ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S

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ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S. Cervigni and Anne Tordi with the collaboration of Norma Bouchard, Paolo Cherchi, Gustavo Costa, Albert N. Mancini, Massimo Maggiari, and John P. Welle NOTES Mario Marti. Su Dante e il suo tempo con altri scritti di Italianistica. Galatina: Congedo Editore, 2009. Pp. 138. Testo del discorso tenuto dal Professor Giuseppe A. Camerino in occasione della cerimonia in onore del Professor Mario Marti nel giorno del compimento del suo 95o genetliaco. Lecce, 19 maggio 2009. Mario Marti dantista Nel porgere il mio augurio non solo sincero e profondo, ma anche e soprattutto commosso e molto partecipe per la festa per i primi 95 di un maestro e amico come Mario Marti vorrei dire, in tutta modestia, qualche parola sull‘ultima sua fatica di studioso insigne, consegnata al volume ancora freschissimo di stampa Su Dante e il suo tempo con altri scritti di Italianistica. Solo qualche parola su Marti studioso di Dante e della letteratura dell‘epoca di Dante, non essendo questa festa di stasera la sede di una presentazione vera e propria del volume in oggetto. Non prima però di qualche breve premessa. La presenza di scritti analitici e di pagine di discussione critica e filologica dedicate per lo più al Dante poeta è fin troppo evidente e costante in molti volumi di Marti. Si vedano almeno Realismo dantesco e altri studi, Milano Napoli, Ricciardi, 1961; Con Dante fra i poeti del suo tempo, Lecce, 1966; Con Dante fra i poeti del suo tempo, 1971, seconda edizione arricchita e riveduta; Dante, Boccaccio, Leopardi, Napoli, Liguori, 1980; Da Dante a Croce: proposte consensi dissensi, Congedo, Galatina, 2005 (Collana Dipartimento); Su Dante e il suo tempo con altri scritti di Italianistica, 2009, Congedo (Collana Dipartimento). Sono scritti che riguardano quasi sempre il Dante poeta: quello della Comedìa (per rispettare il titolo che consuma fino in fondo lo scrupolo filologico di Marti (3: Incipit Comedìa Dantis Alagherii), ma pure, in buona parte il Dante della Vita nova e delle Rime. Inoltre devo aggiungere che ormai in non pochi libri dello stesso Marti scritti e pagine dantesche s‘innestano con coerenza in una ancor più vasta cornice di studî sulla letteratura e, in particolare, sulla poesia italiana dei primi secoli, a cominciare dall‘ancora fondamentale edizione dei Poeti giocosi del tempo di Dante (1956), preceduto da un volume di saggi di grande spessore critico su Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante (1953), passando per le esemplari edizioni della Prosa del Duecento Annali d’Italianistica 27 (2009). A Century of Futurism: 1909-2009 382 Annali d’Italianistica 27 (2009). Italian Bookshelf (insieme a C. Segre 1959) e dei Poeti del Dolce stil nuovo (1969), nonché per la fondamentale, ponderosa sintesi Storia dello stil nuovo (1972). Le date parlano chiaro: è una fedeltà che supera largamente il mezzo secolo (ma i primi vagiti, come li chiama scherzosamente l‘autore, p. 33, della sua milizia come interprete di Dante e dei nostri primi poeti, si pensi a Cecco Angiolieri, risalgono ancor a un decennio prima!). I testi e le edizioni citate sono tutte ancora oggi insostituibili per gli studî della nostra letteratura più antica, ai quali si devono aggiungere eccellenti edizioni del Boccaccio del Decameron (1958) e di altre opere boccacciane in volgare all‘inizio degli anni Settanta del secolo scorso. In questo vastissimo quadro e a questa difficilmente eguagliabile altezza di interessi per la nostra letteratura antica, il ruolo dei suoi studî danteschi non solo trova alimento e approfondimento, ma viene a suggellare un rarissimo percorso di grande coerenza e di grande rigore scientifico. Anche quest‘ultimo libro infatti è per più della sua metà dedicata a Dante, o comunque a qualche opera e a qualche nome del tempo di Dante. Si attraversano o si riattraversano nodi cruciali dell‘esegesi dantesca. Si veda il capitolo primo dedicato ai vv. 62-63 del X canto dell‘Inferno, che coinvolge ― col disdegno cavalcantiano rivolto a Beatrice (secondo la brillante e inoppugnabile dimostrazione di Marti) ― anche il difficile e contrastato rapporto di amicizia tra Cavalcanti e l‘Alighieri. Oppure si veda la meticolosa indagine condotta sulla figura e sul ruolo di san Francesco, che nella poesia dantesca potrebbero apparire stranamente limitati, o comunque presentati in modo unilaterale rispetto alla ricchezza e ampia varietà di motivi storici e biografici e culturali che riguardano il movimento francescano e il suo fondatore. Ricchezza e varietà che invece non vengono a emergere nel canto XI del Paradiso: un limite tuttavia imposto con coerenza dal poeta; un limite, cioè, coerente con la funzione che Dante assegnava al francescanesimo e al suo fondatore, il quale, se inteso, com‘è inteso da Dante, nel suo ruolo preminente di apostolo della povertà, vero alter Christus (Cristo primo marito della Povertà), si conforma assai bene con l‘ideologia ― dice Marti ― con l‘etica, con la politica e con la cultura di un tempo storico attraversato anche dalle forti tensioni escatologiche degli Spirituali. Su Guido Cavalcanti l‘insigne studioso salentino torna nel suo ultimo libro in un altro ambito, direi un po‘ polemico, quando contesta alla biografia dantesca di Pasquini, il quale, malgrado serie e inoppugnabili prove testuali già prodotte (si veda al riguardo il volume martiano precedente, Da Dante a Croce, da me prima citato) insiste ancora nell‘invertire la cronologia della cavalcantiana Donna me prega rispetto alla dantesca Donne ch’avete. Il fatto è che Marti, anche quando recensisce studî altrui, partecipa, interviene sempre con massima competenza, rinnova le questioni, le discute fino in fondo, non lascia niente al caso; e in questo modo, almeno per me, anche una sua recensione diventa una lezione indimenticabile. Indimenticabile proprio Annali d’Italianistica 27 (2009). Italian Bookshelf 383 perché frutto di estrema competenza. Per fare solo un esempio tra tanti possibili, ricordo come quando, recensendo la nuova edizione critica delle Rime dantesche a cura di Domenico De Robertis (si veda ora nel volume del 2005 prima citato), Marti si domanda giustamente perché un verso come ―e empiva ‘l cor a ciascun di virtute‖ (v. 11 del sonetto Di donne io vidi) fosse dato per scontato dal curatore come endecasillabo visto che nella poesia antica la ―e‖ congiunzione fa sillaba a sé. Molto, moltissimo ancora ci sarebbe da dire sui contributi di Marti. Senza contare tutta la sua grande attività di rivalutazione di autori e testi legati a vario titolo alla civiltà del Salento, ho tralasciato almeno altri due fondamentali cantieri di lavoro del nostro maestro: la letteratura del Rinascimento (Bembo, Ariosto) e soprattutto il lungo studio e il grande amore, intriso di grande sapienza critica e filologica, per Leopardi. Molto, moltissimo ci sarebbe ancora da dire; ma, come primo, spontaneo, sentitissimo omaggio per la festa di oggi, per ora mi fermo qui, rinnovando a Mario Marti l‘augurio fervidissimo di lunghissima vita, operosa come sempre. Università del Salento 384 Annali d’Italianistica 27 (2009). Italian Bookshelf ITALIAN BOOKSHELF GENERAL & MISCELLANEOUS STUDIES Peter Arnade, and Michael Rocke, eds. Power, Gender, and Ritual in Europe and the Americas: Essays in Memory of Richard C. Trexler. Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2008. Pp. 364. Richard Trexler modestly described himself as ―a social historian with an interest in cultural history‖ (15). However, a survey of his many articles and texts on subjects as diverse as church history, art history, performance studies, gender and sexuality studies, and early modern Latin America, testify to his broad interests and wide-ranging influence. Never one to shy away from controversy, he challenged accepted views of Renaissance culture by demonstrating that during the so-called ―age of the individual‖ many individuals derived their identity through associations with various groups within the community — a guild, confraternity, parish or prominent family. Trexler also explored societies marginalized (and thus understudied) such as the poor, women, Jews, and homosexuals, revealing their frequent mistreatment and public humiliation at the hands the all-powerful majority. Arnade and Rocke‘s edited volume of articles is borne from Trexler‘s impressive career and ground-breaking research. Many of the volume‘s articles began as papers for a conference honoring Trexler‘s retirement at Binghamton University in 2004. Here, those papers are published as a memorial after his death in March 2007. Eduard Muir introduces the reader to the ―trexleriana‖ phenomenon by discussing Public Life in Renaissance Florence, the book that Muir sees as Richard Trexler‘s definitive masterpiece. It was a daring ―historical study of ritual through the lenses of sociology, anthropology, and psychology,‖ challenging readers with provocative questions and a novel methodological approach (20). Trexler suggested that ritual and other formalized public behaviors contributed more to shape urban identity than did political ideas or religious dogma. Noting the political and personal motives underlying original written sources, he questions the historical accuracy of treatises, historical accounts, and sermons — the very stuff upon which Renaissance and Reformation studies are based. Public Life demonstrated how the behavioral sciences can be used to reinterpret the past, thereby forever changing historical methodology. At the end of Public Life, the reader is challenged to utilize it as a ―cartograph‖
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