NUMERO 263 in Edizione Telematica 11 Dicembre 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO E.Mail: [email protected]

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NUMERO 263 in Edizione Telematica 11 Dicembre 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO E.Mail: Spiridonitalia@Yahoo.Fr NUMERO 263 in edizione telematica 11 dicembre 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Nel mistero del Natale c'è il modo scelto da Dio per rivelarsi nel suo Messia. Quasi volesse nascondersi nell' atto stesso in cui si manifestava personalmente e umanamente agli uomini, che attendevano la salvezza, Il Natale è la presenza di Dio nella storia. Anche quando pensiamo che taccia, Lui è Dio , vede e salva la nostra storia! Dio si avvicina alla nostra storia; approda nell' inattesa umiltà di Betlemme, si fa uomo entra nel nostro tortuoso mondo per portare speranza, e' la luce di Betlemme che noi attendiamo con gioia -Il Signore parla ai nostri cuori perchè si illuminino della luce del Natale.- Mistero di gioia e di grazia, Dio incontra l' umanità, la notte santa è il punto di calore tra Dio e gli uomini. Apriamo i nostri occhi allo stupore, e il nostro cuore al Suo calore. Santo Natale in Cristo e tanti auguri a tutti don Gino SPIRIDON/2 Parte bene la gestione La Torre Come al solito è l’Italia che fatica di più (atletica pesante?) quella che regala le maggiori soddisfazioni al movimento in un momento di attività legata soprattutto a maratone e corsa campestre. Lo squillo più rilevante viene da una ragazza trentina di appena 18 anni che si è laureata campionessa europea di categoria nei prati bagnati e scivolosi di Tilburg, in Olanda. Il suo cognome riecheggia una carriera completata a metà. Quando era suo coetaneo (correva il 1993) Papà Giuliano sembrava predestinato a una brillante carriera. In realtà le punte di rendimento più felici da juniores anche se da senior in dieci anni continuativi ha saputo indossare la maglia azzurra 17 volte, mai però come vero protagonista. Nadia ha sangue buono perché è coperta anche dal punto di vista materno vantando la genitrice un personale di 2’01” sugli 800 metri. Tocchiamo ferro con questo giovane talento abituato a districarsi con successo nelle garette comunali con in palio un prosciutto come nel cross ma ancora tutta da scoprire in pista. La prudenza non è mai troppa ricordando impensabili sbocci giovanili poi non culminati in qualcosa di concreto come nel caso della Trabaldo o della Del Buono (ma non è detta l’ultima parola). Il buon sangue che non mente della Battocletti ha bisogno all’aperto di una precisa messa a fuoco tra i 1.500, 3.000 e 5.000. La propensione alla fatica e al sacrificio sembrano nella disponibilità della ragazza di Cavareno che dimostra ancora una volta come le motivazioni più forti crescano in provincia senza gli assilli e le complicazioni delle grandi città. Quello della Battocletti tra l’altro è stato il primo podio italiano individuale al femminile in 25 manifestazioni dell’evento. L’aspettiamo con curiosità a una grande stagione (tutta da scoprire) in pista, per valutare meglio il suo potenziale. Vista l’età i margini di miglioramento sono potenzialmente infiniti. Nella stessa manifestazione ci ha dato soddisfazione un altro ragazzo, più grande, abituato anch’egli a misurarsi con la fatica e il sudore. Dopo un congruo periodo di carico nella sua Africa, Yeman Crippa ha intelligentemente scelto di misurarsi con i grandi, senza trincerarsi dietro lo scudo praticabile degli Under 23. Ed è stato protagonista in gara con una condotta coraggiosa. Infinitamente più apprezzabile il sesto posto di una medaglia tra gli Under, una categoria che ha poco ragione di essere (non parliamo degli Under 25…). Gli azzurri hanno fatto buona squadra completando la prestazione del collettivo con i discreti piazzamenti di Meucci (11esimo) e di Neka Crippa (20esimo), il fratello maggiore di Yeman. Se questi sono i primi risultati della stagione di La Torre un po’ d’ottimismo e d’uopo. E sul versante dei grandi faticatori applaudiamo anche alla decisione di riconvertire la pluri- squalificanda Giorgi nei 50 chilometri di marcia, una specialità in cui c’è molto da vincere e da migliorare. La ragazza potrò togliersi così l’assillo di quelle frequenze forsennate che le hanno rubato un pezzo di carriera. Vista la sua base di velocità una prestazione all’altezza delle migliori già all’esordio è facilmente pronosticabile. Questa potrebbe essere improvvisamente la medaglia più facile e certa nei grandi contesti internazionali. E la Giorgi si butterà a capofitto su questo sogno non più miraggio. Daniele Poto SPIRIDON/3 fuori tema Il 28 gennaio 2004 l'ottantaseienne Artur Takac infilò gli sci ai piedi e si avventurò nel parco nazionale di Kopaonik. Da quel giorno, del dirigente serbo che per lunghi anni era stato trasversalmente, negli ambienti internazionali del Comitato olimpico, della Federazione di atletica e dell'Associazione delle Federazioni olimpiche estive, l'uomo più affidabile di volta in volta per Juan Antonio Samaranch e per Primo Nebiolo, si persero le tracce. Trascinato dal fiume Cavorovska, il corpo, o quel poco che restava, dell'uomo che era stato eccellente praticante di atletica, calcio, tennis, sci di fondo e hockey su ghiaccio, venne alla luce a chilometri di distanza diciassette mesi dopo. Era il giugno 2005. Tra gli elementi determinanti per il riconoscimento effettuato dal figlio Goran, il Rolex personalizzato regalatogli dal presidente del Cio. Al di là dei suoi rapporti con Nebiolo, Artur Takac era nome tutt'altro che sconosciuto per gli ambienti dell'atletica italiana. Ne aveva fatto parte, in qualche misura, negli anni complicati della seconda guerra mondiale, quando, sfuggendo all'internamento, con l'aiuto di Gianni Caldana era riparato tra le maglie milanesi della Pro Patria con un italianizzato Arturo Tacani e avventurose presenze su 800 regionali prima di passare le Alpi per la Svizzera e subito dopo fra i partigiani titini. Nell'anno di grazia 2018, per gli osservatori più attenti il nome di Takac è tornato d'attualità in occasione dell'evocazione dei Giochi di Città del Messico e in particolare della gara di salto in lungo: fu lui, delegato tecnico della Federazione internazionale, a battezzare, decretandone l'ufficialità dopo aver fatto ricorso alla provvidenziale fettuccia metrica sostitutiva di un insufficiente telemetro, l'8.90 di Bob Beamon. In curiosa coincidenza, è di questi giorni la notizia pervenutaci da un vecchio amico triestino coniugato con una signora serba e in visita occasionale al cimitero di Belgrado: la tomba di Artur Takac è nel famedio della capitale serba. L'attualità di queste notizie si intreccia con altri motivi di curiosità paradossalmente legati alle vicende dello sport nazionale. Si va dalle esilaranti dichiarazioni di un assessore comunale a nome Daniele Frongia – il quale, in combutta con l'insuperabile Virginia, dopo averne distrutto valori e identità costruiti in venti anni di incontestata supremazia nazionale, vuole fare di quella romana, testualmente, 'la più importante maratona d'Italia' – alla presa d'atto della singolare invenzione partorita agli alti livelli di palazzo Chigi di un Comitato abilitato alla 'promozione di eventi sportivi di rilevanza nazionale e internazionale'. Nomi nobili, sia chiaro, Sara Simeoni in testa e Dino Meneghin, e Klaus Dibiasi e Francesco Moser, Nino Benvenuti e Arrigo Sacchi e Eleonora Lo Bianco: tutti assieme coordinatori, senza indennità, del lavoro di altri enti ed istituzioni e addirittura sottoscrittori di rapporti annuali da inoltrare al Parlamento, con competenze che, dilatandosi 'alla pianificazione, alla preparazione e all'organizzazione degli eventi', più che definirne i limiti mostrano fatalmente, di quelle stesse competenze, la confusione. A proposito di competenze, venendo all'orto modesto della nostra atletica, non è passata inosservata l'intervista al ct Antonio La Torre pubblicata sul Corriere della Sera. Al di là di veniali bisticci semantici, laddove si parla di discipline in luogo di specialità, elencando gli atleti da tenere in punta di penna in vista dei prossimi appuntamenti è apparsa curiosa la dimenticanza, sia da parte dell'intervistatrice sia dell'intervistato, del nome di Antonella Palmisano. All'uomo di Sesto, e con lui alla disciplina, è d'obbligo augurare il migliore dei successi, convinti peraltro come siamo che se tutto nei prossimi diciotto mesi dovesse funzionare a livello tecnico, anche in presenza di cambi ai vertici federali non dovrebbe essere mutata una virgola per gli anni successivi. Ma non sarebbe male evitare enfasi del tipo 'sfida da far tremare i polsi' e 'notti trascorse nell'insonnia': in fondo, caro professore, l'atletica italiana non era in attesa di un intervento messianico, ma semplicemente di una persona capace di gestire con intelligenza l'attività di una piccola pattuglia di atleti e, con essa, il rapporto con gli allenatori. E le sue esperienze professionali dovrebbero consentirglielo. [email protected] SPIRIDON/4 Da sempre provo rabbioso disappunto nei confronti di quei giovani che, nella pratica sportiva così come in ogni campo della vita, non cercano di conoscere i trascorsi della loro attività: sarà infatti banale ricordarlo ma, senza conoscenza del passato, non c’è presente e soprattutto non c’è futuro. Per questo motivo hanno significato momenti particolari di celebrazione che non sono soltanto rimpatriate di vecchi amici ma aiutano a ripercorrere la storia. In questa chiave si può leggere l’appuntamento vissuto a fine novembre a Villar Dora, una manciata di chilometri da Torino, in cui – davanti ad una sala piacevolmente affollata – è stato presentato il docufilm “La vita è una maratona” con sottotitolo “La corsa, il mio modo di vivere”, che, con la regia di Luigi Cantore, documenta ampiamente la parabola sportiva di Maura Viceconte. Una sorta di regalo che la maratoneta valsusina, una delle atlete italiane che ha maggiormente contribuito a scrivere la storia al femminile di questa specialità, ha voluto farsi per i 50 anni compiuti nel 2017 e che sarà un importante testimonianza per il figlio Gabriele, oggi di 8 anni. La lavorazione è stata lunga, ma i risultati ottimi, con tante testimonianze nelle quali emerge come le eventuale rivalità sportive di un tempo con il passare degli anni abbiano lasciato spazio soltanto all’amicizia, nel reciproco rispetto di quelli che sono stati i risultati sportivi.
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