364 Italian Bookshelf
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ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S. Cervigni and Anne Tordi with the collaboration of Norma Bouchard, Paolo Cherchi, Gustavo Costa, Albert N. Mancini, Massimo Maggiari, and John P. Welle. Mario Marti. Da Dante a Croce. Proposte consensi dissensi. Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia, Linguistica e Letteratura dell’Università di Lecce, 25. Galatina: Congedo, 2005. Pp. 187. I cavalli di razza — mi piace a volte ricordare a giovani colleghi — si riconoscono non solo dallo sprint iniziale, cioè dall’entusiasmo di ogni giovane studioso all’inizio della carriera, ma ancor più dalla capacità di restare in lizza sino alla conclusione della carriera, che va ben oltre l’attività didattica. Cavallo di razza eccezionale — e spero che la metafora non dispiaccia — è dunque Mario Marti, classe 1914 (come ricorda egli stesso orgogliosamente in questo volume), il quale pubblicò il suo primissimo scritto nel lontano 1943, come si legge nel suo penultimo volume, Ultimi contributi: dal certo al vero (Galatina: Congedo, 1995), corredato della bibliografia dell’Autore (pagg. 255-316). Bibliografia, questa di Marti, che già nel 1995, quando egli aveva compiuto gli ottanta anni di età, aveva raggiunto il numero di 969 scritti, che egli ha continuato ad aumentare nei due lustri susseguenti tramite un’attività di investigatore profondo, perspicace e diligente e che arriva dunque, come leggiamo nella bibliografia del presente volume (pagg. 175-81), a 1064 voci: un elenco, questo, già superato dato che il volume è stato consegnato alla stampa il 25 marzo 2005 e dato che il professor Mario Marti è tuttora impegnato su vari fronti della storia letteraria d’Italia. Per gli specialisti e i non specialisti vale la pena ricordare almeno alcuni dei titoli principali per cui dobbiamo molto a Mario Marti. Innanzitutto, il suo fondamentale volume Poeti del dolce stil nuovo (pagg. 1089), che egli curò nel 1969 per i tipi della Casa Editrice Le Monnier e che comprende i cosí detti poeti dolcestilnovisti, ad esclusione di Dante: opera di riferimento tuttora unica per gli studiosi del periodo, alla quale tennero dietro, di lí a tre anni, i due volumi altrettanto fondamentali intitolati Storia dello stil nuovo (pagg. 608), ancor oggi alla base di ogni studio sulla poesia e poetica dolcestilnovistica. Di qui si vede che uno dei maggiori interessi dell’attività critica di Mario Marti sia sempre stato Dante prima della Divina Commedia, come Marti stesso, con la sua solita affabilità e modestia, mi si presentò quando io, giovane docente, andai a fargli visita verso la metà degli anni settanta nel suo ufficio di Rettore Magnifico dell’Università di Lecce. In realtà Mario Marti ha sempre continuato a produrre studi fondamentali sul periodo anteriore al Dante della Commedia — vorrei qui ricordare Cecco Angiolieri e i poeti autobiografici tra il 200 e il 300; Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante; La prosa del Duecento e Prose della volgar lingua; contemporaneamente egli ha sempre coltivato tutto Dante, ma anche Boccaccio — si ricordino per lo meno le Opere minori in volgare — e molti altri autori — il Leopardi costituisce un altro centro d’attenzione critica: Dante, Boccaccio, Leopardi; I tempi dell’ultimo Leopardi; Amore di Leopardi — e molti altri e diversi campi di investigazione, offrendoci studi che rivelano una conoscenza straordinaria di tutta la Annali d’ italianistica. 24 (2006). Negotiating Italian Identities “Italian Bookshelf” Annali d’ italianistica 24 (2006) 365 cultura letteraria italiana fino ai nostri giorni e un amore genuino per la sua terra di origine: il suo amatissimo Salento. Questo suo ultimo volume, Da Dante a Croce, ci offre una recentissima e valida testimonianza di questa lunga e fruttuosissima carriera dedicata agli studi: dodici contributi, fra stimolanti saggi e review articles, o recensioni-saggi, che spaziano dal Dante anteriore alla Commedia (“Da ‘Donna me prega’ a ‘Donne ch’avete: non viceversa”; “Con De Robertis affabilmente”) al Dante della Commedia (“Sui due Guidi di Pg. XI, 97-98”), a Boccaccio (“Sulle due reazioni del Decameron”), al Quattro- Cinquecento (“Un poco noto trionfo della fine del Quattrocento”; “L’idea d’unità d’Italia nella letteratura dei prmi secoli”), al Leopardi (“Dialogando amabilmente con Gino Blasucci sulle sepolcrali leopardiane”), a Croce (“Benedetto Croce critico della letteratura italiana”) e a una serie di autori e scritti salentini: il contributo sul Libro rosso di Gallipoli (curato da Vetere e Ingrosso), che comprende l’edizione, con commento, di 195 documenti del Registro de Privilegii di Gallipoli; quello su “Le ‘Bute’ della ‘Rassa’”, cioè un dramma in lingua leccese di un ignoto del primo Settecento; e poi anche “Salvatore Toma poeta: un ‘canzoniere’ inventato da Maria Corti”: riflessioni critiche sul tentativo, da parte di Maria Corti, di creare un canzoniere di un “eccentrico poeta” del Salentino, morto a trentasei anni (1951-87), che ha lasciato raccolte di poesie ma non un canzoniere. Fra tutti questi validi e sostanziosi contributi vorrei sottolineare, anche se brevemente, l’importanza dei primi tre: il primo dedicato ai rapporti fra la canzone “Donna me prega” di Guido Cavalcanti e “Donne ch’avete intelletto d’amore” di Dante. A questo proposito Marti ribadisce la priorità storica della canzone cavalcantiana citando in chiusura Vincenzo Mengaldo, chiosatore del De vulgari eloquentia: “L’accoppiamento alla magna canzone cavalcantiana suona implicito riconoscimento del valore di modello di quest’ultima [“Donna me prega”] per “Donne ch’avete” (15); il secondo, “Con De Robertis affabilmente”, un saggio ricchissimo di riflessioni filologiche, critiche ed ermeneutiche sul volume di De Robertis Dal primo all’ultimo Dante e poi sulla edizione delle Rime di Dante curata dallo stesso: ambedue i saggi lettura obbligatoria per chi intenda seguire e valutare la recente attività critica e filologica di De Robertis; il terzo, poi, “Sui due Guidi di PG. XI, 97-98”, una disanima dei vari tentativi di identificare i due Guidi danteschi come Guido Guinizelli e Guittone, invece della tradizionale coppia Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti, ipotesi che Mario Marti rincalza con nuovi argomenti. Come in tutti i suoi scritti, Marti presenta anche qui una solidissima conoscenza dei testi e della storia letteraria che l’ha caratterizzato attraverso tutta la sua carriera (resa ancor più prestigiosa da una costante e fedelissima collaborazione al Giornale storico della letteratura italiana), rispetto dei testi in quanto documenti storici che non possono essere travisati da nessuno revisionismo di moda e affabilità dei modi e della scrittura che gli permettono di rivolgere critiche sottilissime ai maggiori studiosi della letteratura italiana anche quando ne ammira la qualità dei contributi. Questo volume rivela anche due altri aspetti molto accattivanti di Mario Marti: l’amore per il suo Salento e l’amicizia per i tanti colleghi e amici con cui ha intrecciato il corso della vita. Questo suo tenace amore per il Salento ha tenuto sempre fermamente ancorato alla terra natale un vero maestro, degno delle più rinomate cattedre degli atenei italiani. Del rispetto e dell’affetto per colleghi e amici, poi, queste pagine ridondano ovunque: nel modo con cui egli si rivolge a due suoi interlocutori, De Robertis e Fenzi — 366 “Italian Bookshelf” Annali d’ italianistica 24 (2006) “affabilmente”; nel piacevole tono epistolare (“Caro Michele”) con cui egli offre una “serenata” all’amico Melillo, ricordandone gli anni giovanili vissuti assieme; e infine ciò che Marti intitola un “Hors-d’oeuvre”: un omaggio a Raffaele Spongano (163-73) in occasione della celebrazione, tenutasi il 28 ottobre 2004, del centesimo anno d’età di Spongano, data prodigiosamente scelta poco prima della scomparsa dell’amato maestro. Ma vale la pena rileggere almeno alcune righe di questo discorso destinato a dire addio al maestro: “Come farò a parlare di lui e del suo, del nostro, Salento per festeggiare i suoi cento anni, io che ne ho soltanto 10 di meno (anzi nove e cinque mesi) senza parlare di me, salentino come lui?, e che mossi, ancor ragazzo si può dire, i primi passi d’italianista sotto lo sguardo rigoroso, severo, ma anche affettuoso e incoraggiante di lui, mio professore di italiano nella seconda classe del Liceo Classico “Colonna” a Galatina? Si era nel 1932-33, ed egli ne aveva vent’otto, di anni, fresco professore di ruolo nei Licei, e io diciotto, fra i banchi di fronte a lui, studentello curioso, avido, caotico autodidatta, e per giunta discoletto e pronto alla battuta pungente” (163). E di questo suo maestro che per primo parlò a quello “studentello curioso” della Normale di Pisa, direzione e scelta che segnarono la vita del più giovane salentino, Mario Marti ha ora preso il posto come decano di tutti gli italianisti non solo d’Italia ma del mondo: onore che gli è dovuto non solo per l’età ma anche e soprattutto per i suoi moltissimi e altissimi meriti accademici. Dino S. Cervigni, The University of North Carolina at Chapel Hill Jill Caskey. Art and Patronage in the Medieval Mediterranean: Merchant Culture in the Region of Amalfi. Cambridge: Cambridge UP, 2004. Pp. 327. Jill Caskey’s investigation of the art supported by the ascendant merchant families of the Amalfi region opens with a quotation from Boccaccio, who, situating a tale of the Decameron in this region, characterizes it as “full of small towns, gardens, and fountains, and men rich and proficient like no others in the art of mercatantia” (1). This notion of a distinctive mercantile culture, with its family connections, trading networks, ostentatious architectural programs, public service, even ethos, guides the exploration of artistic production in this hybrid southern society, which reveals an unexpected precociousness in relation to the better studied, later flowering city states of central and northern Italy. After an Introduction that situates Amalfi in the commerce and culture of medieval southwestern Italy, Caskey devotes chapters to the experience and politics of mercatantia, the synthesizing residential architecture, and the private and public dimensions of religious space.