Un Soprannome Per La Celebrità* Numerosissimi Tra I Divi Dell'opera
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VALENTINA ANZANI PSEUDONIMI ALL’oPERA: UN SOPRANNOME PER LA CELEBRITÀ* Abstract: Most opera singers of the 17th and 18th centuries had sobriquets or nick- names that were often much more significant that their real names, espercially for primedonne and castratos. Nicknames such as Farinelli, Cusanino or Senesino car- ried private meanings symbolic of the singers’ emotional detachment from their families, responsible for their menomations; at the same time the nickname pro- vided a protective mask in the face of the public. Nonethless, the nickname had a public value too that enabled those singers to begin their careers under the protec- tion of the name of a well known teacher or patron. Keywords: castratos, singers, opera, patron, teacher E pure vorrei che li sentiste [Carestini e il divino Farinello], perché da poi esclamereste [...]: «Angeli eterni, siete voi tutti, o pur non tutti in cielo?»1 Numerosissimi tra i divi dell’opera sei-settecentesca ebbero un sopranno- me o un nomignolo, che spesso aveva un valore molto più importante del nome stesso; si è creduto quindi necessario uno studio che ne evidenziasse le origini e le funzioni caratterizzanti. Il presente intervento è il risultato di un’indagine condotta su un campione di nomi selezionati sui principali repertori (enciclopedie e dizionari biografici, cataloghi di libretti, indici di nomi),2 che ha fatto emergere un’ampia gamma di casistiche per storpiatu- re, attributi e nomi d’arte aggiunti o sostituiti ai nomi propri, di cui erano provvisti cantanti di ogni genere e categoria e che è emerso avessero assunto un valore particolare per primedonne e castrati. La ricerca non si può ritenere esaustiva per varie motivazioni: le didasca- lie poste sui libretti sono spesso incomplete o contraddittorie; l’ortografia * più costanti stimoli alla riflessione scientifica mi vengono da Marco Beghelli: l’ispirazione per questo lavoro è solo una tra le innumerevoli di cui gli sono grata debitrice. 1 Lettere del librettista Carlo Innocenzo Frugoni a Ubertino Landi del 3 giugno 1726 (I-PCc, Ms.Landi.43, c. 17r). 2 Per i cataloghi di libretti si è fatto affidamento soprattutto aC LAUDIO SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800. Catalogo analitico con 16 indici, 7 voll., Cuneo, Bertola e Locatelli 1990-1994. 148 VALENTINA ANZANI dei cognomi dei cantanti varia al punto da renderne alcuni irriconoscibili; infine, i nomi di battesimo sono talvolta imprecisi – in molti casi, quando un interprete figura con due nomi differenti, non si sa se si tratti della stessa persona, di due omonimi o di due membri della stessa famiglia.3 Lo stato attuale dell’indagine permette tuttavia di evidenziare i casi più rilevanti e riconoscere criteri generali per il raggruppamento in categorie cui i sopran- nomi indicizzati afferiscono. Per almeno due secoli, tra l’inizio del Seicento e la fine del secolo successi- vo, le scene dei teatri d’opera furono dominate da una tipologia di cantanti preferita a ogni altra, uomini che dovevano la propria voce acuta a una meno- mazione inflitta loro in tenera età: i castrati. Arruolati da bambini per essere istruiti nel canto, venivano sottoposti a un intervento che doveva causar loro non poche sofferenze psicologiche. Una volta inseriti nel circuito teatrale, per questi cantori era un passo quasi obbligato la costruzione di una nuova identità, con la quale giustificavano la loro posizione e spesso si distanziava- no da quella famiglia d’origine che aveva permesso che fossero mutilati: Se il virtuoso fosse Contralto, o Soprano avrà qualche buon’Amico, che parli a suo favore nelle Conversazioni, che lo dichiari (a gloria della verità) di civile, ed ono- rata Famiglia, aggiungendo, che a motivo di pericolosissima Infermità ha convenuto soccombere all’Incisione.4 Un elemento quasi imprescindibile di questo processo era l’acquisizione di un nuovo appellativo con cui identificarsi, che diveniva certo un nome d’arte (o piuttosto di battaglia), ma che aveva soprattutto un significato so- ciale: sanciva verbalmente, come un secondo battesimo, il loro nuovo status. Il soprannome era di tale importanza per i castrati da identificarli sui li- bretti che accompagnavano le rappresentazioni operistiche, nei libri di conti dei teatri, su documenti e lettere patenti, nella corrispondenza di terzi e in molti casi anche in quella privata. Vi sono poi molte commedie in prosa coeve, di fatto specchi ironici di una realtà, in cui compaiono personaggi fittizi legati al mondo del teatro d’opera, tutti accompagnati dal loro sopran- 5 6 7 8 nome: Limoncelli, Scarpinello, Ritornello, Canarino sono solo alcuni degli 3 Cfr. SILVIE MAMY, La diaspora dei cantanti veneziani nella prima metà del Settecento, in Nuovi studi vivaldiani, edizione e cronologia critica delle opere, vol. II, a c. di A. Fanna e G. Morelli, Firenze, Olschki 1988, pp. 591-631, p. 631. 4 BENEDETTO MARCELLO, Il teatro alla moda o sia Metodo sicuro, e facile per ben comporre, ed esequire l’opere italiane in musica all’uso moderno, [Venezia, Pinelli 1720], p. 30. 5 È il castrato della commedia di Gherardo de Rossi Il maestro di Cappella, 1791. 6 Compare in Il ciarlator maldicente di Francesco Albergati Capacelli, 1785. 7 Uno dei personaggi del dramma L’opera seria di Ranieri de’ Calzabigi, 1769. 8 È il ‘gran cantor’ in Prima la musica poi le parole di Giovanni Battista Casti, 1786. PSEUDONIMI ALL’opera: un soprannome per la celebritÀ 149 attributi e nomignoli usati in quei testi, per i quali erano scelti in modo da raggiungere l’effetto più comico possibile e in cui la loro funzione caratteriz- zante diventava ancor più esplicita di quanto non fosse nella realtà. Il più ef- ficace fu forse quello scelto da Carlo Goldoni per il castrato della commedia L’impresario delle Smirne (1759): Carluccio detto Cruscarello. L’autore volle infatti certamente ammiccare al celeberrimo Carlo Broschi detto Farinello (o Farinelli), che, come il personaggio Carluccio, fu «uno de’ più famosi, e forse il più famoso de’ nostri giorni»,9 declinando il nome al vezzeggiativo (Carlo diventa Carluccio) e facendo ricorso, per l’invenzione del sopranno- me, allo stesso campo semantico molinaresco, scegliendo però un termine con un’accezione dispregiativa (come è appunto la crusca, che della farina è lo scarto). Di questo trattamento denigratorio, da cui non andava esente neppure il più bravo e acclamato dei cantanti, si lamenta Domenico Sfrontati, il castra- to protagonista della commedia Il ciarlator maldicente (1785) di Francesco Albergati Capacelli, quando un interlocutore si rivolge a lui come Scarpinel- lo, esponendogli però l’importanza di tale soprannome per il successo nella professione: MENEGUCCIO Oh! Scarpinello, Scarpinello: mi chiamo Meneguccio Sfrontati, virtuoso di camera... ALFONSO Sì, sì, tutto quello che volete: di camera, di camerino, o di came- rotto, ove la gran virtù di voi altri eunuchi starebbe sempre assai meglio. MENEGUCCIO Ma voi già per istrapazzare i galantuomini siete fatto apposta. ALFONSO Io veramente adesso, precisamente adesso non m’accorgo né di strapazzare, né di strapazzare galantuomini. Ma via, perché ricusate il sopranno- me di Scarpinello? E non conoscete ancor voi che i soprannomi e le varie vicende che accadono a voi altri rossignoli spennati, ora di bastonate, ora di sfratti, ora di prigioni, sono i contrassegni che vi rendono famosi? S’io dico: il signor Domenico Sfrontati, Marchigiano, virtuoso ecc... molti e molti non mi capiscono. Ma s’io dirò: lo Scarpinello che fu bastonato in Inghilterra, ch’ebbe l’esilio da Torino, che fu legato dagli sbirri a Venezia, allora tutti capiscono, e tutti si sentono mossi a quella venerazione, che meritano le persone celebri e diffamate.10 L’interlocutore continuerà poi riferendo che il soprannome è caratteriz- zante tanto per gli uomini quanto per le donne: 9 CARLO GOLDONI, L’impresario delle Smirne, commedia di cinque atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia nel Carnovale dell’anno 1760, in Commedie del sig. Carlo Goldoni, VII, Venezia, Zatta 1789 pp. 6-81, p. 42 (III.2). 10 FRANCESCO ALBERGATI CAPACELLI, Il ciarlator maldicente, in Opere di Francesco Albergati Capacelli, vol. XII, Venezia, Palese 1785, pp. 1-123, pp. 21-22 (I.5). 150 VALENTINA ANZANI [...] Guai chi non avesse detto La Bastardina:11 non si avrebbe potuto capire chi fosse quella gran donna. E io ho conosciuta una cantatrice buffa, o buffona come volete, la quale era chiamata L’Impiccatella, perché il padre era morto sopra un paio di forche. Il suo diploma era questo, ed il suo nome correva così.12 Goldoni nel dare i nomi alle tre cantantrici della sua già citata commedia aveva fatto una sintesi di tutte le casistiche di attributi e nomi d’arte che si riscontravano nella realtà. Le chiama infatti «Lucrezia cantatrice fiorentina, detta L’Acquacedrataia; Tognina cantatrice veneziana, detta La Zuecchina; Annina cantatrice bolognese, detta La Mistocchina».13 I nomi propri sono declinati al diminutivo o al vezzeggiativo, cui seguono una connotazione geografica e un soprannome, del tipo molto usato per le cantatrici, indicante un’arte o un mestiere, che in molti casi era quello praticato dalla famiglia d’origine. In questo caso i tre soprannomi dialettali confermano anche la provenienza geografica delle cantanti: Zuecchina dall’isola veneziana della Giudecca, Acquacedrataia da Firenze, dove il termine indica la venditrice di acqua cedrata,14 mentre Mistocchina è a Bologna colei che distribuisce dolci tipici agli angoli delle strade.15 Passando dalla finzione scenica alla realtà, in una nota spese del Teatro Nuovo di Napoli relativa all’anno 1730 si parla di un rimborso da conse- gnarsi alla Falignamina e alla Sellarina:16 le cantanti in questione erano ri- spettivamente Antonia Colasanti e Maria Maddalena Gerardini, per le quali non era necessario il nome di battesimo perché fossero individuate pur in un documento contabile ufficiale, tanta era la fama che avevano acquisi- to con il loro soprannome.