum (un richiamo al wagneriano Götterdämmerung), una trilogia ispirata al Rinascimento, ma presto abbandonò il progetto in favore del , un'opera di soggetto romantico di cui scrisse musica e libretto in pochi mesi, ma che non fu rappresentata per parecchi anni perchè l'impresario, che doveva metterla in scena, non mantenne l'impegno. A Bologna, inoltre, Leoncavallo frequentò i corsi di G. Carducci all’università, affascinato dalla personalità del poeta. Nonostrante ciò, non conseguirà mai la laurea. Dopo gli studi bolognesi Leoncavallo rientrò per un paio di mesi a Potenza per il servizio di leva e subito dopo tornò a Bologna per cercare di vendere la sua prima opera, ma senza successo. Rientrato a Potenza dopo la delusione patita a Bologna, iniziò a scrivere Pagliacci. Rimase a Potenza più di un anno, per poi ripartire, nel 1879, per l'Egitto, dove, accolto dallo zio Giuseppe, otterrà una certa popolarità nella comunità italiana, anche se sarà costretto a lasciare il paese a causa dell’occupazione inglese. Si spostò in seguito a Parigi nel 1882, dove soggiornò per 6 anni: qui lavorò come insegnante di canto e conobbe varie personalità dell'epoca, tra cui Alexandre Dumas e Victor Maurel. Conobbe inoltre Berthe Rambaud, un'allieva che in seguito sposò. Poté in seguito riprendere il progetto del Crepusculum, scrivendo il libretto della prima parte della trilogia, . Nel 1888 si spostò a Milano, dove l'editore Giulio Ricordi gli propose un contratto per la composizione di quest'opera: terminata in poco tempo, avrebbe dovuto essere rappresentata nel 1891, ma Ricordi cambiò idea e la rappresentazione fu rinviata. Sulla scia del grande successo riportato nel 1890 dalla Cavalleria rusticana di Mascagni, Leoncavallo ultimò l'opera verista destinata a grande fortuna, Pagliacci. Ne scrisse parole e musica in cinque mesi e la presentò a Ricordi, che però non ne fu convinto; presentò allora il libretto a Edoardo Sonzogno, che acquistò la proprietà dell'opera. Fu rappresentata per la prima volta il 21 maggio 1892 al Teatro Dal Verme di Milano, sotto la direzione di Arturo Toscanini e riscosse un successo immediato ed è, forse, l'unica creazione di Leoncavallo che non sia mai uscita dal grande repertorio lirico. La sua aria più celebre, Vesti la giubba, fu il primo disco al mondo a toccare il milione di copie di vendita. Sonzogno comprò da Ricordi i diritti de I Medici e l'opera fu rappresentata per la prima volta il 9 novembre 1893 sempre al Teatro Dal Verme, ma non ripeté il successo dei Pagliacci, poiché i critici notarono un'eccessiva dipendenza dai motivi wagneriani. Neanche la successiva opera, Chatterton, rappresentata a Roma nel 1896, ottenne il successo sperato. Anche La bohème, rappresentata per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia nel 1897, dopo un buon avvio iniziale, fu messa in ombra dalla crescente notorietà dell'opera omonima di Puccini (1896), con cui condivide il titolo e il soggetto, basato sul romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger. Dopo un periodo giovanile ricco di viaggi, verso la fine del secolo Leoncavallo approdò a Brissago, in Svizzera. Nel 1903 egli affidò all'architetto Bernasconi il compito di costruirgli una villa a Brissago, Villa Myriam. Lì visse fino al 1916, anno in cui dovette venderla per far fronte a problemi finanziari. Fino ad allora, la sua villa fu un punto di ritrovo per direttori di teatro, scrittori, cantanti, editori ( tra i quali Toscanini, Caruso, Sonzogno...). Leoncavallo compose inoltre Zazà, La Reginetta delle rose, La Candidata, Prestami tua moglie e molte romanze (fra le quali la più famosa è Mattinata scritta per la Gramophone Company e prevista per la voce di Caruso). Il compositore morì a Montecatini Terme nel 1919. Fu seppellito a Firenze nel cimitero delle Porte Sante. Le sue spoglie, assieme a quelle della moglie Berthe, dando seguito al suo desiderio, verranno traslate a Brissago sul Lago Maggiore nel 1989.

Riflessioni sull'artista e le tematiche Ruggero Leoncavallo fu uno degli esponenti più importanti del melodramma verista: ebbe, soprattutto nei Pagliacci, forte senso drammatico e ispirazione melodica; tuttavia, pur avendo basi culturali più solide di altri veristi (era infatti laureato in lettere, cosa che gli permise di scrivere da sé i libretti di alcune sue opere), rimase confinato nella problematica della “giovane scuola" italiana, tra influssi di Bizet, di Verdi e anche Wagner. Tentò di svincolarsi dal verismo, ad esempio nella Bohème (1897), dalla vena comico-sentimentale, negli Zingari (1912), di gusto esotico, in Goffredo Mameli (1916) e in Edipo re (1920), ma non fu più in grado di ritrovare quel vigore espressivo e quella vena melodica impetuosa ed incisiva che caratterizzano il suo capolavoro, Pagliacci, quintessenza del verismo musicale (ne è esempio il celebre Prologo). PAGLIACCI DI RUGGERO LEONCAVALLO • Breve introduzione L’opera Pagliacci è considerata insieme alla Cavalleria rusticana di Mascagni, una delle più rappresentative opere veriste, ovvero un tipo di opera lirica per lo più breve, con temi tipici del verismo letterario, drammi amorosi all’interno di un mondo contadino, spesso meridionale. I veristi in musica furono: Mascagni, Leoncavallo, Puccini, Giordano, Cilea e Franchetti che formarono la cosiddetta Giovane Scuola Italiana. In Francia, Georges Bizet con la . L’opera si ispira a un delitto realmente accaduto a Montalto Uffugo, in Calabria, dove il compositore visse da bambino alcuni anni.

• Struttura e trama Pagliacci è un'opera lirica in due atti su libretto e musica di Ruggero Leoncavallo ATTO I. Canio raccomanda alla gente del paese di non mancare allo spettacolo che avrà luogo alla sera; invitato a bere con i contadini, si allontana, un po’ alterato da una goffa galanteria del gobbo Tonio verso Nedda, sua moglie, di cui è gelosissimo. Nedda resta turbata, perché si è innamorata di Silvio, un giovanotto del paese: Canio l’ha raccolta bimba, ma lei è stanca della vita girovaga e sogna il grande amore. Ricompare Tonio e Nedda, infastidita dalle sue avance grossolane, lo scaccia con disprezzo; per vendicarsi, Tonio va a cercare Canio, ben sapendo che Silvio verrà a cercare Nedda; e infatti i due amanti vengono sorpresi proprio mentre si accomiatano promettendosi eterno amore. Silvio però fugge via senza che Canio abbia potuto distinguerne i lineamenti: la lite furibonda fra Canio e Nedda viene interrotta a viva forza, perché bisogna cominciare lo spettacolo: "La gente paga e rider vuole qua". ATTO II. La gente si accalca nel teatrino: c’è anche Silvio, che quella sera stessa deve rapire Nedda e cominciare con lei una nuova vita. Ha inizio la recita, in cui Nedda impersona Colombina, Canio il suo sposo Pagliaccio, Tonio lo scemo Taddeo; questi tenta di circuire Colombina ed è al corrente d’una sua tresca con Arlecchino (Peppe). Mentre Colombina e Arlecchino banchettano di gusto e progettano di fuggire insieme, arriva Canio-Pagliaccio e Arlecchino si defila. Canio però aggredisce Nedda con una foga che trascende lo spettacolo ed esige da lei il nome dell’amante; Nedda tenta di proseguire la recita, poi replica con fierezza, provocando la reazione rabbiosa di Canio, che la ferisce mortalmente. Silvio si slancia sul palco e Canio pugnala anche lui: poi si volge stravolto al pubblico esclamando : "La commedia è finita!".

• Personaggi NEDDA attrice da fiera, moglie di Canio (nella commedia Colombina) • soprano CANIO capo della compagnia (nella commedia Pagliaccio) • tenore TONIO lo scemo (nella commedia Taddeo), commediante • baritono PEPPE (nella commedia Arlecchino), commediante • tenore SILVIO campagnuolo • baritono

• La prima Teatro dal Verme – Milano – 21 maggio 1892, con la direzione di un quasi sconosciuto Arturo Toscanini.

• Curiosità Quando nel 1894 l'opera fu tradotta in francese, il poeta, drammaturgo e librettista Catulle Mendès accusò Leoncavallo di plagio, poiché riteneva che la trama ricalcasse quella della sua opera La Femme de Tabarin, del 1887 (entrambe prevedevano una commedia all'interno dell'opera, un uomo geloso, la commedia che si trasforma in realtà con l'uccisione della donna per gelosia); Leoncavallo si difese sostenendo che la trama era ispirata al fatto di cronaca di cui era stato testimone da bambino e rilevò che anche l'opera di Mendès era passibile di plagio, poiché assomigliava ad altre precedenti, come Un drama nuevo di Manuel Tamayo y Baus; Mendès ritirò allora l'accusa. L’opera s’intitolava originariamente Pagliaccio, ma il baritono francese Victor Maurel, che aiutò Leoncavallo ad organizzare la prima rappresentazione, non voleva che il suo ruolo (Tonio) passasse in secondo piano in favore di quello del tenore (Canio); l’editore, per evitare di mettere a rischio la prima, mutò il titolo in Pagliacci.

• Brani celebri “Si può?” “Son qua, ritornano! “Qual fiamma avea nel guardo” “Vesti la giubba” “No, Pagliaccio non son”

LA BOHÈME Il 6 maggio 1897 al teatro La Fenice di Venezia fu rappresentata per la prima volta La Bohème, opera lirica in quattro atti di Ruggero Leoncavallo, musicata su libretto del compositore stesso e ispirata al romanzo di Scènes de vie de bohème di Henry Murger (stessa fonte dell’omonima opera di Puccini e causa di un dissidio che avrebbe allontanato il compositore dal gruppo della Giovane Scuola). Il 14 aprile 1913 al Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo ebbe luogo la rappresentazione di una seconda versione col titolo Mimì Pinzon.

Trama • Atto I La scena si apre in un caffè di Parigi la sera della vigilia di Natale. Marcello, Schaunard, Rodolfo e Colline, quattro stravaganti artisti squattrinati, festeggiano e brindano allegramente in compagnia di Mimì, Eufemia e Musette. L'oste, che già ha il gruppo in antipatia, va su tutte le furie quando Marcello e Rodolfo scoprono di non poter pagare il conto. Durante un divertente litigio in cui i quattro artisti citano i grandi della letteratura classica, mentre l'oste insiste per essere pagato, il ricco Barbemuche entra in scena e si offre di saldare il conto in quanto "vero amico degli artisti". L'oste è euforico mentre i sette bohémiens rimangono sbalorditi. Per dare un senso di giustizia a tanta generosità, Rodolfo sfida orgogliosamente Barbemuche a biliardo: solo se Rodolfo vincerà il ricco Barbemuche offrirà la cena all'allegra compagnia. Rodolfo vince la partita e il gruppo di amici si lascia offrire la cena senza che il proprio orgoglio e la propria goliardia siano feriti. Durante il gioco Marcello si dichiara a Musette la quale, pur avvertendolo della sua inaffidabilità sentimentale, accetta di diventare la sua compagna. • Atto II Il secondo atto si apre in primavera, quando l'amore tra Marcello e Musette è più saldo che mai. Il banchiere che mantiene Musette non accetta però questa relazione e toglie alla ragazza il suo appartamento facendone pignorare i mobili. Musette, che voleva organizzare una festa nel suo appartamento, ne trova la porta chiusa e tutti i mobili in cortile. Lo spirito di improvvisazione bohémien convince Musette e Marcello a organizzare una festa nel cortile del palazzo. Nobili, cavalieri e letterati si godono la festa sotto le stelle finché il vicinato non insorge per il baccano e caccia gli invitati dal cortile. Durante la festa un giovane nobiluomo corteggia Mimì e le promette ogni ricchezza se lei lo avesse seguito. Mimì è indecisa e già sa che la vita bohémien le mancherà. Nonostante questo cede alle richieste del giovane Visconte e lo segue nella sua carrozza che parte alla volta dell'orizzonte. • Atto III Il terzo atto si svolge nell'appartamento di Marcello e Rodolfo alla fine dell'estate. Musette scrive una lettera struggente a Marcello dove lo informa che lo abbandona perché non è più in grado di sostenere la fame e le privazioni di una vita fatta di sola arte. Prima di fuggire incontra Mimì che, nella situazione opposta, vuole rinunciare agli agi del giovane Visconte per vivere del solo amore di Rodolfo. Marcello ascolta il loro colloquio nascosto dietro le scale e si convince che sia stata Mimì a convincere Musette a preferire il denaro all'amore. Anche Rodolfo entra in scena e, disgustato dalle accuse mosse a Mimì da Marcello, caccia Mimì che parte con Musette.

• Atto IV La scena si apre nell'appartamento dei bohémien che nostalgicamente ricordano quanto era stato lieto e pieno di speranza il Natale precedente. Marcello confessa di aver scritto una lettera a Musette in cui la implora di tornare da lui, almeno per un ultimo giorno. Mentre i quattro parlano, Mimì bussa la porta in fin di vita dilaniata dalla tosse. I quattro uomini accendono un fuoco per dare un po' di ristoro a Mimì. Nel frattempo Musette entra e dona i suoi gioielli per pagare un dottore e delle medicine per Mimì. Ogni sforzo sarà, però, vano perché Mimì morirà poco dopo tra le braccia del suo Rodolfo. CONFRONTO TRA LA BOHÈME DI PUCCINI E LA BOHÈME DI LEONCAVALLO

Scènes de la vie de bohème: è questo il nome della raccolta dei racconti di Henri Murger che ispirò due tra i massimi compositori operistici italiani, Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo. Si tratta di storie molto brevi e con un filo narrativo che dai più viene definito debole, ma comunque avvincente. La prima pubblicazione assoluta avvenne su "Le Corsair-Satan", un periodico francese che andava piuttosto di moda verso la fine degli anni Quaranta dell'800. Il soggetto in questione, comunque, cominciò a conoscere una sfortuna smisurata dopo la rappresentazione del dramma "La vie de bohème", un lavoro popolare e molto apprezzato dal pubblico. Tra questo pubblico, inoltre, Puccini e Leoncavallo furono colpiti dalla trama, tanto da pensare entrambi a una messa in musica. Tutti conoscono La Bohème, una delle opere più apprezzate di Puccini: come è stato raccontato da più parti, sembra che l'entusiasmo del compositore lucchese sia nato subito dopo la prima rappresentazione della Manon Lescaut (1° febbraio 1893). In effetti, lo stesso Puccini ne parlò in maniera convinta all'avvocato Carlo Nasi e a un giornalista nel corso di un viaggio in treno da Torino a Milano per assistere al debutto dell'ultima opera verdiana, il Falstaff. Lo stesso Nasi propose di tracciarne le scene e il giornalista di scrivere i versi necessari: in pratica, tutto nacque come uno scherzo, ma la divisione dei ruoli era già ben chiara. Il caso, però, volle che Puccini e Leoncavallo si incontrassero di lì a poco presso la Galleria De Cristoforis a Milano. I due scoprirono che i loro lavori coincidevano, anche Leoncavallo era pronto a sfornare la musica per la sua Bohème e si può anche comprendere la rabbia dell'autore di Pagliacci. In effetti, quest'ultimo si recò immediatamente da Edoardo Sonzogno, il suo editore nonché impresario della Scala, in modo da concordare una strategia pubblicitaria per far comprendere il suo diritto di precedenza. Sarebbe stato sufficiente aprire un giornale a caso in quel 1893 per accorgersi di tutto questo, con il Secolo che annunciava l'uscita imminente della nuova opera da parte del brillante autore della tanto amata Pagliacci, mentre il Corriere della Sera fu ancora più dettagliato. Nel giornale milanese, infatti, venne sottolineato come Leoncavallo stesse lavorando alla Bohème già da alcuni mesi, con il 1894 come anno previsto per la prima esecuzione, mentre invece Puccini si era interessato soltanto da pochissimi giorni. La polemica era abbastanza evidente, ma Puccini non pensò assolutamente a difendersi o a ribattere alle "accuse". Tra l'altro, i due nutrivano una reciproca simpatia e amicizia da diverso tempo: il compositore toscano fece però capire di non essere più in tempo per un ripensamento, anche se intenzionato a non provocare un danno all'amico. Alcune frasi di una sua lettera sono esemplificative di quello che stava per avvenire: Egli musichi, io musicherò. Il pubblico giudicherà. La precedenza in arte non implica che si debba interpretare il medesimo soggetto con uguali intendimenti artistici. La sfida doveva rimanere con due protagonisti e la storia, come è noto, ha dato ragione a Puccini. Per quale motivo? Anzitutto, Puccini riuscì a completare l'opera prima di Leoncavallo, tanto che le due première differiscono di ben quindici mesi (il 1° febbraio del 1896 il lucchese e il 6 maggio del 1897 il napoletano). A dire la verità fu Leoncavallo ad avere la meglio inizialmente, ma questo predominio non durò molto. In effetti, nella Bohème pucciniana ci sono emozioni e anche il controllo di queste ultime, un amalgama ben dosato di allegria e tristezza. Leoncavallo ha invece puntato sulla sua cultura letteraria e su un numero di personaggi maggiore, quindi vi sono alcune scene la cui assenza non provocherebbe nessuno stupore. Inoltre, un difetto della Bohème leoncavalliana consiste nella concentrazione eccessiva di allegria e euforia nella prima parte dell'opera, mentre la malinconia domina nella seconda. Puccini ha invece dosato con maggiore cura degli stati d'animo così contrastanti. Infine, lo stesso Leoncavallo non è riuscito a organizzare un lavoro pregevole in modo da non far distinguere troppo un atto dall'altro; Puccini ha adattato questo sistema è stato in grado di plasmare ogni scena ai cambiamenti sentimentali dei personaggi. • Bibliografia https://biografieonline.it/biografia-pietro-mascagni http://www.operalibera.net/joomla/approfondimenti/599-puccini-leoncavallo-e-la- boheme https://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_Ratcliff "Al Cuore della Letteratura: il secondo Ottocento", Roberto Carnero e Giuseppe Iannaccone, ED. Giunti TVP Editori, Treccani, 2018 http://www.cantarelopera.com/libretti-d-opera/cavalleria-rusticana-di-pietro- mascagni.php "GUGLIELMO RATCLIFF", MASCAGNI A UN PASSO DAL CAPOLAVORO www.lamagiadellopera.it www.librettidopera.it Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, stagione 2018/2019, "Un Mari à la Porte". "Cavalleria Rusticana" http://www.cantarelopera.com/libretti-d-opera/cavalleria-rusticana-di-pietro- mascagni.php https://it.wikipedia.org/wiki/Ruggero_Leoncavallo https://it.wikipedia.org/wiki/La_boh%C3%A8me_(Leoncavallo) https://www.gbopera.it/2019/08/ruggero-leoncavallo-1858-1919-100-3-la-boheme- 1897/