PROVINCIA DI V SETTORE - URBANISTICA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DIFESA DEL SUOLO

PIANO D’AREA DELLA MEDIA E BASSA VALLE DEL TORDINO

ASPETTI FAUNISTICI, FLORISTICI E RURALI

Marzo 2009 Dott. Agr. Giovanni Castiglione

Dott.A g PIANO D’AREA DEL TORDINO “Aspetti faunistici, floristici e rurali” ______

Indice

1. PREMESSA GENERALE

2. DESCRIZIONE DEL SISTEMA FISICO 2.1 Premessa 2.2 Orografia 2.3 Sistema climatico

3. ANALISI DELLA VEGETAZIONE 3.1 Premessa 3.2 Metodologia 3.3 Analisi Bioclimatica 3.3 a) Premessa 3.3 b) Clima mediterraneo. 3.3 c) Clima Temperato 3.4 Vegetazione Forestale potenziale del bacino del Tordino 3.4 a) Fascia litoranea. 3.4 b) Fascia sub-litoranea, 3.4 c) Fascia preappenninica ; 3.4 d) Fascia appenninica montana 3.5 Vegetazione reale del bacino 3.5 a) Premessa 3.5 b) Piano Basale - Orizzonte delle sclerofille

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3.5 b) I - Orizzonte delle sclerofille - Fascia litoranea 3.6 b) II - Orizzonte delle sclerofille - Territori planiziali 3.7 b) III - Orizzonte delle sclerofille - Fascia collinare 3.5 c) - Orizzonte delle latifoglie eliofile 3.5 c) I - Orizzonte delle latifoglie eliofile – Fascia collinare 3.5 c) II - Orizzonte delle latifoglie eliofile – Fascia collina interna 3.5 d) Orizzonte delle latifoglie sciafile (Piano montano) 3.5 e) Orizzonte delle praterie d’altitudine (Piano cacuminale) 3.5 f) Vegetazione ripariale

4 ASPETTI FAUNISTICI 4.1 Premessa 4.2 Materiali e Metodi 4.3 Fauna delle aree antropiche 4.4 Fauna delle aree rurali 4.5 Fauna delle aree agro-forestali 4.6 Fauna degli ambienti umidi e fluviali 4.7 Comprensori Faunistici Omogenei (CFO) 4.7 a) Premessa 4.7 b) Materiali e metodi 4.7 c) Risultati 4.7 d) Fascia ambientale Collina Litoranea 4.7 d) I - Area a Gestione Omogenea “Litorale Nord” 4.7 e) Fascia ambientale Collina Interna 4.7 e) I - Area a Gestione Omogenea “Campli-Teramo” 4.7 e) II - Area a Gestione Omogenea “Teramo Sud”

5. ANALISI DEL SISTEMA AGRICOLO

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5.1 Premessa 5.2 Materiali e metodi 5.3 Forme di utilizzo dei suoli 5.4 Grado di sfruttamento dei suoli 5.5 Redditività dei suoli agricoli 5.6 Grado di copertura vegetale dei suoli agricoli 5.7 Rischio erosivo dei suoli agricoli 5.7 a) Premessa 5.7 b) Materiali e metodi 5.8 Studio sulla Potenzialità dei suoli agricoli 5.8 a) Premessa 5.8 b) Materiali e metodi 5.8 c) Analisi statistica 5.8 d) Risultati potenzialità dei suoli agricoli

6 IL SISTEMA AGRICOLO E LE UNITA’ DI PAESAGGIO 6.1 Premessa 6.2 Tutela del paesaggio agricolo 6.3 Le unità di paesaggio della valle del Tordino 6.4 Il paesaggio di pianura 6.4 a) Analisi 6.4 b) Indirizzi e linee di gestione 6.5 Il paesaggio della collina litoranea 6.5 a) Analisi 6.5 b) Indirizzi e linee di gestione 6.6 Il paesaggio della collina interna 6.6 a) Analisi 6.6 b) Indirizzi e linee di gestione

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6.7 Il paesaggio della collina pedemontana 6.7 a) Analisi 6.7 b) Indirizzi e linee di gestione

6.8 Il Parco Agricolo “Savini” 6.8 a) Il pesaggio colturale monotono della piana 6.8 b) Aspetti ambientali 6.8 c) Indirizzi e linee guida di gestione

CARTOGRAFIA TECNICA a) Carta bioclimatica; b) Carta della naturalità della vegetazione relae ; c) Carta del rischio erosivo dei suoli agricoli; d) Carta della eco-sostenibilità del paesaggio agricolo del bacino; e) Carta della potenzialità dei suoli agricoli del bacino; f) Carte fisionomico strutturale delle zone di interesse progettuale: f 1 : Villa Pavone – Depuratore; f 2 : Villa Pavone – Terrabianca; f 3 : S.Nicolò – Secciola; f 4 : Notaresco – Grasciano; f 5 : – Colleranesco; f 6 : Giulianova – Area di foce.

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ASPETTI NATURALISTICI, FLORISTICI, FAUNISTICI E RURALI DELL’AREA DI STUDIO

1. PREMESSA GENERALE

Il Piano d’Area del Fiume Tordino, come strumento di pianificazione territoriale di scala intermedia tra il Piano territoriale di coordinamento provinciale e i Piani comunali, rappresenta anche sotto gli aspetti naturalistici ed ambientali un’opportunità per mettere a sistema esigenze ed aspettative delle comunità locali, al fine di gestire le trasformazioni del territorio in maniera coordinata e condivisa. Tale strumento, nell’ambito delle attività di attuazione del PTCP, di fatto offre l’opportunità di completare e approfondire tematiche e contenuti del PTCP.

Obiettivo centrale del piano è una crescita economica e sociale dell’area, finalizzata ad un miglioramento della qualità della vita, da perseguire attraverso uno sviluppo sostenibile del territorio, incentrato sulla valorizzazione delle risorse locali, ambientali, economiche e sociali. Allo scopo il piano propone un articolato insieme di politiche di valorizzazione delle risorse esistenti, delle eccellenze e delle pecularietà locali.

In questa logica il piano affronta tematiche legate prioritariamente alla tutela e valorizzazione ambientale. Salvaguardia ambientale accompagnata alla valorizzazione delle risorse produttive e sociali dell’area, attraverso una pianificazione strategica attenta alle potenzialità di sviluppo sostenibile del territorio.

Relativamente alle tematiche ambientali trattate in questa sezione, il principale obiettivo del Piano d’area è quello di mantenere un adeguato livello di coerenza tra le politiche del Piano e livelli della pianificazione sovraordinata e sottoordinata, quali principalmente i Piani Faunistici 6 ______

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provinciali e regionali.

Scopo principale è quello di promuovere il coordinamento e l'orientamento delle politiche settoriali in materia di qualità delle acque, qualificazione delle attività agricole, razionalizzazione dello sfruttamento economico delle risorse, promozione della fruizione, turismo e tempo libero, ecc.. Altro scopo è anche quello di promuovere la tutela attiva del territorio, attraverso forme di programmazione e gestione partecipata finalizzate allo sviluppo socioeconomico e alla riqualificazione ambientale e paesistica.

1In mancanza di riferimenti normativi guida, il lavoro si è basato su un duplice livello di approfondimento, sia per realizzare un quadro di riferimento strategico per la porzione di territorio in analisi, sia per elaborare, sulla base delle problematiche incontrate e della visione strategica condivisa dalle amministrazioni e figure coinvolte, un quadro propositivo fatto di obiettivi e politiche d’azione.

2Per quanto attiene alle politiche d’azione, durante lo svolgimento dei forum tematici con gli Enti interessati nalle materie specifiche sono emrse alcune necessità rispetto agli aspetti ecosistemici, quali principalmente la necessità di coinvolgere nel gruppo di lavoro la figura del biologo/naturalista nel processo di pianificazione, l’esigenza di conservare la funzionalità del corridoio ecologico identificato dal Tordino mantenendo o ripristinando fasce di vegetazione ripariale naturale, porre l’elemento fiume al centro del Piano d’Area, coordinando i Comuni, gli organi di controllo e le imprese in azioni volte a ridurre l’inquinamento delle acque e la presenza di microdiscariche, dedicare maggiore attenzione all’analisi degli aspetti faunistici, Incentivare interventi di rinaturalizzazione, rimboschimento attraverso l’utilizzo di vegetazione autoctona e mediterranea nei terreni incolti.

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3Per gli aspetti agricoli, invece sono emersi i seguenti obiettivi: la necessità di coinvolgere la figura dell’agronomo/forestale nel processo di pianificazione, valorizzare le produzioni locali ed incentivare il recupero dei prodotti tipici, favorire la presenza di siepi e filari di alberi interpoderali, elementi fondamentali nella costituzione della rete ecologica, considerare l’attività agricola come uno dei mezzi più efficaci nella manutenzione del territorio e dell’integrità del suolo attraverso l’attivazione di progetti mirati.

L’indagine ambientale, che contempla gli aspetti fisici, vegetazionali, faunistici e rurali dell’area di studio, con particolare attenzione all’ecosistema fluviale, è stata effettuata allo scopo di fornire un quadro preliminare sullo stato dell’ambiente e marginalmente sulla qualità ambientale delle biocenosi presenti.

Le specie floristiche, organizzate in associazioni vegetali sono state analizzate soprattutto sotto l’aspetto fisionomico legato cioè alla forma esteriore delle varie formazioni vegetali che influenzano in maniera determinante il paesaggio. Non si è comunque tralasciato di analizzare il significato biologico, inteso in termini di diversità e quindi di valore naturale delle associazioni vegetali oltre che la sua interazione con la fauna e con le altre componenti dell’ecosistema. Infatti l’ecologia delle singole specie vegetali e le loro modalità di aggregazione permettono di individuare tutta una serie di fattori geo-pedologici, climatici, geografici, zoologici e antropici, tali da consentire una buona qualificazione dell’ambito.

Per la valutazione dell’ambiente naturale è stato analizzato anche l’ambiente faunistico attraverso l’identificazione di alcune “associazioni faunistiche” individuabili sulla base degli ambienti presenti sul tratto del fiume interessato dai lavori ma anche attraverso le indicazioni di presenza/assenza dei vertebrati superiori. Queste ultime sono state desunte da riferimenti bibliografici ma soprattutto, in particolare per quanto 8 ______

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riguarda l’ornitofauna, dai rilievi censuari effettuati, in anni recenti, dalla sede locale della LIPU ed integrati dalle osservazioni personali.

Gli obiettivi e le proposte di politiche d’azione scaturite spesso dai forum tematici organizzati presso la Provincia, sono in alcuni casi già raccolte in strumenti di Programmazione a livello provinciale o sub-provinciale come il Piano Faunistico-Venatorio Provinciale o i Piani di controllo delle specie faunistiche emergenti.

Per quanto attiene infine al paesaggio rurale, lo studio condotto ha portato all’individuazione degli ambiti agricoli ed ulteriori approfondimenti sotto i profili naturalistici ed economici, ritenuti utili ai fini dello sviluppo del piano d’area e della loro utilità nella redazione dei PTCP.

2. DESCRIZIONE DEL SISTEMA FISICO

2.1 Premessa

Una analisi delle qualità ambientali non può prescindere dallo studio del sistema fisico dato che questo nel creare, assieme alla vegetazione, l’habitat per la fauna selvatica apporta importanti influenze sulle risorse viventi, siano esse luce e umidità per la vegetazione, siano esse clima e risorse trofiche per gli animali.

Le caratteristiche orografiche dell’area sono importanti in quanto, prima di altri fattori intrinseci, queste caratterizzano il paesaggio di un’area e come tali risultano spesso determinanti per la scelta dell’habitat da parte degli animali selvatici.

L’ambiente del paesaggio pianeggiante, ad esempio, differisce nettamente da quello collinare ed entrambi da quello montano per i diversi macro e micro

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fattori che interagendo tra loro lo caratterizzano.

Le differenti pendenze del terreno, invece, influiscono sulla presenza di umidità nel terreno, sulla stabilità superficiale del suolo, sull’esposizione ai raggi solari, ecc.; tutti questi fattori interagiscono poi tra loro fino a determinarne lo spettro vegetale e dunque la potenzialità faunistica.

Le caratteristiche geologiche e pedologiche di un’area, inoltre, possono avere diversi effetti, diretti ed indiretti, sulle piante e sugli animali basti pensare alla specificità vegetale di alcuni tipi di suolo (suoli acidi, calcarei, argillosi, ecc.) o alla profondità dei suoli (che influiscono sulla vegetazione e sulla fauna ipogea) oppure alla presenza di alcuni animali che trovano loro habitat ideale un affioramento litoide (uccelli rapaci, corvidi, ecc.).

Il clima dell’area è uno dei macrofattori fondamentali che intervengono nella produzione della vegetazione spontanea oltre che a definire un ambiente con maggiore o minore vocazionalità per le singole specie faunistiche.

Mentre le condizioni atmosferiche giornaliere hanno scarsa rilevanza sull’esistenza degli ecosistemi naturali, il clima considerato nella sua escursione annuale, pone grossi limiti per la vita negli ecosistemi. I principali elementi climatici di interesse sono la temperatura e le precipitazioni e la loro distribuzione annua. La quantità delle precipitazioni e la loro distribuzione stagionale, la permeabilità del suolo, il ruscellamento, ecc., hanno tutti effetti diretti sulla vita delle piante e degli animali dell’area in esame.

Le temperature poi, oltre a rappresentare un fattore principale di condizionamento diretto degli habitat naturali, concorrono, unitamente ad altri eventi meteorici quali precipitazioni, venti, ecc., al condizionamento di altri fattori quali l’evapotraspirazione, lo scioglimento delle nevi, la formazione dei venti, ecc. che influiscono anch’essi sull’ambiente.

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2.2 Orografia

Il bacino idrografico del fiume Tordino è di forma allungata, sub- rettangolare, orientato nella direzione O-SO - E-NE; la sua linea spartiacque settentrionale segna, per tutta la sua lunghezza, il confine con il bacino del fiume Salinello, mentre la linea spartiacque meridionale segna il confine con il bacino del fiume Vomano.

L’intero bacino comprende diversi piani altitudinali ma è caratterizzata, nel suo tratto finale, sostanzialmente da una stretta vallata fluviale, della larghezza media di circa 500 metri, che si presenta regolarmente piatta e da un contorno del paesaggio collinare più dolce di natura argilloso-sabbiosa e modellato secondo dorsali e vallette fluviali piuttosto ampie con fianchi debolmente acclivi. L’asta del Tordino corre diritta verso il mare, mancando sostanzialmente di tratti con le anse ed i meandri tipici invece di corsi d’acqua di zone pianeggianti, con il risultato che il trasporto solido è tale che, per tutto il tratto considerato fino anche alla zona di foce, si rinvengono ciottoli.

Le colline circostanti degradano verso il letto del fiume con una pendenza molto varia presentando, nella maggior parte dei casi, dolci degradazioni senza interruzione ma che talvolta sono rotte da ampie fratture calanchive che terminano a strapiombo sulla sottostante vallata (tratti settentrionali del bacino) rendendo così il profilo della valle trasversale e asimmetrico.

Sotto il profilo orografico il territorio del bacino risulta costituito sostanzialmente da tre settori facilmente delineabili: montano, collinare interno e collinare litoraneo.

Il Territorio Montano occupa il quadrante più ad Ovest del bacino, inquadrabile nei territori ad Ovest della città di Teramo, ed è costituito sostanzialmente dalla catena dei . Di natura arenacea e

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disposta in direzione nord-sud, essa presenta numerose vette con altitudine superiore ai 2.000 metri, Pizzo di Sevo, Monte Pelone, Cima Lepri, Monte di Mezzo e culmina con i 2.458 metri del .

Tutta la restante zona montagnosa compresa tra le citate dorsali è costituita da numerosi rilievi minori, per lo più ricoperti da fitte boscaglie intervallate da solchi vallivi, aspri torrenti e da pascoli, che mano a mano degradano verso le colline interne di tipo arenaceo-marnoso. Nel settore montano le valli si presentano generalmente strette ed incassate fino a formare vere e proprie gole, come quelle visibili in località Faieto di Valle S.Giovanni. Tale settore comprende i seguenti comuni ricompresi nel territorio della Comunità Montana della Laga (zona M): Campli, Rocca S. Maria, , .

Il settore Collinare interno del bacino è costituito da un paesaggio dominato da alte colline, modellate su terreni arenacei e argilloso-arenacei, con profili spesso aspri ed impervi costellate da numerosi affioramenti litoidi e ricoperte, per lo più da fitte boscaglie. Le pendenze, seppure diminuite rispetto ai territori montani, risultano ancora piuttosto elevate ed hanno consentito uno sviluppo moderato dell’agricoltura. I comuni che rientrano in tale comprensorio sono quelli di Teramo, Torricella Sicura, Campli, Poggio Cono, Canzano, .

Dalla collina interna del territorio pedemontano si passa, procedendo verso il mare, al territorio collinare litoraneo costituito da colline, di natura argilloso- sabbiosa e argilloso-marnosa, con margine piuttosto addolcito e pendenze attenuate, alternate da fossi e valli fluviali. Ad interrompere bruscamente il contorno delle colline teramane sono qui piuttosto frequenti le formazioni calanchive di origine erosiva.

Nel settore collinare le valli sono più ampie e meno acclivi in un crescendo strutturale che dalle zone pedemontane arriva fino alle piane alluvionali di

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fondovalle.

La fascia costiera è costituita dal litorale, che si presenta sabbioso e sabbioso-ciottoloso fino a divenire esclusivamente ghiaioso in prossimità della foce, e dall’entroterra pianeggiante di alcune centinaia di metri che termina sovente con falesie inattive alte 100-150 metri interrotte in prossimità della foce.

2.3 Sistema climatico

Il clima, con i suoi principali elementi (temperatura e precipitazioni), è di estrema importanza in una analisi ambientale di un dato territorio grazie ai suoi importanti effetti sulla vita delle piante e degli animali di quell’ambiente.

Tab.1- stazioni pluviometriche e termometriche ricadenti nel bacino del Fiume Tordino e relativi dati. (dati Servizio Idrografico dello Stato, sezione di Pescara).

Località Quota (slm) Precipitazione Temperatura media media annua annua (mm) (°C)

Cortino 1000 1084 10,3

Ginepri 820 867 11,4

Campli 396 909 13,9

Bellante 354 718 14,2

Teramo 288 808 14,6

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Giulianova 61 653 16,0

In particolare per le piante, non ha molta importanza il clima in senso stretto, cioè l’incidenza dei singoli fattori, quanto la reciproca combinazione di due o più di essi, soprattutto piogge e temperature. Sulla base di queste considerazioni sono state realizzate rappresentazioni cartografiche che tentano di raffigurare tali situazioni macroclimatiche sull’intero territorio nazionale, come la Carta Bioclimatica d’Italia di Tomaselli (Tomaselli, Balduzzi, Filipello - 1973), che sono di grande aiuto nella comprensione della vegetazione potenziale dei territori nazionali.

Tutti i dati riportati nella seguente tabella (Tab.1) sono stati acquisiti dal Servizio Idrografico dello Stato, sezione di Pescara, e rinvenuti dalle stazioni pluviometrico-termometriche ricadenti nel bacino del fiume Tordino.

I dati delle precipitazioni annue medie registrate in 54 anni di osservazioni hanno permesso di produrre la Carta delle Isoiete della Provincia di Teramo (da Castiglione Giovanni, “Analisi del territorio provinciale finalizzata alla creazione su base geografica ed ecologica delle aree di gestione faunistica” Gennaio 1998), dalla quale si desume la Carta delle isoiete del Bacino del Fiume Tordino.

Per la distribuzione delle varie essenze vegetali hanno particolare rilevanza le precipitazioni stagionali in quanto le piante sono più sensibili al modo con cui le piogge si distribuiscono durante il corso dell’anno che non al loro valore di piovosità assoluto. Nella Regione mediterranea, clima ascrivibile alla fascia costiera del bacino in aanalisi, le maggiori disponibilità idriche si hanno nella stagione autunno-vernina quando cioè le piante sono in riposo vegetativo e viceversa si ha una loro carenza quando le piante sono in fase di sviluppo

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vegetativo.

Questo provoca che malgrado siamo in presenza di valori di precipitazioni annue piuttosto rilevanti, l’acqua non risulta disponibile per le piante in quanto la distribuzione delle piogge non rispetta i fabbisogni effettivi delle piante stesse (Tammaro, 1986).

Dall’esame dei dati rilevati sul bacino fluviale del Tordino si può facilmente desumere come le aree meno piovose siano quelle pianeggianti costiere (700- 800 mm. annui), quelle mediamente piovose siano quelle collinari interne (900-1.000 mm. annui), mentre quelle più piovose ricadano in corrispondenza dei massicci più elevati (1.300-1.500 mm. annui).

Le temperature media annue, calcolate sempre nel periodo storico indicato, anch’esse desumibili dalla Tabella 1 oscillano tra 10° C nel settore montano ai 14° C in quello pedemontano ai 16° C della collina litoranea. Per l’analisi dei fattori climatici nel contesto analizzato si rimanda all’apposita sezione sull’analisi bioclimatica dove l’intero territorio in analisi è stato trattato per differenti regioni bioclimatiche.

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3. ANALISI DELLA VEGETAZIONE

3.1 Premessa

Lo studio della vegetazione presente in un sito, con particolare riguardo a quella naturale, è di primaria importanza in una analisi del sistema agroambientale di un territorio, soprattutto se finalizzata ad ulteriori approfondimenti faunistici.

Innanzitutto la copertura vegetale reale di un sito costituisce il fattore principale per la caratterizzazione di un habitat di quel sito, definendone i vari ambienti più o meno naturali: praterie, cespuglieti, boschi, campi coltivati, ecc.. Non a caso, infatti, vengono espressi giudizi sul valore degli habitat per le diverse specie animali in base alla presenza-assenza di certe specie di piante. La presenza e l’abbondanza relativa delle specie vegetali, inoltre, sono ottimi indicatori della qualità ambientale, intesa in senso più ampio, di quel luogo.

La “qualità del sito” secondo è appunto la somma totale dei fattori che condizionano la capacità produttiva di foreste o altra vegetazione (Spurr e Barnes, 1973). La capacità di produrre vegetazione fornisce poi anche una misura della capacità di produrre vita animale (Gysel, 1994). Ecco dunque che le piante, sebbene come indicatori delle condizioni dell’habitat sono difficili da riportare ad una misurazione strumentale, permettono all’osservatore sul campo di dedurre una grande quantità di informazioni sull’area.

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3.2 Metodologia

Lo studio della vegetazione è stato condotto attraverso le seguenti fasi:

• Analisi bioclimatica del bacino idrografico;

• Studio della vegetazione potenziale del bacino idrografico attraverso analisi delle carte tematiche e dei dati bioclimatici;

• Studio della vegetazione reale del bacino idrografico attraverso analisi dei dati bibliografici, fotointerpretazione della copertura vegetale e sopralluoghi di verifica;

• Valutazione della naturalità delle fitocenosi presenti nel bacino idrografico e produzione di cartografia tecnica;

• Studio della copertura vegetale del corridoio fluviale di intervento mediante fotointerpretazione e produzione di cartografia tecnica;

• Analisi fitosociologica degli ambiti di maggiore interesse del corridoio fluviale di intervento.

3.3 Analisi Bioclimatica

3.3 a) Premessa

La definizione dei parametri climatici assume, nell’ambito delle analisi delle caratteristiche ambientali di un territorio, una grande rilevanza in quanto essi intervengono, unitamente agli altri fattori abiotici (pedologici, ecc.), sulla distribuzione degli ecosistemi. Le specie vegetali, infatti, risultano raggruppate in stazioni ecologicamente equivalenti grazie al loro comportamento simile ad 17 ______

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una sorta di strumento registratore di tutte le condizioni ecologiche che si trovano in un dato ambiente.

I fattori bioclimatici presi in considerazione sono essenzialmente le precipitazioni e la temperatura dato che l’acqua ed il calore sono gli elementi fisici che maggiormente condizionano la vita.

Questi fattori, seppure non del tutto sufficienti a spiegare completamente le distribuzioni degli aggruppamenti vegetali spontanei, possono servire allo scopo quando la definizione dei risultati ottenuti non sia un requisito importante.

Attualmente, per rendere più obiettivi tali elaborazioni, si tende a ricorrere a studi approfonditi che contemplino altri parametri quali l’escursione termica annua o la media delle minime del mese più freddo, la capacità idrica del suolo, l’esposizione dei versanti, ecc., e ad applicare poi metodi numerici dell’analisi multivariata per l’ordinamento dei dati e la definizione dei tipi climatici delle diverse stazioni analizzate (Pignatti S., 1995).

Per gli obiettivi del nostro elaborato si ritiene, comunque, che l’analisi bioclimatica basata sui diagrammi pluviometrici ed ombrotermici, soddisfi pienamente anche il grado di approfondimento dell’argomento specifico.

Per l’analisi bioclimatica ci si è rifatti alla classificazione del Tomaselli, la quale arriva, sulla base dello studio vegetazionale di diversi autori integrato con dati e formule di interpretazione climatica, al riconoscimento dei vari tipi climatici (Tomaselli, 1973).

Secondo tale interpretazione sul territorio del bacino fluviale del Tordino possiamo distinguere diverse tipologie bioclimatiche variabili soprattutto in funzione della propria altitudine e latitudine. Il clima al quale appartiene tale territorio è ascrivibile sostanzialmente ad entrambe le tipologie riscontrabili nella penisola italiana, quella di tipo mediterraneo e quella di tipo temperato, 18 ______

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con le diverse sottoregioni climatiche che le appartengono.

Tab. 2: Tipologie bioclimatiche riscontrabili nella Provincia di Teramo, in evidenza le stazioni ricadenti nei territori del bacino del Tordino

CLIMA REGION SOTTOREGION STAZIONI TERMO-PLUVIOMETRICHE E E

Mediterraneo Xeroterica Mesomediterran Colonnella, Giulianova, Roseto d. A., ea Silvi alta

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Ipomesaxerica Nereto, Bellante, Guardia Vomano, Atri, Ancarano, Teramo, Campli Mesaxerica Montefino, Villa Vallucci, Colledara, Temperato Arsita, Isola del G.S., Castelli, Nerito, Fredda(B) ecc. Temperato

Temperato Cortino, Ortolano, Pietracamela, Fano a Fredda(A) Corno Axerica Fredda Molto Stazioni al di sopra dei 1.800 metri Fredda s.l.m.

3.3 b) Clima mediterraneo.

Il clima mediterraneo è caratterizzato dall’avere la curva termica sempre positiva ed un periodo di aridità estiva di durata variabile da uno a otto mesi.

La fascia costiera teramana, e le colline retrostanti fino a circa un chilometro dalla linea costiera e ad una altitudine di circa 100-150 metri s.l.m., può essere considerata come appartenente alla sottoregione mesomediterranea caratterizzata da un periodo secco che ha luogo nei mesi estivi; le piogge, invece, prevalentemente a carattere temporalesco, sono concentrate nel periodo invernale ed oscillano su valori medi annui di circa 650 mm. annui (653 mm/anno di Giulianova).

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La temperatura media annua piuttosto elevata, pari a 16° C (Lauretum sottozona calda secondo la classificazione del Pavari e del De Philippis), ed il prolungato periodo siccitoso estivo, di circa quattro mesi, fanno rientrare tali località nel climax del leccio (Quercion ilicis Br.-Bl. 1936), ma localmente anche in quello dell’oleastro e del carrubo (Oleo-Ceratonion Br.-Bl. 1936). Tale corrispondenza del periodo arido (o “xerico”) con i mesi estivi può determinare, quale adattamento biologico per prevenire il fenomeno dell’appassimento, la coincidenza di tale periodo con la stasi vegetativa delle piante.

3.3 c) Clima Temperato

Il clima temperato, che per estensione e tipologia è senza dubbio quello più rappresentativo del territorio provinciale e del bacino, risulta caratterizzato dall’avere la curva termica sempre positiva e periodi di siccità decisamente più ristretti del precedente. Il territorio più interno rappresentato dall’antiappennino argilloso, situato a ridosso della fascia costiera precedentemente analizzata, può essere ascrivibile, appunto, alla sottoregione ipomesaxerica, appartenente a sua volta alla regione mesaxerica del clima temperato.

Tale tipo bioclimatico presenta temperature medie che oscillano dai 14,6 °C di Teramo ai 10,3 °C di Cortino con le temperature del mese più freddo comprese fra 0 e 10 °C ed il verificarsi, dunque, di gelate più o meno frequenti.

Sia grazie alla posizione geografica di tali stazioni rispetto alle correnti d’aria fredda di origine atlantica e sia grazie all’influsso del clima mediterraneo di cui esse godono, il minimo invernale tende a verificarsi solo verso la fine della stagione invernale e dunque per un breve periodo.

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Il regime delle precipitazioni risulta sdoppiato in due periodi di massima attività, nelle stagioni primaverile ed autunnale, e nei rimanenti due periodi di minima attività; le basse temperature che accompagnano le brevi precipitazioni invernali non consentono, comunque, il verificarsi di una vera e propria stagione secca.

I valori pluviometrici medi riscontrati nel Bacino oggetto dell’analisi oscillano, comunque, tra i 653 mm della zona a ridosso della costa (Giulianova) ai 1.085 mm delle zone più interne (Cortino).

Il climax corrispondente a tale tipologia bioclimatica è quello della roverella (Quercus pubescens Willd.) cioè la forma di vegetazione più termofila del clima temperato.

La sottoregione temperato fredda, appartenente alla regione axerica fredda del clima temperato, è il tipo bioclimatico che copre tutta la zona montana della provincia di Teramo fino al limite superiore della vegetazione arborea (1.800 metri s.l.m.). Le sue caratteristiche climatiche sono essenzialmente la curva termica che scende al di sotto di 0 °C per un periodo massimo di 3-4 mesi e la mancanza di periodi di aridità con piogge piuttosto abbondanti (1.000-1.500 mm).

La sottoregione temperato fredda in viene considerata suddivisibile in due tipologie di cui la prima nelle zone comprese tra i 400 ed i 900 metri di altitudine che risente maggiormente dell’influenza mitigatrice del mare e l’altra da questa quota fino ai 1.800 metri (Tammaro, 1986).

La prima sottoregione, localizzabile al di sotto dei 1.000 metri di quota presenta una piovosità compresa tra i 900 mm. di Campli e di Civitella del Tronto ed i 1000 mm. di Cortino; il climax corrispondente è quello della roverella e della rovere (Quercion pubescenti-petreae Br.-Bl. 1931) con buona potenzialità soprattutto per il cerro.

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L’altra tipologia comprendente i territori montani al di sopra dei 1.000 metri altitudinali presenta, invece, valori di piovosità media annua che arrivano fino ai 1.300 mm.. Il climax, che segna qui anche il limite superiore della vegetazione arborea, è quello del faggio denominato Fagion-sylvaticae (Pawl., 1928).

La Sottoregione molto fredda, appartenente sempre alla regione axerica fredda del clima temperato è localizzato nella provincia teramana oltre il piano della vegetazione arborea ed interessa dunque, nel bacino in esame, le vette delle montagne principali appartenenti ai comprensori della Laga.

In questa sottoregione il fattore limitante risulta il freddo, occupando il gelo un periodo di 6-8 mesi l’anno.

Il climax corrispondente è quello delle praterie montane (Caricetea curvulae Br.-Bl. 1926) che si alterna ai bassi arbusti a ginepro comune (Juniperus communis subsp. nana) denominata Juniperion nanae e vegetazione delle pareti rocciose d’altitudine.

3.4 Vegetazione potenziale del bacino del Tordino

Per vegetazione potenziale si intende quella che, in un determinato territorio, sarebbe capace di installarvisi naturalmente in equilibrio con l’ambiente. La rilevanza tecnico-pratica dell’inquadramento vegetale potenziale del sito sta, oltre alla sua capacità di prevedere l’evoluzione naturale del territorio, in tutte le applicazioni della pianificazione ecologica territoriale quali principalmente:

(a)l’individuazione di aree a vegetazione equilibrata da conservare;

(b)nell’individuazione delle specie naturali, con le medesime esigenze ecologiche e più idonee in un determinato territorio, da utilizzare in un piano

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di rimboschimenti a fini produttivi, ambientali-protettivi;

(c)nella scelta delle essenze per la piantumazione di mitigazione degli impatti di un manufatto.

Dal punto di vista della vegetazione potenziale l’area analizzata del bacino dei fiume Tordino può essere suddivisa fondamentalmente in tre settori (R. Tomaselli, Balduzzi A., Filipello S.,1973):

1) Fascia litoranea al quale appartiene la zona di costa, la cui vegetazione potenziale sarebbe caratterizzata da alleanze di sclerofille sempreverdi tipiche della sottoregione bioclimatica mesomediterranea, dominate da leccio (Quercus ilex L.), sughera (Quercus suber L.) e olivo (Olea europea L.), però con una certa tendenza salendo sulle colline prospicienti la costa adriatica, a forme di vegetazione con potenzialità anche per la roverella (Quercus pubescens Willd.).

2) Fascia sub-litoranea, riconducibile nel bacino del Tordino al settore compreso tra la precedente area fino all’abitato di Teramo, appartenente alla sottoregione bioclimatica submediterranea di transizione; la vegetazione potenziale sarebbe qui caratterizzata da formazioni in prevalenza di latifoglie decidue con dominanza delle querce termofile o termo-mesofile appartenenti al climax della roverella (Quercus pubescens Willd.) e della rovere (Quercus petraea (Matt.) Liebl.) con potenzialità anche per il cerro (Quercus cerris L.); la predominanza dell’una o dell’altra sarebbe dovuta alle differenze di altitudine, substrato pedologico e disponibilità idrica (Tomaselli, Balduzzi, Filipello,1973).

3) Fascia preappenninica ; al di sopra dei 400-500 metri di altitudine, ovvero già dalle colline prospicienti la città di Teramo, la vegetazione potenziale sarebbe costituita dalle varie formazioni caratteristiche dei bioclimi temperati della fascia preappenninica, come quelle dominate dalle querce

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termo-mesofile, climax della roverella e della rovere (Quercion pubescenti- petraeae Br.-Bl. 1931); le specie più significative del tali formazioni sono Ostrya carpinifolia, Fraxinus ornus, Prunus spinosa, Crataegus monogyna, Acer campestre, Juniperus communis, Acer obtusatum, Rosa canina, Ulmus minor, ecc., altra formazione caratteristica è quella delle querce mesofile, climax del frassino, del carpino e della farnia (Fraxino-Carpinion Tx. Et Diem. 1936); qui le specie più significative sono Quercus robur, Corylus avellana, Hedera helix, Crataegus monogyna, Ulmus minor, Cornus sanguinea, Acer campestre, ecc..

4) Fascia appenninica montana caratterizzata dal climax del faggio (Geranio-Fagion Gentile 1970); al di sopra dei 1.000 metri circa, la vegetazione potenziale risulterebbe caratterizzata dalle formazioni decidue di faggio di tipo medio-europeo suddivise fitosociologicamente in varie associazioni tutte appartenenti all’alleanza Fagion sylvaticae; specie caratteristiche di tali associazioni sono Galium odoratum, Phyteuma spicatum, Anemone nemorosa, Dryopteris filix-mas, Paris quadrifolius, ecc.: al di sopra delle formazioni di faggio, con una linea di demarcazione piuttosto netta, troviamo le praterie d’altitudine del piano cacuminale; il limite superiore del faggio, risulta variabile a seconda della latitudine (Furrer et al., 1960) e dunque dall’esposizione dei versanti della montagna (Ortolani, 1964).

3.5 VEGETAZIONE REALE DEL BACINO

3.5 a) Premessa

La vegetazione reale dell’intero bacino idrografico del fiume Tordino, laddove essa si è preservata all’incuria dell’uomo, si presenta nella maggior parte delle situazioni discordante da quella potenziale naturale e ben più disomogenea da questa nella forma. Tale discordanza dalla situazione

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potenziale a quella reale, come accade normalmente su tutto il territorio nazionale, si attenua procedendo dalla costa alla montagna; qui le cenosi forestali sono rimaste pressoché originarie o almeno hanno conservato molto della loro naturalità.

In questa sezione la vegetazione reale, con particolare riguardo ai paesaggi forestali, sono stati inquadrati, per un esame più dettagliato in base ai loro caratteri di composizione e struttura e correlate all’ambiente climatico e pedologico.

In tal modo sarà possibile individuare all’interno dell’area di bacino i territori relativamente omogenei sotto il profilo ecologico e caratterizzati dalla predominanza di una formazione vegetale primaria, naturale o seminaturale, le cui tracce sono ancora presenti.

Per questa analisi si farà riferimento alla zonazione altitudinale solitamente utilizzata in fitogeografia con la distinzione del territorio provinciale in piani e orizzonti di vegetazione, riportata sinteticamente nella seguente tabella.

Tab. 3: Zone altitudinali di vegetazione presenti nel territorio del bacino del fiume Tordino

PIANI ORIZZONTI ALTITUDI TEMPERATUR PRECIPITAZION ALTITUDINA NE E I LI

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Orizzonte delle 0-500 m 8-28 °C 500-800 mm sclerofille Piano Basale s.l.m.

Orizzonte delle latifoglie 500-1.000 0-20 °C 800-1.100 eliofile m mm. s.l.m.

Piano Orizzonte delle 800-1.800 -3-16 °C 1.000-1.300 Montano latifoglie m mm sciafile s.l.m.

Piano Orizzonte delle 1.800-2.900 -10-10 °C 1.200-1.500 Cacuminale praterie m mm d’altitudine s.l.m.

3.5 b) Piano Basale - Orizzonte delle sclerofille

Fanno parte di questo orizzonte i territori del bacino del Tordino ascrivibili alla fascia costiera e all’entroterra, a suo diretto contatto, fino ad una altitudine approssimativa di circa 400 metri s.l.m., ovvero fino all’abitato di Teramo.

Esso comprende alcune limitate stazioni a temperature più elevate, con valori che vanno dai 9-10 °C del mese più freddo ai 26-28 °C di quello più caldo (Lauretum sottozona calda), e stazioni meno calde, la stragrande maggioranza del territorio, con temperature con valori minimi di 8-9 °C e massimi di 24-25 °C (Lauretum sottozona fredda). I valori medi annui di temperatura sono, 27 ______

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comunque, sempre superiori ai 12 °C mentre le precipitazioni risultano piuttosto basse con valori di 500-800 mm annui.

Per una trattazione più completa si ravvede la necessità di una trattazione separata per tre differenti fasce: Litoranea, Planiziale e Collinare.

3.4 b) I - Orizzonte delle sclerofille - Fascia litoranea

Partendo dal livello del mare si può constatare come la fascia litoranea dei territori Comunali di Giulianova e , sia per la sua intensa urbanizzazione e viabilità, che per l’utilizzazione balneare dell’intero tratto costiero, abbia perduto quasi completamente le originarie formazioni di vegetazione mediterranea sempreverde predominate dalle latifoglie.

Un elemento caratteristico è qui rappresentato dalle pinete, talvolta estese, a Pinus pinaster, Pinus halepensis e Pinus pinea impiantate ad opera dell’uomo principalmente sulla costa a protezione dai venti marini ed attualmente al servizio di campeggi, stabilimenti balneari ed aree sosta con tipico sottobosco a gariga o completamente inesistente.

Sulla costa sono quasi inesistenti le associazioni tipiche spontanee della macchia mediterranea, frutto dell’utilizzo capillare e dell’incuria dell’uomo negli ambienti costieri (pascolo, esbosco a raso, incendio, ecc.). In alcuni tratti dell’autostrada A-14, invece, sulle falesie sovrastanti vegeta, tra l’altro, l’Ampelodesma tenax Link, la cui presenza, secondo alcuni autori (Fenaroli L., 1970), oltre ad essere indicatrice dell’area coperta dalla macchia, denuncerebbe la degradazione di associazione primaria di lecceta per le principali ragioni antropiche di quelle stazioni.

I pochi ambienti che conservano fitocenosi molto interessanti, unici spunti di vegetazione naturale in un ambito completamente antropizzato, sono quelli in

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prossimità dell’area di foce. Qui accanto ad un modesto apparato deliziale, è possibile osservare una vegetazione molto sviluppata. In particolare qui la vegetazione è costituita principalmente da associazioni palustri a Phragmites australis, con densi popolamenti che impegnano gli argini e le zone con acqua bassa e lenta, che si alternano a formazioni forestali di Pioppo bianco (Populetaliae albae).

A parte sparute stazioni di Convolvolus soldanella e Cakile marittima, sono del tutto assenti le specie colonizzatrici delle spiagge ascrivibili ai Cakiletalia maritimae, Salsola kali, Ammophila arenaria, Medicago littoralis, Lotus creticus, Sporobolus arenarius, che laddove esistenti contribuiscono fattivamente al processo di ricostituzione dunale (Adamoli L., Febbo D., Pirone G., 1997).

3.5 b) II - Orizzonte delle sclerofille - Territori planiziali

I territori planiziali del Fiume Tordino prospicienti l’area di foce, risultano contraddistinti da una razionale e quasi completa utilizzazione agricola, indice della loro grande potenzialità produttiva, oltre che da un’intensa rete viaria ed una fitta maglia di edificato sia di tipo residenziale e sia di tipo industriale. Esso appare dominato dalle coltivazioni agrarie, soprattutto seminativi non irrigui e seminativi arborati, mentre i nuclei di vegetazione naturale sono relegati ad ambiti molto marginali (siepi, aree o manufatti in abbandono, fossi di scolo, ecc.) inutilizzabili dal punto di vista produttivo.

Questa utilizzazione antropica delle risorse naturali ed in particolare relativamente a quella dei suoli agricoli ha condotto dunque la vegetazione reale del piano basale e collinare ad una situazione che si discosta più o meno nettamente da quella potenziale citata.

Ai margini dei campi e dei fossi di scolo è facile osservare in primavera i 29 ______

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gialli fiori del farfaro (Tussilago farfara) e le fronde dell’equiseto (Equisetum arvense), mentre le siepi ospitano piante rampicanti o volubili come il vilucchio (Convollolus sepium), la dulcamara (Solanum dulcamara) e il luppolo (Humulus lupulus).

I terreni abbandonati o compattati, in particolare quelli argillosi, sono colonizzati da associazioni a orzo selvatico (Hordeum murinum), bromo (Bromus sterilis) e gramigna (Cynodon dactylon e Agropyrum repens).

Tra le specie avventizie che caratterizzano vistosamente il paesaggio vegetale delle pianure fluviali come anche dei più bassi rilievi, meritano un cenno la robinia (Robinia pseudoacacia) e l’ailanto (Ailanthus altissima). In particolare la robinia, introdotta dall’America settentrionale nel XVII Sec., è oggi un elemento comune nelle siepi, argini e scarpate stradali oltre che nei cedui collinari, dove l’assetto attuale è un ceduo a robinia e roverella. L’ailanto, un secolo più tardi, venne invece dalla Cina per diffondersi soprattutto lungo strade, fossi, scarpate e corsi d’acqua principali in associazioni ripicole.

Le colture agrarie, con il loro suolo poco coperto e quindi tale da offrire scarsa concorrenza offrono ampie possibilità di diffusione a specie spontanee locali (apofite) ed ancora alle cosiddette “avventizie” trasportate più o meno volontariamente dall’uomo (antropofite) e provenienti da paesi diversi a clima simile o talvolta molto diverso dal nostro. I raggruppamenti di queste “malerbe” sono ampiamente condizionati dai trattamenti che il suolo subisce in relazione alle coltivazioni ed alla copertura propria della specie coltivata.

Nella coltura del frumento, ad esempio, predominano così i papaveri (Papaver rhoeas), le anagallidi (Anagallis arvensis) ed i fiordalisi (Centaurea cyanus), in quella del mais l’amaranto (Amaranthus retroflexus), la persicaria (Polygonum persicaria), il falso convolvolo (Polygonum convolvolus) e alcune setarie (Setaria glauca, S. viridis, S. verticillata).

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È comunque lungo i corsi d’acqua che possono ritrovarsi ancora raggruppamenti vegetali poco influenzati dall’uomo, come le fasce a canne palustri (Phragmites communis) e grandi carici (Carex spp.) seguiti all’esterno da una fascia arborea a salici (Salix spp.), pioppi (Populus Spp.), ecc..

3.5 b) III - Orizzonte delle sclerofille - Fascia collinare

Nella prima fascia collinare, a ridosso del piano costiero basale fino all’altitudine di circa 500-600 metri s.l.m., la vegetazione naturale conserva solo qualche traccia del suo passato. Qui le uniche isole di vegetazione spontanea residua, sia essa in una fase di regressione, cioè di allontanamento dal “climax”, o di progressione, cioè di raggiungimento del climax, sono infatti quelle relitte dei luoghi inaccessibili all’utilizzo agricolo o abbandonati dall’uomo in quanto eccessivamente impervi quali scarpate e dirupi ai margini dei campi, zone in erosione e calanchive a ridosso dei fossi, corsi d’acqua, ecc..

Questi ultimi lembi di vegetazione sono edificati, nella maggior parte dei casi, su aree in erosione e costituiti da una copertura vegetale erbacea spontanea sulla quale spiccano sparute associazioni di mantello con cespuglieti, arbusteti e siepi delle specie colonizzatrici per eccellenza (ordine Prunetalia). Tali stazioni, che spesso degenerano in vere e proprie formazioni calanchive, sono reperibili sulle affluenze del Fiume ove colonizzano i pendii scoscesi di fossi e torrenti che solcano le colline.

Talvolta, assieme ai cespugli sono presenti anche sparuti esemplari o limitati boschetti misti con le specie pioniere quali Ulmus minor e Quercus pubescens, ormai degradati per l’eccessiva ceduazione e con numerose presenze di elementi termoxerofili quali Spartium iunceum, Asparagus acutifolius ed a partire dalla costa fino alle porte della città di Teramo dell’esotica Tamarix

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africana, ecc.. Laddove esiste la presenza di falda freatica superficiale o la diretta vicinanza di corsi d’acqua ed i terreni risultano freschi ed umidi, si riscontra l’esistenza di cenosi ripariali igrofile a salici (Salix spp.), pioppo bianco (Populus alba L.), sanguinello (Cornus sanguinea L.), ecc..

Al margine con tali formazioni calanchive o in presenza di aree litoidi emergenti scartate dalle coltivazioni, talvolta è possibile trovare residui delle cenosi boschive termofile originariamente presenti su aree molto più estese, come le formazioni con prevalenza di querce caducifoglie, nelle quali l’eccessiva ceduazione delle essenze originarie più deboli come il leccio ha provocato la degradazione della foresta originaria con il sopravvento di altre essenze spontanee più resistenti (Quercus pubescens, Fraxinus ornus, Prunus avium, Ulmus minor), e talvolta all’invasione di specie spontaneizzate (Robinia pseudoacacia, Ailanthus altissima).

Tali formazioni si presentano per lo più molto aperte e per questo ricche di vegetazione erbacea (Dactylis glomerata, Bromus erectus, Asparagus acutifolius, ecc.) nel sottochioma; anche la vegetazione arbustiva è molto presente, a tratti invadente ed intricata con una copertura variabile tra il 20 ed il 50%, in particolare lungo il mantello di vegetazione esterno alla boscaglia.

Qui sono presenti soprattutto la ginestra (Spartium junceum), la tamerice (Tamerix africana), il sanguinello (Cornus sanguinea) e nello strato epifitico le perenni volubili quali rovo (Rubus ulmifolius), vitalba (Clematis vitalba) e vite selvatica (Vitis vinifera subsp. Sylvestris).

Tipiche associazioni che si reperiscono sulle basse colline del teramano sono quelle miste di sclerofille sempreverdi e di caducifoglie termofile quali l’Orno-Quercetum ilicis e l’Ostryo-Quercetum ilicis le cui presenze non sempreverdi, Fraxinus ornus, Carpinus orientalis, Ostrya carpinifolia, Quercus pubescens hanno completamente sostituito l’originario leccio.

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A contatto con queste formazioni forestali termofile troviamo diverse cenosi ad arbusto del cosiddetto mantello di vegetazione, che occupa uno spazio squisitamente ecotonale, ed alla cui composizione concorrono numerose essenze arbustive. Caratteristiche di tali stazioni, limitatamente al mantello dei residui di bosco, sono le presenze di numerosi elementi termoxerofili quali la ginestra (Spartium junceum) , l’asparago (Asparagus acutifolius), ecc., ed in prossimità delle aree calanchive con suoli molto argillosi la tamerice (Tamarix africana).

Spesso queste specie le ritroviamo anche da sole o con appena qualche elemento forestale (Ulmus minor, Acer campestris, ecc.) allo stato arbustivo fino a costituire fitte macchie di cespugli.

Le praterie sono qui costituite da sottili cotiche erbose di piante xerofite resistenti alla forte siccità estiva di queste stazioni in cui il clima è ancora mediterraneo; le specie sono di piccole dimensioni, hanno il ciclo breve e durante l’estate scompaiono siano esse Graminacee, Brachypodium distachyum, Phleum arenarium, Avena barbata, Bromus sp. d., Cynodon dactylon, e siano esse Leguminose, Medicago minima, Trifolinm stellatum, Trifolium scabrum, Onobrychis caput-galli; altre specie presenti sono Erodium cicutarium, Silene gallica, Rumex bucephalophorus, Paronychia argentea.

Sugli incolti provenienti da ex coltivi e pascoli abbandonati o sulle scarpate di strade dominano le specie erbacee terofite con dominanza di specie sinantropiche ed adattate ad ambienti xerici.

Essi costituiscono gli stadi pionieri della vegetazione che aprono ad una successione secondaria; le specie più comuni sono Avena barbata, Bromus gussonei, Dactylis glomerata, Hordeum leporinum, Lolium perenne, Poa trivialis, Borago officinalis, Raphanus raphanistrum, ecc.

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3.5 c) - Orizzonte delle latifoglie eliofile

Fanno parte di questo orizzonte i territori del bacino del Tordino appartenenti alla fascia sub appenninica e dell’entroterra a suo ridosso fino ad una altitudine approssimativa di circa 1.000 metri s.l.m., fino cioè indicativamente all’abitato di Cortino.

Questa zona presenta maggiori precipitazioni della precedente, 800-1.200 mm annui, e temperature più miti con valori invernali di 0-5 °C ed estivi di 17-20 °C (sottozona fredda del Lauretum e sottozona calda del Castanetum). La temperatura media annua risulta sempre superiore ai 10 °C e le precipitazioni presentano due massimi stagionali, in autunno ed in primavera, ed un minimo estivo.

3.5 c) I - Orizzonte delle latifoglie eliofile – Fascia collinare

Allontanandosi dalla costa e risalendo verso i rilievi appenninici della fascia pedemontana il paesaggio dominante è quello tipico della collina interna appenninica in cui le coltivazioni agricole, sempre più a carattere marginale, salendo di quota si alternano a boschi e boschetti governati a ceduo.

Numerose sono le formazioni forestali ancora presenti ed addirittura in via di ripristino; cerrete, roverellete, farnete, corileti, ostrieti, castagneti, ecc., costituiscono infatti il patrimonio forestale di questo territorio rendendo il paesaggio piuttosto frammentato.

3.5 c) II - Orizzonte delle latifoglie eliofile – Fascia collina interna

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Risalendo verso l’Appennino calcareo, al di sopra dell’abitato di Valle S.Giovanni, incontriamo estese stazioni provinciali di macchia mediterranea o pseudomacchia derivanti probabilmente dalla degradazione di leccete e querceti misti, con presenze arbustive di leccio (Quercus ilex), ginepro rosso (Juniperus oxycedrus), cisto (Cistus incanus), citiso (Cytisus sp.d.), ecc. accompagnate da essenze non mediterranee quali roverella (Quercus pubescens), carpinella (Carpinus orientalis), aceri (Acer sp.d.), ecc.. (Tammaro, 1986).

Importanti sono le stazioni situate sulle rupi rocciose esposte a sud dei torrenti montani sul torrente Fiumicello, presso Valle S. Giovanni; ecc.. (n.d.a.).

Le formazioni di querce termofile, incontrate nell’orizzonte precedente, lasciano qui il posto alle formazioni di querce termo mesofile, nel climax della roverella (Quercus pubescens) e della rovere (Quercus petraea) denominate Quercion pubescenti-petraeae Br-Bl. e mesofile nel climax del frassino (Fraxinus excelsior) del carpino (Carpinus betulus) e della farnia (Quercus robur), denominate Fraxino-Carpinion.

Nell’orizzonte delle foreste termo-mesofile il predominio delle singole specie di quercia sulle altre è motivato principalmente dalle condizioni edafiche del suolo. La roverella (Quercus pubescens), infatti, predilige i settori più bassi e suoli derivanti da rocce calcaree, unendosi ai sorbi (Surbus domestica, S. torminalis), agli aceri (Acer campestre, A. opalus) ed a numerose specie arbustive.

Il cerro (Quercus cerris), che predilige invece stazioni più alte con temperature inferiori e precipitazioni maggiori, predomina sui substrati argillosi e più freschi assieme alla rovere (Quercus petraea), al carpino bianco (Carpinus betulus), al frassino maggiore (Fraxinus excelsior), al nocciolo (Corylus avellana) ed al maggiociondolo (Laburnum anagyroides). Il recente

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abbandono della zona pedemontana e la riduzione dell’utilizzazione del legnatico in molte delle zone più impraticabili, sta favorendo il ripristino dei querceti a cerro.

Attualmente i querceti sono per lo più misti, con le diverse specie in assortimento vario, ma con la presenza costante della roverella (Quercus pubescens), particolarmente sui versanti ben esposti ed asciutti, e di altre essenze forestali quali l’acero campestre (Acer campestre), l’orniello (Fraxinus ornus), l’olmo campestre (Ulmus minor), l’acero opalo (Acer obtusatum, A. opalus, A. neapolitanum), l’acero montano (Acer pseudoplatanus), il nocciolo (Corylus avellana), e quelle arbustive quali il prugnolo (Prunus spinosa), il biancospino (Crataegus monogyna), la rosa selvatica (Rosa canina), il rovo (Rubus canescens), il sanguinello (Cornus sanguinea), e molte altre.

Il paesaggio generale dell’orizzonte submontano risulta caratterizzato da un elevato indice di frammentazione boschiva; i boschi, laddove non sono intervallati da campi coltivati, sono spesso radi e si aprono in vere e proprie radure un tempo utilizzate a pascolo ma che oggi, con l’abbandono di questa attività economica, risultano insediate da cenosi arbustive ed erbacee.

Le cenosi arbustive sono solitamente costituite da ginestra (Spartium junceum), ginepro (Juniperus communis), citiso (Cytisus sessifolius) sui substrati calcarei, o con biancospino (Crataegus monogyna) e prugnolo (Prunus spinosa) in quelli silicei.

Sulle stazioni abbandonate da tempo appaiono le essenze arboree con un certo grado di pionierismo, principalmente la roverella (Quercus pubescens), il carpino nero (Ostrya carpinifolia), la carpinella (Carpinus orientalis) e l’orniello (Fraxinus ornus).

Lungo i principali corsi d’acqua, le formazioni caratteristiche sono quelle con

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dominanza di farnia (Quercus robur), ontano nero (Alnus glutinosa), pioppo bianco (Populus alba) e salici (Salix sp.).

3.5 d) Orizzonte delle latifoglie sciafile (Piano montano)

Indicativamente questo orizzonte comprende i territori montani del bacino del Tordino in cui dominano le faggete e dunque quelli al di sopra degli 800- 1.000 metri slm fino al limite superiore dei 1.700-1.800 metri slm.

Il clima è di tipo temperato medio (Oceanico) e presenta buone precipitazioni con valori di 1.000-1.500 mm. annui e temperature relativamente basse con valori invernali di 0-3 °C ed estivi di 14-16 °C (sottozona fitoclimatica del Castanetum freddo e del Fagetum). La temperatura media annua risulta sempre superiore ai + 6 °C e le precipitazioni risultano regolarmente distribuite con un debole minimo estivo.

Al di sopra dei querceti appenninici di Cortino e Crognaleto domina incontrastato il faggio (Fagus sylvatica) che qui, grazie al clima di tipo oceanico persistentemente umido e con moderate oscillazioni termiche, è in assoluto la specie caratteristica del piano montano; il climax relativo è infatti quello del faggio (Fagion-sylvaticae Pawl. 1928).

Le faggete, localizzate nell’orizzonte fitoclimatico che va dai 900 ai 1.800 metri di altitudine, rappresentano in provincia le più elevate zone forestali dato che al di sopra del loro limite altimetrico superiore, variabile peraltro in funzione del versante delle stazioni, non troviamo più formazioni forestali.

Negli ultimi anni, grazie soprattutto alle misure Agro-forestali-ambientali della Comunità Europea, stanno aumentando nella provincia di Teramo le riconversioni a fustaia dei cedui di faggio che hanno interessato fino ad oggi circa 1.000 ettari localizzati nei comuni di Cortino e Crognaleto.

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Le specie che accompagnano il faggio, nelle stazioni meno disturbate dai tagli in quanto appunto meno resistenti alla ceduazione rispetto a quello, sono il cerro (Quercus cerris), il carpino bianco (Carpinus betulus), il frassino (Fraxinus excelsior), l’olmo montano (Ulmus montana), l’acero montano (Acer pseudoplatanus), l’acero opalo (Acer obtusatum, A. opalus, A. neapolitanum), il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) e il sorbo montano (Sorbus aria); salendo di quota verso i distretti più alti, con l’intensificarsi del clima oceanico, le faggete tendono invece a divenire pure.

Le abieti-faggete, un tempo senza dubbio molto più rappresentative di oggi e con la rappresentanza molto più importante dell’abete bianco, secondo una recente fonte interpretativa (Pedrotti, 1982), tendono ad essere considerate più come associazioni di faggeta con presenza dell’abete (Pirone, 1995). La presenza di queste foreste miste a faggio e abete bianco nel bacino in analisi, è riscontrabile sul monte Bilanciere, nei pressi della Fonte Spugna vicino all’abitato di Cortino, e nei pressi di Altovia di Cortino (Zodda, 1953). Sempre in questo orizzonte montano, nelle abieti-faggete ma anche nelle stazioni umide ed ombreggiate con suoli calcarei delle faggete sulla Montagna della Farina e a Piano Maggiore (Zodda, 1953), troviamo il tasso (Taxus baccata).

Altra interessante essenza forestale in consorzio con il faggio è la betulla (Betula pendula) che si trova in provincia in limitatissime stazioni relitte come quella di Cortino sui Monti della Laga (Crugnola, 1884; Zodda, 1967; Tammaro, 1983; Rovelli, 1986).

Nella fascia di distribuzione potenziale della faggeta sono frequenti le aree degradate occupate da alte erbe o arbusteti a ginestra dei carbonai (Sarothamnus scoparius), biancospino (Crataegus monogyna), rosa selvatica (Rosa canina) lampone (Rubus idaeus), mora (Rubus fruticosus), sambuco di montagna (Sambucus racemosa), prugnolo (Prunus spinosa), sorbo montano (Surbus aria), ecc..

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Le ampie radure della faggeta, create e mantenute dall’uso pascolivo d’origine remota, ospitano praterie costituite da vegetazione steppica con attenuato carattere continentale e maggiore incidenza di specie mediterraneo- montane. Il Centauro-Festucetum è costituito da specie di piccola e media dimensione che crescono con copertura discontinua quali Festuca duriuscula, Koeleria gracilis, Poa bulbosa, Bromus erectus, Verbascum mallophorum, Centaurea dissecta, Thymus serpillum, Hieracium pilosella, Eryngium amethystinum, Tunica saxifraga, Leontodon hirtus, Pimpinella saxifraga.

In prossimità del limite ecologico superiore della faggeta, in una fascia di contatto tra la vegetazione xerofila steppica ed i pascoli primari d’altitudine, troviamo le specie delle associazioni Potentillo-Festucetum a Festuca laevis, F. duriuscula e Potentilla aurea e quelle della Brachypodio-Nardetum, quest’ultima su suoli derivanti da degradazione recente della faggeta, con le specie dominanti Brachypodium pinnatum e Nardus stricta.

3.5 e) Orizzonte delle praterie d’altitudine (Piano cacuminale)

Questa fascia altimetrica, situata al di sopra del limite ecologico del faggio, comprende le praterie ed i pascoli di vetta con vegetazione ipsofila e pioniera e le brughiere alpine costituite da associazioni arbustive a portamento nano e strisciante. Il clima in questo settore, compreso sui rilievi del bacino tra i 1.800 ed i 2.400 metri, risulta estremamente rigido con forte e prolungato innevamento; la temperatura media annua è superiore a -2 °C e le precipitazioni sono intense ed elevate.

Le praterie delle quote superiori, al di sopra delle fasce boscate fino alle più alte vette, sono costituite principalmente dal Seslerietum apenninae le cui specie caratteristiche sono la Sesleria apennina e la Carex hitaibeliana; altre specie presenti sono la Trinia dalechampii, Hedraianthus graminifolius,

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Anthyllis montana, A. pulchella, Poa alpina, Festuca laevis, Androsace villosa, Pedicularis elegans, Draba aizoides. Sui versanti esposti a mezzogiorno si rinvengono bassi arbusti di ginepro nano (Juniperus communis subsp. nana) che forma spesso densi macchioni impenetrabili.

Quando il suolo diventa più profondo e ricco di materia organica troviamo il Festuco-Luzuletum bulgaricae che rappresenta appunto uno stadio di evoluzione del Seslerieto; esso viene rappresentato da Festuca violacea, Luzula bulgarica, Trifolium thalii, Plantago montana, Poa alpina, Ranunculus gruppo montanus e Thymus serpillus.

Le brughiere alpine d’alta quota sono rappresentate, oltre che dalla Calluna vulgaris, dall’uva ursiva (Arctostaphylos uva-ursi), dai vaccinieti a mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) e falso mirtillo (Vaccinium uliginosum) situati tra le praterie o al margine dei boschi fino ai 2.500 metri di altitudine. I vaccinieti a mirtillo nero della Laga, inquadrate nel Vaccinio-Hypericetum (Pedrotti, 1982), sono frammentate ma piuttosto comuni. Ben più raro risulta, invece, il falso mirtillo (Vaccinium uliginosum) segnalato in Abruzzo solo per i monti della Laga sulle pendici settentrionali di Pizzo di Sevo, tra i 2.100 ai 2.300 metri s.l.m., con una stazione che rappresenta il limite meridionale dell’areale appenninico della specie (Pirone G., 1995).

3.5 f) Vegetazione ripariale

Come si è già detto in precedenza è proprio lungo i corsi d’acqua che possono ritrovarsi, almeno per le zone collino-planiziarie fortemente antropizzate, le cenosi forestali più interessanti dell’intero territorio provinciale.

Guardando su una carta aereofotogrammetrica l’immagine ripresa dall’alto di un corso d’acqua, esso ci appare solitamente come una sottile fascia di fitta vegetazione che sinuosamente attraversa boschi montani, campi coltivati,

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centri abitati e rispettivi nuclei abitati, arrivando alla propria foce con una caratteristica espansione della vegetazione ad imbuto.

Le formazioni ripariali arboree della fascia collino-planiziale, a tratti molto fitte e continue e a tratti più rade e discontinue, presentano un certo interesse che risiede non tanto nella loro rilevanza dal punto di vista botanico, mancando esse di specie rare o di un ampio spettro floristico, ma soprattutto nella loro caratteristica di “naturalità”, cioè di spontaneità indotta dagli eventi naturali e con lo scarso intervento umano.

Questa striscia di vegetazione è formata solitamente da una doppia fascia boscata, con o senza mantello esterno, cioè una sorta di binario verde sulle sponde ed i terrazzi fluviali, che contiene l’alveo e che, al suo esterno, segna i confini con i coltivi che attraversa.

Le zone prive di vegetazione arborea sono, invece, quelle del greto sassoso che costituisce l’espansione dell’alveo alle esondazioni stagionali del fiume; in tali aree, povere o sprovviste del tutto di substrato terroso, edificano solo strati erbacei o arbustivi affatto stabili.

Le fasce boscate ripariali presentano ampiezze molto variabili: da pochi metri appena, ed è il caso dei piccoli fossi in cui la vegetazione arborea viene contenuta ad un semplice filare, ad alcune centinaia di metri, come talvolta capita vedere nei fondovalle dove i terreni agricoli attraversati dal fiume che sono stati abbandonati da più anni diventano espansioni pionieristiche della vegetazione fluviale.

Il greto ciottoloso e pietroso, invaso costantemente dalle piene primaverili è per lo più privo di vegetazione con qualche presenza colonizzatrice di carici (Carex sp. d.) giunchi (Juncus sp. d.) e, nelle zone meno umide, di Urtica dioica, Carex pendula, Clematis vitalba, Rubus ulmifolius, Amarantus spp. e Robinia pseudoacacia le quali, laddove il substrato apportato è maggiore,

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esprimono una copertura anche molto densa.

Su tali ambienti, in una eventuale stabilità degli strati pedologici, edifica una tipica associazione golenale, il Salicetum albae, caratterizzata dalle specie arboree tipicamente igofile, termofile e mesofile quali salici (Salix alba, S. purpurea, S. triandra, S. eleagnos) e pioppi (Populus alba, P. nigra) che costituiscono le principali cenosi di ripa con vario grado di pionierismo.

In particolare, sulle neoformate spiaggette di suoli alluvionali argillosi, sabbiosi e limosi, si segnala la tipica associazione pioniera, il Salicetum triandre, composta dal salice da ceste (Salix trianda) con esemplari di salice comune (Salix alba) allo stato arbustivo.

Gli individui di tali formazioni sono molto vari con altezze fino a 25 metri e diametri variabilissimi fino a 60 cm.

Le zone del fiume con acqua stagnante, ma più comunemente anche i laghetti collinari a scopo irriguo, sono contornate da fitti canneti di cannuccia (Phragmites communis, Glyceria maxima, ecc.), e di tifa (Typha latifolia) ma popolate anche da Mentha aquatica, Veronica beccabunga, Polygonum amphibium, Ranunculus scleratus, ecc..

Il mantello esterno della copertura arborea è occupato da qualche ridotto nucleo di canna (Arundo donax) ma più spesso dalla robinia (Robinia pseudoacacia), dall’alianto (Ailanthus altissima), accompagnate nello strato arbustivo da ligustro (Ligustrum vulgare), sambuco (Sambucus nigra), prugnolo (Prunus spinosa), sanguinello (Cornus sanguinea) e nello strato epifitico dalle perenni volubili quali rovo (Rubus ulmifolius), vitalba (Clematis vitalba), vite selvatica (Vitis vinifera subsp. Sylvestris), edera (Hedera helix) e luppolo (Humulus lupulus).

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4 ASPETTI FAUNISTICI

4.1 Premessa

Prima di operare qualunque scelta di Pianificazione territoriale, occore avere informazioni il più possibile dettagliate sulle popolazioni faunistiche delle specie coinvolte, quali principalmente distribuzione, densità, struttura e dinamica.

La conoscenza delle componenti biotiche e abiotiche di un determinato territorio, infatti, costituiscono la base per lo studio di esso nel suo assetto complessivo, nelle sue trasformazioni dinamiche e nel suo utilizzo (Lazzarin G. in De Franceschi et al., 1993). In altre parole la capacità di un territorio di ospitare una o più specie di animali selvatici, come la possibilità di applicare un monitoraggio di popolazione o un modello gestionale, dipendono dalle componenti ambientali che lo caratterizzano.

Attraverso l’analisi di tutte le componenti ambientali, può essere predisposto uno strumento gestionale capace di integrare le esigenze biologiche delle popolazioni animali con quelle dettate dalle attività antropiche.

Ai fini pratici, inoltre, lo strumento dei Piani d’area consente

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l’individuazione di obiettivi e scelte, differenziati per specie o gruppi di specie, finalizzati alla razionalizzazione degli interventi e al migliore orientamento delle risorse disponibili.

Nella presente sezione vengono dunque riportate, per le specie faunistiche omeoterme di maggiore interesse, le informazioni generali sullo status e distribuzione attuale nel bacino del Tordino. In tal senso i dati disponibili utilizzati sono quelli di abbondanza relativa delle specie trattate, desunti principalmente dai censimenti faunistici condotti dall’Ente, più o meno integrati dai dati dei danni alle colture agricole.

Nel caso di alcune specie come il capriolo e l’avifauna acquatica, inoltre, sono stati utilizzati invece dati bibliografici pubblicati dall’INFS, e relativi rispettivamente alla Banca Dati Ungulati (INFS, 2001) e Risultati dei censimenti degli uccelli acquatici (INFS, 2002).

Viene inoltre valutata la vocazionalità ambientale, ovvero la propensione faunistica dei vari territori ricadenti nel bacino in analisi per la distribuzione di ciascuna specie e trattate le linee di indirizzo gestionali.

In questa sezione vengono seguite le indicazioni fornite nelle linee elaborate dall’INFS e dal Ministero dell’Ambiente per la redazione dei Piani faunistici, relativamente alla definizione della vocazionalità dei differenti territori che devono essere individuate in funzione dell’idoneità ecologica e socio- economica dei vari ambienti per le diverse specie.

4.2 Materiali e Metodi

La mancanza di dati completi dei censimenti faunistici condotti specificatamente sul territorio del bacino del Tordino, e la scarsa copertura territoriale di quelli attuati, non hanno consentito la realizzazione di modelli di vocazione specifici per l’intera area del bacino fluviale. Ci si è rifatti dunque allo studio condotto nell’ambito della recente redazione del Piano Faunistico Venatorio Provinciale 2008/13.

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Qui per l’individuazione delle carte di vocazionalità sono stati utilizzati modelli predittivi sulla base della grande mole di dati raccolti nella fase di analisi territoriale; le informazioni sono state gestite da un G.I.S. che ha consentito la rappresentazione mediante l’utilizzo di mappe digitali.

La prima fase del lavoro è stata quella di raccogliere e valutare i fattori ambientali del territorio provinciale attraverso l’analisi di carte tematiche vettoriali, quali la carta del clima, la carta delle quote, la carta dell’igrografia, la carta dell’uso del suolo, ecc..

Attraverso un sistema G.I.S., a tutte le variabili ambientali analizzate per ciascuna Unità territoriale, è stato assegnato un diverso punteggio sulla base di informazioni bibliografiche riferibili alla specie in esame, costituendo così un modello deterministico (Zimmermann, 2000). Attraverso un algoritmo che tenesse in conto le variabili ritenute più significative, è stato calcolato per ciascun pixel un valore unico di vocazionalità ambientale per quella specie. Con tali valori di vocazionalità è stata realizzata ciascuna carta di vocazionalità biologica, che indica la propensione faunistica del territorio per la distribuzione di ciascuna specie.

Un capitolo di grande interesse è quello relativo al cinghiale, le cui problematiche di gestione in ambito locale necessitano di una intensa e differenziata strategia di interventi, messa a punto annualmente sulla base del monitoraggio (annuale) della situazione faunistica.

Considerato inoltre che un tale studio non può prescindere da altri fattori determinanti, come ad esempio quelli antropici legati alla presenza dell’uomo e delle sue attività, ma anche per semplificazione espositiva, la trattazione dell’analisi faunistica del territorio viene condotta per gruppi faunistici e per specie caratteristiche di macro-ambienti rilevabili nell’area di studio.

Le principali macro-aree ambientali rilevate sono le seguenti:

• Aree antropiche: quelli dei centri urbani, comprese le aree periferiche industrializzate, le strade e le zone a verde pubblico;

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• Aree del paesaggio rurale: dominati dalle colture agricole ma con presenza di aspetti floristici spontanei;

• Aree agro-forestali con predominanza di ambienti naturali: comprende le cenosi a copertura arborea ed arbustiva, i boschetti, le siepi, le associazioni di cespugli, ma anche gli spazi aperti opportunamente intervallati dagli spazi chiusi;

• Aree umide: quelli relativi agli ambienti acquatici del fiume e dei suoi affluenti.

4.3 Fauna delle aree antropiche

Gli ambienti antropizzati, nuclei abitati, nuclei industriali, eccetera, sono senza dubbio gli ambienti meno interessanti dal punto di vista delle presenze faunistiche, sia per il numero di specie presenti che per le densità delle specie faunistiche stesse e questo sia per l’enorme modificazione apportata all’ambiente naturale originario e sia per la presenza più o meno costante dell’uomo e delle sue attività produttive.

Si tratta solitamente di gruppi faunistici che, per proprie caratteristiche di opportunismo e versatilità ai vari ambienti, sono in grado di sfruttare a proprio beneficio una serie di situazioni di degrado che solitamente rappresentano un limite per la presenza e lo sviluppo della fauna selvatica. In tale maniera, ad esempio, i residui organici abbandonati presso le discariche più o meno abusive diventano cibo facilmente disponibile per le specie onnivore, mentre i quartieri residenziali, paradossalmente, diventano sempre più siti di massima sicurezza per le specie preda, ove la mancanza di predatori naturali e le dispersioni termiche delle abitazioni e delle attività produttive rappresentano una importante fonte di calore.

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Nell’area di studio le aree faunistiche del paesaggio antropico sono reperibili sia in prossimità degli insediamenti residenziali, sia in quelli industriali. Queste ultime in particolare assumono sempre più nella vallata del fiume Tordino una rilevanza a tal punto che le numerose aree industriali, costituiscono ormai quasi una fascia collaterale all’asta fluviale senza soluzione di continuità dall’abitato di Teramo fino a Giulianova.

Alle periferie di tali aree, inoltre, sia per la fitta rete viaria presente, sia per il clima di incertezza sulla futura destinazione d’uso, permane uno stato di generale abbandono che si traduce in un degrado delle produzioni agricole di pregio in favore della pastorizia, nella creazione di discariche a cielo aperto, nella continua crescita di occupazioni abusive, ecc..

Le specie di mammiferi selvatici che abitualmente frequentano tali ambienti, sicuramente poco edificanti, sono principalmente i comunissimi piccoli roditori (Mus musculus, Apodemus sylvaticus e Rattus norvegicus) e tra i carnivori la volpe (Vulpes vulpes), la faina (Martes foina), e la donnola (Mustela nivalis).

La volpe è una delle specie più diffuse del territorio regionale e provinciale, malgrado l’attiva caccia e i regolari sforzi di controllo numerico cui è annualmente sottoposta. La specie difatti, oltre ad essere dotata di notoria e indubbia capacità di adattamento alle differenti condizioni, è una delle specie emergenti che maggiormente sfrutta a proprio vantaggio le modificazioni ambientali, anche le più degradanti.

La volpe è specie territoriale e la sua presenza/abbondanza in un dato territorio risente molto della disponibilità trofica. La sua ampia adattabilità ai vari ambienti, e la capacità di avvantaggiarsi delle situazioni di degrado, comporta dunque che le aree maggiormente vocate per la specie siano quelle degli ambienti maggiormente antropizzati costituiti da ambienti naturali limitrofi ai nuclei abitativi o alle periferie urbane.

Ambiti ad alta vocazionalità per la specie sono dunque quelli della fascia 47 ______

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collinare litoranea e localmente negli altri ambienti antropizzati

Ben più rappresentata è l’ornitofauna ad abitudini diurne come quella che trova rifugio nei centri urbani quali il passero (Passer domesticus), lo storno (Sturnus vulgaris), il rondone (Apus apus) e, nell’ultimo decennio, anche la tortora dal collare orientale (Streptopelia decaocto).

Per quanto attiene allo storno, occorre citare che nell’ultimo quinquennio l’area occupata dallo svincolo autostradale di Mosciano S.Angelo e la Zona industriale ad essa adiacente, è stata adibita dalla specie un importante quartiere di svernamento durante i mesi di passo autunnale invernale. Qui la presenza concentrata di centinaia di migliaia di esemplari in appollo serale presso le linee di alta tensione e le siepi autostradali, creano non pochi problemi di igiene per le numerosissime deiezioni prodotte. Nelle campagne circostanti, invece, cresce il problema dei danneggiamenti legati alla presenza della specie. Tali criticità hanno spinto la Provincia ad intraprendere iniziative, attualmente allo studio, per la dispersione della colonia.

Un discorso a parte meritano i corvidi, gruppo costituito da specie tutte ben distribuite e diffuse sul territorio provinciale, che hanno rilevanza dal punto di vista gestionale in quanto dotate di buona capacità di adattamento alle diverse e mutate situazioni ambientali. Esse sono infatti considerate da molti autori come responsabili dell’insuccesso riproduttivo di molte specie faunistiche, uccelli e mammiferi, e dunque considerate come uno degli importanti fattori limitanti lo sviluppo di popolazioni faunistiche.

Le specie maggiormente presenti nelle aree degradate ed antropizzate della vallata del Tordino sono principalmente la gazza (Pica pica), la cornacchia (Corvus corone) e la taccola (Corvus monedula).

La gazza rappresenta senza dubbio il corvide più rappresentato e più comune dell’intero territorio provinciale, presente anche nei siti non degradati,

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praticamente ubiquitaria e sempre con indici di abbondanza vicini alla capacità portante del territorio.

La cornacchia risulta invece presente in maniera incostante sul territorio analizzato e diffusa quasi esclusivamente nelle aree maggiormente degradate delle zone industriali e delle periferie connesse, nelle pianure agricole intensive ed in vicinanza di discariche.

In particolare nell’area occupata dalla zona industriale di Mosciano S.Angelo fino allo stabilimento per il trattamento dei rifiuti di Grasciano, la specie è molto abbondante e palesemente determinata dall’ampia disponibilità trofica.

Anche la distribuzione della taccola è legata alle aree più antropizzate rappresentate principalmente da manufatti realizzati dall’uomo quali ponti, torri, ecc., dove la sua presenza entra in forte competizione con le colonie dei piccioni.

Sempre più numerose anche le specie di uccelli che frequentano le aree verdi pubbliche anche all’interno di quartieri urbanizzati, quali upupa (Upupa epops), capinera (Sylvia atricapilla) e le famiglie Turdidae (merlo, pettirosso, stiaccino, ecc.) e Fringillidae (fringuello, verdone, cardellino, ecc.) quasi al completo.

Gli uccelli notturni, soprattutto i rapaci barbagianni (Tito alba), civetta (Athene noctua) e assiolo (Otus scops), devono invece la loro presenza soprattutto ai piccoli roditori che qui abbondano.

Nelle pianure adiacenti l’ultimo tratto fluviale in prossimità dell’estuario di foce, dominate dall’agricoltura altamente specializzata, fino al tratto di litorale ghiaioso della foce, vive una nutrita colonia di gabbiani reale (Larus argentatus) e di gabbiani comune (Larus Ridibundis), che vi stazionano ma che abitualmente frequentano anche i vicini stabilimenti di trattamento rifiuti di Grasciano. 49 ______

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4.4 Fauna delle aree rurali

L’ecosistema degli ambienti rurali analizzati è costituito dalle coltivazioni agricole con isole di vegetazione naturale residua ovvero un complesso ecologico sostanzialmente artificiale che ha sostituito le cenosi boschive originarie.

La fauna che frequenta questi ambienti può presentare un inventario di specie la cui varietà rispecchia il grado di diversità biologica dell’ambito e dunque lo spettro varietale delle singole colture oltreché la presenza di relitti di vegetazione naturale.

Nei campi agricoli planiziali, più intensamente coltivati, regnano soprattutto quelle specie ornitiche, che fungono da indicatori faunistici, che si adattano a situazioni di impoverimento degli aspetti naturali dell’ambiente agrario quali gazze (Pica pica), cornacchie (Corvus corone subspp.) e taccole (Curvus monedula).

Tra le specie ornitiche nidificanti nelle pianure coltivate della pianura fluviale citiamo la quaglia, (Coturnix coturnix), la calandra (Melanocorypha calandra calandra), la clandrella (Calandrella cinerea), la cappellaccia (Galerida cristata).

Sulle colline del bacino in analisi in cui domina il paesaggio agricolo alternato a relitti di vegetazione naturale, la struttura vegetale risulta piuttosto variegata e multiforme con una ricchezza faunistica sicuramente superiore al caso precedente.

Le specie di mammiferi frequentatrici dei campi coltivati sono qui, oltre alla ubiquitaria volpe, tra i roditori la lepre (Lepus europaeus) il topo (Apodemus sylvaticus) e la comunissima arvicola (Arvicola terrestris), tra i mustelidi il tasso (Meles meles), la faina (Martes foina), la donnola (Mustela nivalis), e gli insettivori riccio (Erinaceus europaeus) e toporagno (Sorex araneus). 50 ______

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La volpe risulta specie ubiquitaria e presente in maniera costante e diffusa sull’intero territorio provinciale, an che se soggetta a fluttuazioni piuttosto variabili.

Con l’aggravarsi del fenomeno delle discariche abusive el a recente localizzazione delel discariche comunali anche i territori meno antropizzati delal collina interna hanno mostrato dati di abbondanza elevati della specie, confermati anche dai dati della Provincia evinti dai censimenti svolti.

Come noto la lepre è specie che presenta una valenza ecologica particolarmente ampia, con grande capacità di adattamento ai più svariati ambienti, dalla pianura coltivata, alla montagna provvista di buona copertura arborea alle alte praterie montane, ambienti tutti nei quali può raggiungere localmente buone densità.

La carta di vocazione evidenzia che le aree ottimali per lo sviluppo della specie sono quelli della fascia collinare, caratterizzate dalla frammentazione della composizione colturale in asciutta, a cereali e foraggere, alternata a zone incolte o naturali.

Attualmente in Abruzzo è accertata la presenza della sola lepre comune (Lepus europaeus), specie distribuita quasi ovunque nella regione. Sulla presenza della lepre italica (Lepus corsicanus) sul territorio regionale, l’INFS (Trocchi V., F. Riga 2005. I Lagomorfi in Italia. Linee guida per la conservazione e gestione), cita la nostra Regione come il limite settentrionale, sul versante adriatico, della sua distribuzione.

Tra gli uccelli che frequentano i campi agricoli e le aree rurali in genere, per valenza ecologica e dimensione, occorre citare le specie dei galliformi: il fagiano (Phasianus colchicus), la starna (Perdix perdix) e la quaglia (Coturnix coturnix).

Galliforme di grande valenza ecologica, la starna elegge come l'ambiente di 51 ______

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vocazione per eccellenza, la bassa e media collina (fino ai 500/600 metri s.l.m), utlizzata per lo più dalle coltivazioni cerealicole e foraggere, con marginali aree incolte e siepi. Negli ultimi anni la specie ha subito una brusca riduzione numerica legata sia alle variazioni ambientali e sia allo sviluppo in quegli anni di una attività venatoria di massa.

La situazione della specie nel territorio provinciale appare dunque critica. La presenza di piccoli gruppi, coppie e nidiate, così come casi di nidificazione più o meno sporadici, sono sempre legate a interventi di immissioni a scopo di ripopolamento, mentre mancano popolazioni stabili autoriproducentesi in grado di dare garanzia di stabilità o potenziale di espansione.

Lo status e la distribuzione attuale del fagiano in Provincia di Teramo, specie di origine alloctona ma ormai naturalizzata, sono condizionati soprattutto dagli interventi gestionali e dalle immissioni dell’uomo. Nei territori in analisi del bacino del Tordino le sub-popolazioni sono localizzate in aree di tutela (Zone di Ripopolamento e Cattura), mentre nel territorio aperto alla caccia i nuclei non sarebbero autoportanti ma mantenuti esclusivamente attraverso il regolare ripopolamento.

L’areale ottimale del fagiano in provincia di Teramo coprende tutta la media collina occupata da coltivazioni marginali con buona presenza di aree incolte o bosco, e buona presenza di risorsa idrica costante anche nella calda stagione.

La quaglia, unico galliforme migratore, in Abruzzo risulta specie nidificante e cacciabile nel solo periodo che precede la partenza per gli areali invernali. Come anche le altre specie di galliformi autoctoni, anche la quaglia ha subìto negli ultimi anni in provincia di Teramo una forte contrazione demografica.

Le abitudini migratrici della specie e lo status negli altri paesi europei ed africani, conduce a pensare che l’attuale status sia legato non tanto alla pressione venatoria e al bracconaggio, ma soprattutto alle profonde

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modificazioni degli ambienti. La specie infatti predilige spazi aperti con vegetazione bassa naturale (steppe, praterie, ecc.) o coltivati a cereali invernali in asciutta, prati e pascoli naturali, anche d’alta quota.

Tra i rapaci diurni, oltre quelli già citati nelle aree urbane e che eleggono i campi a loro area vitale, ricordiamo: la poiana (Buteo buteo), il gheppio (Falco tinnunculus) ed in prossimità delle discariche il nibbio bruno (Milvus migrans).

Durante il periodo di passo numerose sono le specie avifaunistiche migratrici che frequentano gli ambienti rurali del bacino del fiume Tordino, principalmente tordi e merli (Turdus.spp.), passeriformi, Columbidi, ecc..

Le specie di Columbidi presenti nelle aree agricole sono ascrivibili alla tortora selvatica (Streptopelia turtur), alla tortora dal collare orientale (Streptopelia decaocto).

La tortora selvatica (Streptopelia turtur), così denominata per distinguerla dalla tortora dal collare (Streptopelia decaocto), è specie esclusivamente migratrice di passo estivo (da maggio a settembre) e nidificante. Nei territori della valle del Tordino frequenta i territori occupati dalle colture cerealicole e oleaginose (girasole), alternate a boschetti anche di origine ripariale.

Piuttosto simile ad essa, la tortora dal collare è di origine alloctona, ma ormai sedentarizzata da circa un ventennio nei nostri territori, dapprima colonizzando le aree litoranee e poi inserendosi sia nelle aree residenziale e sia in quelle periferiche urbane.

Gli uccelli “minori” nidificanti che frequentano gli spazi aperti delimitati dalle siepi ed alberature meritano di essere ricordati l’ averla piccola (Lanius collurio), il canapino (Hippolais poliglotta), l'usignolo (Luscinia megarhuncos), il verdone (Carduelis chloris).

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4.5 Fauna delle aree agro-forestali

Nei territori dell’alta collina teramana che dominano il settore più orientale del bacino idrografico del Tordino, le coltivazioni agrarie assumono un carattere di marginalità e mostrano una sempre più frequente promiscuità con altri elementi del paesaggio, il bosco e la macchia.

Gli spazi aperti con le coltivazioni di cereali e foraggere lasciano sempre più il posto allle colture consociate con oliveti e inframezzate da boschetti, siepi e fossati, in un reticolo verde sempre più denso.

L’ambiente si rende ospitale a quella fauna che frequenta gli ambienti forestali o le fasce ecotonali caratterizzate dall’alternanza di spazi aperti e spazi chiusi.

Tra i mammiferi trovano qui gli ambienti più vocati gli ungulati: il cinghiale (Sus scrofa), il capriolo (Capreolus capreolus), il cervo (Cervus elaphus),

Dopo gli anni 70, il processo di colonizzazione del capriolo ha investito tutte le province abruzzesi, compresa quella di Teramo, ove la specie è oggi presente con popolazioni più o meno consistenti. Sebbene manchino dati ancora affidabili, dalla Banca Dati Ungulati (INFS, 2001), emerge che in provincia di Teramo la specie si trova oggi in una fase di colonizzazione del territorio, con densità ancora inferiori allo 0,1 capi/100 ha.

Tale processo evolutivo è stato innescato o almeno influenzato anche dalle successive operazioni di reintroduzione del capriolo intervenute nell’ultimo decennio nei territori del Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga, ed in quelli delle limitrofe province di Ascoli Piceno e Pescara (BDU.INFS, 2001).

Oltre alle reintroduzioni però, un altro fattore di tipo ambientale ha influito sul graduale recupero numerico e distributivo delle popolazioni relitte. Le aree montane appenniniche difatti dagli anni ‘70 in poi hanno subìto un abbandono

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da parte dell’uomo e con esso un decremento delle attività agricole e zootecniche connesse. Questo ha comportato un nuovo incremento delle superfici boscate e degli ecotoni con conseguente miglioramento delle condizioni ambientali per gli Ungulati selvatici (BDU.INFS, 2001).

Il territorio provinciale che per caratterizzazione morfologica, climatica ed ambientale in senso largo costituisce quella maggiormente vocata per il capriolo è quello rappresentato dalla fascia collinare interna. Qui si sviluppa quel mosaico di ambienti, ad elevato valore ecotonale, che rappresenta l’optimum ecologico del capriolo.

La collina interna teramana è così caratterizzata dalla alternanza di ambienti aperti, spesso coltivati a cereali invernali e foraggere, con ambienti chiusi rappresentati per lo più da boschetti cedui di roverella con vegetazione di sottobosco e mantello.

Non a caso in provincia di Teramo i territori attualmente maggiormente frequentati dal capriolo sono quelli montani e pedemontani adiacenti al Parco Naz.le GSL, nei quali da circa un quinquennio risultano piuttosto costanti le segnalazioni di avvistamenti e di danni attribuiti alla specie. Decisamente minore risulta la presenza della specie nella fascia collinare interna, sebbene in questi ambienti essa si mostri in moderata espansione.

La presenza del cinghiale costituisce da una parte un forte valore aggiunto in termini ecologici per il suo importante ruolo come specie preda per i grossi predatori (lupo in particolare), ma dall’altra costituisce un significativo fattore di criticità legato ai forti danni provocati alle produzioni agricole e zootecniche.

Attualmente il cinghiale rappresenta l'ungulato di gran lunga più diffuso in provincia di Teramo ed il principale responsabile dei danni provocati alle colture agricole. Il suo areale attuale si estende in tutti gli ambienti dell’alta

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collina e della montagna con copertura boscosa o cespugliosa almento superiore al 30 %; l’ambiente oggi maggiormente frequentato, per la notoria plasticità ecologica della specie, è quello con sufficiente dotazione di copertura boscata e cespugliare (Briedermann, 1986).

Altri mammiferi caratteristici degli ambienti agro-forestali citiamo il tasso (Meles meles), la puzzola (Mustela putorius), la faina (Martes foina) il moscardino (Muscardinus avellanarius), la donnola (Mustela nivalis), il riccio (Erinaceus europaeus), per citarne solo alcuni.

Per quanto attiene all’avifauna frequentatrice degli ambienti forestali occorre citare l’ordine Passeriformes, qui interamente rappresentato, di cui citiamo in particolare le famiglie Turdidae, Silvidae, Paridae e Lanidae, sostituite da numerose specie tutte assidue frequentatrici dei cespugli, delle siepi e del bosco in genere.

Tra queste ultime in particolare quelle di passo e svernanti nelle siepi: lo sparviero (Occipiter nisus), il gufo comune (Asio otus), il regolo (Regulus regulus), il beccafico (Sylvia borin), il pettirosso (Erithacus rubecula), lo scricciolo (Troglodytes troglodytes), ecc..

La disposizione del bacino idrografico del Fiume Tordino risulta ideale per un grande numero di specie migratrici provenienti dalle aree balcaniche, anche quelle non legate all’acqua, appartenenti ai Turdidi, Columbidi, Scolopacidi, ecc.. Tali uccelli seguono l’asta del Fiume per entrare nell’entroterra e seguendone il corso, a ritroso, raggiungono con gradualità i valichi montani.

La dorsale appenninica, con la sua particolare disposizione perpendicolare al flusso migratorio prevalente e le alte vette che sfiorano anche i 3.000 metri di altezza, costituisce un forte ostacolo al volo di diverse specie, in alcuni casi insormontabile.

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Ciò comporta che buona parte dei contingenti migratori “intercettati” dalle due catene montuose presenti in provincia, quella dei Monti della Laga a nord e quella del Gran Sasso a sud, continuano il proprio percorso in due direttrici fondamentali. La prima è quella che si dirige in prossimità dei valichi montani, l’altra è quella che segue la catena montuosa in direzione sud per raggiungere poi i valichi montani qui presenti. Pertanto durante le principali stagioni di flusso migratorio, si registra in tali aree una presenza massiccia di tali contingenti avifaunistici.

Altre significative specie frequentatrici delle formazioni forestali sono la tortora (Streptopelia turtur), il colombaccio (Colomba palumbus), il cuculo (Cuculus canorus), il picchio verde (Picus viridis), il picchio rosso maggiore (Picoides maior).

Il colombaccio è specie migratrice e svernante, trovandosi nei nostri quartieri da ottobre a marzo, ma una parte dei contingenti migratori, ogni anno sempre più grande, si stanzializza e nidifica a basse e medie quote.

Un tempo quasi unicamente legata alla presenza dei boschi di quercia, la specie mostra una adattabilità sempre maggiore agli ambienti sinantropici che ha oggi eletto ad aree di maggiore vocazione. Gli ambienti maggiormente vocati per la specie sono oggi quelli misti con coltivi e presenza di boschetti, siepi, incolti, anche se non disdegna i parchi pubblici.

4.6 Fauna degli ambienti umidi e fluviali

I sistemi fluviali e gli ambienti umidi in genere rappresentano, particolarmente nelle fasce ambientali della collina litoranea e della collina interna del territorio provinciale, i pochi ambiti in cui è possibile rilevare caratteristiche ambientali che conservano ancora un certo grado di naturalità.

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Proprio per la loro localizzazione tali ambienti sono sottoposti infatti a pesanti pressioni causate dalla rapida espansione demografica e dall’intensificazione delle attività produttive che vede nei bacini fluviali la loro principale sede di espansione.

In particolare occorre sottolineare la valenza faunistica e biologica in generale delle aree di foce, legate soprattutto alla localizzazione strategica rispetto alle rotte migratorie principali, che li rende punto nodali per una fitta schiera di uccelli acquatici migratori.

La rilevanza della foce del Fiume Tordino in tal senso emerge anche dalla sua inclusione nella lista, redatta dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, delle zone umide italiane in cui sono censiti annualmente le presenze avifaunistiche (IWRB census).

I siti di rilevanza individuati dall’INFS in provincia sono i seguenti:

Codice Nome Località Comuni

TE010 Litorale Tronto- Litorale dalla foce Martinsicuro, Alba Vomano F.Tronto a foce Adriatica, Tortoreto, F.Vomano Giulianova, Roseto degli Abruzzi.

TE020 Litorale Litorale dalla foce Roseto degli Abruzzi, Vomano-Piomba F. Vomano a foce T. Pineto, Silvi Piomba

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TE030 Fiume Vomano Fiume dalla foce al Roseto degli Abruzzi, pone di San Pineto, Atri, Morro Clemente D’Oro, Noratesco

L'avifauna acquatica del territorio provinciale è strettamente dipendente dalle condizioni di ricettività degli ambienti umidi residui. Il complesso di laghetti collinari, foci fluviali, bacini artificiali, cave abbandonate, ecc., rappresenta una rete di zone umide importante da preservare non solo per la nidificazione, la sosta e lo svernamento dell'avifauna ma anche per attività di interesse pubblico quali l'educazione ambientale, l'escursionismo e il turismo naturalistico.

Pertanto la gestione faunistico-venatorio del quinquennio prossimo deve tenere in buon considerazione l’importanza conservazionistica delle zone umide in genere, sancite sia dalla “Convenzione di Ramsar” (1971) (D.P.R. 13 marzo 1976, n.448), e sia dalla “Dichiarazione di Grado sulle zone umide mediterranee” (1992).

L’Italia come stato membro dell’Unione Europea e per aver aderito alla convenzione di Ramsar, ha il dovere di monitorare e tutelare le principali zone umide presenti nel proprio territorio.

Il Piano d’area della vallata del Tordino non può che ribadire la rilevanza strategica dell’ambiente fluviale affinchè i programmi di gestione e i progetti che la possano interessare siano sottoposti a severa verifica ambientale al fine di garantire l’uso sostenibile delle risorse naturali.

Ai fini del mantenimento e l’incremento della recettività avifaunistica degli ambienti umidi, vengono proposti i seguenti interventi:

a) Interventi di miglioramento ambientale;

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b) Censimenti primaverili ed invernali delle specie di maggior interesse; c) Indagini per determinare distribuzione e abbondanza dell'avifauna migratoria. Viene qui unitamente trattata l’avifauna degli ambienti acquatici intesa come il complesso di specie appartenenti a vari Ordini di uccelli che per esigenze legate al loro ciclo biologico frequentano gli ambienti umidi della vallata del Tordino, composto dall’alveo fluviale, da alcuni invasi artificiali (ez cave) e ai laghetti collinari ad uso privato e per scopo irriguo disseminati sul suo bacino idrografico.

La caratteristica dell’alto cadente che il Fiume mostra dalla sorgente alla foce, per il breve tratto (circa 40 km) che l’acqua deve compiere andando dall’alta montagna al livello del mare, comporta l’elevata velocità dell’acqua, e con essa la mancanza di anse fluviali con morte di flusso o la possibilità di esondazioni.

A ciò va aggiunto la elevata variabilità del flusso idrico regolato dalle captazioni idroelettriche ed irrigue, con prolungate secche estive alternate a cadenzate piene, che non consente la ricostituzione di ambienti idonei ad ospitare l’avifauna.

Le poche zone umide presenti nell’alveo del fiume Tordino, anche se spesso di origine artificiale, come le cave o gli invasi artificiali, rivestono grande importanza per la sosta, durante le migrazioni, e per la riproduzione di moltissime specie di uccelli acquatici.

In questi ambienti costituiti da acqua stagnante e vegetazione spondale intricata, omnipresenti sono il Porciglione (Rallus acquaticus) e la comunissima Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus).

Nelle cave abbandonate e nei laghetti collinari transitano di frequente anche altri uccelli presenti nell’area durante le migrazioni e legate alla presenza di

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abbondante pesce nelle acque, come gli Ardeidi, rappresentati dalla Nitticora (Nitticorax nitticorax) e gli aironi (Ardea spp.).

Questi uccelli sono strettamente dipendenti dagli ambienti acquatici, provvisti di vegetazione igrofila adatta, sufficientemente estesa e ben strutturata per la collocazione dei loro nidi, e pur non rappresentando dei validi indicatori biologici, testimoniano una buona presenza di pesci nei tratti interessati.

Un elemento tipico del paesaggio fluviale che sul Tordino è quasi totalmente scomparso, è quello delle morte o lanche, aree occupate dall’acqua in lento o lentissimo scorrimento che l'uomo, anche in tempi recenti, ha tentato di eliminare completamente. Esse hanno grandissima importanza dal punto di vista idraulico, in quanto riducono l'impeto delle piene, costituendo una sorta di cassa di espansione naturale del fiume, e il pericolo di siccità per i campi, restituendo progressivamente l’acqua al fiume e alla pianura circostante.

A livello ambientale sono zone umide caratterizzate da una impressionante ricchezza e varietà di esseri viventi, con alberi e arbusti generalmente così fitti da nascondere lo stesso specchio d'acqua della lanca, erbe acquatiche che tappezzano il fondo e affiorando in superficie con splendide fioriture, è anche la presenza animale, in particolare rettili, anfibi e pesci d'acqua dolce.

L’Airone cinerino (Ardea cinerea) e la Garzetta (Egretta garzetta), sono in generale le due specie più frequenti che mostrano un continuo incremento numerico soprattutto nei due principali corsi: il Vomano ed il Tordino. Decisamente meno frequenti sono quelle del Tarabusino (Ixobrychus minutus) e della Sgarza dal ciuffo (Ardeola ralloides), presenti durante le migrazioni e nel periodo estivo.

Anche il basso corso dei fiumi, con la graduale riduzione del cadente, presenta generalmente le migliori condizioni ambientali per ospitare la

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maggior parte della fauna acquatica. In particolare occorre segnalare l’area di foce che per localizzazione strategica tra il mare e la terraferma costituisce un importante punto di snodo delle rotte migratorie dell’avifauna acquatica.

Qui l’ambiente, laddove l’uomo non è drasticamente intervenuto, risulta particolarmente idoneo alla sosta e nidificazione degli uccelli acquatici, soprattutto grazie al ridotto cadente e alla conseguente lentezza delle acque che permettono la creazione di tale habitat.

In sosta o in transito presso la foce del Tordino, inserita recentemente nella Riserva Naturale Regionale del Borsacchio, troviamo diversi Anseriformi, tra i principali l'Alzavola (Anas crecca), il Mestolone (Anas clypeata), il Fischione (Anas penelope) e il Moriglione (Aythya ferina). L’area vanta già numerose nidificazioni di avifauna acquatica, quali la Folaga (Fulica atra), il Germano reale (Anas plathyrhynchos), la Marzaiola (Anas querquedula), l’Airone cinerino (Ardea cinerea).

Tra le presenze occasionali è opportuno citare anche lo Svasso piccolo (Podiceps nigricollis), il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis) e il sempre più presente Cormorano (Phalacrocorax carbo).

I gruppi sedentarizzati svernanti spesso hanno l’abitudine di frequentare durante le ore notturne l’intero corso del fiumeper poi rientrare in mare e passare al largo l’intera giornata. Solo durante le forti mareggiate invernali di tali specie sono reperibili lungo le principali aste fluviali per l’intera giornata.

Negli invasi derivati dalle trascorse attività di escavazione delle ghiaie, come ad esempio quelli presenti nel basso-medio corso del Tordino, si è sviluppata spesso una folta vegetazione spondale che ha consentito la ricolonizzazione di alcune specie avifaunistiche, talvolta anche di grande validità sotto il profilo naturalistico.

Qui, oltre ai più comuni Rallidi, spesso vive anche il tarabusino (Ixobrychus 62 ______

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minutus) ed il tuffetto (Tachybaptus ruficollis). Assieme al comune Topino (Riparia riparia), in alcuni di queste cave con pareti esposte a picco, si è riprodotto scavando il proprio nido in colonia il Gruccione (Merops apiaster). In particolare si segnala a proposito una numerosa colonia insediatasi negli ultimi anni nel tratto medio del corso del Tordino, che ha nidificato in prossimità di sbalzi di sabbia e ghiaione di una cava in abbandono.

Nei torrenti e fossi affluenti, disposti in direzione nord-sud, la discreta eterogeneità degli ambienti (buona copertura arborea, alveo mobile, zone allagate, fragmiteti, ecc.), fornisce un buon valore ecotonale che rende, tali aste, recettive a diverse specie avifaunistiche.

Nei torrenti e fossi presenti, la discreta eterogeneità degli ambienti (buona copertura arborea, alveo mobile, zone allagate, fragmiteti, ecc.) fornisce infatti un buon valore ecotonale che rende, tali aste, recettive a diverse specie faunistiche.

La scarsa qualità chimico-fisica delle acque che qui si incontrano, purtroppo, costituiscono un fattore limitante allo sviluppo delle popolazioni animali di insetti, anfibi e pesci, principalmente, ma anche di uccelli e mammiferi che dei primi si nutrono. In questi ambienti spesso costituiti da acqua stagnante e vegetazione spondale intricata, omnipresenti sono il porciglione (Rallus acquaticus) e la comunissima gallinella d’acqua (Gallinula chloropus). Sulle sponde fangose dei torrenti e fossi presenti, nei canneti e nei forteti in genere, durante il periodo più rigido dell’inverno, si alimenta di notte la sfuggente beccaccia (Scolopax rusticola) per poi rientrare nei forteti e nei boschetti presenti.

Nei laghetti collinari transitano di frequente anche altri uccelli presenti nell’area durante le migrazioni e legate alla presenza di abbondante pesce nelle acque, come gli Ardeidi, garzetta (Egretta garzetta), nitticora (Nitticorax nitticorax) e gli aironi (Ardea spp.). Qui, oltre ai più comuni Rallidi, spesso

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vive anche il tarabusino (Ixobrychus minutus) ed il tuffetto (Tachybaptus ruficollis).

Anatre ed uccelli di ripa sono invece frequentatori occasionali e limitatamente al periodo dello svernamento cioè nel periodo che va dal mese di novembre a quello di febbraio-marzo.

Altri uccelli presenti ma legati soprattutto alle formazioni arboree ripariali del territorio analizzato citiamo il picchio verde (Picus viridis), il picchio rosso maggiore (Picoides major), il torcicollo (Jynx torquilla), l’upupa (Upupa epops), il cuculo (Cuculus canorus), la tortora selvatica (Streptopelia turtur) e numerosi passeriformi.

Tra i rapaci diurni citiamo lo sparviere (Accipiter nisus) e tra quelli notturni la civetta (Ayhene noctua), l’assiolo (Otus scops) ed il barbagianni (Tito alba).

Tra i mammiferi che frequentano gli ambienti fluviali in esame, oltre ai comuni carnivori (volpe, faina, donnola, tasso), vanno citate le specie alloctone ed invasive come la nutria (Myocastor coypus), il ratto nero (Rattus rattus) ed il surmolotto (Rattus norvegicus).

4.7 COPRENSORI FAUNISTICI OMOGENEI

4.7 a) Premessa

La approfondita fase della analisi del sistema agro-ambientale del Bacino ha consentito la caratterizzazione del territorio sotto diversi profili, compreso quello faunistico, permettendo anche la redazione di strumenti tecnici di programmazione utili agli enti locali impegnati nella gestione del territorio.

Uno di tali strumenti è la carta delle Aree a Gestione Faunistica Omogenea (AGFO), sempre più utilizzato nella gestione faunistica e faunistico-venatoria, che si basa sulla caratterizzazione di territori di vasta area, e la loro divisione

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in territori omogenei. L’individuazione delle AGFO nel bacino di riferimento ha consentito di caratterizzare il territorio in analisi, dal punto di vista faunistico, esclusivamente sulla base di dati oggettivi come quelli geografici ed ecologici.

D’altra parte, la Legge di riferimento n° 157, recita all’art. 10 che i Piani Faunistico Venatori siano articolati per Comprensori Faunistici Omogenei (CFO), i quali, come più volte ribadito anche dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), devono essere il prodotto finale dei piani faunistico venatori, e rispondere al necessario requisito dell’uniformità degli ambienti che li costituiscono.

Una siffatta zonazione, infatti, basata sostanzialmente sulle proprie caratteristiche ambientali e che soddisfa le vocazionalità faunistiche di una o poche specie, permetterebbe una auspicabile uniformità negli indirizzi, nella pianificazione e nella programmazione delle aree di gestione.

In particolare la grande eterogeneità degli ambienti ricompresi in uno stesso Ambito rende piu difficoltosa la gestione globale del territorio, sia per quanto riguarda la definizione delle specie di indirizzo, l’individuazione degli obiettivi, l’attuazione di modelli di gestione, ecc..

4.7 b) Materiali e metodi

La conoscenza dell’ambiente naturalistico, sufficientemente approfondita in relazione all’ampiezza del territorio analizzato, è alla base di qualsiasi studio finalizzato alla gestione faunistica. L’habitat, infatti, quale somma dei fattori ambientali di cui ciascuna specie ha bisogno per sopravvivere e riprodursi, è di fondamentale importanza per capire quali sono le specie faunistiche presenti, il numero di individui per ciascuna specie e tutti gli altri aspetti di interesse gestionale che sono, in una maniera o nell’altra, influenzati dalla qualità e dalla quantità di habitat disponibile.

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I metodi di valutazione dell’habitat si basano sostanzialmente sull’ipotesi che la presenza e l’abbondanza della fauna di un territorio dipendono strettamente dalla qualità dell’habitat stesso (Apollonio M., Grimod I., 1991; Betti R., Teloni M., 1989; Casanova P. et al., 1982; Felettig D., 1976).

Nell’ambito della redazione del Piano Faunistico per la Provincia di Teramo 2002/2007, è stato condotto uno specifico studio territoriale dal titolo : “Analisi del territorio provinciale su base geografica finalizzata alla realizzazione delle Aree a Gestione Omogenea” (Castiglione G., 2001).

L’analisi condotta mediante l’ausilio del sistema Computer Aided Design (CAD) e del sistema Geographic Information System (GIS), e la successiva fase di analisi statistica multivatiata, hanno permesso proprio l’individuazione di queste Aree a Gestione Omogenea.

L’analisi del territorio, che è stata affrontata in sede di redazione del Piano Faunistico Venatorio 2001/2007 e viene qui riproposta nei suoi risultati, ha utilizzato la metodologia proposta dallo Zoologo Alberto Meriggi (Meriggi A., 1994) che, attraverso i dettagli metodologici di seguito specificati, arriva alla definizione dei Aree a Gestione Omogenea.

Lo studio si è articolato in 4 fasi differenziate:

- Definizione Delle Fasce Ambientali Omogenee: tutto il territorio in analisi è stato suddiviso in comprensori aventi caratteri tra loro simili sulla bse di aspetti che influenzano la distribuzione delle comunità viventi: sistema fisico, uso del suolo e vegetazione;

- Individuazione delle unita’ di campionamento (UC) : ciascuna delle fasce ambientali omogenee individuate viene suddivisa in unità di campionamento di forma quadrata (pixel), di 2 Km di lato e dell’estensione di 400 ha, costituite dalla sovrapposizione al territorio in questione di una maglia quadrettata; 66 ______

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- Rilievo delle caratteristiche ambientali nelle UC : In ciascuna delle Unità di Campionamento sono state misurate sia le variabili ambientali (ambiente fisico, flora, fauna, ecc.) sia gli indici ecologici di maggiore rilievo dal punto di vista faunistico venatorio (ecotono, diversità ambientale, frammentazione, ecc.), in maniera ed in numero tale da evidenziare le differenze tra le varie UC;

- Definizione delle Aree a Gestione Omogenea : sono state accorpate le Unità di Campionamento tra loro simili attraverso metodi di classificazione multivariata, come l’analisi dei cluster che ha permesso di misurare in maniera oggettiva, e sulla base di tutte le variabili, il grado di affinità con le varie unità di campionamento.

4.7 c) Risultati

I numeri di clusters per ciascuna fascia ambientale omogenea che, in base alle variabili considerate, hanno dato il miglior risultato in termini di distanza e significatività a livello provinciale sono risultati i seguenti: Collina litoranea: 2; Collina interna: 3; Alta collina: 4; Montagna: 5; Alta montagna: 2.

Il Comprensorio della vallata del Tordino comprende un paesaggio piuttosto vario ed eterogeneo, con territori che dalla costa arrivano fino ad altitudini di circa 700 m.s.l.m., e comprende le seguenti 2 fasce ambientali (F.A.) e 3 Aree a Gestione Omogenea (A.G.O.):

- Fascia Ambientale di Collina Litoranea

∗ Area a Gestione Omogenea “Litorale nord”

- Fascia Ambientale di Collina Interna

∗ Area a Gestione Omogenea “Campli - Teramo”

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∗ Area a Gestione Omogenea “Teramo sud”

4.7 d) - FASCIA AMBIENTALE DI COLLINA LITORANEA

4.7 d) I - Area a Gestione Omogenea “Litorale nord”

Esteso 51.200 ettari corrisponde quasi interamente al territorio della fascia omogenea collinare litoranea ricompresso all’interno del Comprensorio Faunistico (ATC) Salinello.

La visione globale del territorio rivela una certa omogeneità morfologica e di uso del suolo; si tratta infatti di terreni pianeggianti o più spesso di bassa collina con dolci pendenze e limitati settori di terreno in erosione. I territori pianeggianti sono costituiti da quelli prettamente costieri, caratterizzati sostanzialmente dagli arenili, pere la maggiorparte utilizzati per il turismo balneare, da tessuto urbano pressoché costante e da intensa rete viaria, e dalle ridotte valli fluviali intensamente coltivate ed urbanizzate.

Gli arenili e le terre retrostanti, se si escludono limitati tratti che conservano ancora caratteri originari di naturalità, sono occupati in buona parte da tessuto urbano, viabilità, strutture turistiche o altri manufatti antropici. Importanti e degni di nota sono invece i residuali ambienti dunali di Cologna e Roseto degli Abruzzi.

Le terre emerse pianeggianti coltivate sono anch’esse di scarsa rilevanza dal punto vista ambientale e faunistico, ad esclusione dei settori umidi in prossimità delle aste fluviali e di limitate casse d’espansione.

Dalla carta degli ambienti umidi si può infatti rilevare come l’ambiente litoraneo, limitatamente alle zone di foce dei principali corsi d’acqua, presenta diversi punti ambientalmente interessanti per l’avifauna acquatica, punti questi riportati anche nel Documento Tecnico n° 17 sulle zone umide italiane dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (BO). In particolare si

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segnalano i seguenti due siti:

- TE010 – litorale Tronto-Vomano: litorale dalla foce Fiume Tronto alla foce Fiume Vomano (ivi compreso il litorale prospiciente la foce del Tordino);

- TE020 – litorale Vomano: litorale dalla foce Fiume Vomano alla foce Torrente Piomba;

Il sistema collinare litoraneo costituisce il primo fronte di rilievi che si affaccia sull’Adriatico; esso è costituito da un ambiente uniforme, omogeneo e caratterizzato da una agricoltura intensiva e dunque di scarsa recettività per la fauna in genere.

I terreni più scoscesi con formazioni calanchive che interrompono la monotonia colturale si possono reperire nella zona di Mosciano S.A. e Morro D’Oro.

Buona la vocazionalità per le specie faunistiche di interesse venatorio come la lepre ed il fagiano che si avvantaggiano di fattori ambientali favorevoli qui presenti quali la ridotta altitudine, la morfologia dolce, le moderate temperature, ecc.. Ovviamente accanto ad essi emergono vistosamente dei limiti dell’ambiente in analisi quali principalmente la forte urbanizzazione con ciò che ne consegue in termini di viabilità, meccanizzazione agricola, inquinamento, ecc..

4.7 e) FASCIA AMBIENTALE DI COLLINA INTERNA

4.7 e) I - Area a Gestione Omogenea “Campli - Teramo”

Questa grande Area, estesa circa 26.000 ettari, occupa il settore centrale e nord della fascia collinare, con territori di altitudine media di 300 metri sul livello del mare. I territori sono quelli siti ad est di Campli (Villa Camera, 69 ______

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Villa Tofo, Bellante), l’abitato di Teramo con le colline che gli fanno da contorno e tutto il sistema collinare interposto tra le valli dei due fiumi Tordino e Vomano (Poggio S.Vittorino, Castellalto, Canzano, Notaresco.).

Il paesaggio che accomuna questi territori è quello della collina di bassa e media altitudine, costituita prevalentemente da campi coltivati ai quali si alternano, in maniera piuttosto regolare, aree incolte o pascolive.

Numerose le formazioni calanchive localizzabili soprattutto sui due principali promontori collinari, quello di Castellalto, Canzano, Notaresco e quello di Villa Camera, Villa Tofo, Bellante, situate comunemente solamente su uno dei versanti collinari e contornate da campi coltivati. In tali stazioni la vegetazione naturale o spontanea può presentarsi sia allo stato erbaceo, grazie all’opera di contenimento delle greggi ovine, o allo stato arbustivo, più o meno esteso.

In fondo alle profonde valli, originate quasi sempre da evidenti fenomeni erosivi, scorrono le aste di fossi e torrenti accompagnate dalle alberature riparali e dalla vegetazione igrofil. Questi ambienti tipici della Fascia Collinare interna in esame contribuiscono a diversificare morfologia e copertura di un ambiente rurale altrimenti monotono e lo rendono paesaggisticamente più variegato ed apprezzabile.

Il tessuto urbano e le relative periferiche espansioni sono tipologie di uso del suolo piuttosto frequenti, talvolta raccolti in modesti e ben definiti nuclei urbani, più spesso frammentati sull’intero territorio; tra i centri urbani si citano in particolare quello della città di Teramo e della sua espansione ad est (Villa Pavone) di circa 1.000 ha. e quello di S.Egidio alla Vibrata esteso circa 800 ha..

4.7 e) II - Area a Gestione Omogenea “Teramo sud”

Esteso ha 9.600 comprende i territori sud-ovest de Comune di Teramo (Villa 70 ______

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Ripa, Spiano, Rapino), quelli ad est di Montorio al Vomano (Collevecchio, Leognano, Basciano) fino all’abitato di Penna S.Andrea.

Il territorio è caratterizzato da un utilizzo alquanto contenuto dei terreni agricoli che risultano, inoltre, opportunamente alternati alle formazioni forestali dei terreni più impervi ed impraticabili.

La situazione di Rocciano, Villa Ripa, Spiano è emblematica da questo punto di vista: qui le suerfici occupate da copertura “chiusa”, ovvero boscata, sono in uguale percentuale con quelle a copertura “aperta” e queste ultime costituite principalmente, data l’asprezza e l’acclività dei suoli, dal pascolo e dai cereali invernali.

La situazione risulta ideale alla piccola selvaggina, lepre e fagiano in particolare, ma con la grave penalizzazione della carenza idrica estiva. Negli ultimi anni, anche grazie alla presenza di istituti di tutela, si sonono insediati i due ungulati in espansione, il cinghiale ed il capriolo.

I rimanenti territori, seppure fanno registrare una prevalenza dei terreni agricoli su quelli rinaturalizzati, presentano comunque una certa diversità ambientale grazie all’alternanza di questi ai fossi ed alle zone in erosione.

Più a valle, ai confini con l’adiacente AGO di “Teramo nord” troviamo un’altra area umida rilevante per il territorio provinciale, quella di Villa Vomano nel Territorio comunale di Teramo, il cui bacino artificiale, già Oasi di Protezione per la Fauna prevista dal vigente Piano Faunistico Venatorio 2001/2008, oltre a godere della nidificazione di diverse specie di Anseriformi, ospita una importante colonia di Nitticora (Nictycorax nictycorax).

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5. ANALISI DEL SISTEMA AGRICOLO

5.1 premessa

Nel Piano d’area della Vallata del Fiume Tordino, il settore primario è forse quello con maggiori interazioni con le risorse naturali esistenti e dunque maggior peso relativamente alla tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico.

Uno degli obiettivi centrali del piano è sostenere un modello di crescita economica e sociale dell’area, finalizzata ad un miglioramento della qualità della vita, da perseguire attraverso uno sviluppo sostenibile del territorio, incentrato sulla valorizzazione delle risorse locali, ambientali, economiche e sociali. Allo scopo il piano propone un articolato insieme di politiche di valorizzazione delle risorse esistenti, delle eccellenze e delle pecularietà locali.

In questa logica il piano individua le principali necessità ed esigenze presenti nel territorio. Evidenzia altresì tutta una serie di nuove potenzialità da mettere in rete al fine di avviare precise politiche di intervento organizzate nei vari settori di competenza di operatori pubblici e privati.

Inoltre esso affronta tematiche legate prioritariamente alla salvaguardia ambientale accompagnata alla valorizzazione delle risorse produttive e sociali dell’area, attraverso una pianificazione strategica attenta alle potenzialità di sviluppo sostenibile del territorio. 72 ______

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Gli elementi del paesaggio rurale che che pertanto concorrono alla costruzione del piano sono riconducibili ai seguenti elementi:

a) salvaguardia delle valenze naturali, ambienti e produttive dell’area;

b) qualità e sicurezza dell’ambiente, eliminando condizioni di dissesto e di rischio per la popolazione;

c) recupero di centralità dell’area, con esaltazione del ruolo strategico di cerniera e ponte con i contesti territoriali limitrofi, con i quali attivare politiche di connessione coerenti ed integrate;

d) sviluppo delle eccellenze produttive, a partire dal settore agro-alimentare e dai quattro distretti industriali esistenti, anche mediante il miglioramento della riconoscibilità e dell’immagine urbana delle aree industriali;

e) valorizzazione della qualità ambientale, anche al fine di perseguire un turismo sostenibile, incentrato sulla visitazione di luoghi, caratterizzati da proprie identità culturali, naturalistiche, paesaggistiche e storiche;

f) valorizzazione delle potenzialità dei suoli agricoli, per la corretta visione del rapporto tra le attività umane e le risorse naturali e ambientali.

Allo scopo sono stati condotti diversi approfondimenti sulle tematiche di principale interesse che determinano la potenzialità dei suoli agrari dell’area del bacino, quali principalmente pedologia, redditività, rischio erosivo, ecc.. Successivamente, ovvero attraverso la loro analisi, si è arrivati alla definizione delle classi di potenzialità nei diversi siti dell’area.

Lo strumento finale della carta delle potenzialità, indispensabile nella pianificazione delle aree territoriali del piano rispetto alle molteplici esigenze (economiche, sociali, ambientali, ecc.), torna utile per la successiva definizione delle unità del paesaggio rurale.

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5.2 Materiali e metodi

Come noto le forme di utilizzazione del suolo sono la risultante di un complesso di fattori di origine ambientale (orografia, clima, pedologia, ecc.) e antropica (coltivazioni, disboscamenti, ecc.), oltrechè di origine sociale ed economica (tessuto urbano, industriale, ecc.), in continua mutazione, ma di grande rilevo nelle analisi territoriali finalizzate agli studi ambientali.

L’analisi dell’uso del suolo dell’area di studio ha consentito di impostare lo studio dei sistemi agro-ambientali del bacino idrografico del Fiume Tordino sulla base di dati reali di utilizzo delle superfici. La carta dell’utilizzazione reale del suolo consiste in una mappa, prodotta attraverso fotointerpretazione e controlli di campo, che riproduce i limiti delle colture e delle altre utilizzazioni sulla base topografica dell’Istituto Geografico Militare.

Essa costituisce un inventario dell’utilizzazione in essere del suolo e come tale rappresenta una fonte tematica di base per uno studio della vegetazione reale o analisi ambientale in genere.

Le serie di dati della carta hanno consentito, attraverso il loro molteplice utilizzo, una serie di elaborazioni e conseguenti analisi di rilievo ai fini dello studio in oggetto. Sia lo studio della vegetazione, sia quello faunistico ed ancora quello rurale, poggiano le proprie basi proprio su tale strumento, che è stato poi il punto di partenza per ulteriori approfondimenti sui vari aspetti di maggior interesse (analisi strutturale della vegetazione, aree di vocazione faunistica, ecc.). Ciò è stato possibile soprattutto perché la delimitazione del territorio per ambiti colturali favorisce e guida il rilevatore nella sua opera di classificazione.

Nella fattispecie, data la vastità dei territori analizzati, lo studio dell’utilizzo del suolo è stato condotto prioritariamente su base cartografica.

Nella carta dell’uso del suolo della Regione Abruzzo (Regione Abruzzo, 74 ______

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2000) e prodotta in scala 1:25.000, il territorio è risultato suddiviso sulla base delle stessi utilizzate nella Corine Land Cover. La carta è strutturata in 4 livelli di approfondimento; per il lavoro svolto sono state utilizzate le seguenti classi con un maggior dettaglio di approfondimento, raggruppate in macro aree dei sistemi agricoli ed ambiti naturali (Carta dei paesaggi agricoli e naturali) :

AREE AFITOICHE

- Tessuto residenziale; Insediamento residenziale; Insediamento industriale, commerciale, ecc.; Reti stradali e spazi accessori (svincoli, aree di parcheggio, ecc.); Ferrovie comprese le aree accessorie (stazioni, ecc.); Aree portuali; Aree aeroportuali; Aree estrattive; Discariche e depositi di miniere; Depositi e cimiteri di veicoli; Cantieri; Aree verdi urbane; Campeggi e bungalows; Aree sportive; Parchi divertimento; Aree archeologiche; Cimiteri;

AREE AGRICOLE SINATRONANTROPICHE

- Seminativi in aree non irrigue; Seminativi semplici; Vivai; Colture orticole in pieno campo; Frutteti;

AREE AGRICOLE ETEROGENEE

- Vigneti; Oliveti; Arboricoltura da legno; Formazioni forestali a prevalente produzione di frutti ; Altre colture arboree; Prati stabili; Colture temporanee associate a colture permanenti;

AREE IN RINATURALIZZAZIONE

- Sistemi colturali e particellari complessi; Aree occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti; Aree agro-forestali; Aree boschive a ricolonizzazione naturale; Aree boschive a ricolonizzazione artificiale (rimboschimenti);

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AREE A VEGETAZIONE FORESTALE

- Boschi di latifoglie; Cedui semplici; Cedui matricinati; Boschi di conifere; Boschi misti di conifere e latifoglie; Aree a pascolo naturale e praterie d’alta quota; Brughiere e cespuglieti; Aree a vegetazione sclerofilla;

AREE A VEGETAZIONE RIPARIALE

- Formazioni riparie; Spiagge, dune e sabbie; Rocce nude, falesie, affioramenti, ecc.; Aree con vegetazione rada; Boschi percorsi da incendi; Altre aree percorse da incendi; Nevi perenni; Paludi interne; Torbiere; Paludi salmastre; Saline; Zone interditali; Fiumi, torrenti e fossi; Canali e idrovie; Bacini senza utilizzazioni produttive (stagni); Bacini con prevalente utilizzazione per scopi irrigui; Acquacoltura; Lagune; Estuari.

Relativamente alla datazione della carta (anno 2000) occorre considerare come le mutazioni di utilizzo del territorio analizzato, sebbene piuttosto rapide in alcuni ambiti (aree di sviluppo), sono difficilmente apprezzabili, in linea generale e per vasta area, nel decennio appena trascorso e dunque sostanzialmente possono considerarsi non significative ai fini dello studio.

L’aggiornamento di questa cartografia è piuttosto problematica, essendo le qualità colturali in successiva e continua evoluzione, ma esistono già tecnologie che permettono l’aggiornamento continuo attraverso le informazioni satellitari, e si auspica che la procedura possa essere presto alla portata dei vari Enti pubblici che operano nel settore.

5.3 Forme di utilizzo dei suoli agricoli

Particolare interesse suscitano gli effetti dell’utilizzo del suolo, frutto di un divenire storico che ha visto anche tappe determinanti: dissodamento dei terreni naturali per scopi agricoli, intervento della forza meccanica sui movimenti di terra, ecc, in un processo evolutivo continuo che non si arresta

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ai giorni nostri.

Tabella - Gerarchia delle principali forme del territorio (F.A.O., 1995).

1° livello 2° livello Gradiente intensità del rilievo di pendenza L - Territorio piatto LP-Pianura < 8% < 100 m/km LL-Altipiano < 8% < 100 m/km LD-Depressione < 8% < 100 m/km LF-Base pendio a piccola < 8% < 100 m/km pendenza LV-Fondo valle < 8% < 100 m/km

S-Territorio in SM-Montagna a media pendenza 15-30% > 600 m/2km pendenza SH-Collina a media pendenza 8-30% > 50 SE-Scarpata a media pendenza 15-30% m/pendio SR-Cresta 8-30% < 600 m/2km SU-Alta montagna 8-30% > 50 SP-Pianura discontinua per 8-30% m/pendio erosione > 600 m/2km < 50 m/pendio

T - Territorio ripido TM-Montagna a forte pendenza > 50% > 600 m/2km TH-Collina a forte pendenza > 50% < 600 m/2km TE-Scarpata a forte pendenza > 50% > 600 m/2km TV- Valle a forte pendenza > 50% variabile

C - Territorio a CV-Valli > variabile geomorfologia CL-Altipiano stretto  variabile complessa CD-Depressione principale > variabile  >  

Basti pensare che alcuni interventi, considerati dall’uomo semplici ed innocui nell’utilizzo di una superficie, come ad esempio l’adozione di nuove tecniche agronomiche o la variazione di indirizzo produttivo agricolo hanno sempre un rilevante effetto sul suolo tendendo a determinarne nuove caratteristiche. 77 ______

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Tali caratteristiche esprimono l’utilizzazione attuale del suolo rilevabile cioè dalla sua osservazione diretta, attraverso sopralluoghi, o indiretta attraverso la consultazione cartografica. Una classificazione d’uso del territorio molto interessante è quella proposta, per gli ambienti mediterranei, dalla F.A.O. che presenta due livelli di gerarchizzazione secondo valori riportati nella tabella sopra riprodotta .

Tabella 7 - Gerarchia dell’uso del suolo (F.A.O., 1995).

1° livello 2° livello S - Uso pianificato SR-Uso residenziale (centri abitati) SI-Uso industriale (industrie, stabilimenti) ST-trasporto (strade, autostrade, ferrovie) SC-Ricreazione (verde pubblico, campeggi) SX-Escavazione (cave, miniere)

A - Uso agricolo AA - Colture erbacee annuali (seminativi, orto) AP - Colture erbacee perenni (foraggere) AT - Colture arboree ed arbustive (oliveti, vigneti, legno)

H - Uso allevamento animale HE - Pascolo estensivo HI - Pascolo intensivo

F - Uso forestale FN - Sfruttamento foreste naturali FP - Silvicoltura

M - Uso agricolo ibrido MF - Uso agro forestale MP - Uso agro pastorale

E - Uso estrattivo EV - Prelievo prodotti vegetali EH - Prelievo ittico venatorio

P - Protezione della natura PN - Preservazione della natura PD - Controllo del degrado

U - Non uso del suolo

Dalla elaborazione di basi di dati già utilizzati in precedenti studi è stato possibile produrre altre importanti carte che ci aiutano ad interpretare le caratteristiche di utilizzo dei suoli.

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Le caratteristiche e le forme d’uso dei suoli agricoli sono state analizzate attraverso lo studio e della cartografia tecnica disponibile, quale la Carta dell’uso del suolo regionale (scala 1:25.000), la Carta della Vegetazione reale della provincia di Teramo, ecc..

Torna utile studiare come si distribuiscono oggi le diverse colture sul bacino di intervento soprattutto se si considera che, dietro l’evoluzione delle forme colturali di un territorio, ci sono sempre state nel passato leve principalmente di carattere vocazionale territoriale. La disponibilità idrica per consentire la pratica dell’irrigazione, la stato fisico del terreno per adottare le idonee lavorazioni del terreno, l’acclività come limite per la meccanizzazione delle varie operazioni colturali, sono tutti fattori che hanno influenzato la scelta degli agricoltori nella definizione del piano colturale aziendale.

Attraverso lo studio delle classi di utilizzo reale del suolo e quindi della espressione colturale di quell’area, si arriva dunque a definire la vocazionalità delle varie superfici. Va aggiunto che le forme di utilizzazione del suolo sono la risultante di un complesso di parametri di origine ambientale (morfologia del territorio, clima, pedologia, ecc.) e antropica (coltivazioni, disboscamenti, ecc.) e come tale un sistema in continua mutazione.

Un esempio a riguardo ci è dato dall’andamento nel corso dei secoli delle superfici boschive nel territorio provinciale, superfici che ancora oggi risultano fortemente compromesse dal fabisogno antropico delle esigenze di combustibile e di pascolo delle popolazioni che hanno abitato tale territorio. Tale spinta, che ebbe inizio sin dal Paleolitico, trovò particolare intensità nel periodo romano, ma poi, con lo spopolamento conseguente alle invasioni barbariche, le pestilenze e le carestie del VI secolo, si invertì tale tendenza e molte delle zone coltivate tornarono a popolarsi di incolto ed in seguito di boschi.

Fu solo dopo il mille che i boschi della fascia adriatica, proprio per il loro

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clima molto favorevole alle colture in genere e la vicinanza con la costa bisognosa di legname per la costruzione delle imbarcazioni da pesca, ebbero il colpo finale grazie alla lenta ripresa demografica ed agli stimoli produttivi del monachesimo di quell’epoca. Per quanto riguarda invece le estese faggete del teramano a determinarne la contrazione fu soprattutto il pascolo, molto in uso come si è già detto, mentre in misura molto minore ha inciso in questi ambienti il taglio boschivo per il legnatico qui notevolmente limitato dalla morfologia piuttosto impervia.

Solo negli ultimi anni i boschi, principalmente per l’inarrestabile spopolamento rurale e la cessazione delel attività connesse, stanno riprendendo parte del loro originario territorio seguendo un processo di rinaturalizzazione spontanea. Il paesaggio della collina interna teramana torna, dopo diversi decenni di sensibile contrazione, a popolarsi degli incolti improduttivi stimolati anche dai regolamenti comunitari (Reg. CEE n.1765/92 e 1541/93), degli impianti di forestazione ambientale (Reg. CEE n.2080/92), delle siepi che dividono i campi, delle macchie invadenti e dei boschetti che, non più puliti o ceduati per la legna cominciano ad allargarsi a macchia d’olio rendendo così tale paesaggio più naturale all’occhio umano e più ospitale alla fauna.

5.4 Grado di sfruttamento dei suoli agricoli

Per sfruttamento dei suoli si vuole intendere l’intensità con la quale le varie superfici sono utilizzate per scopi produttivi (aree estrattive, aree agricole, ecc.) o comunque per altri scopi a servizio dei bisogni umani (abitazioni, viabilità, ecc.). L’importanza che il dato dell’intensità di utilizzo riveste nella creazione di una carta delle potenzialità dei suoli risulta evidente se si analizzano le modificazioni apportate allo strato naturale del terreno e le successive conseguenze, talvolta irreparabili, che tali tipi di utilizzo hanno comportato e continuano a comportare sui suoli provinciali.

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Tutte le classi di utilizzo del suolo sono state suddivise in cinque grossi gruppi di differente intensità:

• sfruttamento nullo;

• sfruttamento basso;

• sfruttamento medio;

• sfruttamento alto;

• sfruttamento totale.

Premesso che non esistono, in pratica, suoli che non sono affatto utilizzati dall’uomo, appartengono alla prima classe tutti i territori caratterizzati dall’esserlo in maniera minima, e che quindi conservano ancora le caratteristiche di naturalità e spontaneità del luogo. Tali ambiti sono dunque quelli colonizzati spontaneamente, anche se da breve periodo, dalla vegetazione naturale: foreste, boschetti collinari, cespuglieti, ecc..

Sono comprese in tale cassazione anche le aree che in passato hanno subito uno sfruttamento, anche consistente da parte dell’uomo, ma che oggi, per motivi di diversa natura sono state riconquistate dalla vegetazione spontanea. Ci si riferisce qui soprattutto alle coltivazioni abbandonate, che solitamente occupano i versanti scoscesi delle colline pedemontane del teramano, che hanno subito in un lasso di tempo di almeno 10 anni una quasi totale rinaturalizzazione.

Sono stati qui inclusi anche i territori boscati a ceduo che, seppure ancora utilizzati dall’uomo con turni ventennali per il taglio ceduo della legna da ardere, appartengono, sia per le specie botaniche presenti e sia per il tipo di copertura vegetazionale, ad una tipologia a bassissimo sfruttamento dei suoli. Altre superfici incluse in questa categoria sono quelle occupate dalle rocce,

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dalle spiagge, dalle aree calanchive e dai corridoi dei fiumi e torrenti.

Come classi di utilizzazione minima dei suoli (Classe II) sono state considerate quelle caratterizzate da un certo tipo di utilizzo delle superfici che comportano almeno una modificazione evidente nella copertura vegetale presente.

Ci si riferisce qui ai pascoli e prati-pascolo, sia delle zone montane che di quelle collinari, ed ai pascoli degradati. Questi ultimi sono pascoli un tempo utilizzati ed oggi abbandonati dove, assieme alle essenze pabulari spontanee e alle essenze impiantate artificialmente per il miglioramento produttivo dei pascoli, cominciano a fare la loro presenza anche specie erbacee invadenti ed infestanti il pascolo.

Le aree coltivate con modalità a minor impatto ambientale, e soprattutto con minor impatto sulla stabilità dei versanti, sono quelle delle colture arboree o quantomeno consociate tra essenze erbacee ed arboree. Oliveti, vigneti, frutteti, e seminativi arborati sono stati dunque scelti per rappresentare la classe a sfruttamento medio (Classe III).

In tali ambiti, infatti, le lavorazioni del terreno, laddove presenti, occorrenti per le periodiche cure colturali vengono effettuate mediamente 2-3 volte l’anno durante la stagione estiva ed in maniera da impiegare solamente il primo strato del terreno (10-20 cm.). Questo piccolo strato di terreno lavorato ed esposto agli agenti atmosferici è in effetti particolarmente vulnerabile ai fenomeni erosivi ma la parziale copertura delle chiome dell’arboreto e la scarsità degli eventi atmosferici durante la bella stagione riducono notevolmente la probabilità del verificarsi del danno sul suolo.

Il grande sfruttamento delle aree agricole investite a seminativi, semplici ed irrigui, è a tutti noto. Su tali superfici (Classe IV) viene spesso ripetuta la stessa coltura, solitamente cereale invernale, per diversi cicli colturali senza

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ricorrere alla necessaria opera di risanamento biologico esercitata dalla rotazione delle colture o dal riposo invernale.

Tale abitudine colturale, stimolata anche dalle politiche della Comunità Europea, riduce fortemente la capacità di autoricostituzione degli elementi fisici e chimici del terreno decretandone il loro impoverimento. Con il cereale invernale il terreno viene lavorato a buone profondità di 30-40 cm. durante il periodo estivo ma, dopo successivi affinamenti delle zolle, rimane esposto anche nei successivi mesi fino a novembre, stagione notoriamente molto piovosa, con gli effetti di dilavamento ed erosione che ne conseguono a discapito del suolo.

Nelle superfici classate come a sfruttamento totale (Classe V) esse risultano permanentemente occupate da strutture costruite dall’uomo (abitazioni, stabilimenti industriali, strade, ecc.) o comunque permanentemente compromesse dal punto di vista di qualsivoglia utilizzazione agricola o forestale dalla sua opera (cave estrattive, serre, ecc.).

5.5 Redditività dei suoli agricoli

Questo dato risulta piuttosto interessante in quanto la redditività dei vari appezzamenti di terreno agricolo, più o meno direttamente, rispecchia la loro vocazionalità dal punto di vista delle produzioni agro-silvo-pastorali.

Questa infatti si estrinseca attraverso la fertilità del terreno, la disponibilità idrica, l’acclività e molti altri fattori condizionanti la potenzialità dei suoli agricoli.

Il dato della redditività agricolo forestale dei suoli provinciali è stato dunque desunto dall’utilizzazione attuale dello strato di terreno coltivabile (tratto dalla Carta dell’uso del suolo, scala 1:25.000) e dalla classazione dei vari appezzamenti in funzione della differente redditività delle varie colture utilizzate. 83 ______

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Allo scopo sono stati utilizzati indici numerici che esprimono il reddito medio retraibile da ogni singola coltura permettendo così di poter confrontare tra loro le particelle di terreno in funzione del reddito prodotto su unità di superficie.

Da un recente studio territoriale condotto dall’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo (ARSSA) sulla redditività dei suoli della regione Abruzzo, espressa su base comunale, ne risulta com’era da attendersi, una crescita della produttività dei suoli procedendo da ovest, dove siamo in presenza di terreni di montagna, verso est, dove si procede alla collina litoranea.

Il dato specifico risulta un dato derivato del rapporto tra due variabili: la Produzione Lorda Vendibile (PLV), e cioè il valore della produzione agricola ai prezzi di mercato al netto dei reinpieghi aziendali, e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU), e cioè la superficie investita effettivamente in coltivazioni .

Per quanto riguarda la provincia di Teramo, se si escludono le valli fluviali, costituite da suoli alluvionali, pianeggianti ed irrigui, si può dire che la carta prodotta, per quanto riguarda la distribuzione territoriale del reddito procedendo dalla montagna al mare, rispecchia quello che è anche il dato regionale anche evidenziato dalla Carta dello sfruttamento dei suoli.

5.6 Grado di copertura vegetale dei suoli agricoli

I processi erosivi a carico del primo strato di terreno sono legati all’interazione di numerosi fattori alcuni dei quali interni al suolo (struttura, profondità, ecc.) ed altri esterni ad esso (clima, morfologia, ecc.). Su tutti questi fattori, o meglio sulla loro azione rispetto al suolo, interferisce in maniera determinante la copertura vegetale.

La presenza o meno della vegetazione risulta infatti determinante nella riduzione degli effetti degli agenti atmosferici sulla superficie terrestre, 84 ______

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pioggia e vento in particolare.

Questa azione viene esplicata soprattutto attraverso l’intercettazione della pioggia e la conseguente riduzione dell’effetto battente delle gocce sulle zolle ed in minor misura attraverso la riduzione dell’erosione eolica. Altri vantaggiosi effetti sono quelli apportati dalla presenza in superficie delle radici e dei residui vegetali in generale che, opponendosi fisicamente, riducono lo scorrimento idrico superficiale e del relativo carico solido.

In generale, inoltre, una presenza “stabile” della copertura vegetale con i residui in decomposizione che essa comporta, migliora la struttura fisica del terreno ed anche la sua composizione chimica aumentandone la velocità di infiltrazione e la capacità di ritenzione idrica.

Numerosi riferimenti scientifici hanno dimostrato come il bosco è in grado di regolare la formazione di deflussi di piena e che dunque la sua riduzione drastica sia la principale causa delle frequenti inondazioni. Ecco dunque che il grado di copertura della vegetazione di un determinato territorio è direttamente proporzionale alla sua capacità di tutelarsi dagli eventi erosivi ed alluvionali.

Quattro sono risultati i gradi di copertura più significativi da evidenziare sulla cartina prodotta.

Le spiagge, le zone rocciose e quelle edificate sono state le più rappresentative superfici caratterizzate dall’assenza pressoché totale della massa verde seppure, in questo caso, non sempre a questo carattere corrisponde un maggior rischio erosivo.

Le aree agricole e quelle incolte, provviste dalla sola vegetazione erbacea o consociata con colture arboree, sono state considerate come lande coperte parzialmente sia per lo scarso potere coprente dello strato erbaceo che le caratterizza, sia per la non continuità spaziale e la temporaneità stagionale 85 ______

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della copertura stessa. I terreni agricoli investiti a seminativi, infatti, che occupano la quasi totalità dei coltivi nella provincia di Teramo, risultano denudati dalla vegetazione e dunque particolarmente esposti agli agenti atmosferici diversi mesi l’anno e fra l’altro proprio quando il rischio erosivo risulta alto (autunno).

Gli arboreti, inoltre, oliveti, vigneti e frutteti in generale, presentano suoli parzialmente protetti dalle piogge per l’azione coprente delle fronde nel sottochioma e suoli denudati dalle continue operazioni colturali che tendono ad eliminare le erbe spontanee nei filari.

Il grado di copertura media è stato assegnato alle coperture vegetali caratterizzate da una certa continuità durante tutto l’anno quali prati, prati pascoli e colture degradate. Queste classi colturali garantiscono uno sottile ma persistente strato erbaceo provvisto di radici fittonanti, e dunque con una buona azione miglioratrice del terreno, ed uno strato muscinale e residuale che globalmente resiste molto bene al fenomeno erosivo delle zolle.

Il bosco rappresenta invece la copertura vegetale totale sia per la sua composizione strutturale che per la sua continuità spaziale e temporale che garantisce praticamente l’annullamento del rischio di erosione dei suoli che esso occupa (Giordano, 1990).

5.7 Rischio erosivo dei suoli agricoli

5.7 a) Premessa

Nell’ambito del presente lavoro sulla potenzialità dei suoli provinciali, si è voluto condurre un’approfondimento sulla tutela dei suoli ed in particolare sullo studio dell’erosione arrivando anche alla redazione di cartografia specifica. L’asporto di materiale terroso da un’area all’altra, infatti, può condurre in tempi brevi alla riduzione notevole dello spessore di suolo, fino alla sua totale scomparsa, può determinare modifiche morfologiche del 86 ______

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territorio e provocare danni al reticolo idrografico con forti modifiche geomorfologiche dell’area.

Per tutti questi motivi negli ultimi trenta anni molti studiosi si sono posti il problema di valutare il rischio erosivo di un territorio per poterne poi individuare le aree a maggior rischio e poter pianificare, per quelle zone, interventi e sistemazioni che ne riducessero gli impatti sull’ambiente.

La carta rappresenta uno strumento tecnico importante nel Piano d’area per l’individuazione delle aree a maggior rischio erosivo e da consultare in sede di programmazione territoriale. In particolare essa consente di meglio orientare le scelte programmatiche ai fini della salvaguardia dei suoli agricoli a maggior rischio: pratiche di ingegneria forestale e naturalistica, ripristino di pratiche agronomiche in disuso, ecc.. A tale erosione, infatti, erano in grado di resistere sufficientemente gli elementi fissi del paesaggio, quali siepi ed alberature ai margini dei campi, o le sistemazioni agrarie largamente in uso nelle tradizioni e nelle culture contadine dei decenni passati, elementi questi oggi entrambi scomparsi a causa del sempre crescente sfruttamento dei suoli.

Ogni processo erosivo, consiste nell’asportazione di materiale terroso da una superficie ed il suo trasporto fino ad un luogo di deposito del materiale eroso. Alcuni di questi fenomeni erosivi sono facilmente visibili, come nel caso delle frane e degli smottamenti, l’erosione di un letto fluviale, la regressione della linea costiera, ma in altri casi il processo è piuttosto lento, graduale ed invisibile all’occhio umano.

A questa seconda classe appartiene la erosione idrica laminare, tema specifico del nostro approfondimento, ovvero quella provocata principalmente dall’azione dell’acqua piovana, che seppure lavora impercettibilmente, è la principale responsabile del modellamento della superficie terrestre e di conseguenza uno dei princiapali fattori di degrado ambientale. Questo tipo di erosone è provocata dalle acque piovane che cadendo sul suolo, disgregano le

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particelle terrose agglomerate, e poi, scorrendo in velo liquido sulla superficie, trasportano a valle tale materiale.

Ne risulta, in tempi non brevissimi, una modificazione del paesaggio ben visibile all’occhio umano.

La perdita di suolo per erosione idrica laminare in ambienti mediterranei di media collina può andare da qualche tonnellata a qualche decina di tonnellate ad ettaro e per anno a seconda dei parametri geomorfologici e di uso del territorio (Rondelli F., 1995).

5.7 b) Materiali e metodi

L’approfondimento è stato condotto partendo dalle conclusioni dello specifico studio della Provincia di Teramo nel 2001 (Studio della potenzialità dei suoli della provincia – Castiglione G., 2001).

Partendo dal monitoraggio dell’intero territorio in analisi sui fattori principali che condizionano il fenomeno erosivo, si è arrivati, attraverso l’applicazione di una equazione matematica applicata a ciascuna unità ambientale (UA = 1 kmq), alla produzione della “Carta del rischio erosivo del territorio provinciale”. Il metodo utilizzato è stato quello dell’ “Equazione universale per la perdita di suolo” (Universal Soil Loss Equation: U.S.L.E.), proposto per la prima volta negli Stati Uniti da W.H.Wischmeier nel 1958.

L’equazione è la seguente:

E = R x K x L x S x C

dove: E = perdita di suolo in Tonnellate/acre anno; R = fattore di erosione delle piogge; K = fattore di erodibilità del suolo;

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L = fattore topografico di lunghezza del pendio; S = fattore topografico di pendenza del pendio; C = fattore di copertura vegetale o specifico colturale. Questa equazione, essendo stata progettata per determinare l’erosione idrica laminare dei suoli degli Stati Uniti, ovvero di ambienti pedoclimatici differenti dai nostri, per essere utilizzata in Italia ha bisogno di opportuni adeguamenti. Due studiosi dell’Università degli Studi di Perugia (Stoppini Z. e Rondelli F., 1984), hanno proposto una adattamento all’equazione di Wischmeier per poterla applicare direttamente agli ambienti pedo-climatici dell’Italia Centro-Meridionale applicando ai singoli fattori un esponente correttivo, associando i due fattori relativi alla natura del pendio (lunghezza e pendenza), e introducendo le unità di misura del Sistema Metrico Decimale al posto di quello Pratico Anglosassone.

La nuova equazione è dunque la seguente:

E = R (xr) x K (xk) x LS (xls) x C (xc) x P (xp)

dove: E è espresso in T/ha annuo; LS è una fattore collegato con i fattori di lunghezza e pendenza del pendio; e dove: xr = 0,51959 xk = 0,58570 xls = 0,62910 xc = 0 0,93209 xp = 1 Il fattore “R” di erosione delle piogge è un valore che esprime la capacità degli eventi meteorici, che si abbattono su un suolo, di poter erodere il suo strato superficiale. Esso è ricavato dalla somma annuale degli indici di erosione delle singole piogge, valori questi che dipendono dall’energia 89 ______

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cinetica totale di ciascun evento piovoso.

Il fattore di erodibilità dei suoli “K”, quantifica l’effetto finale e totale di un insieme di proprietà, possedute da ciascuna tipologia di suolo, che influenzano la tendenza di ciascuno dei differenti suoli a lasciarsi erodere dagli eventi atmosferici. Attraverso la consultazione della carta pedologica della Provincia di Teramo è stato possibile individuare, per ciascuna unità ambientale di riferimento, il tipo pedologico prevalente e risalire attraverso questo, ai rispettivi contenuti granulometrici che hanno poi permesso di calcolare il valore ultimo di erodibilità.

Il fattore topografico “LS” quantifica la capacità di trasporto del materiale soggetto all’erosione in funzione della lunghezza (L) e della pendenza (S) del pendio.

Il fattore di copertura “C” quantifica l’effetto protettivo che il differente grado di copertura vegetale può esercitare su un suolo intercettando la pioggia e riducendone l’energia ed il suo effetto impattante. Tale fattore oltre a considerare la copertura esercitata su un suolo dalla vegetazione naturale, quantifica anche quella esercitata dalla vegetazione colturale, e dunque, anche le relative diverse sistemazioni colturali.

Nel nostro caso per ciascuan UA ricadente nel territorio del Piano d’area sono stati dunque dapprima calcolati i valori dei fattori dell’equazione di Wischmeier e poi si è arrivati al calcolo della perdita di suolo ad ettaro mediante la precedente equazione con le correzioni esponenziali. Si è arrivati così alla produzione della carta del rischio erosivo della vallata del Tordino.

5.8 Studio della potenzialità dei suoli agricoli

5.8 a) Premessa

Le caratteristiche dei suoli rappresentano le basi conoscitive dei caratteri

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fisici del territorio da cui dovrebbero derivare nuove condizioni per il suo razionale utilizzo e più in generale per la corretta visione del rapporto tra le attività umane e le risorse naturali e ambientali. Fondamentale è inoltre il suo apporto alle conoscenze necessarie alla definizione delle unità di paesaggio e propedeutiche nella programmazione e pianificazione delle aree territoriali coinvolte nel rispetto della pluralità delle esigenze economiche e sociali e compatibilmente con quelle ambientali e di ecologia del paesaggio.

Di grande rilievo è lo studio delle proprietà dei suoli del paesaggio agricolo in esame, quale strumento tecnico-scientifico sulle vocazionalità e potenzialità agro-silvo-pastorali del territorio.

Da uno studio condotto dal Settore Urbanistica della Provincia di Teramo (Studio sulla potenzialità dei suoli della Provincia – Castiglione G. 2001), è stata realizzata la Carta delle capacità dei suoli. Tale strumento può essere una componente importante di questo quadro di conoscenze fisiche naturali della Vallata del Tordino, in particolare per gli aspetti legati alle produzioni primarie.

Per potenzialità dei suoli si intende, infatti, quella intrinseca ed implicita attitudine che esso presenta nei confronti del sostentamento delle piante, coltivate e spontanee, o meglio, l’articolazione che la provincia teramana presenta in base a tale caratteristica, ma non solo.

Tale attitudine è naturalmente in rapporto con le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche di ogni tipo pedologico e dunque con l’origine stessa del suolo (Mancini F., Ronchetti G., 1968). Tale rapporto di dipendenza con altri molteplici fattori, mette in evidenza i principali fattori che ne limitano, più o meno fortemente, l’uso da parte dell’uomo.

La carta finale, derivata a seguito di diverse elaborazioni statistiche dai numerosi fattori che sono stati analizzati, permette di meglio inquadrare dal

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punto di vista ampiamente applicativo i numerosi dati e fattori che entrano in gioco nella differenziazione dei suoli sotto l’aspetto delle loro potenzialità. Essa fornisce, al contempo, un supporto per l’individuazione di nuovi modelli ecocompatibili di utilizzo agro-forestale dei suoli, sempre nel rispetto della sempre maggiore esigenza di tutela del territorio, delle aree svantaggiate, di interesse naturalistico o nelle aree protette.

Appare subito chiaro come dall’evidenza delle relazioni esistenti tra il suolo ed il paesaggio, si possa suddividere il territorio in ambiti omogenei, ciascuno dei quali con le medesime attitudini produttive e le stesse problematiche di conservazione. Questo quadro delle risorse permetterà di ipotizzare fondatamente l’impatto dei diversi interventi, siano esse relative all’urbanizzazione, al risanamento ambientale o alle direttive di politica agricola.

Il lavoro si è avvantaggiato delle più moderne tecnologie dei Sistemi Informativi Geografici quali il sistema CAD (Computer Aided Design) ed il GIS (Geographic Information System) messi a disposizione dall’ufficio Urbanistica, Pianificazione Territoriale e Ambiente della Provincia di Teramo.

5.8 b) Materiali e metodi

Sotto l’aspetto metodologico, nel valutare le attitudini di un suolo ai fini agricoli e forestali, si può seguire un metodo parametrico oppure un metodo categorico (Fassi B., 1982). A questo secondo metodo, cui appartiene il sistema della Land Capability Classification degli Stati Uniti, si è fatto riferimento nel presente lavoro.

Per il bacino del Tordino, vista la dimensione di area vasta, sono stati fissati già in partenza un dato numero di classi, alle quali sono attribuiti suoli che presentano caratteristiche chimico-fisiche e comportamento agro-forestale analoghi e per i quali vengono evidenziati particolari problemi quali l’erosione,

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il rischio di inondazioni, ecc..

Poiché non sarebbe stato possibile procedere ad un vero e proprio rilevamento pedologico, data la grande estensione del territorio studiato, sulla base delle correlazioni “suolo-soprassuolo” emerse in precedenti esperienze, ci si è orientati sulle osservazioni e valutazioni di carattere essenzialmente botanico, agronomico e forestale. Sono stati utilizzati, infatti, parametri biologici per definire, indirettamente e in un modo relativo, in termini di capacità d’uso, le combinazioni suolo-clima.

Il lavoro, eseguito attraverso fotointerpretazione, consultazione di dati cartografici informatizzati, dati bibliografici, rilievi territoriali, ecc., ed elaborato mediante l’ausilio dei sistemi informatici CAD (Computer Aided Design) e GIS (Geographic Information System, è passato attraverso le seguenti fasi:

a) individuazione delle principali fasce agro-ambientali attraverso l’elaborazione di basi di dati già utilizzati negli studi precedenti:

a.1)base dati della copertura del suolo;

a.2)base dati della vegetazione potenziale e della vegetazione reale;

a.3)base dati climatici;

a.4)indici ecologici, ecc.;

b) suddivisione del territorio provinciale in unità di campionamento;

c) acquisizione informatica ed elaborazione di basi di altri dati cartografici tematici relativi alle singole unità territoriali:

c.1) base dati delle isoipse (tratta dalla CTR 1:10.000);

c.2) base dati delle pendenze (tratta dalla CSR 1:25.000);

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c.3) base dati delle aree marginali (tratta dalla CSR 1:25.000);

c.4) base dati delle coperture vegetali (tratta dalla CSR 1:25.000);

c.5) base dati dei sistemi pedologici (tratta dalla CPP 1:75.000;

d) definizione dei sistemi agricoli e delle unità di paesaggio del territorio provinciale attraverso l’analisi statistica multivariata delle variabili agro- ambientali;

e) redazione della relazione tecnica con relativi allegati (carte e note illustrative):

e.1) carta dei sistemi agricolo-forestali;

e.2) carta degli impatti agricoli;

e.3) carta dell’erodibilità dei suoli agricoli e forestali;

5.8 c) Analisi statistica

Infine l’analisi statistica multivariata sui fattori condizionanti al potenzialità dei suoli ha consentito di individuare, ed alla fine accomunare tra loro, le unità ambientali simili per i cinque fattori analizzati: tipo pedologico prevalente, redditività dei suoli, acclività dei versanti, clima, altitudine media. Questo lavoro ha permesso di individuare delle macrozone o sistemi agricolo-forestali omogenei. L’analisi è stata condotta attraverso l’analisi multivariata dei clusters basata sul metodo statistico delle k-medie.

Tra le 5 variabili analizzate, sono state individuate quelle che, sulle altre, avevano una maggiore significatività in relazione allo scopo del lavoro. Queste variabili, che riguardavano principalmente la tipologia pedologica e la redditività delle superfici, hanno permesso di individuare i comprensori omogenei mentre le altre variabili sono state utilizzate poi, come qualificatori

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(fattori positivi) o di detrattori (fattori negativi), per una ulteriore diversificazione dei territori di ciascun comprensorio ottenuto.

Il numero di clusters che, in base alle variabili considerate, ha dato il miglior risultato in termini di distanza e significatività è stato 8; questo ha permesso di individuare 8 fasce omogenee.

Il risultato finale è stato quello di aver ottenuto una ulteriore suddivisione dei clusters in circa 3-4 gruppi, per ciascuna fascia omogenea, e dunque un totale di 21 comprensori omogenei.

5.8 d) Risultati potenzialità dei suoli agricoli

Il risultato finale dell’analisi statistica multivariata condotta sulle principali caratteristiche ambientali è la definizione delle classi di capacità d’uso dei suoli provinciali. Il calcolo ha evidenziato la necessità, sulla base di criteri di significatività, di definire un numero di circa 20 unità di capacità di suolo differenti. Per motivi legati ad un risultato apprezzabile graficamente e riproducibile su una carta da utilizzare come strumento di pianificazione territoriale, è nata l’esigenza di attuare una semplificazione delle unità per arrivare alla definizione di un numero complessivo sei classi principali.

Alla definizione segue una descrizione delle diverse classi ed unità che verte principalmente sui parametri più interessanti che hanno, in sostanza, contribuito alla definizione delle classi stesse. Viene inoltre tracciata una descrizione sull’utilizzo attuale del suolo e sulle sue potenzialità produttive.

5.8 d) I – Classe I

A tale classe appartengono suoli montani del bacino con forti e fortissime limitazioni a tutte le attività produttive agricole e forestali, limitazioni singole ma più spesso combinate perché concatenate tra loro, tali da precludere, spesso completamente, il loro utilizzo a tali fini. Forti acclività accompagnate ad

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erosione, suoli rocciosi e superficiali, clima rigido, ecc., sono i principali vincoli alle coltivazioni agricole di tali ambiti.

I tipi di suolo riscontrabili, ad una analisi che va dalle alte alle basse quote altitudinali, sono soprattutto quelli caratteristici dei suoli di montagna ed alta montagna. Sulle più alte vette rocciose dei comprensori della Laga si trovano associazioni quali litosuoli, e protoranker. Per ragioni morfologiche e climatiche i processi pedogenetici sono qui fortemente rallentati per cui i suoli sono ai primissimi stadi della loro evoluzione e come tali presentano, oltre quelle già citate, diverse altre anomalie quali predominanza assoluta dello scheletro, distribuzione eterogenea della sostanza organica e dell’attività biologica e chimica del loro scarso profilo.

Vicino a queste associazioni sulla Laga troviamo ranker, litosuoli e ranker bruni, tipiche di rocce silicate, di modestissimo spessore, a prevalenza di scheletro e sabbia con accompagnata una notevole carenza di struttura che comporta una capacità idrica di ritenuta assai scarsa.

Tali distretti, se si esclude la produzione dei pascoli e quella forestale, risultano scarsamente utilizzabili per le produzioni agricole, mentre la destinazione principale è legata all’utilizzo turistico e di tutela degli habitat e delle cenosi naturali.

Altre associazioni, che si alternano spesso con rocce arenacee ed argille marnose, sono quelle dei suoli bruni, s.b. acidi, s.b. lisciviati e litosuoli. Tale associazione, che ritroviamo all’interno del bacino del Tordino nel vasto territorio dei comuni di Valle Castellana e Cortino, caratterizza terreni occupati da fitti boschi come quelli del Bosco della .

Le anomalie di tali suoli sono legate soprattutto alla granulometria ed alla scarsa profondità il che favorisce l’adattamento al pascolo, al bosco di latifoglia o conifera ed alle colture promiscue.

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5.8 d) II – Classe II

Questa classe interessa un vastissimo territorio che spazia dal mare alla montagna e che come tale include una grande varietà di territori e di differenti paesaggi colturali che si estendono non solo su differenti tipi di roccia e sotto differenti condizioni climatiche ma, di riflesso, anche sotto diverse coperture vegetali.

Analizzando la visione d’insieme della carta delle unità agricole si ha comunque la percezione di una certa concentrazione di queste unità di II classe nella zona appartenente al paesaggio agricolo della collina pedemontana. In particolare nell’area del Tordino citiamo i comuni di Campli e Teramo. Si tratta di unità caratterizzate da un paesaggio eterogeneo e composto da un certo equilibrio tra superfici occupate dalla vegetazione naturale, calanchi, boschetti collinari, aree in erosione, e superfici coltivate. La predominanza delle une sulle altre contribuisce a determinare l’appartenenza delle unità alle varie sottoclassi.

Nei suoli pedemontani e collinari interni, rispetto alla classe precedente, vediamo qui diminuire le pendenze e le anomalie dei suoli, ma ancora sussistono forti limitazioni a tutte le attività produttive agricole e forestali.

I versanti acclivi sono anche qui accompagnati da fenomeni erosivi, accentuati dalla rarefazione della copertura arborea; i suoli ancora ricchi di scheletro e piuttosto superficiali, il clima temperato, ecc., sono i principali vincoli alle coltivazioni agricole di tali ambiti.

Nelle zone collinari litoranee, invece, le principali limitazioni risiedono nei tipi pedologici presenti e spesso nelle forti pendenze.

Il clima soprattutto lungo la fascia collinare litoranea è decisamente più favorevole alle coltivazioni con poche eccezione per le valli fluviali per il noto fenomeno dell’inversione termica che vi si verifica.

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I tipi di suolo riscontrabili, sono qui molto vari e se si escludono quelli appena citati per la classe precedente, include tutti gli altri presenti in provincia di Teramo.

Possiamo citare i più importanti come l’associazione dei regosuoli e vertisuoli tipica della collina litoranea e quella dei suoli bruni calcarei, rendzina e suoli bruni lisciviati tipica della collina interna.

La prima, iterconnessa ai fertili suoli alluvionali dei fondovalle, appartiene alla 4° classe di potenzialità dei suoli italiani e combacia con il paesaggio pliocenico argilloso-limoso marino che si protende dal Preappennino toscano ed emiliano sino all’Italia meridionale. In provincia di Teramo l’associazione dei regosuoli e vertisuoli la si ritrova lungo tutta la fascia collinare adriatica che partendo come suo limite ovest dalla linea che tocca gli abitati di Civitella del Tronto, Canzano, Cellino Attanasio e Castiglione Messer Raimondo, arriva fino al margine costiero. A questo paesaggio collinare si alternano con una certa cadenza le fertili valli fluviali dei principali fiumi provinciali.

Le principali deficienze di tali suoli sono costituite dallo stato di aggregazione e dalla composizione granulometrica che essi presentano. La struttura dei suoli risulta infatti ricca di particelle di terra fine e carente di scheletro, ed è spesso accompagnata da scarsa profondità per interconnessione di strati di argilla. La assenza, ormai centenaria, di copertura arborea e la più recente riduzione anche delle siepi, alberature, ecc., unita alla utilizzazione agricola piuttosto spinta dei terreni ha fortemente accentuato i fenomeni erosivi e ridotto quelli pedogenetici. Come prima conseguenza di tali eventi si è avuta la riduzione delle superfici di terreno coltivabile culminata in alcuni casi (sommità collinari, calanchi, aree in erosione, ecc.) nella sua totale scomparsa.

L’associazione della collina interna dei suoli bruni calcarei, rendzina e suoli bruni lisciviati, appartiene invece alla 3° classe di potenzialità dei suoli. Questa è l’associazione più vasta che si riscontra nel territorio provinciale anche per la

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sua diretta connessione con i terreni derivanti da rocce calcaree.

Malgrado questi valori piuttosto buoni in ordine alla potenzialità dei suoli, in questi distretti permangono limitazioni ancora forti alle coltivazioni agricole.

In alcuni unità poi, la presenza di vaste aree calanchive (come quelle di Bellante e Mosciano S.Angelo), o di estese superfici boscate (come quelle di Bisenti, Arsita, Penna S,Andrea, ecc.) riduce anche vistosamente la potenzialità produttiva agro-forestale di tali aree. Per quanto riguarda i territori pedemontani, si tratta di zone con attitudini più forestali che agricole, in quanto considerato le minori esigenze delle prime sarebbe possibile ottenere con queste un loro migliore sfruttamento ed allo stesso tempo ottenere una riduzione dei fenomeni erosivi e favorire la pedogenesi e l’aumento della fertilità.

Per quanto riguarda i territori collinari interni le limitazioni sono qui di varia natura e di difficile schematizzazione a tale scala.

In entrambi casi, dunque, le scelte colturali vanno dunque fatte dopo attenta osservazione dell’ambiente in cui si opera.

5.8 d) III – Classe III

Molto meno rappresentata delle classi precedenti, la terza classe di potenzialità dei suoli si trova distribuita nella fascia compresa tra la collina interna e la zona montana, andando ad occupare un comprensorio molto simile alla classe precedente. Essa raccoglie dunque quelle unità territoriali che differentemente dalle unità della seconda classe presentano limitazioni più ridotte. Si tratta per lo più di ambiti più agevolmente coltivabili per la mancanza sia di tare occupate da ambiti naturali e sia di aree in erosone.

Il rapporto tra le superfici coltivate rispetto a quelle occupate da ambiti naturali, differentemente da quanto constatato nella classe II, è qui a vantaggio della prima. Si tratta dunque per lo più di territori collinari facilmente e

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redditiziamente coltivabili dove i boschetti collinari e le siepi lungo i fossi sono solo di contorno alle particelle coltivate. Malgrado ciò siamo in presenza di suoli che presentano ancora molte limitazioni che restringono la scelta delle colture e richiedono accurate pratiche agronomiche. Il clima si mostra moderatamente sfavorevole per numerose colture.

Le principali colture agrarie sono le erbacee e le arboree oltre al pascolo e l’arboricoltura da legno. Su quest’ultima coltura c’è da aggiungere che proprio in questa classe di potenzialità dei suoli si è avuta, nell’ultimo decennio, la massima espansione in termini di superficie. Gli incentivi di origine comunitaria hanno infatti privilegiato prioritariamente, nella scelta delle superfici da impiantare, le zone agricole in disuso o abbandono per l’eccessiva pendenza che in questa fascia collinare interna sono molto abbondanti.

Altra importante limitazione di tali distretti è l’adozione di trattamenti e pratiche colturali richieste per evitare l’erosione del suolo, per conservarne l’umidità e contenerne la produttività con azioni più intense e frequenti, e dunque più dispendiose, delle classi successive.

Dalla osservazione della visione di insieme della carta delle unità agricole della III Fascia, si nota come tali unità tendono ad occupare anche i terreni prospicienti le valli fluviali dei fiumi e torrenti.

Altro territorio compreso in questa classe è quello compreso tra i paesi di Campovalano, Piancarani e Putignano nel territorio di Campli. Anche qui è soprattutto l’orografia quasi del tutto pianeggiante a determinarne la facile coltivabilità e dunque a giustificarne la posizione in questa classe di potenzialità.

Le tipologie dei suoli, per le considerazioni già fatte, sono le stesse della classe precedente. L’associazione tipica della collina interna teramana, appartenente alla 3° classe di potenzialità dei suoli italiani, è infatti quella dei suoli bruni calcarei, rendzina e suoli bruni lisciviati. L’associazione, in ordine

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all’attitudine all’utilizzo agricolo, viene subito dopo quella dei suoli alluvionali di fondo valle e che troveremo solo nelle successive classi di potenzialità. In particolare sono questi ultimi componenti dell’associazione, i suoli bruni lisciviati, che, con la loro buona profondità ed il loro ottimo stato di aggregazione e presenza di sostanza organica, ne innalzano la fertilità del suolo che costituiscono.

5.8 d) IV – Classe IV

Da una prima analisi delle unità che appartengono alla quarta classe, esse risultano numericamente molto meno rappresentative rispetto alle precedenti.

Anche in questo caso, come nel precedente, le unità risultano distribuite in maniera poco significativa, anche se per motivazioni di orgine cartografico e semplificativo esse possono essere ascritte al paesaggio agricolo della collina interna del bacino in esame.

Le unità si trovano infatti distribuite sia in territorio pedemontano e collinare interno, con unità molto isolate, e sia lungo le principali valli fluviali, con unità che presentano qui una certa aggregazione. Queste ultime possono essere considerate unità simili a quelle delle successive V e VI classe, che racchiudono quasi esclusivamente territori basso collinari o di fondovalle, dalle quali però queste si distinguono perché presentano maggiori limitazioni che ne riducono ulteriormente la scelta e le produzioni delle colture.

Le pratiche colturali per la conservazione dei suoli sono qui meno impellenti della classe precedente ma le limitazioni restringono il periodo utile per l’aratura, la semina ed il raccolto dei prodotti.

Si tratta di suoli mediamente fertili, da lievemente ondulati a moderatamente acclivi, sia profondi che superficiali, soggetti a ridotti fenomeni di erosione.

Da questa dispersiva distribuzione delle unità territoriali, si possono

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individuare solo poche aree omogenee. L’unica di queste aree ben delineabile è quella della Val Vibrata situata a nord-est del capoluogo provinciale. Notoriamente riconosciuta come una delle zone agricole più produttive della provincia, la Val Vibrata associa ottime caratteristiche orografiche a buone caratteristiche di estensione media delle particelle coltivate. Qui, infatti, le elevate dimensioni medie delle proprietà consentono, più di altri luoghi l’estensione della monocoltura determinando una ulteriore potenzialità ai terreni.

La caratteristica che non ne determina la appartenenza alla V classe è forse il fatto che pur trattandosi di terreni pianeggianti ed agevolmente coltivabili, sono composti da suoli di bassa potenzialità quali regosuoli, suoli bruni, suoli bruni calcarei, e suoli bruni mediterranei, come si evidenzia anche dalla carta provinciale dei suoli.

Comunque si tratta di terreni agricoli ad alta redditività, come dimostrano sia la carta della redditività di suoli provinciali e sia il tipo di utilizzo attuale del suolo. La barbabietola da zucchero trova qui ottime condizioni di coltivazione. Altre colture comuni sono le colture industriali, quali il tabacco ed il girasole, e le colture ortive.

5.8 d) V – Classe V

La quinta classe di potenzialità dei suoli si trova distribuita quasi totalmente nella fascia della collina litoranea della provincia di Teramo.

Da una analisi della carta delle unità agricole relative a questa classe, si nota come tali unità, come anche quelle della successiva, sono tutte distribuite lungo le aste fluviali, ed in prossimità, dei principali corsi d’acqua provinciali alternandosi ad unità appartenenti alla IV ed alla III classe.

Si può citare la pianura del torrente Salinello che dall’abitato costiero di Tortoreto tende a risalire, attraversando una vasta ed omogenea area in prossimità delle pianure intensamente coltivate ad ortive di S.Omero, fino ai 102 ______

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pianori di Garrufo e S.Onofrio. Atri addensamenti di unità di questa classe li ritroviamo nelle sezioni più arretrate dei fiumi Tordino e Vomano.

Si tratta dunque di terreni fertili, pianeggianti o lievemente ondulati, profondi o poco profondi, ed interessati da modeste limitazioni quali la struttura e la lavorabilità meno favorevoli, la permanenza dell’umidità nel suolo, ristagno, inondazioni, ecc.. Queste limitazioni riducono la produzione delle colture e possono richiedere pratiche colturali per migliorare le proprietà dei suoli quali drenaggi e sistemazioni idrauliche.

Le attitudini agricole della V classe sono dunque molto vaste considerato anche che la favorevolezza del clima di fondovalle.

Lo sfruttamento dei suoli, come si evince anche dalla apposita carta provinciale, risulta qui molto elevato. I tempi morti tra una coltura e la successiva sono molto abbreviati.

L’indagine pedologica rivela poi in tali distretti la presenza di suoli alluvionali, ovvero dei suoli più fertili in assoluto ed appartenenti alla 1° classe di potenzialità dei suoli d’Italia. Se si esclude qualche difetto sul piano della struttura, in quanto essi tendono spesso a presentare anomalie granulometriche, tali suoli fanno registrare per tutte le caratteristiche pedologiche i più alti valori.

Sono dunque praticabili le coltivazioni più redditizie per eccellenza: colture ortive sia invernali e sia estive, colture industriali di pieno campo quali barbabietola e tabacco, e le colture arboree da frutta, principalmente pesco.

5.8 d) VI – Classe VI

La sesta ed ultima classe di potenzialità dei suoli presenta una distribuzione che ricalca quella della classe precedente trovandosi anch’essa lungo le aste fluviali dei principali corsi d’acqua della fascia collinare litoranea provinciale.

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Se si esclude qualche isolato quadrante, le unità della classe delineano tre zone nettamente individuabili nelle pianure delel aste fluviali coinvolte: Salinello, Tordino e Vomano.

Dalla analisi della carta dello sfruttamento dei suoli si può confermare il dato ottenuto dall’analisi statistica; le zone da questa delineate, appartengono infatti, a quelle aree in cui si registra, a livello provinciale, il più alto grado di sfruttamento dei suoli.

Siamo in presenza di suoli molto fertili, completamente pianeggianti, profondi, generalmente facilmente lavorabili e non soggetti, se non eccezionalmente, alle inondazioni dannose. Sono suoli praticamente privi di limitazioni, molto produttivi, ed adatti per un’ampia scelta di coltivazioni anche fortemente intensive.

Analoga alla classe precedente l’analisi pedologica che rivela, anche qui, la presenza di suoli alluvionali.

Le attitudine agricole sono le stesse espresse per la classe precedente; spesso tra le due classi si riscontrano solo delle differenze in termini energetici, ovvero di energia spesa per unità di produzione ottenuta, mentre le produzioni possono essere le medesime. Sono dunque praticabili anche qui le coltivazioni ad alto ed altissimo reddito anche se per consuetudini e retaggi culturali talvolta tali superfici sono occupate da colture tradizionali e meno produttive quali i cereali invernali, le colture foraggiere e l’olivo.

6 IL SISTEMA AGRICOLO E LE UNITA’ DI PAESAGGIO

6.1 Premessa

La nozione di paesaggio, apparentemente chiara nel linguaggio comune, è in

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realtà carica di molteplici significati a livello disciplinare. Esso è oggi considerato un fenomeno culturale di notevole complessità ed è stato oggetto di studio da parte di numerose scuole di pensiero che ne hanno evidenziato, spesso senza nette distinzioni, i diversi aspetti e valori.

Innanzitutto il valore insito principalmente nei beni storico/culturali, beni cioè in grado di conservare le testimonianze come le costruzioni e le sistemazioni agrarie, o “segni” storici e simbolici in generale. Il valore estetico, inteso come aspetto esteriore della bellezza “artistica” dei luoghi e quello dell’insieme geografico in continua trasformazione, con interrelazioni dinamiche significative connotanti i luoghi tra gli aspetti naturalistici con quelli antropici.

Esso può essere considerato come un linguaggio in grado di comunicare la relazione tra natura e società aprendo una riflessione di carattere etico sul modello di sviluppo responsabile dell’assetto del territorio.

Per paesaggio non deve dunque essere inteso le caratteristiche tangibili o visibili del territorio, ma soprattutto come orizzonte di relazioni complesse, ecologiche, economiche e sociali.

6.2 Tutela del paesaggio agrario

Il paesaggio è dunque rappresentabile come la risultante di tutti i processi che avvengono in un mosaico complesso di ecosistemi. Secondo tale approccio, il paesaggio è un sistema gerarchico multidimensionale caratterizzato sia strutturalmente sia funzionalmente dagli ecotopi attraverso cui è organizzato.

In questa nuova fase degli interventi paesaggistici l’agricoltura svolge un ruolo di primo piano essendo l’unico settore produttivo a produrre esternalità positive di grande rilievo per la tutela e conservazione del paesaggio. Ciò si innesca nel nuovo ruolo multifunzionale dell’agricoltura, cioè nel suo riuscire ad evolvere offrendo servizi alla società ed alla popolazione che vi è legata. Solo in questo modo la campagna è in grado di offrire concrete alternative ai fenomeni 105 ______

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di concentrazione delle aree urbane e ai fenomeni di rarefazione delle zone più marginali.

Fino a qualche anno fa i rapporti tra agricoltura e paesaggio erano indagati soprattutto prendendo in esame le problematiche sollevate dalla crescita dei centri abitati ed dalla più recente urbanizzazione delle campagne, con lo sviluppo di strade, fabbriche, elettrodotti ecc.. Più volte è stato sottolineato il loro dissennato insediamento a scapito dell’agricoltura e, quasi sempre, proprio di quella migliore localizzata nelle valli fluviali.

Oggi si è diffuso un nuovo interesse nei confronti del paesaggio, e ciò sembra dovuto principalmente al fatto che il suo valore estetico può assumerne uno economico tangibile in quanto, laddove apprezzato, esso determina un richiamo turistico.

Si è cominciato a parlare di “patrimonio paesaggistico” e si sta sviluppando una nuova “scienza economica del paesaggio”.

Si parla, sempre più frequentemente, di paesaggi da “restaurare”, “proteggere”, “conservare”, ecc., sostenendo richieste di interventi normativi per la loro “tutela”, “gestione”, “pianificazione” ecc.. Da qualche tempo si è cercato di sviluppare questo tema trattandolo a vari livelli europei, nazionali e locali, tracciando anche indirizzi per una comune “politica del paesaggio”.

Interessante a tal proposito appare la recente proposta normativa (D.D.L.R.) della Regione Abruzzo riguardante l’introduzione di “Norme di tutela del paesaggio agrario e gestione agroambientale del territorio per la valorizza- zione delle produzioni tipiche tradizionali”, che introduce norme e modalità di gestione del paesaggio.

La gestione modulare del paesaggio si sovrappone direttamente o indirettamente all’attività degli agricoltori, con opportune soluzioni mediate, in accordo con gli imprenditori agricoli, attraverso forme di sviluppo strategico 106 ______

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partecipato, per la tutela di un limitato paesaggio di alto valore storico.

E’ il caso di paesaggi particolari, che prospettano l’opportunità di tramandarne il ricordo. Nel caso della vallata del fiume Tordino, ad esempio, si possono citare i terreni agricoli della pianura, oppure le aree olivicole ove alberi secolari hanno raggiunto una mole eccezionale e caratteri estetici che inducono a considerarli veri e propri monumenti.

Così facendo, accadrà che il nostro visitatore quando si troverà a scegliere una bottiglia di vino, oltre alle caratteristiche intrinseche di profumo, sapore e colore, questa gli evocherà soprattutto il paesaggio, gli farà rivivere la sensazione di piacere che gli deriva dall’ambito culturale in cui è stata prodotta.

0 6.3 Le unità di paesaggio della valle del Tordino

In questo lavoro del Piano d’area della vallata del Tordino, caratterizzato da un certo grado di multidisciplinarietà dei professionisti impegnati, si avverre la necessità di realizzare uno strumento pianificatorio che contempli anche il complesso sistema agricolo, inteso non semplicemente come attività produttrice di beni privati, bensì anche di beni comuni, in senso di ambiente e paesaggio.

Lo studio della potenzialità dei suoli, e la carta finale che ne rappresenta i risultati, ha consentito di suddividere l’intero territorio agricolo del bacino del Tordino in unità omogenee caratterizzabili sotto l’aspetto prettamente produttivo dei suoli stessi.

Il fattore produttivo è sicuramente di primaria importanza nella realizzazione di uno strumento finale di pianificazione per aree territoriali che contenga, come quello in esame, per buona parte superfici agricole, ma non è il solo.

Le caratteristiche dei suoli rappresentano difatti la sintesi delle basi conoscitive dei caratteri fisici di un territorio (aspetti podologici, acclività, ecc.), cui scaturiscono tutta una serie di condizionamenti di tipo economico, sociale,

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ecc. L’analisi dei sistemi agricoli, o agro-ecosistemi, si prefigura dunque come una occasione per riflettere, ad esempio, anche sul rapporto tra pratiche agricole e rappresentazioni culturali allo scopo di indagare i sistemi di valori responsabili delle diverse forme e mutazioni di quel territorio.

Per una più completa analisi del sistema agricolo, nel rispetto della pluralità delle esigenze economiche e sociali e compatibilmente con quelle ambientali e di ecologia del paesaggio, al fattore produttivo deve dunque essere interconnessa tutta una serie di esigenze di altra natura, di tipo paesistico, ambientale, sociale, ecc., che torna utile per la successiva definizione delle unità del paesaggio rurale.

Occorre dunque uno sforzo analitico che interconnetta il sistema agricolo, articolato nelle varie unità individuate, alle altre realtà presenti (sistema produttivo, ambientale, ecc.), per concorrere infine alla definizione dei paesaggi agricoli come semplificazione delle diverse chiavi di lettura.

Da questo apporto integrativo, dovrebbero derivare indicazioni necessarie per il razionale utilizzo delle superfici e più in generale per la corretta visione del rapporto tra le attività umane e le risorse naturali e ambientali.

Come detto in premessa, nella definizione del paesaggio agrario della vallata del Tordino, vanno considerati in maniera interconnessa tanti fattori condizionanti le scelte pianificatorie.

Le unità agricole individuate dalla analisi statistica multivariata, che rappresentano il risultato finale dello studio della potenzialità agricolo- produttiva dei suoli, sono distribuite a mosaico sul territorio in analisi.

Ciò malgrado dalla loro analisi riferita al bacino del Tordino, consapevoli dell’errore commesso in questo sforzo di semplificazione, è possibile individuare macroaree omogenee che, raccogliendo le unità simili tra loro, costituiscono 4 differenti paesaggi agricoli. 108 ______

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In particolare al paesaggio di pianura corrispondono tutte le unità di potenzialità di VI classe e parte di quelle di V.

Al paesaggio agricolo della collina litoranea corrispondono, invece, le unità di IV classe, oltre a tutte le restanti unità di potenzialità di V classe, che non rientrano nella pianura.

Le classi di unità III e II occupano tutto il settore collinare interno, con prevalenza rispettivamente della prima nella collina media e della seonda nella collina pedemontana.

6.4 Il paesaggio dlla pianura

6.4 a) Analisi

La pianura del Tordino è sempre stato un territorio fortemente condizionato dai peculiari caratteri fisici e dalla naturale vocazione agricola, elementi che hanno inciso sugli assetti e paesaggi agrari, vincolata la struttura insediativa ed organizzata la rete infrastrutturale.

Ma è stata soprattutto la forte azione dell’uomo ad incidere la propria forma sulla valle e stravolgere l’antico paesaggio agrario: il disboscamento dei terreni, la realizzazione di canali di sgrondo delle acque, l’introduzione di nuove tecniche agrarie, la realizzazione dei mulini, ecc..

Il Consorzio di Bonifica della Laga-Tordino, istituito nel 1934 e comprendente tutti i Comuni ricadenti nel bacino del Tordino per complessivamente 60.000 ettari, ha avuto in tale frangente un ruolo di primo piano. La sua azione principale è stata quella di realizzare acquedotti ed elettrodotti, migliorare la viabilità del comprensorio, l’arginazione a scopi di difesa, nonché la sistemazione dei terreni instabili e franosi, anche attraverso opere di forestazione.

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Il Consorzio per la sistemazione del fiume Tordino, istituito nel 1922, ha invece avuto il compito della sistemazione e regimazione del corso fluviale, attraverso sistemazioni e arginature. In particolare la sua opera principale è stata la realizzazione, nel tratto di circa 19 chilometri che va dalla confluenza con il torrente Fiumicino fino al mare di arginature, le quali hanno reso possibile l’irrigazione di circa 2.700 di terreno nella vallata.

Il paesaggio attuale che il tempo ci ha consegnato è il risultato delle trasformazioni ambientali prodotte dalla bonifica, caratterizzato da vaste distese a seminativi; si tratta di un paesaggio sostanzialmente impoverito nei suoi contenuti storici e formali.

Qui la pianura irrigua costituisce un riferimento costante e di discreta panoramicità nel paesaggio dell’area di studio. Il continuo alternarsi dei campi ad insediamenti residenziali e produttivi, ed ad una fitta rete stradale di collegamento e servizio, ha privato la pianura dell’antico fascino dei grandi spazi aperti, conservatisi in limitatissimi casi (pianura di Savini) che andrebbero maggiormente salvaguardati.

Da una analisi immediata della carta dell’uso del suolo emerge chiaramente come i territori della bassa e media pianura del Tordino sono caratterizzati da una utilizzazione agricola e sociale (antropica) piuttosto spinta.

I suoli sono qui molto fertili (Classe VI di potenzialità), completamente pianeggianti, profondi, generalmente facilmente lavorabili e praticamente privi di limitazioni, e quindi adatti per un’ampia scelta di coltivazioni anche fortemente intensive.

Nella generalità dei casi la composizione fondiaria risulta dominata dalla piccola o media proprietà e caratterizzata da una buona varietà delle qualità colturali, con una discreta estensione della monocoltura (seminativi irrigui, colture industriali, ecc.). Solo nelle aree più vaste dominate delle ampie pianure

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irrigue assistiamo ad una proprietà fondiaria di media dimensione e a sistemi produttivi più intensivi.

Il paesaggio è dominato dalle colture a seminativo che, malgrado la disponibilità idrica, sono per la maggior parte dei casi in asciutta: i cereali autunno-vernini e le colture foraggere restano ancora le produzioni principali del comparto.

Assieme ad esse numerose anche le produzioni orticole in pieno campo, che talvolta prevedono anche l’utilizzo di strutture temporanee in film plastici (serre fredde, teli pacciamanti, ecc.).

Frequenti anche le consociazioni con le colture arboreee come l’olivo, spesso piantumato semplicemente a filare servente di strade e capezzagne. Laddove l’olivo non è coltivato in maniera specializzata, si assiste al suo allevamento in prosmicuità con i cereali invernali o con le foraggere. Tipica è la forma di copertura mista con un seminativo in rotazione (erba medica o cereale invernale) e l’oliveto sistemato con sesti ampi (metri 15 x 15).

Negli ultimi anni i campi in abbandono sulla parte terminale della pianura, solitamente di origini residuali agli sviluppi in aree industriali o residenziali, sono sempre più utilizzati al pascolo ovino. Si tratta normalmente di settori pianeggianti degradati, più spesso collegati a settori collinari in aree calanchive o in erosione.

Tale attività se da un lato consente il controllo della vegetazione nelle aree in abbandono e marginali garantendone il sostegno economico, dall’altro può costituisce una forte limitazione al processo di rinaturalizzazione degli ambiti naturali fluviali. Infatti laddove il pascolo interessa anche le fasce di vegetazione spontanea in alveo o sugli argini e nei terreni di pertinenza ad essi, esso costituisce un significativo impedimento allo sviluppo in tali siti della vegetazione spontanea con ciò che ne consegue in termini naturalistici o

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idraulici.

Nell’ultimo tratto della vallata, in particolare dall’abitato di Grasciano fino al mare, le situazioni di degrado della vegetazione sono imputabili proprio all’attività del pascolo ovino, legato spesso anche al fenomeno dello sviluppo degli incendi.

Le sistemazioni idrauliche, laddove esistenti, risultano ancora piuttosto arcaiche e tradizionalmente impegnate esclusivamente nella realizzazione di fossi di sgrondo delle acque in eccesso.

6.4 b) Indirizzi e linee di gestione

Il paesaggio agrario di pianura nella valle del fiume Tordino costituisce ancora oggi, prima ancora che un fattore economico di rilievo del settore primario, un elemento di valore documentale che, unitamente all’acqua ed al fiume, caratterizzano l’intero territorio, ordinando gli stessi insediamenti urbani e industriali.

L’attuale visione è il diretto risultato del continuo intervento umano, principalmente attraverso le opere di Bonifica agraria per controllare e regimare le acque, ed adattare l’ambiente naturale alle necessità produttive. Quello attuale è un paesaggio “moderno”, risultato ultimo delle trasformazioni ambientali della bonifica: monotono, statico, caratterizzato da vaste distese a seminativi.

Accanto alla valle fluviale, la pianura irrigua testimonia le rapide trasformazioni operate dall’uomo in particolare nell'ultimo secolo. Qui la residuale presenza di antichi sistemi di coltivazioni agrarie, come le colture promiscue e di opere di valore architettonico costituito da mulini e case coloniche, unitamente al complesso di campi coltivati a prato stabile o cereali, costituiscono un riferimento costante e di discreta panoramicità nel paesaggio dell’area di studio.

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Accanto ad arcaici sistemi rurali per la verità quasi del tutto scomparsi (fino agli anni 70 nella vallata del Tordino erano ancora attivamente praticati il taglio periodico dei giuchi e dei salici per la realizzazione delle ceste), la bassa e media vallata del Tordino rappresenta oggi a livello provinciale un settore agricolo all’avanguardia e di buona competitività.

Dal punto di vista delle potenzialità agricole, siamo in presenza di suoli molto fertili e profondi, di orografia pianeggiante e dunque facilmente lavorabili e pertanto suoli agricoli adatti per un’ampia scelta di coltivazioni.

L’alta potenzialità dei suoli agricoli che caratterizzano le pianure del Tordino, consentono di operare e produrre in condizioni di minor costo globale delle produzioni, principalmente per i minori consumi di energia necessari nel ciclo produttivo. Alla base di queste considerazioni c’è dunque un concetto innovativo che vede il bilancio energetico connesso alle pratiche colturali.

Da questo nasce l’esigenza della salvaguardia dei suoli agricoli con elevate capacità e potenzialità produttive primarie, e la loro conservazione per le generazioni future, prima fra tutte le pianure alluvionali delle valli fluviali. Tale esigenza, almeno nei paesi occidentali, non è tanto da imputarsi al garantimento delle alte rese unitarie o al loro eventuale incremento, bensì soprattutto al contenimento del costo energetico unitario delle produzioni stesse.

La ben nota Politica Agricola Comunitaria (PAC), infatti, in risposta alla superproduzione europea di diversi prodotti agricoli tenta di fissare soprattutto per le produzioni cerealicole un limite di produzione nei paesi aderenti; in tale frangente non avrebbe senso una salvaguardia dei terreni agricoli maggiormente produttivi allo scopo di aumentare le relative rese. È notorio, infatti, che non tutti i suoli hanno la stessa risposta alla produttiva; a parità di resa ad ettaro, il costo medio di produzione per quintale di prodotto finale risulta inferiore nelle lande più fertili rispetto alle alte.

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L’energia immessa in un sistema per renderlo produttivo, che sarà tanto maggiore quanto minore è la sua resa media unitaria, va quantificato per redarre il bilancio tra le energie spese e quelle prodotte.

In un lavoro maggiormente rigoroso il prodotto agrario può essere tradotto in calorie per poterle poi confrontare con quelle impiegate per produrre il prodotto stesso. Ecco che l’identificazione e la protezione di questi territori ad elevata fertilità sono importanti soprattutto per la riserva energetica che essi sono in grado di garantire in modo pressoché perenne.

Il continuo alternarsi dei campi ad insediamenti residenziali e produttivi, e ad una fitta rete stradale di collegamento e servizio, ha privato questo settore, del paesaggio tipico delle pianure.

Nel contesto della media e bassa vallata del Tordino esistono ancora scampoli di pianure coltivate che rappresentano questo valore culturale, sociale, paesistico e produttivo da conservare per le generazioni future.

In particolare due sono i settori che si riconoscono in tale analisi. La prima è rappresentata dalla piana di Savini, ubicata indicativamente tra la Stazione di Notaresco e la Stazione di Mosciano S.Angelo, che rappresenta per vastità, paesaggio e potenzialità agricola, il paesaggio agricolo di pianura più significativo, e suscettibile di maggiore approfondimento conoscitivo e di salvaguardia.

L’altra è la piana di Colleranesco di Giulianova, ubicata su entrambe le piane alluvionali dell’ultimo tratto fluviale.

Nei territori di pianura della media e bassa vallata del Tordino, considerando il loro elevato valore, in termini identitari, paesistici e produttivi, risulta necessario prioritariamente attivare strumenti normativi in grado di ridurre il rischio della loro scomparsa in favore di altre utilizzazioni (urbane, industriali, ecc.) che possono trovare espansione in altre superfici. 114 ______

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A tale riguardo gli obiettivi e gli interventi prioritari sono i seguenti:

- Salvaguardia dei beni primari irriproducibili : mantenere le attuali superfici coltivate con elevata potenzialità produttive agricole, ai fini del razionale utilizzo di questa risorsa irriproducibile, come bene primario per le generazioni future;

- Produzioni orticole e frutticole: incentivare e valorizzare le produzioni di elevato pregio e reddito della vallata del Tordino, orticole e frutticole principalmente, attraverso la creazione di marchi, l’adesione a disciplinari, ecc., al fine di far crescere l’identita economico-produttiva del territorio;

- Parchi agricoli di pianura : ovvero la creazione di istituti comprendenti aree rurali di una certa dimensione, definite attraverso strumenti urbanistici, con peculiari caratteristiche di ruralità, tradizione, paesaggio, identità culturale, ecc., nelle quali vengano tutelate e al contempo valorizzate tali caratteristiche;

- Pianificazione urbanistica congruente: individuare strumenti normativi nei piani urbanistici che vietino o limitino fortemente le spinte espansionistiche delle aree industriali o urbanizzate verso i suoli agricoli di pianura;

- Incolti sui terrazzi fluviali : migliorare il valore ecologico dei suoli agricoli in abbandono, attraverso utilizzi ecocompatibili come il pascolo o attraverso modalità di gestione a fini naturalistici per ricreare habitat agro-fluviali (allagamento prati, piccoli laghetti, ecc.), anche mediante il finanziamento di Enti pubblici (Piani di miglioramento ambientale);

- Invasi delle cave abbandonate : migliorare il valore ecologico degli invasi attraverso la loro rinaturalizzazione, ovvero riconversione “guidata” in habitat palustri di elevato valore naturalistico, anche mediante il finanziamento di Enti pubblici (Piani di miglioramento ambientale);

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6.5 Il paesaggio della collina litoranea

6.5 a) Analisi

Il paesaggio agricolo collinare litoraneo della bassa vallata del Tordino è caratterizzato generalmente da una morfologia di dolci crinali, ampiamente coltivati, con limitatissimi scampoli di vegetazione spontanea ed un processo di urbanizzazione inarrestabile.

Caratteristici sono a tal proposito quelli della collina litoranea a nord del Tordino, nei territori compresi tra i centri di Colleranesco, Mosciano e Giulianova. La collina appare qui appena accennata, depressa, docile.

Tale aspetto ha stimolato recenti spinte edificatorie residenziali con tessuto rado: ne risulta che le reti viarie di ogni genere e dimensioni e gli edificati dominano il paesaggio, relegando le coltivazioni ad occupazioni dei suoli marginali.

Dal punto di vista agronomico si tratta di terreni fertili, pianeggianti o lievemente ondulati, profondi o poco profondi, (Classe V della potenzialità), dotati di un clima di tipo mediterraneo con limitate escursioni termiche, ed interessati da modeste limitazioni (struttura, ristagno, ecc.), con attitudini produttive molto vaste.

I fondi agricoli profondamente segnati dalla fitta rete viaria, sono principalmente occupati da piccoli orti familiari, orticole di pieno campo, foraggere, cereali ed olivi, sia intensivi che promiscui. Minima la presenza di ambiti naturali con vegetazione spontanea arborea.

D’altro aspetto il settore collinare litoraneo a sud del Tordino, nei territori Rosetani, tra Cologna paese, Montepagano ed il mare, ricompresa oggi nella Riserva Naturale del Borsacchio, dove il paesaggio agricolo ha conservato gran parte della sua valenza produttiva e salvaguardato il suo valore paesaggistico.

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Qui oltre alle tradizionali produzioni collinari, in alcune aree (Cologna) si rilevano anche attività zootecniche bovine di un certo rilievo, con produzioni foraggere di pieno campo e pascolo diretto.

La ceduazione dei boschetti misti a quercia, olmo, tamerice, disseminati a pelle di leopardo in tutta l’area, oggi è pratica di molto ridotta, ma anni di attività intensiva ha provocato mutazioni importanti come il suo degrado con intrusioni delle specie alloctone invadenti, robinia ed alianto in particolare.

6.5 b) Indirizzi e linee di gestione

Per buona parte il paesaggio agrario della collina litoranea del comprensorio è qui fittemente interconnesso al tessuto residenziale produttivo ed al sistema viario che li serve.

I territori dell’agro di Giulianova e Mosciano S.Angelo ne sono due esempi calzanti. Tutto il sistema collinare che degrada verso la costa è investito in colture fittemente costellate da abitazioni disposte in maniera sparsa o in piccoli nuclei.

Pochi sono i settori della vallata del Tordino il cui paesaggio ha conservato le sue originarie tradizionali caratteristiche rurali. Uno di questi è quello del territorio di Cologna, nel comune di Roseto degli Abruzzi, di cui una buona parte è oggi incluso nella Riserva Naturale del Borsacchio.

Nella parte più meridionale del bacino analizzato, ovvero nella sezione occupata dai comuni di Roseto (Montepegano) e Morro D’Oro (Pagliare) che si affacciano sulla vallata del fiume Vomano, fino a lambirne le acque, troviamo un paesaggio agricolo sostanzialmente differente. In particolare il primo fronte collinare di queste aree, che rappresentano gli ultimi contrafforti della collina litoranea, risulta costituito da suoli a prevalente attitudine agricola (V e VI Classe di potenzialità), non a caso occupati attualmente dalle colture con il più alto reddito per Superficie Agricola Utilizzata (SAU): le colture orticole di pieno 117 ______

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campo. Tale peculiarità consente a Morro D’Oro di avere a livello provinciale il primato di comune con il più elevato reddito agricolo/SAU.

Anche in tale ambito come nella pianura, l’elevata potenzialità dei suoli agricoli presenti (V e VI Classe), impone una chiara politica di conservazione nei confronti di questa risorsa naturale primaria irriproducibile da tutelare per le generazioni future. Sulle motivazioni di tale scelta si rinvia a quanto detto nella analisi del paesaggio agricolo della pianura.

I due elementi valoriali del paesaggio agrario della collina litoranea sembrano dunque essere rappresentati da una parte dalle sue capacità produttive agricole e dall’altro dall’aspetto paesistico e panoramico.

Per quanto riguarda questo secondo punto, occorre considerare che il paesaggio collinare litoraneo, rispetto agli altri, è di grande rilievo per l’immagine stessa della collina teramana. Difatti affacciandosi essa direttamente sul mare, gode di maggiore visibilità rispetto ai fronti collinari interni, da chi transita sul tratto autostradale A-14, costituendo dunque una sorta di carta da visita per il turista attento.

La sua localizzazione strategica, gli conferisce inoltre importanti caratteristiche di pregio ai fini ricettivo-turistici, sia per la vicinanza dal mare e sia per la visione panoramica che essa offre.

Considerando tali peculiarità paesistiche e produttive delle aree collinari litoranee, occorre attivare strumenti normativi in grado di ridurre il rischio della loro deturpazione o riduzione, prevedendo altrove utilizzazioni diverse da queste.

A tale riguardo gli obiettivi e gli interventi prioritari sono i seguenti:

- Pianificazione urbanistica : individuare strumenti normativi nei piani urbanistici che vietino o limitino fortemente le spinte espansionistiche delle

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aree industriali o urbanizzate verso i suoli agricoli di pregio della collina litoranea;

- Elementi fissi del paesaggio : mantenere inalterate il più possibile gli oliveti promiscui, le alberature stradali, le pinete litoranee, ecc.;

- Edilizia rurale ricettiva : interventi conservativi e ristrutturazioni delle case coloniche presenti a fini turistico-ricettivi di servizio alla vicina costa (Agri- campeggio, Break&Breakfast, Agriturismo, ecc.);

- Salvaguardia dei fondi agricoli : mantenere le attuali superfici coltivate con elevata potenzialità produttive agricole, ai fini del razionale utilizzo di questa risorsa irriproducibile, come bene primario per le generazioni future;

- Produzioni orticole e frutticole: incentivare e valorizzare le produzioni di elevato pregio e reddito della vallata del Tordino, ma anche quelle della vallata più settentrionale della vallata del Vomano e ricadente nei comuni di Morro D’Oro e Roseto, orticole e frutticole principalmente, attraverso la creazione di marchi, l’adesione a disciplinari, ecc., al fine di far crescere l’identita economico-produttiva del territorio e valorizzarlo.

6.6 Il paesaggio della collina interna

6.6 a) Analisi

A ridosso della fascia costiera, troviamo il territorio collinare sub appenninico costituito da promontori collinari a modesta ed accentuata acclività alternati a lunghe e profonde valli fluviali. Il paesaggio predominante è quello della collina ampiamente coltivata con ridotti lembi di vegetazione naturale ridotti a scampoli lungo le aste dei fossi e torrenti che solcano il sistema collinale.

Il settore collinare interno, che indicativamente nel bacino in esame può essere tracciato dall’abitato di Mosciano S.Angelo fino ai primi territori del

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Comune di Teramo, risulta caratterizzato da un morfologia decisamente meno dolce e depressa di quella descritta precedentemente per la collina litoranea. In particolare procedendo verso l’entroterra le colline diventano più irte, con margini meno depressi e sviluppo maggiore.

Il paesaggio collinare della vallata nord del bacino del Tordino, occupato dai comuni di Mosciano S.Angelo, Bellante e Campli si presenta piuttosto omogeneo. Le colline argillose sono qui tutte a sviluppo ampio e longilineo, disposte in direzione da nord-ovest a sud-est, ricalcando così la direzione dei fossi e torrenti che segnano marcatamente il territorio.

Il paesaggio che ne risulta è ampio, aperto e vistosamente panoramico, soprattutto percorrendo le strade collinari che seguono la stessa direzione dei sistemi collinari. Particolarmente gradevole in tal senso è il paesaggio collinare dei territori di di Bellante, in località Villa Turri, Chiareto e Capodimonte. Il sistema collinare qui, particolarmente depresso, offre un panorama unico fatto di dolci curve di crinale, morbide e sinuose, che terminano nel fitto reticolo di fossi principali e secondari.

Il sistema dei calanchi argillosi, con le fratture evidenti ed aspre delle colline, rende il paesaggio particolarmente vario con vistosi cambi di morfologia.

Le limitate stazioni con vegetazione spontanea sono costituite da vegetazione erbaceo arbustiva delle zone in erosione, da boschetti collinari dominati dalla quercia e dall’olmo e da interessanti fasce di vegetazione igrofila che accompagnano tutti i fossi campestri.

Molto buona la situazione della disponibilità idrica assicurata per tutto il periodo dell’anno dai numerosi laghetti artificiali a scopo irriguo disseminati sul territorio.

Se si esclude qualche limitata fascia incolta, impervia in erosione o comunque inaccessibile ad una utilizzazione agricola, il paesaggio risulta dominato dalle 120 ______

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colture agricole erbacee tipiche delle rotazioni in asciutta: cereali invernali e foraggere.

L’utilizzo della rotazione tra le colture foraggere e quelle cerealicole, un tempo in uso in tutto il sistema collinare ove garantiva la conservazione della potenzialità agronomica dei terreni, è stata qui ampiamente sostituita dalla coltura a cereale ripetuta. A evidenziarlo è qui la dominanza assoluta del maggese estivo nell’odierno paesaggio agricolo della buona stagione, che oltre a segnare il panorama con una nota di monotonia, rende il territorio poco ospitale alla fauna selvatica.

Ben presente anche la coltivazione dell’olivo. In particolare in alcune località l’olivo è ampiamente coltivato da tempi non recenti, data l’età spesso secolare delle piante; a tal proposito occorre citare i territori di Colle Pietro in Mosciano Sant’Angelo, S.Atto, Chiareto e Ripattoni di Bellante, in cui il paesaggio è dominato da grandi esemplari della varietà più spettacolare, il tortiglione, varietà tipica del luogo caratterizzata da tronchi possenti e ritorti che trasmettono all’osservatore il senso della forza e della durezza del territorio.

Sui calanchi inerbiti il controllo della vegetazione spontanea è spesso affidato alle greggi ovine, allevate per lo più secondo un ciclio semi-brado che prevede periodi di stabulazione (inverno) e periodi di pascolo diretto.

Il settore sud del bacino del fiume Tordino, indicativamente nei territori dei comuni di Morro D’Oro e Notaresco, presentano caratteristiche omologhe a quelle del settore nord. Le differenze principali, all’esposizione prevalente dei terreni (nord), risiedono nella brevità del settore, circa la metà del precedente, che in senso nord-sud risulta largo mediamente appena 3 km..

Ciò si traduce in una in una pendenza dei crinali praticamente doppia rispetto al precedente, con una accentuazione della morfologia che nell’insieme appare evidente. Il paesaggio agricolo è qui caratterizzato prevalentemente dalle

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produzioni foraggere e dall’olivo. Quest’ultimo in particolare lo si trova allevato sia in maniera promiscua, sia in maniera specialistica con sesti di impianto decisamente intensivi 6 x 6 o 7 x 7.

La presenza consistente dei calanchi ha stimolato lo sviluppo della pastorizia, e delle colture ad essa connesse: medicai, prati polifiti, e prati-pascoli.

I vigneti, un tempo localizzati in maniera frammentata su tutto il territorio, dopo la riforma PAC delle quote, sono oggi concentrati in alcune ristrette aree a prevalente attitudine sui crinali a cavallo dei due bacini (Tordino e Vomano), come Colle Croce di Morro D’oro e Valle Vignale di Notaresco.

Da questo punto in poi, il settore collinare sud della media vallata del Tordino, è un susseguirsi di calanchi inerbiti, cespugliati o boscati, con aree in visibile erosione anche dalla superstrada Teramo-Mare, fino alle porte del capoluogo Teramo.

In tutta la collina interna la proprietà fondiaria appare decisamente più frammentata rispetto alla sottostante pianura, anche se tale processo di divisone fondiaria aumenta maggiormente sulla collina interna e quella pedo-montana.

6.6 b) Indirizzi e linee di gestione

Il paesaggio della collina interna comincia a contenere al suo interno elementi di naturalità, espressi principalmente sotto forma di flora e fauna, assenti nei precdenti settori trattati, che meritano di un sempre maggiore rispetto sia sotto il profilo prettamente naturalistico, sia come elementi fissi del paesaggio.

Gli ambiti naturali occupati dalla vegetazione spontanea assumono qui sempre maggiore rilevanza in termini di suoli occupati, e costituiscono assieme alle coltivazioni, quella matrice paesaggistica a mosaico che dona al terriotorio l’immagine più marginale e naturale.

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Dal punto di vista produttivo agricolo, i suoli presentano classi medie di potenzialità molto variabili, ed in particolare dalla IV alla II a mano amano che si procede verso i territori con maggiori limitazioni, principalmente rappresentate dalle acclività e dalle aree in erosione.

In questo contesto appare evidente come le connotazioni territoriali siano quelle tipiche di aree a vocazione sia di tipo produttivo agricolo, sia di tipo paesistico. E’ dunque questo il settore in cui lo sviluppo del territorio deve essere realizzato in maniera modulare rispettando l’equilibrio tra le diverse sue esigenze profondamente interconnesse : paesistiche, produttive, urbanistiche, ecc..

Nel paesaggio agrario regna la presenza di antichi sistemi di coltivazioni agrarie, come i vecchi oliveti promiscui, contenenti spesso esemplari secolari che hanno assunto caratteri estetici che inducono a considerarli veri e propri monumenti. Tali elementi paesaggistici connotano profondamente il territorio della collina interna del Teramano, e come tali essia devono essere suscettibili di tutela, per contrastare o spinte imprenditoriali di sostituzione con i giovani oliveti o la loro alienazione a fini ornamentali.

Ben presenti anche gli edifici rurali, parzialmente ristrutturati, ma per la maggior parte completamente abbandonati, che costituiscono una altro elemento paesaggistico da evidenziale.

A tale riguardo gli obiettivi e gli interventi prioritari del settore collinare interno appaiono i seguenti:

- Eterogeneità colturale tradizionale : mantenere il più possibile inalterate, sia attraverso politiche di valorizzazione delle produzioni sia attraverso incentivi statali, le attuali caratteristiche di eterogeità delle colture, quali seminativi e foraggere, rispettando le tradizionali rotazioni colturali;

- Elementi fissi: tutelare quegli elementi che caratterizzano il paesaggio della 123 ______

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collina interna del tramano, quali principalmente gli oliveti promiscui, i boschetti collinari, i fossati, le siepi, le alberature stradali, ecc.;

- Pianificazione urbanistica : individuare strumenti normativi nei piani urbanistici che limitino con decisione, sia quantitativamente l’espansione urbanistica in quelle aree di maggior pregio, e sia qualitativamente nelle aree ad essa destinate.

- Produzioni viticole ed olivicole: incentivare e valorizzare le produzioni arboree di pregio del comprensorio, attraverso la creazione di un marchio d’area, l’adesione a disciplinari, l’inclusione a percorsi tematici eno- gastronomici (vie dell’olio, vie del vino, ecc.), al fine di far crescere l’identita economico-produttiva dell’intero territorio;

- Parchi agricoli di collina : ovvero la creazione di istituti comprendenti aree rurali di una certa dimensione, meglio definite attraverso strumenti urbanistici, con peculiari caratteristiche di ruralità, tradizione, paesaggio, identità culturale, ecc., nelle quali vengano tutelate e al contempo valorizzate tali caratteristiche;

6.7 Il paesaggio della collina pedmontana

6.7 a) Analisi

Proseguendo verso l’interno per tutto il territorio dei due comuni di Teramo e Campli, il paesaggio agricolo muta bruscamente. A segnare la differenza principalmente è la crescita delle superfici occupate da boscaglie, formazioni forestali di ripa, fossi, ed altri ambienti naturali occupati dalla vegetazione spontanea, la quale costituisce qui almeno il 50% dell’occupazione totale dei suoli.

Anche nel quadrante più occidentale del settore sud, nei comuni di Notaresco (limitatamente al versante sul fiume Vomano), Castellalto e Poggio Cono, il

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paesaggio collinare cambia bruscamente. Al di sopra della località di Capracchia di Notaresco, ed ancor più di quella di Villa Torre di Castellalto, le pendenze dei crinali si accentuano bruscamente, rendendo i versanti più ripidi ed irti.

I boschi, i cespugliati e le macchie cominciano ad assumere un certo rilievo i termini di superficie rispetto alle parti aperte e coltive. Sul versante nord dell’abitato di Castellalto, appare la prima formazioni forestale di rilievo a quercia con abbondante sottobosco e macchia di mantello, da cui si diparte una grande formazione calanchiva che interessa tutto il versante fino quali al sottostante abitato di S.Nicolò.

Di grande rilievo naturalistico e paesaggistico anche le formazioni boschive caduche a predominanza di roverelle che occupano buona parte del versante sud del comune di Canzano, fino alla statale 150 di fondovalle sul Vomano.

I suoli agricoli, sebbene ancora ben presenti, sono qui costellati la numerose aree incolte e colture degradate, segno indelebile di un costante abbandono dei campi agricoli non più remunerativi. Non di rado le boscaglie sono rappresentate da campi abbandonati ormai da circa un ventennio, come accade spesso di trovare nell’agro del comune di Campli, da Battaglia, a Campovalano, a Morge, ecc..

Qui nelle formazioni forestali in rinaturalizzazione è facile scorgere piantoni di olivo completamente sommersi dalla vegetazione spontanea a Rubus e Clematis. Spesso tra filari di acero campestre utilizzati come arcaici tutori dei primi vigneti a filare (primo ‘900), si scorgono lunghissimi tralci di vigna, appartenenti ad esemplari ormai rinaturalizzati, ancora dipendenti da fili tutori di ferro in completa ossidazione. Tutti segni di un abbandono delle campagne, iniziato da circa un quarantennio, che sembra inarrestabile e sembra aver avuto negli ultimi anni una accelerazione.

Per quanto riguarda il panorama agricolo, le avversità pedo-climatiche e la

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disagevole meccanizzazione delle operazioni colturali, hanno selezionato nel corso degli anni le poche attività produttive più convenienti come la pastorizia, il legnatico, e coltivazioni agricole caratterizzate da un’economia di tipo sussistenziale.

Le poche colture agrarie sono rappresentate dai seminativi allevati in asciutta, spesso arborati, in cui i cereali invernali e le colture foraggere permanenti vengono coltivati in consociazione con l’olivo. Quello della coltura prosmicua tra erbacee ed arboree è un carattere di agricoltura marginale tipico della civiltà contadina collinare; essa prevedeva uno sfruttamento non intensivo delle superfici, conseguendo però l’ottenimento di un doppio utilizzo dello stesso fondo e dunque una produzione diversificata.

In particolare il sistema di coltura promiscuo assicurava anche alla piccola proprietà contadina, il cui fattore limitante era proprio la disponibilità di superfici, un approvvigionamento della sostanza grassa alimentare per eccellenza nella campagna meridionale: l’olio di oliva.

I cereali invernali sono principalmente rappresentati dal frumento tenero e duro e dall’orzo. Le foraggere sono rappresentate essenzialmente dai prati coltivati che occupano il terreno agricolo per più anni e la cui composizione delle essenze presenti varia con l’età del prato; alle specie seminate (erba medica, trifoglio, lupinella, ecc.), infatti, si affiancano nel corso degli anni diverse specie spontanee infestanti (avena, poligono, ecc.).

La zootecnia condotta nella dimensione marginale trova qui una delle aree di maggior sviluppo. Numerose le superfici occupate a pascolo o a prato pascolo dove gli ovini, ed in minor misura i bovini, sono allevati allo stato semibrado. Le colture foraggere, medicai e prati polifiti, sono allo stesso tempo molto quequenti in tutti i territori. Laddove lo sfruttamento pascolivo risulta eccessivo, si mostrano dapprima leggeri segni di degrado dei pascoli, ed in successione calpestio, erosione e smottamenti.

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Numerose superfici a prato polifita si trovano in una situazione di abbandono in assenza di cure colturali da diversi anni, e vengono utilizzate esclusivamente come pascolo. Questi campi ormai rinaturalizzati in cui vicino alle specie coltivate si consociano specie spontanee, costituiscono anche un interessante ambiente di vita (insetti, lamellibranchi, micromammiferi, ecc.), oltrchè una importante fonte alimentare per le specie ungulate ruminanti.

In alcuni territori, con la tendenza alla contrazione, è praticato l’allevamento, bovino, allo stato semi brado nei quali gli animali pascolano liberamente o in aree recintate per periodi di 8 mesi o superiori; qui le essenze pabulari sono per la maggior parte quelle spontanee che hanno resistito alla pressione selettiva, esercitata dagli animali, del prelievo e del calpestio, mentre più raramente sono state introdotte, mediante trasemina su cotico erboso preesistente, specie più produttive (lupinella, loietto, trifoglio, ecc.).

L’ambiente con i suoi 500-600 metri s.l.m. rappresenta i settori più estremi per l’allevamento dell’olivo, che si trova in sesti solitamente molto ampi, variando dai 10 x 10 ai 14 x 14 (metri), consentendo la coltivazione dei medicai e dei seminativi in genere nel sottochioma.

Negli ultimi anni grazie soprattutto alle politiche di sostegno agricolo di origine comunitaria sono sorti alcuni impianti di forestazione produttiva a legno pregiato (noceti) e meno pregiato (acero, ciliegio, ecc.) che hanno comunque occupato i terreni quasi completamente abbandonati o quelli particolarmente svantaggiati. Sugli tali impianti in area pede-montana, soprattutto a causa della scelta errata dei suoli investiti e sia a causa della carenza delle necessarie cure colturali o del pascolo abusivo nel sottochioma, spesso si rilevano processi erosivi più o meno evidenti (ruscellamenti, frane, smottamenti, ecc.).

6.7 b) – Indirizzi e linee di gestione

Come decritto il paesaggio agrario è qui fittemente interconnesso agli ambiti

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naturali, boschi, fossi, incolti, ecc. Il territorio del comune di Campli ad esempio è interamente costituito da questo mosaico di alternanza tra colture agricole e boschi di quercia.

Le indicazioni gestionali non possono dunque che ricalcare questa caratteristica, privilegiando il settore turistico-ricreativo e le produzioni agro- silvo-pastorali naturali su quelle agricole classiche. D’altra parte anche le indicazioni sulle potenzialità agronomiche dei suoli presenti (III e II Classe), vanno nella stessa direzione di indirizzo di sviluppo per queste aree. La localizzazione strategica della collina pedemontana come cerniera tra le aree antropizzate maggiormentre servite e la montagna, con il Parco che la rappresenta oggi, gli conferisce inoltre importanti caratteristiche di pregio ai fini ricettivo-turistici.

Gli indirizzi generali sono pertanto quelli di mantenere e sostenere le produzioni agro-silvo-pastorali, ecologicamente ed economicamente sostenibili, in quanto perfettamente forgiate ed integrate in questo contesto di produzioni a carattere spiccatamente marginale.

La zootecnica pascoliva (ovina o bovina) è una di queste attività che meglio si integra con l’ambiente presente, in quanto se caratterizzata dall’obiettivo di produrre carni d’alta qualità, è ancora in grado di fornire un reddito remunerativo.

Le produzioni naturali legate a quelle forestali, funghi, tartufi, frutti minori, ecc., assumono qui sempre maggior rilievo rispetto alle colture tradizionali, e vi forniscono una utile alternativa ai fini dellìintegrazione al reddito.

Interessante potrebbe essere l’inserimento delle attività agro-turistico- venatorie tra quelle agri-turistiche classiche, ovvero l’utilizzo della risorsa faunistica a fini turistico e venatori, laddove essa è in grado di offrire nuovi spunti per l’imprenditoria agricola delle aree interne. Ci si riferisce qui a quelle

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località pedemontane caratterizzate oggi dalla presenza della fauna ungulata, quali capriolo e cinghiale, particolarmente ricercata da un certo tipo di cacciatori di selezione, nelle quali realizzare percorsi venatori turistici integrati da recettività alberghiera, vendita prodotti tipici, ecc..

Considerando tali peculiarità naturali e paesistiche, occorre attivare strumenti normativi in grado di preservarle dall’incuria delle diverse attività antropiche.

A tale riguardo gli obiettivi e gli interventi prioritari sono i seguenti:

- Turismo ecosostenibile : attivare l’imprenditoria agricola per la creazione di imprese a scopi turistico-ricettivi (Agri-campeggio, Break&Breakfast, Agro- turistiche-venatorie, ecc.), anche attraverso la riconversione delle produzioni marginali non più remunerative;

- Produzioni zootecniche di qualità: incentivare e valorizzare le produzioni zootecniche derivanti esclusivamente da attività di pascolo, principalmente ovine e bovine, anche attraverso la creazione di marchi di qualità;

- Produzioni di nicchia : incentivare e valorizzare le produzioni di nicchia del comprensorio pedemontano, principalmente miele, frutti di bosco, funghi, tartufi, ecc. attraverso la creazione di un marchio d’area e l’inclusione a percorsi tematici eno-gastronomici (vie del tartufo, ecc.), al fine di far crescere l’identita economico-produttiva dell’intero territorio;

- Eterogeneità colturale tradizionale : mantenere il più possibile inalterate le attuali caratteristiche di eterogeità delle colture e la loro virtuosa integrazione con le produzioni silvicole e pastorali, anche attraverso politiche di valorizzazione delle produzioni che prevedono incentivi statali,

- Elementi fissi naturali : tutelare quegli elementi che caratterizzano il paesaggio della collina pedemontana, quali principalmente i boschi, i fossati, le siepi, le alberature stradali, ecc.;

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- Edilizia rurale ricettiva : interventi conservativi e ristrutturazioni delle case coloniche presenti a fini turistico-ricettivi;

- Pianificazione urbanistica : individuare strumenti normativi nei piani urbanistici che limitino con decisione, sia quantitativamente l’espansione urbanistica in quelle aree di maggior pregio, e sia qualitativamente nelle aree ad essa destinate.

6.8 Parco Agricolo “Savini”

6.8 a) Il pesaggio colturale monotono della piana

Qui la pianura ha conservato appieno l’antico fascino dei grandi spazi aperti, conservatisi nel nostro Paese in limitatissimi casi, soprattutto in così vasta proporzione e qualità. La vastità dell’area pianeggiante, estesa per oltre 300 ettari, permette allo sguardo di spaziare dall’arco montano del Gran Sasso e dei Monti Gemelli, fino all’opposto dell’orizzonte estremo.

Le colture di pieno campo a bassa vegetazione erbacea, cereali e orticole, appaiono estese, dilatate, monotone, ed il tempo sembra accompagnarle. In estate le grandi distese di terra rivoltata ed esposta al sole torrido, possono apparire ad uno sguardo incosciente, terre desertiche e sterili, abbandonate come deserti esposti all’incuria degli agenti atmosferici; tutt’altro. La terra ora riposa, secondo un’arcaica pratica di rigenerazione della propria capacità fertile, si ricarica dell’acqua necessaria per le produzioni future, si purifica dalle malattie e si monda dalle spontanee avverse.

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Ancora oggi gli edifici rurali, strettamente legati ad una rete viaria essenziale, costituiscono una presenza diffusa che concorre in modo determinante alla riconoscibilità del paesaggio agrario della piana irrigua del Tordino. Le case coloniche disposte in maniera quasi rettilinea, l’una a coprire l’altra nella direzione principale della piana da Est a Ovest, appaiono anch’esse monotone all’osservatore superficiale.

Tra loro appaiono tutte uguali, ma sono invece diverse per importanza, struttura e funzione che rispecchiava la gerarchia sociale dell’epoca: la casa padronale, la casa del fattore e le case dei coloni.

Un elemento fisso del paesaggio che concorre alla gradevolezza paesistica e visiva del territorio, è quello della bella alberatura stradale composta da maestosi esemplari di Larici.

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6.8 b) Aspetti ambientali

Sebbene la pianura Savini rappresenti un’area a spiccata produzione primaria, ove le pratiche agricole raggiungono una elevata intensività, ed adiacente ad aree anche fortemente antropizzate o degradate (vicinanza con la discarica di Grasciano), essa conserva comunque caratteri di naturalità in grado di favorire la presenza di specie faunistiche selvatiche.

Difatti la sua diretta adiacenza con il fiume, e la sua localizzazione strategica lungo una delle principali rotte migratorie per l’avifauna che transità per l’asta fluviale, fanno dell’area una interessante area di sosta per numerose specie avifaunistiche in transito.

La morfologia pianeggiante, costituisce di per se l’ambiente ideale per la sosta e la nidificazione primaverile di alcune specie ornitiche nidificanti nelle pianure coltivate della pianura fluviale quali la quaglia, (Coturnix coturnix), e diverse specie di allodola: la calandra (Melanocorypha calandra calandra), la clandrella

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(Calandrella cinerea), la cappellaccia (Galerida cristata).

Il ristagno idrico evidente in inverno in alcuni siti, e provocato dal ripetuto passaggio dei trattori, costituiscono una importante risorsa naturale in grado di attrarre numerose specie di uccelli legati alle zone umide nei periodi invernali, quali gli uccelli di ripa o trampolieri. Appartenenti a diverse famiglie, durante le stagioni invernale e primaverile sulla piana si incontrano scolopacidi, pivieri e pavoncelle.

Altro interessante elemento valoriale è rappresentato dai due invasi irrigui, dell’estensione di icrca 2 ettari cadauno, presenti in posizione intermedia tra la pianura coltivata e il fiume. Gli invasi si trovano in uno stadio avanzato di rinaturalizzazione delle sponde, che conferisce sempre maggiore naturalità all’habitat presente.

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6.8 c) Indirizzi e linee guida di gestione

Le potenzialità agro-turistiche del parco sono legate sia alla tutela e valorizzazione del territorio, con tutte le peculiarità che lo contraddistinguono, sia alle proprie capacità recettive.

La tutela dei suoli agricoli, la salvaguardia degli elementi fissi del paesaggio, quali ad esempio il sistema dei fossi, delle strade e delle alberature, e la ristrutturazione delle vecchie abitazioni contadine, sono interventi imprescindibili per la vita e sopravvivenza del parco agricolo.

La peculiarità ambientale dell’area della pianura fluviale, principalmente rappresentata dalla localizzazione strategica come rotta di transito di numerose specie avifaunistiche trampoliere, impone nell’area del Parco della piana di Savini alcuni indirizzi gestionali a fini naturalistici, tesi a favorire la ricettività ambientale dei siti. Gli interventi da programmare, di seguito esposti, possono riguardare principalmente misure agro-ambientali di miglioramento ambientale, interventi di conservazione o ripristino di spazi verdi rinaturalizzati, prati marcitori e riserve di pastura, da operare in alcuni settori meno produttivi del Parco agricolo, siti utilissimi, soprattutto nei mesi invernali, per la salvaguardia

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di tali ecosistemi agricoli naturali:

- Composizione fondiaria : mantenere l’attuale composizione fondiaria e le attuali superfici coltivate, individuando al contempo strumenti normativi nei piani urbanistici che vietino qualunque altra destinazione non congruente con le finalità del Parco;

- Elementi fissi del paesaggio : mantenere inalterate il più possibile le alberature stradali, i grandi Gelsi, la sistemazione idraulica ed il sistema dei fossi, ecc.;

- Edilizia rurale : interventi conservativi atti a mantenere inalterate il più possibile le caratteristiche delle case coloniche presenti ed eventuali ristrutturazioni a fini turistico-ricettivi;

- Cave abbandonate : i due invasi in disuso migliorare il valore ecologico degli invasi attraverso la loro rinaturalizzazione, ovvero riconversione “guidata” in habitat palustri di elevato valore naturalistico, anche mediante il finanziamento di Enti pubblici (Piani di miglioramento ambientale);

- Tutela avifauna : istituzione di una Oasi di Protezione della fauna (art. 10, L. 157/92), con divieto assoluto di caccia e finalizzata a crare una zona di

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protezione e rifugio all’avifauna migratrice, che poterebbe occupare tutte la zona pianeggiante del Parco agricolo;

- Miglioramenti ambientali : realizzazione di interventi di miglioramento ambientale quali allagamento dei prati marcitori, ovvero prati coltivati a foraggere allagati in inverno, rinaturalizzazione spontanea di piccole aree allagate;

- Percorsi eco-turistici : realizzazione di percorsi per l’osservazione dell’avifauna, creazione centro per osservazioni migratorie, ecc.

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