PIETRACATELLA

Cenni Storici Alcuni reperti litici, rinvenuti in contrada “Surienz” e conservati al museo Pigorini di Roma, dimostrano che il territorio era abitato dai cavernicoli, in grotte tufacee non lontane dai due fiumi Tappino e Fortore. In contrada “Sant Jorij”, da alcune tombe, sono venuti alla luce oggetti in bronzo: braccialetto, pendaglio e spillo. Il catello “castellum” di Pietra, sorto nel territorio degli antichissimi insediamenti di Bucca e Planola, fu fondato dalla famiglia latina Petrea o Petreia, nell’anno 323 a.C.. Al tempo dei Sanniti e della Roma repubblicana, deve avere avuto, per la sua posizione geografica, un ruolo strategico molto importante. Infatti nel 102 a.C. un discendente dei Petrea, per aver salvato il console Catolo da un accerchiamento da parte dei Cambri, ricevette dai Romani la corona di gramigna: tale premio si dava solo a coloro che rendevano servigio di somma importanza alla Repubblica nei casi più eccezionali. Più volte il territorio è stato teatro di guerre e saccheggi. La località Saccomanno ricorda qualche memorabile saccheggio: ma ad opera di chi? Furono i Romani contro gli Apuli? Fu Annibale contro i Romani? Oppure una ritorsione dei Romani contro i Sanniti che appoggiavano Annibale? E’ un ricordo delle repressioni di Silla contro le popolazioni italiche di queste zone? Di certo il toponimo ricorda un evento memorabile che ha attraversato i secoli. Di sicuro il territorio nel periodo sannitico-romano fu testimone di eventi importanti. Vi passò Annibale, visti i ritrovamenti datati di elmi, tombe e scritte fenicie. La contrada, il vallone e la fonte denominata di “Pilo” fanno pensare alla presenza di guarnigioni romane comandate da un capitano di 1° ordine. Le guerre, però, se portarono distruzione nell’area fertile più vicina al Fortore, non cancellarono il castello di Pietra che anzi venne ripopolato, come dicono gli storici romani, con l’immissione di popolazioni Liguri. Pietra venne ‘visitata’ anche dai Saraceni che la chiamarono Pietra Desterna. Nei secoli cambiano i signori ma la Morgia rimane il punto di riferimento per tutti, per le scorrerie degli Ungari, per i duchi Normanni, per tutti coloro che conquistarono l’Italia. Di sicuro si sa che i Normanni prima, i Grimaldi, dopo, hanno segnato più di altri un millennio. La famiglia Del Vasto nell’XI secolo affidò a Riccardo I Pietracatella che divenne Contea di Civitate e roccaforte del Fortore. Durante il periodo Angioino, il feudo passò alla famiglia di Sus che lo ebbe in dote. Altre famiglie si succedettero a quella di Sud e il feudo toccò in dote ora alla famiglia Giorgio, ora a quella di Buccaplanola. Nel periodo Aragonese arrivarono i Di Capua conti d’Altavilla, poi i Carafa ed infine i Grimaldi. Dopo i Ceva Grimaldi, i marchesi venderanno a Guglielmo De La Feld e quest’ultimo ai Pasquale, famiglie molto note oggi a Pietracatella. Cosa visitare

LA CHIESA DI SAN GIACOMO E LA CRIPTA DI SANTA MARIA Sulla cima della “Morgia” si erge maestoso e severo il complesso architettonico comprendente la cripta di Santa Margherita e la sovrastante chiesa di San Giacomo. Iniziato verso il secolo XII è stato completata, con apporti gotici, alla fine del secolo successivo. La primitiva chiesetta di Santa Margherita, in origine completamente affrescata, è adiacente ad un altro vano cieco in cui si trova un blocco monolitico, forse un altare primitivo. La Chiesa di San Giacomo è stata realizzata in parte sulla roccia e in parte sulla cripta di Santa Margherita. La presenza, nella parte superiore della facciata principale di una sola finestra a feritoia, con forte strombatura, con due rozzi occhioni laterali, l’accentuato verticalismo le davano il carattere di una

1 chiesa fortezza tipicamente normanna. In realtà essa era elemento integrante del possente castello poligonale che sorgeva alle sue spalle e al quale era collegata da un passaggio riservato esclusivamente ai signori feudatari.

In epoca successiva, allo spigolo destro della facciata principale della chiesa è stato aggiunto una contrafforte a bastione come elemento di consolidamento per la costruzione del campanile ed è stata aperta un’altra finestra a feritoia. Alla navata centrale formata da quattro campate diseguali, con volte a crociera, si affiancavano sul lato destro altre tre piccole campate irregolari, compresa quella sottostante il campanile. Attualmente la chiesa superiore è in nuda pietra; i capitelli sono diversi l’uno dall’altro e l’altare è situato a ridosso della facciata principale e non sul lato opposto, come di norma: sull’arcata principale dell’ingresso laterale nord sono presenti le lettere dell’alfabeto fenicio che tanto interessano gli storici.

Il Crocifisso ligneo All’interno del tempio c’è un antico crocifisso in legno di pregevole fattura considerato il più interessante e antico fra i pochi crocifissi lignei del . Multi studiosi sono concordi nel datarlo intorno al XIII secolo. La Trombetta, nel suo testo “Arte nel Molise attraverso il medioevo” lo inserisce nell’ambito della produzione romanica. Gotica della scultura lignea campana del XIII secolo. Non si conoscono notizie inerenti l’opera fino alla fine del 1600 quanto il Cardinale Orsini durante le sue sacre visite a Pietracatella, emanò decreti per la sua manutenzione.

LA CHIESA DI SANTA MARIA DI COSTANTINOPOLI Le testimonianze sulle origini del culto alla Madonna, che a Pietracatella è venerata con il titolo di Costantinopoli, passato poi, nel corso dei secoli, al più affettuoso appellativo di “Madonna della ricotta”, sono frammentarie e in alcuni casi pressoché inesistenti. Il culto della Madonna di Costantinopoli è attestato e diffuso soprattutto al sud della nostra penisola in quelle terre che un tempo facevano parte del Regno di Napoli; molti altri paesi del Molise, infatti, mostrano una particolare devozione alla Vergine. Una prima testimonianza possiamo riscontrarla tra il XIV e il XV secolo quando in località “Chiesa rotta” (nei pressi dell'attuale cimitero) vi era stata edificata una piccola cappella rurale, all'interno della quale, molto probabilmente, vi era custodita una statua lignea policroma raffigurante la Madonna. Si tratta di un'opera, risalente al 1370, raffigurante la Madonna seduta con il Bambino appoggiato in grembo in atto di benedire e con la mano sinistra tiene il globo crugigero, opera di pregevole fattura, importante esempio di scuola abruzzese, molto simile, nelle fattezze, alla Madonna di Costantinopoli presente nel Santuario di San Michele Arcangelo sul Monte Gargano. E' probabile, inoltre, che questa primitiva cappella fosse di fondazione anteriore, intorno al XI-XII secolo. Dal XIV secolo in poi non abbiamo notizie che ci informano di vicende inerenti a tale edificio, bisogna arrivare al 1606 per riscontrare un nuovo interesse. A questa data risale una campana di piccole dimensioni (presente nell'attuale cella campanaria) che reca su di un lato lo stemma della famiglia marchesale Ceva Grimaldi e dall'altro l'effige della Vergine, con il motto “Verbum caro factum est” dono di Gianfrancesco Ceva Grimaldi, che in questo stesso anno conseguì il titolo di Marchese di Pietracatella. Date le dimensioni ridotte del manufatto è facile supporre la sua collocazione in una piccola cella campanaria, come poteva essere quella di cui era dotata la cappella in questione. Questo edificio sacro mantenne la sua funzione di culto fino al 1696, come ci è dato sapere dal rendiconto della quarta visita pastorale, nel luglio dello stesso anno, del Cardinale Vincenzo Maria Orsini (eletto nel 1725 al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIII) che così decreta: “..essendosi questa chiesa lesionata nei muri a causa dei fondamenti che non sono sodi, si ordina al Vicario foraneo di profanarla col demolire l'altare...e di trasferire la statua della B. Vergine nella Chiesa di San Rocco..”. Bisogna tener presente che la statua menzionata dal

2 decreto non corrisponde a quella del 1370 ma, bensì, a quella attuale, realizzata nel 1695 da Giacomo Colombo (1663-1731), scultore napoletano di grande abilità e fama. Non siamo a conoscenza dei motivi di questa commissione; c'è da ritenere che le nuove esigenze di culto e di devozione popolare portarono nel XVII secolo ad una maggiore richiesta, in tutte le comunità, di pregevoli statue lignee provenienti per buona parte dal capoluogo partenopeo, sede dei più importanti artisti attivi al tempo. La Chiesa di San Rocco, citata nel decreto, era già esistente nel 1690 (compare nell’ “Inventario delle cappelle e delle confraternite”), ed accolse al suo interno la statua della Vergine. La Chiesa, dedicata al santo pellegrino, era ubicata al di fuori della cinta muraria del paese, nella radura antistante Porta d'Achille, una delle cinque porte che permettevano l’accesso al borgo medievale. Nel 1701 l’antica cappella della Madonna di Costantinopoli per decreto dello stesso Orsini venne, infine, abbattuta. La devozione popolare portò in poco tempo all’intitolazione, nel 1705 della Chiesa di San Rocco a Chiesa Santa Maria di Costantinopoli, consacrata, poi, il 23 luglio 1713 dal Cardinale Orsini. La nuova chiesa, come possiamo appurare dal “Libro delle conclusioni, che si fanno dalla consulta e da tutti i confratelli”, redatto per la prima volta nel 1834, venne ricostruita ex novo a causa di un crollo; si legge infatti: “il 1° gennaio 1837 si approva il progetto del muratore Agnello Rea, il quale intende riedificare la cappella crollata a quelle condizioni eque che gli saranno imposte”. Successivamente la confraternita, indebitandosi notevolmente, decise di ampliarla fino a raggiungere le dimensioni attuali. Nel libro sopra accennato, si legge: “Il 3 giugno 1855 si esamina la rimostranza del muratore Antonio Vecere, il quale ha opposto con l’istrumento del 2 settembre 1853 egli si obblighi di fare per appalto tutti i lavori di ricostruzione e abbellimento della chiesa della congregazione giusta il disegno e la perizia. Inteso l’architetto D. Angelo Palmieri, questi ha detto esser vero che i prezzi sono assai bassi e quindi di esser giusto che si accolga la domanda dell’appaltatore..... Il 5 gennaio 1856 il priore D. Anselmo Pillarella fa conoscere che il muratore A. Vecere di Sant'Elia a Pianisi, appaltatore dei lavori da farsi per la ricostruzione della chiesa si è reso inadempiente ai patti stipulati e vengono in seguito continuati dal muratore Andrea Minchillo di Pescopennataro”. Terminati i lavori, che durarono fino al 1863, la Chiesa fu consacrata dal Cardinale Camillo Siciliano di Rende il 23 maggio 1893, come riporta la targa marmorea posta sulla controfacciata, che recita:

“QUESTA CHIESA ERETTA IN ONORE DI MARIA SS. DI COSTANTINOPOLI E’ STATA CONSACRATA DALL’EMINT.MO CARDINALE CAMILLO SICILIANO DI RENDE IL 23 MAGGIO 1893”.

La facciata fu realizzata, in pietra locale, nel 1874. Il campanile, non ancora ultimato a questa data, fu completato solo nel 1939 dal muratore pietracatellese Donato Spallone. L’attuale chiesa rappresenta uno dei più importanti esempi di architettura ottocentesca della regione, sia per le dimensioni sia per l’armonia delle forme. La facciata è suddivisa in due registri; in quello inferiore vi è una coppia di lesene binate di ordine tuscanico, mentre in quello superiore, ugualmente, vi è una coppia di lesene binate di ordine ionico. Queste, tripartendo la facciata, segnano su quest’ultima la corrispondenza interna delle navate, alle quali si accede per mezzo di tre portali di cui quello centrale è di dimensioni maggiori. I finestroni sono ora arricchiti da splendide vetrate artistiche donate da uno dei priore nell’anno Santo del Giubileo 2000. La pianta, tipica delle basiliche, è suddivisa in tre navate di cui la centrale maggiore termina con abside poligonale, dove al centro vi è una nicchia che custodisce la statua della Vergine. Fiancheggiano quest’ultima altre quattro nicchie minori con statue lignee di santi: a sinistra San Luigi Gonzaga, dello scultore abruzzese Gabriele Falcucci che la realizzò nel 1876, e San Vincenzo de' Paoli, opera in cartapesta di autore e data sconosciuti; a destra San Filippo Neri e San Gaetano, entrambe di autore sconosciuto ma riconducibili ad una stessa bottega. Al centro domina la grande cupola emisferica, posta all’incrocio del transetto, al disotto della quale vi è l'altare maggiore in marmo policromo terminante con due sculture in marmo bianco di cherubini.

3 L’area presbiterale è racchiusa da una balaustra in marmo policromo realizzata nel 1899: a questa data corrisponde anche la realizzazione del pulpito. Una volta la zona dietro l’altare era rivestita da un coro ligneo. Ai lati del transetto vi sono posti, l'uno di fronte all'altro, due altari minori; quello di sinistra è dedicato a Santa Filomena, con statua lignea dello scultore napoletano Saverio Verzella datata 2 novembre 1836, e quello di destra è dedicato alla Madonna Incoronata con opera lignea di autore sconosciuto, raffigurante la Vergine di Foggia. Le navate laterali presentano quattro altari minori, due per lato. Il primo che si incontra è quello dell'ex titolare della chiesa San Rocco, con statua lignea, che, molto probabilmente, era già presente nell’antica chiesa. Subito dopo vi è quello dedicato al Santo di Padova, Antonio, con grande tela ad olio di Giuseppe Chiarolanza; infine immagine della Madonna del Rosario di Pompei. La navata laterale destra presenta un primo altare dedicato alla Santa di Siracusa, Lucia, con statua lignea datata al 1836 di autore sconosciuto, (oggi sostituita da una di recente fattura); subito dopo vi è l’altare dedicato alla Madonna del Carmine con grande tela ad olio di Giuseppe Chiarolanza; poi un quadro di Santa Rita, al disotto del quale, una volta, vi era l’entrata alla cripta. Tale ambiente è stato chiuso definitivamente con i rifacimenti del pavimento nel 1954. L’ultima parete, infine, è arricchita da un Crocefisso ligneo a dimensioni naturali donato nel luglio del 1991. Sul soppalco, addossato alla controfacciata e sostenuto da quattro colonne doriche, vi è un antico organo realizzato da Severino Gennaro di Napoli, risalente al Settecento. Il campanile, con i suoi ben 25 metri di altezza, domina buona parte del paese. La cella campanaria presenta cinque campane: due dell’orologio comunale di piccole dimensioni, di cui una del 1500, l’antica campana del 1606, la campana che un tempo pendeva dall’arco centrale, del peso di 160 kg, ed infine la campana realizzata nell’occasione del 1° centenario di consacrazione della chiesa, del peso di 320 kg. Inoltre, sempre a ricordo del centenario nel 1993, è stata posta una targa sulla controfacciata che recita:

“IL POPOLO DI PIETRACATELLA AL SUONO DI NUOVA CAMPANA BENEDETTA DA MONS. ETTORE DE FILIPPO ARCIVESCOVO METROPOLITA DI -BOIANO PREGA LODA ESALTA MARIA SS DI COSTANTINOPOLI VERGINE MADRE REGINA”.

A causa del sisma del 31 ottobre 2002, che ha interessato l’intera area dei Frentani, la chiesa è rimasta chiusa per lavori di restauro, fino al maggio 2006, appena in tempo per i festeggiamenti in onore della Vergine. Con tali opere, l’intera struttura è stata consolidata grazie all’inserimento di tiranti. La Confraternita e la comunità di Pietracatella sono, però, ancora impegnate nella ricerca di ulteriori fondi per poter ultimare i lavori necessari nella chiesa.

Origini del Culto La festa della Madonna di Costantinopoli è per Pietracatella la festa per eccellenza, quella a cui tutti i paesani (e non) attendono con gioia e particolare devozione. Per comprendere a pieno tutti gli aspetti legati, in un certo qual modo, a questa devozione, non possiamo tralasciare quel poco che conosciamo sulle origini. Origini da rintracciare lontano nel tempo, alla civiltà di Bisanzio, alla Costantinopoli capitale dell’Impero Romano d’ Oriente, voluta e fondata da Costantino il Grande nel 330 d.C. Già a questa data si può rintracciare una particolare attenzione imperiale al culto mariano. Con il V secolo, Teodosio II (408-450) eresse a Costantinopoli tre Basiliche, in vari luoghi, dedicati alla Vergine, in una delle quali pose la raffigurazione della Madre di Dio, che la tradizione vuole sia stata eseguita dall’evangelista Luca, opera, si dice, completata poi da mano non umana. Tale culto si rafforzò con gli interventi promossi dalla sorella dell’imperatore, Santa Pulcheria. L’imperatrice volle che la Vergine fosse onorata soprattutto nei martedì, ed in particolare nel martedì di Pentecoste, sia per ricordare la definizione della dottrina sulla divina maternità, data nel concilio di Efeso nel 431 (nonostante le opposizioni degli eretici nestoriani), che si vuole sia avvenuto di martedì, sia perché, come ricorda l’iconografia mariana, il martedì di Pentecoste la città di Costantinopoli avrebbe avuto la vittoria su un attacco nemico che aveva posto d’assedio la

4 città. La raffigurazione vede, infatti, l’apparizione della Vergine in cielo, osta su di una nube, accompagnata da angeli, al di sotto della quale una coppia angeli con anfore versano dell’acqua su una città fortificata in fiamme; iconografia che ritroviamo nel medaglione argenteo della Confraternita. Durante le lotte iconoclastiche dell’VIII secolo ed il fenomeno delle Crociate avviato nell’XI secolo, un numero sempre maggiore di immagini, in alcuni casi in frammenti, della Vergine raggiunse l’Italia dove si propagarono soprattutto al sud. Si diede, così, vita ad un complesso meccanismo che vide l’innesto nella cultura meridionale di quella bizantina, che portò alla venerazione di queste raffigurazioni perché ritenute miracolose, o perché legate ad eventi prodigiosi, quali la fine di pestilenze e di carestie. Tale innesto può essere, in seguito, riscontrato anche nell’ambito del folklore. Per quanto riguarda Pietracatella, non ci sono state tramandate storie di apparizioni o di eventi prodigiosi che possano soggiacere alla nascita di tale culto. In passato si era supposto che la devozione a Maria fosse stata qui trapiantata attraverso la diffusione che si era propagata da Montevergine, passando, poi, alla diocesi di Benevento a cui Pietracatella faceva capo. Oggi, invece, crediamo sia giusto rintracciare le origini del culto della Madonna all’apparizione avvenuta nel capoluogo partenopeo nel 1529 il giorno del martedì di Pentecoste, giorno in cui, da secoli, rende onore alla Vergine di Costantinopoli. Onori che a Pietracatella prendono significati del tutto particolari e che, per taluni aspetti, potrebbero avere origini ben diverse da quelle cristiane, affondando le proprie radici nel politeismo pagano a cui si sovrappose l’avvento del cristianesimo.

LA MADONNA DELLA "RICOTTA" E L'ADDIACCIO “Viveva in Antiochia, in epoca imprecisata, certo anteriore al sec. XIV, un’immagine della Vergine che fu, in un secondo tempo, trasferita a Costantinopoli, nel sontuoso tempio che la vergine Pulcheria, della famiglia imperiale, aveva fatto erigere per celebrare la vittoria riportata nel concilio di Efeso sugli eretici nestoriani. L’imperatore Baldovino, esule, portò con sé la sola testa di quell’immagine (che doveva quindi essere già miracolosa e assai venerata) a Napoli. Questa finì poi nelle mani di Caterina II di Valois, che la donò nel 1310 al santuario di Montevergine. Cosi, da Costantinopoli, il culto di quest’immagine si trapiantò a Montevergine d’onde poi, col tempo, si diffuse all’interno di ciascuna delle diocesi vicine e, probabilmente, a Pietracatella”. Sono queste le vaghe notizie storiche riguardanti il culto della Madonna di Costantinopoli che si leggono in un opuscoletto del 1957 curato dalla Congrega. Occorrerebbe una ricostruzione storica più precisa ed esauriente, sulle origini del culto e sulla sua diffusione nel sud Italia, ma in questa sede il nostro intento è quello di puntare l’attenzione su una determinata tradizione compresa nel culto della Madonna di Costantinopoli. Tale tradizione ha poco a che vedere con le intricate vicende bizantine, ma si spiega facilmente alla luce dell’economia di Pietracatella, basata sulla giustapposizione di allevamento e agricoltura. Come per le origini del culto, anche delle modalità che questo ha acquistato nel corso dei secoli non conosciamo molto. Fatto sta che delle originalità nella celebrazione dovettero esistere ed esistono tuttora, tant’è che quella per la Vergine di Costantinopoli è l’unica festa del paese che riceve contributi dalla Provincia per la sua specificità ed interesse. Le consuetudini che si dispiegano nei giorni precedenti a quello ufficiale dei festeggiamenti, la notevole affluenza ad essi di gente non solo di Pietracatella (Campobasso), alcuni connotati della lunga processione, rendono la festa della Madonna tanto antropologicamente interessante quanto suggestiva. Tra le maggiori caratteristiche della celebrazione c’è quella che a noi più direttamente interessa, cioè la produzione di formaggio e ricotta della Madonna: Maria di Costantinopoli è conosciuta anche come “Madonna della ricotta”. In passato, nel giorno della festa, il popolo beneficiava di una ripartizione gratuita di formaggio e ricotta, ottenuti dal latte delle pecore che erano portate all’addiaccio sulle terre della Madonna. Bisogna ora mettere a fuoco cosa significhi l’addiaccio e cosa significhi la produzione di formaggio per Pietracatella. Questi due elementi furono parte integrante del contesto socio-economico del paese e vederli inseriti in un culto religioso dalle chiare caratteristiche locali, è segnale di quanto

5 incisivo risultasse il mondo della pastorizia. In sostanza è opportuno vedere nell’attività pastorizia il substrato da cui è emerso l'aspetto sui generis del culto della Vergine, che qui ci proponiamo di analizzare. Cos’è l’addiaccio? Etimologicamente la parola deriva dal latino e significa “giacere sopra”. L’addiaccio è una stanza delle greggi su determinati terreni a scopo fondamentalmente concimativo. A Pietracatella, ma tale era la realtà di buona parte del Molise, fino agli inizi del nostro secolo non erano conosciuti concimi chimici, cosicché le scorie organiche erano l’unico mezzo di concimazione dei campi. Galanti, un erudito della seconda metà del ‘700, parla così dei metodi di sfruttamento della terra in Molise. “Le terre stercorate dalle pecore danno sempre il doppio e spesso il triplo. I concimi operano per fermentazione. L’uso di incendiare le restoppie, sebbene attivo a sminuzzare il terreno, e poca cosa. Il letame ha maggiore attività perché più sostanzioso. La stercorazione delle pecore non ha bisogno di essere smaltita. Qui si usa generalmente quando si può avere e le terre danno il dodici e a volte anche il venti. A Pietracatella in quest'anno dalla stercorazione un agricoltore ha ricavato il venticinque per uno”. L’addiaccio, dunque, doveva risultare una necessità per gli allevatori. Questi ultimi mettevano insieme le greggi che a rotazione rimanevano al pascolo sui terreni dell’uno e dell’altro. Si ritiene che in alcune zone del Molise l’addiaccio fosse fatto con le sole capre. A Pietracatella ciò non accade. Ogni gregge era costituito da pecore e da poche capre. Sebbene scopo fondamentale della prassi fosse la concimazione, i pastori godevano di altri tornaconti. Durante il periodo di stanza su un terreno, il proprietario di questo o il pastore di turno, prendevano per sé tutto il formaggio ricavato dal latte munto. Si può immaginare quanto ciò fosse benefico per gli allevatori, la maggior parte dei quali praticavano niente altro che una pastorizia di sussistenza. A questi due fattori che giustificavano l’addiaccio, se ne può aggiungere un terzo non meno importante, ossia la fecondazione di molti capi che avveniva durante il periododi stanza. Tornando al culto della Vergine di Costantinopoli e alle sue prerogative esclusivamente pietracatellesi, concludiamo che i pastori del paese non fecero altro che trasferire l’addiaccio e la produzione casearia su piano religioso-caritatevole, e scelsero a questo scopo la più sentita festa popolare del centro. Iniziarono così a portare i loro animali sui terreni consacrati alla Madonna e destinare alla beneficenza i prodotti ricavati dalla mungitura e dalla cagliatura. La produzione casearia è un annesso fondamentale dell’allevamento ovino del paese. Il Longano, nel 1790 dice: “Il formaggio di Pietracatella è tra i migliori deliri Provincia. Cambiatemi il massaro, che la manipola, la ricotta non è più la medesima. Sicché la sua varietà non si deve almeno tutta all’erbaggio, ma alla mano più o meno perita. , Sant’Elia, Celenza, la Riccia, Jelsi sono propingue il territorio di Pietracatella e pure il formaggio di quest’ultima esce quasi tutto dalla provincia, laddove quello degli altri non si trova a barattare nei paesi propri. Nel pieno non ho inteso più l’uno che l'altro celebrare”. E così il Giustiniani nel 1804. “Avendo Pietracatella degli eccellenti pascoli, vi riescono i formaggi sqiusitissimi e molto desiderati dalle altre popolazioni del regno”. Il quadro finora tracciato riguarda sicuramente le pratiche e i loro “transfert” religiosi che vigevano a Pietracatella nel 700 e nell’800. Non ci resta quindi che guardare nuovamente al culto della Vergine e a come esso si sia evoluto nel corso dell’ultimo secolo, per concludere che è rimasto legato alla struttura economica e sociale di Pietracatella. È chiaro che attualmente l’addiaccio non è più praticato in paese, ma ciò non significa che sia scomparsa la piccola e media attività pastorizia, di cui si è detto, e la relativa produzione casearia. La produzione del formaggio della Madonna sì e interrotta durante un lungo periodo che va dal primo dopoguerra alla fine degli anni 70. Le cause di questa interruzione sono molteplici e variano a seconda dei decenni. Si può ipotizzare che le guerre frenarono i festeggiamenti e le consuetudini ad essi legate e che, un paese impoverito e stremato non avesse più i mezzi per garantire la pia opera di distribuzione di formaggi. Successivamente, il “modernismo” colpì anche la festa della Madonna della ricotta. Dagli anni 60, con il boom dell’emigrazione verso città industrializzate, diminuisce il numero di persone che si dedica all’allevamento e la produzione domestica di molti prodotti gastronomici subisce un calo. La situazione torna ad evolversi agli inizi degli anni 80, quando si diffonde una sensibilità verso ciò che è tradizionale e tipico; riprende a questo punto

6 l’usanza della produzione casearia in onore della Vergine. Non è solo dal latte di pecora che si ricavano ricotta e formaggio, ma da questo mescolato con latte di mucca: sono i nuovi contadini del luogo che offrono il loro prodotto. Così negli ultimi anni, in occasione della festa, si è tornato ad assistere alla scena della cagliatura “di massa”. Nei giorni precedenti alla Festa ufficiale, le massaie del paese sono tornate a riunirsi per raccogliere il latte e cagliano sotto gli occhi dei visitatori. La domanda che preme a questo punto è la seguente: c’è ancora segno della famosa struttura nella ripresa consuetudine di cagliare il formaggio della Madonna o quello cui di nuovo si assiste è solo un revival, una nostalgica reminiscenza di remote pratiche? Per rispondere al quesito ancora una volta guardiamo al contesto economico e sociale attuale di Pietracatella. Se prescindiamo dalla presenza diffusa di una piccola e media borghesia e consideriamo la popolazione di età superiore ai 50 anni, constatiamo che la maggior parte di questa è tuttavia contadina. Inoltre dietro la borghesia e gli impegni da essa svolti esiste come realtà costante “il campo”; è difficile incontrare in paese famiglie che non possiedano un appezzamento di terra. Il fondo contadino di Pietracatella non è scomparso e accanto alla coltura dei campi continua a porsi l’allevamento. La produzione di latte e la trasformazione di questo in prodotti caseari esistono ancora in paese, anche se la struttura agricolo-pastorale e la conseguente produzione sono allentate e contaminate da altre attività. Ancora, è fenomeno dell’ultimo decennio l’attivismo di giovani del posto, che si sta concentrando sempre di più, come di seguito si osserverà sulla valorizzazione delle “vocazioni” di attività agricolo-pastorali del paese. Il primo aspetto riguarda un’attenzione nuova e più consapevole verso le tradizioni e il folklore: la diffusione di una volontà non solo di rivivere o rivisitare il passato con una sagra paesana (bella quanto si vuole ma pur sempre sagra) ma di “conoscerlo”, per ritrovare in esso quel tanto di storia individuale e comunitaria che ci fa, appunto, comunità specifica, che ci da un’identità che si rischia di perdere. Un altro aspetto da non sottovalutare è l’esigenza, sentita da più parti e soprattutto giovani, di creare spazi lavoratori in loco. Una più matura coscienza critica, un più disincantato giudizio sui futuri sviluppi economici del nostro paese, ha portato molti alla conclusione che bisogna impiegare tutte le proprie energie per far decollare il sud senza stravolgerne l’identità. Questo vuol dire valorizzare i! valorizzabile, che è, quando dire, nello specifico del nostro paese, cercare di dare presagio ai nostri prodotti agricoli e/o dell’allevamento, prodotti apprezzabili fin dall’antichità per le loro spiccate caratteristiche qualitative.

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