Nazariantz, poeta d’incrocio di Dorella Cianci

1. Brevi cenni biografici

Nel 1913 un poeta armeno, Hrand Nazariantz, arrivò in Puglia; era poco più che un ragazzo che scribacchiava versi eppure già sfuggiva ad una condanna a morte e- messa dal governo turco, in quanto divulgatore di idee a favore del popolo armeno. Il suo esilio per ragioni politiche trovò approdo in Puglia, poiché a Costantinopoli con- viveva con un’attrice di avanspettacolo (nell’accezione data al termine prima dell’epoca fascista), Maddalena De Cosmis, grazie alla quale, arrivato in Italia, riuscì ad ottenere la cittadinanza italiana. certamente non poteva ancora intuire che si stesse trovando dinanzi un candidato al Nobel1. Di recente la biografia del poeta, per lunghissimo tempo dimenticato, sta cono- scendo un rinnovato interesse sollecitato anche dalla nascita del Centro Studi Hrand Nazariantz2, a Bari, e preceduta da una piccola pubblicazione antologica di poesie scelte da una delle opere giovanili, Sogni crocefissi. Prima di parlare di questo eclettico poeta in rapporto a Bari, mi pare opportuno dare uno sguardo rapido alla sua vita in terra d’, non certamente priva di stimoli. Nacque nei sobborghi di Costantinopoli nel gennaio del 1886 e il suo co- gnome, come suggerito dal prof. Serge Mouraviev, rimanda agli ambienti della buona borghesia e dell’aristocrazia armena. Suo padre Diran era un linguista e un patriota, sua madre si chiamava Aznive Merhamedtian. Nel 1898 fu iscritto al Collegio Bérbé- rian di Costantinopoli ed in questi anni si rivelò subito un’intelligenza mirabile, se- gnata anche da un certo rigore comportamentale:

Il curriculum di studi ed i metodi di insegnamento progettati da Berbe- rian prevedevano dure ma semplici condizioni. I suoi ideali educativi e- rano, infatti, ispirati dalla pedagogia di San Paolo […] Ne discendeva una rigidissima impostazione morale. […] inoltre dal punto di vista ammini- strativo il titolo di studio rilasciato dalla Scuola Berberian era l’unico a dare accesso diretto alle università europee3.

1 Un maggiore approfondimento circa la vita del poeta si ritrova in C. Coppola, Frammenti per una dove- rosa Biografia, in Hrand Nazariantz, Fedele d’Amore, a cura di P. Lopane, Fal Vision, Bari 2012, pp. 17-31. 2 L’idea di costituire un gruppo di studio su Nazariantz si deve principalmente a Paolo Lopane, affian- cato poi da Cosma Cafueri, Carlo Coppola, Rosalia Chiarappa, Kegham Boloyan e la sottoscritta. Il gruppo ha appena pubblicato un volume miscellaneo, il suddetto Hrand Nazariantz, Fedele d’Amore, con una prefazione del celebre armenista Boghos Levon Zekiyan. Tale testo permette un’approfondita ri- costruzione biografica del poeta e lo colloca più precisamente all’interno del panorama letterario italia- no ed europeo; infine vi è un’appendice di lettere del poeta finora inedite. 3 C. Coppola, Frammenti per una doverosa Biografia cit., pp. 20-21. Dal 1902 iniziò il suo soggiorno inglese e proprio a Londra ultimò la sua raccol- ta poetica, poi tradotta in italiano come I Sogni Crocefissi. Nel 1905 s’iscrisse alla Sor- bona e due anni dopo fu richiamato nella sua terra in seguito ad una malattia del pa- dre. Lì si occupò dell’azienda di famiglia, non rinunciando mai alla scrittura, la sua vocazione, assumendo – nel 1908 – la direzione del «Surhantag» («Corriere»). Dal 1909 s’impegnò più attivamente in politica fondando il settimanale «Nor-Hossank» («Nuova Corrente»), insieme ad uno dei principali membri del Partito Armeno Social Democratico, Karekin Gozikian. Collaborò con numerose riviste letterarie interna- zionali di Mosca, Costantinopoli, Smirne, Bucarest. Con l’Italia cominciò ad avere contatti a partire da varie corrispondenze epistolari con Gian Pietro Lucini4 e Libero Altomare. Dopo l’uscita, nel 1912, de I sogni crocefissi i critici cominciarono ad interes- sarsi a lui e Vrtanes Papazian ne incluse il nome nella sua Storia della letteratura armena. Nel 1912 pubblicò un’inchiesta sul futurismo dal titolo Marinetti e il Futurismo (F.T. Marinetti ei apagajapaštoitiine), volumetto corredato di illustrazioni del caricaturista En- rico Sacchetti. Nello stesso anno pubblicò altre raccolte poetiche nelle quali assumeva sempre più caratteristiche marcatamente simboliste: Le solitudini stellate e Vahakan. Nel 1913 uscì Aurora, anima di bellezza, La corona di spine e il poema più noto, Il grande canto della cosmica tragedia5, l’opera – molti anni dopo – candidata al Nobel da diversi intellettuali, ma quel Nobel del ‘53 per la Letteratura fu assegnato a Winston Chur- chill. La sua attività poetica non mise mai da parte la campagna di sensibilizzazione verso la tragedia del suo popolo oppresso dai Turchi e di questo scrisse anche su di- verse riviste di ambiente costantinopolitano; da qui la condanna a morte e l’esilio, scelto per sfuggire al suo destino di morte. Dal maggio del ‘13 Bari ospitò Hrand Nazariantz, riservandogli una calda acco- glienza espressa innanzitutto dal Circolo Filologico barese, presieduto dal prof. Carlo Maranelli. Fu ben accolto anche in casa Laterza, infatti curò il primo volume della collana “Conoscenza ideale dell’Armenia”, scrivendo un saggio su un poeta armeno, Bedros Turian. Proprio da Bari in seguito partì l’appello degli intellettuali italiani per sostenere la causa armena, fra questi ricordo Gian Pietro Lucini, Giovanni Verga, Enrico Cardile, Giuseppe Cartella Gelardi ed altri. Uno dei primi atti del movimento fu la costituzio- ne di un comitato. Nazariantz continuò a pubblicare opere poetiche per la casa editrice barese Hu- manitas e per la Sonzogno di Milano. Proprio a Milano furono pubblicati I tre poemi per la casa editrice Alpes, tradotti da Cesare Giardini. Nel 1932 Giuseppe Cartella Gelardi scrisse lo studio ad oggi più completo su Il grande canto della cosmica tragedia, poema che venne tradotto in italiano nel 1946 ed arricchito con le xilografie di Piero Casotti e con un commento estetico-ermetico del Rabbi Eli-Drac, anagramma dello

4 Cfr. D. Cofano, Il crocevia occulto. Lucini, Nazariantz e la cultura del primo Novecento, Schena, Fasano 1990. 5 Nazariantz compose anche in italiano. Le traduzioni furono sempre affidate a Cardile e Giardini. stesso Cardile, il quale ne curò la versione italiana. Durante il momento di grande successo collaborò anche a Radio Bari e nel 1951 pubblicò il Manifesto Graalico, ispiratore della successiva rivista (1958), la quale nacque con la collaborazione del noto orientalista dell’Università di Bari Enrico Pappacena, ed ebbe come obiettivo il coinvolgimento di intellettuali di tutta Europa di ‘spirito libero’, come eran soliti definirsi. Sulla rivista «Graal» comparvero scritti di Ungaretti, Ada Negri e persino di Calvino. Il nome del periodico era un chiaro riferimento alla misterosofia cristiana di cui Nazariantz era seguace6.

2. Nazariantz ed i presunti rapporti con il Fascismo

Il presente saggio ha precipuamente l’obiettivo di indagare il rapporto con la Puglia e con gli intellettuali avuto dal poeta all’indomani del suo arrivo in Italia. Na- zariantz ha dovuto subire l’esilio due volte: una dalla sua terra, l’altra dalle antologie all’indomani della sua morte. Quale la ragione di questa eccessiva, se non feroce, di- menticanza? Essa andrebbe ricercata – a mio avviso – nel rapporto, spesso interpre- tato come ambiguo, che il poeta aveva stretto con il regime fascista. In realtà la natu- ra di questo rapporto dovrebbe esser letta in maniera più ingenua e quasi inavveduta: «Nel ‘40, nel clima di rinnovato interesse per la causa armena, dovuta – come fa giu- stamente rilevare la Filippozzi – alla dominante ideologia fascista che enfatizzava l’espansione nel Mediterraneo, presentata come volontà di recuperare antichi legami storici fra l’occidente e l’oriente dopo che agli armeni era stata riconosciuta la nota di ‘arianità’, il Nazariantz ritrova l’entusiasmo e lo slancio dei suoi giorni migliori», scri- ve in un suo saggio Gabriella Uluhogian, nota armenista dell’Università di Bologna7. Il regime fascista, con il ben collaudato populismo di cui era solito servirsi, cercò di far propria la causa armena con metodi anche grotteschi: furono infatti messe in evi- denza le presunte origini armene di Eleonora Duse e di Vittoria Aganoor Pompilj8. Fu poi conferito a Hrand Nazariantz l’Alto Riconoscimento della Reale Accademia9. Come si può altresì intuire dalla lettura di un opuscoletto quasi sconosciuto del ‘39, Armeni e ariani10, gli Armeni furono strumentalizzati dalla propaganda fascista senza ricevere davvero alcun aiuto. Anzi è opportuno ricordare che nel ‘40, in pieno regime, il poeta chiese ad Antonio Basso, un intellettuale milanese del Comitato di Liberazione e fratello del più famoso Lelio, fondatore del Tribunale Permanente dei Popoli, un articolo sul popolo armeno e sulla sua causa. Dall’ottimo saggio della pro-

6 Cfr. P. Lopane, Amore e gnosi nella poetica di Nazariantz, in Hrand Nazariantz, Fedele d’Amore cit., pp. 51- 74. 7 G. Uluhogian, Hrand Nazariantz e Antonio Basso: pagine inedite di un’amicizia, in Armenian History Mate- rials in the Archives of Central Europe, Archives of Central Europe Press, 2001, p. 128. 8 Cfr. M. Filippozzi, Hrand Nazariantz, poeta armeno esule in Puglia, Congedo, Galatina 1987, p. 21. 9 Alto Riconoscimento della Reale Accademia d’Italia all’Opera di Hrand Nazariantz, in «Armenia», 1940, p. 46. 10 H.H. Schaeder, Armeni ed Ariani, Edizioni HIM, Roma 1939. fessoressa Uluhogian11 si conosce parte del carteggio fra i due: «Attendo da voi una forte pagina sulla nostra Armenia martire ed oppressa che anela sempre alla sua liber- tà e si fida dell’Italia, madre di leggi eterne, che può ridare giusti sorrisi di libertà alle genti oppresse nella luce dell’auspicata “pace con giustizia” voluta dal Duce». Nono- stante la profonda amicizia fra il poeta e Basso, quest’ultimo rifiuterà un’ulteriore presa di posizione a sostegno della causa armena («Non penso d’altra parte che il mio modestissimo nome possa di per sé aggiungere alcunché all’opera»), atteggiamento che trova anche la sua più consequenziale spiegazione nel fatto che, già da tempo, il Basso aveva preso le distanze dall’ideologia dominante in Italia ed aveva intuito che la difesa armena non era altro che un pretesto fascista. Dal “Fondo Antonio Basso”12 si possono leggere una gran quantità di dattiloscritti e manoscritti che dimostrano non solo l’importanza dell’amicizia fra Nazariantz e Basso, ma anche la totale e reale adesione di quest’ultimo alla causa armena sin dagli anni Venti: nel 1926 infatti pub- blicò un articolo sulla rivista «Varietas» intitolato Gli Armeni. Significativo il passo ri- portato dalla Uluhogian13: «Quanti sono gli Armeni? Dove sono gli Armeni? […] Tutto questo è un mistero per i più». Altri scritti di Antonio Basso sono una ulteriore attestazione di stima verso Nazariantz e il suo operato, verso il ‘Poeta buono’, come era definito, ed anche da questi scritti s’intuisce il grande affetto che il poeta armeno ricevette da un ambiente di ben altra estrazione rispetto al fascismo. Basso, nel 1945, fu nominato Provveditore agli studi di Milano, dopo aver dato le dimissioni dal CNL, e cercò di dare un’impostazione di più ampio respiro alla scuola italiana ormai palu- data dall’autoritarismo fascista. Scrive Uluhogian14: «Ebbe (sc. Antonio Basso) più che mai la certezza che una era la necessità impellente: l’educazione dei giovani alla liber- tà, al rigore morale e alla serietà negli studi, e nel contempo, la formazione di una classe di insegnanti che sapesse trasmettere agli alunni questi valori dei quali, del re- sto, egli aveva improntato la sua vita». Questa piccola frase riportata non aggiunge- rebbe nulla alla figura di Nazariantz, tuttavia offre un altro tassello sul livello morale degli uomini di cui l’armeno si circondava. Prendere in considerazione i rapporti con Basso permette anche una corretta visuale di come si collocasse il poeta sulla scena italiana, intessendo rapporti molto sinceri, che spesso egli indicava come ‘fraterni’, bel al di là delle scelte e delle convenienze politiche. Lodevoli anche le amicizie grazie alle quali riuscì a fondare il villaggio profughi armeni a Bari. Nell’Archivio storico dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI) vi sono una serie di documenti relativi al villaggio

11 Cfr. G. Uluhogian, Hrand Nazariantz e Antonio Basso cit., pp. 116-136. 12 Di tale fondo si può avere una parziale conoscenza nel seguente sito: http://beniculturali.ilc.cnr.it:8080/Isis/servlet/Isis?Conf=/usr/local/IsisGas/InsmliConf/Insmli.sys [email protected]&Opt=search&Field0=zzA00/01193/03%20*%20cts=d, dove si può trova- re un catalogo dell’epistolario del Basso, comprese le lettere con Nazariantz, reso disponibile dall’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia. 13 Cfr. G. Uluhogian, Hrand Nazariantz e Antonio Basso cit., p. 122. 14 Ivi, p. 135. d’accoglienza ‘Nor Arax’, sorto nel 1926. Una precisa documentazione sulla nascita di questo villaggio profughi è fornita da Anna Sirinian15. La studiosa mette in evi- denza il carteggio tra Nazariantz e uno dei personaggi più autorevoli dell’ANIMI, Umberto Zanotti Bianco16. Il rapporto epistolare circa il ‘Nor Arax’ comincia con Zanotti Bianco sin dal 1925 e abbraccia l’intero periodo di attività del centro. In ma- niera molto documentata ed agevolando moltissimo i successivi studiosi dell’argomento, la Sirinian offre un preciso elenco dei documenti relativi al villaggio17. Il Nostro viveva a Bari già dal 1913 e nel 1914, proprio per conto di Zanotti, scrisse un opuscoletto, L’Armenia, il suo martirio e le sue rivendicazioni, edito nella collana “La Giovine Europa”, diretta da Zanotti stesso. I due intellettuali mostrarono sensibilità comuni, poiché entrambi votati alla difesa dei popoli oppressi, e fu proprio grazie agli importanti contatti di Zanotti che Nazariantz riuscì a mettere insieme una rete di fi- nanziamenti per poter pensare alla costruzione del villaggio. Ripensare Nazariantz, dunque, vuol dire anche mettere in evidenza i suoi rap- porti trasversali con gli intellettuali italiani, i quali andavano ben oltre i rigidi confini delle ideologie.

3. Gli Armeni e l’accoglienza a Bari

Bari ha ben due motivi per esser grata a Hrand Nazariantz: il primo di carattere civile, il secondo di sapore squisitamente culturale. Per il primo motivo basterà ricor- dare la fondazione del villaggio profughi, grazie alla quale Bari riuscì ad attestarsi co- me modello di accoglienza e di interculturalità, in tempi in cui tali concetti non erano così di moda. Nazariantz si diresse a Bari forse anche per ragioni sentimentali, come detto precedentemente, mentre i profughi armeni arrivarono a Bari per una ragione molto pratica: accolsero l’invito di un industriale del settore tessile, Lorenzo Valerio, socio di Scipione Scorcia e di Nazariantz stesso, in quanto essi, con le loro compe- tenze, potevano continuare a lavorare, in territorio pugliese, ai loro finissimi tappeti, offrendo anche una nuova speranza per l’industria barese. Fu così fondata la Società Italo-Armena di tappeti orientali con lo scopo di ingaggiare maestranze armene da far la- vorare a Bari, inaugurando in città un nuovo settore industriale. Come la Sirinian18 stessa fa notare, il progetto del poeta era finalizzato esclusivamente ad aiutare i suoi

15 A. Sirinian, Il villaggio armeno ‘Nor Arax’ nei documenti dell’Archivio storico dell’ANIMI, in «Archivio stori- co della Calabria e della Lucania», 72, 2005, pp. 181-199. 16 Il carteggio di Zanotti Bianco è stato in parte edito da Valeriana Carinci e Antonio Jannazzo, relati- vamente agli anni 1906-1928 (Editori Laterza, Roma-Bari 1987, per il Carteggio I; Editori Laterza, Roma-Bari 1989, per il Carteggio II). 17 I faldoni dell’ANIMI circa il ‘Nor Arax’ recano la seguente segnatura: «ANIMI. Pratiche. Assistenza profughi. A01. U.A. 5.12» (Pratiche I); «ANIMI. Pratiche A01.03 U.A. 13.20» (Pratiche II). Le lettere di Nazariantz a Zanotti Bianco sono conservate nell’Archivio Zanotti Bianco, per ulteriori indicazioni rimando a A. Sirinian, Il villaggio armeno ‘Nor Arax’ cit., p. 182, n. 3. 18 Cfr. A. Sirinian, Il villaggio armeno ‘Nor Arax’ cit., p. 185. connazionali e aveva ben poco a che vedere con logiche di mercato. Tuttavia Bari, la città della Fiera del Levante, da sempre aperta agli scambi e al commercio, fu molto entusiasta nell’intraprendere questa nuova attività, in quanto gli atelier di tappeti ar- meni erano già divenuti famosi nella vicina Grecia. L’arrivo degli armeni non fu cosa semplice, poiché sin dal primo momento a Ba- ri si pose il problema degli alloggi: essi, infatti, appena giunti, avevano poco più che una baraccopoli, vivendo in condizioni di scandalosa indigenza, come fece poi notare Zanotti in un capitoletto del suo libro Tra la perduta gente19. Zanotti ottenne gratuita- mente, grazie al Ministro delle Finanze Volpi, l’uso di sei padiglioni Docker ceduti dalla Germania all’Italia, poi con l’aiuto del senatore Luzzatti e di Mussolini stesso, costituì, nel 1924, un comitato per il trasporto dei profughi armeni ottenendo ulterio- ri finanziamenti, utilizzati sia per gli alloggi che per l’industria manifatturiera di tappe- ti, la quale ebbe anche alcuni aiuti economici da parte del banchiere ebreo Yakir Be- har20. Zanotti in seguito si occupò anche della pubblicizzazione del commercio dei tappeti, organizzando una mostra a Roma. Interessante notare che fra i primi acqui- renti risulta in elenco Luigi Pirandello21. Con i primi guadagni derivati dalla vendita dei tappeti, i profughi iniziarono a stipulare contratti con l’Acquedotto Pugliese per portare l’acqua nel villaggio e poi con il Comune di Bari per poter avere la corrente elettrica; durante il mese di aprile del 1926 gli armeni presero possesso delle abitazio- ni. Ulteriori fondi furono reperiti nella serata organizzata da Hrand Nazariantz al Te- atro Piccinni il 15 Giugno 1926. Per avere un’idea circa l’atmosfera del villaggio mi appaiono suggestive le considerazioni conclusive della Sirinian:

Per diverse decine di anni Nor Arax ospitò intere famiglie armene, assi- curando loro ciò che era indispensabile per una vita civile, nel rispetto della cultura e della libertà del gruppo etnico ospitato. Tutt’altro che un ghetto, il villaggio si proponeva come piccola, funzionante comunità li- bera, aperta al territorio circostante: nessun ostacolo fu mai frapposto al- le intenzioni di coloro che nel tempo desiderarono lasciare la colonia22.

Il secondo motivo di gratitudine di Bari nei confronti di Nazariantz riguarda la penetrazione dell’avanguardia futurista (ma poi anche simbolista) che fu dovuta a lui, ancor prima che gli stessi autori pugliesi si rendessero conto del vento nuovo portato in Italia da Marinetti: è un tema che meriterebbe di essere approfondito dagli studiosi del futurismo pugliese. Un accenno a questa questione è fatto nel mio saggio nel volume di Paolo Lo- pane, tuttavia occorre, anche in questa smilza presentazione del poeta, farvi un breve

19 Cfr. U. Zanotti, Tra la perduta gente, Rubbettino, Soveria Mannelli 1928, pp. 107-127; il libro è stato riedito nel 2006. 20 Cfr. A. Sirinian, Il villaggio armeno ‘Nor Arax’ cit., p. 187. 21 Ivi, tav. II. 22 Ivi, p. 197. riferimento, in quanto questo è sicuramente un dato centrale rispetto al ruolo avuto dal poeta all’interno del panorama letterario pugliese. Opportuno, dunque, ricordare che, grazie all’armeno, Marinetti arrivò in Puglia il 26 settembre 1926, allorché si svolse al Teatro Piccinni di Bari una serata futurista, organizzata dal musicista e dallo stesso Nazariantz. In quell’occasione furono invitati a Bari Marinetti e Cangiullo, come poi ricordato in un articolo del ‘4823. La serata fu sui generis, poiché Marinetti venne contestato dal pubblico, ma dopo parecchi fischi riuscì a spiegare le principali linee programmatiche del Futurismo. L’anno dopo Marinetti tornò in Pu- glia, poiché Casavola decise di mettere in scena l’opera di Nazariantz, Lo specchio. Il 2 gennaio del ‘23, richiamati Marinetti e Cangiullo, andò in scena l’opera mimica Lo specchio e in quella serata Nazariantz fu lungamente applaudito. Nel ‘16 e nel ‘17 il poeta ebbe anche sporadiche collaborazioni con due riviste avanguardistiche siciliane («La scalata» e «La vampa»), per cui si può tranquillamente affermare che la letteratura pugliese del primo Novecento cominciò a respirare aria sperimentale grazie ai rapporti e alle tendenze avanguardistiche di questo eclettico poeta, rimasto, per ragioni inspiegabili, a vivere a Bari, ai margini della scena letteraria italiana ed anche europea. Cosma Cafueri, nel suo saggio all’interno del volume mi- scellaneo di Lopane, si è posto questo stesso interrogativo, arrivando a pensare che probabilmente in Bari il poeta seppe rivedere una ‘Costantinopoli altra’.

4. Nazariantz tra Bari e Conversano

Nazariantz firmava sempre le lettere inviate da Bari appellandola «Terra d’esilio», dunque non riuscì mai a sentirla come una vera casa, ad integrarsi completamente, ma ebbe amici sinceri, fra cui il libraio barese Pasquale Sorrenti, il quale gli dedicherà un volume, nel 1987, raccontando la sua vita non con l’ottica del critico, ma con una visuale più calda e familiare. Nazariantz si occupò anche di un’intensa attività pubblicistica ed è per questo che, caduto il regime fascista, accettò l’incarico di collaborare a Radio Bari, nell’ottica di una cultura che non fosse solo rinchiusa nei rigidi confini dell’accademismo o delle riviste specializzate. Più che condivisibile quanto scritto in un piccolo opuscolo pub- blicato nel 1987 dal “Centro Culturale Distrettuale Regionale di Conversano”, coor- dinato dal prof. Diego Judice:

Alla base di tale programma culturale, che in maniera velata sembra ri- proporre l’inscindibile rapporto arte-vita e soprattutto il valore dell’arte come momento fondante del riscatto nazionale, è presente senz’altro la suggestione luciniana che torna sottilmente nelle stesse scelte degli argo- menti da trattare, i quali, pur nell’apparente disorganicità, rispondono ad un disegno ben preciso. Allo stesso modo la luciniana riproposizione di

23 F. Cangiullo, Da Marinetti a Salambò, in «l’Espresso», 30 aprile 1948. una concezione aristocratica ed elitaria dell’arte, insieme con la netta e decisa opposizione al realismo, assume, in quel determinato contesto, il valore di una polemica letteraria di stringente attualità24.

Come «polemica letteraria» vanno, dunque, interpretate le discussioni condotte in ra- dio sul simbolismo, su Baudelaire, su Shelley e Schumann. In quegli stessi anni del dopo-regime, Nazariantz cominciò anche a frequentare il caffè Il Sottano di via Putignani, un luogo di incontro dell’intellettualità barese ed è forse qui, con la frequentazione di letterati, ma anche pittori e caricaturisti, che nac- que il Manifesto graalico e il successivo movimento. La rivista «Graal» fu fondata nel ‘46, ma pubblicata successivamente in maniera sporadica a causa delle varie difficoltà economiche. Col manifesto si volle opporre l’Arte alle contaminazioni della storia e del presente, racchiudendola in un puro «estetismo» intriso di connotazioni etiche, in quanto l’Arte per l’Arte diveniva una forma di prevenzione alla contaminazione della morale. Questi principi saranno seguiti in Italia, ma anche in molti paesi d’Europa, dalla corrente «neosimbolista». Nel primo numero della rivista (1° aprile 1946) si leg- ge:

In tempi di così abietta ed amara disperazione, Graal vuole proporsi l’assolvimento di un compito di alata e vibrante elevazione spirituale, of- frendo ai dispersi fratelli che hanno bevuto il veleno del mondo, il Sim- bolo consolatore. Intendiamo resuscitare, attraverso l’inesauribile magia della Poesia, il divino negli uomini e, attraverso le fiorite vie dell’Amore, condurre tutti gli uomini a quella tanto invocata fraternità.

L’intento del movimento risulta chiaro sin dalle prime pagine e, da un rapido spoglio dei vari numeri di «Graal», si percepisce che continuò nella stessa direzione anche nel ‘57, quando fu ripresa la stampa della rivista25. Nazariantz, il candidato al Nobel, il fondatore del villaggio d’accoglienza ‘Nor Arax’, l’intellettuale ben accolto in casa Laterza, seguito poi dal suo pubblico a Radio Bari: eppure arrivarono inesorabili gli anni del declino feroce. Nonostante le varie pressioni e lettere di una sua amica, Nella Pesce26, egli non riuscì ad ottenere un im- piego modesto presso la Fiera del Levante e fu costretto ad inoltrare una richiesta di sussidio presso la Società Dante Alighieri di Roma (11 luglio 1953). Per ricordare questo tragico momento Pasquale De Filippo scrisse in seguito un articolo, dal titolo Per lui non c’era posto (10 ottobre 1979), descrivendo la triste condizione del poeta: ini- zialmente conteso nei vari salotti letterari, ma poi ridotto in povertà da chi non sape- va cogliere, in quella figurina così eccentrica che si vedeva girare per Bari, l’uomo di

24 D. Judice, Hrand Nazariantz, mediazioni culturali fra Puglia, Europa, Oriente, Centro Culturale Distrettua- le Regionale di Conversano, Conversano 1989, p. 65. 25 Per una panoramica sul graalismo torno a segnalare l’ottimo volumetto del gruppo conversanese (pp. 69-80). 26 Lettera del 9 luglio 1953. grande cultura, il quale parlava e traduceva correttamente il francese, il tedesco e al- cune lingue orientali. «Vogliatemi bene che sono solo»27, scriveva dall’Ospedale civile di Conversano in una lettera indirizzata ad un amico, Ettore Serra, a Marsiglia. Non avendo più denaro fu ricoverato nel ‘58 nell’Ospedale civile di Conversano F. Jaia a carico dell’ECA di Bari, ma il destino, in cui lui fermamente credeva, seppe riaccendere il suo entusiasmo con l’incontro del dott. Giulio Gigante, allora studente universitario, il quale seppe vedere in Nazariantz il giusto maestro per l’Università Popolare fondata l’anno prima. Nel 1960 si trasferì da Conversano a Casamassima e qui visse in condizioni di estrema povertà con Maria Lucarelli, morendo infine nel 1962.

27 Cfr. M. Filippozzi, Hrand Nazariantz cit., p. 32.