NUMERO 263 in edizione telematica 11 dicembre 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

Nel mistero del Natale c'è il modo scelto da Dio per rivelarsi nel suo Messia. Quasi volesse nascondersi nell' atto stesso in cui si manifestava personalmente e umanamente agli uomini, che attendevano la salvezza, Il Natale è la presenza di Dio nella storia. Anche quando pensiamo che taccia, Lui è Dio , vede e salva la nostra storia! Dio si avvicina alla nostra storia; approda nell' inattesa umiltà di Betlemme, si fa uomo entra nel nostro tortuoso mondo per portare speranza, e' la luce di Betlemme che noi attendiamo con gioia -Il Signore parla ai nostri cuori perchè si illuminino della luce del Natale.- Mistero di gioia e di grazia, Dio incontra l' umanità, la notte santa è il punto di calore tra Dio e gli uomini. Apriamo i nostri occhi allo stupore, e il nostro cuore al Suo calore. Santo Natale in Cristo e tanti auguri a tutti

don Gino

SPIRIDON/2

Parte bene la gestione La Torre

Come al solito è l’Italia che fatica di più (atletica pesante?) quella che regala le maggiori soddisfazioni al movimento in un momento di attività legata soprattutto a maratone e corsa campestre. Lo squillo più rilevante viene da una ragazza trentina di appena 18 anni che si è laureata campionessa europea di categoria nei prati bagnati e scivolosi di Tilburg, in Olanda. Il suo cognome riecheggia una carriera completata a metà. Quando era suo coetaneo (correva il 1993) Papà Giuliano sembrava predestinato a una brillante carriera. In realtà le punte di rendimento più felici da juniores anche se da senior in dieci anni continuativi ha saputo indossare la maglia azzurra 17 volte, mai però come vero protagonista. Nadia ha sangue buono perché è coperta anche dal punto di vista materno vantando la genitrice un personale di 2’01” sugli 800 metri. Tocchiamo ferro con questo giovane talento abituato a districarsi con successo nelle garette comunali con in palio un prosciutto come nel cross ma ancora tutta da scoprire in pista. La prudenza non è mai troppa ricordando impensabili sbocci giovanili poi non culminati in qualcosa di concreto come nel caso della Trabaldo o della Del Buono (ma non è detta l’ultima parola). Il buon sangue che non mente della Battocletti ha bisogno all’aperto di una precisa messa a fuoco tra i 1.500, 3.000 e 5.000. La propensione alla fatica e al sacrificio sembrano nella disponibilità della ragazza di Cavareno che dimostra ancora una volta come le motivazioni più forti crescano in provincia senza gli assilli e le complicazioni delle grandi città. Quello della Battocletti tra l’altro è stato il primo podio italiano individuale al femminile in 25 manifestazioni dell’evento. L’aspettiamo con curiosità a una grande stagione (tutta da scoprire) in pista, per valutare meglio il suo potenziale. Vista l’età i margini di miglioramento sono potenzialmente infiniti.

Nella stessa manifestazione ci ha dato soddisfazione un altro ragazzo, più grande, abituato anch’egli a misurarsi con la fatica e il sudore. Dopo un congruo periodo di carico nella sua Africa, Yeman Crippa ha intelligentemente scelto di misurarsi con i grandi, senza trincerarsi dietro lo scudo praticabile degli Under 23. Ed è stato protagonista in gara con una condotta coraggiosa. Infinitamente più apprezzabile il sesto posto di una medaglia tra gli Under, una categoria che ha poco ragione di essere (non parliamo degli Under 25…). Gli azzurri hanno fatto buona squadra completando la prestazione del collettivo con i discreti piazzamenti di Meucci (11esimo) e di Neka Crippa (20esimo), il fratello maggiore di Yeman. Se questi sono i primi risultati della stagione di La Torre un po’ d’ottimismo e d’uopo. E sul versante dei grandi faticatori applaudiamo anche alla decisione di riconvertire la pluri- squalificanda Giorgi nei 50 chilometri di marcia, una specialità in cui c’è molto da vincere e da migliorare. La ragazza potrò togliersi così l’assillo di quelle frequenze forsennate che le hanno rubato un pezzo di carriera. Vista la sua base di velocità una prestazione all’altezza delle migliori già all’esordio è facilmente pronosticabile. Questa potrebbe essere improvvisamente la medaglia più facile e certa nei grandi contesti internazionali. E la Giorgi si butterà a capofitto su questo sogno non più miraggio. Daniele Poto

SPIRIDON/3 fuori tema

Il 28 gennaio 2004 l'ottantaseienne Artur Takac infilò gli sci ai piedi e si avventurò nel parco nazionale di Kopaonik. Da quel giorno, del dirigente serbo che per lunghi anni era stato trasversalmente, negli ambienti internazionali del Comitato olimpico, della Federazione di atletica e dell'Associazione delle Federazioni olimpiche estive, l'uomo più affidabile di volta in volta per Juan Antonio Samaranch e per Primo Nebiolo, si persero le tracce. Trascinato dal fiume Cavorovska, il corpo, o quel poco che restava, dell'uomo che era stato eccellente praticante di atletica, calcio, tennis, sci di fondo e hockey su ghiaccio, venne alla luce a chilometri di distanza diciassette mesi dopo. Era il giugno 2005. Tra gli elementi determinanti per il riconoscimento effettuato dal figlio Goran, il Rolex personalizzato regalatogli dal presidente del Cio. Al di là dei suoi rapporti con Nebiolo, Artur Takac era nome tutt'altro che sconosciuto per gli ambienti dell'atletica italiana. Ne aveva fatto parte, in qualche misura, negli anni complicati della seconda guerra mondiale, quando, sfuggendo all'internamento, con l'aiuto di Gianni Caldana era riparato tra le maglie milanesi della Pro Patria con un italianizzato Arturo Tacani e avventurose presenze su 800 regionali prima di passare le Alpi per la Svizzera e subito dopo fra i partigiani titini. Nell'anno di grazia 2018, per gli osservatori più attenti il nome di Takac è tornato d'attualità in occasione dell'evocazione dei Giochi di Città del Messico e in particolare della gara di salto in lungo: fu lui, delegato tecnico della Federazione internazionale, a battezzare, decretandone l'ufficialità dopo aver fatto ricorso alla provvidenziale fettuccia metrica sostitutiva di un insufficiente telemetro, l'8.90 di Bob Beamon. In curiosa coincidenza, è di questi giorni la notizia pervenutaci da un vecchio amico triestino coniugato con una signora serba e in visita occasionale al cimitero di Belgrado: la tomba di Artur Takac è nel famedio della capitale serba. L'attualità di queste notizie si intreccia con altri motivi di curiosità paradossalmente legati alle vicende dello sport nazionale. Si va dalle esilaranti dichiarazioni di un assessore comunale a nome Daniele Frongia – il quale, in combutta con l'insuperabile Virginia, dopo averne distrutto valori e identità costruiti in venti anni di incontestata supremazia nazionale, vuole fare di quella romana, testualmente, 'la più importante maratona d'Italia' – alla presa d'atto della singolare invenzione partorita agli alti livelli di palazzo Chigi di un Comitato abilitato alla 'promozione di eventi sportivi di rilevanza nazionale e internazionale'. Nomi nobili, sia chiaro, Sara Simeoni in testa e Dino Meneghin, e Klaus Dibiasi e Francesco Moser, Nino Benvenuti e Arrigo Sacchi e Eleonora Lo Bianco: tutti assieme coordinatori, senza indennità, del lavoro di altri enti ed istituzioni e addirittura sottoscrittori di rapporti annuali da inoltrare al Parlamento, con competenze che, dilatandosi 'alla pianificazione, alla preparazione e all'organizzazione degli eventi', più che definirne i limiti mostrano fatalmente, di quelle stesse competenze, la confusione. A proposito di competenze, venendo all'orto modesto della nostra atletica, non è passata inosservata l'intervista al ct Antonio La Torre pubblicata sul Corriere della Sera. Al di là di veniali bisticci semantici, laddove si parla di discipline in luogo di specialità, elencando gli atleti da tenere in punta di penna in vista dei prossimi appuntamenti è apparsa curiosa la dimenticanza, sia da parte dell'intervistatrice sia dell'intervistato, del nome di Antonella Palmisano. All'uomo di Sesto, e con lui alla disciplina, è d'obbligo augurare il migliore dei successi, convinti peraltro come siamo che se tutto nei prossimi diciotto mesi dovesse funzionare a livello tecnico, anche in presenza di cambi ai vertici federali non dovrebbe essere mutata una virgola per gli anni successivi. Ma non sarebbe male evitare enfasi del tipo 'sfida da far tremare i polsi' e 'notti trascorse nell'insonnia': in fondo, caro professore, l'atletica italiana non era in attesa di un intervento messianico, ma semplicemente di una persona capace di gestire con intelligenza l'attività di una piccola pattuglia di atleti e, con essa, il rapporto con gli allenatori. E le sue esperienze professionali dovrebbero consentirglielo. [email protected]

SPIRIDON/4

Da sempre provo rabbioso disappunto nei confronti di quei giovani che, nella pratica sportiva così come in ogni campo della vita, non cercano di conoscere i trascorsi della loro attività: sarà infatti banale ricordarlo ma, senza conoscenza del passato, non c’è presente e soprattutto non c’è futuro. Per questo motivo hanno significato momenti particolari di celebrazione che non sono soltanto rimpatriate di vecchi amici ma aiutano a ripercorrere la storia. In questa chiave si può leggere l’appuntamento vissuto a fine novembre a Villar Dora, una manciata di chilometri da Torino, in cui – davanti ad una sala piacevolmente affollata – è stato presentato il docufilm “La vita è una maratona” con sottotitolo “La corsa, il mio modo di vivere”, che, con la regia di Luigi Cantore, documenta ampiamente la parabola sportiva di . Una sorta di regalo che la maratoneta valsusina, una delle atlete italiane che ha maggiormente contribuito a scrivere la storia al femminile di questa specialità, ha voluto farsi per i 50 anni compiuti nel 2017 e che sarà un importante testimonianza per il figlio Gabriele, oggi di 8 anni.

La lavorazione è stata lunga, ma i risultati ottimi, con tante testimonianze nelle quali emerge come le eventuale rivalità sportive di un tempo con il passare degli anni abbiano lasciato spazio soltanto all’amicizia, nel reciproco rispetto di quelli che sono stati i risultati sportivi.

Le immagini iniziali riguardano l’arrivo della Viceconte sul traguardo dei campionati europei di 1998, dove fu eccellente terza alle spalle della portoghese Machado e della russa Biktagirova, contribuendo in maniera determinante al secondo posto delle azzurre nella classifica a squadre. Il tutto in una rassegna in cui l’Italia ottenne un buon bottino di medaglie individuali (2 ori, 4 argenti e tre bronzi) ed in particolare in quel 23 agosto vide salire sul podio anche , argento nei tremila siepi, dopo che il giorno prima si era festeggiata una splendida tripletta nella maratona maschile grazie a Baldini, Goffi e Modica. Altri tempi: si vincevano medaglie, eppure non mancavano critiche alla gestione federale, che difettava in quanto a progetti concreti. Un po’ come oggi in cui di parole se ne fanno tante, ma poi la sostanza è quella che è, in attesa di promettenti nuove generazioni che paiono non maturare mai.

Torniamo alla serata di Villar Dora. Proprio Lambruschini è stato tra quanto hanno voluto rispondere all’invito della Viceconte, così come Luciano Gigliotti e Renato Canova, l’olimpionico , le colleghe e “rivali” , e , ed altre ex azzurre come e , nonché chi nel tempo ha allenato Maura e cioè Lino Cantore e Andrea Pelissier, oltre a Canova. Insomma un parterre degno per onorare una Campionessa che in questa celebrazione ha mostrato un volto differente, meno schivo di quando era protagonista e raggiungeva traguardi assoluti di grande significato, come un record della maratona (2h 23’47”) che ci sono voluti 12 anni prima che venisse migliorato e di soli tre secondi.

Luigi Cantore ha mostrato tutte le sue qualità di regista tracciando un racconto che è al tempo stesso esauriente e sobrio, proprio come Maura Viceconte. Poco meno di un’ora nella quale si alternano sullo schermo spezzoni di gare, fotografie e interviste, sempre molto concise, che rispecchiano e aiutano a conoscere al meglio l’atleta e la donna, con la determinazione che l’ha accompagnata in ogni momento e che – senza voler scoprire l’acqua calda – sta alla base dei successi di tutti i veri Campioni e che conferma quanto sia importante per le nuove leve conoscere il passato per costruire il loro futuro, come testimonia la Viceconte stessa: “Ora che il progetto è concluso, mi piacerebbe che questo racconto diventasse uno stimolo e una spinta per i giovani ad intraprendere la strada della corsa e dello sport in generale. Inoltre rappresenta anche un modo per ringraziare tutti coloro, e sono tanti, che mi hanno sostenuto negli anni d’oro della carriera sportiva”.

Il merito dei testi va a Remigio Picco, documentato conoscitore dell’atletica, che ha scritto con equilibrio e ricche citazioni anche le interviste, al termine della proiezione, ai campioni presenti. Insomma una serata alla quale ha fatto piacere partecipare e dalla quale forse a Roma si dovrebbe prendere spunto per non parlare sempre e solo di Mennea, quasi l’atletica italiana non abbia avuto altri Campioni altrettanto degni di essere ricordati.

Giorgio Barberis

SPIRIDON/5

, diario del tramonto dei Florio

Il nuovo libro di Salvatore Requirez, storico dalla prosa fluida, dissigilla il diario di Franca Florio, Stella d'Italia e Unica per D'Annunzio, per tutti la Regina. Requirez tratteggia dai fatti e dai documenti la personalità dei protagonisti di una storia da cui un regista del calibro di Luchino Visconti avrebbe tratto un gran film. La donna che solo a vederla incedere suscitava ammirazione e gelosia metteva l'amore sopra ogni cosa, l'amore per Ignazio Florio, un amore contrastato dall'opposizione paterna. Ignazio Florio apparteneva a una famiglia di imprenditori, icona mondiale la Targa Florio, le Flotte Riunite di Navigazione Florio, il Teatro Massimo, il giornale L'Ora e la Maratona di Palermo. Celebre nella produzione di vini e liquori, la famiglia Florio finanziò la pubblicazione di un quotidiano attraverso il quale la borghesia imprenditoriale dell'Isola potesse esprimere le proprie istanze verso il governo di Roma che trascurava il meridione. Il primo numero de L'Ora uscì il 22 aprile 1900, con il sottotitolo di Corriere politico quotidiano della Sicilia. Il 23 maggio del 1909, al Parco della Favorita, la Maratona di Palermo, seconda in Italia dopo la Maratona di Torino. Nella cronaca dell'Ora, la descrizione dei 28 giri del circuito di 1500 metri, una dozzina di iscritti, 4 ore il tempo massimo, vittoria di Giovanni Blanchet, attesa, nel tempo di 3 ore. Il cronista non dà risalto al terzo posto di Ferdinando Bovo, dieci anni d'età, premiato con due anfore. Sono enumerati i notabili in tribuna, in primis il Cavaliere Vincenzo Florio, con Franca nello splendore dei 36 anni.

Ventenne, smanioso di conquiste e aitante sportivo, Ignazio corteggia Franca sedicenne, che si schermisce, ma l'amore sboccia. Il padre di Franca, per porre un argine, trasferisce la famiglia a Livorno. La lontananza è come il vento turbinoso, e Franca e Ignazio si sposano. Il giovane marito, che ha progetti ambiziosi di sviluppo industriale, non riesce a sganciarsi dalla dolce vita: donne di piacere, viaggi a Parigi, la Bella Otero nel 1908 a Palermo. Tante sono le pagine sofferte del diario, le stilettate allusive delle amiche. Gli occhi di Franca vedono, il cuore palpita di amarezza, ma la scrittura è sobria. Amava, come la nobiltà e la borghesia, l'opera lirica, visitando in Toscana l'amico Giacomo Puccini e avendo tra le conoscenze un corteggiatore d'eccezione, Enrico Caruso. L'attenzione per il Vate, poeta eroe immaginifico, deliziandosi per sue poesie e giustificando il suo pansessualismo e la sua sete di femmine in contemporanea: dopo la palermitana Maria Gravina di Cruyllas, frutto la figlia prediletta Renata che lo assisteva nella terminale cecità, Eleonora Duse e Franca Florio.

Mentre gli imprenditori Florio sono in crisi di liquidità, irrompe il Duce. Mussolini garantì i Florio per la liquidità dalle Banche. 10 ottobre 1938: le leggi razziali, "...Dio ci salvi dalla cecità che avvolge ogni cosa...", la solidarietà agli ebrei e ai più cari amici estromessi e perseguitati. 28 luglio 1939: "...L'IRI acquista la finanziaria dei Florio... per Ignazio è come un funerale...". Poi, la guerra divampa, bombe in Sicilia, avvento delle forze americane, caduta del regime. 25 luglio 1943: "la guerra è finita, non sappiamo che cosa accadrà...". Il 24 marzo 1944: via Rasella, l'attentato ai soldati tedeschi nei pressi dell'abitazione romana dei Florio, il boato, la ritorsione orrenda. Franca Florio annota anche lo scempio dei cadaveri di Mussolini e Claretta a Piazzale Loreto.

Negli anni a seguire aumentano i nipoti e le nipoti, che la confortano di affetto. Franca e Ignazio abitano a Migliarino Pisano, dove arriva in visita una signora palermitana, che la riverisce come Regina e le chiede: quando tornerà a Palermo? Donna Franca scrive: "Non ci penso proprio di tornare, ho vissuto in una Reggia, trattata come e meglio di una sovrana, ho riempito i salotti dello sfavillio dei miei racconti, dei successi raccolti in nome del nostro Paese, in giro nell'Europa, ho servito fedelmente le Altezze Reali, e rappresentato la mia città accogliendo a mie spese Principi, Imperatori di ogni nazione. Ho donato tutti miei mobili agli Istituti di Carità e assistenza. Ho regalato doti e corredo a giovinette povere per le loro nozze. Ho favorito il lavoro di moltissime persone, ho sfamato intere famiglie indigenti, curato le ferite di centinaia di malati in ospedale. In cambio, ho ricevuto invidia, pettegolezzi sull'infedeltà vera e presunta di mio marito, accuse di trascurare i miei figli. Maldicenze del mio vizio del gioco ... Degli astiosi che mi hanno additata come spia dei tedeschi! Io, cara signora, a Palermo non metterò più piede. Ci tornerò quando Dio vorrà, da morta".

La vita della Regina volge al termine. Cade, si frattura la gamba, la degenza, Ignazio che non sopporta di vederla in quelle condizioni e decide di partire. Il suggello di questo amore tormentato: "Andrei con lui anche solo per sentire una volta le parole: le presento mia moglie. La mia scelta di vita, mille storie e cento bugie ... le gioie ricevute, le ho scontate come fossero peccati, mi resta il rimpianto, il mio fedele compagno degli ultimi trenta anni. Ho anche sbagliato, forse spesso, ho creduto nell'incredibile. Chi si ricorderà di me?". Franca Florio, Mito della leggiadria, dell'eleganza, della fedeltà e della generosità, morrà il 19 agosto 1950. Grazie a Salvatore Requirez torna ancora una volta in vita. Pino Clemente

SPIRIDON//6

Da Atletica, quindicinale della Fidal – Anno XVIII – 1952 –

- Al CUS di Roma i Campionati Universitari. 100. Vittori (Roma) 11.2 – 200. Vittori (Roma) 23.1 - … 4x100. Milano (Merinenghi-Ardizzone- Corato-Gabassi) 44.5 – 4x400. Roma (Lorenzini-Petretti-Matteoli- Tarabella) 3.31.2. Classifica per Cus: Roma punti 205 – Torino 201 – Milano 176 – Pisa 151 – Firenze 143 – Pavia 98 – Messina 91…

- Comunicato 67 dell'11 giugno. La Presidenza federale ha omologato i risultati e i punteggi del Campionato di Società maschile disputato nelle sedi di Milano, Bologna e Roma il 7 e 8 giugno. Classifica finale: 1.Gallaratese. 2.Pirelli. 3.Assi Giglio Rosso. 4.Fiamme Gialle Roma. 5.ATA Battisti. 6.Etruria Prato. 7.Virtus Bologna. 8.Lancia Torino… Salto in lungo, sede di Bologna. 1.Contin 6.77. 2.Tosi 6.66. 3.Bertossi 6.59. 4.Gherci 6.56. 5.Ardizzone 6.53. 6.Canattieri 6.52. 7.Magno 6.40. 8.Nebiolo 6.38… 10 km marcia, sede di Milano. 1.Dordoni 46.59.4. 2.Valtorta 48.56.6. 3. Corsaro 49.03.2… Dal commento di Pasquale Stassano: Corsaro, a corto di allenamento per una noiosa malattia, dovrà confermare nell'incontro di Basilea di essere di nuovo in condizioni tali da poter giustificare le speranze di ritrovarlo in Finlandia…

- Roma, 7 luglio. Il Presidente del Coni agli "Azzurri" di : <>.

- Dal numero del 31 luglio: Crollo di primati e progresso generale quasi ovunque. Un nuovo periodo dell'atletismo mondiale è iniziato alla XV Olimpiade di Helsinki. Dal commento di Alfredo Berra: … dal livello già notevolissimo della manifestazione hanno trovato modo di determinarsi con grande spicco gesta di cosiddetti fenomeni primo fra i quali Emil Zatopek… Crediamo di essere nel vero indicando all'ammirazione di tutti, subito dopo Zatopek, il quartetto dei negri giamaicani…

- Nella riunione post-olimpica di Turku, ove Consolini si è segnalato con un ottimo 53.34 nel lancio del disco, il finlandese Toivo Hyytiainen ha lanciato il giavellotto a m. 75.92, migliore prestazione mondiale dell'annata. Dal Notiziario estero di R.L. Quercetani.

- Giavellotti in duralluminio. La Fidal dispone di un numero limitato di giavellotti regolamentari, maschili e femminili, in duralluminio. Le Società che desiderano acquistarli possono richiederli alla Fidal (Stadio Nazionale, Roma) dietro pagamento di lire 6.000 ciascuno, imballo e spedizione compresi.

- Atletica a Scuola, di G. Brera e G.M. Dossena, è in vendita presso la SESS, via Galilei 7, Milano, al prezzo di lire 450.

- Dal numero del 2 ottobre. L'Associazione Gruppo Amici di Emilio Colombo, seguendo la tradizione di onorare – nel nome del grande giornalista sportivo – gli atleti più meritevoli dello Sport italiano, ha voluto premiare, quest'anno, Giuseppe Dordoni, campione olimpionico dei 50 km di marcia. La medaglia d'oro è stata consegnata dal Presidente Pisani alla presenza di tutte le Autorità sportive di Milano. Oratore ufficiale della cerimonia è stato Ferdinando Altimani, uno dei più grandi marciatori italiani di tutti i tempi.

- Comunicato del 10 dicembre. Si comunica a tutti gli interessati che dal giorno 25 novembre 1952 la Federazione ha trasferito i propri uffici al Foro Italico-Roma, telefoni 393841-393842-393843-393844-393845.

- Quadri federali del 1952. Atleti tesserati. Piemonte 845, Lombardia 1.039, Veneto 637, Ven. Tridentina 249, Venezia Giulia 470, Liguria 605, Emilia 854, Toscana 860, Marche 665, Umbria 120, Lazio 848, Abruzzo 347, Campania 437, Puglia 593, Lucania 180, Calabria 268, Sicilia 968, Sardegna 397. Tecnici inquadrati. Piemonte 16, Lombardia 16, Veneto 5, Ven. Tridentina 4, Ven. Giulia 6, Liguria 6, Emilia 15, Toscana 6, Umbria 3, Marche 7, Lazio 11, Campania 4, Abruzzo 3, Puglia 4, Lucania 0, Calabria 2, Sicilia 3, Sardegna 3.

- Gran Premio dei giovani. Finale nazionale di pentathlon. Valerio Colatore (Gallaratese) punti 2888, Sergio D'Asnach (Riccardi) 2866, Enrico Spinozzi (Uisp Roma) 2765, Olindo Simionato (La Fenice) 2620, Mario Mondini (Lib. Bracciano) 2554, Lucio Sarti (Lib. Fabriano) 2484, Angelo Mereu (Ostia Mare) 2428, Fabio Mammi (Lib. La Spezia) 2349, Paolo Bullitta (Lib. Sassari) 2331, Roberto Martori (Cus Catania) 2307, Enrico Bianchini (Lib. Torino) 2289, Enrico Dal Pozzo (Virtus Bologna) 2242.

SPIRIDON/7

Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

Allora Maigret fece qualcosa che avrebbe potuto costargli caro. Perché non aveva niente da guadagnare, e semmai tutto da perdere, a misurarsi con un avversario potente e scaltro come Mascoulin. Quello, in piedi, gli stava tendendo la mano. In un lampo il commissario si ricordò di Point e della storia delle mani sporche. Non stette a considerare i pro e i contro, prese la tazza del caffè ormai vuota e se la portò alle labbra, ignorando la mano che gli veniva offerta. Lo sguardo del deputato si incupì e il fremito all'angolo della bocca, lungi dall'attenuarsi, si accentuò. Disse soltanto: <>. Aveva intenzionalmente calcato sul <>, come parve al commissario? Se sì, era una minaccia appena camuffata, perché significava che Maigret non si sarebbe fregiato ancora a lungo del titolo di commissario. Seguì con lo sguardo Mascoulin che ritornava al suo tavolo e sussurrava qualcosa agli altri commensali. Poi, sovrappensiero, chiamò il cameriere: <>. Da Maigret chez le ministre, di Georges Simenon (Liegi 1903-Losanna 1989), A Chorion Company 1954, Connecticut.

Al secondo piano, una delle quattro porte si aprì mentre Rogas usciva dall'ascensore. Un cameriere in giacca di rigatino, certo un agente di polizia (o un ex agente, per l'età che dimostrava), silenziosamente lo introdusse in uno studio spazioso e ordinato. In fondo, in una poltrona d'angolo, dietro un'azzurrina nebbia di fumo, stava il presidente. Disse <> e quando Rogas gli fu vicino, indicando una poltrona <>. Rogas salutò, sedette. Il presidente lo sogguardò, al disopra delle lenti, pungente e astioso. Due volte tirò dal sigaro, sbuffando il fumo verso una striscia di sole che lo dispiegava come un velo. Poi lentamente, con disprezzo, invulnerabile e immortale di fronte al piccolo, vulnerabile e mortale filisteo, disse <>, <>. <>. E pronunziò errore giudiziario facendo stridere, come di lama sulla pietra dell'arrotino, con scintille di sdegno, le sillabe. Da Il contesto, di Leonardo Sciascia (Racalmuto 1921-Palermo 1989), Adelphi, Milano, 1994.

Il 23 agosto 1939 fu il giorno in cui due dittatori conclusero un accordo che comprendeva una clausola segreta in virtù della quale si spartirono stati confinanti dotati di capitali, di governi, di parlamenti. Quel patto non solo scatenò un'orribile guerra, ma reinstaurò un principio coloniale che considerava le nazioni alla stregua di mandrie di bestiame… I crimini contro i diritti umani, mai confessati e mai denunciati, sono un veleno… Antologie di poesia polacca raccolgono opere dei miei amici scomparsi Wladisaw Sebyla e Lech Piwowar, e portano la data della loro morte: 1940. Condivisero la morte di migliaia di ufficiali polacchi disarmati e internati nei campi da quelli che allora erano complici di Hitler… Non dovrebbero, le giovani generazioni dell'Occidente, quando studiano la storia, apprendere delle duecentomila persone uccise nel 1944 a Varsavia, una città condannata all'annientamento da quei due complici? Dal discorso di Czeslaw Milosz, premio Nobel della letteratura, Stoccolma, 8 dicembre 1980.

Scrivere di Pelé vuol dire tuffarsi in un arcipelago, un universo qualitativamente gentile e quantitativamente sterminato, immergendosi materialmente e metaforicamente in un altro continente dove vige un diverso concetto di vita e di calcio. Vuol dire non archiviarlo nella storia visto che è vivo e vegeto, oltre che presente nel dibattito contemporaneo anche grazie all'uso massivo dei social network. Protagonista di una storia infinita, coerente e, a volte, contraddittoria. Perché Pelé è contemporaneamente un ex campione e un uomo a cavallo tra due secoli, ma anche un brand spendibile in tutti i Paesi del mondo con il logo di una maglietta numero dieci il cui fascino non tramonta mai, a dispetto degli anni ormai lontani delle sue imprese sui campi di calcio… Da Pelé, la perla nera, di Daniele Poto (Roma 1954), Giulio Perrone Editore, Roma, 2018.

Fu nell'estate del 1929 che, oltre ripetere molte vie note delle Dolomiti, alcune nuove ne aprii con i miei amici triestini, il canalone ghiacciato del Sorapiss, la parete sud-ovest del Piz Popena, la parete nord-ovest del Dito di Dio… La più importante, per la sua grandiosità e per le difficoltà incontrate, fu quella della parete sud-ovest della Sorella di Mezzo, nel gruppo del Sorapiss. La parete, alta oltre 500 metri, fu conquistata dopo nove ore di durissimo lavoro. La discesa venne compiuta per la parete della Prima Sorella, e fu non meno lunga e pericolosa della salita, tanto che dovemmo trascorrere la notte in un bivacco ben poco tranquillizzante. Mio compagno di cordata fu ancora Giordano Bruno Fabjan. Da Alpinismo eroico, di Emilio Comici (Trieste 1901-Selva di Val Gardena 1940), Vivalda editore, Torino 1998.

SPIRIDON/8

«Don Bosco è e sarà sempre il mio protettore»

Umberto Caligaris (Casale Monferrato, 26 luglio 1901 – Torino, 19 ottobre 1940) legò l’attività calcistica a due sole squadre: Casale e Juventus; vincitore di cinque scudetti negli otto anni con i bianconeri formando, assieme al portiere Gianpiero Combi ed al terzino Virginio Rosetta, una proverbiale linea difensiva. Convocato appena ventenne in Nazionale (esordio il 15 gennaio 1922 nel pareggio 3-3 con l’Austria, al fianco di ), partecipa ai Giochi di Parigi 1924 e Amsterdam 1928, vincendo in Olanda la medaglia di bronzo. Convocato da per il Mondiale del 1934, non viene mai schierato. Rimane a lungo detentore del record di presenze (59), che solo nel 1971 riuscirà a superare. Tra l’altro, Caligaris è stato il primo calciatore italiano a sbagliare un rigore in Nazionale (Civica Arena di Milano – domenica 9 maggio 1926 - Italia-Svizzera 3-2 - amichevole - Caligaris al 60’). La Rivista Voci Fraterne della Federazione Italiana Ex Allievi di Don Bosco, nel gennaio 1941 (pag. 13) pubblica uno stralcio dal giornale Italia a firma del salesiano don Cojazzi.

«Così era veduto e così era chiamato quell’Umberto Caligaris che il diciannove del corrente ottobre fu colto da fulmineo mortale malore nel campo di Torino, scarponi ai piedi, maglione sul petto a fianco di Rosetta e Combi con cui faceva il celebre trio della Juve. Ho letto molte necrologie che i quotidiani gli dedicarono, perché a me anziano la sua figura fu sempre simpatica nei pochi tornei a cui assistetti con i giovani di questo Liceo Valsalice. Simpatica, perché, a parte le sue moltissime vittorie, aveva un fare e un lavorare che lo differenziava dagli altri: ci metteva passione. Quel fazzoletto bianco, poi, era un poco come il suo cimiero spirituale, un simbolo religioso. Sicuro, religioso e di una religiosità cristiana, cattolica, romana. Di essa nelle necrologie non ho veduto cenno: è deplorevole. So, infatti, quanto la religione contribuì a fare di lui lo sportivo classico, per impegno e per ardore, per generosità e per simpaticissimo affiatamento con tutti. Due miei amici mi narrano d’un colloquio che ebbero con lui nell’aprile 1931 a Torino, in casa sua. Saputo che i due Sacerdoti erano salesiani, con volto luminoso si dilungò a parlare della sua Casale e dell’Oratorio del Valentino, dove aveva appreso le prime nozioni teorico-pratiche di ginnastica. In quel cortile aveva “calciato” le prime volte fino a che fondò una “sua” squadra che in parte fu poi assorbita dalla Juventus. Ai due parlò anche dei suoi direttori di allora: don Emanuele (ora Vescovo di Castellammare di Stabia) e don Ferzero, e mostrò una medaglia di Maria, regalo di sua madre, che egli portava cucita nell’interno della giacca. Si disse allora profondamente credente e praticante, non solo in Torino, ma dovunque si recasse per i suoi cinquantanove trofei calcistici. A proposito di ciò, ricevo due sue lettere autografe, che confermano questo suo spirito cristiano. La prima mi arriva da Roma e fu scritta nove giorni prima della morte: un testamento. “Torino, 10-10-40 – XVIII La vostra lettera mi ha commosso per il vostro costante ricordo. Vi ringrazio per le vostre congratulazioni che ho trasmesso a tutti i giuocatori. Credo inutile dirvi che dove sono io presente si opera e si lavora sempre secondo le leggi della religione cristiana. Don Bosco è e sarà sempre il protettore della mia famiglia e della mia squadra, perché nulla tralascio per conservarla tale. Vi prometto che alla prima venuta a Roma passerò da voi possibilmente con tutta la squadra. Contraccambio cordiali saluti. Caligaris Umberto”. Dov’era Galiga, dunque, si operava e si lavorava sempre secondo le leggi della religione cristiana. Sono parole che potrebbero figurare sopra la sua tomba di Casale, dove la salma è ritornata, dopo il trionfale e religioso funerale di Torino. Salma che si era sbattuta e battuta non solo contro avversari, ma anche contro la malattia che lo colpì proprio nel mese di ottobre del 1937. Ci fu allora un plebiscito di auguri; ma nessuno d’essi discese profondo e commovente come quello d’un gruppo di giovani rurali della colonia agricola salesiana di Canelli. Anche di questo intimo particolare tengo sott’occhio un documento autentico. “Casale, 22-10-37 Carissimi, vi ringrazio di cuore di aver pensato a me durante la Santa Comunione e di aver rivolto le vostre preghiere al Buon Dio perché volesse proteggermi e farmi superare la grave malattia. Anch’io ho pregato tanto e Gesù si è degnato ascoltarmi. Oggi sono quasi completamente ristabilito e presto potrò riprendere il mio lavoro... Vi saluto tutti con affetto. Caligaris Umberto”.

Il 19 ottobre 1940 Caligaris scende in campo in una gara tra vecchie glorie bianconere, insieme ai vecchi compagni di reparto Combi e Rosetta, ma dopo pochi minuti di gioco è costretto a lasciare il campo. Portato in ospedale, viene stroncato da un aneurisma. Il commissario tecnico della Nazionale, Vittorio Pozzo, gli dedica sulla Stampa un articolo commemorativo dal titolo “Un gladiatore”. Pierluigi Lazzarini Ex Allievo e Storico di Don Bosco

SPIRIDON/ 9

, un successo italiano

Fabio Caporali, con un gesto di fair play, “consegna” la vittoria all’atleta di casa Orlando Silva Tavares. Fra le donne si è imposta la Rivella 150 chilometri di sudore e adrenalina per la Boa Vista Ultra , la corsa sull’isola di Capo Verde,arrivata alla diciotessima edizione ha visto il successo del concorrente locale Orlando Silva Tavares sull’italiano Fabio Caporali. Sesta assoluta e vincitrice della prova femminile Alice Modignani Fasoli. Vittoria del friulano Ivan Zufferli e della ligure, trapiantata capoverdiana, Romina Rivella nella gara Salt Marathon di 75 chilometri. Spiaggia e mare, ma anche deserto, natura incontaminata, cieli stellati e caldo, tanto caldo. Così si può descrivere la diciottesima edizione della Boa Vista Ultra Trail andata in scena tra l’1 e il 2 dicembre nell’omonima isola dell’arcipelago di Capo Verde. La prova Ultra Marathon di 150 chilometri ha visto la vittoria con un tempo di 21:57’32” del capoverdiano Orlando Silva Tavares. L’atleta locale dopo avere percorso gran parte del tratto finale di gara fianco a fianco di Fabio Caporali, ha attraversato il traguardo pochi secondi prima dell’italiano, grazie ad un gesto generoso di Fabio che gli ha voluto regalare l’onore della vittoria. Il runner ferrarese, felice di aver portato a termine la gara con un ottimo piazzamento, ma soprattutto guadagnandosi un nuovo amico, ha bloccato il cronometro su 21:57’33”. Terzo classificato il veneto Corrado Buzzolan giunto al traguardo in 23:46’29”. In campo femminile trionfo della nostra Romina Rivella, con il tempo di 13:57’32”. La Boa Vista Ultra Trail proponeva anche un tracciato alternativo anche un’alternativa più breve, ma non per questo meno tecnica o affascina sui 75 chilometri da portare a termine entro 16 ore dalla partenza..

E pure qui gl’italiani non hanno perso l’occasione di mettersi in vista: primo classificato è stato infatti Ivan Zufferli che ha concluso in 7.42.32. ”. Sul secondo e il terzo gradino del podio sono andati rispettivamente due capoverdiani Luis Carlos Ribeiro Rodrigues, che ha fermato il cronometro su 9:11’15” e Antonio Cabral Gomes, giunto al traguardo in 9:17’45”. (M. Marianovich)

“Spiridon Italia» continua la tradizione di «Spiridon», che considero la più intelligente pubblicazione sul mondo della corsa, allora nascente , partorita, nel 1972, da una idea di due svizzeri, Noël Tamini e Yves Jeannotat. Si parlava davvero di corsa, della sua filosofia, dei piccoli e grandi eventi, della storia del podismo, con una ricchezza di informazioni che non ho mai più ritrovato. Non era una giornale-bottega di scarpe e di magliette, di sospensori e diete più o meno fantasiose, come le pubblicazioni che sono venute dopo, business e poco altro. Esiste uno «Spiridon» anche il Germania, fondato dal maratoneta (due edizioni dei Giochi Olimpici, 1968 e 1972) Manfred Steffny. Quella italiana ha un «taglio» diverso, non molta corsa, ma molta «politica sportiva», con le istituzioni (Federatletica, Comitato Olimpico) spesso e volentieri sulla graticola”.

-- Questo è per noi il più bel regalo natalizio che abbiamo ricevuto; è un passaggio dell’articolo con il quale un importante giornalista, grande esperto ed innamorato di atletica ha ricordato non solo un tratto della storia di Spiridon ma soprattutto la serietà “ideologica” del nostro periodico apprezzando l’impegno profuso da tutti noi spiridoniani di ferro per mandarlo avanti. Spesso con fatica ma sempre con entusiasmo. Buon Natale e buon anno nuovo a tutti !

SPIRIDON/10

le corse che più ci piacciono

Paolo Zanatta e Giovanna Ricotta trionfano a Vidor vincendo La “IX Prosecco Run”, con il crono rispettivamente di 1h09’36’’ e di 1h24’30’’ sui 21 km. del simpatico tracciato. Un riscontro cronometrico certamente non esaltante per una gara normale ma aderente alla realtà d’una corsa eccezionale come questa tutta fra vigneti, campagne impareggiabilmente belle e cantine da mozzare il fiato allo stesso Bacco. Sul secondo gradino del podio,rispettivamente il trevigiano Simone Gobbo e la trentina Lorenza Beatrici, sul terzo l’emiliano Rudy Magagnoli e la trevigiana Silvia Serafini . Ma la “Prosecco Run” è stata soprattutto una festa per gli oltre tremila concorrenti divisi tra la gara Fidal di 21,097 km, la “Prosecchina Fiasp” di 10 km. attraverso le diciassette cantine del consorzio “Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg”

tra Vidor, Mosnigo, Colbertaldo, Valdobbiadene e San Giovanni. Protagonisti non solo gli agonisti, ma anche amici e compagni di gare e di uscite conviviali, amanti del buon vivere, del sano movimento, del buon cibo e del miglior vino e speriamo anche delle … belle donne e dei bei ragazzi. Molti sono arrivati anche dall’estero.

Epilogo della storia della “manina”: la Lega ha rinunciato al condono per i capitali riciclati all’estero, e in cambio il M5S ha ritirato gli emendamenti sulla legittima difesa, che andrà all’approvazione in Senato nella sua versione più dura. Dura per i banditi. Finalmente. Basta con il buonismo garantista, per il quale il cittadino che si difende a mano armata è sempre punito e il rapinatore tutelato. Solo il mese scorso a Lanciano una banda di cinque rumeni ha massacrato due anziani coniugi nella loro villa, mozzando addirittura un orecchio alla donna. Ormai è routine. Per ogni gang dedita alle “rapine in villa” presa dalle forze dell’ordine ne nascono altre due. La facilità (quasi l’impunità) con cui riescono ad operare qui, grazie alle nostre leggi garantiste, i nostri giudici progressisti e le nostre polizie frustrate, li calamita. Arrivano a frotte, chiamano i complici, sfoggiano il bottino ai compatrioti che lavorano, inducendoli in tentazione. Da loro c’è ben poco da rubare. A parità di rischio e di fatica, qui trovano invece bottini favolosi. Coi 2mila euro rapinati a Lanciano ci vivi un anno, in Bulgaria. Da sempre i predatori lasciano i territori di caccia poveri per quelli ricchi. Eccoli quindi, i banditi dell’est (zingari compresi, che vengono di là) aggirarsi nelle nostre campagne come lupi famelici, senza temere antifurti, luci, telefoni o cani. Senza neppure la pazienza dei veri ladri, che sanno dove cercare e trovare. Sfondano, legano, picchiano, arraffano e spariscono. Ti va già di lusso se non t’ammazzano. Adesso, con la nuova legge, una pallottola la rischiano, e chi gliela tira non rischia (speriamo, ma con la giustizia che ci ritroviamo…). Un altro punto a favore di Salvini. [email protected]

Durante un tentativo di rapina armata un salumiere cinquantenne reagisce ma muore per malore nel corso della colluttazione. E’ stata la sua fortuna perché così ha evitato di esser indagato e magari finire in galera se avesse malauguratamente malmenato l’aggressore.

SPIRIDON/11

Nonostante l’inclemenza del tempo sono stati 434 gli atleti che hanno tagliato il traguardo della terza prova della coppa Ticino di cross FTAL Laube Greenkey organizzata dall’USC Capriaschese con il sostegno di “Consulca e Raiffeisen Cassaarate”. I padroni di casa hanno vissuto una giornata indimenticabile con oltre 100 atleti al traguardo, 4 vittorie e nove podi. Sul circuito disegnato nel suggestivo anfiteatro del frutteto Nava a festeggiare pure la SAL Lugano con due vittorie di prestigio. Due successi anche per la Vigor che ha ottenuto anche una tripletta come la TriUnion. Nella gara maschile sui 7.5km prima vittoria nei cross per Hassan Elazzaoui Elhousine (USC) che ha forzato il ritmo nel corso del terzo giro staccando Lukas Oehen (FGM). Terzo Roberto Delorenzi (USC) che ha poi vinto in chiusura il cross corto. Sui 3 km Nella volata tutta SAL per il secondo posto Tommaso Marani ha preceduto Marco Engeler. SAL sugli scudi anche Sui 6km degli U20 con Ismail Sebgatullah che firma la tripletta su Enea Ratti (GAD) e Andrea Alagona. Nella categoria U18M in gara sui 4.5 km Daniele Romelli (Vigor) firma la tripletta all’ulitmo giro Tommaso Besomi (USC) beffa Giona Lazzeri (GAD). Tra le ragazze sui 3 km Cecilia Ferrazzini (Virtus) si prende il primo successo stagionale davanti al duo di casa Matilde Stampanoni e Giorgia Merlani. Sulla stessa distanza erano impegnate le categorie U16 che hanno visto due triplette. Tra le ragazze torna alla ribalta la Vigor con Giulia Salvadé davanti alla sorella Sara e a Margherita Croci Torti. Tra i ragazzi sono i triathleti della Triunion a festeggiare con Pietro Ghielmetti, Tristan Knupfer e Lucio Cattaneo. Nelle categorie masters impresa di Jonathan Stampanoni nel cross di casa termina imbattuto il decennio nella categoria M40. Tra le donne Manuela Falconi (SFG Biasca) è intrattabile dietro tre atlete racchiuse in pochi secondi Jeannette Bragagnolo (GAB), la biker Sofia Pezzati e Simona Lazzeri. Tra le cinquantenni vince l’orientista Graziella Quadri (ASCO), Enrico Cavadini (RCB) domina tra gli uomini bel duello tra Ralf Mureddu (USC) e Davide Gambonini (USC). Gaetano Genovese(RCB) è intrattabile tra gli M60. Nella domenica dei campionati europei con le donne svizzere a brillare con il doppio argento di Fabienne Schlumpf e Delia Sclabas ed i quarto posto di Chiara Scherrer a Tillburg. In Capriasca sui 4.5 km di gara Evelyne Dietschi (SAL), al via agli europei di specialità in due occasioni, ha colto una chiara vittoria precedendo l’atleta di casa Flavie Roncoroni e Stefania Barloggio quarta Paola Stampanoni (GAB) Nelle U20 Doppietta USC vince Rachele Botti su Elisa Bertozzi che nel corso dell’ultimo giro ha passato la leader di coppa Chiara Ghielmini (Vigor).

E’ di sabato scorso l’immagine, quando diverse strade principali di Parigi sono state bandite alla circolazione d’ogni tipo a causa della manifestazione dei “gilets jaunes”, i giubbotti gialli. E se tutti i parigini non hanno apprezzano questi vincoli, altri hanno deciso di approfittarne ... come quei podisti che hanno colto l'occasione per fare la loro piccola corsa mattutina.Come ci documenta BFM.TV attraverso le immagini dei Champs-Élysées, per lo più occupati da “giubbotti gialli”, agenti di polizia e CRS (Compagnie repubblicane di sicurezza),dove un jogger, o una jogger, dopo aver facilmente attraversato, forse grazie alla segnaletica “coureurs sur route” inventata dall’assessore di Castelnuovo, ex quattrocentista doc Furio Fusi i cordoni di sicurezza installati dalla polizia.

a margine di un convegno sulle Olimpiadi di Amsterdam novant’anni dopo

Le Olimpiadi di Amsterdam 1028 furono determinanti nell’affermazione internazionale del movimento olimpico moderno: un periodo di storia, quello tra i due conflitti mondiali, ricco di avvenimenti che hanno caratterizzato l’intero Novecento fino alla contemporaneità. Ovvero l’argomento trattato nel corso del convegno di studi “Amsterdam 1928: la svolta del movimento olimpico” svoltosi a palazzo del Pegaso della Regione Toscana organizzato dal Centro studi educazione fisica e sportiva di Firenze in collaborazione con la Società italiana di storia dello sport e dal Centro studi ASSI Giglio Rosso. Il convegno ha ottenuto un meritato successo di pubblico e di critica. Numerosi gl’interventi fra i quali ci piace segnalare quello di Fra i diversi interventi ci piace segnalare quello sui “I Giochi Olimpici del 1928: scenario storico e politico in Europa, evoluzione del CIO” e soprattutto quello su “La medaglia ‘Cassioli’ esempio di affermazione culturale”. Già perché Franco Cervellati con la sua dotta prolusione ci ha ricordato ed a molti ha fatto scoprire la figura e la personalità di un artista toscano che nella storia delle Olimpiade moderna ha lasciato nel tempo una traccia lunghissima e cioè quella della medaglia da lui coniata per le Olimpiadi di Amsterdam del ’28 e che è rimasta il simbolo ufficiale dei Giochi sino a quelli di Sidney. Un record. Fu infatti il pittore Giuseppe Cassioli (Firenze 1865 – – 1942) artista fiorentino con origini senesi a disegnare nel 1927 la medaglia vincitrice del Concorso Internazionale indetto dal CIO per le premiazioni delle Olimpiadi di Amsterdam 1928. Un modello, risultato vincitore su oltre 50 bozzetti presentati da artisti di tutto il mondo, che è rimasto in uso fino a Sidney 2000.

SPIRIDON/12 il racconto del mese

Non ci credevo, eppure ero proprio lì… In quell’appartamento, con quella donna. Rimasi immobile per un paio di secondi, indeciso sul da farsi. Poi riacquistai un certo raziocinio, sufficiente da farmi considerare a mente fredda la situazione. In realtà non era successo niente, mi dissi, al massimo si trattava di violazione di domicilio da parte di un minorenne fuori di testa. Guardai un’ultima volta quella megera prima di darmela a gambe, la lezione poteva bastare. Scesi di corsa le scale senza chiudere la porta e appena fui all’esterno mi accorsi della pioggia. Dopo un breve tragitto, quelle quattro gocce si tramutarono in uno scroscio. Calzai il cappuccio del giubbotto e mi allontanai correndo. Non era cominciato tutto con l’ultima interrogazione, la penosa situazione si trascinava da tempo e quell’episodio aveva semplicemente fatto traboccare il vaso. In quell’anno di liceo era avvenuto qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Mi riferisco all’incidente sulle strisce pedonali, quello che avrebbe levato di mezzo la mia amata prof di lettere per buoni tre quarti dell'anno scolastico. Ricordo l’insediamento della sostituta: la professoressa Nocerini. Quella mattina, entrò nell’aula una donna minuta dalla chioma grigiastra il cui unico obbiettivo sembrava quello di sedersi il più velocemente possibile dietro la sua scrivania; nient’altro, neppure un cenno di saluto alla classe. Il suo incedere, fatto di rigidi passettini, mi fece avvertire, giù per la schiena, un sudore freddo premonitore. Tuttavia, non avrei mai immaginato che gli eventi successivi a quella comparsa degenerassero così. Non capivo perché quella donna ce l’avesse con me, sembrava mi odiasse. La sua ostilità nei miei confronti era evidente, tant’è che pure i compagni di classe se lo chiedevano. Ero arrivato persino a pensare che forse ero io il problema, visto il mio carattere ombroso. Oppure esistevano altre ragioni che mi sfuggivano: forse un’antipatia istintiva… A volte succede con le persone. La sua strategia era monotona: non potendo attaccarmi nello scritto, se non limitandosi ad abbassare di uno o due punti i miei voti standard, si sfogava nelle interrogazioni con domande manipolate ad arte per confondermi. Così, quando mi presentavo alla scrivania per rispondere, avvertivo la scomoda sensazione di trovarmi in un campo minato piuttosto che in un’aula scolastica. Ma ricostruiamo i fatti, le cose andarono più o meno così. La professoressa Nocerini pronunciò il mio nome dopo aver scorso con l’indice della mano sinistra, essendo mancina, il registro. La suspense che serpeggiava tra i banchi fu così interrotta dalla sua vocina maligna e purtroppo attraverso il mio nome. Mi alzai e raggiunsi riluttante la scrivania poi mi misi a fissarla a modo mio. La Nocerini distolse lo sguardo e lo concentrò sul libro di testo che aveva di fronte. In quel momento mi colse un dubbio: era forse questo il motivo del suo astio nei miei confronti? Che prendesse l’espressione del mio viso come una sfida? Ad ogni modo non era così, si trattava semplicemente di una mia componente caratteriale. L’interrogazione andò come al solito, anzi molto peggio. Quella donna aveva superato il limite. L’argomento rientrava nel programma ma quelle domande erano state poste in modo volutamente subdolo. Non c’erano dubbi: la perfida aveva mischiato talmente le carte da stordirmi. Dopo aver fatto scena muta ed essermi avviato con la coda tra le gambe verso il mio banco, mi voltai repentinamente verso di lei. Se mi fossi trovato di fronte a uno specchio avrei osservato un’espressione talmente carica d’odio da spaventare perfino me stesso. La Nocerini non fece una piega, inforcò con calma gli occhiali, abbassò gli occhi color celeste slavato e scarabocchiò con la sinistra sul registro. Passai il pomeriggio e la serata senza parlare ad anima viva, nemmeno con i miei che, conoscendomi, non diedero peso alla cosa; per loro, contava solo che continuassi a portare a casa ottimi voti. La strana flessione nello scritto non aiutava e stava creando in famiglia un’insolita atmosfera d’attesa, visto che il trimestre era agli sgoccioli. Salii nella mia camera senza toccare cibo con l’elenco telefonico tra le mani. Sapevo che la Nocerini era nubile e viveva sola. Trovare il suo indirizzo fu un gioco da ragazzi; decisi quindi di agire il giorno dopo nel pomeriggio, sperando di trovarla in casa. Così, l’indomani mi appostai davanti all’ingresso del suo palazzo aspettando che entrasse o uscisse qualcuno. All’uscita frettolosa di una ragazza afferrai il portone prima che si chiudesse e senza che lei, ormai di spalle, se ne accorgesse. Non presi l’ascensore ma salii a due a due gli scalini fino al terzo piano, l’indicazione era stampata sul citofono sotto l’odiato cognome. A quel punto non mi restava che affrontare la roulette russa di tre campanelli. Al primo scampanellio non ci fu alcuna risposta. Al secondo tentativo, nell’appartamento a lato, la porta si aprì quasi subito e io mi ritrovai di fronte quella carogna. La donna, dopo l’iniziale stupore, tentò inutilmente di sbattermi la porta in faccia ma il mio piede messo di traverso lo impedì. Spinsi il battente e in un attimo fui all’interno. Lei, che indossava una vestaglia da camera a fiorami, arretrò attonita poi gettò uno sguardo obliquo di lato, verso il telefono scuro che stava sopra un mobile kitsch d’epoca; una lampada da tavolo con paralume damascato emanava una luce giallastra, la fonte luminosa, mescolandosi con il colore smunto della tappezzeria, rendeva l’espressione del suo volto tetra. Comunque lei non si mosse. Non poteva, paralizzata com’era dalla paura che pur contenuta traspariva. Mentre la fissavo cupamente, mi accorsi di essere in procinto di metterle le mani sul collo. La Nocerini, che mi parve ancor più bassa e minuta, se ne stava sempre immobile, sulla difensiva, come un animale in trappola. Fu la criticità della situazione a evitare il peggio, perché, non so come, ritornai improvvisamente in me.

Ero quasi sotto casa quando smise di piovere. Il giorno successivo avevo l’ora di lettere ma, stranamente, mi sentivo tranquillo e per due ragioni. La prima: non c’erano testimoni dell’intrusione, quindi se lei avesse denunciato la cosa si sarebbe trattato della sua parola contro la mia; in secondo luogo, quella donna aveva la coscienza talmente sporca da non aver alcun interesse a smuovere le acque. Almeno questo era quello che mi auguravo. Guardai in alto… Sembrava schiarire… Forse il tempo stava volgendo al bello.

Ermanno Gelati