Vincenzo Camuccini e i Maestri dell’Accademia di San Luca Il racconto storico nella pittura dell’Ottocento

a cura di Rocambole Garufi Vincenzo Camuccini

Direttore della romana Accademia di San Luca, dove Sebastiano Guzzone fu allievo diverse volte premiato, Vincenzo Camuccini ebbe un’importanza notevolissima nell’impostazione “teatrale” dei quadri italiani.

Si pensi, per capirlo, ai “Vespri siciliani” del veneziano Francesco Hayez, tanto frainteso da Giulio Carlo Argan nel suo sopravvalutato manuale (L’arte moderna).

In effetti, mettere a paragone la pittura di un David con la coeva pittura italiana appare piuttosto scorretto, se si tiene conto della cultura dei due popoli. L’Italia, più che in una dimensione storica, ha trovato la sua vera identità nello spettacolo, inteso come “recita” della Storia e dei valori condivisi.

L’Italia è la terra del melodramma e della novellistica (si pensi, per l’Ottocento al Di Giacomo, al Fucini, al Verga… fino ad arrivare allo stesso Pirandello). Non c’è, in Italia, il comune sentire dei forti scontri sociali o identitari. Possono esserci vampate ribellistiche, ma certamente non la sistematica, e troppo spesso tragica, coerenza dei francesi, dei russi, dei tedeschi.

Guzzone ne fu un interprete eccelso – superando lo stesso Camuccini e, in parte, lo Hayez -, perché cosciente delle dimensione “colloquiale” che da noi ha il discorso artistico.

Solo alla luce di questa premessa vale la pena di riscoprirne l’opera… soprattutto mettendo da parte i principali nemici di ogni vera cultura: i narcisismi provinciali, le arbitrarie superbie delle caste culturali, la barbarie di essere sordi alle voci non acquisite al sistema.

(Rocambole Garufi)

“Guido Reni gli suggerisce l’equilibrio dinamico dei gruppi; i quali, violentemente percossi da luci e ombre obliquamente proiettate, traducono in spettacolo propriamente teatrale quell’eco del naturalismo caravaggesco ancora percettibile in tanta parte del primo Settecento romano. Ne risulta una declamatoria dignità, un’aspirazione a classico rigore, che non diventa (come nel Marat davidiano) eloquente espressione di appassionato impegno ideologico, così come non la sfiora l’inquietudine fantastica dei chiaroscuri preromantici. Quegli schizzi, tecnicamente affascinanti per la bella sicurezza del tratto, riflettono, in sostanza, il clima culturale in cui Vincenzo Monti pochi anni prima aveva elaborato l’Aristodemo e il Caio Gracco […]e intanto si cimentava onorevolmente con la recente tecnica della litografia (IDioscuri). Fece il ritratto di Maria Luisa di Borbone (Pitti) e per la stessa dipinse Cornelia madre dei Gracchi(Lucca, Pal. ducale); seguirono le Storie di Attilio Regolo per casa Capeletti, a Roma; il Furio Camillo del palazzo reale di Genova”(Anna Bovero – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 17 (1974)

Vincenzo Camuccini (1771 – 1844), Attilio Regolo ritorna a Cartagine, stampa, Museo Vincenzo Camuccini (1771 – 1844), Virgilio legge l’Eneide ad Augusto, stampa, Museo Vincenzo Camuccini, Cornelia e i Gracchi, edizioni di Seb. Avanzo – , stampa, Museo Vincenzo Camuccini, L’incorruttibile console Manio Cùrio Dentato, stampa, Museo Vincenzo Camuccini, Collattino celebrante le virtù di Lucrezia offesa da Tarquinio, stampa, Museo Vincenzo Camuccini, Le donne consegnano i tesori ai vincitori, Edizioni di Seb. Avanzo – Paris, Museo Vincenzo Camuccini, La coragiosa Timocle davanti ad Alessandro il Grande, stampa, Museo Ignoto, Città espugnate da Carlo Gustavo Wrangeli (24 ottobre 1657). Stampa, Museoe Vincenzo Camuccini Figlio di Giovanni Battista, commerciante in carbone di famiglia ligure, e di Teresa Rotti, nacque a Roma il 22 febbr. 1771. Incoraggiato e materialmente sostenuto dal fratello maggiore Pietro, iniziò il suo tirocinio pittorico nello studio di D. Corvi, stimato maestro e accademico di S. Luca. Incline agli effetti drammatici dei contrasti di luce e d'ombra, di lontana ascendenza caravaggesca, il Corvi era tuttavia ossequiente alle soluzioni classicheggianti proposte alla pittura del Settecento romano dalla preponderante autorità di ; e agli alunni trasmise i modi tipici di quell'accademismo, tutt'altro che dogmatico, come dimostrano gli esiti diversi di un Landi e di un Cades, condiscepoli del Camuccini. Questi, in ogni modo, alieno da nostalgie settecentesche come da umori preromantici, imboccò senza esitare la via del classicismo e temprò la sua cultura non tanto sugli esempi del Batoni, quanto nello studio sistematico dell'antico e del Cinquecento: studio attestato da disegni numerosissimi e anche da qualche dipinto. A prescindere dal Sacrificio di Noè, esercitazione di scolaro quattordicenne, convien citare, come già significativa dell'interpretazione neoclassica di Raffaello, la copia della Deposizione (1789) eseguita dal C. per lord Bristol (Roma, propr. Camuccini). A fondare teoricamente la cultura del giovane pittore provvedevano, fra il 1780 e l'84, le Opere del Mengs, edite dal D'Azara, gli scritti di F. Milizia e, soprattutto, la Storia delle arti del disegno presso gli antichi del Winckelmann, allora appunto tradotta in italiano; e vi provvedeva anche l'attività instancabile di Ennio Quirino Visconti, con le prime, esemplari illustrazioni del Museo Pio Clementino (1783-1807). Fra i pittori che in quei giorni tenevano il campo, il C. dovette seguire sopra tutti Gavin Hamilton come l'interprete più ortodosso del "bello ideale"; e, nella scia dell'inglese, egli si trovò a dipingere, nel 1790, la scena di Archelao con Paride fanciullo per un soffitto della villa Borghese, rinnovata in quegli anni sotto la direzione dell'Asprucci, e palestra dei giovani artisti romani. Degli anni successivi conserviamo un folto gruppo di schizzi a penna acquerellati (Cantalupo, coll. Camuccini) e alcuni bozzetti (ibid.; Roma, Gall. naz. d'arte moderna; Napoli, Gall. naz. di Capodimonte) a documentare la lunga e complessa elaborazione delle opere che dovevano assicurare al C. l'ammirazione del pubblico e far di lui il protagonista della pittura ufficiale in Roma: la Morte di Virginia (1793-1804) e la Morte di Cesare (1793-1807). Poco ci dicono oggi le due vaste, scolorite, troppo rilisciate composizioni, esposte a Napoli, nella Galleria nazionale di Capodimonte; ben altrimenti interessanti riescono i bozzetti, rapidi e vivaci nell'estrema semplificazione delle forme, e ancor più i disegni, le "prime idee" che svelano chiaramente le profonde radici culturali del pittore nel classicismo del Seicento romano: poiché alla prospettiva raffaellesca egli non giunge per via diretta, ma per il tramite del Domenichino e del più severo Poussin, così come Guido Reni gli suggerisce l'equilibrio dinamico dei gruppi; i quali, violentemente percossi da luci e ombre obliquamente proiettate, traducono in spettacolo propriamente teatrale quell'eco del naturalismo caravaggesco ancora percettibile in tanta parte del primo Settecento romano. Ne risulta una declamatoria dignità, un'aspirazione a classico rigore, che non diventa (come nel Marat davidiano) eloquente espressione di appassionato impegno ideologico, così come non la sfiora l'inquietudine fantastica dei chiaroscuri preromantici. Quegli schizzi, tecnicamente affascinanti per la bella sicurezza del tratto, riflettono, in sostanza, il clima culturale in cui Vincenzo Monti pochi anni prima aveva elaborato l'Aristodemo e il Caio Gracco. Il Monti, che era in rapporti personali con il C., abbandonò Roma durante la rivoluzione del 1798; anche il pittore se ne allontanò temporaneamente e, consigliato forse dall'amico P. Benvenuti, se ne andò a completar la propria cultura in Firenze, dove conobbe Luigi Sabatelli. Cozì si compiva quel cerchio di strettissimi rapporti e scambi di esperienze che già si era delineato con l'amicizia fra il C., il Bossi e l'Appiani. Passata la tempesta, il C. rimpatriava, e la sua fama crescente lo faceva accogliere, nel 1802, nell'Accademia di S. Luca, dove resta un suo Ritrovamento di Paride (il bozzetto, conservato a Londra, propr. sir A. Blunt, è stato esposto nel 1972 alla mostra londinese The Age of Neo- Classicism: vedi catal., n. 40, p. 26). L'anno successivo Pio VII nominò il C. direttore dei mosaici di S. Pietro (Arch. della Rev. Fabbr. di S. Pietro: I piano, serie 3, pacco 14, f. 3171, ed egli fornirà per il transetto della basilica il cartone dell'Incredulità di S. Tommaso (Guattani, I, pp. 36 s.). Principe dell'Accademia di S. Luca dal 1806 (benché non avesse ancora l'età richiesta dallo statuto), il C. era ormai l'incontrastato dittatore della pittura romana. I quadri di soggetto religioso lo dimostrano fedele agli effetti chiaroscurali del suo maestro Corvi (Presentazione al Tempio, 1806, , S. Giovanni; G. G. De Rossi, Lettera... baron de Schubart..., s.l. né d.; P. Giordani, Sopra un dipinto..., in Scritti..., I, Milano 1856, pp. 122-132); l'artista appare inoltre brillante, anche se non profondo osservatore, nei numerosi ritratti grandiosamente impostati dei personaggi più in vista nella società e nella cultura: Thorvaldsen, 1808, Roma, Accademia di S. Luca (altra versione a Roma, propr. Di Bagno); il Duca di Blacas, 1819, Cantalupo, collezione Camuccini; l'Autoritratto (è stato distrutto dalla guerra l'Autoritratto più celebre del pittore, ill. in Capitolium, VIII [1932], p. 71, ne esiste un altro, in età matura, incompiuto, nella collezione Camuccini, a Cantalupo), o in altri pittoricamente piacevoli per le tinte prevalentemente chiare e la franchezza del tocco, sì da riuscire di una freschezza insospettabile nelle opere di tono ufficiale: così ritratti dei figli Giovan Battista e Teresa (Cantalupo, coll. Camuccini). Stabilitosi il dominio francese in Roma, piovvero sul pittore onori e ordinazioni. Visitò Monaco e Parigi nell'anno 1810; attorno a questa data dipinse il Tolomeo Filadelfo e il Carlo Magno che convoca i dotti italiani, oggi a Montecitorio, per Carlo IV di Spagna una Deposizione, per l'ex ministro Godoy un Orazio Coclite (Thieme-Becker) e intanto si cimentava onorevolmente con la recente tecnica della litografia (IDioscuri). Fece il ritratto di Maria Luisa di Borbone (Pitti) e per la stessa dipinse Cornelia madre dei Gracchi (Lucca, Pal. ducale); seguirono le Storie di Attilio Regolo per casa Capeletti, a Roma; il Furio Camillo del palazzo reale di Genova; per casa Baglioni a Perugia, nel 1812, l'Ingresso di Malatesta Baglioni IV a Perugia e Astorre II Baglioni riconquista una bandiera (S. Siepi, Descriz. topologico-istorica della città di Perugia, Perugia 1822, II, pp. 642 s., pitture vendute in Francia agli inizi del secolo). Nel 1812-13 il C. con G. Landi fu tra gli artisti scelti da A. Stern per il rinnovo del pal. del Quirinale (D. Ternois, Napoléon et la décorat. du palais..., in Revue de l'art, 1970, 7, pp. 68-70). La medesima scolastica compostezza impronta i soggetti classici e quelli tratti dalla storia più recente, in un eclettismo grato agli illustri committenti, mentre, col passar degli anni, si appesantisce il chiaroscuro dei quadri sacri (Giuditta, 1812, Alzano Lombardo, parrocchiale; lo stesso soggetto, 1826, Bergamo, Accademia Carrara). Reintegrato nei suoi domini, Pio VII si fece ritrarre dal C. (Tarquinia, Museo) e il 12 ag. 1814 lo nominò ispettore alla conservazione delle pubbliche pitture in Roma, carica che mantenne con "encomiabile serietà" sino al 1824 (Corbo). Ferdinando I di Napoli già aveva posato per il C. (Napoli, pal. reale; bozzetto a Roma, propr. Camuccini); Francesco I, sul trono nel 1825, lo nominò direttore dell'Accad. napoletana a Roma e lo incaricò di riordinare la Galleria di Napoli. Nel clima della Restaurazione s'infittiscono, com'è naturale, le ordinazioni di soggetto sacro: dal S.Orso (1821) per il duomo di Ravenna ai SS.Simone e Giuda per S. Pietro. Benché non abbandoni i temi classici (un Congedo di Attilio Regolo, 1824, recentemente adattato come sovrapporta in palazzo Altieri [vedi A. Schiavo, Pal. Altieri, Roma s. d., p. 122]; un Ritrovamento di Romolo e Remo, 1825, Roma, Accademia di S. Luca; un Collatino celebrante la virtù di Lucrezia, 1825, per il conte Apponyi), il pittore fra il 1823, e il '25 s'impegna in una serie di ottantaquattro litografie sui Fatti della vita di Nostro Signor Gesù Cristo: significativa testimonianza dell'"arte sacra" negli anni di papa Leone XII. Pio VIII, appena eletto, volle un ritratto dal C. (1829, Cesena, Pinacoteca), che nominò barone; e l'anno dopo gli affidò il riordinamento della Pinacoteca vaticana. Qui il pittore fece trasportare, fra l'altro, il Platina inginocchiato davanti a Sisto IV di Melozzo da Forlì, dalla basilica dei SS. Apostoli, la Crocifissione di s. Pietro di Guido Reni e la Comunione di s. Girolamo del Domenichino (sostituì gli ultimi due con copie di sua mano sugli altari di S. Pietro in Montorio e S. Girolamo alla Carità). Intanto forniva un Miracolo di S. Francesco da Paola all'omonima chiesa di Napoli (1830-35; tuttora in loco), un S. Agostino e un S.Gregorio a S. Nicola di Catania (1833). Del C. è la lunetta con S. Paolo sollevato al terzo cielo nell'abside della ricostruita basilica ostiense (1840), per la quale già aveva dipinto (1823) una Conversione di s. Paolo, altare del transetto sinistro, e una Assunta (dispersa). Nella collezione degli eredi, a Cantalupo in Sabina, si trova ancora una Deposizione, destinata al duomo di Terracina (1841: vedi T. Barberi, Dell'ultimo lavoro del barone V. C., Roma 1845), a cui si possono aggiungere una Madonna del Soccorso in S. Pietro a Montelanico e una Madonna del rifugio a Torri in Sabina. Finché una paralisi, il 19 febbraio del 1842, non gli vietò l'uso dei pennelli, il C. continuò la sua attività di ritrattista (Ilcard. Benedetto Naro Patrizi Montoro, Roma Gall. Spada; Lo scultore G. De Fabris, 1830, Roma, Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon). In questo campo oltreché nei disegni, giustamente pregiati dal Cicognara, il C. lasciò il meglio di sé, e la critica recente lo ha avvicinato all'inglese Th. Lawrence per le sue doti di mondana eleganza. Il C. morì a Roma il 2 sett. 1844. Nel 1841 il C., che già si era occupato della divisione della collezione Barberini tra i Barberini stessi e gli Sciarra Colonna, fu tra i compilatori del catalogo dei quadri della collezione del cardinale Fesch. Il figlio Giovanni Battista, con il ricavato (80.000 scudi) della vendita, al duca di Northumberland, della collezione di quadri iniziata da Pietro Camuccini e ampliata dal C., acquistò (1855) il castello di Cantalupo in Sabina; in esso si conservano tuttora, oltre a opere del C., dipinti dell'originaria collezione, autografi, reperti archeologici, armi.

Fonti e Bibl.: Cantalupo in Sabina, Arch. privato Camuccini; oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 482 s., si veda: [G. A. Guattani], Memorie enciclopediche romane…, I (1806), pp. 10, 36 s.; II (1807), pp. 58 s.; III (1808), pp. 99 ss.; Lettere di L. Cicognara a F. Nenci, in Paragone, XV (1964), 177, pp. 67-75; V. Pulli Filotico, Su tre quadri... per Napoli..., Napoli 1841; P. E. Visconti, Notizie intorno la vita e le opere del barone V. E., Roma 1845; A. D'Este, Mem. di A. Canova, Firenze 1864, pp. 438, 448, 452 s.; C. Falconieri, Vita di V. C. ..., Roma 1875; G. Stopiti, C. V., Roma s.d.; F. Pfister, Disegni di V. C., in Boll. d'arte, VIII (1928), pp. 21-30; B. Lupi Manciola, Il pitt. V. C., in Latina Gens, XIII (1935), pp. 148-162 (è descritta anche la coll. Camuccini); E. Lavagnino L'arte moderna, I, Torino 1956, ad Indicem; C. M. Brizio, Ottocento, Novecento, Torino 1962, ad Indicem; A. Ottino Della Chiesa, Il neoclassicismo nella pittura italiana, Milano 1967, p. 92; J. B. Hartmann, La vicenda di una dimora principesca romana (... pal. Torlonia ... ), Roma 1967, ad Ind.; A. M. Corbo, Il restauro delle pitture a Roma dal 1814…, in Commentari, XX (1969), pp. 237-243; F. Ceccopieri Maruffi, V. C. pitt. romano, in Strenna dei romanisti, XXX (1969), pp. 80-83; A. P. Quinsac, Ottocento painting, Columbia Museum of Art, Columbia, S. C., 1972 (catal.), pp. 59 s.; Cultura neoclassica e romantica nella Toscana granducale, Firenze 1972, ad Indicem; S. Pinto, Quadri neoclassici a Lucca..., in Arte illustrata, 1973, 55-56, pp. 393-395; Enc. Ital., VIII, pp. 620 s.

Francesco Coghetti (Bergamo il 12 luglio 1801 – Roma 20 aprile 1875) Figlio di Giuseppe di Caterina Baldi, spesso il C. viene confuso con il quasi omonimo Luigi Cochetti romano, anch'egli pittore, contemporaneo e compagno, a Roma, in importanti imprese, quali la decorazione della villa Torlonia sulla Nomentana e di S. Paolo fuori le Mura. Fondamentale, per una distinzione tra i due e l'esatta biografia del C., è l'accurato opuscolo del Pinetti, che utilizzò un cospicuo fondo di lettere, carte e appunti vari (Fondo Coghetti) conservato alla Biblioteca civica di Bergamo; anche se, per campanilismo, il biografo bergamasco riferisce al C. alcune opere del Cochetti romano, e cioè una gran parte dei dipinti eseguiti nella villa e nel palazzo Torlonia. Dal Pinetti si apprende che il giovane C. fu inizialmente avviato agli studi letterari e filosofici, e che solo dopo i cinque anni del ginnasio si iscrisse, quindicenne, all'Accademia Carrara nella sua città l'anno accademico 1816-17, insieme con Giuseppe Carnovali ("il Piccio") allora undicenne, con il quale strinse un'amicizia che durò tutta la vita. All'Accademia Carrara insegnava a quel tempo G. Diotti che in epoca di pieno neoclassicismo si manteneva fedele ad un cromatismo di tradizione lombardo-veneta; e infatti, una particolare sensibilità per il colore è evidente anche nelle opere giovanili e della prima maturità del C., nonostante l'adesione ad un tardo neoclassicismo venato di accenti puristi.

Alla fine del 1821 (e non nel 1826 come vuole l'Ojetti, 1929, o nel 1830 come scrive il Pesci, 1907) il C. si trasferì a Roma, dove venne accolto nello studio di V. Camuccini. Il 16 ag. 1825 sposò nella parrocchia dei SS. Vincenzo e Anastasio (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Atti) Giacinta Martinazzi, romana, e con lei andò ad abitare in via delle Muratte, al n. 92. Più tardi aprì uno studio in palazzo Altemps in via di S. Apollinare, n. 8; lo lasciò nel 1871, con il declinare della sua fortuna di pittore.

Le sue prime opere pubbliche furono per la sua terra di origine, anche se vennero eseguite a Roma: per la parrocchiale di Almenno San Bartolomeo (Bergamo) eseguì la Presentazione di Gesù al tempio nel 1825; per la chiesa di S. Michele dell'Arco in Bergamo, I ss. Aldeida,Antonio,Michele e Lupo nel 1828 (nel 1861 la tela fu inviata all'Esposizione nazionale di Firenze). Sempre a Bergamo affrescò la cappella Santacroce nel vescovado (L'Eterno e I quattro Evangelisti, 1831-32) e dipinse il Ritratto di mons. Gritti-Morlacchi (sagrestia del duomo, 1832); a Calcinate (dintorni di Bergamo) inviò l'Assunta per la chiesa parrocchiale, iniziata a Roma nel 1829, ma terminata soltanto nel 1831. Dello stesso anno, 1831, è il celebre Ritratto del card. Nembrini, nel municipio di Bergamo. A Roma si legò d'amicizia con il conterraneo Gaetano Donizetti, del quale eseguì un ritratto nel 1832 (esposto nel 1897all'Esposizione donizettiana di Bergamo, nel 1915 era segnalato a Costantinopoli, in casa degli eredi del musicista).

Nel 1833 il C. fu richiamato a Bergamo per affrescarvi la cupola del duomo, ma gli affreschi si deteriorarono quasi subito e il C. dovette procedere, circa vent'anni dopo (1851-53), a una nuova decorazione (la grandiosa Gloria di S. Alessandro, i cui cartoni si trovano in una collezione privata bergamasca: Pinetti, 1915, p. 36).

II C. fu membro della Congregazione dei Virtuosi e dal 20ag. 1834 dell'Accademia di S. Luca, di cui divenne "accademico di merito" nel 1837 (all'Accademia sono conservati suoi disegni). Ebbe un importante mecenate nel principe Alessandro Torlonia che gli affidò, insieme con il Cochetti, il Carta, il Podesti e altri artisti della cerchia del Camuccini, la decorazione della sua villa sulla Nomentana (1837-39). Qui il C. affrescò, nella sala da ballo, Il Parnaso (F. Gerardi, Il Parnaso..., Roma 1839); in un salone, Storie di Alessandro Magno (G. Melchiorri, in L'Ape ital., III [1837], pp. 27 s.), e nella seconda camera del casino otto figure allegoriche. Sono andate distrutte altre due importanti imprese eseguite per i Torlonia: la decorazione del teatro Apollo a Tordinona (le dodici lunette con i Mesi, staccate all'epoca della distruzione del teatro, nell'estate del 1889, sitrovano ora in collezione privata romana: di Domenico Cortese, 1967) e quella notevole del distrutto pal. Torlonia a piazza Venezia. Qui il C. affrescò la galleria dell'Ercole e Lica del Canova con Le fatiche e l'apoteosi di Ercole e, al secondo piano, varie Storie di Psiche (ilbozzetto per le Nozze di Amore e Psiche fu inviato nel 1844all'Esposizione di Brera a Milano). La decorazione fu forse ultimata entro il 1839, ma il palazzo fu inaugurato solo nel 1842. Entro quegli anni (1839-1842) va collocata anche la decorazione della camera di conversazione nella villa di don Carlo Torlonia a Castelgandolfo (la "Delizia Carolina"), dove affrescò in monocromo quattro Figure allegoriche e quattro Scene mitologiche. Per don Marino Torlonia affrescò, nel palazzo su via Condotti (1841 circa), Scene della vita dei Gracchi (ilbozzetto per Cornelia presenta i suoi gioielli è al Museo di Roma; ill. 6, in di Domenico Cortese, 1967).

È da collocare in questo momento una più decisa conversione al purismo, innestato sulle basi neoclassiche fornitegli dal Camuccini. Questo diverso orientamento si legge nei ritratti Presti (1843) e Tasca dell'Accademia Carrara di Bergamo, nella Ascensione affrescata nella cupola della cattedrale di Porto Maurizio (oggi Imperia) e nel SS. Sacramento sull'altar maggiore (1820-42 c.).

Sono di questi anni vari quadri di soggetto storico, a destinazione privata (il Giuramento di Amedeo IV di Savoia, il Trionfo di Alessandro, la Morte di Galeazzo Visconti e Bruto mostra al popolo il cadavere di Lucrezia), eseguiti tra il 1841 e il 1843e ricordati dal Pinetti (p. 32).

Nel 1846, su commissione della regina vedova Maria Cristina, dipinse per il castello di Aglié una grande tela raffigurante Papa Eugenio III benedice le armi di Amedeo II in partenza per la crociata, tuttora in loco (Mazzocca, 1980, I).

Nel 1847fu nominato tenente (e poi capitano) del 2ºbattaglione della guardia civica dello Stato pontificio; nel novembre di quello stesso anno fu eletto consigliere capitolino, e Pio IX gli conferì la croce dell'Ordine di S. Gregorio Magno. Prese poi parte, anche se non attiva, alle vicende della Repubblica romana (fu membro della Commissione per la tutela delle belle arti e dei monumenti).

Tra il 1846 e il 1849 si recò a Savona per affrescarvi la cattedrale; nella volta raffigurò Angeli e Profeti; nel presbiterio Giulio II pone la prima pietra della Basilica vaticana e Sisto IV benedice i combattenti contro i Turchi; sulla porta, Cristo scaccia i mercenari dal tempio. Nello stesso tempo eseguì per la cattedrale di Porto Maurizio la Madonna del Carmine (quarta cappella a destra) e l'Ascensione (cappella del Sacramento).

Il C. non rimase estraneo ad una delle più colossali imprese che a Roma si andavano conducendo in quegli anni: la ricostruzione e la decorazione di S. Paolo fuori le Mura.

Nel 1840 gli era stato commissionato un quadro con il Martirio di S. Lorenzo da collocare nel coro; eseguito solo nel 1851 ora è in sagrestia. Nel 1845 il cardinale Antonelli gli affidò l'esecuzione della tela raffigurante S. Stefano cacciato dal Sinedrio, per la cappella di S. Stefano, anche questa terminata soltanto nel 1853 (L. Abbati, in L'Album, 16 luglio 1853, pp. 153-155).

Nel frattempo il C. si era nuovamente trasferito a Bergamo, dove in vari soggiorni rifece, tra il 1851 e il 1853, la decorazione della cupola del duomo (Gloria di S. Alessandro) ed eseguì, per la cappella Scotti della chiesa parrocchiale di Oreno in Brianza, una Assunta (ilcartone si conserva all'Accademia Carrara di Bergamo) e per la parrocchiale di Adrara San Martino, nel Bergamasco, i SS. Fermo e Rustico.

Tornato a Roma, vi eseguì l'anno seguente (1854) un Autoritratto inviato al municipio di Bergamo (L. Abbati, in L'Album, 5 ag. 1854, p. 190). Ancora da Roma inviò tra il 1856 e il 1857 una Madonna con il Bambino alla parrocchiale di Conemorto nel Bergamasco, S. Giuseppe a quella di Oreno, il Martirio di s. Felicita e dei suoi figli (commissionatogli più di venti anni prima, nel 1834) per l'altare maggiore della parrocchia di Ranica. Nel 1856 dipinse il sipario per il teatro Comunale di Rimini (Cesare passa il Rubicone, ora nei magazzini del comune), inaugurato l'11 luglio 1857; in quell'anno inviò alla cattedrale di Porto Maurizio una Apoteosi di s. Agostino e ricevette l'incarico per un quadro raffigurante il Transito della Vergine da collocarsi sull'altar maggiore della cattedrale di Piacenza.

La tela (di cui un bozzetto preparatorio è ora nella collezione Gulieri di Piacenza) fu finita a Roma nel 1862 e collocata sull'altare il 4 ottobre di quell'anno. Ai Piacentini non piacque e suscitò critiche violente, perché ritenuta poco adatta ad affiancare i dipinti del Procaccini nel presbiterio (agli inizi del Novecento, in occasione dei restauri alla cattedrale, la tela fu prima appesa nella controfacciata, e poi, nel 1924, trasferita nella chiesa di S. Francesco, dove ora si trova, su una parete del transetto sinistro).

L'insuccesso di Piacenza non attenuò la fortuna del C., che dal 1858 (fino al 1873) ebbe la cattedra di pittura all'Accademia di S. Luca. Entro il 1860 egli portò a termine altre importanti opere romane: i due affreschi per la navata maggiore di S. Paolo (Estasi di s. Paolo e Battesimo dei ss. Processo e Martiniano), quelli per S. Carlo ai Catinari (tra le finestre: Consegna delle chiavi,Decollazionedi s. Paolo,Sposalizio di s. Anna,Presentazione di Maria al tempio,Arresto di S. Biagio,Martirio di s. Biagio, e gli angioletti nei sottarchi della crociera) e l'Immacolata per il secondo altare a destra nella chiesa dei SS. Apostoli. Nel 1861 dipinse il sipario del teatro Nuovo di Spoleto (Disfatta di Annibale sotto Spoleto) e i due bozzetti ispirati al GiulioCesare di Shakespeare per una "Galleria shakespeariana", che non fu mai realizzata: i due bozzetti del C. si trovano ora, insieme con altri della stessa serie, alla Galleria nazionale di arte moderna a Roma (L. Callari, Bozzetti..., in Bollettino d'arte, II [1911], pp. 71-75).

Sono suoi gli affreschi della cupola e la tela dell'altare della cappella dei passionisti nella chiesa dei SS. Giovani e Paolo, altre volte assegnati a Luigi Cochetti, ma ai quali accenna in una sua lettera lo stesso C. (Pinetti, 1915, p. 34). Forse intorno al 1865 eseguì il Riposo nella fuga in Egitto per la chiesa dei SS. Andrea e Bartolomeo al Laterano; è andata dispersa la pala eseguita per la chiesa romana (distrutta nel 1888) dei SS. Faustino e Giovita (o S. Anna) dei Bresciani in via Giulia; si ignora la sorte di una Assunta inviata nel 1869 a Santiago del Cile. Il C. eseguì molte opere per collezionisti stranieri; bozzetti di sua mano si trovano nel Museo di Ripatrasone (Ascoli Piceno), nel Museo di Roma, nella Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, dove è conservato anche un Ritratto dei genitori, e nel municipio di Bergamo.

Il suo studio in palazzo Altemps fu frequentato da Nino Costa e Onorato Carlandi. Dopo l'annessione di Roma al Regno d'Italia, gli fu conferito il cavalierato, e in seguito fu nominato ufficiale della Corona (14 marzo 1873). Tuttavia, nonostante le onorificenze e i riconoscimenti, con decreto del 31 dic. 1873 il ministro dell'Istruzione Ruggero Bonghi gli revocò la cattedra di pittura all'Accademia di S. Luca della quale il C. era anche vicepresidente dal 1871. Non gli furono più affidati incarichi di sorta, e rimase pressoché dimenticato fino alla morte.Il C. morì nella notte del 20 aprile 1875 a Roma nella parrocchia di S. Maria in Via.

Ebbe due figli, Giuditta e Cesare, il quale ultimo fu pittore e partecipò anche a qualche mostra. R. Bassi Rathgeb ha letto alcune lettere, conservate nella Civica Biblioteca di Bergamo, che permettono la ricostruzione della modestissima attività di Cesare e, a proposito di un quadro rappresentante il Portico d'entrata di un convento, dice che l'artista, "pur rimanendo nel colorito pedissequo al cattivo gusto della tavolozza tradizionale del tempo", ebbe "qualità ricordabili" (Bergomum, XXXIX [1945], pp. 23 s.)

Fonti e Bibl.: Necrologi, in L'Illustraz. ital., 6 giugno 1875, p. 315; e in Notizie patrie, Bergamo 1876, pp. 112-143 (P. Locatelli); A. Ricci, Visita a diversi studi di Belle Arti in Roma nel dicembre dell'anno 1835, Bologna 1838, p. 35; A. Nibby, Roma nell'anno 1838, II, Roma 1841, pp. 961, 963, 993; G. Checchetelli, Una giornata di osservaz. nel palazzo e nella villa di S. E. il Sig. Principe D. Alessandro Torlonia, Roma 1844, pp. 25, 41, 77, 84; A. Molinari, Suifreschi del prof. cav. F. C. nella chiesa cattedrale di Bergamo, Bergamo 1853; G. Finardi, La cupola della cattedrale di Bergamo, Bergamo 1853; C. Santacroce, Sulle pitture di F. C. da Bergamo, in Gazzetta piemontese, 14 genn. 1857; L. Scarabelli, Dei Piacentini illustri e di varie cose,nella patria loro, Milano 1863, pp. 33-45; Indicazione dei dipinti a buon fresco... eseguiti nella... Basilica sulla Via Ostiense, Roma 1867, passim; E. Checchi, Lettere ined. di G. Donizetti, Roma 1892, p. 21; R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Roma 1907, p. 210; U. Pesci, I primi anni di Roma capitale(1870-1878), Firenze 1907, pp. 416 s.; V. Malamani, Canova, Milano 1911, pp. 187, 189; A. Pinetti, F. C. pittore, Bergamo 1915; U. Ojetti, Pittori ital. dell'Ottocento, Milano 1929, pp. 20, 43, 59, 73, 76; A. Mazzoleni Ferracini, La grandiosa cupola del duomo di Bergamo, in L'Eco di Bergamo, 31 ag. 1938; S. Negro, Seconda Roma, Milano 1943, p. 135; Mostra delle opere lasciate al comune di Roma dal pPittore G. De Sanctis, Roma 1949, pp. 7 s., 16; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, ad Indicem; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, V, Bergamo 1959, pp. 470, 553-556, 584; C. Maltese, Storia dell'arte in Italia 1785-1943, Torino 1960, pp. 121, 182; G. di Domenico Cortese, Dodici affreschi inediti di F. C. dal teatro Apollo di Tordinona, in Palatino, XI (1967), 1, pp. 30-34; J. B. Hartmann La vicenda di una dimora principesca romana... il demolito pal. Torlonia a Roma, Roma 1967, ad Indicem; F. Arisi, La pala absidale del duomo…, in Il Duomo di Piacenza... Atti del Conv. di studi stor. [1972]…, Piacenza 1975, pp. 109-121; Storia della pittura dell'Ottocento italiano, I-III, Milano 1975, ad Indicem; R. J. M. Olson, Ital. 19th Cent. Drawings..., New York 1976, nn. 33, 97, fig. 23; G. Spagnesi, L'archit. a Roma al tempo di Pio IX, Roma 1976, pp. 264, 281, 289; F. Rossi, La raccolta Baglioni (catal.), Bergamo 1976, p. 62 e fig. 81 (Madonna con Bambino, disegno attr.); I. Faldi, La Galleria naz. d'arte moderna, Milano 1977, pp. 31, 43, fig. 10 ; L. Piperno, in Da Canova a De Carolis (cat.), Roma 1978, pp. 33-35, figg. 19-21; F. Bellonzi, Architettura,pittura,scultura dal Neoclassicismo al Liberty, Roma 1978, pp. 73, 427; E. Schleier, Una decorazione di S. Conca a Genova, in Antichità viva, XIX (1980), 3, pp. 24-26, ill. 7 (Ritr. del card. G. L. Brignole, del C.); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 175; Encicl. Ital., X, p. 699.

Pompeo Girolamo Batoni Nato a Lucca il 25 genn. 1708 da Paolino, orafo, e da Chiara Sesti, iniziò a studiare il disegno nella bottega paterna, e intanto seguiva lo studio della pittura sotto la direzione dei lucchesi Giov. Domenico Brugieri e Giov. Domenico Lombardi. Con una pensione del suo protettore, Alessandro Guinigi, si trasferì a Roma nel 1728, scegliendosi come maestri Sebastiano Conca e poi Agostino Masucci; ma per suo conto, nella Farnesina e in Vaticano, studiava Raffaello e disegnava statue romane per committenti stranieri.

Nel 1730, essendosi sposato con la figlia del custode della Famesina, perse l'aiuto finanziario del Guinigi. Il B., che in quell'anno risulta alla scuola di F. Imperiali, campò la vita dapprima miniando ritratti e ventagli, e dipingendo poi figure in quadri di paesaggio di altri pittori.

Gli inizi del B., quali risultano dal suo primo quadro famoso - la Madonna con Bambino e santi fatta eseguire nell'anno 1733 per la chiesa di S. Gregorio al Celio dal marchese Gabrielli di Gubbio -, non si sottraggono all'influenza allora imperante del Maratta. Ma già nel quadro con Cristo e santi, per la chiesa dei SS. Celso e Giuliano (1735), siavvicinava a un classicismo più rigoroso, legato al Domenichino e al Reni. Con queste due pitture il B. si conquistò l'ambiente romano, e si susseguirono numerose commissioni di dipinti di soggetto religioso, allegorico, mitologico.

Nel 1737 riceveva l'incarico dal letterato Marco Foscarini - poi ambasciatore veneziano a Roma, e più tardi doge - di dipingere una Venezia trionfante (New York, Kress Foundation; più tardi dipinse un soggetto analogo, con S. Marino che rialza la Repubblica, oggi al Museo di S. Marino), il suo primo soggetto storico, se si eccettua il perduto quadro con Sofonisba che il Trenta dice posseduto dalle figlie di Silvestro Arnolfini. La sua Venezia, come ha notato il Clark, deriva dal Trionfo di Bacco di Pietro da Cortona e dal Trionfo di Flora del Poussin, e ha precisi ricordi di F. Albani - compreso un vero e proprio plagio, nel putto con cesto di frutta -, muove cioè dal più puro filone del classicismo del Seicento; e già d'altra parte in quest'opera il B. è spinto, per erudizione archeologica, a comporre- la figura di Minerva ispirandosi a due statue antiche di collezioni romane. Il Reni invece era tenuto presente in un'altra opera giovanile (circa 1737-1741D), la Verità scoperta dal Tempo (Roma, Galleria Colonna).

Dal 1738 a prima del 1750 il B. lavorò soprattutto per la famiglia dei conti Merenda di Forlì, che comprò una gran quantità di quadri, successivamente in parte dispersi.

Due abbozzi già appartenuti a questo gruppo sono a Roma, nella coll. A. Busiri-Vici (Allegoria delle arti, abbozzo del quadro di Francoforte; Giudizio di Salomone). Sulla base delle opere residue di questo gruppo, e dei rapporti con la città di Forlì' è stato ipotizzato un avvicinamento del B. al Correggio, verso il 1738-1740. La Marcucci (1942) suppose che ne avesse visto direttamente le opere a Parma; niente però risulta con certezza degli spostamenti del B. in questi anni. Un diretto rapporto con Parma è documentato solo nel 1761, quando il B. fu associato all'Accademia di quella città. Dalle opere del Correggio sarebbero derivati sia gli effetti di luce artificiale, sia il comporre a linee trasverse imprimenti alle forme un orientamento dinamico in profondità che favorisce la lorb fusione nell'atmosfera ombrata da cui emergono: si vedano, per esempio, il bozzetto con S. Sebastiano (Forlì, collezione Merenda), la Sacra Famiglia del 1747 (Pommersfelden, Castello), la Natività (Roma, Galleria naz.) e l'altra Natività (Torino, Galleria sabauda). Al Correggio del resto il B. sarebbe tornato anche negli ultimi anni d'attività, come nella Sacra Famiglia del 1778 (Leningrado, Ermitage), nel Sogno della fanciulla del 1782, nel ritratto della Marchesa Brignole del 1786.

Certamente, fin dagli anni in cui lavora per i marchesi Merenda, gli interessi del B. e le sue simpatie sono molteplici; sicché non è esatto sottovalutare questa complessità di apporti a vantaggio di una unitaria linea di svolgimento stilistico. Si tengano presenti le sensibili differenze che esistono tra i bozzetti, pieni di colore e intrisi di luce, velocissimi nella spontaneità della realizzazione, e la loro più solenne traduzione nell'opera. Si confrontino, a questo proposito, il già citato bozzetto delle Arti col dipinto del Museo di Francoforte, quest'ultimo molto più "disegnato" - e di un impianto compositivo assai più classico; il bozzetto (Lucca, coll. B. Vangelisti) col dipinto La fuga da Troia (Torino, Galleria sabauda). Il B. risente del classicismo francese, come appare dal ritratto della Marchesa Merenda in veste di Flora circa del 1740 (Forlì, Pinacoteca). Ma in un quadro di poco posteriore, l'Estasi di S. Caterina (Lucca, Pinac. naz.), circa 1743, cui il pittore dichiarava di tenere moltissimo (lettera in Cochetti, p. 288), di un forte "pathos" nella composizione "ondosa" delle figure, prezioso di effetti di luce e colore, di calde ombre che avvolgono le figure minori lasciando in piena luce zenitale la santa abbandonata all'indietro, è vivo il ricordo di un'altra Estasi, quella di s. Teresa del Bernini. Non a caso, più tardi, il B. invitava il giovane Canova a studiare in S. Pietro il Bernini, l'Algardi, il Rusconi.

La ricerca assidua della bella forma, qualsiasi fosse il punto di partenza - il "naturale, Raffaello e l'Antico", già indicati dal Boni; il Correggio; l'arte barocca; il "classicismo" francese e italiano del Seicento e del Settecento -divenne nella pittura del B. raffinato edonismo, calda felicità d'impasto, abilissima resa, in un idoleggiamento della bellezza femminile, di rasi e velluti, di epidermidi delicatamente rosate, di capelli sofficemente biondi; sensualità che tese a risolvere gli aspetti del mito, le allegorie e anche i ritratti in spettacolare immagine. Quello era il suo "naturale", o meglio la sua naturalezza spontanea e spigliata, che sconfinava nel meraviglioso o, altre volte, in espressioni di un eroismo decorativo in cui il turgore del Seicento, non del tutto spento, si compiaceva di note di grazia quasi arcadica. Quello era il suo edonismo, non risolto in superficiale esteriorità, ma contenuto in una norma di "buon gusto" muratoriana, di vita benevola e serena, di temperata libertà di espressione che implica - qualunque aspetto della sua arte si prenda a considerare - il diletto della bellezza e della tenera vita affettiva.

Nell'opera del B., nella sua tematica, si ricostruisce la simpatia per il melodramma di cui dovette essere uditore assiduo - il Missirini ricorda la sua passione per il teatro -, e nel campo mitologico predilesse i temi che più si prestavano ad esprimere un aspetto patetico (Enea abbandona Didone; Diana piange Endimione; Teti consola Achille della perdita di Briseide), e in modo patetico interpretò anche Achille e Chirone, Achille alla corte di Licomede, Minerva e Prometeo, Ercole al bivio. Come nel melodramma, dove spesso non sono eccessivamente commossi se non a parole, così nella pittura del B. i personaggi si esprimono psicologicamente in un gesto, in una lacrima, ma il dipinto resta sereno e pieno di vita, per il colore: diviene spettacolo, sapiente ed abile gioco appagato nell'oblio di ogni male o anche semplicemente dello spiacevole.

Una gran parte della abbondantissima produzione del B. è costituita da ritratti, e niente di monotono a, ben vedere c'è in questa superba galleria di personaggi. Il tipo di ritratto mitologico francese, seguito dal B. in quello della Marchesa Merenda - e certo dettato da una precisa indicazione della committente -, si ritrova anche nei più tardi dipinti come Lady Fetherstonhaugh in sembianze di Diana del 1751, o nella Fanciulla in veste di Innocenza del 1752 (entrambi Uppark, Sussex, coll. sir H. Meade-Fetherstonhaugh), e nei ritratti, del 1780, di Alessandra Potocka in veste di Melpomene (Cracovia, Museo naz.) e Isabella Potocka itt veste di Polimnia (Varsavia, Museo naz.).

Nel 1744 eseguì il primo ritratto per un nobile inglese di passaggio a Roma, quello di Joseph Leeson (Dublino, Galleria naz.). Seguirono moltissimi ritratti di gentiluomini inglesi, e per loro il B. venne elaborando un nuovo tipo di ritratto: il personaggio, davanti a rovine o statue antiche, o contro i suggestivi sfondi della campagna romana, rivaleggia per dignità aulica di posa - spesso chiastica - con quella delle statue antiche. Doveroso aggiornamento alla moda degli scavi, e nello stesso tempo intellettualistico ricordo, per il conunittente, del grand tour fino a Roma.

Il B. trasfuse nei ritratti la sua larga comprensione umana. Raramente furono compassati e adulatori, come il Pio VI del 1775 (Roma, Museo di Roma) o il Cardinale Malvezzi del 1774 (Roma, coll. march. Malvezzi-Campeggi). Nella massima parte l'esprit del secolo domina in queste opere: se i personaggi colpiscono per notazione naturalistica e psicologica, che vale per esigenze di somiglianza, per vivacità esteriore e parlante, sono anche caratterizzati da un dinamico ideale equilibrio: come il ritratto di Sir Humphrey Morice del 1762 (Londra, coll. B. Ford), tutto bilanciato di raccordi e contrappunti; quello del 1758 del giovane John, Lord Brudenell poi Marchese di Morthermer (Kettering, coll. duca di Buccleuch), opera pensosa e raffinata, calcolatissima nelle successive riprese dei contorni discendenti, o il ritratto, quasi eroico-romantico, di J. W. Gordon del 1766 (Fyvie Castle, coll. sir Ian Forbes-Leith), irruente nel piglio e nella posa, in costume scozzese su un fondale ove compare il Colosseo. Né contrasta che il B., proprio per la caratterizzazione che aveva sempre amato, giungesse ad acuire la resa del personaggio nella sua verità naturaìe, sulla tradizione del "portrait de vérité" - esemplare da questo punto di vista è l'Arcivescovo Giov. Domenico Mansi, dipinto tra il 1765 e il 1769 (Lucca, Pinacoteca naz.) -, e nello stesso tempo esaltasse la sapiente resa cromatica, il dipingere schietto e disinvolto, come nel bellissimo ritratto della Contessa Maria Benedetta di S. Martino del 1785 (Roma, coll. A. Busiri-Vici) o nel Marchese Mansi (Lucca, coll. B. Vangelisti), fortemente caratterizzato nella psicologia imperiosa del personaggio, senza abbellimenti compiaciuti, ma ricco di splendidi brani pittorici. Non c'è più ormai nessun ricordo raffaellesco o classico in queste figure liberamente impostate nello spazio, tagliate con spregiudicatezza quasi fotografica - si ricordi anche l'ovale con Ritratto di giovane donna del 1785 (Roma, coll. A. e C. Canessa) - colte nell'effimera e pur rilevante vita di un gesto, nel volgersi, nel presentarsi.

Ma l'aspetto riposatamente piacevole della sua pittura cela un colloquio con la tendenza dotta e letteraria, strettamente rispondente alla nuova temperie culturale negli anni immediatamente posteriori alla metà del secolo. Nel 1755 il Winckehnann pubblicava i Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke e come fine dell'artista indicava il "bello ideale", la intellettualistica correzione della natura; lo stesso anno iniziava il suo soggiorno romano, che durerà fino al 1768. Accanto al Winckelmann, il Mengs, giunto a Roma la prima volta nel 1741, voleva accompagnata l'imitazione dell'antico con quella del Correggio e di Raffaello. Nel 1775 infine era a Roma, pensionato dell'Accademia di Francia, J.-L. David, col quale il neoclassicismo si definiva nella rappresentazione, tutta plastica ferinezza, delle virtù civiche dei Romani antichi. Eppure il B., pur amico del Mengs, e malgrado sentisse il fascino dell'antichità, non può definirsi pittore neoclassico. Se ne accorse già il Boni, quando scriveva nell'Elogio del B., orinai artista consacrato, che era stato fatto pittore "dalla natura", nei confronti del Mengs "fatto pittore dalla filosofia", cioè dallo studio - e voleva dire che il B. era pittore d'istinto, spontaneo assimilatore. Il B. segue infatti un suo fantastico e complesso filone, che lo conduce spesso lontano da programmi e teorie, ed è proprio questo che lo differenzia e lo riscatta dalla freddezza del Mengs. Legata alla tradizione classicista, la sua pittura assume però svariate e autonome sfumature particolari: certe volte intrisa della verve del secolo, altre volte più attenta al disegno e alla distribuzione compositiva, altre volte ancora deformata come la pittura di un manierista. E nell'interesse alla figura umana, che si realizzò magistralmente nel ritratto, nell'escludere paesaggi e nature morte, il B. sollecita l'attenzione su un suo aspetto, lo stretto legame col tempo in cui viveva e con le idee nuove che serpeggiavano in Europa, aspetto che è alla base del suo successo nel mondo inglese.

Il B. morì a Roma il 4 febbr. 1787.

La sua fama nacque e crebbe lui vivente, sull'ondata del successo e della simpatia dei contemporanei, fossero committenti o biografi. Già nel 1737, per le incompiute Vite dei più celebri artisti viventi (Perugia, Bibl. Com.), L. Pascoli scriveva (framm. in E. Battisti) che il B. "divenne in poco tempo così bravo che superava il padre; e vi si attaccò talmente che invaghito dei colori non voleva più sentir parlare della professione patema... in cui fatto aveva meraviglioso profitto, ma solo della pittura". Il letterato trevigiano Francesco Benaglio, che aveva conosciuto il B. già nel 1737, aveva cominciato, a scrivere di lui tra il 1750 e il 1753, interrompendosi però ben presto, perché questi aveva cessato di fornirgli notizie. Del B. scriveva il Canova (Diario, Torino, 10 nov. 1779): "Mi piacque moltissimo il suo disegnare tenero, grandioso, di belle forme". Particolare importanza ha l'Elogio stampato lo stesso anno della morte del B. "alla memoria di un gran pittore", dal Boni, che lo conosceva bene. Accanto ai ricordi interessanti per la biografia del B., il volumetto è ricco di giudizi sulla sua pittura che, se sono sempre entusiastici, colpiscono però assai spesso nel segno.

L'ammirazione per la sua opera è palese nelle comunicazioni della Gazzetta universale, ed è implicita nella insistente richiesta dei suoi dipinti, da Roma e dall'estero. I carteggi sono pieni di lodi, ma anche di lagnanze per quadri non finiti, di inviti iterati a voler finire i lavori commissionati. Per rispondere a tante richieste, affiancavano la nota velocità di esecuzione del B. vari giovani che, nella sua bottega e sotto la sua direzione, copiavano le sue opere per contentare i molti committenti. "Non manco di andare travagliando intorno a questo [dipinto] dando ora un colpo al cerchio e uno alla botte", scrive al lucchese Lodovico Sardini il 20 apr. 1743- Il Boni poté scrivere che "se Alessandro voleva essere dipinto soltanto da Apelle, B. può vantarsi che quasi tutti i principi e i regnanti che nel suo tempo venivano a Roma si sono compiaciuti di farsi fare il ritratto da lui". La sua casa - anche per le capacità musicali delle figlie Maria Benedetta e Rufina - era luogo di ritrovo alla moda. Sebastiano Conca, principe dell'Accademia di S. Luca, nella seduta del 10 ott. 1741, insieme con Placido Costanzì, propose l'elezione ad accademico del B., che il 17 dicembre prendeva possesso della dignità. Eppure mai fu a capo del massimo sodalizio romano. Il Boni parla di sfuggita dell'argomento, dicendo che il B. non si recava mai all'Accademia di S. Luca perché non voleva entrare in intrighi e fastidi "per li quali il suo buon naturale non era fatto".

Dopo la larga fortuna goduta presso i contemporanei e per tutto l'Ottocento - l'atteggiamento polemico del Winckelmann e del Milizia è spiegato dalle sue disinvolte contaminazioni mitologiche e dalla sua predilezione per il ritratto - la critica successiva giudicò freddamente la sua opera. Dal severo, giudizio dell'Hautecoeur sui suoi ritratti, "insipidi e senza carattere", sui dipinti religiosi che seguono le formule, sul suo colore "fin troppo amabile", si giunge alla recente definizione del B. come "pittore di tenue vitalità e di scarsissimo respiro poetico" (Cochetti).

In questi ultimi trenta anni, dopo il lavoro dell'Emmerling, si è avuta una revisione critica dei problemi relativi al B. e al momento di formazione del neoclassicismo a Roma (Clark); la pubblicazione di consistenti gruppi di opere (Marcucci, Steegman, Clark) ha proposto un riesame della cronologia delle stesse, per una più chiara analisi dei reciproci rapporti con i pittori romani del suo tempo. Se la critica dell'Ottocento aveva considerato il B. legato al Mengs nell'ambito del neoclassicismo, con gli inizi del Novecento fu proposta una distinzione della sua poetica da quella del neoclassicismo, accettandone il collegamento solo nel secondo periodo della sua attività, dopo cioè il 1760. Tutta l'ultima esperienza critica e la mostra del Settecento a Roma (1959) - dove il B. era ben rapresentato - ne hanno agevolato una rilettura storica e stilistica, che lo fa emergere come una delle maggiori personalità del Settecento romano.

La produzione completa del B. non è stata ancora ricostruita. Al catalogo redatto dall'Emmerling si sono aggiunti altri contributi, che rendono possibile l'esame di nuovi elementi cronologici, nuovi chiarimenti di componenti culturali e di gusto, nuove indicazioni di presenza: specialmente il catalogo dello Steegman per le opere esistenti in Gran Bretagna, quello della Marcucci per le opere della coll. Merenda di Forll, e le segnalazioni del Clark e del Ford di opere recentemente riapparse in collezioni private. P, possibile perciò redigere il seguente catalogo, di opere datate dal B. stesso o fondatamente databili:

1730-40 circa: Madonna col libro (Lucca, coll. march. P. Mazzarosa); 1733-34: Madonna con Bambino e santi (Roma, S. Gregorio al Celio); 1733-37 circa: S. Filippo Neri in adorazione della Vergine (Roma, coll. march. Incisa della Rocchetta; già Frascati, cappella Pallavicini); 1735-40 circa: S. Giovanni Battista (Dresda, Pinacoteca); commissionata 1737: Venezia trionfante (New York, Kress Foundation); 1737-40 circa: La Verità scoperta dal Tempo (Roma, Gall. Colonna); 1738: Presentazione al tempio (Brescia, S. Maria della Pace); ante 1740: L'Architettura, la Scultura e la Pittura (Roma, coll. L. Vitetti); 1740: Le Arti (Francoforte, Museo; bozzetto a Roma, coll. A. Busiri-Vici); Prometeo (Dresda, Pinacoteca); Morte di Meleagro (ibid.); 1740 circa: La marchesa Merenda in veste di Flora (Forlì, coll. Merenda); Maddalena (Dresda, Pinacoteca; già Forlì, coll. Merenda); 1740-42 circa: Ercole fanciullo che strozza i serpenti (Firenze, Uffizi); Ercole al bivio (ibid.); Mater dolorosa (Parigi, Louvre; altra a Torino, Pinacoteca); Madonna con Bambino e santi (Milano, Brera); 1740-43 circa: Minerva e Prometeo (Lucca, coll. conte Minutoli Tegrimi); Diana piange Endimione (ibid.,); 1740-59: Visitazione (Roma, Gall. Pallavicini); 1743 circa: Estasi di S. Caterina (Lucca, Pinacoteca; già chiesa di S. Caterina); 1743: Cristo, gli apostoli, gli evangelisti... (affreschi, Roma, Ritiro del palazzo del Quirinale); 1744: La Vergine e s. Giovanni Nepomuceno (Brescia, S. Maria della Pace); Joseph Leeson, primo conte di Milltown (Dublino, Nat. Gall. of Ireland); 1745 circa: Ritrovamento di Mosè (Potsdam, Neue Palais); Moltiplicazione dei pani (Roma, Gall. Pallavicini); Tu es Petrus (ibid.); 1745-50 circa: Natività (Roma, Gall. naz.); Natività (Torino, Gall. Sabauda); 1746: Il Tempo scopre la Verità (Londra, coll. Agnew); Stratonice (Puerto Rico, L. A. Ferré Foundation); 1747: Teti, sorta dal mare, consola Achille della perdita di Briseide (Londra, coll. B. Ford); Enea abbandona Didone (ibid.); Sacra Famiglia (Pommersfelden, Castello); Ritratto di Francesco Benaglio (Treviso, Bibl. capitolare); 1748: Ritratto della duchessa Maria Virginia Lante (Radebeul- Oberlössnitz, coll. Fahdt); Ercole al bivio (Vaduz, coll. Liechtenstein); Venere ed Enea (ibid.); 1749 circa: Ritratto di lord e lady Drache con la figlia (Norwich, coll. sir R. Barrett Lennard Bart); 1750 circa: Fuga da Troia (Torino, Gall. Sabauda; bozzetto a Lucca, coll. B. Vangelisti); Annunciazione (Roma, S. Maria Maggiore);. Joseph Damer, primo conte di Dorchester (Drayton House, N. V. Stopford-Sackville); John Damer (ibid.); Caroline, contessa di Dorchester (ibid.); 1750-60 circa: Achille riconosciuto da Ulisse alla corte di Licomede (Firenze, Uffizi; già Lucca, fam. Buonvisi); Achille e Chirone (ibid.); 1751: Joseph Leeson, secondo conte diMilltown (Dublino, Nat. Gall. of Ireland); Susanna al bagno (, coll. conte Harrach); Lady Fetherstonhaugh in veste di Diana (Uppark, Sussex, sir Herbert Meade- Fetherstonhaugh [Nat. Trust]); Sir Mathew Fetherstonhaugh (ibid.); 1751-52 circa: B. Lethieullier (Uppark, Sussex, sir. H. Meade-Fetherstonhaugh [Nat,. Trust]); Harry Fetherstonhaugh (ibid.); 1751: Ercole al bivio (Torino, Gall. sabauda; ripetuto col medesimo schema nel 1778 a Leningrado, Ermitage); 1752: Martirio di s. Giacomo (Messina, Museo); Fanciulla in veste di Innocenza (Uppark, Sussex, sir. H. Meade-Fetherstonhaugh [Nat. Trust]); Harry Fetherstonhaugh e sua sorella (Yarsop House, Hereford, coll. J. L. Davenport); 1752-53 circa: Charles Lennox, terzo duca di Richmond (Goodwood, duca di Richmond; altro con stessa data in Holland House Coll., conte di Ilchester); 1752-57: Edward Digby, sesto lord Digby (Sherborne Castle, coll. Wingfield-Digby); 1754: William Legge, secondo conte di Dartmouth (Patshuff, conte di Dartinouth); 1756: Sir John Lombe (già Marlingford, E. H. E. Lombe); Sir Robert Daves (Ickworth, march. di Bristol); Nozze di Amore e Psiche (Berlino, Staatliche Museen); 1757 ca.: Ritratto di Sir A. Fergusson (Kilkerran, sir Ch. Fergusson); 1758: Ritratto del marchese di Morthermer (Kettering, duca di Buccleuch); Il cardinale di Gesvres (Beauvais, Museo); 1759: Edoardo Augusto duca di York (Blanckenburg, castello); 170: J0hn Crewe (Crewe Hall, eredi march. di Crewe); Clemente XIII (Roma, Gall. Sciarra); 1760 circa: Philip Metcalfe (Londra, Nat. Portrait Gall.); 1760-61 circa: Caduta di Simon Mago (Roma, S. Maria degli Angeli); post 1760: Sacra famiglia Lavaggi (Roma, Gall. capitolino); 1761: John Ker, terzo duca di Roxburghe (Floors Castle, duca di Roxburghe); Achille, Teti e Chirone (Parma, Gall. naz.); 1762: Sir Humphrey Morice (Londra, coll. B. Ford); James Bruce di Kinnaird (Kinnaird House; altro ritratto con medesima data a Edimburgo, Scottish Nat. Portrait Gall.); Augustus Fitzroy, terzo duca di Grafton (Euston, duca di Grafton); Ritratto di personaggio ritenuto della famiglia Greville (Norton Conyers, sir G. Graham.); Sir Richard Lyttelton (Hagley, visconte Cobham); Francis Russell marchese di Tavistock (Woburn Abbey, duca di Bedford); ante 1763: Charles Compton, settimo conte di Northampton (Albury Park, duchessa di Northumberland); Sir Wyndham Knatchbull-Wyndham (Mersham-le-Hatch, lord Brabourne); 1763: Ritratto ritenuto di Robert Adam (già coll. St. Clair Anstruther); ante 1764: George Cholmondeley (Houghton, march. di Cholmondeley); 1764: Edward Augustus duca di York (Londra, conte Howe); David Garrick (Oxford, Ashmolean, Museum); Georgiana contessa Spencer (Althorp, conte Spencer); Thomas Dundas, primo lord Dundas (Aske, march. di Zetland); 1764-65 circa: Hugh Percy, secondo duca di Northumberland (Alnwick, duca di Northumberland); ante 1765: Ritratto ritenuto della signora Plowden (già Costessy Park, lord Stafford); 1765: Conte Niccolò Soderini (Roma, Gall. naz., deposito del museo di Tarquinia); La Clemenza e la Giustizia (Roma, coll. E. Vitetti); Autoritratto (Monaco, Pinacoteca; altri autoritratti non datati sono: a Firenze, Uffizi, databile dopo 1770; Lucca, coll. A. Cenami; Roma, Accad. di S. Luca); 1765 circa: Henry Benedict cardinale di York (Londra, Nat. Portrait Gall.); Sampson Eardley, primo lord Eardley (Bedwell Park, It. col. David Fremantle); 1765-69: Arcivescovo G. D. Mansi (Lucca, Pinacoteca); 1766: Il maresciallo Cirillo Grigoriewitch Razoumowsky (Vienna, coll. A. Razoumowsky); Ritratto di .J William Gordon (Fyvie Castle, collezione sir Ian Forbes-Leith); Wills Hill, primo marchese di Downshire (Easthampstead Park, march. di Downshire); ante 1767: Sacro Cuore (Roma, chiesa dei Gesù); 1767: Mary lady Holland (Holland House Coll., conte di Ilchester); Carlo Guglielmo Ferdinando di Brunswick (Blanckenburg, castello; altro a Brunswick, Landesmuseum); 1768: William Cavendish, quinto duca di Devonshire (Chatsworth, Trustees of the Chatsworth Settlement); Sir William Fitzherbert (Tissington Hall, sir W. Fitzherbert); Ritratti di Sir Watkin Williams- Wynn, Sir William Hamilton e Thomas Apperley (Wynnstay, sir Watkin WilliamsWynn); Sir Gregory Page-Turner (Weybridge, mrs. Strode); Don Emanuel de Roda (Madrid, Acad. S. Fernando); 1768-69 circa: George Craster (Oxford, dr. H. H. E. Craster); 1769: Giuseppe II d'Austria col fratello Leopoldo II di Toscana (Vienna, Kunsthistorisches Museum); Ritratto di ignoto (venduto da Christie's, Londra, 25 nov. 1938); 1770: Henry Bankes (Kingston Lacy, mrs. Ralph Bankes); Francesco I d'Austria (Vienna, castello di Schönbrunn); Giuseppe II d'Austria con Leopoldo II di Toscana (ibid.); 1770 circa: Sir John Parnell (Castle Ward, visconte Bangor); 1772: John Throckmorton (Coughton Court, Warwickshire, R. Throckmorton [Nat. Trust]); Il quinto conte di Plymouth (conte di Plymouth); Ritratto di ignoto (Houghton, march. di Cholmondeley); Guglielmo duca di Gloucester (Hannover, castello di Herrenhausen); ante 1773: Il figliol prodigo (Torino, Pinacoteca; altro a Vienna, Kunsthist. Museum); 1773: Lord Richard Cavendish (Chatsworth, duca di Devonshire); John Staples (Roma, coll. M. e C. Sestieri); Richard Neville, secondo lord Braybrooke (Butleigh Court, R. Neville); John Corbet of Sundorne (già Sundorne Castle, venduto da Sotheby, Londra, 21 maggio 1935, lotto 147); John Smyth of Heath Hall (già Heath Hall, venduto da Sotheby, Londra, 19 giugno 1935); Daniel Wilson (Browsholme Hall, R. G. Parker); 1773 circa: Lord Algernon Percy (Alnwick, duca di Northumberland); 1774: Ritratto di giovane (Blithfield, lord Bagot); John Monson, terzo lord Monson (Burton Hall, lord Monson); Il card. Malvezzi (Roma, march. G. Malvezzi- Campeggi); Thomas William Coke (Holkham, conte di Leicester); 1775: Alessandro e la famiglia di Dario (Potsdam, Neue Palais); Ralph William Grey of Backworth (Poundisford Park, coll. Vivian-Neal); Pio VI (Roma, Museo di Roma); Carlo Teodoro principe del Palatinato (Monaco, Pinacoteca); Henry Piece (Roma, coll. G. Balella); 1775 circa: Ritratto di giovane (già coll. Hadfield, venduto da Christie's, Londra, 5 marzo 1937, lotto 149); George Cholmondeley, primo marchese di Cholmondeley (Hougton, march. di Cholmondeley); Ritratto di personaggio della famiglia Fetherstonhaugh (Uppark, Sussex, sir H. Meade Fetherstonhaugh [Nat. Trust]); Martirio di s. Bartolomeo (Lucca, Pinacoteca); 1775-80: George Herbert, secondo conte di Powis (PowisCastle, conte di Powis); 1775-80 circa: Morogh O'Brien, primo marchese di Thomond (Woburn, duca di Bedford); 1776: Mary Walpole duchessa di Gloucester (Hannover, castello di Herrenhausen); Sir William Forbes (Edimburgo, sir Hew Dalrymple); Agar nel deserto (Roma, Gall. naz.); Ritratto di sir Henry Fetherstonhaugh (Uppark, Sussex, sir H. Meade- Fetherstonhaugh [Nat. Trust]); 1776 circa: John Staples of Lyssan (Castletown, Kindare, lord Carew); 1777: Predicazione di s. Giovanni Battista (Parma, chiesa di S. Antonio Abate); 1778: Ritratto di giovane, a figura intera (Madrid, Prado); Ritratto di giovane (ibid.); Sacra famiglia con S. Anna e S. Giovannino (Leningrado, Ermitage); Ritratto di ignoto (Madrid, Acad. S. Fernando); Pieter Caarten (Rotterdam, Museo Boymans); 1779: George Herbert, undicesimo conte di Pembroke (eredi sir Sidney Herbert); Sir Thomas Gascoigne (Lotherton Hall, mrs. Gascoigne); 1780: Alessandra Potocka in veste di Melpomene (Cracovia, Museo naz.); Isabella Potocka in veste di Polimnia (Varsavia, Museo naz.); Rowland Burdon (Castle Eden, mrs. Sclater- Booth); Thomas Taylour, primo marchese di Headfort (Headfort House, Meath, march. di Headfort); Mary marchesa di Headfort (ibid.); 1781: Sacro Cuore (Lisbona, chiesa del S. Cuore); 1781 circa: Ultima cena (ibid.); 1782: Sogno della fanciulla (venduto a Berlino nel 1929; cfr. Emmerling, p. 131); 1783 circa: Ritratto di Thomas Kerrich of Geldestone (già Geldestone Hall, capt. W. F. Kerrich); Il conte Stanislao Felice Potocki e La contessa Józefa Potocka (già Varsavia, coll. Kossakowski, distrutti durante la seconda guerra mondiale, citati dall'Emmerling erroneamente a Wilanów); 1784: Sir John Legard (sir Digby Legard; cfr. Steegman); 1785: Ritratto di giovane donna (Roma, coll. A. e C. Canessa); La contessa Maria Benedetta di S. Martino (Roma, coll. A. Busiri-Vici); 1785 circa: Luisa contessa Stanhope da bambina (Chevening House); 1786: Ritratto della marchesa Brignole (esposto ad Amsterdam nel 1929, a Berlino nel 1932; cfr. Emmerling, pp. 98 s.).

Fonti e Bibl.: Roma, Accad. di S. Luca, Archivio, Congregazioni, vol. 50, pp. 45 v, 46 v, 47 v; Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini; filza 143, nn. 870-935 (lettere del B.), filza 144, n. 121 e filza 81, n. 1056 (minute di lettere di Lod. Sardini al B.); F. Benaglio, Abbozzo della vita del pittore lucchese P. B. [1750-1753 circa], in Vita e prose scelte di Francesco Benaglio, a cura di A. Marchesan, Treviso 1894; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture, Roma 1763, pp. 75, 252, 292, 311, 426; F. Milizia, Lettera del 14 febbr. 1778 a F. di Sangiovanni, in Opere, IX, Bologna 1827, p. 255; O. Boni, Elogio di P. B., Roma 1787; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, I, Bassano 1795-1796, pp. 563 ss.; G. D. Fiorillo, Geschichte der Malerei, I, Göttingen 1798, p. 221; J. W. Goethe, Winckelmann und sein Jahrhundert, Tübingen 1805, pp. 282 s.; T. 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Hautecoeur, et la Renaissance à la fin du XVIIIe siècle, Paris 1912, pp. 88, 145-148, 158, 172, 173, 176, 182, 193; E. Lazzareschi, Due tele di P. G. B., in Rass. naz., fasc. 16, maggio 1913, pp. 227-247; C. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, II, Leipzig 1923, pp. 34, 376 ss. 391 s.; C. von Chledowski, Das Italien des Rokoko, München 1915, pp. 330 s., 337, 348, 389; H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1924, pp. 406, 644, 648, 650, 651; E. Mauceri, Un quadro di P. B. nel Museo Nazionale di Messina, in Cronache d'arte, I (1924), pp. 224 ss.; V. Moschini, C. Giaquinto e la pittura barocca tarda a Roma, in L'Arte, XXVII(1924), p. 106; W.T. Whiteley, Artists and their friends in England, London-Boston 1928, I, p. 306; II, pp. 308, 310, 311; M. Osborn, Die Kunst des Rokoko, Berlin 1929, pp. 90, 91, 312, 496, 622, 636, 640; E. Schaffran, Ein unbekanntes Historienbild des P. B., in Belvedere, X (1931), pp. 94-96; C. Galassi Paluzzi, La Cappella del S. 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