Piano D'area Della Bassa E Media Vallata Del Tordino

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Piano D'area Della Bassa E Media Vallata Del Tordino 1 PROVINCIA DI TERAMO V SETTORE URBANISTICA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DIFESA DEL SUOLO PIANO D’AREA DELLA BASSA E MEDIA VALLATA DEL TORDINO PROGETTO DEFINITIVO ANALISI ECONOMICO-TERRITORIALE Consulenti incaricati: Prof. Piergiorgio Landini – Dott. Fabrizio Ferrari (Convenzione del 18.11.2008) Teramo, febbraio 2009 2 Indice 1 Quadro economico di riferimento p. 3 1. Il contesto europeo p. 3 1 1. Il contesto regionale e provinciale p. 6 2 2 Localizzazione delle attività economiche p. 9 2. Analisi dei dati p. 9 1 2. Specializzazioni localizzative p. 27 2 2. Baricentri produttivi p. 49 3 3 Indagine sul campo p. 78 3. Questionario alle imprese p. 78 1 3. Metodo Delphi p. 82 2 3.2.1 Industria p. 82 3.2.2 Commercio e servizi p. 84 3.2.3 Turismo p. 86 3.2.4 Infrastrutture e portualità p. 89 4 Scenari di internazionalizzazione p. 91 5 Analisi delle risorse pubbliche p. 111 6 Possibili traiettorie processuali p. 128 6. Rivalutazione della centralità d’area p. 128 1 6. Revisione dell’approccio distrettuale p. 129 2 6. Potenziamento infrastrutturale p. 130 3 6. Nuove strategie per il turismo p. 131 4 3 Quadro economico di riferimento 1.1. Il contesto europeo Il Progetto definitivo del Piano d’Area della Bassa e Media Val Tordino viene a ricadere in uno scenario economico – ad ogni scala geografica, da globale a locale – segnato dall’esplosione della crisi finanziaria, le cui ripercussioni sull’economia reale si vanno facendo sempre più pesanti. Da tempo, tuttavia, i segnali di squilibrio erano divenuti chiaramente percepibili: volatilità dei mercati borsistici, sovrastima dei patrimoni immobiliari, difficoltà dei Paesi maturi nel fronteggiare la concorrenza sfrenata di quelli emergenti, delocalizzazioni e rilocalizzazioni delle attività produttive eccessivamente legate a fattori marginali quali il basso costo del lavoro. Per l’Italia, in particolare, gli effetti combinati di tali squilibri (aggravati dal peso del debito pubblico) si manifestano vistosamente all’interno del processo di allargamento dell’Unione Europea. Quest’ultimo ha prodotto, infatti, una convergenza economica regionale a tutto vantaggio dei nuovi Stati membri, i quali, offrendo in abbondanza i fattori marginali di localizzazione sopra richiamati, hanno compiuto progressi notevoli, mentre regressi altrettanto sensibili si sono manifestati nei Paesi maturi, e non soltanto nelle regioni deboli o in transizione. Nel periodo 1995-2005, il Pil pro capite reale a parità di potere d’acquisto (fatta = 100 la media teorica dell’UE27) è sceso, per l’Italia, da 121 a 105 punti. Solo la Germania ha registrato una perdita confrontabile (da 129 a 115); assai più contenuto il regresso della Francia (da 116 a 112 punti). Di contro, il progresso più vistoso spetta all’Irlanda (da 103 a 144 punti). Dei dieci Paesi che hanno aderito all’UE nel 2004, gli Stati baltici ex sovietici – che partivano da basi estremamente depresse, intorno ai 30÷35 punti – ne hanno guadagnati in media 20÷25; gli Stati dell’Europa centro-orientale (Polonia, Ungheria, Slovacchia), fino all’affaccio sull’Adriatico (Slovenia e la candidata Croazia) in media 10÷15, con l’eccezione della Repubblica Ceca, dove l’andamento del Pil pro capite è risultato oscillante. A scala regionale italiana, se la Lombardia ha perduto ben 23 punti relativi (da 160 a 137), pesano ben maggiormente i 19 punti dell’Abruzzo (da 104 a 85), valore quest’ultimo che torna ad avvicinarlo alla soglia dell’intervento straordinario per le regioni in ritardo di sviluppo (75 punti): in effetti si osserva, paradossalmente, una riconvergenza con i valori medi del Mezzogiorno, che pure perde 10 punti relativi. La vicina regione Marche, classico punto di riferimento dell’Abruzzo sia per prossimità geografia, sia per continuità di quello che è stato definito “modello adriatico di sviluppo”, a sua volta agganciato al Nordest-Centro o “Terza Italia”, ha subito un regresso analogo (17 punti), e tuttavia si mantiene oltre la media dell’UE27 (tab. 1). 4 Considerando, per confronto, i tassi di crescita del Pil totale in volume, i differenziali possono apparire ridimensionati: le medie dell’UE27 risultano solo lievemente più alte rispetto all’UE15 e, a sua volta, all’Area Euro. Ciò dipende, come ovvio, dal peso assoluto del prodotto lordo nei grandi Paesi ad economia matura, che, crescendo più lentamente, “frena” i valori aggregati (tab. 2). I valori disaggregati confermano, viceversa, come proprio i Paesi più industrializzati si attestassero su valori di crescita contenuti già nell’ultimo decennio del secolo trascorso, quando emergevano le economie periferiche dell’Europa occidentale (Irlanda, Spagna), mentre quelle dell’Europa centro-orientale, uscite dall’orbita sovietica, mettevano in campo i fattori competitivi di cui si è detto sopra, uniti ad alcune significative preesistenze industriali (così per Polonia e Repubblica Ceca). Nell’arco del periodo considerato si osserva, in particolare, l’accelerazione dei nuovi Paesi membri, che sembrano trarre deciso vantaggio dall’ingresso nell’Unione Europea, ancorché il biennio 2006-2007 segni una fase positiva generalizzata. L’Italia, in questo quadro, evidenzia le maggiori difficoltà, con tassi nettamente inferiori a tutte le aggregazioni di riferimento ed agli stessi Paesi maturi, fatta parziale eccezione – ancora – per la Germania. Solo le regioni più solide per struttura insediativa e produttiva, come la Lombardia, fanno registrare dati lievemente migliori. A sua volta, l’Abruzzo manifesta addirittura sintomi di recessione, con tassi di crescita negativi che raggiungono il cavo nel 2004; gli stessi segnali di apparente ripresa nel biennio successivo risultano effimeri, fino a confluire nella crisi odierna (fig. 1). Il rallentamento dell’economia abruzzese si deve ascrivere a un duplice ordine di fattori: esterni, rappresentati dall’evoluzione dello scenario geopolitico ed economico globale, con la crescente concorrenzialità delle economie emergenti proprio su quei fattori di cui l’Abruzzo aveva largamente usufruito nella fase di sviluppo, a partire dal costo del lavoro; interni, legati alla scarsa capacità innovativa del pur consistente apparato industriale regionale nonché delle funzioni terziarie urbane, a riemergenti carenze infrastrutturali e a marcati ritardi nelle decisioni strategiche. 5 Tab. 1 – Livelli del Pil pro capite in Europa, Italia e Abruzzo (1995-2005) (Stati, regioni o aggregazioni regionali; a parità di potere d’acquisto; UE27 = 100) Aree 1995 2000 2005 UE 15 115,9 115,2 112,7 Irlanda 102,9 131,0 143,7 Regno Unito 111,7 117,2 119,3 Germania 129,2 118,8 115,2 Francia 116,2 115,6 111,9 Spagna 91,9 97,6 103,0 Grecia 84,3 84,3 96,4 Area Euro 115,9 114,0 110,7 Nuovi Paesi Membri 49,3 52,9 59,0 Estonia 35,9 44,7 62,9 Slovenia 72,6 78,8 86,9 Ungheria 52,0 56,2 64,3 Repubblica Ceca 73,6 68,6 76,6 Slovacchia 47,7 50,2 60,6 Italia 121,3 117,1 104,8 Lombardia 160,1 155,7 136,5 Marche 121,2 116,3 104,4 Mezzogiorno 79,9 77,3 69,6 Abruzzo 104,2 100,9 85,1 Fonte. Elaborazioni CRESA su dati Eurostat. Tab. 2 – Tassi di crescita del Pil totale in Europa, Italia e Abruzzo (1995-2007) (Stati, regioni o aggregazioni regionali; valori %) Aree 1995-2004 2000-2004 2006-2007 UE27 2,2 2,2 2,9 UE15 2,1 2,1 2,6 Irlanda 6,5 6,0 5,3 Regno Unito 2,9 2,9 3,0 Germania 1,2 1,1 2,5 Francia 2,2 2,1 2,2 Spagna 3,2 3,1 3,8 Area Euro 1,9 1,9 2,6 Nuovi Paesi Membri 4,5 4,7 6,7 Polonia 3,7 3,2 6,5 Repubblica Ceca 2,9 3,2 6,5 Italia 1,0 0,8 1,5 Lombardia 1,1 0,9 2,3 Emilia-Romagna 0,4 0,1 2,2 Sicilia 0,8 0,5 1,0 Abruzzo − 0,3 − 0,7 1,6 Nota. Nella terza colonna, i dati delle regioni italiane sono riferiti al biennio 2005-2006. Fonte. Elaborazioni CRESA su dati Eurostat. 6 Fig. 1 – Andamento del Pil totale in Italia e in Abruzzo (2001-2007) (valori %; anno di riferimento 2000) Fonte. Elaborazioni CRESA su dati Istat e Unioncamere-Prometeia. 1.2. Il contesto regionale e provinciale Nel contesto regionale, la provincia di Teramo rappresenta da alcuni decenni il caso tipico di sviluppo locale generato da una diffusa imprenditorialità endogena e fondato sulla identificazione di ambiti distrettuali specializzati nell’industria manifatturiera. Non a caso, la composizione del valore aggiunto per settori produttivi vede l’industria nel suo complesso realizzare quasi il 36% del totale, ovvero 5 punti in più della media regionale e 9 in più della media nazionale. Tale performance si deve quasi interamente al comparto manifatturiero, in quanto il comparto delle costruzioni supera di appena 0,5÷1 punto i valori medi delle circoscrizioni di riferimento (tab. 3). Lievemente sovradimensionata risulta anche l’agricoltura, mentre è il settore terziario a risultare penalizzato, con oltre 5 punti in meno della media regionale e 10 in meno della media nazionale (v. ancora tab. 3). Gli indicatori del tenore di vita, a scala provinciale, rispecchiano per molti versi la struttura produttiva: reddito disponibile e spese per consumi non si discostano dalla media regionale; entrambe risultano decisamente più basse di quella nazionale (tab. 4). Il carattere fortemente industriale della provincia di Teramo – come pure dell’intera regione Abruzzo – trova riscontro nella quota di usi domestici sul totale dei consumi di energia, di 3 punti inferiore alla media nazionale, e, per converso, nella dimensione e composizione del parco veicolare circolante (v. ancora tab. 4). La rilevanza di quest’ultimo indicatore è certamente sostenuta dalle caratteristiche del sistema infrastrutturale (tab. 5), che vede la dotazione stradale della provincia di Teramo superiore 7 alla media italiana di quasi 75 punti (Abruzzo: 45), mentre quella ferroviaria è pari ad appena 52 punti su 100 (Abruzzo: 104,5) e quella portuale a 20 (Abruzzo: 81).
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