Luigi Fabbri Roberto Carocci
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Luigi Fabbri ROBERTO CAROccI L’ANARCHISMODIVERGENTI ITALIANO, LA RIVOLUZIONE RUSSA E IL BOLSCEVISMO (1917-1921) uando, nel marzo 1917, giunsero le prime notizie sulla rivo- luzione in Russia, l’anarchismo italiano reagì con inusitato entusiasmo. Sembrava infatti delinearsi la possibilità di por- re termine ai duri anni della guerra, durante i quali il movi- mento libertario, e più in generale quello operaio, era stato Qcostretto a una seria battuta d’arresto1. Oltre ad annunciare la prossima fine del conflitto, la rivoluzione ne presagiva un suo possibile esito insurrezio- nale sul territorio europeo, Italia compresa. Così almeno lasciò intendere la ribellione degli operai torinesi di fine agosto, sebbene aspramente repressa dall’intervento dell’esercito regio2. Da questo primo approccio, gli anarchici italiani si sarebbero via via con- frontati con gli sviluppi del processo rivoluzionario, le sue dinamiche inter- ne e la direzione bolscevica con la quale avrebbero misurato una sempre maggiore divergenza, verificando l’inconciliabilità tra la prospettiva antiau- toritaria e l’ipotesi marxista. Le questioni riguardanti il potere politico, la dittatura proletaria e l’estinzione dello stato sarebbero tornate a dividere i due movimenti risolvendosi in una rottura definitiva con la repressione del- la Comune di Kronštadt nel 1921. Per tutta questa prima fase, l’anarchismo italiano oscillò tra la difesa del rivolgimento sociale e la critica crescente nei confronti del bolscevismo, dando vita a una fluttuazione all’interno della quale si confrontarono tensioni differenti e atteggiamenti disomogenei, tal- volta contraddittori3. 1 Cfr. Fabrizio Giulietti, Gli anarchici italiani dalla grande guerra al fascismo, FrancoAngeli, 2015, pp. 45-46 e 51-56; Alessandro Camarda e Santo Peli, L’altro esercito. La classe operaia durante la prima guerra mon- diale, Feltrinelli, 1980; Giovanna Procacci (a cura di), Stato e classe operaia in Italia durante la prima guerra mondiale, FrancoAngeli, 1983. 2 La rivolta torinese (22-25 agosto) terminò con 60 morti, di cui una decina tra i governativi, e 200 feri- ti; cfr. Luigi Di Lembo, Guerra di classe e lotta umana. L’anarchismo italiano dal Biennio rosso alla guerra di Spagna (1919-1939), Bfs, 2001, p. 23. 3 Cfr. Giampietro Berti, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale (1874-1932), FrancoAngeli, 2003, pp. 632, 634 e 724. 11 Ottobre rosso A DIFESA DELLA RIVOLUZIONE ome avrebbe ricordato Armando Borghi, la sollevazione del ’17 rappre- sentò la «stella polare»4 in cui l’anarchismo intravide le coordinate di un futuro che sperava essere prossimo. L’immediata simpatia era dovuta Canche al fatto che il teatro della rivoluzione fosse la patria dei fondatori del movimento antiautoritario, Michail Bakunin e Pëtr Kropotkin, e delle correnti populiste e nichiliste che, dalla seconda metà dell’Ottocento, avevano esercita- to una notevole influenza sull’immaginario libertario italiano. Il rivolgimento risolveva inoltre l’annosa polemica con le correnti riformiste, confermando la validità dell’ipotesi «volontarista» e insurrezionale5. Mezzo secolo di storia del socialismo sembrava giungere a un punto di riequilibrio, mandando «in fran- tumi – per dirla con l’individualista Renato Siglich – la scienza della rinuncia e della rassegnazione codarda e l’arte perfetta di saper votare»6. A vivificarne ulteriormente le aspettative erano infine le notizie, seppure assai scarse, circa il ruolo avuto dai libertari russi che non erano stati affatto estranei agli eventi7. In aprile, il movimento anarchico licenziò un manifesto clandestino col qua- le indicava nel proletariato dell’est l’iniziatore della «vera guerra, la sola giusta», quella sociale, cui anche l’Unione sindacale italiana (Usi) lanciava il suo «esultante saluto»8. Nello stesso mese, usciva il numero unico «Eppur si Muove!» composto da un lungo articolo di Luigi Fabbri (uno dei più acu- ti intellettuali dell’anarchismo italiano) che, con toni a tratti epici, esprimeva l’«entusiasmo» e la «simpatia» che la «grande notizia» suscitava, presentandola come un’«immensa e splendida conferma delle ragioni anarchiche»: Finalmente un fascio di luce viva e sfolgorante ha rotto all’improvviso la fitta e buia nebbia di dolore e di sangue […]. È la luce di un sublime incendio […]; un fuoco di purificazione e di liberazione, che illumina le menti assetate di verità e riscalda i cuori anelanti giustizia. È la rivoluzione!9 I fatti di Russia introducevano anche un elemento di chiarificazione all’interno della sinistra sovversiva. In polemica con quella parte che aveva scelto la via dell’intervento, Fabbri tornava sul nesso guerra/rivoluzione escludendo ogni rapporto meccanico tra i due termini, rilevandone anzi la contrapposizione esistente. Il perdurare del conflitto rischiava infatti di inficiare lo sviluppo del 4 Armando Borghi, La rivoluzione mancata, Azione Comune, 1964, p. 64. 5 Cfr. Santi Fedele, Una breve illusione. Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa (1917-1939), FrancoAngeli, 1996, p. 16. 6 Erres [Renato Siglich], La rivoluzione russa e il socialismo scientifico,«L’Avvenire Anarchico», 22 aprile 1917. 7 Cfr. Virgilio Mazzoni, Aurore boreali sul cielo di Russia, «L’Avvenire Anarchico», 23 marzo 1917; Camillo Berneri, Per un silenzio ingiusto, «Guerra di Classe», 24 aprile 1917; Santa Russia e Santa verità, «L’Av ve n i r e Anarchico», 30 marzo 1917. 8 Indirizzo degli anarchici d’Italia ai compagni russi, «Il Libertario», 19 aprile 1917; L’Unione sindacale Italiana ai proletari russi, ivi. 9 [Luigi Fabbri], La rivoluzione in Russia, «Eppur Si Muove!», numero unico, aprile 1917. 12 Le affinità divergenti rivolgimento sociale, giacché «in tempo di guerra una rivoluzione è in condi- zioni quanto mai sfavorevoli per vincere e svilupparsi»: Certamente la rivoluzione russa è stata una conseguenza della guerra; ma solo come l’eccesso di un male può provocare, per reazione, il suo contrario […] sono come due forze nemiche, che si cercano e si incontrano per combattersi. Vi furono molti rivoluzionari che creddero [sic] la guerra utile alla causa rivoluzionaria; e tale opinione è tuttora condivisa da parecchi […]. Quale errore!10 Il contesto internazionale era infatti assai difficile; Fabbri chiamava gli anarchi- ci a farsi sostenitori della rivoluzione non solo in chiave difensiva bensì nella prospettiva di una sua possibile estensione: «tentare la rivoluzione in Germania ZOOM è il meno che si possa fare», ed essendo «il nemico d’ogni popolo […] il governo che gli sta sul collo», la questione assumeva un valore peculiare anche per l’Ita- lia11. In considerazione di ciò, oltre a rivolgersi al proletariato italiano affinché seguisse l’esempio di quello russo, i libertari procedettero a riconsiderare le loro relazioni con le altre correnti politiche. La Commissione anarchica d’a- zione internazionalista (organo di coordinamento nazionale del movimento), riunitasi a Firenze il 3 e 4 giugno, decise di delegare Errico Malatesta (all’epoca a Londra) alla conferenza prevista a Stoccolma al fine di riallacciare i legami, interrotti all’inizio della guerra, con il socialismo internazionale. L’iniziativa fu però sconfessata dallo stesso Malatesta che, in tema di alleanze, suggerì un atteggiamento più prudente12. Se nei confronti della sinistra riformista veniva mantenuta una certa distanza, con i bolscevichi gli anarchici ebbero un atteggiamento inizialmente più acco- gliente preferendo tacere le differenze, che pure iniziavano a emergere, per non offrire ulteriori sponde alla reazione internazionale. Così avvenne in occasione dei trattati di Brest-Litovsk che, per quanto poco soddisfacenti, videro i liberta- ri appoggiare apertamente le scelte del governo comunista13. Un articolo uscito sul foglio romano «La Favilla» aiuta a comprendere quali fossero i sentimenti, a tratti esasperanti, che attraversavano alcuni comparti del movimento liber- tario che, nel caso della Germania, arrivarono a identificare i governati con i loro governanti. Il «popolo teutonico» venne infatti considerato «degno del suo criminale pastore» poiché responsabile della mancata sollevazione nell’area mitteleuropea. In quest’ottica, la «pace tedesca» era sintomatica della «perfidia di quei governanti e di quel popolo» che «si coprono di una macchia infame e 10 Ibidem. 11 Cfr. ibidem. 12 Cfr. Archivio centrale dello stato (d’ora in poi Acs), ministero dell’Interno, Direzione generale della Pub- blica sicurezza, Divisione affari generali e riservati (d’ora in poi Mi, Dgps/Agr), 1917, cat. K1, b. 43, f. “Geno- va. Movimento anarchico”, Gli anarchici al popolo d’Italia (volantino); ivi, f. “Firenze. Convegno anarchico”, lettera riservatissima del prefetto al ministro dell’Interno, Firenze, 7 giugno 1917; ivi, 1918, cat. K1, b. 65, f. “Propaganda anarchica e rivoluzionaria”, lettera di E. Malatesta ad A. Borghi, Londra 20 ottobre 1917. 13 Cfr. Brest-Litovsk e la pace, «L’Avvenire Anarchico», 4 gennaio 1918; La crociata, «Iconoclasta!», 17 maggio 1919. 13 Ottobre rosso passano alla storia come i più veri e più feroci strangolatori della rivoluzione russa»14. Ogni altra questione veniva dunque subordinata al soste- gno del rivolgimento sociale russo, mentre il bolscevismo Prima pagina di «Umanità Nova» del 15 ottobre 1920 diventava il punto di riferi- mento per una sua possibile estensione internazionale15. Nei toni usati dagli anarchici è possibile rintraccia- re il pathos che tale possibilità suscitava. Per Fabbri, la rivoluzione era «l’oriente da cui vediamo sorgere affine il nostro