Nazariantz, Poeta D'incrocio

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Nazariantz, Poeta D'incrocio Nazariantz, poeta d’incrocio di Dorella Cianci 1. Brevi cenni biografici Nel 1913 un poeta armeno, Hrand Nazariantz, arrivò in Puglia; era poco più che un ragazzo che scribacchiava versi eppure già sfuggiva ad una condanna a morte e- messa dal governo turco, in quanto divulgatore di idee a favore del popolo armeno. Il suo esilio per ragioni politiche trovò approdo in Puglia, poiché a Costantinopoli con- viveva con un’attrice di avanspettacolo (nell’accezione data al termine prima dell’epoca fascista), Maddalena De Cosmis, grazie alla quale, arrivato in Italia, riuscì ad ottenere la cittadinanza italiana. Bari certamente non poteva ancora intuire che si stesse trovando dinanzi un candidato al Nobel1. Di recente la biografia del poeta, per lunghissimo tempo dimenticato, sta cono- scendo un rinnovato interesse sollecitato anche dalla nascita del Centro Studi Hrand Nazariantz2, a Bari, e preceduta da una piccola pubblicazione antologica di poesie scelte da una delle opere giovanili, Sogni crocefissi. Prima di parlare di questo eclettico poeta in rapporto a Bari, mi pare opportuno dare uno sguardo rapido alla sua vita in terra d’Armenia, non certamente priva di stimoli. Nacque nei sobborghi di Costantinopoli nel gennaio del 1886 e il suo co- gnome, come suggerito dal prof. Serge Mouraviev, rimanda agli ambienti della buona borghesia e dell’aristocrazia armena. Suo padre Diran era un linguista e un patriota, sua madre si chiamava Aznive Merhamedtian. Nel 1898 fu iscritto al Collegio Bérbé- rian di Costantinopoli ed in questi anni si rivelò subito un’intelligenza mirabile, se- gnata anche da un certo rigore comportamentale: Il curriculum di studi ed i metodi di insegnamento progettati da Berbe- rian prevedevano dure ma semplici condizioni. I suoi ideali educativi e- rano, infatti, ispirati dalla pedagogia di San Paolo […] Ne discendeva una rigidissima impostazione morale. […] inoltre dal punto di vista ammini- strativo il titolo di studio rilasciato dalla Scuola Berberian era l’unico a dare accesso diretto alle università europee3. 1 Un maggiore approfondimento circa la vita del poeta si ritrova in C. Coppola, Frammenti per una dove- rosa Biografia, in Hrand Nazariantz, Fedele d’Amore, a cura di P. Lopane, Fal Vision, Bari 2012, pp. 17-31. 2 L’idea di costituire un gruppo di studio su Nazariantz si deve principalmente a Paolo Lopane, affian- cato poi da Cosma Cafueri, Carlo Coppola, Rosalia Chiarappa, Kegham Boloyan e la sottoscritta. Il gruppo ha appena pubblicato un volume miscellaneo, il suddetto Hrand Nazariantz, Fedele d’Amore, con una prefazione del celebre armenista Boghos Levon Zekiyan. Tale testo permette un’approfondita ri- costruzione biografica del poeta e lo colloca più precisamente all’interno del panorama letterario italia- no ed europeo; infine vi è un’appendice di lettere del poeta finora inedite. 3 C. Coppola, Frammenti per una doverosa Biografia cit., pp. 20-21. Dal 1902 iniziò il suo soggiorno inglese e proprio a Londra ultimò la sua raccol- ta poetica, poi tradotta in italiano come I Sogni Crocefissi. Nel 1905 s’iscrisse alla Sor- bona e due anni dopo fu richiamato nella sua terra in seguito ad una malattia del pa- dre. Lì si occupò dell’azienda di famiglia, non rinunciando mai alla scrittura, la sua vocazione, assumendo – nel 1908 – la direzione del «Surhantag» («Corriere»). Dal 1909 s’impegnò più attivamente in politica fondando il settimanale «Nor-Hossank» («Nuova Corrente»), insieme ad uno dei principali membri del Partito Armeno Social Democratico, Karekin Gozikian. Collaborò con numerose riviste letterarie interna- zionali di Mosca, Costantinopoli, Smirne, Bucarest. Con l’Italia cominciò ad avere contatti a partire da varie corrispondenze epistolari con Gian Pietro Lucini4 e Libero Altomare. Dopo l’uscita, nel 1912, de I sogni crocefissi i critici cominciarono ad interes- sarsi a lui e Vrtanes Papazian ne incluse il nome nella sua Storia della letteratura armena. Nel 1912 pubblicò un’inchiesta sul futurismo dal titolo Marinetti e il Futurismo (F.T. Marinetti ei apagajapaštoitiine), volumetto corredato di illustrazioni del caricaturista En- rico Sacchetti. Nello stesso anno pubblicò altre raccolte poetiche nelle quali assumeva sempre più caratteristiche marcatamente simboliste: Le solitudini stellate e Vahakan. Nel 1913 uscì Aurora, anima di bellezza, La corona di spine e il poema più noto, Il grande canto della cosmica tragedia5, l’opera – molti anni dopo – candidata al Nobel da diversi intellettuali, ma quel Nobel del ‘53 per la Letteratura fu assegnato a Winston Chur- chill. La sua attività poetica non mise mai da parte la campagna di sensibilizzazione verso la tragedia del suo popolo oppresso dai Turchi e di questo scrisse anche su di- verse riviste di ambiente costantinopolitano; da qui la condanna a morte e l’esilio, scelto per sfuggire al suo destino di morte. Dal maggio del ‘13 Bari ospitò Hrand Nazariantz, riservandogli una calda acco- glienza espressa innanzitutto dal Circolo Filologico barese, presieduto dal prof. Carlo Maranelli. Fu ben accolto anche in casa Laterza, infatti curò il primo volume della collana “Conoscenza ideale dell’Armenia”, scrivendo un saggio su un poeta armeno, Bedros Turian. Proprio da Bari in seguito partì l’appello degli intellettuali italiani per sostenere la causa armena, fra questi ricordo Gian Pietro Lucini, Giovanni Verga, Enrico Cardile, Giuseppe Cartella Gelardi ed altri. Uno dei primi atti del movimento fu la costituzio- ne di un comitato. Nazariantz continuò a pubblicare opere poetiche per la casa editrice barese Hu- manitas e per la Sonzogno di Milano. Proprio a Milano furono pubblicati I tre poemi per la casa editrice Alpes, tradotti da Cesare Giardini. Nel 1932 Giuseppe Cartella Gelardi scrisse lo studio ad oggi più completo su Il grande canto della cosmica tragedia, poema che venne tradotto in italiano nel 1946 ed arricchito con le xilografie di Piero Casotti e con un commento estetico-ermetico del Rabbi Eli-Drac, anagramma dello 4 Cfr. D. Cofano, Il crocevia occulto. Lucini, Nazariantz e la cultura del primo Novecento, Schena, Fasano 1990. 5 Nazariantz compose anche in italiano. Le traduzioni furono sempre affidate a Cardile e Giardini. stesso Cardile, il quale ne curò la versione italiana. Durante il momento di grande successo collaborò anche a Radio Bari e nel 1951 pubblicò il Manifesto Graalico, ispiratore della successiva rivista (1958), la quale nacque con la collaborazione del noto orientalista dell’Università di Bari Enrico Pappacena, ed ebbe come obiettivo il coinvolgimento di intellettuali di tutta Europa di ‘spirito libero’, come eran soliti definirsi. Sulla rivista «Graal» comparvero scritti di Ungaretti, Ada Negri e persino di Calvino. Il nome del periodico era un chiaro riferimento alla misterosofia cristiana di cui Nazariantz era seguace6. 2. Nazariantz ed i presunti rapporti con il Fascismo Il presente saggio ha precipuamente l’obiettivo di indagare il rapporto con la Puglia e con gli intellettuali avuto dal poeta all’indomani del suo arrivo in Italia. Na- zariantz ha dovuto subire l’esilio due volte: una dalla sua terra, l’altra dalle antologie all’indomani della sua morte. Quale la ragione di questa eccessiva, se non feroce, di- menticanza? Essa andrebbe ricercata – a mio avviso – nel rapporto, spesso interpre- tato come ambiguo, che il poeta aveva stretto con il regime fascista. In realtà la natu- ra di questo rapporto dovrebbe esser letta in maniera più ingenua e quasi inavveduta: «Nel ‘40, nel clima di rinnovato interesse per la causa armena, dovuta – come fa giu- stamente rilevare la Filippozzi – alla dominante ideologia fascista che enfatizzava l’espansione nel Mediterraneo, presentata come volontà di recuperare antichi legami storici fra l’occidente e l’oriente dopo che agli armeni era stata riconosciuta la nota di ‘arianità’, il Nazariantz ritrova l’entusiasmo e lo slancio dei suoi giorni migliori», scri- ve in un suo saggio Gabriella Uluhogian, nota armenista dell’Università di Bologna7. Il regime fascista, con il ben collaudato populismo di cui era solito servirsi, cercò di far propria la causa armena con metodi anche grotteschi: furono infatti messe in evi- denza le presunte origini armene di Eleonora Duse e di Vittoria Aganoor Pompilj8. Fu poi conferito a Hrand Nazariantz l’Alto Riconoscimento della Reale Accademia9. Come si può altresì intuire dalla lettura di un opuscoletto quasi sconosciuto del ‘39, Armeni e ariani10, gli Armeni furono strumentalizzati dalla propaganda fascista senza ricevere davvero alcun aiuto. Anzi è opportuno ricordare che nel ‘40, in pieno regime, il poeta chiese ad Antonio Basso, un intellettuale milanese del Comitato di Liberazione e fratello del più famoso Lelio, fondatore del Tribunale Permanente dei Popoli, un articolo sul popolo armeno e sulla sua causa. Dall’ottimo saggio della pro- 6 Cfr. P. Lopane, Amore e gnosi nella poetica di Nazariantz, in Hrand Nazariantz, Fedele d’Amore cit., pp. 51- 74. 7 G. Uluhogian, Hrand Nazariantz e Antonio Basso: pagine inedite di un’amicizia, in Armenian History Mate- rials in the Archives of Central Europe, Archives of Central Europe Press, Yerevan 2001, p. 128. 8 Cfr. M. Filippozzi, Hrand Nazariantz, poeta armeno esule in Puglia, Congedo, Galatina 1987, p. 21. 9 Alto Riconoscimento della Reale Accademia d’Italia all’Opera di Hrand Nazariantz, in «Armenia», 1940, p. 46. 10 H.H. Schaeder, Armeni ed Ariani, Edizioni HIM, Roma 1939. fessoressa Uluhogian11 si conosce parte del carteggio fra i due: «Attendo da voi una forte pagina sulla nostra Armenia martire ed oppressa che anela sempre alla sua liber- tà e si fida dell’Italia, madre di leggi eterne, che può ridare giusti sorrisi di libertà alle genti oppresse nella luce dell’auspicata “pace con giustizia” voluta dal Duce». Nono- stante la profonda amicizia fra il poeta e Basso, quest’ultimo rifiuterà un’ulteriore presa di posizione a sostegno della causa armena («Non penso d’altra parte che il mio modestissimo nome possa di per sé aggiungere alcunché all’opera»), atteggiamento che trova anche la sua più consequenziale spiegazione nel fatto che, già da tempo, il Basso aveva preso le distanze dall’ideologia dominante in Italia ed aveva intuito che la difesa armena non era altro che un pretesto fascista.
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