La Guerra, I Consigli E Le Bande Partigiane: Esperienze Collettive E Progetti Politici Nell’Esperienza Di Emilio Lussu E Giustizia E Libertà Leonardo Casalino
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La guerra, i Consigli e le bande partigiane: esperienze collettive e progetti politici nell’esperienza di Emilio Lussu e Giustizia e Libertà Leonardo Casalino To cite this version: Leonardo Casalino. La guerra, i Consigli e le bande partigiane: esperienze collettive e progetti politici nell’esperienza di Emilio Lussu e Giustizia e Libertà. Annali della Fondazione Ugo La Malfa, Gangemi Editore, 2014. hal-01978828 HAL Id: hal-01978828 https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01978828 Submitted on 11 Jan 2019 HAL is a multi-disciplinary open access L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est archive for the deposit and dissemination of sci- destinée au dépôt et à la diffusion de documents entific research documents, whether they are pub- scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, lished or not. 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Sono da seguire due linee di ricerca: 1) Quella riguardante lo strato sociale, ed essa è già stata esplorata per molti aspetti dal prof.Adolfo Omodeo nella serie di capitoli Momenti di vita di guerra . dai diari e dalle lettere dei caduti, usciti nella “Critica” e poi raccolti in volume. La raccolta dell’Omodeo presenta un materiale già selezionato, secondo una tendenza che si può anche chiamare nazional-popolare , perché l’Omodeo implicitamente si propone di dimostrare come già nel 1915 esistesse robusta una coscienza nazionale-popolare, che ebbe modo di manifestarsi nel tormento della guerra, coscienza formata dalla tradizione liberale democratica ; e quindi mostrare assurda ogni pretesa di palingenesi in questo senso nel dopo guerra. Che l’Omodeo riesca ad assolvere il suo compito di critico è altra quistione; intanto l’Omodeo ha una concezione di ciò che è nazional-popolare troppo angusta e meschina, le cui origini culturali sono facili da rintracciare; egli è un epigono della tradizione moderata , con in più un certo tono democratico o meglio popolaresco che non sa liberarsi di forti striature “borbonizzanti”. In realtà la quistione di una coscienza nazionale-popolare non si pone per l’Omodeo come quistione di un intimo legame di di solidarietà democratica tra intellettuali-dirigenti e masse popolari, ma come quistione di intimità delle singole coscienze individuali che hanno raggiunto un certo livello di nobile disinteresse nazionale e di spirito di sacrifizio. Siamo così ancora al punto dell’esaltazione del “volontarismo” morale , e della concezione di élites che si esauriscono in se stesse e non si pongono il problema di essere organicamente legate alle grandi masse nazionali. 2) La letteratura di guerra propriamente detta, cioè dovuta a scrittori “professionali” che scrivevano per essere pubblicati ha avuto in Italia varia fortuna. Subito dopo l’armistizio è stata molto scarsa e di poco valore: ha cercato la sua fonte d’ispirazione nel Feu di Barbusse. E’ molto interessante da studiare Il diario di guerra di B.Mussolini per trovarvi le tracce dell’ordine di pensieri politici , veramente nazional-popolari, che avevano formato, anni prima, la sostanza ideale del movimento che ebbe come manifestazioni culminanti il processo per l’eccidio di Roccagorga e gli avvenimenti del giugno 1914. Si è poi avuta una seconda ondata di letteratura di guerra, che ha coinciso con un movimento europeo in questo senso, prodottisi dopo il successo internazionale del libro del Remarque e col proposito di prevalente di arginare la mentalità pacifista alla Remarque. Questa letteratura è generalmente mediocre, sia come arte, sia come livello culturale, cioè come creazione di pratica di “masse di sentimenti e di emozioni” da imporre al popolo 1 [….]Esempio caratteristico il libro di C.Malaparte La rivolta dei santi maledetti a cui si è già accennato. E’ da vedere l’apporto di questa letteratura del gruppo di scrittori che sogliono essere chiamati “vociani” e che già prima del 1914 lavoravano con concordia discorde per elaborare una coscienza nazional-popolare moderna. Dai “minori” di questo gruppo sono stati scritti i libri migliori, per esempio quelli di Giani Stuparich. I libri di Ardengo Soffici sono intimamente repugnanti, per una nuova forma di rettorica peggiore di quella tradizionale. Una rassegna della letteratura di guerra sotto la rubrica del brescianesimo è necessaria1 Come ha scritto Manuela Bertone queste annotazioni di Antonio Gramsci “rappresentano una trama di fondo ospitale” la quale rende possibile “ intrecciare un ordito di osservazioni puntuali sulla guerra raccontata, sulla guerra dei letterati”2. Il dirigente comunista s’interrogava sul ruolo che gli intellettuali avevano avuto e continuavano ad avere di fronte a un evento storico così fondamentale come la Prima Guerra mondiale. Le élites della tradizione liberale moderata erano state capaci di elaborare, nel contatto con le masse popolari, un progetto collettivo? O si erano limitate a porre il problema semplicemente sul piano della coscienza individuale? …….La risposta che Gramsci dava a questi interrogativi, decisivi per comprendere le vicende italiane ed europee dopo il 1918, era di grande interesse: tra gli “scrittori professionali”, coloro cioè che vivevano del loro ingegno letterario, distingueva i pessimi (Soffici), i mediocri ( la maggioranza) che volevano imporre sentimenti stucchevoli al popolo, e i pochi veramente interessanti. E tra quest’ultimi affiancava nel suo giudizio due uomini e due storie personali assai diverse e lontane, eppure tutte e due influenzate pesantemente dall’esperienza della guerra: Giani Stuparich3 e Benito Mussolini4. Il discrimine nel giudizio era dunque delineato con precisione e chiarezza: da una parte vi erano “ coloro fermi al punto dell’esaltazione del volontarismo morale, senza porsi il problema di essere organicamente legati alle grandi masse nazionali” e dall’altra “ coloro che sollevano la quistione di una coscienza nazional-popolare come quistione di un intimo legame di solidarietà democratica tra intellettuali dirigenti e masse popolari”. E’ facile comprendere come Gramsci si sentisse più vicino ai secondi: agli scrittori e intellettuali, cioè, che credevano in una concezione militante dell’azione culturale, all’importanza di sapere offrire uno sviluppo sociale positivo a una grande esperienza collettiva come quella che si era svolta nelle trincee del Carso. Su questo terreno, non a caso, si era giocato il conflitto politico 1 Antonio Gramsci, Letteratura e vita nazionale, a cura di Valentino Gerratana, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp.183- 185. 2 Manuela Bertone, La guerra dei letterati, in Les écrivains italiens et la Grande Guerre, sous la direction de Christophe Mileschi, « Narrativa», hors serie-2010, CRIX- Presses Universitaires de Paris Ouest, p.27. 3 Giani Stuparich, Guerra del ’15, Einaudi, Torino, 1978 [1931]; Id, Colloqui con mio fratello, Treves, Milano, 1925; e anche il romanzo che Gramsci non poté leggere Id, Ritorneranno, Garzanti, Milano, 1991 [1941]. 4 Benito Mussolini, Il mio diario di guerra (1915-1917), FPE, Milano, 1966. 2 con il nascente movimento fascista a partire dal 1919 e su questo stesso terreno si era consumata quella sconfitta su cui Gramsci non cessava d’interrogarsi. Indubbiamente la Grande Guerra era stato, nel suo concreto svolgimento, un evento che aveva reso difficile un’opera d’inquadramento ideologico, tanto grande era stata la distanza tra le aspirazioni personali e collettive iniziali e il massacro avvenuto nelle trincee5. E la prova di quanto fosse stato difficile elaborare un progetto politico immediato la forniscono proprio i testi letterari scritti ad anni di distanza dal conflitto -tra cui rientra anche Un anno sull’altipiano di Lussu- , “la seconda ondata” di cui scriveva Gramsci. Una rivisitazione retrospettiva in cui selezionare fatti, isolare episodi emblematici, ricercare e utilizzare uno stile nuovo6 Il conflitto del 1914-18, insomma, raccontato e ripensato, nello scenario dell’Europa degli anni Trenta e di fronte alla prospettiva di una nuova guerra mondiale7. Nella speranza, questa volta, che l’esito non fosse simile a quello del 1919-1922, quando - come Gramsci aveva acutamente osservato - l’unico ad avere avuto la forza e l’abilità politica per ricavare immediatamente “pensieri politici veramente nazional-popolari” era stato Mussolini. Infatti, se Lussu avesse ritenuto nel 1918 che la guerra potesse offrire,da subito, lo spazio per un progetto politico comune tra masse e élites politiche, sicuramente non avrebbe atteso vent’anni per scrivere il suo romanzo. E l’arco temporale che separa il successo del diario di Mussolini dalla pubblicazione di Un anno sull’Altipiano, in qualche modo, rappresenta l’entità e la gravità della sconfitta subita. Il futuro Duce