Frazione Di Romallo [1815 - 1817]

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Frazione Di Romallo [1815 - 1817] Ente Frazione di Romallo [1815 - 1817] Luoghi Romallo (Revò) Altre forme del nome Frazione di Romallo aggregata al comune di Revò Archivi prodotti Comune di Romallo, [1815 - 1817] Comune di Revò - Frazione di Romallo (ordinamento italico), [1815 - 1817] Storia L'abitato di Romallo si trova nella zona centro-orientale della valle di Non, alle pendici sud-orientali del monte Ozol. Il comune omonimo, costituito dal solo paese di Romallo, pur avendo subito nel corso della sua storia ben due aggregazioni al più grande comune di Revò, dal 1950 ha riottenuto la piena autonomia amministrativa, dopo una breve parentesi di amministrazione separata ottenuta nel 1948 con l'istituzione di un comitato frazionale per l'amministrazione degli usi civici.<br>I documenti originali più antichi rinvenuti nell'archivio comunale risalgono al 1815. Dei secoli precedenti sono stati ritrovati soltanto pochi atti ma in copia posteriore e per di più in numero troppo esiguo per consentire una qualsiasi ricostruzione dell'evoluzione storico-istituzionale della comunità di Romallo. Si tratta precisamente delle copie di alcuni documenti datati al XVIII secolo e della copia autentica di un atto del 1530 il cui titolo originale è "Divisione di Cagnò contro Revò e Romallo per li gaggi" (1). La copia autentica di quest'ultimo atto è stata realizzata, nel 1885, in seguito ad una vertenza promossa dal comune di Cagnò presso l'I.R. Commissione locale per l'affrancazione ed il regolamento degli oneri fondiari. In questa occasione si rese probabilmente necessario, per definire i diritti di sfruttamento e di proprietà vantati dai tre comuni limitrofi, comprovare tali diritti con documenti che ne attestassero l'antico possesso e godimento. A prescindere comunque dall'uso che in quel momento se ne fece, l'atto ci consente di dire che, almeno dall'inizio del XVI secolo, Romallo era sede di una comunità fornita di una propria identità. Essa era in grado, infatti, di stabilire dei rapporti con altre comunità vicine, rapporti che miravano, nel caso specifico, a sancire i confini dei pascoli e dei boschi e i reciproci diritti di legnatico, stramatico, erbatico, ecc., cioè a definire chiaramente il godimento di risorse che avevano una grandissima importanza per le comunità rurali. <br>Una parziale ricostruzione delle vicende storiche precedenti alla data del 1815, al di là delle poche notizie che le copie degli atti citati ci possono fornire, è resa possibile, in senso generale, dal fatto che la comunità di Romallo fu inserita nel quadro storico-istituzionale del principato vescovile di Trento e, in senso più specifico, dall'esistenza della carta di regola, pervenutaci in una redazione datata 1598 scritta in volgare (2). Infatti Romallo, come il resto della valle di Non, fece parte per secoli del territorio soggetto al potere del principe vescovo di Trento, potere che era esercitato in valle attraverso dei gastaldi investiti di funzioni amministrative e giudiziarie per le cause civili e fiscali, mentre le cause criminali erano di competenza del principe vescovo stesso o di giudici da lui delegati (3). Nei secoli XII e XIII al di sopra di tutte le gastaldie delle valli di Non e di Sole fu posto un "vicedominus" e successivamente un capitano o vicario, che cominciarono ad essere coadiuvati da un assessore con attribuzioni giudiziarie (4). Fra gli atti del XVIII secolo rinvenuti, sia pure in copia, nell'archivio comunale di Romallo ci sono appunto due sentenze dell'assessore delle valli di Non e di Sole relative a cause sorte fra Romallo, Revò e Cloz per diritti di legnatico e confini delle rispettive proprietà (5). La comunità di Romallo, come le altre comunità inserite nel quadro dell'amministrazione vescovile, era dunque soggetta all'autorità e al controllo di poteri superiori ma i modi con cui tale sudditanza si esprimeva interessavano scarsamente il quotidiano governo economico del territorio e la gestione dello sfruttamento delle risorse locali. Anche se una certa interferenza, che andava dall'approvazione delle carte di regola fino ad interventi nel loro contenuto, era certamente 1/4 esercitata da parte delle autorità superiori, si può tuttavia rilevare come le singole comunità avessero un'ampia autonomia ed una sperimentata capacità di autoregolamentazione nell'organizzare la loro vita interna. Le carte di regola definivano e disciplinavano proprio gli aspetti economici, amministrativi e civili legati al godimento delle risorse delle antiche comunità, curandosi peraltro di salvaguardare sia i beni comuni che quelli dei singoli abitanti. Esistevano infatti degli ufficiali comunitari, di solito un regolano, dei giurati e uno o più saltari, cui spettava il compito di gestire gli affari comunali e di far rispettare le norme stabilite dalle assemblee regolanari. Fra questi, il regolano era l'ufficiale di maggior rilievo perché a lui facevano capo tutti gli altri ufficiali comunali. Egli era anche giudice in prima istanza per le cause derivanti dall'amministrazione economica delle comunità (era possibile poi appellarsi alle istanze superiori, controllate dai dinasti locali o agli apparati amministrativi del principe vescovo, cui di norma competevano le cause civili e penali). I giurati prestavano assistenza e consiglio al regolano e potevano avere varie competenze, variabili a seconda delle carte di regola come ad esempio quella di stimare i danni che fossero stati eventualmente arrecati alle campagne. Infine il saltaro era un custode addetto alla sorveglianza su prati e boschi e più genericamente una guardia comunale con compiti esecutivi e pratici. Egli doveva denunciare chi violava le norme relative allo sfruttamento dei beni comuni o arrecava danno alle proprietà private; inoltre doveva quasi sempre riscuotere le multe e, a Romallo come in altri luoghi, convocare i partecipanti alla regola andando di casa in casa. Nelle località in cui aveva particolare importanza la coltivazione dell'uva, poteva esistere anche la specifica figura del saltaro delle vigne (6). Un registro di epoca austriaca rinvenuto nell'archivio di Romallo (serie "Protocolli delle sedute della rappresentanza", n. 3) ci da testimonianza delle assegnazione dei turni di "saltaro delle vigne" negli anni 1869 e 1876 affermando che in queste occasioni si volle procedere "come per l'antico". Ciò a quanto pare significa che i proprietari dei vigneti di una determinata località godevano a rotazione del diritto della saltara delle vigne. L'ordine di successione, la cosiddetta "ruota della saltara", veniva giocato ai dadi. Chi svolgeva il compito di saltaro delle vigne riceveva una certa quantità di graspato a titolo di compenso da parte degli altri proprietari. Nella seconda metà del XIX secolo questa usanza veniva dunque sentita come antica (cfr. le affermazioni "come per l'antico" e "secondo l'antico costume"), anche se non ci è dato stabilire quanto esattamente lo fosse.<br>La carta di regola di Romallo prevedeva che la regola, cioè l'assemblea dei "vicini", venisse convocata ogni anno "il tempo di santo Giorgio" per passare all'elezione degli ufficiali comunitari e poi alla resa di conto del regolano e dei giurati uscenti relativamente alla loro amministrazione. Anche qui viene citato espressamente, oltre al regolano e ai giurati, il saltaro della campagna, investito delle mansioni viste in precedenza e che i vicini dovevano eleggere o confermare "uno delli giorni sequenti doppo la santa Maria Ceriola di febraro". Come di consueto, l'attenzione è rivolta principalmente a disciplinare lo sfruttamento del territorio (per esempio del prato comunale di "Nassan"), il pascolo del bestiame e i doveri spettanti ai vicini, fra cui quello di pulire e curare i pascoli comuni "al tempo di santo Giorgio", con pena pecuniaria per chi non partecipava.<br>Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, un susseguirsi incalzante di eventi coinvolse il principato vescovile di Trento e con esso la valle di Non, eventi di tale portata da segnare la fine del secolare dominio vescovile, e quindi anche delle comunità di antico regime, e che portarono infine, dopo alcune dominazioni di breve durata ma non prive di conseguenze storico-istituzionali, all'annessione del Trentino all'impero austriaco. <br>Nel periodo che va dal 1796 al 1803 il principato vescovile conobbe una serie di occupazioni francesi ed austriache e quindi un susseguirsi di organi amministrativi istituiti di volta in volta dagli uni o dagli altri (7). A questa successione di eventi bellici e di cambiamenti istituzionali pose fine la pace di Luneville (9 febbraio 1802) che fece sgomberare Trento dalle truppe francesi, affidando il governo interinale della città, a partire dal 31 marzo 1801, ad un Consiglio aulico capitolare (e quindi non più al vescovo). Ma ancora più drastica fu la soluzione imposta dal trattato di Parigi del 26 dicembre 1802, che secolarizzò definitivamente i principati vescovili di Trento e Bressanone, assegnandoli all'Austria. Infine, con la patente imperiale austriaca del 4 febbraio 1803, Francesco II unì ufficialmente il principato di Trento all'Austria(8). Fra il 1803 e il 1805 avvennero due fatti particolarmente importanti per l'organizzazione amministrativa del Trentino e per la vita delle comunità rurali trentine che furono la divisione del territorio dell'ex principato nei due circoli di Trento e Rovereto, dipendenti dal governo provinciale del Tirolo e l'emanazione della circolare del 5 gennaio 1805 con cui si subordinò la convocazione delle regole, cioè delle assemblee generali delle comunità, all'assenso preventivo delle autorità
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