Ed Sanders La Famiglia NUOVA EDIZIONE

Traduzione di Raffaele Petrillo e Silvia Rota Sperti Titolo dell’opera originale THE FAMILY

© 2002 by Ed Sanders, by arrangement with AC2 Literary Agency

Traduzione dall’inglese di RAFFAELE PETRILLO E SILVIA ROTA SPERTI

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione digitale 2018 da prima edizione ne “I Narratori” marzo 2018

Ebook ISBN: 9788858831182

In copertina: elaborazione dell’Ufficio grafico Feltrinelli da © Getty Images.

Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

Al mio amico Paul Fitzgerald e in memoria di Phil Ochs, che conosceva quei tempi, li conosceva bene Ringraziamenti

Per l’aiuto, i consigli e le informazioni che mi hanno dato per la prima versione di La Famiglia, ringrazio Tim Sandoval, Vincent Fremont, Phil Ochs, John Carpenter, Andy Wickham, Kathy Torrance, Karen Fleming, Ron Hughes, Musti, Mark Mayer, Burton Katz, Barry Farrell, Mo Ostin, Mike Ochs, Walter Chappell, Thorpe Menn del “Kansas City Star”, Bud Shrake, Warren Hinckle, William Turner, Andrei e Alice Codrescu, Herb Cohen, Layne Wooten, Roberta Reichelsheimer, Randy Reno, Eric Karlson, Richard Kaplan, Larry e Toni Larsen; Stan Atkinson, Carl George, Marty Kasindorf, Mary Neiswender, Theo Wilson, Michael McGovern e altri reporter che si sono occupati del caso. Ringrazio il personale del Tropicana Motel, Glenn Frey per l’ospitalità e per avermi fatto da palo all’aeroporto di Los Angeles, J.D. Souther, Mike Ochs, Hal Scharlatt, Charity Randall e Carl Brandt. Ringrazio il sergente Paul Whiteley e gli altri agenti di polizia che si sono occupati del caso, oltre ai seguaci della Famiglia che hanno fornito informazioni, e al disponibilissimo staff del “Los Angeles Free Press”: Art Kunkin, Judy Lewelyn, Sue Marshall, Brian Kirby, Paul e Shirley Eberle, Larry Lipton, Kitty Jay, ecc. Per la versione aggiornata del 1989, ringrazio Maury Terry, Jim Pursell, Ted Gunderson, Doris Tate, Stan Atkinson, Frank Fowles, Buck Gibbens, Paul Whiteley, William Gleason, Steven Kay, , Daye Shinn, Paul Fitzgerald, Aaron Stovitz, Lt. Quinn del dipartimento dello sceriffo di Los Angeles, e tutti quelli che desiderano o devono restare nell’anonimato. Ringrazio di cuore anche Larry e Toni Larsen e tutto lo staff dell’Agenzia investigativa Larry Larsen, oltre a Pat Jackson, Rebecca Daniels, Miriam Sanders e Gus Reichbach. Per la versione aggiornata del 2002 di La Famiglia, ringrazio Paul Whiteley, Charles e Milly Guenther, Larry e Toni Larsen, Teresa Nersesyan, Maury Terry, Judy Hanson, Shiv Mirabito, Anthony della Woodstock Images per il lavoro sulle fotografie, e soprattutto Miriam Sanders per avermi aiutato con le ricerche e con la revisione del manoscritto. Introduzione alla versione rivista e aggiornata

Un dossier, sapete, non è mai completo; un caso non è mai davvero risolto, nemmeno dopo cent’anni, quando tutte le persone coinvolte sono morte. GRAHAM GREENE, Il terzo uomo

Alla fine del 1971, poco dopo l’uscita della prima edizione di La Famiglia, stavo bevendo qualcosa al Lion’s Head di Christopher Street, un bar del Village bazzicato da scrittori e giornalisti. Il mio amico e poeta Joel Oppenheimer mi presentò un detective del dipartimento di polizia di New York a cui era piaciuto il libro. “Di sicuro lascia una serie di questioni in sospeso,” fu la prima cosa che disse dopo che ci fummo stretti la mano. Se parlassi con lo stesso detective adesso, credo che mi direbbe la stessa cosa. Per anni, dopo la pubblicazione della prima edizione di questo libro, e grazie soprattutto all’ottimo lavoro dell’investigatore privato Larry Larsen, mi sono tenuto in contatto con alcune agenzie investigative e dipartimenti di polizia che in quegli anni stavano studiando diverse sette religiose e almeno un gruppo satanico, e i loro legami col caso Manson. Dalle mie ricerche più recenti, so che ci sono agenti di polizia che tuttora stanno indagando su certi aspetti o implicazioni di questo caso che hanno ripercussioni sul presente. Il caso Manson, aprendo uno squarcio sul mondo di Holly​wood, aveva tutti gli ingredienti necessari per suscitare l’interesse della nazione e del mondo intero. Aveva il rock and roll, aveva il fascino del Wild West, aveva i veri anni sessanta con la loro rivoluzione sessuale, l’amore per gli spazi aperti, la ferocia e le droghe psichedeliche. Aveva i sogni di gloria e di celebrità, aveva religioni di ogni tipo, aveva le stragi interne e le guerre, il tutto concentrato in un’enorme e vorticosa storia di sesso, droghe e crimini violenti. Più mi lasciavo coinvolgere in questo caso, più mi sentivo turbato da quello che queste persone e i gruppi a loro legati avevano fatto e stavano ancora facendo. Alcune cose che ho saputo nel corso delle mie ricerche mi hanno inorridito. Mi sono reso conto che, durante gli anni passati nella controcultura, a volte mi ero comportato male e mi ero allontanato da certi aspetti della tradizione giudaico-cristiana in cui ero cresciuto. Ma quella che avevo ora sotto gli occhi era barbarie allo stato puro, e non c’è bisogno di essere perfetti – anzi, si può essere anche molto imperfetti – per inorridire di fronte a chi pratica deliberatamente il male. Capivo che in questo caso c’erano in gioco due tipi fondamentali di barbarie: uno più nascosto, basilare, che potremmo chiamare “proto- barbarie”, e uno sovraimpresso o derivato dal primo, che potremmo chiamare “sovra-barbarie”. E una cosa che ho imparato della proto-barbarie è che, volendo, può sembrare la cosa più normale del mondo. In altre parole, la merda a volte indossa uno smoking. Mentre studiare la sovra-barbarie della Famiglia Manson era abbastanza facile, fare lo stesso con la proto-barbarie era più difficile, protetta com’era dalla segretezza, da una rigida organizzazione, dai soldi e dalle intimidazioni. La proto-barbarie può essere più ipocrita di un personaggio di un romanzo di Sinclair Lewis e più torbida di un’organizzazione di controspionaggio. E così oggi, più di trent’anni dopo, questo caso per me presenta ancora alcune questioni in sospeso, grandi e piccole, come un romanzo di Graham Greene. Ma resta comunque una storia grande e tragica, le cui ripercussioni continuano a farsi sentire. PARTE PRIMA La Famiglia: dal principio alla metà del 1969 1. SI SCONSIGLIA LA LIBERTÀ VIGILATA Il 22 luglio 1955, giorno più giorno meno, era alla guida di una Mercury 1951 rubata e stava andando da Bridgeport, nell’Ohio, a Los Angeles. Insieme a lui c’era sua moglie Rosalie, diciassette anni, incinta. Tutto cominciò da lì. In settembre venne arrestato e il 17 ottobre 1955 si dichiarò colpevole in tribunale. Il referto psichiatrico redatto in occasione dell’arresto precisava che per il soggetto si “sconsigliava la libertà vigilata” ma che la vita coniugale, a cui si aggiungeva l’imminente paternità, che notoriamente placa sempre i bollori dei delinquenti minorili, avrebbe potuto ricondurre Manson sulla retta via dell’American Way of Life. E così, il 7 novembre del 1955, giunse la condanna a 5 anni di libertà vigilata. Manson era già libero con la condizionale dal 18 maggio 1954 e aveva appena compiuto ventun anni. Era stato in carcere da quando ne aveva sedici e in vari istituti correttivi fin dai tredici anni. Dopo l’arresto commise l’errore di ammettere di fronte agli agenti federali che nel 1954, l’anno prima, aveva portato un’auto rubata dal distretto minerario del West Virginia fino in . A causa di quest’ammissione spontanea, l’11 gennaio 1956 dovette presentarsi al commissariato federale di Los Angeles per rispondere di una denuncia presentata a Miami per violazione del Dyer Act, la legge sulla ricettazione. Assolto per aver spontaneamente ammesso il fatto, Manson si sentì però ingiungere di ripresentarsi in tribunale il 15 febbraio. Poco dopo fuggì da Los Angeles, accompagnato a quanto pare dalla moglie Rosalie ormai in avanzato stato di gravidanza. Ripresero la strada per tornare a casa, nella regione degli Appalachi. Il 29 febbraio 1956 l’Ufficio di controllo dei vigilati speciali di Los Angeles richiese al tribunale un mandato di comparizione per Manson, il quale non si era presentato al proprio agente di vigilanza. Manson venne arrestato il 14 marzo a Indianapolis, nell’Indiana, e tradotto nuovamente a Los Angeles per il processo. Nel marzo di quello stesso anno nasceva suo figlio, Charles Jr. Il 23 aprile 1956 il giudice Harry C. Westover pronunciò la sospensione della condizionale, condannando l’imputato a 3 anni di carcere federale da scontarsi nel penitenziario di Terminal Island a San Pedro, in California. Per quasi tutto il primo anno del soggiorno di Manson a Terminal Island, la moglie Rosalie gli rimase accanto, abitando a Los Angeles con il piccolo Charles Jr. e con la suocera, Kathleen. Al principio del 1957 Rosalie interruppe le visite in parlatorio e, secondo un verbale dell’Ufficio federale di vigilanza, andò a vivere con un altro uomo, circostanza che turbò enormemente il marito. Il 24 maggio 1957 Manson, che aveva cercato di evadere da Terminal Island, si beccò una denuncia per violazione del paragrafo 18, sezione 751 del Codice penale degli Stati Uniti: “Evasione dalla custodia federale dopo la condanna”. Il 27 maggio 1957 Manson si dichiarò colpevole e il 10 giugno seguente, avendo il giudice federale William Mathes pronunciato la condanna con sospensione della pena, prese 5 anni con la condizionale. Poco dopo, sua moglie intentò causa di divorzio. La citazione fu presentata a Manson il 15 luglio nel carcere di Terminal Island, a San Pedro. La sentenza definitiva di divorzio fu depositata il 30 agosto 1957. Adios, moglie. Manson rimase in carcere dal 23 aprile 1956 al 30 settembre 1958: due anni, cinque mesi e cinque giorni di cosiddetta riabilitazione. In galera il giovanotto, che pesava 56 chili, giocò in diverse squadre di basket e, a quanto pare, provò anche a tirare di boxe. Continuò la sua vita sessuale nel solo modo consentito in prigione: con le mani, con la bocca e con il didietro. Per due anni e mezzo Manson assistette alle interminabili discussioni tra i carcerati più anziani, cosiddetti stagionati, a proposito di complotti, crimini e psicopatia. A Terminal Island si facevano molti di quelli che potremmo definire “discorsi da magnaccia”, intorno ai metodi da impiegare per controllare i gruppetti di prostitute. A detta di certe persone interrogate successivamente a Terminal Island, Charlie ascoltava avidamente queste chiacchiere. Così ha scritto uno che lo conosceva bene: “Si parlava quasi sempre di battone, soprattutto di come tenerle sotto controllo. Parlavamo delle ‘madame’, ossia di quelle che svolgevano le mansioni di caporale, e delle ‘mandrie’, ossia dei gruppi di prostitute sotto il controllo di un solo sfruttatore. Si chiacchierava anche molto del modo di scozzonare le pollastre”. Così trascorse il periodo di galera per il giovane Charlie Manson e, come annotava il 1° ottobre 1958 l’Ufficio federale di vigilanza in quelle che vengono chiamate note cronologiche, “il soggetto è stato scarcerato dal FCI (carcere federale) di TI (Terminal Island) il 30-9-58 e resta in CR (libertà vigilata) fino al 24-10-58”. Manson annunciò che sarebbe andato a stare con la madre a Los Angeles, in Harkinson Avenue: questo fu il primo dei venti recapiti che Manson avrebbe comunicato nel corso dei successivi venti stiracchiati mesi di libertà. L’Ufficio di vigilanza gli offrì alcuni indirizzi dove cercare lavoro. Il curriculum di Manson dei mesi successivi è degno della penna di un romanziere: lavorò di volta in volta come aiuto cameriere, barista, rivenditore di banconi per surgelati, piazzista di frigoriferi, benzinaio, produttore televisivo e magnaccia. Il 1° gennaio 1959, un padre infuriato denunciava alla questura di Los Angeles che Manson stava cercando di avviare la giovane figlia Judy alla prostituzione. Manson era stato anche visto in giro con la compagna di stanza di Judy, una facoltosa studentessa dell’Ucla, una certa Flo di Baker (California), che guidava una Triumph bianca. Il 1° maggio 1959 Manson venne beccato mentre tentava di allontanarsi da un supermercato di Los Angeles dopo aver cercato di falsificare e cambiare un assegno circolare rubato di 34,50 dollari. Quella mattina stessa era riuscito a incassare un altro assegno rubato in una stazione di servizio di Richfield. Una bella gatta da pelare. Sul luogo del misfatto la polizia mise le mani su una spider Cadillac azzurra del 1953, intestata a quanto pare alla madre di Manson. Preso il giovane in consegna dalla polizia di Los Angeles, gli agenti federali che lo interrogarono commisero l’errore di lasciare in bella vista l’assegno contraffatto in una pratica aperta. A quanto pare, approfittando di un attimo in cui gli agenti dei servizi segreti gli voltavano le spalle, Manson riuscì ad arraffare l’assegno e a inghiottirlo. Comunque andarono le cose, l’assegno era scomparso e poco dopo Charlie chiese di potersi appartare per vomitare. Il 19 giugno 1959 una diciannovenne di nome Candy Stevens (piuttosto bella, a detta dell’agente di sorveglianza) si presentò all’Ufficio di vigilanza, annunciando che Manson l’aveva messa incinta e che l’avrebbe certamente sposata se quei farabutti dei federali non l’avessero sbattuto dentro. In realtà la ragazza, lungi dall’essere una futura mammina, era una battoncella che al momento lavorava per Manson. È comunque probabile che fosse stato lui ad avviarla a quella carriera. Il 4 settembre di quello stesso anno Manson fu visitato nuovamente dallo stesso psichiatra che l’aveva esaminato quattro anni prima. Così concludeva il referto: Non dà l’impressione di essere un mascalzone. È però emotivamente instabile e affettivamente insicuro. Del tempo trascorso negli istituti [di pena] parla in un modo che fa pensare che abbia tratto le maggiori soddisfazioni proprio dal carcere. Ha detto di essere stato capitano di varie squadre sportive e di essersi sempre sforzato di divertire gli altri carcerati. A mio avviso si tratta probabilmente di una personalità sociopatica esente da psicosi. Purtroppo si sta trasformando rapidamente in un delinquente istituzionalizzato. In ogni caso, non posso certo raccomandarlo come buon candidato alla libertà vigilata. Charlie Manson aveva ventiquattro anni. L’udienza si tenne il 28 settembre 1959, con la giovane Candy che implorava a calde lacrime pietà per Manson. Il giudice si mostrò clemente, pronunciando la condanna a 10 anni con la sospensione della pena e la libertà vigilata per 5 anni. Nel novembre del 1959 Manson conobbe la diciottenne Mary Jo di Detroit, che era venuta a Los Angeles perché abbindolata dall’annuncio pubblicitario di una scuola per hostess. Quando si era accorta che la scuola era una truffa, aveva cercato invano di farsi restituire i soldi. Aveva però convinto i genitori a consentirle di restare a Los Angeles e aveva preso in affitto un appartamento insieme a un’amica di nome Rita. Verso la fine del 1959 Manson si mise in società con un certo Tony Cassino e aprì un’attività denominata “3-Star Enterprises, Promozione nightclub, radio e tv”, con sede nell’appartamento 306 al numero 6871 di Franklin Avenue, Hollywood. (Questo indirizzo era a pochi passi di distanza dall’appartamento dove, dieci anni dopo, Manson avrebbe freddato lo spacciatore di colore Bernard Crowe.) Manson era l’amministratore delegato e Tony il direttore generale. A quanto pare Manson scucì un po’ di soldi a Mary Jo di Detroit per tre delle sue cosiddette campagne promozionali. In realtà sembra che, dietro la copertura della 3-Star Enterprises, Manson gestisse una rete di prostitute, approfittando anche della vicinanza del Roosevelt Hotel di Hollywood. In ottobre la madre di Charlie si ritrasferì nel West Virginia, dichiarando di volervisi stabilire. Il 4 dicembre Candy Stevens, la ragazza che era scoppiata in lacrime davanti al magistrato, venne arrestata a Beverly Hills per esercizio della prostituzione. Manson raggranellò il denaro per farla uscire su cauzione, ma poco dopo il tribunale pronunciò la condanna alla pena detentiva. Nel frattempo Manson aveva pensato bene di mettere incinta la fanciulla di Detroit, Mary Jo. Il 24 dicembre, la vigilia di Natale, Manson fu arrestato con l’accusa di aver mandato un certo Harold, con Candy e una ragazza di nome Elizabeth, a Needles, in California, per contrabbandare droga. I tre erano partiti a bordo di un’auto rubata. Ben presto Manson fu rilasciato per mancanza di prove. L’ultimo dell’anno venne pizzicato e denunciato per furto di carte di credito ma fu rimesso in libertà il 4 gennaio 1960. Il 5 gennaio, Manson fu convocato in tribunale in qualità di teste per il furto di certe carte di credito dell’American Express e della Bank of America. Le cose si stavano mettendo veramente male per “questo farabuttello senza spina dorsale”, come lo definì l’agente incaricato di vigilarlo. L’Fbi diede corso a un’approfondita indagine sul suo conto e il 15 febbraio 1960 segnò la data dell’ultima visita fatta da Manson all’Ufficio di vigilanza. Il 20 febbraio 1960 Mary Jo di Detroit, incinta, si ammalò gravemente, la gravidanza divenne ectopica (ossia il feto cominciò a svilupparsi nelle tube di Falloppio) e la ragazza, colpita da emorragia, dovette essere ricoverata. Manson telefonò al padre di Mary Jo, un assicuratore di Detroit, il quale partì immediatamente per Los Angeles. All’aeroporto californiano fu accolto da Manson e dalla compagna di stanza di Mary Jo, Rita. Durante il tragitto in auto, il giovane comunicò all’assicuratore di non avere la patente di guida e di essere un vigilato federale. Secondo il verbale dell’Ufficio di vigilanza speciale, il padre di Mary Jo rimase scioccato di apprendere che sua figlia era finita nelle mani di un ex carcerato. Mary Jo superò la crisi tra alti e bassi e riuscì a riprendersi in fretta. Il padre si affrettò a farla ricoverare in una clinica privata. Manson in qualche modo venne a conoscenza del numero di telefono dell’istituto e cominciò a chiamarla. La ragazza disse al padre di essere perdutamente innamorata di Manson. L’assicuratore cominciò a setacciare Hollywood in cerca di informazioni e trovò certa gente che gli disse che Manson era dedito a fare il magnaccia. Per citare il verbale stilato in quell’occasione dall’Ufficio federale di vigilanza, il padre “stava male al pensiero che un simile soggetto volesse far lavorare per lui la figlia e Rita”. Scoprì poi con orrore che l’uomo di cui la figlia si dichiarava perdutamente innamorata aveva sedotto l’amica Rita la sera stessa in cui aveva portato Mary Jo all’ospedale in condizioni disperate. Il 29 febbraio 1959, il padre di Mary Jo si presentò all’Ufficio federale di vigilanza per sporgere denuncia. L’uomo, già esperto investigatore assicurativo, aveva veramente bruciato le tappe alla ricerca di prove per inchiodare Manson. Infuriato perché il giovanotto si era rifiutato di consegnargli i bagagli della figlia, aveva tentato persino di farlo arrestare dalla polizia di Pasadena, ma invano. Nel pomeriggio di quello stesso giorno si recò a Pasadena. Salito nella camera in affitto di Manson, constatò che costui aveva preso il largo portandosi dietro i bagagli di Mary Jo. L’assicuratore rimase anche inorridito nel trovare una raccolta di foto pornografiche che il giovane aveva dimenticato nella stanza. Un agente di polizia che viveva nella stessa pensione definì Manson “un maniaco sessuale” e aggiunse che, secondo lui, scattava personalmente le fotografie per venderle fuori dei confini dello stato. Charlie Manson aveva le ore contate. La macchina della giustizia si era messa in moto. Nell’aprile del 1960 Candy Stevens, al cospetto di un Gran giurì federale, si decise a cantare. Il 27 aprile 1960 la magistratura formulò un atto d’accusa, denunciando Manson per violazione del paragrafo 18 della sezione 2421 del Codice penale, “Trasporto di donne da uno stato all’altro ai fini della prostituzione”. Nel documento si precisava che il 12 dicembre 1959, lo stesso Charles Manson aveva portato da Needles (California) a Lordsburg (New Mexico) le signorine Candy ed Elizabeth a bordo di una Triumph spider rubata. Su istanza dell’Ufficio federale di vigilanza speciale, il giudice Mathes revocò la concessione della libertà vigilata a suo tempo accordata dopo il fatto dell’assegno falso. Il 23 maggio 1960 venne fissata la cauzione, per la somma di 10.000 dollari. Il 1° giugno 1960, a una settimana di distanza dall’emissione del mandato di cattura, Charlie venne pizzicato a Laredo, in Texas, evidentemente per un reato diverso, dietro denuncia per violazione del Mann Act, la legge sulla tratta delle bianche. Qualche giorno dopo, il 16 giugno, fu riconsegnato alle autorità di Los Angeles. Il 23 giugno 1960 il giudice William Mathes condannò Manson a 10 anni di detenzione nel penitenziario federale di McNeil Island, nello stato di . Il 10 luglio l’accusa federale di sfruttamento della prostituzione fu dichiarata infondata, ma Manson era già stato condannato per violazione delle norme sulla libertà vigilata. Era rimasto in libertà un anno, otto mesi e due giorni. Ricorse in appello contro la condanna a 10 anni e rimase poco meno di un anno nel carcere della contea di Los Angeles, le cui celle si trovano ai piani superiori del palazzo di giustizia dove, un decennio dopo, Manson sarebbe stato processato per omicidio. Nel giugno del 1961, rinunciando a battersi ulteriormente dopo aver perduto la prima causa d’appello, si rassegnò a farsi spedire al penitenziario di McNeil Island. Nel dicembre del 1963 la madre di Manson, che a quanto pare si era risposata ed era andata ad abitare a Spokane, Washington, scrisse una lettera al giudice Mathes, offrendosi di ipotecare la propria casa a garanzia del rilascio del figlio su cauzione. Il magistrato le fece rispondere che, trascorsi novanta giorni dalla sentenza, il giudice non era più competente per eventuali modifiche al disposto. Manson passò buona parte degli anni sessanta in carcere. Durante il tumulto dei vari movimenti di liberazione fuori dall’America, durante le sommosse, gli attentati ai capi di stato, lo scoppio della guerra in Vietnam, durante le grandi manifestazioni per la pace, i moti per l’emancipazione sessuale, il rock and roll, l’uscita di Beatles For Sale, i Beach Boys, il napalm, gli Hare Krishna e il crescente rifiuto delle donne a essere vittimizzate (un movimento di cui seppe poco o nulla) – durante tutto questo Manson rimase in galera, seguendo il flusso della realtà esterna attraverso i periodici d’attualità e le chiacchiere tra carcerati. Fu mentre contava i giorni a McNeil Island che Manson cominciò a interessarsi di magia, negromanzia, ipnotismo, proiezione astrale, esoterismo massonico, scientologia, manipolazioni dell’Io, motivazione subliminale, musica e forse rosacrocianesimo. Soprattutto, di ipnotismo e motivazione subliminale. Sembrava deciso a servirsene per esercitare un controllo sul prossimo a proprio vantaggio. Un suo compagno di carcere a McNeil Island ricorda perfettamente il grande Trucco delle cuffie di Charlie Manson. Utilizzando la stazione radio del penitenziario, Manson si divertiva a instillare in tutti gli occupanti della casa di pena quelle che il suo compagno di cella definiva “suggestioni postipnotiche”. Ogni carcerato poteva collegarsi con il centralino radio mediante apposite cuffie appese alla testata di ciascun letto nelle varie celle. Manson aveva organizzato un piano clandestino grazie al quale, alle tre del mattino, la stazione radio diffondeva nelle cuffie certi suoi messaggi. Ogni messaggio o direttiva veniva ripetuto più volte di seguito. Di notte i carcerati dovevano appendere le cuffie alla testata del letto, in modo da cogliere i messaggi senza che le guardie se ne accorgessero. Sempre secondo il racconto del carcerato, il penitenziario di McNeil Island aveva una squadra di basket che non vinceva mai. Con i messaggi clandestini trasmessi nottetempo tramite cuffie, Manson spronava i compagni a fare il tifo per la squadra di McNeil Island. Una volta scatenato in tutta la prigione un tifo sfegatato per la squadra di casa, Charlie cominciò a piazzare scommesse per la vittoria delle squadre avversarie, realizzando ben presto una vincita di duecento pacchetti di sigarette, la moneta di scambio di tutti i penitenziari statunitensi. Un altro giochetto simile era il Trucco degli applausi: sempre tramite le cuffie, Manson ordinò ai carcerati di applaudire per lui e solo per lui quando si sarebbe presentato a un concorso canoro interno. Il successo fu travolgente, grazie alla durata e all’intensità dell’ovazione che salutò il suo exploit in gara. Ironia della sorte, pare che in galera Manson fosse diventato il protetto del gangster del proibizionismo Alvin Karpis, membro della feroce banda Ma Barker, che ai suoi tempi aveva fatto ben quattordici vittime. Alvin Karpis, detto “Old Creepy”, insegnò a Charlie a suonare la chitarra e fu per lui una sorta di supervisore, anche se in seguito, intervistato dopo l’arresto di Manson, avrebbe dichiarato di considerare il suo pupillo “l’ultima persona al mondo capace di compiere delle stragi”. “Charlie si era fatto prendere da questa nuova roba chiamata ‘scientologia’,” dice Karpis. “Era convinto che gli avrebbe permesso di fare qualsiasi cosa, di diventare qualcuno. E forse aveva ragione. Cercava di convincere anche gli altri a darsi alla scientologia, ma con scarso successo.” La scientologia è una religione reincarnazionista che, tra le altre cose, sostiene di poter istruire la gente a rivivere le vite passate, ad abbandonare il corpo (“esteriorizzarsi”) e a ottenere una grande forza e l’immortalità. Manson ne aveva sentito parlare da un certo Lanier Ramer, da Gene Deaton e Jerry Milman, quest’ultimo suo compagno di cella a McNeil Island. A detta dei seguaci di Manson, Lanier Ramer si era specializzato nello studio della scientologia, diventando Dottore di Scientology, uno dei primi gradi gerarchici del movimento, ora abolito. Ramer si distaccò dalla scientologia per formare una sua setta. Arrestato per rapina a mano armata, venne quindi spedito a McNeil Island. A un tale che lo è andato a trovare in prigione, Manson ha detto di essersi sottoposto in penitenziario a centocinquanta sedute di “trattamento”, a quanto pare presiedute da Lanier Ramer. Manson sostiene inoltre di aver appreso la metodologia scientologica molto rapidamente perché la sua “mente non era programmata”. Ma non lo si può affatto considerare un “prodotto” di tale setta: si è limitato a prenderne in prestito qualche concetto. È un fenomeno che gli scientologi definiscono “piluccamento”, alludendo all’abitudine di orecchiare e adattare la prassi e i metodi del movimento. Manson “piluccò” in abbondanza espressioni, neologismi e pratiche scientologiche, sfruttandole per proprio uso e consumo quando si trattava di riorganizzare il cervello dei suoi giovani seguaci. Sembra infatti che certe espressioni come “stranire”, “cessare di esistere” e “avvento nel Presente”, nonché il concetto di “creazione di immagini”, siano elementi desunti dalle sedute che Manson tenne in carcere con Lanier Ramer. Manson studiò anche l’esoterismo massonico, appropriandosi di alcuni schemi fondamentali di chirosemantica (quei segnali con le mani che avrebbe sfoggiato di fronte ai giurati in occasione del processo). A quanto pare apprese anche qualcosa dei segni di riconoscimento scientologici. In seguito, nel periodo degli “sciacallaggi”, Manson avrebbe messo a punto un suo sistema di segnaletica manuale e corporea, un vero criptolinguaggio a uso dei seguaci. Per essere uno che aveva così poca dimestichezza con la lettura e la pagina scritta, Manson si interessò anche troppo di certi libri di ipnotismo e psichiatria. Secondo un amico, si accostò soprattutto al volume Transactional Analysis del dottor Eric Berne, lo stesso autore di A che gioco giochiamo. E Charlie, sempre sulla breccia del proselitismo, sollecitò gli amici a leggere i libri che andava scoprendo. È probabile che proprio dalla lettura di Transactional Analysis Manson abbia preso le mosse per elaborare la perversa dottrina della Mente infantile. Di certo molte idee gli vennero dal lavoro pionieristico compiuto da Berne nel campo della socioterapia. In carcere Manson aveva un amico, un certo Marvin White, che a quanto pare, una volta rilasciato da McNeil Island, prese gli opportuni accordi per fargli avere per posta vari libri di magia nera e di argomenti affini. Un altro libro che contribuì a fornire una base teorica alla Famiglia Manson fu Straniero in terra straniera di Robert Heinlein, la storia di un marziano telepatico assetato di potere che vaga sulla terra attorniato dal suo harem, sfogando insaziabili brame sessuali e facendo proselitismo per un nuovo movimento religioso. Inizialmente Manson prese in prestito da Heinlein diversi termini e idee, ma fortunatamente non l’antropofagia rituale di cui si parla nel libro. Si sarebbe però identificato con il protagonista del romanzo, certo Valentine Michael Smith (il figlio della prima “discepola” di Manson fu chiamato appunto Valentine Michael Manson), un individuo che, per edificare una nuova corrente religiosa, massacrava (o “scorporava”) gli avversari. Nel libro, Smith viene alla fine pestato a morte dalla folla inferocita e ascende al cielo. Durante i suoi successivi processi per omicidio, i seguaci di Manson tenevano cerimonie di comunione con l’acqua nel corso delle quali il capo, dal carcere, sorbiva magicamente un sorso d’acqua a distanza da un bicchiere posto al centro del cerchio dei fedeli. Il testo che però doveva conoscere meglio era la Bibbia, di cui era capace di citare lunghi brani. Manson occupava il suo tempo anche cantando e scrivendo canzoni. Sembra che lo appassionasse l’idea di diventare musicista. A un certo punto gli permisero di tenere una chitarra. “Un messicano mi insegnò a suonare la chitarra,” avrebbe scritto in seguito. Una ragazza, proprietaria di una boutique nella zona di Silverlake, nei pressi di Los Angeles, ricorda ancora che Charlie, da poco uscito di prigione, veniva spesso a trovarla in negozio col suo strumento per cantarle “splendide canzoni d’amore in spagnolo”, probabilmente imparate in galera. I Beatles attrassero fin dagli inizi della loro carriera l’attenzione di Manson, anche negli anni ’63-’64, quando andavano pezzi melodico-sdolcinati come I Want To Hold Your Hand. Alvin Karpis, della banda Barker, ricorda: “Continuava a dire in giro che poteva benissimo diventare come i Beatles, se solo ne avesse avuto l’occasione. Insisteva perché gli presentassi dei pezzi grossi come come Frankie Carbo e Dave Beck, chiunque potesse farlo entrare nel giro giusto appena fosse uscito di prigione”. Carbo, grande organizzatore di risse e sicario del crimine organizzato, fu detenuto a McNeil Island nello stesso periodo in cui c’era anche Manson. Dopo cinque anni a McNeil Island, certi suoi amici carcerati, con una certa esperienza in fatto di codici e procedure, elaborarono una manovra giuridica grazie alla quale Charlie poté essere trasferito, il 29 giugno 1966, da McNeil Island (Washington) a Terminal Island, il carcere di San Pedro (California) nei pressi di Los Angeles, dove si pensava forse che avrebbe avuto maggiori probabilità di essere rilasciato in anticipo. Fu a Terminal Island che Manson cominciò a prepararsi seriamente all’operazione “superstar”. Nel penitenziario californiano trascorse quasi un anno. Gli amici lo ricordano fanaticamente dedito alla musica e al canto. Uno dei carcerati, Phil Kaufman, al fresco per spaccio di marijuana, rimase colpito dalle capacità musicali di Manson e si offrì di metterlo in contatto con certi amici esterni non appena fosse giunto il momento della scarcerazione. Kaufman diede a Charlie il nome di un tale che lavorava agli Universal Studios di Hollywood, la casa per cui Manson avrebbe inciso le sue canzoni verso la fine del ’67. Durante gli ultimi sette anni di carcere, Manson si fece molti amici. Alcuni compagni di cella affermano che continuava a parlare di un piano per reclutare un esercito di emarginati che operassero “al di sotto della coscienza” della cultura madre. Altri lo definiscono mentalmente “sballato”, ma non mancano coloro che lo ricordano con un certo affetto, dicendosi sorpresi e increduli che si sia potuto trasformare in un capobanda di massacratori. È giusto dire comunque che, all’uscita dal carcere, il mondo era pronto a offrirgli una buona occasione. Una lunga e complessa vicenda tragica aveva già segnato Charles Manson per la vita, ma adesso, nell’anno di grazia 1967, l’amore aveva attirato l’attenzione dell’America militarista e le strade erano pronte ad accogliere un trovatore e collezionista errante di sbandati figli della guerra.

2. OLTRE LE SBARRE, NELL’ANNO DEI FIORI Il 21 marzo 1967, con 35 dollari in tasca e una valigia piena di “vestiti”, Manson uscì di prigione dopo aver scontato sei anni e nove mesi di pena. Aveva trentadue anni e mezzo. La leggenda vuole che Manson, nell’attimo in cui varcava i cancelli, abbia avuto un moto di smarrimento, dando quasi a vedere di voler tornare indietro. Ma, una volta in strada, cominciò quell’incessante vagabondare che si sarebbe concluso solo trenta mesi dopo. Nei primi tre giorni di libertà, Charlie girò un po’ per Los Angeles a piedi e in autobus. Si diresse poi a nord, a Berkeley, per far visita a certi amici conosciuti in galera. Ansioso di affermarsi come menestrello-cantautore errante, passò qualche tempo nel campus di Berkeley della University of California. Chitarra alla mano, prese a gironzolare, scroccando ed elemosinando per i viali del campus. Un giorno di primavera, mentre se ne stava a suonare e cantare all’aria aperta nel piazzale della cittadina universitaria antistante il Sather Gate, conobbe , un’esile ragazza dai capelli rossi originaria di Eau Claire, Wisconsin, che, laureatasi da poco presso la University of Wisconsin, lavorava allora alla biblioteca dell’ateneo californiano. A Berkeley, in quello stesso periodo, lavorava anche Abigail Folger, ereditiera del patrimonio della Folger Coffee Company e all’epoca impiegata presso il Museo d’arte universitario. Manson e la Brunner strinsero subito amicizia e, a quanto pare, lui andò a stabilirsi nell’appartamento della ragazza. In quanto vigilato federale, Manson aveva l’obbligo di tenersi continuamente in contatto con il funzionario incaricato di sorvegliarlo, comunicandogli ogni spostamento, l’eventuale occupazione, qualsiasi genere di attività. L’agente che l’aveva preso in custodia dopo il penitenziario era un certo Roger Smith, che non tardò a farselo amico. E poiché Charlie usava molto volentieri certe espressioni heinleiniane come “grokkare”, “Tu sei Dio”, “condividere l’acqua” e altre espressioni della Terra straniera, Roger Smith venne ribattezzato da lui e dalle ragazze “Jubal”, come il paterno protettore Jubal Harshaw del romanzo Straniero in terra straniera. Le norme federali vorrebbero che i vigilati speciali si trovassero un’occupazione retribuita, così Manson cercò e ottenne lavoro come cantante. Andò infatti a suonare in un localaccio della zona più malfamata di San Francisco. Probabilmente si esibì anche in un locale della North Beach. L’agente federale di vigilanza dice che gli era stato perfino offerto un impiego per cantare in Canada. Seguire le peripezie di Manson all’inizio del 1967 è quasi impossibile, poiché cominciò a vagabondare appena uscito di prigione – e del resto, chi saprebbe ricordare i particolari di una data settimana nei primi mesi del 1967? Quel che è certo è che Manson fece diversi tentativi per rintracciare la madre Kathleen. Al suo agente di vigilanza chiese più volte il permesso di varcare i confini statali. Una volta andò a cercarla a nord, nello stato di Washington. Un’altra volta si spinse verso est, entrando nel West Virginia. Un’altra fanciulla dai capelli rossi, Lynn Fromme, si unì a Mary Brunner come “secondo acquisto” della cerchia di damigelle che attorniava Manson. Era stata rimorchiata nei pressi della spiaggia di Venice, dove Charlie l’aveva trovata in lacrime sul bordo del marciapiede. La leggenda vuole che la ragazza fosse stata appena cacciata, dopo un litigio con i suoi, dalla casa paterna di Redondo Beach. Anche per Lynn si compì l’iniziazione: “Sono il dio della scopata” furono le parole di Manson dopo il loro primo rapporto sessuale. Nella primavera-estate del 1967, Manson e compagne alloggiarono nel quartiere di Haight-Ashbury, in Cole Street 636, a quanto pare presso una bellissima ex suora di nome Mary Ann. Manson trascorse un certo periodo di tempo bazzicando le strade dell’Haight in compagnia dei figli dei fiori. Uno sbarbatello hippie di sedici anni, forse un ragazzo, forse una ragazza – non si sa e non importa – tutto solo e senza famiglia, offrì a Charlie la propria amicizia. L’uomo che aveva trascorso una vita in gattabuia dovette trovare stupefacente che questo ragazzino dormisse all’aperto, in Golden Gate Park. Sono centinaia (e in buona parte gonfiati) gli aneddoti che girano attorno al periodo di Manson nell’Haight, ma la realtà è che si trattava di un ometto sudicio e dalla parlantina facile, che andava a caccia di giovani fanciulle, chitarra a tracolla, blaterando di misticismo e di guru, tattica a quel tempo infallibile nei meandri dell’Haight. Secondo lo stesso Manson, diventò una specie di locandiere degli sbandati. Dapprima si imbatté in una ragazzina scappata di casa, che sistemò presso un amico. Poi, proprio mentre usciva dalla casa dell’amico, incontrò un’altra fanciulla coi fiori tra i capelli che sarebbe diventata la sua domestica. Pare che quando Manson prese per la prima volta l’acido, l’esperienza fu tale da cambiargli completamente la vita, perché fece uno sconvolgente viaggio sulla Via Crucis nel corso del quale assistette alla crocifissione di Cristo. È ovviamente un’esperienza piuttosto comune per chi prende l’Lsd, ma nel caso specifico fu tale da incidersi profondamente sulla personalità di Manson, in quanto dava forma al suo caos. Charlie Manson, il Figlio dell’Uomo, avete presente? Alla base del fanatismo della Famiglia per quella faccenda del Cristo in croce sta la forzata analogia tra Gesù e i suoi discepoli, da un lato, e Charlie e le sue ragazze, dall’altro. Ecco infatti cosa credevano costoro a proposito di Cristo: che novant’anni dopo la crocifissione, certi sacerdoti imbecilli avevano fatto fuori i veri cristiani, ispirati dall’amore di natura erotico- sessuale, annientando così l’originario impulso della fede e sostituendovi il loro afflato mortale, lugubre e asessuato. Nell’Haight, Manson venne a contatto con tutto il coacervo di correnti subculturali che si era andato formando negli Stati Uniti nel corso del decennio precedente. L’acid music. La droga. La libertà sessuale. Turn on, tune in, drop out.1 La politica della libertà. I raduni della pace. I Provos. Il teatro di guerriglia. Le comuni. I capelli lunghi. Il concetto di superstar underground. L’astrologia. L’occultismo. I giornali underground. Le abitazioni collettive. L’arte psichedelica. Al concerto dei Grateful Dead nell’Avalon Ballroom, dove fece esperienza della Via Crucis, Manson si raggomitolò sul pavimento in posizione fetale mentre le luci psichedeliche creavano un’atmosfera di trance spiritistica. A quanto pare era un personaggio abbastanza noto nell’Haight. Lui stesso dichiara di essersi accodato ai Digger2 quando questi andavano a distribuire il loro pane quotidiano a Panhandle Park. È probabile anche che per un certo periodo abbia abitato in una casa a ridosso del covo dei Digger in Waller Street. Successivamente, all’epoca del satanismo psichedelico, questa stessa abitazione sarebbe stata ribattezzata Casa del diavolo. Charlie esercitava sempre un grande effetto su quelli che incontrava. Era schietto. Aveva una capacità incredibile nel manovrare una parte di una personalità contro l’altra, nell’individuare al primo istante le debolezze dell’interlocutore, creare confusione e, in tal modo, presentarsi come leader. Aveva sempre una risposta a tutto, immediata, disinvolta, anche se apparentemente complicata. Se da un lato diceva a tutti di essere se stessi, di comportarsi a proprio piacimento, dall’altro possedeva un magnetismo che, abbinato a un infaticabile processo di selezione, attraeva tutti coloro che erano alla disperata ricerca di un leader. Quello che Charles cercava, nonostante il suo gran parlare di emancipazione e libertà, era il dominio sugli altri. “Sono una forza molto positiva,” avrebbe detto qualche tempo dopo a un amico avvocato. “Sono un potente campo positivo. Attraggo i negativi.” Era sempre pronto a richiamare l’attenzione sui suoi primi anni di squallore, rifiuto, carcere e povertà. In una scena che pare uscita direttamente da Il sindaco di Casterbridge di Thomas Hardy, Manson sostiene che una volta sua madre l’avesse venduto per un boccale di birra. Ora poteva avere un universo hippie tutto suo. Era terribilmente insicuro, e gli elogi dei suoi seguaci erano di poco conforto. Mary Brunner continuò a lavorare in biblioteca, e al funzionario incaricato di sorvegliarlo fu dato il suo indirizzo di Berkeley. A Manson piaceva andarsene in giro qua e là con la sua chitarra. Si spostava tra l’Haight e Berkeley facendo l’autostop. Nel luglio del 1967 fu raccattato da un certo reverendo Dean Morehouse, che lo portò a casa sua a San Jose e gli fece conoscere la moglie e la figlia quattordicenne Ruth Ann, detta “Ouish”. Secondo la versione dell’incontro con Dean Morehouse fornita da Manson a un avvocato durante il suo ultimo processo per omicidio, il reverendo, alla guida di un pick-up, avrebbe offerto un passaggio a Charlie e dato inizio a un’amicizia duratura, conclusasi solo il giorno in cui, all’incirca un anno dopo, Morehouse sarebbe finito in carcere per aver somministrato Lsd a una tredicenne. A casa di Morehouse, Manson rimase incantato da un pianoforte, che il reverendo gli cedette. Manson vide un pulmino Volkswagen nel quartiere di Morehouse e si accordò per barattarlo con il piano. Morehouse gli portò il piano col suo furgone, e Manson si ritrovò con un pulmino VW del 1961 targato CSY 087. Verso la fine del luglio 1967 la combriccola si spostò sulla riviera di Mendocino, a nord di Frisco, dove Mary Brunner si accorse di essere incinta. Quella di Mary Brunner sembra la sola gravidanza di tutta la storia della Famiglia che si possa attribuire con certezza a Charles Manson. Circostanza piuttosto strana perché, stando ai dati forniti dai compagni di carcere di Manson (tre orgasmi al giorno di media, per un totale di oltre tremila amplessi in due anni e mezzo), le gravidanze avrebbero dovuto essere molte, molte di più. Il 28 luglio 1967 Manson fu arrestato nella contea di Mendocino per aver cercato di aiutare una ragazza scappata da casa sulla quale la polizia era riuscita a mettere le mani. La fuggiasca era Ouish, la figlia del reverendo Morehouse, che Manson aveva convinto a venire con sé. I genitori avevano avvertito gli sbirri, ma anche questa volta Manson ottenne la sospensione della pena. Per comprendere la frenesia che avvolgeva il quartiere di Haight-Ashbury nella primavera-estate del 1967, bisognerebbe averla vissuta di persona. In tutta l’America i giovani si passavano la parola: tutti a San Francisco, per l’amore e per i fiori. La California era invasa da quelli che il “New York Times” aveva cominciato a chiamare “hippie”. È vero che in quel periodo un po’ in tutti gli Stati Uniti, in centinaia di città grandi e piccole, c’erano raduni ed eventi hippie, comuni e fiori, ma ancora una volta, come già all’epoca della beat generation di dieci anni prima, il centro nevralgico del movimento era San Francisco. Potenzialmente, il flower power era la forza d’urto più travolgente che si fosse mai vista nella storia recente del paese. Grazie all’opera dei Digger di San Francisco, della Free Clinic di San Francisco, della scena musicale di San Francisco, del “San Francisco Oracle”, il giornale underground dell’epoca, la metropoli californiana era diventata il cuore dell’esperimento. Ed era un nobile esperimento. Era la politica della Libertà. I Digger distribuivano ogni giorno cibo gratis a Panhandle Park. La clinica di Haight-Ashbury offriva assistenza sanitaria gratuita. Nel parco si tenevano continuamente concerti gratuiti all’aperto. I giovani vivevano e si amavano per strada e nei parchi. Era la Libertà. Non c’erano regole. C’era però almeno un punto debole: dal punto di vista della vulnerabilità, il movimento dei figli dei fiori era come una vallata popolata da migliaia di conigli bianchi e grassi, circondati da coyote feriti e affamati. È vero che i leader erano dei duri, che alcuni di loro erano dei veri geni e dei grandi poeti. Ma i figli della media borghesia di provincia, ingenui e strafatti di acido, erano i coniglietti. L’Haight attirava pericolosi criminali che si lasciavano crescere i capelli. I biker cercavano di accaparrarsi il mercato dell’Lsd con tattiche sadiche e crudeli. Loschi figuri dal volto butterato e gonfi di metedrina vendevano droga scadente agli angoli delle strade. Satanisti e terribili stupratori-satanisti affollavano i turbinosi dormitori collettivi. Cominciarono le rapine nei parchi, i disordini razziali. Vomito e brutture venivano venduti come strumenti di salvezza. Manson portò le sue protette lontano da tutto ciò. L’estate dei fiori volgeva infatti al tramonto, le strade dell’Haight erano asfittiche e luride, a ogni angolo sorgevano bancarelle di bizzarra paccottiglia psichedelica. Charlie, nel suo instancabile vagabondare su e giù lungo la costa californiana, cominciò ad avvertire autostoppisti e fuggiaschi di stare alla larga dall’Haight. Durante l’estate dell’amore e dei fiori del 1967, due ex galeotti di Terminal Island erano venuti a stare con Charlie nell’Haight. Uno era il leggendario Danny M., abilissimo falsario. I membri della Famiglia erano soliti vantarsi che le banconote da 20 dollari falsificate da Danny fossero perfette al 96 per cento, mentre quelle del Tesoro federale non arrivavano al 94 per cento. I due erano vecchi duri della mala, ma non appena si trovarono a contatto con Charlie caddero sotto la sua influenza (come fa il vento, che soffia prima in un senso e poi nell’altro), si lasciarono crescere i capelli lunghi e presero a spassarsela in vero stile figli dei fiori. A quel periodo risale l’episodio dell’affondamento rituale delle armi nelle acque del Golden Gate. Come si è detto, sul finire dell’estate, Charlie e le sue fanciulle dei fiori si apprestavano a raccogliere i loro stracci e a levar le tende. A quanto pare i due amiconi di Manson, gli ex galeotti, erano invece fermamente intenzionati a restare. Charlie invitò i due a consegnargli le pistole di cui erano armati. Ricevute le armi, le avvolse in un panno, tenne una specie di cerimonia da ultima cena e poi si recò sul ponte del Golden Gate. Qui lasciò cadere l’involto nelle acque del Golfo di San Francisco da un’altezza di oltre 100 metri. Al termine dell’estate dell’amore, il gruppo si accinse dunque a intraprendere un vagabondaggio sulle strade litoranee. Campavano grazie a lavoretti occasionali, facendo le pulizie nelle stazioni di servizio, qualsiasi cosa. Nasceva intanto un’altra leggenda, quella di Charles Manson come maestro accattone. Otteneva tutto con facilità. Bussava alle porte, chiedeva, e la gente dava. Pare che gli riuscisse facile per via della sua somiglianza con il Nazareno. A un certo punto, forse nell’agosto del 1967, Charlie e Lynn Fromme, detta “Squeaky”, si stabilirono insieme a Mary Brunner a Santa Barbara, in Bath Street 705, a 540 chilometri a sud di San Francisco. L’8 settembre 1967, giorno più giorno meno, Charlie, Lynn e Mary Brunner andarono a trovare un ex compagno di galera di Manson, tale Greene, che aveva un appartamento su Manhattan Beach nei pressi di Los Angeles. Da Greene c’era anche una certa Patricia Krenwinkel, fanciulla sola e irrequieta, originaria di Los Angeles e afflitta da un problema endocrino: un eccesso di peli su tutto il corpo. Era il genere di ragazza, come scriveva lei stessa nei suoi diari, che alle festicciole studentesche i maschi facevano finta di non vedere. Patricia Krenwinkel da Inglewood, California, aveva diciotto anni, un passato come insegnante di catechismo e una sincera passione per la Bibbia. Sembrava fatta apposta per l’universo acido-biblico di Manson, e citava e controcitava con passione brani delle Sacre Scritture. Patricia viveva insieme a sua sorella Charlene in un appartamento di Manhattan Beach, dove Manson rimase per quattro giorni mentre le altre ragazze proseguivano con il pulmino verso nord. Poi Squeaky e Mary tornarono sui loro passi. Patricia Krenwinkel lavorava senza troppa soddisfazione come impiegata per la ​Insurance Company of North America, ma la sera del 12 settembre 1967, abbandonata la propria auto in una stazione di servizio, prese la decisione di diventare impiegata nella scuderia di Charles Manson. Secondo certe versioni molto in voga della storia di Manson, la Krenwinkel ebbe l’ardire di non andare nemmeno a incassare il suo ultimo stipendio dall’Insurance Company of North America. Il punto era proprio questo: quale vero americano avrebbe rinunciato a uno stipendio? Oltre alla propria anima, Patricia Krenwinkel fu in grado di donare alla nascente Famiglia (per il momento nota solo con il nome collettivo di “le ragazze di Charlie”) il bene supremo: una carta di credito Chevron valida, controfirmata dal padre di Patricia, il quale voleva così bene alla figlia da consentirle di pagarsi ogni capriccio. Diede anche un numero di telefono associato alla carta di credito. Grazie alla carta di credito del buon papà, il gruppetto riattraversò Santa Barbara e puntò su San Francisco e, il 15 settembre 1967, poté entrare tranquillamente nell’Oregon. Per due settimane consecutive il pulmino Volkswagen continuò a varcare avanti e indietro il confine tra l’Oregon e Washington, fermandosi spesso nella zona di Seattle. Con ogni probabilità uno degli scopi di queste spedizioni nel Nordovest era quello di rintracciare la madre di Charlie. Fu appunto in questa occasione che Manson e compagnia bella fecero la conoscenza del venticinquenne Bruce Davis di Monroe (Louisiana), quasi certamente il primo discepolo maschio di Manson. Davis era stato redattore dell’annuario studentesco dell’istituto superiore di Kingston, nel Tennessee, aveva frequentato per tre anni l’università statale e successivamente era passato da un impiego all’altro fino al novembre del 1966, quando si era deciso a farla finita con l’America per bene e a votarsi all’underground. Il 1° ottobre 1967 il pulmino attraversava Carson City, nel Nevada, diretto a San Francisco. Il gruppo trascorse una decina di giorni nella zona tra San Francisco e Berkeley, poi levò di nuovo le tende e procedette verso Sacramento, città in cui soggiornò un paio di settimane, probabilmente in una residenza della bella ex suora Mary Ann, presso la quale Manson e le sue compagne avevano già trascorso qualche tempo durante l’estate dei fiori. Il 6 ottobre 1967 i residenti dell’Haight celebrarono il funerale di Hippie, figlio dei Mass Media, nel Buena Vista Park di San Francisco. La cerimonia non aveva soltanto un valore simbolico, ma segnò ufficialmente la fine di un nobile esperimento e l’inizio dell’era dei pigs, dei porci. Furono messi in circolazione dei volantini su cui si leggeva: ANNUNCIO FUNEBRE per HIPPIE del quartiere di Haight-Ashbury della nostra città, Hippie, figlio devoto dei Mass Media Gli amici sono invitati a partecipare ai funerali con inizio al tramonto del 6 ottobre 1967 al Buena Vista Park Intanto il gruppo di Manson s’infoltiva. Nel Volkswagen non c’era più posto per dormire, figuriamoci per il resto. E si avvicinava l’inverno. Si presentò così l’occasione di acquistare, per i futuri spostamenti, un autobus scolastico. Erano stati Ken Kesey e il suo gruppo dei Merry Pranksters, di cui faceva parte l’affascinante Neal Cassady, a diffondere la moda, nel 1964-’65, degli autobus scolastici itineranti, pitturati e decorati in maniera artistica, gremiti di giovani vagabondi, ma rispettabili. Erano stati loro a sperimentare i viaggi di gruppo con l’acido e, cosa ancor più importante, a provare per la prima volta le esperienze mistiche di gruppo sotto l’influsso dell’Lsd. Durante i loro vagabondaggi si dedicavano alla cinematografia. Il gruppo di Kesey, comunque, era “fondamentalmente buono”. Manson ereditò la gloriosa storia degli autobus erranti. Ma nel suo caso avrebbe pitturato l’automezzo di nero, ci avrebbe fatto dipingere una testa di capro da Bob Beausoleil e sarebbe salpato dall’isola dei fiori verso l’isola del male e del supplizio. Pare che a Sacramento il gruppo avesse barattato il pulmino Volkswagen con un autobus scolastico giallo di seconda mano, di capienza sufficiente a ospitare il branco in aumento. Manson sostiene di aver usato del denaro vinto a carte in Nevada durante una delle loro peregrinazioni. L’autobus apparteneva a un olandese, che li informò di un problemuccio: il veicolo era stato estratto da un fiume con a bordo dei bambini morti. Era infestato. Oh, wow! Il 16 ottobre 1967, alla stazione di servizio Standard Chevron di Stewart E. Miller, l’automezzo fu dotato di una batteria da 39 dollari e di due treni di pneumatici 825-20 che costarono 216,20 dollari. Per creare un ambiente in cui soggiornare, i giovani tolsero i sedili posteriori dell’autobus. Sul tettuccio montarono un grosso portaoggetti rettangolare. All’interno, col passare del tempo, installarono una ghiacciaia, un impianto stereo, una specie di tavolino da caffè sospeso con del filo metallico e cuscini in abbondanza. Un po’ alla volta l’interno andò riempiendosi dei ghirigori multicolori del primo periodo dell’arte psichedelica acidoamericana: i triangoli con l’occhio di Dio, le penne di pavone e gli strumenti musicali contribuivano a creare l’atmosfera di una vera e propria “drogamobile”. Inizialmente le fiancate esterne conservarono la tinta gialla originale, ma poi la Stradale cominciò a fare storie per contravvenzione alle norme che regolano gli automezzi a uso scolastico. In prossimità di non si sa quale spiaggia, il gruppo si procurò una buona quantità di vernice nera spray e certi biker dipinsero di nero l’esterno del torpedone, senza risparmiare i finestrini. Intendevano poi imprimere in lettere bianche la scritta “Hollywood Productions”, ma la ragazza francese incaricata del lavoretto sbagliò l’ortografia, scrivendo “Holywood Productions”. Nell’insieme doveva risultare una specie di cast cinematografico ambulante – per evitare gli ovvi problemi che un trentatreenne con un autobus carico di ragazzine in minigonna poteva creare, specialmente agli occhi della polizia. In novembre la vigilanza su Manson venne trasferita da San Francisco a Los Angeles, circostanza che rivela l’intenzione di Charlie di spostare la sua base operativa verso la California meridionale. Il 7 o l’8 novembre 1967 Manson si recò a San Francisco, dove conobbe una graziosa ragazza, Susan Atkins, che viveva in una casa di Ashbury, all’angolo tra Oak e Lyon Street, insieme a certi spacciatori. La cantante Janis Joplin abitava lì accanto, e alla Atkins piaceva sedersi davanti a casa e ascoltare Janis che si esercitava. Molte altre ragazze della casa si unirono all’autobus delle meraviglie. Tra queste c’era Ella, poi soprannominata “Yeller”, che in seguito avrebbe aiutato il gruppo a sistemarsi nella villa di Los Angeles del membro dei Beach Boys, Dennis Wilson. Susan Atkins era una diciannovenne impressionabile di San Jose, California, con alle spalle una triste storia di stenti e sciagure. A casa sua si litigava e si beveva in continuazione. La madre era morta di cancro quando lei aveva tredici anni. In quell’occasione Susan aveva condotto il coro della sua chiesa a cantare una specie di serenata religiosa davanti alla finestra della camera in cui la madre si stava spegnendo. Dopo la morte della moglie, il signor Atkins aveva dovuto vendere la casa per ripagare le spese dell’assistenza medica. All’età di quindici anni, Susan abbandonò gli studi e, l’anno seguente, puntò su San Francisco. Conobbe un paio di tizi che facevano rapine a mano armata. Nell’agosto del 1966, a diciotto anni, Sue si imbatté in un tale di San Francisco di nome Al Sund. Quest’ultimo, insieme a un amico, tale Clint Talioferro, portò la ragazza a fare un viaggio verso nord fino a Salem, nell’Oregon, a bordo di una Buick Riviera rubata. Quando vennero a sapere che gli agenti erano sulle loro tracce, i tre si nascosero nei boschi, sgraffignando o scroccando da mangiare ai campeggiatori, proprio come dei bravi briganti alla macchia. Il 12 settembre, Susan fu arrestata dalla polizia di stato dell’Oregon. Rimase in gattabuia tre mesi, fino al dicembre del 1966, quando le fu concessa la libertà vigilata per due anni. Ben presto prese il largo, ricomparendo in California come cameriera di ristorante, ballerina in un topless bar e poi come domestica sulla Muir Beach. Rientrata a San Francisco, riprese la carriera di spogliarellista e cameriera nei locali notturni. Cominciò ad assumere Lsd e a sperimentare stili di vita alternativi. Ebbe una serie di uomini che si approfittarono di lei. Poi finalmente conobbe Dio. Il giorno prima di incontrare Manson, aveva detto a un’assistente sociale che sognava di intraprendere una carriera nella danza. Il giorno in cui si conobbero, Manson le raccontò un paio di frottole e l’accompagnò a casa. Si spogliarono immediatamente. Mentre facevano l’amore, lui le chiese di far finta di essere a letto con suo padre. Lei obbedì. In seguito avrebbe dichiarato che era stata l’esperienza più nobilitante dei suoi diciannove anni di vita. Si dice che dopo questo primo incontro Manson, tornato a Sacramento, abbia preso l’autobus ridipinto e riequipaggiato e l’abbia portato a San Francisco. Chiamò a raccolta la sua gente, apprestandosi a puntare verso sud. Chiese a Susan se era pronta a unirsi a loro. Sì, lo era. In seguito Manson ribattezzò Susan Atkins con il nuovo nome di “Sadie Mae Glutz”. Verso il 10 novembre 1967 Susan Atkins, presentatasi all’ufficio federale incaricato della sua vigilanza, parlò con entusiasmo di un certo predicatore errante chiamato Charlie. Disse di non conoscerne il cognome. Affermò che nel gruppo c’erano sette ragazze, due delle quali incinte, che avrebbero accompagnato questo Charlie in un viaggio che le avrebbe portate prima a Los Angeles e poi in Florida. Molto meno entusiasta del programmino fu il funzionario incaricato della vigilanza, il quale si affrettò a far pervenire alle autorità dell’Oregon una comunicazione con la richiesta che la Atkins fosse citata in tribunale per revocarle la libertà vigilata. Ma ormai Sadie/Susan era già sul torpedone in corsa sull’interstatale 101. Grazie ai dati relativi alla carta di credito in possesso del gruppo, sappiamo che il 10 novembre Manson telefonò agli Universal Studios di North Hollywood per prendere opportuni accordi, a quanto pare, in vista di una seduta di incisione per lanciare l’operazione superstar. Agli studi della Universal di Los Angeles lavorava un certo Gary Stromberg, carissimo amico del compagno di cella di Manson, Phil Kaufman. Tramite Kaufman, Manson aveva conosciuto o contattato Stromberg e con lui aveva programmato un paio di sessioni di registrazione alla Universal, evidentemente a spese della casa. L’autobus correva dunque lungo la costa verso l’appuntamento con la celebrità. Il gruppo fece sosta a San Jose, dove prelevò la figlia quattordicenne del reverendo Morehouse, Ruth Ann, aggregandola al branco. Sarebbe rimasta con loro tre anni. Tre giorni dopo che Manson ebbe convinto la figlia ribelle a seguirlo, Morehouse perse il lume della ragione, partì insieme al tizio che aveva ceduto al gruppo il primo pulmino Volkswagen e ripescò Manson dalle parti di Los Angeles. Sembra che al padre infuriato Manson abbia risposto: “Le sto solo facendo quello che vorresti farle tu”. Charlie passò al reverendo anche un po’ di Lsd. La moglie del pastore, che in seguito chiese e ottenne il divorzio, ha detto di essere rimasta sconvolta nel vedere l’effetto che ebbe Manson su suo marito durante quella spedizione per il recupero di Ruth. La ragazza rimase con Charlie, mentre il reverendo tornò a San Jose completamente cambiato: era partito schiumante di rabbia, ritornava quasi convertito alla Via del Bus. Il 12 novembre 1967 Manson compì trentatré anni. Dopo essersi percepito come Gesù Cristo durante quel viaggio in acido al concerto dei Grateful Dead, Manson cominciò a mettere in atto astutamente una delle più grandi truffe del culto della personalità, quella dell’“Io sono Gesù Cristo”, ma nel 1967 doveva andarci coi piedi di piombo. Una tattica, dato che comunque attirava tizi superstiziosi e spiritualisti, era quella di attribuirsi presunti miracoli durante stati mentali alterati indotti dagli allucinogeni. Pare che uno di questi episodi – che potremmo battezzare la “Parabola della biker spolpata” – sia avvenuto in occasione del suo primo viaggio verso Los Angeles a bordo dell’autobus nero. Sull’autobus c’era il nocciolo duro della Famiglia, tra cui quella ragazza raccattata di recente, Susan Atkins. Manson era molto agitato all’idea di avere una biker a bordo. Si alzò e, sbraitando come un pazzo, disse alla biker di sdraiarsi a terra e morire. Le menti allucinate videro la ragazza mettersi a rantolare, strozzata. Manson continuava a gridare e, stando alla parabola, la ragazza si ritrasse, le “carni le caddero dalle ossa” e si alzò un fumo verde. Wow!, pensò Manson, visualizzando un’immagine del carcere che lo costrinse a fermarsi. Invertendo il procedimento, attaccò con un incantesimo che fece riprendere alla biker “spolpata” muscolatura e vita. Questa parabola sarebbe stata raccontata più e più volte. La Famiglia sostò un paio di giorni a Santa Barbara, poi raggiunse gli Universal Studios a North Hollywood per una seduta di incisione. Manson registrò una sola volta, per tre ore consecutive, per la Universal Records. Poi, sebbene Stromberg fosse deciso a continuare a incidere le canzoni di questo piccolo menestrello scalzo, girò i tacchi e s’involò per il deserto del Mojave. Manson avrebbe detto in seguito di essere molto benvoluto alla Universal e di avere “libero accesso” agli studi. Fu anche invitato a contribuire alla stesura di un soggetto cinematografico per la stessa casa di produzione. Charlie Manson, con la sua figura da Nazareno e le sue accalorate citazioni bibliche, doveva infatti servire da “consulente tecnico” per i soggettisti, che avrebbero tratto da lui ispirazione e idee. Si trattava di una versione della storia di Cristo, in cui quest’ultimo tornava sulla terra sotto le spoglie di un nero del Sud. I bianchi, ovviamente, sarebbero stati i romani con la bava alla bocca. Era un’idea che lo stesso Manson, uno dei mille Nazareni nella terra degli acidi, non avrebbe accettato, e così il suo lavoro di consulente finì in quattro e quattr’otto. Il film non fu mai realizzato, semplicemente perché alle alte sfere della Universal l’idea del Cristo di colore andava poco a genio. È probabile che l’idea di lavorare a questo soggetto abbia lasciato un certo segno su Manson. Nelle “conferenze” che avrebbe tenuto in seguito ai suoi discepoli, infatti, sarebbe stata sempre presente l’idea di un Secondo Avvento, con cristiani sbandieranti banconote americane al posto dei romani smidollati. La sottomissione ebbe sempre un ruolo di primo piano nelle litanie di Manson. Una volta, in occasione di una delle sedute “creative” per la stesura del soggetto, Charlie e la ventenne Squeaky, alias Lynn Fromme, eseguirono la cerimonia del reciproco bacio dei piedi. Per tutto il 1967 e il 1968 il bacio dei piedi, la sottomissione e l’amore reciproci rimasero molto in voga in seno alla brigata di Manson. Fu solo a partire dal 1969 che Charlie cominciò a baciare i piedi della gente dopo averla ammazzata. Manson ha rilasciato delle dichiarazioni bizzarre sulle sue attività durante il periodo trascorso alla Universal, dicendo per esempio di esser finito a letto con una serie di attrici famose. “Potrei darvi prova di certe esperienze con certa gente di Hollywood,” scrisse nella sua autobiografia, “al cui confronto le mie pratiche sessuali sembrerebbero pure e innocenti.” Più o meno verso quell’epoca Roman Polanski, che soggiornava sul litorale di Santa Monica, a due passi dalla Pacific Coast High​way, stava apportando gli ultimi ritocchi a Rosemary’s Baby. Ben presto avrebbe fatto ritorno a Londra per la prima mondiale della sua epopea satanica e si sarebbe unito in matrimonio con . La Famiglia si fermò una settimana circa nella zona di Los Angeles, poi si rimise in viaggio. Fece una puntata nel deserto del Mojave, poi tornò a Los Angeles il 26 novembre 1967. Il giorno dopo si trovava a Santa Barbara, poi si spostò a San Francisco, tornò attraversando tutto lo stato, ripercorse il deserto e finalmente giunse a Las Vegas, dove trascorse quattro giorni ai primi di dicembre. Attraversò anche l’Arizona e il New Mexico, e il 6 dicembre 1967 giunse a El Paso, in Texas. Tornò sulle strade del New Mexico per circa una settimana, poi si spostò nel profondo Sud, Mississippi e Alabama. Il 14 dicembre 1967, Patricia Krenwinkel andò a trovare la madre a Mobile, in Alabama. L’autobus dei fiori neri ripartì alla volta di Los Angeles, giungendo in città verso il 19 dicembre. Il gruppo sostò quattro giorni nel Topanga Canyon, poi salpò per l’Arizona. Via, via, satanasso!

3. IL TOPANGA CANYON E LA SCALA A CHIOCCIOLA Che posto splendido, interessante e in fermento era il semiselvaggio Topanga Canyon nel periodo della controcultura degli anni sessanta! Il Topanga Canyon si snoda e s’inerpica dalla Topanga Beach, sul Pacifico, fino a un rilievo che domina la San Fernando Valley. Sul fondo del canyon, tra massi biancheggianti e rive ridenti punteggiate di baite, un torrentello corre fino al Pacifico. Lungo il torrente si sviluppa il Topanga Boulevard, una carrozzabile che dall’oceano si estende fino alla cima del Topanga, scende nella San Fernando Valley e prosegue poi verso nord in rettilineo per qualche chilometro fino al valico di Santa Susana. Sarà questa la futura sede dell’Helter Skelter. Woody Guthrie ha abitato da queste parti, in una baita che è tuttora visitabile. A differenza della massa caotica e mutante di Los Angeles, il canyon aveva mantenuto un’aria di bellezza rurale. I suoi abitanti erano tra le persone meglio informate che si potessero incontrare in giro. Fu proprio nella zona Topanga Canyon-Malibu Canyon che, nel dicembre 1967, la Famiglia mise per la prima volta radici in quel di Los Angeles. A causa dell’infoltirsi del gruppo, era diventato necessario fermarsi, stabilirsi in prossimità di una casa amica, erigere un accampamento, acquistare spazio. Nel periodo in cui Manson cercava di registrare le sue canzoni agli Universal Studios, elesse a suo campo base una costruzione appartata all’imbocco del Topanga Canyon, vicino alla Pacific Coast Highway. La casa si trovava dietro al Raft Restaurant, lungo Topanga Canyon Lane, ed era conosciuta semplicemente come “la Scala a chiocciola” per via di una scalinata a spirale che c’era all’ingresso. Uno slittamento delle fondamenta aveva storto lo stabile, e pare che il primo piano fosse attraversato da un torrentello. Era una sistemazione piuttosto spaziosa, e a detta di Manson c’erano delle finestre che davano sulle colline sul retro e porte che si aprivano su un declivio di oltre sette metri sopra il torrente. Anche se è stata demolita da tempo, all’epoca era un vero e proprio tempio consacrato alla droga, alle scopate e a strane divinità. Fu alla Scala a chiocciola che Manson, per sua stessa ammissione, fece il suo primo incontro con i vari satanisti e adoratori del diavolo della California del Sud. Manson conobbe la proprietaria della Scala a chiocciola a San Francisco. Nelle sue stesse parole, era “un donnone strambo sui quarantacinque anni, che provava di tutto. Quando l’ho conosciuta era tutta esaltata per il culto del diavolo e le attività sataniche”. Pare che la donna gli avesse dato libertà totale di dormire in quella casa. Per alcuni mesi, la Scala a chiocciola funse da covo e punto di ritrovo per la Famiglia. Manson e compagni ci parcheggiavano l’autobus tra un vagabondaggio e l’altro e, a detta del loro leader, attiravano succhiasangue e ritualisti di ogni genere. Di sicuro attorno alla casa gravitavano i tipi più disparati di persone, tra cui a volte pure un’attricetta a bordo di una Rolls- Royce. Patricia Krenwinkel avrebbe detto in un’intervista di aver fatto conoscenza proprio lì di certi membri di un gruppo satanico inglese emigrato negli Usa e guidato, nelle sue stesse parole, da un “inglese biondo”. In occasione di uno dei vari “spettacolini” che si tenevano alla Scala a chiocciola, un certo Robert K. Beausoleil, cantautore e attore ventenne di Santa Barbara, che portava il pizzetto e fumava una pipa intagliata a mano a forma di teschio, avendo trovato Charlie e le ragazze che cantavano tutti insieme, si unì al gruppo e cominciò a suonare con Charlie. Alcuni giorni dopo Charlie, con una vecchia giacca di tweed, cappello di tweed e bastone da passeggio, andò a trovare Beausoleil, che all’epoca abitava in casa di Gary Hinman. Hinman era un maestro di musica trentenne del Colorado, con una laurea in sociologia. Beausoleil, dal canto suo, aveva un certo talento per la musica e le canzoni e un interesse più che passeggero per il culto demoniaco e la magia nera. Nel 1967 lo si vedeva spesso insieme al noto scrittore e cinematografaro Kenneth Anger di San Francisco. Sembra che Beausoleil convivesse con Anger in una vecchia casa di San Francisco nota con il nome di Ambasciata russa, e che fosse stato lo stesso Anger a iniziarlo all’universo della magia, per non parlare dell’universo a tinte violente di Aleister Crowley. Anger era impegnato a girare un film occultista, Lucifer Rising, in cui a Beausoleil era stata affidata la parte di Lucifero. Beausoleil ha affermato che a quel tempo si atteneva a una rigorosa dieta carnivora ed era convinto di essere il demonio. Beausoleil era primo chitarrista e sitarista dei Magick Powerhouse of Oz, un complesso rock di undici elementi costituito da Kenneth Anger per l’esecuzione delle musiche di Lucifer Rising. Il 21 settembre 1967, i Magick Powerhouse of Oz suonarono allo Straight Theater di Haight Street per celebrare il cosiddetto “Equinozio degli dèi”. Doveva essere una cerimonia per il film, che si diceva ormai ultimato. Anger filmò la manifestazione, ma successivamente Beausoleil ha ricordato che, durante il trambusto, lo stesso Anger si era esaltato al punto di spezzare ritualmente una bacchetta di poco prezzo, terminante con un caduceo, che un tempo era appartenuta al re della magia sessuale in persona, Aleister Crowley. (In seguito un informatore avrebbe affermato che nel 1967 Manson incontrò i membri di una setta satanica inglese che faceva proseliti nell’Haight, in una casa di proprietà o affittata dai titolari dello Straight Theater.) Poco tempo dopo i rapporti tra Beausoleil e il suo mentore Kenneth Anger cominciarono a incrinarsi finché, a quanto pare, il primo soffiò al secondo l’automobile, certe apparecchiature cinematografiche e, cosa più importante, buona parte del metraggio di Lucifer Rising. Poi prese il largo. Ancora oggi, Beausoleil sostiene di non aver portato via nulla che già non gli appartenesse. Il fatto dev’essersi verificato sul finire dell’ottobre 1967, più o meno all’epoca in cui Kenneth Anger, impegnato nella famosa vicenda dell’Esorcismo e Marcia sul Pentagono, si trovava a Washington a protestare contro la guerra del Vietnam celebrando un interessante esperimento magico rituale sotto il pianale di un camion parcheggiato davanti al Pentagono. Mentre sul pianale dalle sponde abbassate un gruppetto di Digger ed esorcisti, compreso il gruppo rock The Fugs, ripeteva in coro “Uscite, demoni, uscite!”, Anger, nudo dalla cintola in su, esibendo sul petto scoperto un grande tatuaggio di Lucifero, dava fuoco a un’immagine del diavolo racchiusa in un pentagramma sacro, urlando scongiuri, emettendo fischi prolungati e mostrando un anello magico ai giornalisti che puntavano i microfoni dei registratori verso di lui, accovacciato sul pietrisco sotto l’automezzo. Tornato a San Francisco, e accortosi del tiro mancino giocatogli da Beausoleil, Anger si fabbricò immediatamente un medaglione che da un lato portava le sembianze dell’amico e sul retro, attorno alla figura di un rospo, la dicitura: “Bob Beausoleil, mutato in rospo da Kenneth Anger”. Beausoleil giunse appunto nel Topanga Canyon nell’autunno del ’67, dopo la rottura con Anger. Fece subito amicizia con Gary Hinman e, all’epoca dell’incontro con Manson, abitava con la fidanzata Laurie nella villetta in collina che lo stesso Hinman possedeva al numero 964 di Old Topanga Canyon Road. Hinman aveva l’abitudine di accogliere in casa per brevi periodi i giovani sbandati di passaggio e, tra questi, anche alcuni membri della Famiglia. I rapporti tra Beausoleil e Manson non sarebbero stati affatto facili, poiché entrambi avevano un proprio gruppo di ragazzine. Tra i due ci fu un certo attrito soprattutto a causa della fissazione di Charlie per il Secondo Avvento. Beausoleil tendeva a isolarsi dalla Famiglia e questo suo atteggiamento veniva considerato peccaminoso. Tra i due esistevano affinità sorprendenti, ma solo Manson possedeva una passione alla Erwin Rommel per i minuziosi dettagli dell’arte di governare.

4 . IN VISITA A HOG FARM: UNA BUONA OCCASIONE SPRECATA La comune conosciuta come Hog Farm, famosa in tutta la controcultura degli anni sessanta, sorgeva in cima a una montagna della San Fernando Valley. Manson aveva conosciuto Shirley Lake e suo marito, i genitori di Diane Lake, sua futura seguace, nel deserto, dopodiché si era recato in visita a Hog Farm insieme a cinque donne con l’autobus nero dell’“Holywood Productions”. Manson diede il libretto dell’autobus a Wavy Gravy – il fondatore della comune – e pensò bene di cercare di scoparsi sua moglie Bonnie Jean in una baracca. Wavy riuscì a fermarlo, ma Manson rimase a Hog Farm, ritirandosi sull’autobus insieme alle sue giovani fiamme. Era un’epoca in cui la gente amava sedersi in cerchio e intonare il mantra “Om” per invocare sensazioni positive e di pace. Il poeta Allen Ginsberg, per esempio, aveva intonato l’Om per ore e ore nel tentativo di placare i violenti scontri con la polizia durante la Convention nazionale dei democratici a Chicago, nell’agosto del ’68. E così, Wavy e i suoi amici erano seduti in cerchio a eseguire questo rituale dell’Om. Tutt’a un tratto Manson uscì dall’autobus nero e cominciò a rantolare come se stesse soffocando, o come se fingesse di farlo. Le sue donne gridarono di interrompere il rituale, che stava uccidendo il loro guru. A quel punto Wavy si alzò e, fedele ai suoi principi, cacciò Manson da Hog Farm. Manson perse così l’occasione di fare propri gli aspetti più positivi del movimento delle comuni. Forse ne assimilò uno – quello del “recupero- rifiuti”, pratica secondo cui i membri della comune andavano a rovistare nei cassonetti dei supermercati per recuperare scarti di ortaggi ecc. di ottima qualità o leggermente ammaccati, un dono generoso dell’America del periodo bellico. Tra i supermercati che sarebbero stati presi di mira dal gruppo di Manson per le loro missioni di recupero-rifiuti c’erano i Gateway Market, di proprietà della futura vittima Leno LaBianca.

5 . DI NUOVO RANDAGI Diane Lake, la quattordicenne dai capelli rossi che viveva a Hog Farm insieme ai genitori hippie, conobbe Charlie e le ragazze nella casa della Scala a chiocciola. Con i genitori aveva vissuto per un certo periodo nella zona di Los Angeles in seno alla Hog Farm, nucleo originario di quella comune che si sarebbe poi sparsa nei vari continenti come brigata mobile per la pace mondiale. Non si sa bene come, ma la quattordicenne Diane rimase colpita a tal punto dalla Famiglia Manson da imbarcarsi sul loro autobus. Sappiamo comunque che Squeaky e Patricia Krenwinkel la invitarono a seguirle nel deserto e che la ragazzina accettò immediatamente. A tempo debito, Miss Lake sarebbe stata ribattezzata “Snake”, probabilmente in omaggio ai contorcimenti ofidici che eseguiva durante gli amplessi. Entrambi i genitori di Diane Lake ci tenevano a dare alla loro figlia la libertà di seguire la sua strada: permisero infatti a Diane di mettersi in viaggio con la Famiglia, anche se in seguito la signora Lake si sarebbe recata allo Spahn Ranch per tentare di riprendersela, senza ottenere altro risultato che il secco rifiuto di una delle più ardenti discepole di Charlie, Squeaky. Si dice che la padrona della Scala a chiocciola si fosse scusata coi genitori di Snake quando la figlia si era imbarcata sull’autobus della droga. In fondo Snake aveva quattordici anni e Manson trentatré. Ma il torpedone sembrava una buona cosa: tutti i testimoni si sono trovati d’accordo nel dire che, dal punto di vista dell’esteriorità, e almeno in questo primo periodo, la Famiglia si presentava come un gruppo ordinato, tranquillo ed estremamente pulito. Anche per questo i genitori di Diane, come già quelli di Ruth Ann Morehouse, acconsentirono alla scelta di libertà della figlia. Un’altra attrice molto famosa di Hollywood scrisse una lettera “a chi di competenza” in cui diceva di permettere alla sua giovanissima figlia di girovagare con Manson. Il 22 dicembre, dunque, la Famiglia portò l’appena adolescente Snake Lake in giro per l’Arizona e per i deserti del New Mexico. Cinque giorni dopo, il 27 dicembre 1967, l’autobus si guastò nei pressi di Winslow, in Arizona, e dovette essere rimorchiato fino a una stazione di servizio Chevron. Alcuni giovani tornarono in autostop nel Topanga Canyon, mentre gli altri, ultimate le riparazioni all’autobus, si rimisero in viaggio per Los Angeles, dove la Famiglia si sarebbe trattenuta per tre mesi e mezzo, cioè fino all’inizio dell’aprile 1968. I passeggeri dell’autobus nero abitarono in una miriade di posti lungo tutto il Topanga Canyon, una notte in un luogo, la notte successiva in un altro, ma il loro numero era in continuo aumento. Più volte tentarono di stabilirsi nelle varie case abbandonate e campeggi che sorgevano nella vallata, ma c’era sempre qualcosa che li spingeva a spostarsi, a cambiare. Per alcune settimane, parcheggiarono il loro autobus alla Scala a chiocciola. Strane porte si aprivano davanti a questi figli dei fiori. È impossibile dire dove poteva fermarsi a pernottare un uomo con un torpedone nero carico di fanciulle: in una grotta o in un castello, accanto alle sorgenti calde del deserto o nei pressi di un’elegante piscina riscaldata sulle colline di Malibu. In tutta Los Angeles, case ospitali accoglievano Charlie Manson e la sua Famiglia. I poliziotti di Malibu cominciarono a fiutare Manson. Videro l’autobus parcheggiato presso la Scala a chiocciola in Topanga Canyon Lane, sul retro del Raft Restaurant. Notarono che la Famiglia faceva lavoretti saltuari per vari residenti della zona Malibu-Topanga. Nel dicembre del 1967 uscì l’album dei Beatles Magical Mystery Tour, immediatamente seguito dall’omonimo film, basato su un viaggio psichedelico in autobus per le campagne inglesi sul finire dell’estate dell’amore. Pare sia stato il primo album dei Beatles da cui Manson abbia attinto degli insegnamenti filosofici. Non a caso, il vagabondaggio a bordo dell’autobus nero cominciò a essere chiamato “The Magical Mystery Tour”. I discepoli di Manson stavano subendo una tale trasformazione mistica da convincersi, evidentemente, che in ogni essere umano esistesse un nucleo di personalità archetipica da riscoprire tramite l’acido, il lavoro mentale, lo psicodramma, il sociodramma, il sesso di gruppo, la magia, la rottura con il passato e la vita nelle comuni. Tutto questo era appunto il Magical Mystery Tour. Nei primi mesi del 1968 la Famiglia rimase quasi sempre nell’area di Los Angeles, continuando però a compiere qualche rapida puntata altrove. Proprio agli inizi del 1968, nel New Mexico, Susan Denise Atkins, alias Sadie Glutz, rimase incinta di un tizio di nome Bluestein. Nel febbraio del 1968, tramite un lavorante di nome Jerry, Manson conobbe una certa Melba Kronkite, proprietaria di un lussuoso ranch sulle alture tra Malibu e il Topanga Canyon, nei pressi del vecchio distaccamento di polizia di Malibu. A quanto pare la signora, un tempo ricchissima, si trovava ora in ristrettezze economiche. Favorevolmente impressionata dalla brigata dell’autobus nero, ne divenne presto una grande amica. Ai bordi della sua piscina riscaldata avvennero incontri inenarrabili e segreti. La sua amicizia con la Famiglia si fece tanto stretta che il suo nome venne fatto più volte in seguito, quando i membri del gruppo finirono dietro le sbarre. Ogni tanto la Famiglia andava a trovare Melba di Malibu, fermandosi a fare qualche lavoretto nel ranch. Manson sostiene di averle addirittura dato del denaro. Sicuramente le regalò una Ford Mustang del 1967 che gli era stata data da un newyorkese, un certo Michael, ansioso di disfarsi di ogni bene terreno. Nella sua grande tenuta, la signora Kronkite possedeva stalle enormi e un galoppatoio. Una volta la Famiglia (come Ercole nelle scuderie di Augeo) dedicò un’intera settimana a togliere una montagna di sterco equino dalle diverse centinaia di stalle che ospitavano gli animali di Melba. Nel febbraio del 1968 Manson e compagnia bella si trovarono momentaneamente senza casa. Dopo il suo soggiorno presso Gary Hinman, Robert Beausoleil aveva traslocato in un nuovo alloggio, una casa in cima a una ripida salita al numero 19844 di Horseshoe Lane, sopra la Fernwood Pacific Road, nella zona di Topanga. La proprietà era una vera e propria cittadella del porno, composta da un’abitazione nel seminterrato, recante ancora le tracce di un incendio, e una piscina in disuso nella zona sottostante. Alla richiesta di Manson, Beausoleil non esitò: “Certo, venite pure a stare qui”. Sul pendio della collina fu eretto un accampamento da zingari e la Famiglia cominciò a riempire la vasca vuota della piscina di vari resti d’indubbio interesse archeologico per i futuri giornalisti interessati al caso Manson. Il soggiorno nella casa di Horseshoe Lane durò all’incirca sei settimane e fu questo, a quanto pare, l’unico periodo certo in cui il gruppo si dedicò alla cinematografia – o meglio, in cui il gruppo permise a chi lo desiderava di filmare le proprie attività. Più o meno in quest’epoca si unirono alla Famiglia Brenda McCann, di Malibu, e una certa Little Patty, alias Madeline Cottage, alias Shirley Amanda McCoy, alias Linda Baldwin. Entrambe avrebbero seguito l’avventura fino in fondo, fino alla drammatica conclusione un anno e mezzo dopo. Nel mosaico acido di questo periodo entrò a far parte anche una bella ragazza di nome Ella Beth Sinder, alias Ella Bailey, alias Yeller, che un biker chiamato Danny De Carlo descrive come un tipo snello, alla Greta Garbo. Tanti altri soggetti, ormai scomparsi, senza volto e senza nome, si fermarono per qualche tempo presso la Famiglia. Sono poi centinaia quelli di cui si conoscono i nomi, ma che sono poi svaniti nel nulla. La nostra storia riguarda soltanto quelli che superarono il processo di selezione e rimasero con la Famiglia fino alla fine. A quanto pare Manson cercava di entrare in contatto coi figli o i parenti dei personaggi dello spettacolo. A Los Angeles non è raro che i rampolli maschi e femmine delle personalità più in vista si leghino in stretta amicizia tra loro. La cosa andava benissimo per Charlie, che, come uno dei suoi adorati coyote in assetto di caccia, puntava ai figli delle celebrità per assicurarsi carte di credito, denaro, ospitalità, prospettive di fama, conoscenze e, soprattutto, approvazione e adulazione. Mentre la Famiglia era accampata in Horseshoe Lane, Bob Beausoleil e Manson costituirono un gruppo rock di sei elementi chiamato The Milky Way. Manson suonava la chitarra elettrica e Beausoleil, oltre alla chitarra, il clarinetto basso. Il gruppo ebbe vita breve, ma riuscì a tenere un intero weekend di concerti. Un giorno, durante le prove, un tale del Topanga Corral, un locale di musica country del Topanga Canyon, sentì suonare il gruppo, lo trovò “fico” e lo assunse per un fine settimana nel proprio locale. Fu però licenziato quasi subito. Quando gliene chiesero il motivo, Beausoleil rispose che il gruppo era troppo “all’avanguardia” e che il locale era pieno di gente fumata e che beveva troppo poco. Adios, Milky Way. Sul finire del marzo 1968 la Famiglia scambiò la propria residenza con quella di certa gente che viveva sull’altro lato del Topanga Canyon, in cima alle due grandi piste che prendono il nome di Summit Trail e High Vale Trail. La nuova abitazione si affacciava su un labirinto di sentieri minori che si perdevano nei boschi. Il gruppo parcheggiò là il torpedone nero e piantò le tende. Sempre in marzo era stato scarcerato Phil Kaufman, compagno di galera di Manson. Un paio di settimane dopo, Phil fece una puntata a Topanga per prendere contatto con la Famiglia. Bazzicò nella zona per un po’ ma, trovando poco congeniale la teocrazia del loro leader, rimase soltanto un “cugino simpatizzante” della Famiglia, senza entrare a farne parte. Phil Kaufman aveva un amico, Harold True, che a sua volta venne a trovarlo a Topanga in quegli stessi giorni di marzo. Harold True abitava in una villa elegante nella zona di Silver Lake, a Los Angeles, in Waverly Drive 3267. Al numero 3301 della stessa via, a pochi passi da casa sua, abitavano Leno e Rosemary LaBianca. Harold True conobbe Manson e la Famiglia tramite Kaufman. Prima che True lasciasse la casa di Waverly Drive, nell’agosto del 1968, Manson andò a trovarlo quattro o cinque volte durante l’estate, fermandosi anche a dormire un paio di notti. Quella primavera Harold True si recò a Topanga una decina di volte per divertirsi un po’ con la combriccola di Manson. Sul posto giunse anche Danny M., l’asso dei falsari dell’estate dei fiori, portando con sé dei bei bigliettoni da 20 dollari freschi di stampa. Charlie lo convinse a falsificare per la Famiglia alcune carte d’identità e patenti di guida. Poco tempo dopo, secondo i pettegolezzi di Topanga, Danny si mise in affari a Woodland Hills, venne beccato con le mani nel sacco e finì dritto in galera. Alla vigilia del 1° aprile il presidente Lyndon Johnson abdicò, annunciando di non volersi ripresentare alle nuove presidenziali. Il giorno seguente, il 1° aprile 1968, nella baracca di Summit Trail, alle pendici boscose di Topanga, Mary Theresa Brunner diede alla luce Valentine Michael Manson. Tanto per rilassarsi durante il parto, la fanciulla si riempì i polmoni di marijuana, accudita dagli amici. La notte in cui Mary partoriva il bambino, Sandy Good, figlia ventiquattrenne di un agente di cambio di San Diego, lasciò la casa paterna di San Francisco, saltò su un aereo privato insieme a un’amica, noleggiò un’auto e si presentò dalla Famiglia. Charlie la prese da parte e i due finirono nudi e avvinghiati nei pressi dell’accampamento di High Vale. Dopo aver fatto l’amore, la giovane elogiò ad alta voce le straordinarie prodezze erettili di Charlie: ragazze mie, non sapete cosa vi siete perse! Pur essendo una ragazza sveglia e istruita, fresca di laurea e attiva nelle campagne per i diritti civili, Sandy non ci mise molto a sottomettersi a Manson anima e corpo. Tra i suoi amici di San Francisco cominciò a correre voce che si fosse “unita all’harem di un tale”. Sandy sarebbe diventata ben presto abilissima nell’estorcere denaro al ricco padre, capacità sommamente apprezzata da Manson. Al covo di Summit Trail si unì anche un certo Paul Watkins, un piccolo sedicenne dal volto infantile che, abbandonata la scuola, stava vagando per le colline quando si imbatté nell’autobus nero, accanto al quale si aggiravano sei fanciulle nude. Il giovane Watkins, ben presto soprannominato “Little Paul” dalle stesse ragazze, pensò di aver trovato il paradiso. Quella notte tutti presero l’Lsd e si abbandonarono a un’orgia sfrenata in una continua copulazione di orifizi e appendici. Evidentemente l’ostia di quella comunione era l’Lsd. È plausibile che la Famiglia Manson abbia offerto il primo esempio di un rito in cui un uomo, ritenuto il Cristo, amministrava l’Lsd come un sacramento, prima di un atto di psicodramma sessuale di gruppo e dopo una missione di recupero-rifiuti. Ai primi di aprile, alcuni giorni dopo il parto di Mary Brunner, il Magical Mystery Tour decise di lasciare il Topanga Canyon. Il gruppo consisteva ormai di una ventina persone, organizzate secondo quella proporzione di quattro ragazze per ogni uomo che sarebbe stata una costante nell’intera storia della Famiglia. Gli abitanti della zona ricordano il grande scalpore suscitato nelle vallate del Topanga e Malibu Canyon dagli eventi di quei primi mesi del ’68, un anno di grande fermento in tutti gli Stati Uniti. E Manson e compagni ebbero la loro parte. Gli arresti, provocati soprattutto dall’ottusa legislazione sulla marijuana, fomentavano l’odio e il risentimento che sarebbe divenuto uno degli elementi decisivi del passaggio della Famiglia Manson dai fiori ai coltelli. E poi c’era l’orribile spettro della guerra. La guerra del Vietnam aleggiava come una maledizione sull’America del ’68. A marzo, all’insaputa di milioni di cittadini americani, un certo tenente Calley era strisciato sul ventre e penetrato furtivamente con i suoi uomini in un villaggio chiamato My Lai. Qui aveva fracassato il cranio a un monaco buddista che, nella sua lunga veste bianca, era inginocchiato in preghiera. Fu l’inizio della maledizione. Il 14 aprile 1968 uno sbandato razzista, probabilmente accompagnato da un cecchino o due nascosti tra i cespugli o su un tetto, uccise Martin Luther King sul balcone del suo albergo di Memphis, Tennessee. Già da qualche tempo le Pantere avevano cominciato a chiamare “porci” i poliziotti. Il leader di Hog Farm, il garbato Wavy Gravy, propose di candidare un maiale alla presidenza. L’idea prese piede. Gli hippie, pronti a togliere le bende che coprivano le piaghe ancora aperte dell’assemblea presidenziale democratica, fecero propria la proposta del “maiale alla presidenza”. Fu così che nacque il Porco. Qualche tempo dopo, tra l’ottobre e il novembre del ’68, nel loro studio londinese di Abbey Road, i Beatles incisero un pezzo di George Harrison intitolato Piggies. In America nessuno l’aveva ancora sentito, ma il disco era già pronto per uscire a dicembre. In televisione comparvero alcuni annunci ecologisti in cui dei maiali grufolavano tra i rifiuti abbandonati sulle spiagge. Cittadini rispettabili, abituati da tempo a chiamare i poliziotti “sbirri” o “piedipiatti”, cominciarono a chiamarli “porci”. Tra alti e bassi, la troupe tossica del Sergente Charlie risaliva pian piano la costa del Pacifico. Per un breve periodo si accampò sulla spiaggia del parco statale di Leo Carillo. Fu allora che Bruce Davis, incontrato già dalla Famiglia alcuni mesi prima, forse nello stato di Washington, ricomparve a bordo di una motocicletta e diventò un discepolo entusiasta. Davis cominciò ad ascoltare con estrema attenzione i discorsi di Manson su filosofia e religione, tanto da saperli poi ripetere per filo e per segno, imitando persino la voce del Maestro. La gente del Canyon notò però che, in presenza di Charlie, Davis usava il suo solito dialetto del Tennessee. Verso la seconda settimana dell’aprile 1968, levate le tende dalla Leo Carillo Beach, la Famiglia si spinse più a nord lungo la costa e raggiunse una zona boschiva nei pressi di Oxnard, California, nella contea di Ventura. Fu questa la sede del grande blitz di Oxnard, avvenuto il 21 dello stesso mese. Il torpedone nero si era impantanato o guastato attraversando un fosso, e la Famiglia aveva deciso di accamparsi nel bosco vicino. Gli agenti della contea di Ventura, giunti sul posto per fare accertamenti, rimasero a bocca aperta nel trovarsi davanti un gruppo di hippie nudi che gironzolavano per i boschi. Charlie, Sadie e molti altri furono arrestati perché trovati in possesso delle patenti contraffatte dall’amico falsario. Il giorno dopo furono condannati a un’ammenda di 10 dollari. Intanto era stata arrestata anche Mary Brunner per atti contrari alla morale. La leggenda della Famiglia vuole che ai poliziotti non fosse andato a genio lo spettacolo di Mary che, tutta nuda, allattava il piccolo Pooh Bear, alias Valentine Michael Manson, in un luogo pubblico e senza alcun pudore. Il blitz di Oxnard finì sulla seconda pagina del “Los Angeles Herald Examiner” con un titolo del tipo: “Hippie nudi trovati nei boschi”. E ovviamente le stazioni radio locali ne parlarono nei notiziari dell’ultimo minuto. Dopo gli arresti di Oxnard, la Famiglia tornò all’accampamento di Summit Trail nel Topanga Canyon. Qui soggiornò alcuni giorni fino al 2 maggio 1968, giorno in cui una retata della polizia portò all’arresto di alcuni membri del gruppo, tra cui Manson, Sandy Good, Snake e Patricia Krenwinkel, per detenzione di marijuana. Gli arrestati rimasero in cella per un paio di giorni, poi furono rimessi in libertà previo ritiro della denuncia. Fu in questo periodo, a quanto pare, che il musicista Gary Hinman, versata la cauzione richiesta, tirò fuori di prigione Snake e Sandy e se le portò a casa per un paio di giorni di riposo e relax. A quell’epoca la casa di Hinman sull’Old Topanga Canyon Road era uno dei pochi ricoveri che si offrivano nel canyon ai giovani vagabondi di passaggio. Hinman non avrebbe mai del tutto “venduto l’anima” per unirsi alla Famiglia, ma rimase uno dei suoi “cugini simpatizzanti”. Finché Manson e soci non fecero un poster con il suo sangue.

6. LA PRIMA VOLTA ALLO SPAHN MOVIE RANCH (PRIMAVERA 1968) Verso il 6 maggio 1968, l’autobus nero si fermò per la prima volta davanti al gruppo di baracche fatiscenti che andava sotto il nome di Spahn Movie Ranch, a Chatsworth, California. La Famiglia vi si era recata per parlare con un tale John, amico di Sandy Good, che occupava la cosiddetta “baracca sul retro”, un edificio malandato in legno che sorgeva lungo uno sterrato sconnesso, a circa 800 metri dal corpo principale del set cinematografico western. Manson ci tornò alcuni giorni dopo e convinse Spahn a lasciarlo trasferire là con alcuni amici. Avrebbero dato una mano con i cinquanta o sessanta cavalli che venivano noleggiati per le escursioni, e Manson mise a disposizione le sue ragazze perché cucinassero e si prendessero cura dell’anziano signor Spahn, che era quasi cieco. George Spahn disse che potevano stabilirsi in una gola, in quelle che venivano chiamate le “baracche dei fuorilegge”. Poco tempo dopo l’autobus nero, con a bordo una ventina di persone, perlopiù giovani ragazze, più Mary Brunner e il figlio di Manson, Pooh Bear, si diresse alle baracche dei fuorilegge. Manson disse ai suoi di acquattarsi sui sedili dell’autobus per non farsi vedere. John aveva stretto un accordo con l’ottantunenne George Spahn, in base al quale, in cambio dell’alloggio, avrebbe prestato aiuto per la manutenzione e riparazione dei vari automezzi in dotazione allo Spahn Ranch. La Famiglia si fermò al Ranch circa quattro giorni, durante i quali John diede una mano a rimettere in sesto il torpedone nero. Manson continuava a darsi da fare. Mandò un paio delle sue ragazze, munite di carta di credito, a comprare degli pneumatici nuovi per la vecchia Chrysler di un certo Richard Kaplan, grazie al quale Manson sarebbe riuscito a farsi consegnare la baracca sul retro dello Spahn Ranch. Più o meno in questo periodo, Bob Beausoleil era al lavoro come attore in un western di infimo ordine, intitolato Ramrodder, girato dalle parti dell’Happy Trail, nel Topanga Canyon. Beausoleil aveva anche lavorato in un ristorante, successivamente spazzato via da un incendio, che si chiamava Topanga Kitchen e si trovava nel complesso commerciale Center di Topanga. I produttori di Ramrodder gli avevano offerto un impiego a un dollaro l’ora perché si occupasse di allestire gli scenari del film. Beausoleil aveva accettato e si era trasferito insieme alla fidanzata Gail in una tenda indiana che sorgeva nella zona delle riprese. Mentre si girava il film, Beausoleil aveva conosciuto una ragazza di nome Cathy Share, alias Gypsy, alias Manon Minette, alias ecc. ecc., che faceva parte della troupe. A Beausoleil era stato affidato il ruolo profetico di un pellerossa che torturava e massacrava un bianco che aveva violentato una ragazzina indiana. Gypsy, Gail e Bob divennero inseparabili e cominciarono a dormire insieme nella stessa tenda indiana nei pressi del set. Gypsy, che nel film faceva la parte della Madre Terra, entrò a far parte di un triangolo donna- uomo-donna che sarebbe diventato un modello ricorrente di comportamento notturno all’interno della Famiglia. Nel canyon Beausoleil è ricordato come un tipo violento, con un falcone incappucciato su una spalla e un grosso cane nero al seguito. Come Manson, trasmetteva duplici sensazioni d’odio e d’amore. A quanto pare, avendo allungato le mani sulla moglie del produttore di Ramrodder, dovette abbandonare il set. Smontò la sua tenda indiana, portò via Gypsy insieme alla sua cricca e se ne tornò a stare per qualche giorno a casa di Gary Hinman. Qualche tempo dopo andò allo Spahn Ranch, dove trovò lavoro per alcuni giorni. Poi, a bordo di un vecchio Dodge che gli aveva dato George Spahn, si diresse a nord con i suoi seguaci, verso l’area di San Francisco. Nel frattempo anche il gruppo di Manson, abbandonato lo Spahn Ranch, aveva puntato il torpedone nero verso nord, in direzione di San Francisco e della contea di Mendocino, prima di far ritorno a Los Angeles. Sulla via del ritorno fece ancora una breve sosta nel Topanga Canyon, parcheggiando l’automezzo nei pressi della Scala a chiocciola. 7. L’INCONTRO CON DENNIS WILSON Fu in questo periodo che la Famiglia scoprì il rock and roll dei grandi numeri. Alcuni membri si traferirono in una lussuosa villa sul Sunset Boulevard appartenente a Dennis Wilson, uno dei Beach Boys, un gruppo che stava riscuotendo un enorme successo e aveva venduto milioni di dischi in tutto il mondo. Wilson, batterista e cantante dei Beach Boys, viveva in una proprietà di un ettaro e mezzo al numero 14400 del Sunset Boulevard, con prati curati e una piscina che, a quanto pare, aveva la forma dello stato della California. La villa, rivestita di pannelli di legno, era stata un tempo la residenza di caccia di Will Rogers. Dennis Wilson aveva rimorchiato due discepole di Manson, Patricia Krenwinkel e Yeller, alias Ella Bailey, la belloccia simile a Greta Garbo che l’autunno precedente aveva lasciato San Francisco e si era imbarcata sull’autobus nero insieme a Susan Atkins. Wilson si portò a casa le fanciulle per un paio d’ore e più tardi, quando tornò verso le tre di notte da una seduta di registrazione, trovò l’autobus nero dell’“Holywood Productions” parcheggiato davanti a casa, e Manson e una ventina di belle ragazze stravaccati sui divani nel proprio salotto. Ne nacque un’amicizia, e il gruppo di Manson si godette un periodo a sbafo di diversi mesi che costò a Wilson qualcosa come 100.000 dollari nella valuta di allora. Sul Sunset Boulevard Manson entrò in contatto col mondo irrequieto dei musicisti rock di successo e continuò a infiltrarsi nei circoli, tra loro collegati, dei giovani figli e figlie delle grandi celebrità del mondo del cinema e della musica. Per un sociopatico come lui, era il paradiso. Come la bacchetta di un rabdomante, il piccolo maniaco dell’ipnosi cominciò a vibrare a contatto con due simboli dell’America: A. I Beach Boys – il gruppo americano perfetto, con le sue melodie limpide e sopraffine e le canzoni di successo che parlavano di surf, auto sportive, belle sensazioni e divertimento. B. – figlio della deliziosa cantante (Que Sera Sera) e attrice di talento Doris Day, che nei film vestiva i panni della Vergine civettuola. Terry Melcher era nato Terry Jorden l’8 febbraio 1942. A quell’epoca Doris Day cantava con Les Brown and His Band of Renown ed era sposata con un musicista di nome Al Jorden. Dopo il divorziò dei genitori, il ragazzo venne affidato per un certo periodo alla nonna materna, di Cincinnati. Terry venne poi adottato dal terzo marito di Doris Day, Marty Melcher. Nel 1960 frequentò l’istituto superiore di Beverly Hills e, per un anno, la Principia Preparatory School di Clayton, nel Missouri. Anche il giovane Terry aveva delle doti come cantante, ma dopo alcuni tentativi fallimentari finì a occuparsi di produzione discografica per la Columbia Records. Fu lui a lanciare i primi due album dei Byrds, che contenevano classici degli anni sessanta come Turn, Turn, Turn di Pete Seeger e una versione bella e scorrevole di Tambourine Man di Bob Dylan, canzoni che finirono entrambe nelle playlist di mezzo mondo. Melcher produsse anche alcuni dischi dell’estroso Paul Revere e dei Raiders, un gruppo di Washington che ebbe un certo successo sul finire del decennio. Nel 1966 prese in affitto a Los Angeles una casa appartata al numero 10050 di Cielo Drive, dove viveva ancora insieme all’attrice Candice Bergen quando, nell’estate del ’68, conobbe Manson nell’abitazione di Dennis Wilson. Martin Melcher, suo padre adottivo, era morto nell’aprile del ’68 e Terry, coesecutore testamentario, aveva ereditato un ingente patrimonio che, pur annoverando in teoria alberghi, pozzi di petrolio, beni immobili e azioni della Cbs, era in condizioni disastrose. Terry Melcher ereditò anche i dollaroni delle serie di commedie materne, proprio allora in onda per la Cbs, e i proventi di varie iniziative di produzione discografica e televisiva. Sistemare le attività economiche del suo patrigno avrebbe occupato gran parte del suo tempo nei mesi in cui Manson cercò ostinatamente il suo aiuto per diventare una star. Sempre in quel periodo Manson conobbe Gregg Jakobson, cantautore e collega di Melcher, per il quale lavorava nel settore discografico. Jakobson avrebbe stretto rapporti piuttosto intimi con la Famiglia. Più volte registrò le canzoni di Manson e per diversi anni fu tenuto al corrente delle attività non omicide della congrega. Quando Melcher si imbatté per la prima volta in Manson e nelle sue ragazze, Manson stava appunto incidendo una canzone. Charlie si recò spesso a casa di Terry e una volta ebbe persino il permesso di usare la sua Jaguar. Un’altra volta, quando Melcher era stato a trovare Dennis Wilson, Dennis e Gregg riaccompagnarono Melcher a casa, in Cielo Drive 10050, mentre sul sedile di dietro della Rolls-Royce Manson cantava e pizzicava la chitarra. Il reverendo Morehouse, l’ex pastore dai capelli bianchi, giunse un bel giorno a Los Angeles, forse per cercare ancora di far valere la patria potestà sulla bella figlia quattordicenne Ruth Ann. Per riprendersela chiese aiuto a certe persone che frequentavano la casa di Wilson, ma senza esito. Poi, non si sa come, cominciò pure lui a vivere con la Famiglia nella tenuta di Wilson. Morehouse, alloggiato nella dépendance, ricevette da Manson e da Dennis Wilson una specie di impiego stabile come giardiniere e custode. Per il resto, la storia di Morehouse è piuttosta amara. Il reverendo divenne il più devoto adepto della setta occultista di Charlie. Ma sarebbe diventato anche un grattacapo, per quanto ossequioso, perché pure lui si abbandonò, sotto l’effetto dell’Lsd, a viaggi d’identificazione con il Cristo. Ma quanti Cristo possono esserci in un solo culto? Morehouse divenne un consumatore quotidiano di droga, si lasciò crescere i fini capelli bianchi, cominciò a dichiarare d’essere al tempo stesso Cristo e il demonio, e quell’estate se la spassò non poco ai festini a casa di Melcher e di Wilson. Il reverendo divenne un tale apostolo dell’acido lisergico che un bel giorno, in mezzo alle montagne, poco tempo prima di separarsi dalla moglie, le fece scivolare di nascosto alcune pillole di droga nel bicchiere di succo d’arancia, lasciandola poi sola a se stessa a gestirsi il trip. Grazie mille, reverendo. Morehouse aveva portato con sé un giovane texano, Brooks Posten, un musicista che a suo tempo sarebbe entrato nella leggenda della Famiglia per la sua capacità di cadere in trance a comando. A Manson, Posten consegnò una carta di credito intestata alla madre, carta che fu abbondantemente sfruttata dalla Famiglia durante i vagabondaggi del 1968. Anche Posten cominciò quasi subito a credere che Manson fosse il Cristo tornato tra gli uomini. Per gran parte dell’estate rimase con la Famiglia nella tenuta di Wilson, aiutando Dean Morehouse nei lavori di “giardinaggio”. Il capolavoro di magia di Manson, però, fu senza dubbio la conversione di Charles Denton Watson. Quando si conobbero, nella primavera del 1968 a casa di Dennis Wilson, Watson era un farfallone che se la faceva con una hostess di Chicago. La Famiglia andava orgogliosa di aver operato una conversione in Tex Watson, fino ad oggi ancora detentore di un bellissimo primato texano di corsa piana a ostacoli. Watson vestiva alla moda, era un uomo alla moda. Gestiva un negozio di parrucche. Viveva nel presente. E presto sarebbe diventato il presente di Charlie. Nato a Copeville, in Texas, il 2 dicembre 1946, Tex Watson aveva condotto l’esistenza normale di un ragazzo cresciuto nella zona delle grandi piantagioni di cotone del Texas centrale. Gli abitanti di Copeville se lo ricordano in giro con la sua bicicletta, al lavoro nei campi di cotone o a dare una mano a suo padre alla locale stazione di servizio di famiglia. Fu un bello shock sapere che si era trasformato in un assassino. Alle superiori di Farmersville, nel Texas, dove si era fatto un nome come velocista a ostacoli e mediano di football americano, Watson era solito portare i capelli a spazzola e una specie di codino sulla nuca. Per un paio d’anni aveva studiato al North Texas State College, frequentando le lezioni di gestione aziendale e partecipando alle attività della locale associazione studentesca. Era un vero americano. Alla fine dell’anno accademico 1966 aveva abbandonato il college e ai primi del 1967 si era trasferito a Los Angeles, dove aveva frequentato la locale università per un altro semestre e poi aveva abbandonato nuovamente gli studi. Visse in una serie di studentati in Glendale Boulevard, Wonderland Road, Dracena e North Larrabee – una via famosa per lo spaccio di droga. Prima di incontrare Manson, aveva cominciato a lavorare come rivenditore di parrucche, aprendo un negozio chiamato Crown Wig Creations Ltd. all’imbocco del Benedict Canyon. Era in società con un suo amico di Denton, Texas. Il negozio si trovava al numero 9499 del Santa Monica Boulevard, vicino a Beverly Hills. Pare che all’epoca dell’incontro con Manson, Tex Watson abitasse da qualche tempo sulla Pacific Coast Highway, al numero 18162, in una casa sulla spiaggia. Guidava un elegante pick-up Dodge del 1935. Tra tre miliardi di possibilità, Watson scelse proprio di diventare Charlie. “Io sono Charlie e Charlie è me” diceva un motivetto in voga presso la Famiglia. Si sentivano tutti creati a sua immagine e somiglianza. Watson in seguito avrebbe ammesso con un certo rammarico che credeva veramente di essere Charlie. Usava perfino il nome di Manson. Una volta, nella contea di Mendocino, firmò appunto con questo nome la ricevuta di un pieno di benzina acquistato con la carta di credito di Terry Melcher. Le analisi eseguite dall’istituto di neuropsichiatria della University of California hanno rivelato che, a seguito del viaggio nel vuoto mansoniano, il quoziente intellettivo di Watson aveva perso addirittura trenta punti, probabilmente a causa dell’uso di droghe come il telache o la belladonna. Se i russi, i comunisti cinesi o il Pentagono riusciranno un giorno a scoprire il segreto robopatico di Manson, il mondo si ritroverà in guai seri. Intanto la casa di Wilson era un buon recapito da fornire all’agente federale di vigilanza speciale. Di fatto, Manson avrebbe continuato a servirsi dell’indirizzo di Sunset Boulevard sulla sua carta d’identità anche molto tempo dopo aver abbandonato quella dimora. Manson non smetteva di crogiolarsi nell’immagine di Cristo, baciando piedi e concedendo poteri d’immortalità a profusione. “Sei pronto a morire?” chiedeva e, se la risposta era affermativa, diceva: “Allora vivrai in eterno”. Era sempre alla ricerca di posti dove dormire. Ogni tanto spediva Squeaky con un carico di sbandati assonnati a cercare letti per la notte nel Topanga Canyon o allo Spahn Ranch. Wilson, dal canto suo, possedeva un armamentario da vera stella del rock: due Ferrari, una Rolls-Royce, una villa nel Benedict Canyon, un favoloso guardaroba, una barca con tanto di radar. Era ricco, almeno in teoria, sebbene nel ’68 cominciasse a esserci una certa tensione tra i Beach Boys, che faticavano a sfornare altri pezzi di successo come Good Vibrations, Sloop John B o California Girls. Le ragazze della Famiglia usavano la Rolls-Royce per le loro missioni di recupero-rifiuti. Chissà che spettacolo vedere quelle belle figliole che caricavano avanzi dei supermercati sul sedile posteriore di un macchinone come quello! Ma Dennis Wilson lasciava fare. Una volta, durante l’estate, portò con sé Snake, Lynn e Ouish a un festival musicale in Colorado dove suonavano i Beach Boys. Un giorno, dopo averlo incontrato nel Topanga Canyon, Manson invitò Robert Beausoleil a casa di Wilson per una nuotata nella sua splendida piscina. E quella primavera-estate, nella casa nei pressi di Will Rogers Park, si scopava da matti. Grazie ai contraccettivi e ai diritti sanciti dal Bill of Rights, le giovani donne degli anni sessanta, soprattutto in California, si consacravano a quel mondo rock and roll psichedelico e sessualmente sfrenato con feroce determinazione. La Famiglia Manson si dedicò alle orge sul Sunset Boulevard con pari dedizione. Il membro della Famiglia Paul Watkins, nella sua autobiografia, ha scritto che Manson mandava “contingenti orgiastici” a casa di Denny Wilson. Queste brigate depravate si comportavano in maniera estrema, anche per gli standard dell’epoca. Watkins descrive come Manson una volta gli abbia ordinato di succhiarglielo davanti a tutti. Le donne della Famiglia si facevano tra di loro e, osserva Watkins, mandavano fuori di testa gli ospiti di Wilson con pompini a due e “rapporti sfrenati”. Uno dei sogni impossibili di Manson era che tutti venissero simultaneamente durante un’orgia. C’era poi un’altra pratica, ricorda Watkins, che deve senz’altro aver creato qualche esitazione negli ospiti più o meno famosi di casa Wilson. Questa pratica consisteva nel piegarsi in avanti e mostrare il buco del culo all’intero gruppo, come se fosse una specie di cerimonia liberatoria – probabilmente non molto gradita dagli individui puliti, eleganti e ben acconciati che frequentavano la casa del batterista di Little Deuce Coupe in cerca di fama. Per quanto riguarda il patrimonio personale di Wilson, quel periodo fu come un flagello delle locuste, perché nel giro di due o tre mesi la Famiglia riuscì a polverizzare tutti i beni materiali dell’artista. Si era però nell’anno del Maharishi e della meditazione trascendentale: è plausibile che Wilson aderisse all’idea mansoniana del distacco dai beni terreni, tanto che finì a vivere egli stesso, pro tempore, in uno stato di “povertà”, trasferendosi in un misero monolocale nel seminterrato della casa di Gregg Jakobson, in North Beverly Glen Drive. Si era ancora nel pieno dell’estate del ’68 quando Manson cominciò ad accusare i primi sintomi di una disfunzione alla prostata. La leggenda che la Famiglia continuava a diffondere voleva che Charlie facesse l’amore sette volte al giorno: una volta prima e una volta dopo ogni pasto o spuntino, e una volta nel cuore della notte, quando si svegliava pieno di desiderio. Ogni ragazza nuova aveva con Manson una prolungata seduta di accoppiamento sessuale, corredata dal solito programmino “fai finta che io sia tuo padre” e da varie altre forme di perversione. Del resto la perversione era il pane quotidiano degli ambienti musicali di Los Angeles: doveva essersi sparsa la voce. Era una specie di corsa allo sfinimento sessuale. A quanto pare Charlie era convinto che solo dopo le prime tre o quattro ore l’atto cominciasse a farsi veramente interessante – quando la donna “cedeva” e perdeva interamente il proprio Io. A quel punto la copulazione non riguardava più il corpo, ma l’Anima. Ed era vero. Delle moltissime deposizioni raccolte da donne nell’area di Los Angeles, solo una avrebbe affermato che Manson non valeva granché a letto. Quasi tutte le ragazze credevano che Manson fosse giovanissimo, anche quando aveva poco più di vent’anni. E la cosa faceva gioco a Charlie, che aveva una vera e propria passione per le adolescenti. Più giovani erano, meglio era. Ma non tutte si lasciavano ingannare. Da vicino il suo volto mostrava evidenti segni dell’età. “Il viso sembrava giovanissimo,” ricorda una delle sue amanti del 1969, “ma da vicino si vedevano le rughe.”

8. LE STREGHE DI MENDOCINO E PARTE DELLA FAMIGLIA NELL’HAIGHT (GIUGNO- AGOSTO 1968) Qualcuno ricorda che soprattutto Sadie spingeva tutti quelli che incontrava ad andare a Los Angeles “a conoscere Charlie”. Intanto erano successe molte cose. A un certo punto, probabilmente verso la fine di maggio del 1968, Charlie decise di inviare una missione esplorativa verso nord, nella contea di Mendocino, a bordo del torpedone nero, per trovare una sede permanente dove stabilirsi. A capo della spedizione e alla guida dell’autobus era Susan Atkins, alias Sadie Glutz. Manson appostava regolarmente gruppi di discepoli qua e là. Charlie, attorniato da un’eletta schiera di seguaci, rimase a casa di Wilson a spassarsela. Le prescelte da tenere sottomano durante quei primi mesi sul Sunset Boulevard erano Malibu Brenda, Sandy Good, Ouish, Squeaky Fromme e Snake Lake. Prima di dirigersi a nord verso Mendocino, il gruppo di Susan Atkins sostò brevemente in una comune al numero 532 di Clayton Street, un paio di isolati più a monte della Free Medical Clinic di Haight-Ashbury, dov’era in osservazione per un’infezione micotica il figlioletto di Mary Brunner, Pooh Bear, di sole sette o otto settimane d’età. Senza Manson, l’autobus su cui viaggiava la Famiglia attirava le simpatie di tutti. C’era stata un’ondata di rastrellamenti e perquisizioni da parte dei poliziotti, con i soliti arresti idioti per detenzione e uso di marijuana. E, secondo gli osservatori, quelle ragazze dell’autobus nero si davano a un fervente proselitismo, tanto che per l’ardore dimostrato durante il soggiorno a Mendocino cominciarono a essere chiamate le Streghe di Mendocino. I dipendenti della clinica di Haight-Ashbury dovevano aver sentito parlare senz’altro di loro, dato che nel gennaio del 1968 l’ex agente federale incaricato della vigilanza di Manson, Roger Smith, aveva lasciato l’incarico per avviare un programma terapeutico di consulenza ai tossicodipendenti proprio in quella clinica. La struttura si trovava in un edificio di tre o quattro piani di Clayton Street, a due passi da Panhandle Park. Il personale della clinica prese l’abitudine di osservare il gruppo. Al Rose, il direttore dell’istituto, raccolse alcuni dati sulle ragazze quando queste finirono in un carcere di Mendocino, e in seguito andò a visitarle allo Spahn Ranch. Poco tempo dopo lo stesso Al Rose e il dottor David Smith, il direttore sanitario, scrissero una relazione ufficiale dal titolo Il matrimonio di gruppo nelle comuni – Uno studio sperimentale, basata sulla Famiglia del ’68 e pubblicata con tanto di note e glossario scientifico sul numero del novembre 1970 del “Journal of Psychedelic Drugs”, una pubblicazione un po’ furba, ma interessante, sulla cosiddetta cultura della droga. La Free Clinic di Haight-Ashbury aveva aperto sul finire del 1966, giusto un attimo prima dello sbocciare del flower power. Nel corso del 1967 si batté coraggiosamente per sopravvivere, e accolse e curò un gran numero di figli dei fiori. Alla fine di quell’anno dovette chiudere per mancanza di fondi, ma riaprì quasi subito. La lotta per la sopravvivenza comportò, ovviamente, qualche compromesso con le varie fondazioni disposte a finanziarne la benemerita attività. E negli anni precedenti diversi gruppi rock di San Francisco tennero dei concerti benefici per sovvenzionare la clinica. Apriamo una breve parentesi. Nella primavera del ’68 si era fatto un gran parlare sui giornali di un concerto rock che la Free Clinic intendeva organizzare per il 15 aprile, la domenica di Pasqua, al prestigioso Palace of Fine Arts di San Francisco. La cosa avrebbe fruttato 12 o 13.000 dollari, di cui la clinica aveva grande bisogno. Tra gli ospiti previsti c’erano i Big Brother and the Holding Company, in cui cantava Janis Joplin, e i Quicksilver Messenger Service. Alcuni abitanti di San Francisco si erano lamentati, dicendo che non bisognava utilizzare l’elegante Palace of Fine Arts per un evento rock, soprattutto se a beneficio della feccia hippie infestata dalla gonorrea. Alla fine l’ebbero vinta, e all’ultimo minuto il concerto fu spostato al Carousel Ballroom. A un certo punto, nella primavera o nell’estate del 1968, la signora Inez Folger, madre di Abigail Folger, andò a lavorare alla clinica di Haight- Ashbury. In qualità di assistente volontaria del dottor Roger Smith per l’attuazione del programma di assistenza ai drogati, la Folger aiutò la clinica a procurarsi un finanziamento dalla Bothin Foundation e un altro da 25.000 dollari dal Merrill Trust. La circostanza è stata confermata da un dirigente dell’ospedale. Durante quell’anno di lavoro in clinica, la signora Folger tenne anche diversi ricevimenti di beneficenza in casa sua. A uno di questi cocktail dati dai signori Folger parteciparono non soltanto il colonnello e la signora Tate, ma anche Abigail Folger e, a quanto pare, uno o più membri della Famiglia Manson, se non Charlie Manson in persona. (Roger Smith, l’agente federale incaricato della sorveglianza di Manson durante il marzo 1967, ha raccontato di aver avuto un colpo quando, alla fine del 1969, vide i titoli di giornale che parlavano dell’arresto della Famiglia per omicidio. Ripensò subito a quel cocktail party a casa di Inez Folger.) Nelle prime due settimane del giugno 1968, come abbiamo detto, le ragazze di Manson si diressero a nord di San Francisco, nella contea di Mendocino, in cerca di una sistemazione. Per qualche giorno sostarono presso una comune situata in una casa nei pressi della Route 128, vicino a Philo e a nordovest di Ukiah, in pieno territorio della droga. Poco dopo la mezzanotte del 21 giugno 1968, una certa signora Rosenthal di Booneville in California telefonò al distaccamento dello sceriffo della contea di Mendocino, insistendo che le fosse subito inviato un agente perché qualcuno aveva dato della droga a suo figlio diciassettenne. Al loro arrivo in casa Rosenthal i poliziotti trovarono il giovane Allen che parlava delle proprie gambe come fossero serpenti e aveva allucinazioni multicolori. Il giovane raccontò agli agenti dello sceriffo che le Streghe di Mendocino della casa “hippie” di Philo gli avevano rifilato una pasticca azzurra di droga. Quella stessa notte gli uomini dello sceriffo piombarono nel covo hippie, occupato in quel momento da cinque donne (le Streghe di Mendocino), tre uomini e un lattante, Pooh Bear. Gli agenti, dopo aver perquisito la casa e i dintorni, trovarono in una baracca di legno poco distante dall’edificio principale un barattolino per pellicole fotografiche contenente della marijuana, nonché una bustina con dentro certe pastiglie azzurrine di acido. Contenti di aver beccato i “comunisti” con la droga, gli sbirri arrestarono Ella Beth Sinder alias Yeller, Mary Brunner, Patricia Krenwinkel alias Katie, Sadie Glutz, una certa Mary Ann Scott, Robert Bomse, Peter Kornbuth e Eugene Nagle, oltre, naturalmente, a Valentine Michael Manson, detto Pooh Bear, di undici settimane. Subito dopo l’arresto, una delle ragazze telefonò a casa di Dennis Wilson, a Los Angeles, per informare Charlie della retata. Il giorno dopo, 22 giugno 1968, Sadie Mae Glutz e compagne furono denunciate per aver violato il paragrafo 11910 del Codice igienico-sanitario della California (“detenzione di farmaci nocivi, in recidiva”), il paragrafo 11913 del Codice igienico-sanitario della California (“introduzione dolosa di droga nella bocca di un minore”) e il paragrafo 11530 del Codice medesimo (“detenzione di marijuana”). Sul registro dello sceriffo, Katie fu segnata col nome di Katherine Smith. A quanto pare, essendo Mary Brunner l’unica che rischiava veramente una condanna per recidiva, le ragazze si erano messe d’accordo per dire che il piccolo Sunstone Hawk, alias Pooh Bear, era figlio di Katie, la quale aveva maggiori probabilità di assoluzione. Inoltre temevano che il magistrato avrebbe affidato Pooh Bear allo stato quando i poliziotti avessero scoperto che di recente Mary Brunner era stata fermata per aver allattato il bambino in un fossato di Oxnard, in California. Ovviamente era esclusa la possibilità di trovare i soldi per la cauzione. Pooh Bear, tolto alla madre, fu dato in affidamento. Non si sa bene come, furono scelti come tutori del bambino proprio i coniugi Smith, della Free Clinic. Venne poi accertato che – orrore! – il bambino non solo non era stato iscritto all’anagrafe, ma non era stato neppure circonciso. Le due formalità vennero immediatamente espletate. E così le ragazze languirono in carcere finché, all’udienza del 2 luglio, non vennero a cadere alcune accuse. Tuttavia le Streghe di Mendocino vennero arrestate in aula per “derubricazione del capo d’accusa”. E rimasero dentro. Mentre le Streghe di Mendocino erano alle prese con la giustizia a nord, Manson trascorreva quasi tutto il giugno e il luglio del 1968 a Los Angeles. Il piccolo misogino aveva il suo bel daffare a dominare le donne e a stringere nuovi contatti. Uno dei suoi stratagemmi più brillanti era quello di persuadere i suoi discepoli al culto della coscienza infantile. In un certo senso, il “fanciullino” ideale. I bambini, diceva Manson, non erano ancora infangati dalla Cultura e agivano in assoluta spontaneità, esprimendo l’Anima. Si ricordi, a questo proposito, che la Famiglia credeva nella reincarnazione e nella possibilità di risalire alle vite precedenti. Quindi il “fanciullino” era il punto culminante della catena vitale evolutiva. Charlie incoraggiava le nascite. Nella Famiglia vigeva l’assoluto divieto di usare preservativi, pillola, spirale, diaframma vaginale e di ricorrere, Dio ce ne scampi, alla vasectomia. Le donne, secondo la mistica mansoniana, erano prive di anima, erano le schiave iperconsapevoli degli uomini, fatte per assolvere all’unico dovere di sollazzarli e servirli. Per ironia della sorte, nella Famiglia ci furono ben poche gravidanze, fatto che, a detta di Sandy Good, contrariava non poco Charlie. Se venti donne fanno l’amore con un solo uomo, l’attenzione che quest’ultimo può riservare a ciascuna di loro diventa un problema. Ma Manson, che era un dritto, riusciva a mantenere con ciascuna un rapporto intimo di disarmante efficacia e, in un modo o nell’altro, a soddisfarle tutte. Sempre a proposito del tema della gelosia, Manson aveva escogitato un sistema incredibilmente ingegnoso. Diceva alle ragazze che, se veramente l’amavano, dovevano andargli a cercare una ragazza più carina e più giovane di loro. E funzionava. A quanto pare il Mago aveva un debole per le ragazzine dai capelli rossi, piccoline, tutte pelle e ossa, con inclinazioni masochiste e tendenze superstiziose. E gli piaceva da pazzi rimorchiare fanciulle che erano state maltrattate dai genitori. Le ragazze andavano e venivano. La formula era: “Se vi adattate, potete restare”. E alcune facevano cose folli per adattarsi. È questa l’immagine che le sue seguaci offrivano al mondo. Ma Manson non si dedicava solo a crearsi un harem e a prepararsi per la celebrità. C’era un altro Manson, un Manson con anni e anni di contatti con un lato di Los Angeles non altrettanto paradisiaco, ovvero con la malavita. Si ricorderà che, arrivato in città nel 1955, Manson visse i quattordici anni della sua carriera californiana nelle vesti di galeotto, pappone, barista, falsario, ladro, e poi come menestrello e guru. Manson era uno che vantava migliaia di amici. C’era per esempio questo tizio di nome Pete, di Sacramento, che la Famiglia andò a trovare più volte verso la fine del 1967, tra un vagabondaggio e l’altro. Pare che Pete e Manson avessero lavorato insieme in un bar di Malibu nel 1958. Già, era uno che sapeva coltivare le sue amicizie. Manson aveva l’abitudine di andarsene in giro per il Sunset Strip sotto il nome di Chuck Summers. In quella zona c’erano una manciata di bar e caffè malfamati, con nomi come Galaxy Club, Omnibus, The Melody Room, che Chuck Summers frequentò nel 1968. Questi locali attraevano frotte di biker, prostitute, piccoli criminali, modelle delle riviste pornografiche. Il preferito era però il Galaxy Club. Manson, ricorda il gestore del tempo, amava venirci di mattina. Questo gestore era anche un ipnotizzatore da palcoscenico e qualche tempo dopo avrebbe aperto una roba chiamata Hollywood Hypnotism Center. Lui e Manson chiacchieravano spesso di ipnotismo. Il Galaxy Club si trovava a poca distanza dal Whiskey A Go-Go, lungo la stessa strada. Forse fu proprio al Galaxy che Manson fece conoscenza con il gruppo di biker chiamato Jokers Out of Hell. Gli stessi locali erano frequentati anche da alcune amichette di Manson meno note, con nomi come Mouse e Venus. Pare che lungo il Sunset Strip Manson abbia preso contatto per la prima volta con vari gruppi di biker d’ispirazione satanica, come i Satan’s Slaves, i già ricordati Jokers Out of Hell, gli Straight Satans, i Coffin Makers e altri ancora. È innegabile che la frequentazione sempre più assidua di questi gruppi dai nomi diabolici abbia generato in Manson “riflessi” violenti. Nei successivi anni di violenze, Manson ebbe rapporti stretti con gli Straight Satans e soprattutto con la misteriosa cricca che andava sotto il nome di Satan’s Slaves.

9. CONTRIBUTI SCABROSI Da quando Manson aveva lasciato Terminal Island, era passato solo uno di quegli anni dei figli dei fiori. Ma a un certo punto, tra la fine del 1967 e la primavera-estate del 1968, nella Famiglia avvenne un mutamento. Nel calderone di fiori, sesso e collettività nomade entrarono anche Satana, il culto demoniaco e la violenza. E forse fu proprio il desiderio di cambiare – il bisogno di tener vivo quel magnetismo – a spingere Charlie verso la violenza. Successe qualcosa. Dopotutto non è possibile, come molti vorrebbero invece credere, che un bel giorno Patricia Krenwinkel si sia svegliata a comando, sia balzata in piedi, abbia preso l’auto e sia andata a casa dei Polanski sotto l’influsso del sesso, delle droghe e della vita in comune. Manson continuava a proclamare di essere semplicemente il “riflesso” di quanti lo circondavano, di essere “morto nella mente” e, pertanto, di agire dall’Anima. Non c’è dubbio che abbia attinto le sue idee da fonti diverse: era sempre stato un avido ascoltatore delle parole altrui, vantandosi di conoscere una vasta gamma di strane informazioni. Ma che cosa provocò, in sostanza, il “trip di morte” della Famiglia? A questo punto converrà esaminare, definendoli “contributi scabrosi”, quegli elementi che pare abbiano alimentato l’esplosione della violenza mansoniana. Se si osserva attentamente la scena di Los Angeles, si possono individuare diversi gruppi satanisti e occultisti che potrebbero aver fornito questi potenti contributi a Manson e alla sua cosiddetta Famiglia. Nella zona metropolitana esistono per esempio certe sette specializzate in un proselitismo di tipo zombie, secondo gradi diversi di iniziazione e di gerarchia. Queste sette usano tecniche di indottrinamento a volte molto simili all’ipnosi, amplificano nella psiche degli adepti la paranoia occultista e ricorrono a volte anche all’uso di droghe per costruire una fitta ragnatela di astruse credenze attorno ai neofiti. La struttura di queste sette è di tipo fascista: tutto il potere risiede nelle mani dei capi al vertice della piramide, solitamente uno o due balordi assetati di potere che godono nello sbraitare Achtung! e nel ricevere obbedienza. La descrizione di un rigido gruppo occultista che influenzò sicuramente la Famiglia e il cui leader, a detta della polizia californiana, ebbe contatti con i seguaci di Manson, la si può trovare in una relazione redatta dalla Chiesa anglicana: “[la setta offre] al mondo due volti, quello di una pia rispettabilità e quello della più lasciva depravazione”. Questa setta venera una serie di divinità, compresi Satana e Cristo. Rappresenta la quintessenza della paranoia occultista. Manson e alcuni dei suoi conobbero i capi di questa società satanica alla Scala a chiocciola, nel Topanga Canyon, sul finire del 1967. Patricia Krenwinkel, in un’intervista avvenuta in carcere anni dopo, ammise di aver conosciuto questo gruppo alla Scala a chiocciola. Un altro informatore, come abbiamo notato, disse che Manson aveva conosciuto questa società occultista inglese a un incontro a casa dei proprietari dello Straight Theater di San Francisco. “Ah, il Diavolo,” si lasciò sfuggire Manson quando un avvocato della difesa gli chiese per la prima volta se aveva mai conosciuto il gruppo satanico inglese. In seguito Manson scrisse dei gruppi che aveva conosciuto alla Scala a chiocciola: “Ogni volta che tornavo, osservavo e ascoltavo tutte le pratiche e i rituali dei vari gruppi che ci venivano a trovare. Non sono uno di quelli che devono sacrificare animali o bere il loro sangue per eccitarsi di più. Né devo legare qualcuno e frustarlo per arraparmi, come invece dovevano fare alcune di quelle persone. “Il giorno che ci siamo messi in viaggio, eravamo dei bambini innocenti rispetto a certi tizi che abbiamo incontrato laggiù. Se ci ripenso, credo di poter dire in tutta franchezza che la nostra filosofia – giochi e divertimento, amore e sesso, amicizia pacifica con tutti – cominciò a trasformarsi nella follia che ci avrebbe travolti proprio in quella casa”. Un altro “apporto” fu probabilmente quello dato da una setta capeggiata da una donna, che dai seguaci era creduta la reincarnazione della maga Circe. Come il lettore ricorderà, Circe nel racconto omerico aveva provveduto a mutare in porci i marinai di Ulisse ricorrendo a una strana pozione magica. Secondo informazioni della polizia, questa “setta di Circe” contava tra i suoi adepti anche alcuni membri del gruppo biker dei Satan’s Slaves, gruppo che ebbe contatti con Manson e con la sua “chiesa”. Pare che questa Circe avesse i capelli rossi e fosse di nazionalità inglese. Formatosi in galera ed essendo rimasto quasi analfabeta (fino all’ultimo ha letto compitando ad alta voce), Manson era indubbiamente orientato, in fatto di preparazione culturale, a un insegnamento di tipo guru: tutte le nozioni che possedeva le aveva infatti ricevute dai sermoni di alcuni amici. Il guru hippie di Manson, per esempio, era un personaggio molto conosciuto negli ambienti delle comuni underground del 1967 tra Los Angeles e San Francisco. Manson era stato visto più volte nella zona in sua compagnia. È vero che se si fosse attenuto ai consigli di questo guru dei fiori, le cose non sarebbero poi precipitate a tal punto in California – ma non poteva esserci speranza per questo figlio di un ordinamento carcerario malsano e di un pesante fardello ereditario. Si ricorderà che ancora prima che Manson lasciasse il carcere federale, nella sua mente erano già attecchiti gli strampalati concetti della magia nera. Egli stesso ha affermato di aver conosciuto i cosiddetti cultori del diavolo mentre era dietro le sbarre e di aver continuato a ricevere per posta, da alcuni amici, certi libri di magia nera. Secondo Dean Morehouse, fin dall’estate del 1967, nella zona settentrionale della contea di Mendocino, a nord di San Francisco, Manson e compagni avevano preso contatto con un gruppo chiamato Devil’s Disciples, una setta di satanisti che, stando a una persona vicina alla Famiglia, avrebbe poi messo radici nell’area metropolitana di San Francisco. Robert Beausoleil, che avrebbe assassinato Gary Hinman, ebbe a sua volta intensi contatti con un gruppo di satanisti attivi a San Francisco tra il 1966 e il 1967. Può darsi che, data la loro amicizia, fosse lo stesso ambiente satanico a cui si era accostato Manson. Un tale che dice di essere stato coinvolto nei riti della stessa setta di San Francisco nel 1968 ha dichiarato che in quell’occasione il guru di Manson sarebbe stato un certo Padre P. “Questa setta della morte era capeggiata da un tipo bizzarro e violento sui quarantacinque anni,” scrive il testimone. “Lo chiamavano Padre P.[…]. Tra le altre cose, Padre P. si vantava di possedere due lauree e di essere un mago. Nell’ashram correva voce che Padre P. fosse stato cacciato dal North Carolina per aver appiccato il fuoco a una chiesa di paese, che fosse stato espulso dalla Cuba precastrista e che fosse rientrato di recente da Damasco, in Siria.” Nella stessa deposizione scritta si legge: “Questi Discepoli del Diavolo affermavano di essere un ordine religioso che in passato aveva avuto nomi diversi, come ‘Compagnia della vita’ e ‘Chiesa suprema del Giudizio’ […] ‘Chiesa suprema’ è il nome che Manson scelse per la chiesa che avrebbe fondato”. Fu verso la metà del 1968 che Manson cominciò a dichiarare di essere al tempo stesso Gesù e Satana, Cristo e il Demonio. Già sappiamo come la Famiglia Manson si considerasse alla stregua dei primi cristiani, o almeno di quelli che, secondo Manson, dovevano essere i primi cristiani: gente che viveva in assoluta comunanza sessuale e al di fuori del sistema sociale ufficiale. A questo aggiunsero la fede nella reincarnazione, la proiezione astrale e vari rituali di sangue. Nella sua Chiesa suprema del vattelapesca, Manson si presentava dunque come Cristo/Satana. I suoi scopi erano agghiaccianti. Voleva creare una struttura di cellule religiose di seguaci in varie città d’America. E probabilmente ci riuscì. Ma era una follia. In occasione di un lungo colloquio con il procuratore distrettuale di Los Angeles, il 5 ottobre 1970, una compagna di cella di Susan Atkins ha riferito ciò che la Atkins le disse delle abitudini ematofaghe della Famiglia: “Mi confidò che varie volte Charlie si metteva da solo in croce. Una ragazza s’inginocchiava ai piedi della croce e lui cominciava a lamentarsi e a gridare come se lo stessero crocifiggendo. E poi sacrificavano degli animali e ne bevevano il sangue, per celebrare un rito di fertilità”. Oh, wow! Uno che ha conosciuto la Famiglia da vicino ha detto che Manson e le ragazze, durante le loro frenesie ritualistiche, indossavano dei cappucci neri. Lo stesso testimone ha poi raccontato un episodio quasi buffo. Una notte, insieme a un amico, aveva cercato di intrufolarsi nello Spahn Ranch e si era travestito con una tuta nera e cappuccio nero per eludere la vigilanza della Famiglia. Già nel giugno del 1968, secondo Dean Morehouse, Manson aveva messo a punto dei piani per inviare i suoi discepoli a costituire le nuove “chiese”. Così ha dichiarato Morehouse in un’intervista: “Avevo l’impressione che Charlie volesse spartirsi il mondo con i suoi seguaci per fare non so bene che cosa: non mi ha mai detto nulla di preciso […]. C’erano tante cose di cui mi teneva all’oscuro”. Una volta, nel giugno del ’68, ci fu persino un seguace di Manson pronto a partire per l’Australia per costituire laggiù un “capitolo” della Chiesa suprema o come diavolo si chiamava. A Morehouse è stato chiesto che cosa avrebbe dovuto fare questo tizio una volta giunto in Australia. Ecco la risposta di Morehouse: “Avrebbe fatto tutto quello che Manson faceva in America. Charlie voleva che mi dessi da fare per organizzare… Insomma, avrei dovuto organizzare una chiesa. Me lo chiedeva sempre. Aveva anche abbozzato un programma di quello che avrei dovuto fare. Mettere insieme un gruppo, un piccolo gruppo, sfruttare le loro inibizioni per convincerli, e mandare in giro i maschi del gruppo a due a due a bordo di furgoncini Volkswagen o qualcosa del genere. Mandarli in giro a convertire la gente. Quindi dovevano andare su e giù per le autostrade o fermarsi in una città e costituire una base. Poi bisognava mandarne degli altri in un posto nuovo a fare la stessa cosa, e così via […]. Continuare ad allargarsi, insomma”. Alla fine Morehouse cominciò davvero a organizzare una chiesa mansoniana, ma a cavallo tra la fine del ’68 e l’inizio del ’69 la sua opera di proselitismo fu interrotta da una pesante condanna. Sul finire dell’estate del 1968, Manson cominciò a stringere contatti con i Gypsy Jokers, un club di biker di San Jose, in California, alcuni chilometri più a sud di San Francisco. Secondo la polizia californiana, alcuni Gypsy Jokers erano già stati reclutati nel 1967 da una nota società occultistica internazionale. Alle nuove reclute, sempre secondo fonti della polizia, l’organizzazione aveva imposto il nome di Agenti di Satana. La setta, che aveva iniziato il reclutamento e la costituzione di una rete di cellule in tutti gli Stati Uniti fin dal 1966, era particolarmente attiva in California. Si tratta di un gruppo di cultori del diavolo che operava nelle remote zone montane della California settentrionale e meridionale, e che ci fornisce le informazioni più raccapriccianti sulla probabile natura sacrificale della liturgia occultista della Famiglia. Un tale che è stato sorpreso in flagrante mentre mangiava il cuore di una vittima umana e che per questo è stato accusato di omicidio ha parlato di un’organizzazione demoniaca attiva, negli anni dal 1967 al 1970, sulle montagne di Santa Cruz a sud di San Francisco e sulle montagne di Santa Ana a sud di Los Angeles. Il gruppo praticava normalmente l’ematofagia, il cannibalismo e altri riti barbarici. Potrei abbrutirvi per pagine e pagine parlandovi delle attività raccapriccianti di questa setta, ma ve lo risparmierò. La setta, provvista di una propria terminologia specifica, celebrava i suoi riti secondo un calendario basato sulla superstizione astrale. Al capo spettava il titolo di Gran Chingon o di Capo Chingon o di Diavolo Principe. Io stesso ho sentito chiamare Manson “Gran Chingon” da molti dei suoi seguaci. Si sa però per certo che il Chingon di Santa Cruz non poteva essere Manson (che era già in galera per strage nel periodo di attività della setta), bensì un tizio più anziano, attorniato da uno stuolo di “schiavi e schiave”. La setta era anche nota, secondo la nostra fonte, con il nome di Movimento delle Quattro P ed era dedita “al culto universale del male”. Teneva cerimonie all’aperto con un forno crematorio portatile, un altare di legno ornato di draghi, un “tavolo da obitorio” portatile, un coltello sacrificale a sei lame e altri strumenti di rito. Pare che uccidesse vittime umane e ne cremasse i corpi. Una storia orribile. Intanto, nel giugno del 1968, Manson stava tirando le fila del suo regno malato e preparando la sua chiesa del demonio. E mentre la Famiglia grufolava lungo lo Strip, e cantava e baciava piedi al numero 14400 di Sunset Boulevard, a poco più di tre chilometri verso nordest, Sharon Tate e Roman Polanski si trasferivano in una casa in Summit Ridge Drive 1600, sulle colline delle celebrità sopra Beverly Hills.

10. SHARON TATE E ROMAN POLANSKI NEL 1967

L’elemento più importante del cinema, oltre ai personaggi, è il terrore cieco. ROMAN POLANSKI

Sharon Tate era nata il 24 gennaio 1943 a Dallas, in Texas. Poiché il padre era un funzionario in carriera dell’esercito, la famiglia in seguito si trasferì in varie parti degli Stati Uniti e dell’Europa. Quando Sharon era ancora piccola, i genitori la iscrissero a un concorso di bellezza per bambine a Dallas. E lei vinse. La famiglia continuava a spostarsi, andando ad abitare di volta in volta a San Francisco, nello stato di Washington, a Washington D.C., ecc. A Richmond, Washington, Tate vinse il titolo di Miss Autorama. I Tate si trasferirono per un certo periodo anche a Verona, dove la ragazza frequentò il cosiddetto Liceo americano, con sede a Vicenza. Fu eletta Reginetta della scuola e Reginetta del ballo di fine anno. Quante migliaia di ragazze americane, incoronate reginette del proprio liceo, non hanno sognato di mettere piede a Hollywood? Durante la permanenza a Verona, Sharon conobbe Eli Wallach, Susan Strasberg e Richard Beymer, che stavano girando un film da quelle parti. Proprio Beymer incoraggiò la ragazza col solito “dovresti fare del cinema”, convincendola a diventare attrice. Quando il padre, a quanto pare un colonnello dei servizi segreti militari, fu ritrasferito negli Stati Uniti, la famiglia Tate si stabilì a San Pedro, in California, a pochi chilometri da Hollywood. Da San Pedro, Sharon fece la sua mossa. Prese l’abitudine di fare l’autostop per raggiungere i vari studi cinematografici, dove la volenterosa signorina Tate dalla voce dolce cominciò a essere conosciuta come “la ragazza di San Pedro”. A proposito dei primi passi di Sharon Tate nel mondo del cinema, esiste una memorabile intervista da lei concessa sul set di un film di vampiri, Per favore, non mordermi sul collo!. “Per venire agli studi da Los Angeles facevo l’autostop perché non avevo i soldi per il taxi. Gli uomini erano molto generosi, soprattutto i camionisti, e un passaggio lo trovavo sempre. Ebbi le mie prime parti in certi spot televisivi. Ero riuscita a convincere papà che a Hollywood ero assolutamente al sicuro.” Miss Tate, che si era procurata un agente, Hal Gefsky, aveva infatti cominciato a lavorare per la pubblicità televisiva di una casa automobilistica e di una marca di sigari. Nel 1963, quando Sharon aveva vent’anni, il suo agente la mandò a New York per un provino in vista di una piccola parte in Petticoat Junction, una serie televisiva prodotta e allestita per la Cbs da un certo Martin Ransohoff e dalla sua casa di produzione, la Filmways. Ransohoff, giunto sul set e colpito dal fascino di Sharon, volle parlarle. Secondo il giornalista Lloyd Shearer, autore di un servizio per un quotidiano londinese, Ransohoff pronunciò le parole fatidiche: “Bellezza, io farò di te una star,” con un’enfasi particolare sull’“io”. Ransohoff curava anche la produzione di una commediola televisiva a puntate intitolata The Beverly Hillbillies. Era dai tempi di Troy II, noto nei circoli archeologici come “cultura spazzatura”, che non si vedeva qualcosa come The Beverly Hillbillies. Ransohoff offrì a Sharon un contratto di sette anni. Per due anni e mezzo si tenne la ragazza come cosa propria, innaffiandola come una magnifica palma da datteri affinché crescesse rigogliosa nel paradiso delle stelle. Sharon prese lezioni di canto, di ballo e di recitazione. Ebbe particine di prova, con trucco e parrucca, in The Beverly Hillbillies, Petticoat Junction e in molti altri film prodotti da Ransohoff, tra cui Tempo di Guerra, tempo d’amore e Castelli di sabbia. Trascorse diverso tempo a Big Sur, in California, una meravigliosa zona costiera che imparò ad amare. Vi soggiornò appunto con Ransohoff quando questi girava Castelli di sabbia, con Elizabeth Taylor nel ruolo di protagonista. Nel 1963, in un ristorante di Hollywood, conobbe Jay Sebring, parrucchiere per divi del cinema. I due divennero subito amici e amanti e, qualche tempo dopo, si fidanzarono. Jay Sebring, imprenditore dinamico e di successo, si stava affermando rapidamente come re dei coiffeur. Quando lavori nel mondo dello spettacolo, devi prestare una grande attenzione al tuo volto e ai tuoi capelli. In molti casi il viso e i capelli di una star bastano ad assicurarle una carriera sfolgorante. E Sebring aveva uno stile che conquistava molti dei personaggi più famosi e facoltosi di Hollywood. Era quasi un mago contro la caduta dei capelli, e arrivò al momento giusto per favorire il passaggio dalla moda del taglio a spazzola in stile marine, a quella delle chiome in stile mod. Più o meno nel periodo in cui conobbe Sharon Tate, Jay Sebring acquistò la splendida villa nel Benedict Canyon in cui avrebe vissuto fino alla morte. La villa, situata al numero 9860 di Easton Drive, aveva una fama un po’ sinistra, essendo stata il rifugio della sconsolata Jean Harlow e il luogo in cui il marito della Harlow, Paul Bern, nel 1932 si era sparato un colpo mortale a una tempia. Dopo due anni di preparativi, la stellina era pronta. Verso la fine del 1965, Ransohoff le affidò la sua prima parte “importante” a fianco di David Niven e di Deborah Kerr nel film 13, intitolato anche Cerimonia per un delitto. Era la storia di una setta di incappucciati che venerava il demonio ed eseguiva omicidi sacrificali. Il film si girava a Londra. Qui Jay Sebring raggiunse Sharon in un appartamento di Eaton Square, ma poco dopo fu costretto a rientrare a Los Angeles per motivi di lavoro. In occasione del film Cerimonia per un delitto, Ransohoff aveva assunto come consulente tecnico un mago inglese di nome Alex Saunders, noto come il “Re delle streghe”. Alex Saunders, alias Gran sacerdote Verbius, sostiene che, come regalo per il suo decimo compleanno, Aleister Crowley gli avesse praticato un tatuaggio. Dice anche di aver introdotto alla stregoneria un gran numero di persone in duecento covi di streghe sparsi sulle Isole britanniche, e di essere diventato intimo amico di Sharon Tate sul set di quel film a sfondo satanico. A sentir lui, prima ancora dell’ultimo giro di manovella, era riuscito a iniziare l’attrice alla stregoneria. A sostegno di questa affermazione, dice di avere certe fotografie che mostrerebbero Miss Tate in un cerchio magico consacrato. All’inizio del 1966 Martin Ransohoff affidò a Roman Polanski la regia di un film scritto dallo stesso Polanski e intitolato di volta in volta The fearless vampire killers o Dance of the vampires o Per favore, non mordermi sul collo! e cose del genere. Ransohoff, ansioso di inserire Sharon Tate nel cast, fece in modo che il regista e l’attrice si conoscessero. Diversi film di Polanski avevano già riscosso un notevole successo, soprattutto Il coltello nell’acqua, Cul-de-Sac e Repulsion. (Quest’ultima opera si distingue da tutte le altre per essere stata una delle pellicole più scabrose della storia del cinema.) Roman Polanski era nato Raymond Polanski a Parigi, da genitori polacchi, il 18 agosto 1933. Nel 1936 la sua famiglia era rientrata in Polonia, stabilendosi a Cracovia, dove lo spirito spregevole dell’hitlerismo terrorizzò i primi anni del giovane regista. Allo scoppio della guerra, sua madre portò Roman e sua sorella Annette a Varsavia. C’erano continui raid aerei e carenza di cibo. La donna era costretta a rovistare tra i rifiuti per le strade. Facevano la fila per l’acqua. In giro si vedevano animali morti e palazzi sventrati dalle bombe. Poi il padre raggiunse la famiglia a Varsavia e tornarono tutti a Cracovia. Furono costretti a trasferirsi in un ghetto murato e a portare delle fasce sul braccio con la stella azzurra di David. C’era un clima di terrore. La macchina da scrivere di suo padre fu confiscata. Un giorno Roman vide i tedeschi scortare un gruppo di donne lungo la strada. Una di queste, più anziana delle altre, faticava a stare al passo e un la freddò sul colpo. Ogni settimana venivano trasmessi film di propaganda all’aperto dove le parole Ebrei = vermi = tifo comparivano ciclicamente sullo schermo. Suo padre prese accordi con una famiglia perché prendesse con sé Roman se lui e la moglie fossero stati portati via. La madre di Roman, in parte ebrea, fu sequestrata e morì in un campo di concentramento. Roman voleva stare insieme a suo padre e, in qualche modo, riuscì a tornare nel ghetto. Fece ritorno nel bel mezzo di un raid aereo. Cercò suo padre nell’appartamento della nonna, ma lo trovò vuoto e semidistrutto. (Alla fine, riuscì a individuare suo padre.) Il ghetto di Cracovia fu sgombrato il 13 marzo del 1943. Poco prima dell’alba, suo padre portò Roman in un’area nascosta dietro la postazione di guardia delle SS e tagliò il filo spinato. Roman raggiunse la famiglia con cui si era accordato suo padre, ma trovò la porta sbarrata. Quando tornò nel ghetto, vide una fila di prigionieri che venivano condotti fuori. Suo padre era tra loro. Il piccolo Roman cercò di avvicinarsi, ma il padre, disperato, gli sibilò: “Sparisci!”. Così Roman si fermò, si girò dall’altra parte e scappò via. Può darsi che questo rifiuto gli abbia salvato la vita. Come poteva sapere, quel bimbetto in fuga dal massacro, che trent’anni dopo un uomo con una svastica sulla fronte, nel ricco stato della California, sarebbe finito in carcere per aver organizzato l’uccisione della sua futura moglie? Fin dall’infanzia il cinema era stato il suo unico rifugio. Ancora giovanissimo, divenne attore e regista, frequentando per cinque anni l’Istituto polacco di cinematografia di Lodz, dove conobbe Wojciech Frykowski. Le sue prime opere erano brevi film spettrali alla Beckett. Nel 1960 si recò in Francia per diciotto mesi, quale regista e attore di Il grasso e il magro. Nel 1961 divorziò dalla moglie, l’attrice polacca Barbara Lass. Chiese a Sanuel Beckett il permesso di fare una trasposizione cinematografica di Aspettando Godot, ma Beckett rifiutò, dicendo che l’opera era stata concepita solo per il teatro. L’amico Wojciech Frykowski investì 45.000 zloti nel suo cortometraggio successivo, I mammiferi. In seguito Polanski realizzò il film che doveva renderlo famoso in Occidente: Il coltello nell’acqua. Nel 1962 Il coltello nell’acqua vinse il premio della critica come miglior film al Festival di Venezia. Nel 1964, sbarcato in America, fu candidato all’Oscar come miglior film straniero. Nel 1963 Polanski andò in Olanda a girare un episodio del film Le più belle truffe del mondo. Sempre in quell’anno contribuì a scrivere la sceneggiatura di Ti piacciono le donne? in cui si narra di una “società di cannibali” parigina che ama cucinare e servire in tavola stupende fanciulle. Oh, wow! (In dissolvenza, sentiamo già la colonna sonora elettronica di Rosemary’s Baby.) Agli inizi degli anni sessanta, Roman Polanski collaborò con Girard Brach e scrisse le sceneggiature di tre pellicole: Repulsion, Per favore, non mordermi sul collo! e Cul-de-Sac. Il produttore Gene Gutowski, grande ammiratore di Coltello nell’acqua, chiamò Polanski in Inghilterra, affidandogli nel 1965 il suo primo film in lingua inglese, Repulsion. Repulsion è la vicenda di una bella manicure, Catherine Deneuve, che soffre di violente e orribili allucinazioni, e che finisce per massacrare orrendamente due conoscenti. Repulsion, horribile dictu, ebbe un gran successo e Polanski poté procurarsi i finanziamenti per girare Cul-de-Sac, un storia di misteri e omicidi in un castello in riva al mare. Polanski si guadagnò la fama di artista meticoloso e preciso. Il successo dei suoi film cruenti e la sua innegabile abilità tecnica spinsero Martin Ransohoff a firmare il contratto di produzione per la Mgm del soggetto di Per favore, non mordermi sul collo!. In questo film, Sharon Tate avrebbe recitato nella parte di un vampiro. La leggenda vuole che, la sera in cui si conobbero, Roman e Sharon si trovassero soli in un appartamento. Polanski si scusò e lasciò la camera dove si trovavano. Dopo qualche minuto si avvicinò di soppiatto alle spalle dell’ignara Tate indossando una maschera di Frankenstein. Lo scherzo provocò nella giovane una crisi isterica di terrore. Per favore, non mordermi sul collo! è una commedia che narra di un docente universitario e del suo maggiordomo (impersonato da Roman Polanski) che si trasferiscono in Transilvania per soggiornare a scopo di studio in un castello frequentato dai vampiri. A Sharon Tate era affidata la parte di Sara, figlia di un locandiere, che viene trascinata nel castello, zanne nel collo, dal capo vampiro. Quindi lei stessa si trasforma in vampiro… e potete immaginare il resto. Sul set di Per favore, non mordermi sul collo!, Sharon posò per una serie di fotografie promozionali in cui sfoggiava degli aguzzi e scintillanti incisivi da vampiro. Nell’aprile del 1966 Jay Sebring confidò ad alcuni amici di essere stato accalappiato da Roman Polanski, che poi gli avrebbe soffiato la bella Sharon Tate. Partito per Londra in primavera, Jay fece ritorno in America quella stessa estate, comunicando che tra lui e la Tate tutto era finito. In quel periodo le dichiarazioni pubbliche dell’attrice a proposito della rottura con Jay Sebring sembrano quasi un atto di autoaccusa. “Prima di incontrare Roman credevo di essere innamorata di Jay. Tutto filava liscio come l’olio, ma la verità è che non andavo bene per Jay. Non sono organizzata, sono troppo superficiale: Jay ha bisogno di una moglie e io, a ventitré anni, non sono pronta per la vita coniugale. Devo ancora imparare a vivere e Roman sta cercando di insegnarmelo.” Sharon tornò dall’Inghilterra nel 1966 per recitare una parte in Piano, piano non t’agitare, accanto a Tony Curtis e Claudia Cardinale. In questa fase della sua carriera, il padre, il tenente colonnello Paul Tate, si trovava in Vietnam a coronare una carriera nei servizi segreti militari. Nel numero del marzo 1967 di “Playboy” apparve un servizio fotografico intitolato Tate Gallery, in cui si vedeva Sharon a seno nudo fotografata da Roman Polanski. Nel ’67 Sharon Tate si distinse nella parte di Jennifer nel film La valle delle bambole, storia di una stellina del cinema che si uccideva davanti alle telecamere. A un certo punto Martin Ransohoff, il produttore di The Beverly Hillbillies, ebbe un diverbio con Polanski a proposito di Per piacere… non mordermi sul collo! che, prima di essere lanciato negli Stati Uniti, era stato abbondantemente tagliato dallo stesso produttore. La manomissione della pellicola indusse Polanski a chiedere di togliere il suo nome dai titoli di testa. Inoltre Ransohoff acquistò i diritti di Cul-de-Sac per gli Stati Uniti e, anche in questo caso, lavorò di forbici con grande indignazione del regista. Subito dopo Sharon Tate ruppe ogni rapporto con Ransohoff, riscattando a quanto pare il contratto settennale con una penale di 175.000 dollari. Grazie ai continui trionfi, Polanski poté diventare il primo cineasta di un cosiddetto paese di oltrecortina a girare un film a Hollywood. Grande Roman!

11. ROSEMARY’S BABY La direzione della Paramount offrì a Polanski l’opportunità di dirigere e scrivere la sceneggiatura di Rosemary’s Baby, soggetto tratto dall’omonimo romanzo di Ira Levin. Rosemary’s Baby, saga dello sciovinismo satanico, racconta la vicenda di alcuni grandi adoratori di Satana che riescono a indurre il demonio a mettere incinta una vittima innocente, impersonata nel film da Mia Farrow. Polanski volò a Hollywood, restò sveglio tutta la notte a leggersi le bozze del libro e alla fine accettò la proposta della Paramount. Il contratto di produzione fu assegnato a William Castle, un veterano del cinema. Poiché lo studio voleva affidare la parte della protagonista a Mia Farrow, Polanski dovette ripassare in moviola l’intera serie televisiva di Peyton Place, il grande successo della Farrow, prima di dare il suo consenso all’assegnazione del ruolo. Secondo le cronache, i Polanski e Mia Farrow sarebbero diventati in seguito grandi amici. Il calendario di lavorazione di Rosemary’s Baby prevedeva all’incirca cinquantasei giorni di riprese. Dieci giorni furono dedicati alle scene girate a New York, negli eleganti appartamenti del Dakota Building, al limitare di Central Park. Durante le riprese il Dakota venne trasformato in un covo di Satana. Il montaggio e il doppiaggio vennero invece eseguiti a Los Angeles nella seconda metà del 1967. A causa dell’ormai noto perfezionismo di Polanski, il film sforò il programma di alcuni giorni, cosa che causò qualche problema coniugale alla sua protagonista. Frank Sinatra, all’età di cinquant’anni, aveva sposato una ventunenne Mia Farrow a Las Vegas il 19 luglio del 1966. Ora, poco più di un anno dopo, Sinatra chiamò la produzione di Rosemary’s Baby e disse che voleva le riprese ultimate entro il 14 novembre. Sua moglie doveva infatti recitare nel suo lungometraggio Inchiesta pericolosa, che Frank voleva cominciare assolutamente entro il giorno del Ringraziamento del ’67. Sinatra avvertì la Farrow che, se non avesse lasciato il set di Rosemary’s Baby, avrebbe chiesto il divorzio. Robert Evans, allora a capo della Paramount Pictures, disse al cantante che le riprese sarebbero durate almeno fino al gennaio 1968. Oltre a essere un ottimo cantante, Sinatra era anche un tipo molto aggressivo, e secondo alcuni fin troppo dittatoriale nella sua piccola fetta di sistema solare. In un libro di alcuni anni dopo, Robert Evans ha ricordato che, dopo aver girato alcune riprese con Mia Farrow, le aveva fatto capire che aveva buone possibilità di vincere un Academy Award. La Farrow rimase sul set. Sinatra la lasciò, e così un’altra celebre love story da prima pagina finì nel nulla. In quel periodo Polanski acquistò una cinepresa di ultima generazione che gli permetteva di analizzare le riprese eseguite direttamente sul set. In un’intervista, fu chiesto a Mia Farrow se Polanski avesse fatto delle prove per Rosemary’s Baby. “Abbiamo studiato un po’ il posizionamento di campo. Poi ci siamo stufati e abbiamo cominciato a girare, perché Roman aveva quest’apparecchiatura da collegare alla tv, così ci vedevamo tutti direttamente sullo schermo, ed era buffo. Io, John Cassavetes e Roman ci divertivamo a fare questi stupidi spot pubblicitari. Era davvero buffo.” Già, buffo. Forse fu così che ebbe inizio la nota attitudine di Polanski a collezionare filmati strani, spassosi e pure erotici. Nel corso di questi mesi e anni, Jay Sebring avrebbe sempre mantenuto rapporti amichevoli con i Polanski. Alcuni amici comuni sostengono che Sebring fosse ancora innamorato di Sharon. Durante le riprese di Rosemary’s Baby, un gruppo di amici di Polanski organizzò un party in casa di Sebring, sull’Easton Drive. Pare che si trattasse di una finta messa nera, in cui gli ospiti dovevano indossare delle lunghe vesti bianche. Un giornalista inglese che si trovava tra gli invitati si lasciò bendare, quindi lo stesso Jay, anche lui in una veste bianca, gli disse di scegliere (sempre per burla, si spera) tra due antichi calici, l’uno contenente vino, l’altro veleno per topi. Tra i “consulenti” ingaggiati per Rosemary’s Baby c’era il satanista di San Francisco Anton La Vey, che nel film recitava la parte del diavolo. Corre voce però che Polanski, realizzando la pellicola, si fosse attirato le ire dei veri appassionati di messe nere. Al termine delle riprese il cast donò al regista una rivoltella Colt calibro 45 elegantemente incisa, forse in segno di scherzoso scongiuro contro le lamentele dei seguaci di Satana. Rosemary’s Baby è stato definito il più imponente manifesto propagandistico del satanismo che sia mai stato escogitato. E nella Los Angeles di fine anni sessanta c’era più di una signorina invasata che sosteneva di aver dato alla luce dei figli del diavolo. Quanto alla star, Mia Farrow, solo poche settimane dopo aver messo al mondo il bambino diabolico di Rosemary’s Baby, e dopo la rottura con Frank, il 16 febbraio 1968 partì per un ritiro di meditazione trascendentale di tre mesi insieme a un guru di nome Maharishi Mahesh Yogi. La destinazione era Rishikesh, nell’India del Nord, vicino al Gange, che in inverno inoltrato era sufficientemente pulito per immergersi nelle sue acque. Si trattava di una località di ritiro molto famosa a quell’epoca, che annoverava tra i suoi ospiti i Beatles con le loro mogli e amici, così come il cantante folk Donovan, Mike Love dei Beach Boys, il musicista jazz Paul Horn, la sorella di Mia e suo fratello John, e una trentina d’altri. Ma il malcontento non tardò a farsi sentire. Il Maharishi chiese ai Beatles di versare dal 15 al 25 per cento dei loro ricavi annui sul suo conto corrente svizzero. E a quanto pare il santone aveva allungato le mani su una californiana in ritiro nell’ashram, toccandole le parti intime durante certe sessioni private di consapevolezza cosmica per poi, nonostante le proteste, spingersi fino in fondo. Alla fine Lennon annunciò al guru la sua decisione di andarsene. Quando l’uomo gli chiese il motivo, John Lennon rispose: “Sei tu il santone, dovresti saperlo…”. La brutta esperienza col Maharishi avrebbe spinto Lennon a scrivere, alcuni mesi dopo, la canzone Sexy Sadie, inclusa nel doppio White Album. Manson e compagnia bella avrebbero pensato subito che fosse un riferimento indiretto a Susan Atkins per via del suo soprannome di “Sexy Sadie”. Quanto a Manson, è un peccato che non avesse preso parte a quel viaggio spirituale sul Gange. Forse le atmosfere dell’India del Nord avrebbero placato la sua psiche in subbuglio. O forse anche lui, come Lennon, avrebbe fiutato qualcosa di strano e disonesto nell’attività di quel guru.

12. VITA CONIUGALE DI SHARON E ROMAN, 1968 Il 20 gennaio 1968, ultimata la lavorazione di Rosemary’s Baby, Sharon Marie Tate e Roman Polanski si sposarono a Londra. Lui era vestito secondo quello che la stampa definì “un raffinato stile edoardiano”, lei indossava un miniabito bianco. Andarono ad abitare nella villetta di Roman, una casa circondata da prati e giardini nei pressi di Belgrave Square. La prima mondiale del film si tenne a Londra e fu salutata immediatamente come un grandissimo successo cinematografico. Mentre completava Rosemary’s Baby, Polanski aveva già cominciato a fare dei provini per un altro progetto. Come scrisse in seguito lo stesso regista, lui e il suo socio della Cadre Productions, Gene Gutowski, avevano stretto degli “accordi preliminari” per due lungometraggi, uno dei quali riguardava il mondo dello sci ed era intitolato Gli spericolati. Così, mentre Rosemary’s Baby era quasi ultimato, Polanski dedicava le sue energie a questo nuovo progetto. “Ci lavoravo un sacco, scrivendo un copione con Jimmy Salter e provando apposite imbracature da ripresa da montare sugli sci.” Polanski avrebbe voluto girare il film sulle principali piste da sci europee, ma la Paramount insisté perché si facesse negli Stati Uniti. Fu così che Polanski perse il progetto, che sarebbe stato ripescato da un altro regista e da un attore protagonista di nome Robert Redford. Polanski e la moglie tornarono a Los Angeles, ma dovettero lasciare la villa di Ocean Front che avevano preso in affitto e che era stata utilizzata mentre Polanski ultimava Rosemary’s Baby. La coppia si trasferì quindi in un appartamento al quarto piano del magnifico Chateau Marmont Hotel, sul Sunset Boulevard, presso la curva dove torreggiava la celebre insegna di Hollywood. Girava voce che Rosemary’s Baby sarebbe diventato un grande successo, e Polanski era l’uomo del momento, assediato continuamente da ammiratori e leccapiedi. I Polanski facevano parte di una vivace e liberale cerchia di attori, attrici e imprenditori all’apice del loro successo hollywoodiano. Era gente sempre in movimento da un aeroporto all’altro, sempre in procinto di scendere da un jet o saltare su un altro, ma sempre impegnata in qualche lavoro o nuovo progetto. Grazie alla sua fama di regista di film satanici, vampireschi, violenti e misteriosi, Polanski riceveva un sacco di proposte, bozze e copioni dalla sanguinaria cricca di estimatori di E.A. Poe. Non si discostò da questo filone nemmeno quando cominciò a scrivere un copione sulla vita di Paganini insieme allo scrittore italiano Ennio de Concini. Inoltre gli fu presentato uno scrittore inglese, Ivan Moffat, che aveva una certa idea per un film basato sulla Spedizione Donner. E così Polanski si mise al lavoro sui questi due nuovi progetti. La Spedizione Donner era composta da ottantasette pionieri che nel 1846 erano partiti dall’ per raggiungere la California aprendosi una pista attraverso l’inospitale Utah orientale. Rimasti bloccati dalla neve, un gruppetto di diciassette di loro si era staccato dalla comitiva e aveva deciso di proseguire per cercare di portare aiuti dalla California. I rimanenti settanta avevano patito la fame e fatto ricorso al cannibalismo per sopravvivere. Era una storia perfetta per Polanski. Quanto a Niccolò Paganini (1782-1840), era considerato il più grande violinista nella storia dell’Occidente. Era un giocatore d’azzardo compulsivo, e a volte dava in pegno il suo Stradivari per ripagare i debiti. Perché doveva interessare a Polanski? Be’, forse perché la musica di Paganini era talmente complessa e difficile da eseguire, che all’epoca erano in molti a pensare che il compositore avesse stretto un patto col diavolo. Si era intanto all’inizio di quell’anno burrascoso conosciuto come il Sessantotto. Era un’epoca di grandi esperimenti con le droghe psichedeliche. Sia Sharon che Roman dichiararono alla stampa di aver provato l’Lsd. Polanski disse di esserne rimasto disgustato, mentre Sharon, pur mostrando una certa esitazione a ripetere l’esperienza, affermò: “Mi ha aperto le porte del mondo”. Nel maggio del ’68, Roman Polanski fu invitato a Cannes come giurato per il Festival del cinema. Lui e Sharon raggiunsero Saint-Tropez da Parigi a bordo della Ferrari rossa del regista. In Francia erano i giorni gloriosi dei moti studenteschi che, con l’appoggio di agricoltori e sindacati, per poco non provocarono la caduta del governo di Charles de Gaulle. Polanski era contrario ad annullare il Festival, ma diversi registi famosi vollero mostrarsi solidali con quell’eccezionale fronte di studenti-lavoratori che stava portando a uno sciopero generale in tutta la Francia, e alla fine si dovette rinunciare al concorso cinematografico. Poco dopo, Roman e Sharon tornarono a Los Angeles dove, a giugno, presero in affitto una casa al numero 1600 di Summit Ridge Drive, sulle colline di Hollywood. La casa apparteneva alla giovane attrice Patty Duke, che Sharon aveva conosciuto durante le riprese di La valle delle bambole. I Polanski assunsero una domestica di nome Winifred Chapman, che avrebbe lavorato per loro sia a Summit Ridge che, in seguito, a Cielo Drive. Sarebbe toccato a lei scoprire la tragedia. Secondo quanto riportato da Robert Blair Kaiser nel libro sull’assassinio di Robert Kennedy, il 5 giugno 1968 Roman, Sharon e alcuni amici cenarono insieme a Robert Kennedy in una villa sulla spiaggia di Malibu. Dopo cena il senatore Kennedy tornò all’Ambassador Hotel, dove venne ucciso. Il 5 giugno fu anche la data della prima di Rosemary’s Baby sulla West Coast. “Pregate per il bimbo di Rosemary” recitavano gli annunci pubblicitari sui giornali. A Los Angeles il successo fu tale che il cinema in cui si proiettava il film dovette prolungare il periodo di programmazione. Gli incassi lordi toccarono cifre tra i 10 e i 20 milioni di dollari. Il National Catholic Office for Motion Pictures, però, stroncò Rosemary’s Baby con una “C”. La sceneggiatura di Polanski fu candidata a un Academy Award. Mia Farrow ricevette un premio come migliore interprete femminile al festival di Rio de Janeiro. Ruth Gordon vinse un Oscar come migliore interprete non protagonista. Stando all’autobiografia di Polanski, l’instancabile capacità creativa del regista fu ostacolata da certi gravi problemi fiscali in cui era incorsa la Paramount Pictures. (La compagnia aveva una lunga carriera alle spalle, che risaliva alla sua fondazione nel 1918 da parte di Adolph Zukor, Samuel Goldwyn, Cecil B. DeMille e Jesse Lasky.) In quel periodo la Paramount aveva finanziato una serie di fiaschi e la direzione, sull’East Coast, aveva cominciato a dar fondo alle risorse e a tagliare i progetti. Così Roman Polanski si ritrovò con un sacco di tempo a disposizione. Nell’estate del 1968 Sharon Tate, Dean Martin ed Elke Sommer recitarono insieme nel film La Fabbrica del Rock. Sharon Tate doveva avere la parte di una lottatrice di kung fu, e il famoso attore Bruce Lee fu incaricato di farle da istruttore. Nella sua autobiografia, Roman Polanski avrebbe ricordato come lui e Sharon, nella nuova casa di Summit Ridge, avessero “allestito una zona di addestramento nel vialetto di Patty Duke, dove Bruce Lee insegnò loro – tra le altre cose – il suo celebre calcio laterale”. Per festeggiare il loro ingresso nella nuova casa, i Polanski tennero una festa di inaugurazione, durante la quale, secondo la testimonianza di un’amica di Sharon Tate, si verificò uno strano episodio che vide coinvolti lo stesso Roman Polanski e alcuni cani rabbiosi incontrati più a valle. Al momento di firmare il contratto d’affitto, i Polanski avevano accettato come clausola di prendersi cura del cane pastore di Patty Duke. Questo cane aveva l’abitudine di scappare di casa ogni volta che poteva. Proprio la sera della festa, l’animale corse giù per la collina, dirigendosi verso la vecchia villa di John Barrymore, in Summit Ridge Drive 1301. Polanski (secondo un noto fotografo e amico di Sharon Tate che ho intervistato io stesso) andò a cercare il cane, ma in prossimità forse della casa di Barrymore si imbatté in un branco di pastori tedeschi rabbiosi che appartenevano a una setta di occultisti inglesi venuti in America ad annunciare la fine del mondo. Per sottrarsi alla canizza dei semi-lupi, Polanski dovette rinchiudersi in un garage, dal quale poté uscire solo una volta che i cani si furono allontanati.

13. SOGNI DI GLORIA Manson, che in carcere aveva ricevuto lezioni di chitarra slide dal famoso gangster Alvin Karpis, nutriva sogni di gloria. Sapeva eseguire una melodia e cantare modificando la voce secondo lo stile pop. Sognava stadi affollati di fan urlanti? Forse, ma più probabilmente si sarebbe accontentato, almeno all’inizio, di qualche data nel vivace circuito dei club folk-rock del ’67-’68. Parte del fascino che esercitava sulle giovani seguaci stava nel suo desiderio di far arrivare la sua musica alle masse. E così, una parte della sua psiche mutevole voleva contratti discografici, distribuzione di massa, accordi col mondo del cinema e rapporti con grandi produttori e intrallazzatori. Allo stesso tempo, Manson ce la metteva tutta per fallire, come si addiceva a uno delle povere regioni collinari del West Virginia settentrionale che aveva imparato tutto quel che sapeva in carcere. Pochissimi – in realtà quasi nessuno – negli anni seguenti avrebbero ammesso di aver avuto a che fare con Manson e la sua Famiglia durante l’epoca del flower power, della musica folk e acid rock, delle comuni e dell’“amore libero”. Eppure lui c’era, soprattutto tra la fine del 1967 e la primavera del 1969: un anno e mezzo in cui bazzicò posti, fece tentativi, cantò le sue canzoni e cercò in qualche modo di realizzare i suoi sogni di gloria. La fama segue la fama, e così quando Manson ebbe occasione di conoscere il batterista di uno dei gruppi rock più famosi del mondo, poté conoscere anche altre rockstar dell’epoca. Come ogni mondo, sembra molto più organizzato, magico ed efficiente dall’esterno che dall’interno, e Manson, con la sua capacità di captare le imperfezioni, seppe sfruttare le debolezze e le indecisioni interne ai Beach Boys, un gruppo che in quel periodo faticava a restare sulla cresta dell’onda, mentre schiere di ragazzotti nervosi prendevano d’assalto le frequenze radio. Ad ogni modo, il 1967 e il 1968 furono due anni eccezionali per la musica, soprattutto per i generi conosciuti come folk rock e rock psichedelico. Fu un’epoca in cui la musica elettronica americana e inglese sfiorò livelli mai visti di creazione artistica. Surf’s Up di Brian Wilson, per esempio, fu giudicata una delle migliori canzoni del secolo dal compositore Leonard Bernstein. La questione è complessa, ma pare che per alcuni mesi Manson e la sua Famiglia si siano ritrovati a un passo da quel mondo. Era anche un’epoca frenetica in cui i gruppi nascevano, assaporavano un attimo di gloria e poi si scioglievano, e i membri formavano altri gruppi. Manson riuscì perfino a mettere piede in quella zona barricata e protetta di Los Angeles chiamata Bel Air, dove viveva gente come il generale di estrema destra dell’Air Force in pensione, Curtis LeMay, e il celebre inventore Jack Ryan insieme a sua moglie Zsa Zsa Gabor. Alcune famosissime rockstar avevano deciso di trasferirsi a Bel Air, occupando le ville di ex personalità del mondo del cinema o, in un caso, di un famoso scrittore. Brian Wilson vi si era stabilito insieme alla famiglia in Bellagio Road, nella casa che prima era appartenuta all’inventore di Tarzan, Edgar Rice Burroughs. A casa di Wilson c’era uno studio di registrazione dove i Beach Boys incisero un album nel ’68, e una piscina in cui, stando alla testimonianza di Candice Bergen, “stavano cercando di portare dei delfini”. Avere uno studio di registrazione in casa poteva risparmiarti gli ingenti costi degli studi esterni. C’erano gruppi, anche con dei grandi successi alle spalle, che non intascavano nessuna royalty coi loro dischi perché non riuscivano mai a rientrare nelle spese di registrazione. Quindi per gente come Brian Wilson, o , avere un proprio studio domestico rappresentava una mossa economica oltre che artistica. John Phillips e sua moglie Michelle, dei Mamas & Papas, avevano acquistato nel 1967 una casa in stile Tudor in Bel Air Road 783, un tempo di proprietà dell’attrice-cantante Jeanette MacDonald e di suo marito Gene Raymond. Zsa Zsa Gabor viveva nella stessa via. I Mamas & Papas avevano sfornato sette singoli di successo l’uno dopo l’altro. Anche John si costruì un suo studio di registrazione domestico. Terry Melcher frequentava la stessa cerchia di amici di Brian Wilson e sua moglie, così come di Michelle e John Phillips. Melcher era stato direttore artistico del Monterey Pop Festival del 1967, da cui era stato tratto un documentario che testimoniava l’enorme impatto della nuova musica e in particolare di un nuovo genio della chitarra che andava sotto il nome di Jimi Hendrix. Phillips e Melcher avevano in mente di aprire una loro casa di produzione. Nella sua autobiografia, Michelle Phillips ha ricordato un incontro fra John Phillips, l’imprenditore discografico Lou Adler e Terry Melcher al numero 783 di Bel Air Road, “in vista della creazione di una nuova società chiamata Map, Melcher-Adler-Phillips”. Pare si trattasse di una specie di progetto di produzione. Nel frattempo, la scarsità di canzoni stava minacciando le entrate di denaro. Essere una rockstar è un po’ come stare sul ciglio di un precipizio. Non scrivere canzoni, non riuscire a esibirsi bene dal vivo, non sfornare hit di successo, nemmeno in un solo album – possono indurre lo spietato Destino del Rock a spingere la star giù dal precipizio. Che precipizio? Quello che finisce sulle orride rocce delle Mancate Vendite. Ma ci sono anche altre rocce, per esempio quelle della Carenza di Brani. Michelle Phillips ha ricordato che i Mamas & Papas, dopo i loro sette singoli di successo, si trovavano precipitati sui bassifondi della Carenza di Brani. “Non avevamo più materiale,” si legge nella sua autobiografia. E mentre i Beatles, Mia Farrow, Mike Love, ecc. si trovavano dal Maharishi nella primavera del ’68, i Mamas & Papas registrarono il loro quarto e ultimo album nella villa di Bel Air di John Phillips, dopodiché si sciolsero. La Brothers Records, la nuova etichetta dei Beach Boys presso la Capitol Records, aveva come presupposto che ogni membro dei Beach Boys potesse scoprire nuovi talenti e produrli. Fu così che Dennis cominciò a portare Manson all’ufficio dei Beach Boys in North Ivar Avenue, a Los Angeles, e a fargli conoscere un po’ di gente. Anche i Beach Boys stavano attraversando un periodaccio in cui non riuscivano più a sfornare pezzi di successo, cosa che negli anni seguenti avrebbe generato molte ipotesi. Qualunque fosse il motivo, non avevano più sottomano brani del calibro di Sloop John B o di Good Vibrations. Quindi, è comprensibile come anche un piccolo menestrello come Charles Manson avesse occasione di finire sull’album di un gruppo afflitto da Carenza di Brani. Nell’estate del ’68 Manson incise le sue canzoni presso lo studio di registrazione in casa del leader dei Beach Boys, Brian Wilson, fratello di Dennis Wilson e produttore discografico del gruppo. Ci si era accordati per registrare di sera. A quanto pare, Manson si portò appresso una mezza dozzina di ragazze alle sessioni, per un totale di circa due o tre serate e sei o otto canzoni. Alla moglie di Brian, Marilyn, non piacquero Manson e le sue femmes fatales. Temeva che trasmettessero delle malattie ai loro bambini, e quando sloggiarono da casa sua fece un abbondante uso di Lysol. Fu in questo periodo che Manson cominciò a mostrarsi a Hollywood per il pazzo criminale che era. Una volta, come ricorda Gregg Jakobson, tirò fuori un coltello, lo avvicinò alla gola di Wilson e disse: “Che faresti se ti uccidessi?”. Pare che Wilson si fosse limitato a dare un’alzata di spalle dicendo: “Avanti, fallo!” e che Manson avesse abbassato la lama. Il mago dell’elettronica che aveva allestito l’attrezzatissimo studio di registrazione dei Beach Boys in casa di Wilson era un certo Stephen Despar. Il suo nome comparve sotto la voce “produttore” sull’album 20/20 dei Beach Boys, registrato nell’estate-autunno del 1968. Fu Despar a occuparsi delle registrazioni di Manson, e anche lui ebbe modo di assistere al folle comportamento di Manson coi coltelli. Dopo un paio di giorni di registrazioni, Manson tirò fuori l’arma e cominciò ad agitarla da una parte all’altra mentre parlava. Despar chiamò il manager dei Beach Boys e chiese di annullare le sessioni future. Una delle amichette di Dennis Wilson, una ragazza giovanissima chiamata Croxey, disse che Manson una volta era venuto alla villa di Will Rogers, in Sunset Boulevard 14400, per cercare Dennis, e che ci aveva provato con lei. Vedendosi rifiutato, aveva tirato fuori un coltello dicendo: “Sai che potrei farti a pezzettini?”. La ragazza era corsa fuori casa e verso la Pacific Coast Highway, ma poi era tornata con l’intenzione di affrontarlo. Manson allora aveva abbassato il coltello e se l’era svignata. Solo più tardi la ragazza avrebbe capito che ci era mancato poco che le tre Parche – Cloto, Lachesi e Atropo – tagliassero il filo della sua vita. Sarebbero dovuti passare ancora degli anni prima che l’espressione “problema di gestione dell’ansia” entrasse nel gergo degli psicologi. Come succede a tanti gruppi rock, anche i Beach Boys litigavano spesso. Manson sostiene di aver composto una canzone filosofica per aiutarli a superare lo scisma in corso. La composizione, ci crediate o no, era intitolata Cease to Exist e fu inserita nell’album a cui il gruppo stava lavorando. In seguito sarebbe diventato un canto di guerra della Famiglia. Era infatti quello che Gypsy stava cantando quando incontrai per la prima volta la Famiglia, nel 1970, al momento di cominciare questo libro. Nell’estate del 1968, Tex era forse l’unico della Famiglia a frequentare regolarmente la casa di Terry Melcher. Con lui si vedeva ogni tanto l’ex reverendo Dean Morehouse, assiduo frequentatore dei festini di Melcher e noto a tutti come vecchio porco. Manson ha dichiarato di non essersi recato in Cielo Drive più di quattro o cinque volte, usando la Jaguar dello stesso Melcher. Rudi Altobelli, il padrone della casa di Cielo Drive 1050, all’epoca affittata a Terry Melcher, era un impresario di successo. Al processo per strage contro Manson disse che Terry e Gregg Jakobson parlavano sempre di Manson e della sua filosofia. I due, secondo la deposizione, erano ansiosi di presentargli Charlie, forse nella speranza che Altobelli potesse aiutarlo a sfondare. Quell’estate Altobelli conobbe Manson a una festa a casa di Wilson, sul Sunset Boulevard. In quell’occasione poté anche ascoltare la registrazione di alcune canzoni di Manson. “Mi parlarono più volte di Manson. Volevano che Dean venisse a parlare con me.” Altobelli disse chiaro e tondo a Gregg, Dennis e Terry di non avere nessuna intenzione di farsi indottrinare da Manson e dal suo gruppo. “Continuavano a parlarmi della sua filosofia e del suo modo di vivere, e di quanto fosse fico.” Altobelli non cadde nel tranello e non accettò di diventare l’impresario di Manson e della sua cricca. Ci provarono anche con John Phillips, dei Mamas & Papas. Ecco la sua deposizione: “Terry Melcher, Dennis Wilson e tutti quelli che stavano con Manson a casa di Dennis Wilson continuavano a invitarmi, insistevano perché andassi da loro, una cosa da non credersi. Ogni volta rabbrividivo. Dicevo: ‘No, un’altra volta’”. Altri sostengono che Manson e alcuni membri della Famiglia in realtà abbiano conosciuto Phillips, impresa del resto non molto ardua, e un testimone ha dichiarato di aver visto per un certo periodo, nell’autunno del ’68, il torpedone di Manson parcheggiato lungo Bel Air Road, davanti alla casa di Phillips. Manson ebbe occasione (almeno in teoria) di entrare in contatto coi Beatles quando, il 12 maggio 1968, John Lennon e Paul McCartney vennero a New York ad annunciare ufficialmente la nascita della Apple Records. John e Paul parteciparono al Tonight Show sotto gli occhi di venticinque milioni di persone, ed esortarono creativi, musicisti e cantautori a mandare le loro proposte. In America si sparse la voce, e la Apple Records fu sommersa da una vera e propria valanga di registrazioni, idee, proposte, richieste e lettere di ogni tipo. Dopo album magnifici come Rubber Soul e Sgt. Pepper, per non parlare dei loro film, i Beatles erano diventati ricchissimi. È comprensibile quindi come l’Apple Records esercitasse un richiamo pazzesco. Quell’estate Terry Melcher divenne produttore associato della Apple, un fatto che avrebbe avuto non poche conseguenze carmiche negli intricati mesi a venire. Secondo diverse voci, Manson una volta avrebbe fatto un provino per i Monkees, un gruppo nato per la tv che ebbe una sua celebre serie televisiva tra il 1967 e il 1968. La cosa è impossibile, perché quando, nel 1965, fu pubblicato sul “Daily Variety” l’annuncio per i provini, Manson si trovava ancora nel penitenziario di Terminal Island. Però è almeno cronologicamente possibile che Manson abbia fatto un provino per un film del 1968 scritto da Jack Nicholson e intitolato Sogni perduti, che tra gli attori aveva gli stessi Monkees. Può darsi che Manson avesse sentito parlare del progetto mentre oziava nel reame rock di Wilson-Melcher-Bel Air, e che avesse deciso di provarci. Il regista di Sogni perduti era un certo Bob Rafelson, che era anche l’ideatore e il produttore (insieme a Bert Schneider) della serie originale televisiva sui Monkees. Si trattava di un lungometraggio ironico e leggero, evidentemente ispirato ai vari film dei Beatles. Sogni perduti uscì il 6 novembre 1968, con un cast in cui comparivano Frank Zappa, Victor Mature, Teri Garr, i Monkees, Annette Funicello e altri – ma nessun Manson. Pare che un altro presunto flirt di Manson con il mondo cinematografico sia stata la proposta per un film, o forse addirittura un copione, che Manson avrebbe mandato alla Solar Productions di Steve McQueen. Più o meno nello stesso periodo in cui il Mago bazzicava la casa di Dennis Wilson e registrava le sue canzoni a Bel Air, McQueen stava ultimando il suo fortunatissimo Bullitt, ambientato a San Francisco e prodotto dalla stessa compagnia di McQueen. Intanto si era sparsa voce che la Solar era in cerca di nuovi progetti. La Solar Productions era per i film quello che la Apple Records era per i cantanti e i gruppi sconosciuti. I copioni arrivavano a fiumi. Secondo una biografia di Steve McQueen, Manson avrebbe proposto un progetto, fors’anche un copione, alla Solar Productions di Studio City, California. Ma la proposta era stata rispedita al mittente con la dicitura: “Non siamo interessati”. Il copione di Manson si fece comunque notare quel tanto che bastava perché McQueen sapesse della sua esistenza. Quando ho cominciato a fare ricerche sulla Famiglia Manson, nell’estate del 1970, il fratello di un mio assistente stava lavorando a un film sulle corse automobilistiche di LeMans, in Francia, in cui recitava McQueen. Una sera dell’agosto 1970, lui e McQueen stavano bevendo una birra, quando saltò fuori l’argomento Sharon Tate. McQueen si adombrò subito: “Se dovesse mai capitarmi sottomano,” disse, “giuro che l’ammazzo, quel Charlie Manson. E se non sarò io, pagherò qualcuno per farlo”. Le cose cominciavano a farsi strane per Manson sul Sunset Boulevard. La Famiglia, come le tremende locuste che tanto avrebbero ammirato nella narrazione biblica, aveva fatto piazza pulita. Il favoloso guardaroba da rockstar di Dennis Wilson era diventato di proprietà comune e Manson arrivò al punto di regalare in giro i suoi dischi d’oro, che vengono consegnati ai gruppi che superano il milione di dollari d’incasso. Uno dei dischi d’oro finì nelle mani della proprietaria del Barker Ranch, nella Death Valley. Un altro andò a un fratello di George Spahn. Forse fu questa la goccia che fece traboccare il vaso. Verso il 1° agosto, Dennis Wilson e Gregg Jakobson levarono le tende e traslocarono in una casa vicino alla spiaggia lungo la Pacific Coast Highway, lasciando a disposizione la villa del Sunset a chiunque volesse passarvi una notte, almeno secondo la dichiarazione di Jakobson. Poco dopo, l’impresario di Dennis Wilson riuscì a sbattere fuori Manson e la sua ciurma dalla proprietà del Sunset Boulevard. Per tutto l’inverno continuò ad arrivare nella villa abbandonata gente che si riprendeva effetti personali dimenticati. L’abitazione fu messa in vendita e i nuovi proprietari assunsero un guardiano armato per tutelare nottetempo la villa e il terreno circostante contro l’intrusione dei vagabondi. Anche se Manson e la sua Famiglia erano stati cacciati dalla casa di Dennis Wilson, i rapporti col batterista dei Beach Boys sarebbero continuati almeno fino alla primavera del ’69. L’11 settembre 1968 i Beach Boys registrarono un brano di Manson intitolato Cease to Exist. Senonché accadde qualcosa alla parola “exist”: qualcuno decise di aggiungere una “r”. Ma chi? Come per molti dei rapporti di Manson con i personaggi legati alla cultura di massa, la faccenda è poco chiara. Forse qualcuno a livello dirigenziale aveva capito che il messaggio “smetti di esistere”, cantato melodiosamente da uno dei più grandi gruppi rock americani, poteva indurre i fan adolescenti ad atti di autolesionismo, se non peggio. E così le parole di Manson furono cambiate, e il suo nome fu tolto dai crediti della canzone. La seconda in realtà fu una scelta ingiustificata, dato che nell’autunno del ’68, quando l’album 20/20 si apprestava a uscire, Manson non era ancora un germe del male di fama internazionale. Le parole chiave della canzone, “Cease to Exist”, furono cambiate da Wilson in “Cease to Resist”, come se il brano parlasse in realtà di sottomissione sessuale. Anche il titolo fu cambiato, e diventò Never Learn Not to Love. La canzone venne prodotta in stile Beach Boys, con le tipiche e accattivanti melodie di sottofondo. Ma Manson non la prese bene: non poteva sopportare che qualcuno alterasse le sue parole. Nessuna delle due versioni era Strawberry Fields Forever. Nel demo che ho sentito io stesso, Manson canta in modo gradevole e semiprofessionale, con una voce rauca in stile blues. Il gruppo cambiò altre parole oltre a “Cease to Exist”. Pur essendo a corto di nuovi brani, i Beach Boys dovevano aver intravisto dei problemi in una canzone a larga distribuzione che calcava un po’ troppo la mano sull’“amicizia” tra fratello e sorella. Quando il pezzo uscì come b-side di un singolo dei Beach Boys, non schizzò esattamente in cima alle classifiche, come del resto nessun altro singolo del gruppo in quella fase della sua carriera. Manson era convinto che sarebbe stato un successone se non avessero cambiato le parole. Come compenso, pare che ricevette dei soldi e una moto BSA, che regalò a Little Paul, alias Paul Watkins. Nel frattempo, il 18 luglio 1968, il giorno dopo l’uscita mondiale di Yellow Submarine, i Beatles registrarono presso gli studi di Abbey Road tre versioni di un pezzo di Paul McCartney il cui titolo si ispirava a uno scivolo a spirale di un parco giochi inglese. Il brano era improvvisato, senza aggiunta di sovraincisioni. L’ultima registrazione di quella sera durava ventisette minuti e aveva perfino una parte in cui il geniale quartetto abbozzava alcuni accordi della canzone Blue Moon prima di ritornare al brano. Che brano era? Un brano che avrebbe avuto un forte impatto su Manson nei mesi seguenti: Helter Skelter. I Beatles si resero conto che la versione originale di Helter Skelter, di ventisette minuti, era troppo lunga per il formato da 33 giri e 1/3, e così il 9 settembre, in una sessione di registrazione sfrenata, produssero ventuno versioni da tre-quattro minuti della canzone, optando poi per la ventunesima. Il giorno seguente aggiunsero le sovraincisioni, con Lennon al sassofono, McCartney che sfoggiava un eccellente cantato vibrante e incisivo, e Ringo che gridava “I’ve got blisters on my fingers!” per chiudere il pezzo. Era una canzone del tutto innocente, ma c’era qualcosa nell’impetuosa e implacabile parte strumentale che ricordava l’incedere universale di insetti che divoravano il tempo. Questo brano strumentale potente e quasi d’avanguardia, col suo rimando al marciare incontrollato delle Locuste dell’Apocalisse, avrebbe ispirato suggestioni bibliche nella mente di un cantante disperato di nostra conoscenza.

14. LO SPAHN MOVIE RANCH (FINE ESTATE-INIZIO AUTUNNO 1968) Verso la prima settimana di agosto, rimasto senza dimora, Charlie si presentò allo Spahn Ranch e chiese a quelli che abitavano nella zona sul retro se la Famiglia poteva occupare le vicine baracche dei fuorilegge. Le cosiddette “baracche dei fuorilegge” erano dei piccoli prefabbricati che facevano pensare alle unità di un motel degli anni venti devastate da un tornado, e si trovavano appunto vicino alla zona posteriore del ranch. Si trattava chiaramente di residuati dell’epoca in cui al ranch si giravano i western del primo periodo. Nonostante l’opposizione di alcuni residenti del ranch, a Charlie e ai suoi fu consentito di fermarsi “per qualche giorno”, come ricorda un testimone. Su questa decisione pesò indubbiamente la prospettiva che quel gruppo di nomadi avrebbe potuto mettere a disposizione braccia per recuperare cibo, per la cucina, il riordino e la manutenzione del ranch, nonché un certo numero di carte di credito. John, il precedente inquilino della baracca sul retro, si era trasferito altrove, ma la Famiglia conosceva quelli che avevano preso il suo posto. Questa volta il soggiorno di Manson e dei suoi sarebbe durato due mesi e mezzo. Dopo un paio di giorni nelle baracche dei fuorilegge, Charlie, spalleggiato da alcune delle sue ragazze, andò dal vecchio George Spahn, ormai mezzo cieco, e lo convinse a lasciar stabilire per un po’ la Famiglia nel corpo principale del ranch, direttamente sul set western. I primi giorni li trascorsero nell’edificio in legno della prigione. L’accordo che Manson era riuscito a concludere prevedeva che la Famiglia avrebbe aiutato a cucinare, legare il fieno, noleggiare i cavalli e a tener pulito il fienile, il recinto e i terreni circostanti. Per meglio circuire il vecchio proprietario, Manson organizzò una specie di squadretta geriatrica composta da ragazzine seminude. I cavalli da accudire erano una sessantina, quasi tutti destinati al mattatoio di Jello, e venivano noleggiati per 3 dollari all’ora ai turisti del weekend. Un flagello che gravava perennemente sullo Spahn Ranch, come una specie di tormento psichico, era rappresentato dalle migliaia e migliaia di tafani che si abbattevano su coloro che, seminudi, facevano l’amore tra l’erba. Lo Spahn Movie Ranch, come veniva comunemente chiamato, si trovava al numero 12000 di Santa Susana Pass Road, che si allungava verso ovest dalla sezione settentrionale del Topanga Boulevard, a nordovest della San Fernando Valley. George Spahn l’aveva acquistato nel 1948 dal proprietario di allora, il divo del muto William S. Hart. La vista di Spahn si era andata indebolendo con gli anni, e il vecchio aveva convertito il ranch a centro di equitazione per studenti delle scuole superiori, ecc. Da tempo gli era socia nella gestione degli affari una certa Ruby Pearl la quale, secondo i pettegolezzi della Famiglia, era stata a suo tempo domatrice e ballerina di circo. La donna, quasi cinquantenne, si faceva vedere in giro per il ranch con indosso un cappellone da cowboy e in tenuta da amazzone. I suoi rapporti con la Famiglia, che voleva conservarsi ad ogni costo l’appoggio del vecchio George Spahn, non erano dei migliori. Ruby aveva una grande influenza sul socio e teneva continuamente d’occhio la Famiglia durante la giornata, ma di notte se ne tornava a casa sua. Niente di meglio per Manson e compagni, poiché era di notte che la vita cominciava per loro. Si diceva che Ruby Pearl avesse un magnifico libro degli autografi contenente le firme dei personaggi dello spettacolo che avevano visitato lo Spahn Ranch nel corso degli anni. Manson incaricò una delle sue ragazze di occuparsi del signor Spahn. La prescelta fu Lynn Fromme, che sette anni dopo avrebbe cercato di sparare al presidente Ford con una calibro 45. Il signor Spahn apprezzava molto l’intimità fisica che aveva con le ragazze. Un membro della Famiglia, Paul Watkins, ha affermato che Lynn Fromme aveva preso il soprannome di “Squeaky” per i versetti e gli squittii che emetteva quando George Spahn le passava una mano sulla gamba e le pizzicava l’interno coscia. Durante il processo per omicidio del 1970, un avvocato della difesa disse che Squeaky avrebbe ammesso di aver avuto rapporti orali con Spahn. Lo Spahn Ranch si trovava a metà strada tra il deserto e la città, per essere precisi a trentacinque minuti di macchina dal soggiorno di Sharon Tate e a quindici minuti di dune buggy dalla zona desertica del Devil Canyon, tra le Santa Susana Mountains. Si trovava inoltre in un’area di intenso traffico di droga. A quell’epoca, infatti, le comuni della parte nordoccidentale della San Fernando Valley erano i magazzini del commercio di stupefacenti di Los Angeles, allo stesso modo in cui ai margini di ogni grande città ci sono centri di smistamento per merci e generi alimentari all’ingrosso. Lo Spahn Ranch era situato sulla sponda di un torrente che, scendendo da nordovest, si snoda lungo la Santa Susana Pass Road e passa proprio alle spalle del ranch. Lungo il torrente si incontrano una serie di cascatelle dove i membri dell’Helter Skelter avevano l’abitudine di bagnarsi. Lo Spahn Ranch si trova a ridosso di alcune alture rocciose che si inerpicano ripide da nord a sud, come previsto dalla classica ambientazione dei western di serie B degli anni cinquanta. Il set, dove venivano girati effettivamente i film, si trovava a due passi dalla Santa Susana Pass Road. Era una disordinata congerie di edifici disposti in fila, lungo i quali correva il classico marciapiede rialzato in tavole di legno, debitamente coperto da tende di proiezione piuttosto malandate, sorrette da malfermi pilastri di legno. C’era un finto bar detto Rock City Cafè, una prigione con celle dotate di sbarre di legno, il Long Horn Saloon con tanto di specchiere, lungo bancone e jukebox, una rimessa piena di vecchi carri a quattro ruote, un’impresa di pompe funebri e molti altri edifici, tra cui la casetta di George Spahn, che sorgeva perpendicolarmente alla destra della fila di costruzioni. Il tutto ricordava vagamente una cittadina del Kansas dell’epoca dei pionieri. Uno sterrato polveroso congiungeva il finto villaggio western con la moderna realtà della Santa Susana Pass Road. Ogni tanto s’incontravano, abbandonati al suolo o appoggiati al fienile o al recinto, vecchi fondali cinematografici verniciati. Era il paese della fantasia. Ma i tempi d’oro dei western erano finiti, e per sopravvivere il ranch doveva affidarsi alle fortune del noleggio cavalli. Nei weekend di vacanza l’incasso poteva sfiorare i 1000 dollari, a cui si aggiungeva a volte il denaro ricavato da qualche cineamatore di passaggio, dalle troupe per le réclame televisive, dai registi di film di fantascienza o dell’orrore. Di fronte allo Spahn Ranch, al di là della statale del Santa Susana Pass, si estendeva una zona sassosa e collinosa chiamata “Giardino degli Dèi”, mentre in un’ampia spaccatura del terreno che si perdeva in mezzo alle Santa Susana Mountains si snodavano il Devil Canyon e lo Ybarra Canyon, destinati a fungere da rifugio per la Famiglia. In tutta la zona sorgevano altri piccoli ranch. Nel Giardino degli Dèi c’era un altro finto villaggio western, il Wonderland Movie Ranch, i cui proprietari, dopo l’arresto di Manson per strage, avrebbero messo un giaguaro in gabbia nel cortile anteriore per difendersi dalla Famiglia. Allo Spahn Ranch la paga della manodopera consisteva in alloggio, pasti giornalieri e in un pacchetto di sigarette al giorno. Alcuni inservienti, come Randy Starr, facevano anche le comparse nei film girati sul posto. Randy Starr, specializzato in impiccagioni, cadute da cavallo e altri funambolismi, si credeva un artista di prima qualità. Altri lavoravano nei rodei. Altri ancora, come Larry Cravens, erano alla ricerca di qualche particina come stuntman. Lo sfortunato Shorty Shea era appunto una di queste aspiranti comparse dello Spahn Ranch, la cui carriera di attore sarebbe stata troncata sul nascere quando venne ammazzato. Gli stuntman si servivano dello Spahn Ranch come recapito professionale. Allo Spahn Ranch la Famiglia fece conoscenza di un manovale sedicenne di Simi, in California, tale Steve Grogan alias Clem alias Scramblehead, il cui aspetto poteva definirsi con una sola parola: “Dannato”. Un giorno, mentre Dennis Wilson stava suonando la batteria e improvvisando con Manson e altri al ranch, Clem prese la Mercedes rossa di Wilson e andò a farsi un giro. A un certo punto, mentre cercava di prendere una curva a tutta velocità, andò a schiantarsi contro un capannone nelle vicinanze. Dopo aver sferragliato su e giù per il Santa Susana Pass, Clem abbandonò il bolide non assicurato da 21.000 dollari tra i macigni. Ecco come ricorda l’accaduto uno dei compagni di Manson, Bill Vance: “Dennis stava suonando la batteria insieme a un gruppo che avevano messo insieme al ranch. Clem tornò, entrò e disse a Dennis: ‘Ehi, ti ho sfasciato la macchina’. Dennis continò a suonare, ma dopo una quindicina di minuti si rese conto dell’accaduto e disse: ‘Dov’è finito? Dov’è il tizio che ha detto di avermi sfasciato la macchina?’”. Andarono a cercare la carcassa, ma sembrava scomparsa nel nulla e non fu mai trovata. Un altro aneddoto misterioso del gruppo di Manson. Clem, che viveva con i genitori nelle vicinanze, divenne uno dei fedelissimi di Charlie. Sapeva imitare quasi alla perfezione il suo stile alla chitarra, e perfino la voce. Clem sarebbe in seguito stato condannato all’ergastolo per aver aiutato a massacrare e uccidere lo stuntman dello Spahn Ranch di nome Shorty Sea. Tra gli altri inservienti del ranch, Manson conobbe il muscoloso panamense Juan Flynn, che lavorava al ranch dal 1967, anno in cui aveva fatto ritorno dal Vietnam. Per le sue atroci esperienze di guerra, Flynn avrebbe esercitato un profondo effetto sulla psiche di Manson. Sotto l’influsso dell’Lsd, infatti, Juan Flynn riviveva i bagni di sangue e lo strazio della guerra, descrivendo con una perizia sconvolgente i tre giorni che aveva trascorso intrappolato in una trincea sotto i cadaveri straziati dei compagni. Allo Spahn Ranch una giornata-tipo si svolgeva più o meno così: all’alba George Spahn si alzava e suonava il campanaccio della colazione, quindi gli stallieri hippie si svegliavano, davano da mangiare ai cavalli e li portavano al pascolo. Poi ingollavano in fretta la colazione e sellavano gli animali in vista di eventuali clienti. Alcuni di loro si appostavano nella zona anteriore per esser pronti a guidare i cavallerizzi lungo i vari percorsi escursionistici. Prima del calar del sole dovevano pulire i box delle stalle e preparare biada e fieno per le bestie. Si racconta che alcuni membri della Famiglia, evidentemente secondo il programma di esperienza globale, si crogiolavano in mezzo allo sterco dei cavalli. Camminavano a piedi nudi mentre pulivano le stalle decrepite del ranch e, pala alla mano, si godevano la pienezza del liquame equino tra le dita dei piedi. Ben presto, dopo i pochi giorni trascorsi nella prigione del finto villaggio western, la Famiglia si allargò nel Long Horn Saloon e nell’attiguo Rock City Café, un finto ristorante. Questi edifici si affacciavano sullo stesso marciapiede di legno che costeggiava tutte le costruzioni del teatro di posa. Charlie allestì un “ufficio” in un piccolo stabile all’estremità orientale del set western, una catapecchia che, nel successivo periodo dell’Helter Skelter, sarebbe diventata l’armeria della Famiglia. Come un mosaico psichedelico, la famiglia cominciò a disperdersi per i boschi, i ruscelli e le costruzioni fantasmagoriche dello Spahn Ranch, costruendo ripari provvisori e piantando tende nelle radure più remote della boscaglia. Manson passava da un gruppetto all’altro, sovrintendendo ai lavori. “Tutte le mie donne sono streghe e io sono il Demonio,” disse a uno del ranch. A quanto pare la Famiglia forgiò una serie di emblemi occultisti con cui decorare il ranch. Un testimone ricorda, per esempio, di aver visto in un burrone vicino alla zona sul retro il cranio di un bue morto, conficcato su un palo e dipinto di simboli misteriosi. La stessa tenda di Manson era costellata da una serie di dipinti: bulbi oculari, simboli solari e scarabocchi cupi e terrificanti. Mentre il personale del ranch era composto da carnivori, la Famiglia era perlopiù vegetariana e in genere consumava i pasti in comune, disposta in un ampio cerchio in cui i giovani facevano passare tazze e scodelle in senso antiorario. Dopo pranzo veniva distribuita la droga e Manson tirava fuori la chitarra e cominciava a cantare, seguito dagli altri. Il cibo che si consumava al ranch era composto da avanzi e scarti alimentari. La preparazione dei pasti rientrava nell’“affitto” che la Famiglia era tenuta a pagare al ranch. I membri della cricca eseguivano missioni quotidiane di recupero-rifiuti spingendosi a ovest, nella Simi Valley, a est, nella zona di Chatsworth, e in pratica in tutta la San Fernando Valley. Nei supermercati della vallata si butta via frutta e verdura che nei bassifondi di New York verrebbe venduta come merce di prima qualità. Persino l’auto che sarebbe servita per compiere le stragi, la Ford gialla del ’57 di Johnnie Swartz, sarebbe stata privata dei sedili posteriori per poter ricevere più facilmente le cassette colme di prodotti alimentari scartati dai supermercati della zona. A diversi chilometri dallo Spahn Ranch, presso la piattaforma di carico del supermercato Market Basket di Chatsworth, erano sempre a disposizione due grossi recipienti a ruote, color salmone, di 2x2x3 metri, destinati agli scarti. Ogni giorno il grosso bidone di sinistra era zeppo di cassette di legno o di cartone, sedano, lattuga, meloni che erano stati messi in esposizione, peperoni leggermente deformi, pannocchie di granoturco, pomodori acerbi, cespi d’insalata un po’ malandati. Quello di destra conteneva tranci di grasso dalle bistecche messe in vendita, cassette di pesche passate e blocchi tremolanti di sugna appena irrancidita. Quasi sempre il giudizio sulla commestibilità della roba scartata era affidato soltanto all’olfatto. E le fanciulle ispirate dall’Anima non esitavano a entrare a grufolare nei grossi bidoni pieni di scarti animali e vegetali per separare i generi buoni da quelli inutilizzabili. Le ragazze ricorrevano ai loro poteri stregoneschi persino nella programmazione del quotidiano recupero-rifiuti, prendendo visione delle “immagini mentali” che rivelavano quale supermercato avrebbe dato quel giorno la migliore scelta per il menu. In altri termini, scandagliavano il vuoto con i loro raggi magici per individuare il punto in cui si trovavano i bidoni più colmi di scarti commestibili. Quindi si mettevano in moto. Allo Spahn Ranch c’era sempre qualche film in corso di lavorazione. Sul luogo doveva aleggiare ancora il karma delle réclame televisive delle sigarette Marlboro, girate in parte nel ranch. Così, la Famiglia giocava. Che ci crediate o no, la Famiglia Manson giocava ai cowboy e agli indiani, al lancio dei coltelli messicani, alla guerra tra pastori e mandriani, con Charlie Manson che impersonava il malvagio messicano che violentava la figlioletta dell’agente di cambio di San Diego. La regola era sempre quella: siate quello che non volete essere, aprite la mente. Questi giochi facevano parte del cosiddetto Magical Mystery Tour e venivano eseguiti sotto forma di giochi psicodrammatici intesi a sciogliere ogni vincolo inibitore. Il gioco di base consisteva nello scoprire la propria personalità autentica in mezzo alla vasta gamma di caratteri psicofisici tramandati mediante la reincarnazione oppure imposti dai genitori o dalla società. Qualunque fosse la parte assunta nei vari giochi di ruolo dall’individuo, egli ricercava sempre la sua autentica personalità archetipica. Charlie lo chiamava “calarsi nella parte”. Paul Watkins, per esempio, si “calò” a meraviglia nella parte dell’apostolo Paolo e in quella di un’entità definita “il figlio di papà”. Col passare degli anni Manson ha assunto un atteggiamento più cinico a proposito dei suoi rapporti coi discepoli dello Spahn Ranch, fino ad affermare che soleva “giocare un po’ con quelle ragazzine laggiù al ranch”, per poi farle salire tutte a bordo di un vecchio furgone della tenuta e scaricarle sporche e sfatte com’erano nella dimora di Dennis Wilson. Una volta là si faceva una doccia, prendeva in prestito uno dei raffinati abiti dello stesso Wilson, arraffava un pugno di dollari e poi fuori, a farsi quattro risate nei locali di lusso. Ecco cosa disse di Manson nell’estate 1968 una certa Roberta, che di lì a poco avrebbe abbandonato il gruppo per votarsi al più sicuro buddismo zen: “Sotto molti aspetti era un tipo splendido e ci amava moltissimo”. Non smettevano un attimo di abbracciarsi, di baciarsi, di fare l’amore. Gli amplessi non avevano fine. E a un certo punto, dalla remota e apparentemente sicura Fantasilandia dello Spahn Ranch, la voce cominciò a spargersi e la gente ad accorrere a frotte. Come per ogni altro movimento giovanile, il grosso delle reclute arrivava in estate. Charlie, contrariato da tutta quella pubblicità indesiderata, prese l’abitudine di ricorrere ai fiammiferi per vedere chi doveva andarsene. Ecco come Roberta ricorda questo particolare: “Charlie era seccato per tutta quella gente che si presentava al ranch, allora faceva questa cosa […] per vedere quanti di noi potevano restare: prendeva dei fiammiferi dalla scatola e li gettava in aria a caso […] e la direzione […]” segnalava evidentemente chi doveva restare e chi doveva andarsene. “Significava che un certo numero di ragazzi potevano restare e un certo numero di ragazze dovevano filarsela.” Charlie cominciò anche a imitare le espressioni facciali di chi non gli andava a genio, o peggio, a fargli il verso. Ci pensavano poi le ragazze, con il loro temutissimo asso nella manica, a liquidare definitivamente i seccatori. E poi c’era per Charlie il problema dei gorilla, ovvero dei tizi che bazzicavano il ranch solo in cerca di sesso. Alcune delle ragazze, come Ella e Sadie, si divertivano a passeggiare per il Sunset Stripe e a portarsi a casa quelli che Charlie, appunto, chiamava “gorilla” – individui che non c’entravano niente. Fu una di loro (Manson ha sempre accusato Sadie) che nell’estate del ’68 si portò al ranch Juan Flynn, il violento reduce dal Vietnam. Flynn era già conciato così male da indurre Charlie a chiamare un medico. (Due anni dopo, durante il processo per strage, un detective della Omicidi disse che Flynn si era beccato una malattia canina perché Manson aveva spinto almeno una delle sue seguaci a fare sesso orale con un cane, come parte dei loro esercizi di “liberazione”.) I libri vennero messi al bando da Manson, il profeta semianalfabeta dell’Apocalisse, comunque incurante di quanto è detto nella Rivelazione, 1:3: “Beato colui che legge!”. Tale preconcetto non gli impedì di costringere le ragazze a leggere al loro villoso pascià libri come Siddhartha e, naturalmente, la Bibbia. Disapprovava anche quella che definiva “musica da schiavi negri”, proibendo per esempio che si ascoltassero i dischi di Jimi Hendrix. Ciò non gli impedì di cercare di imitare Nat King Cole in occasione di certe sue incisioni e di prendere in prestito accordi e riff dalla musica blues. Charlie sorprendeva tutti per la sua bravura alla batteria. Secondo Richard Kaplan, “era un batterista mediocre” dal punto di vista tecnico, e non aveva molto orecchio. “Dammi una nota, amico” si sentiva spesso durante le pause per accordare gli strumenti, in occasione di quelle “improvvisazioni” della Famiglia. “Sei un vero maestro alla batteria,” diceva Charlie a Richard Kaplan. Sulla lista dei “no” non figuravano solo i libri e Jimi Hendrix, ma pure gli occhiali. Charlie non credeva che Spahn fosse cieco. Era una delle sue fissazioni: era convinto che George, essendosi lasciato condizionare nel corso degli anni dalla sua ex moglie, avesse progressivamente perso la vista per una sorta di sortilegio coniugale. Charlie contestava l’autenticità di ogni forma di affezione oculare. Secondo Danny De Carlo, Mary Brunner possedeva qualcosa come quattordici paia d’occhiali, che Manson le impose di gettar via: niente occhiali.

Manson alla chitarra.

Charlie sapeva stupire anche per poteri che aveva sugli animali: afferrava i serpenti del deserto e li inchiodava con lo sguardo, sopportava che i tafani dello Spahn Ranch gli ronzassero intorno alla bocca e gli sciamassero sulle labbra. Le ragazze erano convinte che sapesse rendere inoffensivi animali e insetti. In seguito, infatti, si sarebbero viste frequentemente queste fanciulle andarsene in giro con nugoli di tafani sulla bocca – tafani che di fatto avrebbero potuto pungerle in ogni momento. A un certo punto Charlie riuscì a farsi cedere, per la sua Famiglia sempre più numerosa, l’isolata “baracca sul retro” del ranch. Il fabbricato principale era una catapecchia fatiscente, costituita in pratica solo da uno stanzone con camino di pietra e una grande finestra a pannelli di vetro, che misurava circa un metro e mezzo per tre. La baracca riceveva la corrente elettrica da un attacco clandestino all’elettrodotto della contea. Quanto all’acqua, c’era un rigagnolo derivato dal torrente mediante una diga rudimentale, in cui pescava una piccola pompa che portava l’acqua fino a una cisterna installata sul fianco della collina. Dalla cisterna partiva un tubo verde di gomma che portava acqua al bagno, mentre un altro attraversava il “soggiorno” per finire in cucina. Come ogni altra località alle porte del deserto, anche lo Spahn Ranch era un luogo di raccolta di vecchi resti arrugginiti di automobili, autocarri e apparecchiature industriali. Quel posto che Charlie si riproponeva di invadere con la sua orda di cannaioli era insomma un ammasso di catapecchie tristi e annerite, polverose e orripilanti, con tetti di lamiera e carta catramata, pali arrugginiti e vetri rotti. Ma almeno il luogo era isolato e, cosa ancora più importante, apparteneva a un vecchio cieco, debole e mezzo rincoglionito, assediato da ogni parte da parenti e amici, alcuni dei quali fermamente intenzionati a fregarlo e tutti prontissimi a elargirgli consigli gratuiti. Alla fine Manson uscì allo scoperto e prese in pugno la situazione. Un biker di Topanga che qualcuno della Famiglia aveva conosciuto al Galaxy Club passò a Richard Kaplan qualcosa che doveva essere Lsd, ma che si rivelò un semplice tranquillante per cavalle in calore, quello che nel mondo della droga è conosciuto con il nome di “vapore”. Si tratta di una droga cattiva, che ottenebra le facoltà mentali. Kaplan, inebetito dal vapore, si precipitò nell’ufficio di Manson in fondo al villaggio western e trovò Charlie tutto intento ad ascoltare, con le focose ragazzine, l’incisione su nastro di uno che cantava (indovinate chi). Charlie prese a braccetto Kaplan, lo portò a fare un giretto per l’accampamento e di punto in bianco gli chiese di consegnargli l’intero fabbricato sul retro, poiché la Famiglia ne aveva un grande bisogno. Gli offrì in cambio la sua tenda stregonesca dipinta. E così, ottenebrato dalla droga, Kaplan cedette quella parte del ranch. Quella notte stessa, in occasione del trasloco dal finto villaggio western all’area sul retro, la Famiglia si abbandonò a un’orgia celebrativa. Ancora oggi Richard Kaplan è in possesso della tenda delle streghe, una reliquia di prim’ordine dell’ossessione mansoniana. Come si conviene a dei bravi bibliofobi, i membri della Famiglia diedero alle fiamme tutti i suoi libri, compresi quelli di magia. Kaplan ricorda ancora, non senza una certa emozione, il momento in cui vide avvampare nel camino della baracca sul retro i suoi libri di alchimia e il nietzschiano Al di là del bene e del male. Intanto, a nord, le Streghe di Mendocino venivano finalmente rimesse in libertà dopo cinquantacinque giorni di galera. Era il 16 agosto 1968. Charlie mandò Brenda e Squeaky a Ukiah per riportare i resti della pattuglia al quartier generale dello Spahn Ranch, mentre il resto della Famiglia si dava un gran daffare a rimettere in sesto la catapecchia affinché le reduci dal carcere avessero un luogo dove prepararsi ai loro prossimi impegni con la magistratura, diverse settimane dopo, a inizio settembre. Nell’attraversare San Jose, il torpedone nero su cui Brenda riportava a casa le ragazze si guastò improvvisamente, lasciandole tutte appiedate. Il 20 agosto o giù di lì Bob Beausoleil, che percorreva con le sue ragazze la California settentrionale, si recò in visita allo Spahn Ranch. Pare che ci fosse qualcosa di irregolare nel libretto di circolazione del furgone che George Spahn gli aveva dato tempo prima. Fu in quell’occasione che Beausoleil venne a sapere che il torpedone nero era in panne a San Jose. Nel giugno del 1968, una diciottenne di nome viveva insieme ad alcune amiche al Kalen Ranch, nei pressi di Victorville e della Apple Valley, in California. Un giorno si presentò al ranch Bob Beausoleil, che mandò in estasi il ninfeo con un’esibizione di lancio di coltelli. Bob convinse Leslie Van Houten a seguirlo con una Volkswagen azzurra del ’62 scroccata al padrino della compagna di camera di Leslie. Poco tempo dopo, alla Volkswagen furono staccati i contatti e l’auto venne abbandonata a San Francisco. Per tutta l’estate un gruppo composto da Gail, dalla bella Gypsy (incarnazione della Magna Mater), Leslie, Beausoleil e due tizie di San Francisco non meglio identificate, circolò, come si è detto, nella California settentrionale a bordo del vecchio Dodge nero che era appartenuto a George Spahn. Nata nello Iowa, a Cedar Rapids, Leslie Van Houten era stata tesoriera della sua classe di matricole presso la Monrovia High School, in California. Apparteneva all’organizzazione assistenziale delle Figlie di Giobbe e partecipava al coro della chiesa locale. Nutrita di profonde aspirazioni mistiche, s’inserì nel gruppo della Self Realization Fellowship, abbandonò gli studi, incontrò Beausoleil e poi, un po’ per volta, si lasciò invischiare in quei rapporti di sottomissione e alterazione psichica che l’avrebbero coinvolta nelle stragi. Beausoleil, avendo saputo allo Spahn Ranch dell’incidente capitato al torpedone nero, partì in soccorso delle mansoniane rimaste a piedi. Con le sue ragazze si recò a San Jose e rimorchiò l’autobus guasto in un frutteto. Pare che poi Beausoleil abbia procurato alla Famiglia un nuovo torpedone che fu immediatamente verniciato di nero come l’altro. Quando Beausoleil e le sue ragazze giunsero sul luogo dove la Famiglia era in panne, a San Jose, il giovane, a causa di alcune scenate di gelosia che scoppiarono tra le sue femmine, fu costretto a sganciare dalla banda Gypsy e Leslie. “Circa l’un per cento delle ragazze con cui facevo l’amore accettava le nostre idee ed entrava a far parte del gruppo,” avrebbe dichiarato in seguito. Ma allora Gypsy e Leslie, con Little Paul, abbandonarono Beausoleil e da San Jose raggiunsero direttamente lo Spahn Ranch. Mentre il grosso della Famiglia si trovava ancora a San Jose, una maestrina di scuola di nome Joan Wildbush, alias Juanita, fermò il suo nuovo e scintillante Dodge 1968 nei pressi di Palo Alto, e diede un passaggio a quattro autostoppisti: T.J. Walleman alias T.J. il Terribile, Tex Watson, Ella Sinder e Clem alias Scramblehead (o almeno, questa è stata la versione da lei resa alla polizia). Juanita, che si godeva in quel periodo le vacanze estive, ricordava per l’aspetto una delle focose fanciulle dipinte da Rubens. In quell’occasione si lasciò convincere dai quattro autostoppisti a dirottare sullo Spahn Ranch per conoscere Charlie. Secondo il verbale della polizia, Juanita era alta poco più di un metro e sessanta, con capelli biondi, occhi azzurri, 46 chili di peso e data di nascita 21/1/44. Durante una delle solite sedute amorose che duravano dall’alba al tramonto, Manson riuscì evidentemente ad accaparrarsi anche l’anima di Juanita, perché da quel giorno la maestrina divenne parte integrante della Famiglia. Ritirò 11.000 dollari da un fondo d’investimento che il padre aveva depositato in banca a suo nome (il padre era un avvocato del New Jersey) e consegnò la somma a Satana. La Famiglia era al settimo cielo. Più o meno in quel periodo Manson mise gli occhi su un grosso torpedone seminuovo, un autobus scolastico marca White o GMC del 1956, di proprietà di una certa Mitzi, del South Topanga Canyon. Manson, Kaplan e Ouish videro l’automezzo un giorno che vagavano per il canyon. Era in vendita per 600 dollari. Manson l’acquistò attingendo ai nuovi fondi procurati da Juanita. La Famiglia pitturò l’autobus di verde chiaro e cominciò ad attrezzarlo per eventuali viaggi a lunga percorrenza. Dean Morehouse ha ricordato di aver visto Tex e Mary Brunner arrivare in Cielo Drive 10050 sul nuovo torpedone verde in cerca di Terry Melcher, che però non era in casa. Un altro apporto alla psiche di Manson proveniva da una setta religiosa chiamata Fountain of the World, con sede a ovest dello Spahn Ranch, nel Box Canyon, non lontano dalla caserma dei vigili del fuoco di Santa Susana. Manson, molto colpito dal gruppo, si recò più volte a visitarlo. La Fountain of the World, setta religiosa che inneggiava alla “pace attraverso l’amore e l’altruismo”, come sanciva la scritta apposta dal gruppo sulla collina sovrastante la sua sede, aveva caratteristiche cristiano- apocalittiche e teneva adunanze pubbliche ogni sabato sera. Alla Fountain of the World aderivano diversi inservienti dello Spahn Ranch, tra cui Shorty Shea, che frequentavano le adunanze religiose e le sedute di canto comunitario del gruppo. Ogni tanto a queste riunioni partecipavano anche Manson e la Famiglia. A capo della setta c’era un tizio di colore di nome John, e a più riprese Manson tentò di scalzarlo e di mettere le mani sull’organizzazione. I membri della setta indossavano lunghe vesti e praticavano il celibato. Charlie incaricò alcune delle sue ragazze di sedurre i sacerdoti dell’ordine, ma evidentemente senza risultato. La setta era stata fondata da un santone di nome Krishna Venta, morto a suo tempo di morte violenta. Alla Famiglia piaceva un sacco quella storia tragica. Alle origini la tana del culto si trovava in una serie di grotte e caverne scavate nella montagna. Col passare del tempo era sorto un grave dissenso e a un certo punto alcuni attentatori ignoti avevano fatto bellamente saltare in aria Krishna Venta e nove seguaci con quaranta candelotti di dinamite collocati nelle catacombe. L’episodio si era verificato il 10 dicembre 1958. Da quel giorno in poi, la setta era riuscita faticosamente a tirare avanti fino al momento in cui Manson la scoprì. Pare che Manson abbia ricavato l’idea della sua cerimonia di crocifissione proprio dalla Fountain of the World. Alla sede della setta c’era un grosso masso che ricordava vagamente un enorme teschio. In cima al “teschio” era stata messa una croce lignea alla quale, come si raccontava, i fedeli della setta solevano farsi legare in occasione di certe sedute di meditazione penitenziale. Incredibile. Non lontano dallo Spahn Ranch, la Famiglia scoprì una radura appartata e circondata da una sorta di recinto naturale costituito da grossi massi. In un angolo della radura c’era una montagnola, il Colle del Martirio, il Calvario, sul quale si celebrò quello che fu certamente il primo rito di crocifissione all’aperto sotto l’influsso dell’Lsd. Charlie, nel personaggio del Cristo, venne debitamente legato (non inchiodato) a una grezza croce di legno a grandezza naturale, mentre il resto della Famiglia, suddivisa in persecutori e apostoli, imprecava o piangeva a seconda del ruolo. Una delle ragazze fu scelta per la parte della Vergine Maria, ammantata da capo a piedi e piangente sotto la croce.

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