Ed Sanders La Famiglia NUOVA EDIZIONE Traduzione di Raffaele Petrillo e Silvia Rota Sperti Titolo dell’opera originale THE FAMILY © 2002 by Ed Sanders, by arrangement with AC2 Literary Agency Traduzione dall’inglese di RAFFAELE PETRILLO E SILVIA ROTA SPERTI © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione digitale 2018 da prima edizione ne “I Narratori” marzo 2018 Ebook ISBN: 9788858831182 In copertina: elaborazione dell’Ufficio grafico Feltrinelli da © Getty Images. Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Al mio amico Paul Fitzgerald e in memoria di Phil Ochs, che conosceva quei tempi, li conosceva bene Ringraziamenti Per l’aiuto, i consigli e le informazioni che mi hanno dato per la prima versione di La Famiglia, ringrazio Tim Sandoval, Vincent Fremont, Phil Ochs, John Carpenter, Andy Wickham, Kathy Torrance, Karen Fleming, Ron Hughes, Musti, Mark Mayer, Burton Katz, Barry Farrell, Mo Ostin, Mike Ochs, Walter Chappell, Thorpe Menn del “Kansas City Star”, Bud Shrake, Warren Hinckle, William Turner, Andrei e Alice Codrescu, Herb Cohen, Layne Wooten, Roberta Reichelsheimer, Randy Reno, Eric Karlson, Richard Kaplan, Larry e Toni Larsen; Stan Atkinson, Carl George, Marty Kasindorf, Mary Neiswender, Theo Wilson, Michael McGovern e altri reporter che si sono occupati del caso. Ringrazio il personale del Tropicana Motel, Glenn Frey per l’ospitalità e per avermi fatto da palo all’aeroporto di Los Angeles, J.D. Souther, Mike Ochs, Hal Scharlatt, Charity Randall e Carl Brandt. Ringrazio il sergente Paul Whiteley e gli altri agenti di polizia che si sono occupati del caso, oltre ai seguaci della Famiglia che hanno fornito informazioni, e al disponibilissimo staff del “Los Angeles Free Press”: Art Kunkin, Judy Lewelyn, Sue Marshall, Brian Kirby, Paul e Shirley Eberle, Larry Lipton, Kitty Jay, ecc. Per la versione aggiornata del 1989, ringrazio Maury Terry, Jim Pursell, Ted Gunderson, Doris Tate, Stan Atkinson, Frank Fowles, Buck Gibbens, Paul Whiteley, William Gleason, Steven Kay, Vincent Bugliosi, Daye Shinn, Paul Fitzgerald, Aaron Stovitz, Lt. Quinn del dipartimento dello sceriffo di Los Angeles, e tutti quelli che desiderano o devono restare nell’anonimato. Ringrazio di cuore anche Larry e Toni Larsen e tutto lo staff dell’Agenzia investigativa Larry Larsen, oltre a Pat Jackson, Rebecca Daniels, Miriam Sanders e Gus Reichbach. Per la versione aggiornata del 2002 di La Famiglia, ringrazio Paul Whiteley, Charles e Milly Guenther, Larry e Toni Larsen, Teresa Nersesyan, Maury Terry, Judy Hanson, Shiv Mirabito, Anthony della Woodstock Images per il lavoro sulle fotografie, e soprattutto Miriam Sanders per avermi aiutato con le ricerche e con la revisione del manoscritto. Introduzione alla versione rivista e aggiornata Un dossier, sapete, non è mai completo; un caso non è mai davvero risolto, nemmeno dopo cent’anni, quando tutte le persone coinvolte sono morte. GRAHAM GREENE, Il terzo uomo Alla fine del 1971, poco dopo l’uscita della prima edizione di La Famiglia, stavo bevendo qualcosa al Lion’s Head di Christopher Street, un bar del Village bazzicato da scrittori e giornalisti. Il mio amico e poeta Joel Oppenheimer mi presentò un detective del dipartimento di polizia di New York a cui era piaciuto il libro. “Di sicuro lascia una serie di questioni in sospeso,” fu la prima cosa che disse dopo che ci fummo stretti la mano. Se parlassi con lo stesso detective adesso, credo che mi direbbe la stessa cosa. Per anni, dopo la pubblicazione della prima edizione di questo libro, e grazie soprattutto all’ottimo lavoro dell’investigatore privato Larry Larsen, mi sono tenuto in contatto con alcune agenzie investigative e dipartimenti di polizia che in quegli anni stavano studiando diverse sette religiose e almeno un gruppo satanico, e i loro legami col caso Manson. Dalle mie ricerche più recenti, so che ci sono agenti di polizia che tuttora stanno indagando su certi aspetti o implicazioni di questo caso che hanno ripercussioni sul presente. Il caso Manson, aprendo uno squarcio sul mondo di Hollywood, aveva tutti gli ingredienti necessari per suscitare l’interesse della nazione e del mondo intero. Aveva il rock and roll, aveva il fascino del Wild West, aveva i veri anni sessanta con la loro rivoluzione sessuale, l’amore per gli spazi aperti, la ferocia e le droghe psichedeliche. Aveva i sogni di gloria e di celebrità, aveva religioni di ogni tipo, aveva le stragi interne e le guerre, il tutto concentrato in un’enorme e vorticosa storia di sesso, droghe e crimini violenti. Più mi lasciavo coinvolgere in questo caso, più mi sentivo turbato da quello che queste persone e i gruppi a loro legati avevano fatto e stavano ancora facendo. Alcune cose che ho saputo nel corso delle mie ricerche mi hanno inorridito. Mi sono reso conto che, durante gli anni passati nella controcultura, a volte mi ero comportato male e mi ero allontanato da certi aspetti della tradizione giudaico-cristiana in cui ero cresciuto. Ma quella che avevo ora sotto gli occhi era barbarie allo stato puro, e non c’è bisogno di essere perfetti – anzi, si può essere anche molto imperfetti – per inorridire di fronte a chi pratica deliberatamente il male. Capivo che in questo caso c’erano in gioco due tipi fondamentali di barbarie: uno più nascosto, basilare, che potremmo chiamare “proto- barbarie”, e uno sovraimpresso o derivato dal primo, che potremmo chiamare “sovra-barbarie”. E una cosa che ho imparato della proto-barbarie è che, volendo, può sembrare la cosa più normale del mondo. In altre parole, la merda a volte indossa uno smoking. Mentre studiare la sovra-barbarie della Famiglia Manson era abbastanza facile, fare lo stesso con la proto-barbarie era più difficile, protetta com’era dalla segretezza, da una rigida organizzazione, dai soldi e dalle intimidazioni. La proto-barbarie può essere più ipocrita di un personaggio di un romanzo di Sinclair Lewis e più torbida di un’organizzazione di controspionaggio. E così oggi, più di trent’anni dopo, questo caso per me presenta ancora alcune questioni in sospeso, grandi e piccole, come un romanzo di Graham Greene. Ma resta comunque una storia grande e tragica, le cui ripercussioni continuano a farsi sentire. PARTE PRIMA La Famiglia: dal principio alla metà del 1969 1. SI SCONSIGLIA LA LIBERTÀ VIGILATA Il 22 luglio 1955, giorno più giorno meno, Charles Manson era alla guida di una Mercury 1951 rubata e stava andando da Bridgeport, nell’Ohio, a Los Angeles. Insieme a lui c’era sua moglie Rosalie, diciassette anni, incinta. Tutto cominciò da lì. In settembre venne arrestato e il 17 ottobre 1955 si dichiarò colpevole in tribunale. Il referto psichiatrico redatto in occasione dell’arresto precisava che per il soggetto si “sconsigliava la libertà vigilata” ma che la vita coniugale, a cui si aggiungeva l’imminente paternità, che notoriamente placa sempre i bollori dei delinquenti minorili, avrebbe potuto ricondurre Manson sulla retta via dell’American Way of Life. E così, il 7 novembre del 1955, giunse la condanna a 5 anni di libertà vigilata. Manson era già libero con la condizionale dal 18 maggio 1954 e aveva appena compiuto ventun anni. Era stato in carcere da quando ne aveva sedici e in vari istituti correttivi fin dai tredici anni. Dopo l’arresto commise l’errore di ammettere di fronte agli agenti federali che nel 1954, l’anno prima, aveva portato un’auto rubata dal distretto minerario del West Virginia fino in Florida. A causa di quest’ammissione spontanea, l’11 gennaio 1956 dovette presentarsi al commissariato federale di Los Angeles per rispondere di una denuncia presentata a Miami per violazione del Dyer Act, la legge sulla ricettazione. Assolto per aver spontaneamente ammesso il fatto, Manson si sentì però ingiungere di ripresentarsi in tribunale il 15 febbraio. Poco dopo fuggì da Los Angeles, accompagnato a quanto pare dalla moglie Rosalie ormai in avanzato stato di gravidanza. Ripresero la strada per tornare a casa, nella regione degli Appalachi. Il 29 febbraio 1956 l’Ufficio di controllo dei vigilati speciali di Los Angeles richiese al tribunale un mandato di comparizione per Manson, il quale non si era presentato al proprio agente di vigilanza. Manson venne arrestato il 14 marzo a Indianapolis, nell’Indiana, e tradotto nuovamente a Los Angeles per il processo. Nel marzo di quello stesso anno nasceva suo figlio, Charles Jr. Il 23 aprile 1956 il giudice Harry C. Westover pronunciò la sospensione della condizionale, condannando l’imputato a 3 anni di carcere federale da scontarsi nel penitenziario di Terminal Island a San Pedro, in California. Per quasi tutto il primo anno del soggiorno di Manson a Terminal Island, la moglie Rosalie gli rimase accanto, abitando a Los Angeles con il piccolo Charles Jr. e con la suocera, Kathleen. Al principio del 1957 Rosalie interruppe le visite in parlatorio e, secondo un verbale dell’Ufficio federale di vigilanza, andò a vivere con un altro uomo, circostanza che turbò enormemente il marito. Il 24 maggio 1957 Manson, che aveva cercato di evadere da Terminal Island, si beccò una denuncia per violazione del paragrafo 18, sezione 751 del Codice penale degli Stati Uniti: “Evasione dalla custodia federale dopo la condanna”. Il 27 maggio 1957 Manson si dichiarò colpevole e il 10 giugno seguente, avendo il giudice federale William Mathes pronunciato la condanna con sospensione della pena, prese 5 anni con la condizionale. Poco dopo, sua moglie intentò causa di divorzio. La citazione fu presentata a Manson il 15 luglio nel carcere di Terminal Island, a San Pedro. La sentenza definitiva di divorzio fu depositata il 30 agosto 1957. Adios, moglie. Manson rimase in carcere dal 23 aprile 1956 al 30 settembre 1958: due anni, cinque mesi e cinque giorni di cosiddetta riabilitazione. In galera il giovanotto, che pesava 56 chili, giocò in diverse squadre di basket e, a quanto pare, provò anche a tirare di boxe.
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