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ISSN 2284-4740

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la bêtise

IL VELTRONI TRUFFATO “Non voglio fare polemica con il segretario che ho votato alle primarie”. , “Corriere della sera”, 2 giugno 2017 LA TRUFFA DI FRANCESCHINI. SE CI SARANNO I NUMERI… “Trovo fuorviante e sbagliata l’equazione sistema tedesco uguale larghe intese. Non è così. Se ci sono i numeri, il Pd si alleerà con le forze più vicine: la sinistra e gli alleati centristi di oggi”. , “Repubblica”, 28 maggio 2017

ONOGROCRAZIA ACUTA E SENZA RIMEDIO “Pur di curare mia figlia mi sono affidato a delle maghe, degli stregoni che sono quelli che veramente lucrano sulle teorie no-vax e sono persone che ti fanno pagare 350 euro a visita più 1000 euro per farmaci galenici fabbricati in luoghi oscuri”. Davide Faraone, Sottosegretario Pd alla Salute, “La Gabbia, La7”, 24 maggio 2017

ALTRIMENTI SI DISTURBA IL TRESETTE “In Consiglio dei ministri, non si fa politica” , Pd, presidente del Consiglio, “La Stampa”, 28 maggio 2017

AHI SERVA STAMPA! GOVERNANCE AUTONOMA, PERCHÉ SCELTA PERSONALMENTE DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO “Ma l’idea di affidare a una governance autonoma il controllo della tivù pubblica, liberandola dalla morsa dei partiti, godeva invece, almeno sulla carta, di un diffuso consenso. Persino quello, a parole , dei partiti, in testa quello di Renzi”. Michele Serra, L’amaca, “Repubblica 2.0”, 3 giugno 2017

segue a pagina 12

Comitato di presidenza onoraria: Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Stefano Rodotà, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky. *Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016. Criticaliberalepuntoit – n. 067 di lunedì 05 giugno 2017 Quindicinale online, esce il primo e il terzo lunedì di ogni mese, scaricabile da www.criticaliberale.it Direttore responsabile: Enzo Marzo Direzione e redazione: via delle Carrozze, 19 - 00187 Roma Contatti: Tel 06.679.60.11 – E.mail: [email protected] - Sito internet: www.criticaliberale.it

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Indice

02 - bêtise, walter veltroni, dario franceschini, davide faraone, paolo gentiloni, , , fabrizio cicchitto, francesco schettino, claudio cerasa 02 - ahi serva stampa!, michele serra 08 - la biscondola, paolo bagnoli, padri e figli (furbastri) 10 - cronache da palazzo, riccardo mastrorillo, il wurstell, cioè gli scarti del porcellum camuffati da tedesco - la nuova legge elettorale 13 - la vita buona, valerio pocar, il sikh e i "nostri" valori 17 - lo spaccio delle idee, luca tedesco, il servizio civile obbligatorio? meglio l’esercito del lavoro di ernesto rossi, per italiani e non 19 - nota quacchera, gianmarco pondrano altavilla, per napoli città del confronto 21 - hanno collaborato

L’immagine di prima pagina è tratta da una edizione del Calendario rivoluzionario francese. Rappresenta ”Pratile”, che si concludeva il 18 giugno. Il nuovo Calendario, detto anche repubblicano, fu presentato alla “Convenzione nazionale” il 20 settembre 1793 e utilizzato in Francia a partire dal 24 ottobre 1793. Esso voleva rinnegare «l'era volgare, era della crudeltà, della menzogna, della perfidia, della schiavitù; essa è finita con la monarchia, fonte di tutti i nostri mali». Venne soppresso da Napoleone I con decreto del 22 fruttidoro anno XIII (9 settembre 1805), e il calendario gregoriano rientrò in vigore dal1º gennaio 1806. Un anno era diviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno più 5 (6 negli anni bisestili) aggiunti alla fine dell'anno per pareggiare il conto con l'anno tropico (365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi).

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Critica liberale il terzo lunedì di giugno riserverà ai suoi lettori una sorpresa

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per una consulta degli istituti, associazioni, siti, giornali ecc, dell'area di sinistra democratica e laica Questo invito è trasmesso a tutte le organizzazioni, fondazioni, istituti, associazioni, giornali, siti online, case editrici, con prevalenti interessi politico-culturali che si inscrivono in un’area liberale, azionista, liberalsocialista, socialista liberale, democratica, repubblicana e laica.

In una fase drammatica della nostra storia l’antipolitica ha sostituito la politica. Il ceto politico galleggia in un brodo di ignoranza, d’incapacità e di corruzione. In una totale dimenticanza che la caduta delle ideologie novecentesche, viste come sistemi onnicomprensivi, non significa affatto che la politica possa rinunciare a se stessa, ovvero al conflitto di ideali, interessi e valori politici contrapposti. Imperversano, così, cesarismo, populismo, trasformismo, qualunquismo e demagogia. Il tutto in una babele linguistica costruita non casualmente e non solo per ignoranza, in cui si è fatto perdere il significato delle parole per meglio far dimenticare e per meglio imbrogliare. L’attuale situazione ci appare disperata. Ognuno può avanzare ipotesi sulle cause del declino del nostro paese che appare inarrestabile. Probabilmente esso si può far risalire al consociativismo congenito in pseudo culture fallite e all’affermarsi di interessi spartitori. Il risultato più doloroso è di fronte agli occhi di tutti: la sinistra è in stato confusionale e presenta un vuoto che sembra incolmabile. Da decenni la sinistra italiana, proprio perché ridotta all’accordo del ceto politico post democristiano e post comunista, è stata incapace di contrapporre al becerume berlusconiano le regole dello stato di diritto e le politiche della modernità. Fino al paradosso che il disfacimento politico- organizzativo della Destra ha coinciso con la vincente estensione del suo marciume alla Sinistra, ormai - nella sua maggioranza - irriconoscibile e indistinguibile dalla Destra nei comportamenti, nei programmi, nella gestione del potere. Finora sta reggendo quel che resta della separazione dei poteri,

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non a caso la maggioranza delle riforme e dei tentativi di accentramento voluti dal centrosinistra sono stati smantellati dalla Corte costituzionale. E, quando sono stati consultati, dai cittadini. Una parte assai vasta della responsabilità di questa situazione dobbiamo purtroppo accreditarla alla mancanza di una politica laico-azionista. Suicidatisi in occasione della fine della Prima repubblica, i maggiorenti dell’area laica o non sono riusciti a elaborare il lutto per la scomparsa degli antichi leader, o hanno tradito ogni loro valore e da impudenti trasformisti si sono gettati nelle braccia della Destra più illiberale e si sono venduti per qualche poltrona. Lasciando così un vuoto incolmabile. In termini politici, sociali e culturali. Chi è convinto che l’attuale declino non può essere ribaltato se non riproponendo in forme rinnovate e senza il personale logorato del passato prossimo, le idee di una sinistra democratica, ha il dovere di adoperarsi per la costruzione di una nuova aggregazione politica. “Programma vasto”, si direbbe. Ma NON è questo il compito dell’iniziativa che vi proponiamo. Il nostro obiettivo è più limitato ma non meno ambizioso, costituisce un passo laterale a qualunque iniziativa politica presente e futura. Nasce dalla convinzione che la politica è guscio vuoto se non ha anche alle sue spalle un laboratorio plurale di idee e di analisi, nonché una memoria storica.

Per questo motivo crediamo che nell’attuale deserto culturale molti soggetti che resistono e si danno da fare per costruire e mantenere questo retroterra di sinistra laica debbano valutare la possibilità di realizzare una Consulta che, nel rispetto assoluto della libertà e delle specifiche “missioni” che ciascuna realtà si è scelte, sappia valorizzare e mettere in rete ogni singolo sforzo in modo da moltiplicarne gli esiti, la presenza, la visibilità, l’efficacia. Ed anche organizzare eventi in comune. La storia c’insegna che la spinta alla collaborazione e all’unitarietà non è propria degli usi e costumi della nostra area, che proprio per questo troppo sovente si è condannata all’emarginazione e all’irrilevanza. Tentiamo di rovesciare questa tendenza.

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Quindi vi invitiamo a un

SEMINARIO DELL’AREA LAICA per discutere assieme della formazione di una Consulta con gli scopi esclusivamente pratico-organizzativi descritti

Presso la Fondazione Critica liberale, venerdì 23 giugno 2017, alle ore 14, in via delle carrozze 19, Roma. Le associazioni ecc. che sono in possesso dei requisiti sopra accennati e sono interessate a discutere l’iniziativa facendosene anche co-organizzatrici, sono pregate di inviare la propria iscrizione a [email protected]

L’elenco aggiornato di coloro che si iscrivono al seminario viene pubblicato man mano sul sito: www.criticaliberale.it

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la biscondola padri e figli (furbastri) paolo bagnoli

Il nostro giornalismo è come il tempio di Giove serapide, si alza e si abbassa; fa bradisismo. Notizie, retroscena, mezze verità date come piene, titoloni e via dicendo riguardanti questa o quella notizia – e quasi sempre si tratta di reati o di presunti tali – improvvisamente scompaiono. La notizia si inabissa e chissà se tornerà a galla e come; insomma non è che interessi la notizia in sé e per sé, ma fare clamore, urlare, sparare titoloni, spargere insinuazioni altro che servire l’opinione pubblica che è, veramente, l’ultima preoccupazione di tale modo di fare giornalismo. Che questa sia la regola ne abbiamo, e ne abbiamo avute, numerosissime repliche. L’ultima è il caso Consip.

Ci domandiamo. Dei tanti bravi sceneggiatori italiani chissà se qualcuno avrebbe potuto scrivere un copione avvincente e parimenti triste come quello della vicenda Consip. In esso c’è così tanto di spettacolare che si potrebbe addirittura pensare a una fiction. Pardon, l’argomento potrebbe inaugurare una nuova stagione del neorealismo ispirato alla seconda Repubblica; quella nella quale, ci viene spontaneo da osservare, i figli pensano al governo e i padri al sottogoverno. Probabilmente, al pari di tanti conclamati scandali, alla fine anche questo non risulterà tale e, sinceramente, ce lo auguriamo essendo la furia giustizialista e la gogna mediatica due negatività che denotano la forte decadenza del costume e della moralità del nostro vivere comune da tempo al limite di un cinismo incivile.

La vicenda Consip, però, è una cosa seria. Su quanto essa ci squaderna, in attesa che la magistratura ci dica come la giudica, non si può da cittadini fare a meno di ragionare. Lo si dovrà fare ora e pure dopo poiché il passato ci ammaestra che spesso i risultati investigativi non reggono alla prova del diritto applicato. Ora, però, occorre ragionare sul presente. Ragionare, quindi, non giudicare.

Diversi giorni orsono si è venuti a conoscenza di una telefonata fatta da Matteo Renzi al padre. E’ deplorevole e di fatto vizio congenito del nostro presente che quanto dovrebbe rimanere nei cassetti venga messo in piazza. Tutte le volte la recita è sempre la

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stessa; ipocrita e di maniera poiché è chiaro che, se dai cassetti delle procure o degli investigatori, esce quanto non dovrebbe, bisognerebbe domandarsi semplicemente chi è che ha la chiave del cassetto. Sarebbe così facile risalire alle responsabilità, ma nessuno sembra avere quella forza che lo Stato democratico dovrebbe avere per agire. Quindi, lasciamo perdere. L’impressione è che la telefonata sia stata fatta proprio per essere conosciuta. Infatti, il segretario del Pd, commentando la rivelazione., si è subito affrettato a dichiarare: “Politicamente ne esco rafforzato”. E’ vero. Che poi il rafforzamento ci sia saranno i fatti a dirlo. Ancora una volta Matteo Renzi ha dimostrato di essere bravo a padroneggiare i canali della comunicazione. Non potendo non sapere che l’utenza del padre era sotto controllo se ne deduce che l’iniziativa era stata studiata anche se riteniamo che non sia stata facile perché mettere in difficoltà il proprio genitore non lo è mai.

Rimaniamo ai fatti. Il punto che ci sembra rilevante è che Matteo imputa al padre di non aver detto la verità. Testualmente: “Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati. Devi dire nomi e cognomi. E’ vero che hai fatto una cena con Romeo? Io non voglio essere preso in giro e tu in passato la verità non l’hai detta a Luca (il ministro Lotti) e non farmi aggiungere altro. Stai rovinando un’esperienza.”

Sono dichiarazioni forti da cui se ne deduce che a lui la verità risulta essere un’altra rispetto a quanto il padre ha detto a Luca Lotti. La domanda viene spontanea: quale è questa verità che può addirittura “rovinare un’esperienza”: vale a dire, il disegno politico che egli persegue. Sul chiaroscuro nel quale fino a oggi la vicenda Consip è avvolta, anche per le divergenze tra la Procura di Napoli e quella di Roma, cala un’ombra assai grande. Con quella telefonata Matteo Renzi sembra aver alzato uno scudo in merito a sviluppi così negativi per lui e per quanto rappresenta politicamente tali da rovinare, appunto, l’esperienza che sta cercando di metter in campo. Nell’immediato non perdere la sfida coi 5Stelle.

La sua preoccupazione è sicuramente più che comprensibile. Rimane il dubbio che egli sappia quanto il padre non vuole dire. E ora che il dado è tratto non sarebbe meglio che facesse conoscere a chi indaga il proprio punto di vista?

Spetta alla magistratura e ai suoi giudizi chiarire il tutto. Noi ci limitiamo a registrare, da cittadini che leggono i giornali, il livello avvilente cui siamo giunti e, con esso, la tristezza che s’impadronisce del nostro essere cittadini della Repubblica.

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cronache da palazzo il wurstell, cioè gli scarti del porcellum camuffati da tedesco la nuova legge elettorale riccardo mastrorillo

Mentre la I commissione della Camera ancora sta lavorando sul testo definitivo che verrà portato in Aula martedì 6 maggio, già sono chiari gli orientamenti dei principali partiti, per lo più interessati solo ad andare al voto il prima possibile, per capitalizzare la loro fase di presunta crescita, e assolutamente disinteressati sul merito della nuova legge elettorale, purché rigorosamente proporzionale.

Abbiamo già commentato il comportamento prevaricatore tenuto dal PD nei confronti del Presidente della I Commissione e relatore della legge elettorale. Dopo quel triste episodio il 18 maggio scorso il Partito democratico ha presentato tramite l'Onorevole Fiano, nuovo relatore, un testo base, che prescindendo da tutte le proposte fino a quel momento fatte, quindi privo di quell'afflato di mediazione che la prassi parlamentare vorrebbe per i testi base, introduceva un obbrobrio giuridico, spacciandolo per un sistema tedesco. La proposta del PD, sbandierata come tedesco, prevedeva un sistema proporzionale in cui risultavano eletti nell'ordine: i candidati nei collegi (inizialmente 303) che avessero preso più del 50% dei voti nel collegio, subito dopo i capilista del listino corto, ma rigorosamente bloccato, quindi i candidati nei collegi che fossero arrivati prima di tutti, il resto del listino bloccato e, finalmente, i candidati nei collegi, cioè coloro che si sono sottoposti al voto popolare, in ordine di percentuale (sistema di elezione del Senato e del consiglio provinciale, nella prima repubblica). Il paradosso di questa abominio era che, per un partito che superasse di poco il 5 %, la soglia di sbarramento fissata ormai definitivamente, un candidato nei collegi che avesse preso fino al 49,9% dei voti del collegio, si sarebbe visto privato del seggio, scavalcato dal capolista della lista bloccata. Nel corso delle sedute fiume della I Commissione, svoltesi il 3 e 4 giugno, sono state apportate alcune modifiche: i candidati arrivati primi nel collegio scavalcherebbero, bontà loro, i capilista della lista bloccata, nell'assegnazione dei seggi, ma resterebbe la priorità

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nell'assegnazione dei seggi alla lista bloccata, prima dei candidati sottoposti al voto popolare. Non siamo mai stati appassionati cultori delle preferenze, anzi le riteniamo uno strumento che favorisce i poteri forti e il voto organizzato, ma consideriamo altrettanto indegno la precedenza accordata alle liste bloccate rispetto a coloro che si misurano, nei collegi, con il consenso degli elettori. Quello che risulta indigeribile è che partiti quali il sedicente Democratico e il Movimento 5 stelle, che per anni hanno sostenuto l'indecenza del fatto che i candidati non fossero espressione della volontà popolare, abbiano respinto tutte le proposte di buon senso, per garantire che questo avvenisse. Almeno Forza Italia, ha sempre dichiarato apertamente la sua predilezione per i nominati, rispetto agli eletti.

Ci piace confrontare nei modi e nello stile, questa riforma con l'approvazione della legge Mattarella, avvenuta nell'estate del 1993. Mattarella propose alla I Commissione della Camera la sua proposta di testo base alla fine di maggio, tra il 1 e l'11 giugno la Commissione lavorò alacremente per arrivare all'1,15 di sabato 12 giugno all'approvazione del testo finale, non senza significative modifiche. Più di 10 giorni di dibattito e confronto in commissione, hanno partorito un sistema elettorale che, benché non perfetto, comunque ha garantito la transizione del paese ad un sistema maggioritario, una tenuta delle maggioranze indubbiamente più solida, senza imporre una riduzione dei partiti, che anzi alla fine sono proliferati rispetto alla Prima Repubblica.

Mattarella non si è mai sognato di incontrare delegazioni di gruppi parlamentari, come ha fatto Fiano, accompagnato dal Capogruppo, né tanto meno, nessun segretario di partito ha organizzato incontri bilaterali con altri partiti per chiedere loro di cosa avessero bisogno, senza nemmeno presentare loro una bozza di testo, ma promuovendo una tipologia di sistema, il tedesco, che non ha nulla a che vedere con quello effettivamente proposto, né con quello che sta uscendo dalle modifiche, oseremmo dire, di minima correzione estetica, di queste ore in commissione.

Mattarella presentò due diversi testi, uno per la Camera e uno per il Senato, compì un lavoro di sintesi e di mediazione, senza trattative, lasciando al corso democratico del lavoro parlamentare il compito di affinare e migliorare la sua proposta.

Oggi questo non è avvenuto, anche noi avremmo potuto e voluto dire la nostra opinione ma in parlamento, a parte qualche sparuto deputato laico, esistono tanti eminenti sedicenti liberali, ma manca totalmente quel filone culturale di una sinistra gobettiana, quella religione della critica tanto cara a Benedetto Croce, quell'afflato di diritto e di rigore incarnato da un Calamandrei. Davanti a noi c'è solo una pletora di cialtroni, che per giorni

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hanno tutti inneggiato al sistema tedesco, che peraltro a noi non piace, che altro non era che la sommatoria delle parti residue, dopo le durissime sentenze della Corte Costituzionale, dell'Italicum, nato morto, e del Porcellum tritandole nel Wurstell, con ingredienti a sorpresa, di questa ennesima pagliacciata. E' proprio vero che al peggio sembra non esserci fine.

segue da pagina 02 la bêtise

BOSCHI, MADIA, LOTTI, FARAONE ECC. ECC. “Dall'Italia aiuterò Barack a creare nuovi leader politici”. Matteo Renzi, “Corriere della sera”, 10 maggio

LE COLPE DEI FIGLI RICADONO SOPRA I PADRI “Umanamente mi dispiace per mio padre. È entrato in una storia più grande di lui e solo per il cognome che porta. Ieri, per la seconda volta, in tre mesi mio padre era all'ospedale di Careggi per un altro piccolo intervento al cuore. E alla fine mi viene da pensare che sia tutto per colpa mia, solo per il mio impegno in politica. Delle volte mi domando se tutto questo dolore abbia un senso”. Matteo Renzi, Face book, 16 maggio 2017

L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE: DAL BUNGA BUNGA DELLE OLGETTINE AL BUNGA BUNGA DI POVERI ANIMALI “Io la mattina alle 7 vado a passeggio nella bellezza del mio parco di Arcore con un seguito di 13 straordinari animali: ho cavalli, daini, caprette, 5 pecore, agnelli... A un certo punto gli 8 cani si sono messi tutti insieme e hanno dato baci con la lingua agli agnelli!” Silvio Berlusconi, presidente FI, 22 maggio 2017

LE LARGHE INTESE GELLIANE CONTRO L’EVERSIONE “Contro Renzi un disegno eversivo: per questo serve un governo di larghe intese”. Fabrizio Cicchitto, ex P2, ex braccio destro del piduista Berlusconi, parlamentare Api, “Il Dubbio”, 23 maggio 2017

LA SCIVOLATA “Non ho abbandonato la nave, sono scivolato dentro una scialuppa” Francesco Schettino, “L ibero”, 13 maggio 2017 I VERI MAGISTRATI DOVREBBERO ESSERE PROFESSIONISTI DELLA CORRUZIONE “Il dottor Davigo, insieme con i suoi discepoli, è diventato un professionista dell'anticorruzione” Claudio Cerasa, direttore de “ il Foglio”, 9 maggio 2017

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la vita buona il sikh e i "nostri" valori valerio pocar

Molto recentemente la Corte di cassazione ha pronunciato una sentenza che ha sollevato un certo clamore. Giudicando se sia lecito che un sikh porti abitualmente il kirpan, il pugnale rituale come prescrive la sua fede religiosa, la Corte ha negato la liceità di tale comportamento, richiamando la norma che vieta di girare armati, valutando la regola penale come prevalente sul diritto alla libertà religiosa. Nell'occasione, per giustificare questa scelta, la Corte ha anche enunciato un principio che merita, scusandoci della lunga citazione, di essere letto testualmente. “In una società multietnica la convivenza di etnie diverse richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si devono riconoscere. Se l’integrazione non richiede l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con l’art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. E’ quindi essenziale per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare previamente la congruità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante. La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi la unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere”.

La sentenza non ci convince e desta forti perplessità. Anzitutto perché, incautamente, l'argomentazione del supremo giudice ha offerto, si spera in modo involontario, combustibile a certe campagne xenofobe nei confronti degli immigrati. Le formazioni politiche di destra si sono, infatti, immediatamente lanciati sul ghiotto boccone

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a guisa di piranhas sulla preda sanguinante. In tempi così calamitosi sarebbe opportuno che le istituzioni osservassero una prudente saggezza verbale nelle loro esternazioni. Per restare alla cronaca recente, per esempio, la dichiarazione della signora Serracchiani - che non ci trova del tutto discordi dal punto di vista del contenuto - che l’immigrato che compie gesti gravi di violenza deve, una volta scontata la pena, essere espulso per aver tradito il patto di accoglienza, si è prestata, per via della sua formulazione, a una strumentalizzazione certamente non prevista né desiderata. Senza scomodare Dante che colloca all’estremo gradino dell’inferno i traditori dei benefattori, possiamo ammettere che lo straniero bene accolto debba tenere un comportamento almeno rispettoso delle norme penali, come del resto tutti quanti i cittadini, che peraltro non possono essere espulsi.

Qui si pone un'altra questione. La sentenza, infatti, desta perplessità, in secondo luogo, perché il tema, così controverso e delicato, del rapporto o meglio del conflitto tra il diritto positivo e i diritti fondamentali, compreso quello della libertà religiosa, avrebbe meritato un'argomentazione più ragionata e meno sbrigativa e tranchante. Su questi due aspetti, peraltro, si sono principalmente soffermati i commenti della stampa, che ha riportato diffusamente opinioni di diverso segno, alle quali si può attingere per formarsi la propria. Qui, invece, vorremmo toccare altre implicazioni che risultano sottovalutate.

Si parla, nella motivazione della sentenza, dei "nostri" valori ai quali i migranti dovrebbero conformarsi. Qui sorge una prima domanda. Quali mai sarebbero i "nostri" valori in un società pluralista, che, oltre tutto, dovrebbe anche essere laica? La sentenza parla addirittura di “unicità del tessuto culturale” del nostro Paese. Sommessamente, vorremmo osservare - e sperare - che i valori di un Salvini, di una Meloni, di un papa Francesco I, di un Berlusconi e magari anche di un Renzi, di un questo e di un quello non siano propri di tutti e certamente, per esempio, non coincidono coi miei. Persino il "valore" della laicità dello stato, che dovrebbe fondare la nostra convivenza civile ed essere proprio di tutti, è controverso e variamente inteso e, anzi, da taluno anche negato. Figuriamoci gli altri "valori". Sempreché, come in molte occasioni accade ed è accaduto, i valori di cui si parla non siano quelli condivisi e definiti dai componenti di una sezione della Corte di cassazione, che sarebbe difficoltoso per noi definire "nostri". Sappiamo perfettamente che alla base delle decisioni giurisprudenziali non sta un ragionamento strettamente giuridico e che l'interpretazione delle norme e la loro applicazione al caso concreto si nutre delle opinioni e della cultura del giudice, quando non si nutre delle sue viscere. Nulla di grave, perché non può non essere così. Solo, piacerebbe che i giudici ne fossero consapevoli e non fingessero, fino all’autoconvincimento, che le loro decisioni siano solamente il frutto di sillogismi giuridici. L'idea, per quanto errata e mitologica, sulla quale tuttavia riposa la loro

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autorevolezza, che i giudici ragionino e decidano solo sulla base delle regole giuridiche dovrebbe suggerire loro di argomentare in termini appunto solamente giuridici, senza sconfinare in modo pindarico in campi che non sono i loro. Argomentino dunque da giuristi e rifuggano da tentazioni filosofiche, sociologiche e antropologiche. Il guaio è, appunto, che da una lato non possono farne a meno, ma, dall'altro, che non sono né competenti di questo tipo di argomenti né sono consapevoli di usarli. Pazienza. Vogliamo solo aggiungere che il richiamo ai “valori del mondo occidentale” appare poco fondato, visto che negli Stati Uniti, come anche in Canada e nel Regno Unito, è riconosciuto il diritto dei sikh di portare il kirpan come elemento della loro identità e della libertà religiosa. Sempreché non si voglia sostenere che questi Paesi non fanno parte della cultura occidentale *.

Insomma, in soldoni. Se la Corte ci avesse detto che delle opinioni religiose dei sikh non si deve tener conto quando inducono a un comportamento che la nostra legge considera un reato, forse non saremmo qui a discuterne. Non perché la questione non sia controversa e non consenta soluzioni anche radicalmente differenti, ma perché, a cominciare dalla querelle sulla liceità del velo, la discussione è stata sufficientemente ampia perché ciascuno abbia potuto farsi la sua opinione, sicché qui avremmo solo da aggiungere la nostra.

L'inopportuno richiamo ai "nostri" valori apre, però, ancora una volta la discussione in merito alle scelte di politica giuridica e sociale nei confronti dei migranti. Tenendo ben presente che sull'argomento il piano descrittivo e quello prescrittivo si mescolano e pericolosamente si confondono - come del resto è facilmente dimostrabile da un'analisi anche sommarie delle ondivaghe leggi che in materia si sono succedute nell'ultimo quarto di secolo, dalla cd "legge Martelli" in qua - possiamo dire, in modo forse un po' troppo sbrigativo, che le opzioni sono sostanzialmente tre. Anzitutto, quella dell'assimilazione, per cui i migranti possono essere accettati solo se si adeguano alle nostre regole e ai nostri costumi rinunciando ai loro; poi, quella dell'integrazione, per cui i migranti devono essere accettati e si devono creare le condizioni perché desiderino conformarsi alle nostre regole e ai nostri costumi; infine, quella che, prendendo atto della presenza di una pluralità di etnie e di culture, progetta una società capace di accoglierle e di rispettarle tutte.

Si ritiene, prevalentemente, che queste opzioni siano tra loro contraddittorie e vicendevolmente si escludano. A noi non pare e pensiamo che, secondo le diverse circostanze, possa e debba applicarsi l'uno o l'altro criterio. Per esempio, le leggi penali e amministrative devono valere per tutti, cittadini e non cittadini, secondo il criterio

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dell'assimilazione, ferme restando però, anche per i non cittadini, le garanzie dei diritti fondamentali sanciti costituzionalmente. La sentenza dalla quale abbiamo preso le mosse ha applicato il criterio dell'assimilazione, ma in modo rude, non considerando adeguatamente la tutela del diritto alla libertà religiosa, e appare viziata dal pregiudizio della superiorità dei "nostri" valori rispetto a quelli propri di altre culture.

Al criterio dell'integrazione dovrebbe, invece, farsi ricorso in ogni campo della vita sociale, del lavoro, dei servizi, al fine di consentire, sia ai cittadini sia ai migranti, di desiderare la condivisione non già dei nostri valori, bensì della qualità della vita che la nostra società può offrire. Favorire i processi dell'integrazione porta a una società più omogenea nello stile di vita, nella quale cittadini e non cittadini possono riconoscersi come parte e non si sentono esclusi ed emarginati, nell'interesse della società stessa, che oggi deve temere la "radicalizzazione" dei soggetti meno fortunati.

Il progetto di una società multiculturale, poi, per quanto possa spesso apparire utopistico, non è altro che l'estensione del principio della laicità anche ai non cittadini. Richiamando gli argomenti svolti sopra a proposito del pluralismo dei valori, dobbiamo ammettere che, anche se in questo Paese non fosse mai arrivato un migrante straniero, saremmo comunque una società multiculturale, composta di cittadini con valori, opinioni, stili di vita e via dicendo quanto mai differenti. Chi scrive, che rivendica le sue origini lombardovenetofriulane, è un ammiratore della cultura siciliana, perché è diversa e perché stenta a comprenderla, e così lo stesso nei confronti di ogni altra cultura presente, non solo in questo paese. Senza giungere a dire che ogni individuo è portatore della sua propria cultura, per qualche aspetto differente dalla cultura degli altri individui. Stando così le cose, aggiungere un altro frutto a questa macedonia non dovrebbe apparire così temibile. Beninteso, e si chiude il cerchio, resta fermo che ogni cittadino e ogni non cittadino, nel momento in cui chiede il riconoscimento e il rispetto della sua cultura, trova, nel suo agire, il limite del rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla costituzione del paese ricevente e più in generale dei diritti umani. Non si potrà, per esempio, pretendere, in nome della propria cultura, di praticare le mutilazioni genitali sulle bambine, ma si potrà pretendere di edificare moschee senza troppe complicazioni, esattamente come si possono costruire chiese cristiane.

* Sul complesso rapporto tra norme e valori in una società pluralista si può vedere l’ottimo saggio di Francesco Belvisi Principi costituzionali: ‘dalla struttura alla funzione in “Diritto e questioni pubbliche”, 2016, 16/2, pp. 162-189

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lo spaccio delle idee il servizio civile obbligatorio? meglio l’esercito del lavoro di ernesto rossi, per italiani e non luca tedesco

«Il lavoro è anche il fattore principale di autostima, necessario a strutturare la vita delle persone e a dotarle di un ruolo sociale». Così Henning Meyer, docente presso la London School of Economics and Political Science, nell’intervista rilasciata alla “Lettura” del Corriere della sera del 14 maggio scorso.

Niente reddito di cittadinanza, dunque, pur sollecitato anche da liberisti come Milton Friedman; piuttosto «programmi di garanzia dell’occupazione […] per mantenere le persone attive e capaci di utilizzare le loro competenze». I governi, così, a fronte della probabilmente crescente disoccupazione tecnologica, si trasformerebbero in «datori di lavoro di ultima istanza»; questo «eviterebbe le cicatrici e si potrebbero promuovere attività di riqualificazione. I governi avrebbero uno strumento aggiuntivo per incentivare le attività socialmente utili».

«Programmi di lavori su scala nazionale» caldeggiava, fin dai primi anni Cinquanta, un altro liberista, il nostrano Ernesto Rossi. L’esercito del lavoro, recitava il titolo di un suo saggio apparso sul “Mondo” nel maggio 1950 (e meritoriamente ripubblicato da Gianmarco Pondrano Altavilla nella recentissima silloge di scritti rossiani, In difesa della governante di Calamandrei. Ernesto Rossi, mercato del lavoro e libertà, IBL Libri).

Erano tempi, quelli a cavallo tra anni Quaranta e Cinquanta, caratterizzati dalla linea De Gasperi-Einaudi-Pella, fatta di stabilità monetaria, guerra all’inflazione e risanamento del bilancio statale. La lotta alla disoccupazione non era di certo un assillo costante dei governi di allora. Rossi, invece, che pur vedeva piano Beveridge e salari minimi imposti per legge come fumo negli occhi, si prefiggeva nientepopodimeno che «abolire la miseria», come si intitolava un suo lavoro, pubblicato nel 1946.

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«Per attuare una seria politica in aiuto dei disoccupati - teorizzava Rossi nel saggio del 1950 - ed impiegare il maggior numero di braccia oggi inerti in opere veramente produttive, occorrerebbe preparare programmi di lavori su scala nazionale […]. Si dovrebbe dare la preferenza alle opere di rimboschimento, di irrigazione, di strade, di bonifiche, che, a parità di spesa, possano impiegare il maggior numero di braccia, e possano essere compiute con la maggiore percentuale di mano d’opera non qualificata. Contemporaneamente occorrerebbe porre allo studio tutti i difficili problemi finanziari, organizzativi e logistici che andrebbero risolti per far vivere, in caserme o in baracche, anche lontani dai centri abitati, reparti composti di parecchie migliaia di lavoratori […]. Nell’esercito del lavoro dovrebbero essere ammessi tutti coloro che si impegnassero ad accettarne la disciplina militare per un periodo minimo di tempo (mettiamo di un anno) alle condizioni stabilite nei bandi di arruolamento, consentendo ad essere trasferiti dovunque fosse necessario mandarli. Ogni lavoratore arruolato dovrebbe ricevere vitto, alloggio, vestiario ed una piccola somma in denaro per le minute spese […].Una volta che il sistema fosse entrato in piena efficienza, i sussidi di disoccupazione dovrebbero essere riservati soltanto agli invalidi ed agli altri lavoratori che, per qualsiasi ragione seriamente accertata, non potessero lavorare, od ai quali il governo non riuscisse ad offrire l’alternativa dell’arruolamento».

Recentemente la Ministra della Difesa Pinotti ha parlato della necessità di istituire un servizio civile obbligatorio «per utilizzare i giovani in ambiti di sicurezza sociale». Abbiamo poi il dovere, quantomeno morale, di accogliere i migranti che approdano sulle nostre coste, in fuga da regimi dispotici e dalla fame. I nostri dissestati conti pubblici non ci permettono di svolgere le più elementari azioni di manutenzione delle opere pubbliche: basta un acquazzone e i fiumi esondano; i manti stradali di molte delle nostre città sono groviere; la capitale è sepolta dall’immondizia. Perché allora non impiegare obbligatoriamente, in cambio di vitto, alloggio e della rossiana «piccola somma in denaro per minute spese», l’«esercito di disoccupati», italiani e stranieri, in quelle «opere di rimboschimento, di irrigazione, di strade, di bonifiche», sopra richiamate?

Allo Stato italiano il dovere di garantire standard minimi di qualità della vita a tutti coloro che si trovino sul territorio nazionale; a questi ultimi, italiani o stranieri che siano, il dovere, quando impossibilitati a partecipare al costo di quegli standard, di sdebitarsi e l’opportunità, tramite il lavoro, di guadagnare in dignità e autostima.

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nota quacchera per napoli città del confronto gianmarco pondrano altavilla

A fronte della deriva localista ed intollerante che sembra aver preso il sopravvento nella metropoli partenopea, si è lanciato l'appello, il cui testo è riprodotto di seguito. Tutti, napoletani o meno, sono invitati a sottoscriverlo, collegandosi alla piattaforma change.org sul quale è stato pubblicato. Probabilmente non sarà nulla più che un atto di testimonianza. Ma come sempre anche il semplice dire "no" dinanzi la marea montante dell'inciviltà ha il suo peso, considerando che il tacere non è nulla più che una forma di complicità.

Per Napoli città del confronto

Ai cittadini napoletani, Ai membri del Consiglio comunale e della Giunta, Al Sindaco gli ultimi mesi della nostra vita pubblica hanno visto Napoli al centro di avvenimenti e scontri politici che ne hanno offuscato la secolare reputazione di città aperta e ricca nella diversità. L'indegna guerriglia scatenata in concomitanza con la presenza di Matteo Salvini in città e l'appoggio di certa politica cittadina al boicottaggio culturale di Israele sono solo alcuni tra i molteplici esempi di una deriva, che dietro le bandiere di una supposta ideologia di tolleranza, ha condotto e sta conducendo sempre di più Napoli verso un'incultura della chiusura e della tacitazione di chi la pensa diversamente da noi. Invece di offrire spazi per il dialogo, anche serrato, tra opposte visioni; invece di creare momenti di dibattito, anche acceso, tra differenti posizioni; invece di favorire il fiorire di una pluralità di idee sì da arricchire la vita individuale e collettiva di noi tutti, sempre più abbiamo assistito a scelte di campo unilaterali che poco hanno a che fare con quella tolleranza e libertà che sono il pilastro di una società civile.

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Per questo, in nome di quell'Illuminismo della differenza che fa glorioso il nostro passato, i firmatari del presente appello invitano tutti i napoletani a mobilitarsi, ognuno con i propri mezzi, per favorire ed accrescere il confronto tra idee diverse in ogni ambito della vita comune. Invitano altresì il Consiglio comunale, la Giunta ed il Sindaco ad abbandonare qualsiasi forma di boicottaggio culturale nei riguardi di chiunque (soprattutto di chi non è in linea con le convinzioni dell'Amministrazione comunale) ed a mettere le strutture comunali a disposizione delle più svariate posizioni sociali e culturali presenti in città o che in città vogliano esprimersi, favorendo ove possibile il contraddittorio diretto ed eventualmente adoperandosi perchè ad eventi di una specifica matrice ideologica, seguano eventi della matrice ideologica opposta. Solo nella fornace degli spiriti confliggenti una civiltà può crescere e formarsi. In mancanza, non resterà altro - come ammoniva Gaetano Salvemini - che il rogo, il colpo alla nuca o il manganello.

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hanno collaborato in questo numero: paolo bagnoli, è Docente di Storia delle Dottrine Politiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano e l'Università degli Studi di Siena, è stato eletto Senatore nella XII legislatura, ed è direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Studioso del pensiero politico otto-novecentesco, ha fornito contributi importanti sul pensiero politico di Giuseppe Montanelli, Gaetano Mosca, Giovanni Papini, sul liberalsocialismo e, in particolare, sulle figure di Piero Gobetti e Carlo Rosselli. Attualmente è il direttore della Rivista Storica del Socialismo. riccardo mastrorillo, nato a Roma il 26 marzo 1969, è stato dirigente della Gioventù Liberale, Amministratore di società, Presidente della Federazione di Roma e dirigente nazionale dei Verdi, fino a quando non ha contribuito alla fondazione di Sinistra Ecologia Libertà, di cui attualmente è il responsabile Elettorale. Nonostante sia da sempre frequentatore della “Casta” e dei “Palazzi”, è convinto di essere rimasto sano. valerio pocar, è stato professore di Sociologia e di Sociologia del Diritto a Messina e nell'Università di Milano-Bicocca; è stato presidente della Consulta di Bioetica. Dal 2002 è membro del direttivo nazionale del Movimento Antispecista. E' Garante del comune di Milano per la tutela degli animali. Tra le sue ultime opere: Guida al diritto contemporaneo, Laterza, 2002; Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti, Laterza, 2005; La famiglia e il diritto, Laterza, 2008 (scritto con Paola Ronfani). gianmarco pondrano altavilla, è direttore del Centro di studi storici, politici e sociali "Gaetano Salvemini", nonché coordinatore dell'"Archivio storico del Sannio - Rivista di studi storico-politici". Autore di numerosi saggi dedicati prevalentemente al pensiero liberale, collabora con diverse testate giornalistiche e con Radio Radicale, per la quale conduce la rubrica culturale "Italiani per sbaglio". luca tedesco, nato a Roma il 16 luglio del 1970, è Dottore di Ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici, Ricercatore in Storia contemporanea, Docente Erasmus, Membro del Collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in Teoria e ricerca educativa e sociale presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Direttore scientifico della Collana editoriale Liberismi italiani dell’Istituto Bruno Leoni di Torino. Ha conseguito nel 1996 un premio per tesi di laurea bandito dal fondo Carlo Leuzzi presso il Senato della Repubblica.

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nei numeri precedenti: massimo a. alberizzi, arianna antonelli, paolo bagnoli, luciano belli paci, alberto benzoni, felice besostri, paolo bonetti, giuseppe bozzi, danilo campanella, antonio caputo, pier paolo caserta, gim cassano, pippo civati, rosario coco, massimo colaiacomo, guido compagna, andrea costa, roberto della seta, angelo “ciccio” delsanto, paolo ercolani, giulio ercolessi, silvano fagiani, paolo fai, filomena fantarella, michele fianco, sergio finardi, maurizio fumo, livio ghersi, vito francesco gironda, franco grillini, marco inghilleri, giovanni la torre, francesca lagatta, walter lapini, domenico letizia, sandro mancini, mariarosaria manfredonia, enzo marzo, riccardo mastrorillo, claudio maretto, alessandro paesano, enzo palumbo, vanna palumbo, giacomo paoloni, rolando parachini, giovanna paradiso, gaetano pecora, pierfranco pellizzetti, giovanni perazzoli, stefano pietrosanti, paolo pileri, valerio pocar, pietro polito, gianmarco pondrano altavilla, alessandro roncaglia, enrica rota, antonia sani, sentinelle in poltrona, francesco somaini, giancarlo tartaglia, maria gigliola toniollo, paul tout, un travet, federico tulli, giovanni vetritto, mino vianello, gianfranco viesti, marcello vigli, tommaso visone, francesco zanardi. noblog: giuseppe alù, massimo castellari, franco pelella. scritti di: benedetto croce, luigi einaudi, giovanni giolitti, john stuart mill, octavio paz, gaetano salvemini, paolo sylos labini, giorgio telmon. involontari: vittoriana abate, mario adinolfi, , angelino alfano, michele anzaldi, antonello aurigemma, antonio azzolini, lucio barani, roberto benigni, silvio berlusconi, , fausto bertinotti, lella bertinotti, guido bertolaso, cardinal tarcisio bertone, laura boldrini, maria elena boschi, umberto bossi, fabrizio bracconeri, renato brunetta, gianluca buonanno, raffaele cantone, daniele capezzone, ernesto carbone, aldo cazzullo, claudio cerasa, giulietto chiesa, pasquale cicala, tiziana ciprini, tommaso ciriaco, luca cordero di montezemolo, patrizio cuccioletta, salvatore cuffaro, , elena curti, massimo d'alema, erasmo d'angelis, vincenzo d'anna, vincenzo de luca, luigi de magistris, paola de michelis, ciriaco de mita, don luigi de rosa, graziano del rio, alessandro di battista, luigi di maio, manlio di stefano, lorenzo damiano, michele emiliano, filippo facci, don livio fanzaga, davide faraone, stefano fassina, piero fassino, elena fattori, emilio fede, giuseppe ferrandino, giuliano ferrara, paolo ferrero, , don gino flaim, dario franceschini, francesco, maurizio gasparri, niccolò ghedini, beppe grillo, paolo griseri, , federica guidi, paolo guzzanti, “il foglio”, antonio ingroia, elisa isoardi, “lega nord” trieste, “legali di grillo”, gianni liviano, padre livio, alessandra longo, luca lotti, maurizio lupi, giancarlo magalli, monica maggioni, malena, curzio maltese, alfio marchini, clemente mastella, maria teresa meli, eduardo melisse, gianfranco miccichè, gennaro migliore, federica mogherini, nicola morra, gerhard ludwig müller, giorgio napolitano, dario nardella, matteo orfini, andrea orlando, pier carlo padoan, andrea pamparana, antonio pennacchi, don angelo perego, gianluca pini, roberta pinotti, giovanni pitruzzella, giuliano poletti, antonio polito, laura ravetto, matteo renzi, tiziano renzi, “repubblica.2”, salvo riina, saverio romano, fabrizio rondolino, licia ronzulli, renzo rosati, ettore rosato, enrico rossi, cardinale camillo ruini, giuseppe sala, alessandro sallusti, matteo salvini, daniela santanchè, david sassoli, roberto saviano, mario sberna, eugenio scalfari, renato schifani, michele serra, , vittorio sgarbi, francesco storace, yosef tabatabei, alessio tacconi, paola taverna, sara tommasi, alexis tsipras, donald trump, “unità”, joachim navarro valls, vauro, nichi vendola, francesco verderami, denis verdini, p. valentino, bruno vespa, giovanna vitale, giorgio vittadini, enrico zanetti.

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