Il Messaggio a Provenzano: «I Soldi Li Rubò Quel Ragazzo»

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Il Messaggio a Provenzano: «I Soldi Li Rubò Quel Ragazzo» I «Pizzini» al Boss Il messaggio a Provenzano: «I soldi li rubò quel ragazzo» Continuano a sfornare prove d' accusa, i «pizzini» trovati nella tana del boss. E a confermare, a distanza di anni e di tante polemiche, le dichiarazioni dei pentiti. Perfino sull' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e sul suo tesoro nascosto. La corrispondenza che Bernardo Provenzano teneva con sé fornisce oggi la principale e più genuina verifica delle rivelazioni dei «traditori», indicati spesso come bugiardi (dai mafiosi e non solo), che vengono al contrario riscontrate dalle parole scritte dagli uomini d' onore ancora in servizio. Per esempio Matteo Messina Denaro, capomafia di Trapani, uno dei latitanti più illustri in circolazione, ha ricostruito in un biglietto inviato allo «zio» nel 2003 la stessa storia di tangenti pretese o non pagate dieci anni prima per la metanizzazione della zona di Alcamo (a cui erano interessati direttamente Ciancimino e lo stesso Provenzano) raccontata nel 1998 da Giovanni Brusca. Verbale e «pizzino» fanno parte oggi delle prove a carico del figlio dell' ex sindaco, Massimo Ciancimino, accusato di riciclaggio. Messina Denaro, che si firma «Alessio», l' 1 ottobre 2003 cominciava così la sua missiva a Provenzano: «Carissimo, spero di trovarla bene così come le dico di me, ho da poco ricevuto le sue lettere e le rispondo subito». E al punto 2 della pratica da trattare scriveva: «Per il discorso della metanizzazione i paesi di allora erano 6, so di preciso quali sono, i soldi mancanti allora furono circa 250 milioni di lire, perché già prima tramite lei ci si era fatto uno sconto di circa 300 milioni, per i 250 milioni ce li dovevano dare, cosa che non accadde mai». Sono soldi che l' organizzazione mafiosa doveva incassare dai lavori di allacciamento alla rete del gas metano, ma la tangente si fermò altrove. «Dopo tempo - proseguiva Messina Denaro - venni a sapere che l' impresa in effetti i 250 milioni li uscì, solo che a noi non ci arrivarono ma perché se li rubò uno dei figli del suo paesano morto». Che per gli inquirenti è Massimo Ciancimino, figlio di «don Vito» da Corleone scomparso nel 2002. Di questa vicenda aveva parlato otto anni fa il pentito Brusca, che indicò Provenzano e Ciancimino direttamente interessati alla metanizzazione nella zona di Alcamo, controllata da lui, Totò Riina e Leoluca Bagarella: «A un dato punto al Bagarella gli sento dire queste formali parole "Se u me' paesanu non si sveglia, a stu pezzo di sbirru io ci rompo le corna!". E si riferiva al Ciancimino o al figlio di Ciancimino, perché il Bagarella sapeva che quello che aveva la "messa a posto" di Alcamo era il figlio di Ciancimino con Bernardo Provenzano». In gergo mafioso la «messa a posto» è il pagamento del «pizzo», e il senso della frase di Bagarella riferita da Brusca è fin troppo chiaro. Poco dopo il pentito si spiegò anche l' epiteto «pezzo di sbirro»: «Faccio le mie ricostruzioni quando si scopre che Ciancimino era stato uno dei tramiti tra lo Stato e Cosa Nostra», dice il killer di Giovanni Falcone riferendosi al periodo successivo alle stragi mafiose del 1992. Nella lettera di Messina Denaro a Provenzano, scritta 5 anni dopo la deposizione di Brusca, oltre alla conferma dei problemi provocati dai Ciancimino ci sono considerazioni poco lusinghiere sul «figlio del paesano morto». Rivolgendosi con la solita deferenza allo «zio» scrive: «Io di ciò non dissi mai niente perché capivo che lei si poteva solo mortificare della cosa... Ora glielo sto dicendo perché è lei stesso a chiedermelo, caso contrario non avrei detto nulla, in fondo ognuno di noi risponde del proprio nome e della sua dignità. Questo figlio del suo paesano morto sa di aver rubato soldi non suoi e di sicuro si è divertito... Quello che non sa è che quei soldi erano destinati a famiglie di detenuti che hanno bisogno, ma comunque ritengo il discorso chiuso, se la vede lui con la sua coscienza». In un' altro «pizzino» del 1° febbraio 2004 Alessio-Messina Denaro torna «sul fatto del metano» e si rallegra con Provenzano: «Ho letto il suo dire ed ho riso, anche se è passato tanto tempo vedo che se ne ricorda benissimo, complimenti per la memoria». La memoria non fa difetto nemmeno ad altri mafiosi, compreso il pentito Nino Giuffrè che, anticipando quanto poi sarà confermato dai biglietti trovati al boss catturato due mesi fa, svelò nel 2002 e nel 2005 il ruolo svolto nella metanizzazione da Vito Ciancimino che, dice l' ex mafioso, «nella vita di Provenzano forse è stato l' uomo che ha avuto un ruolo in assoluto il più importante... Il Provenzano, a differenza del Riina, ha saputo fare la sua politica... La mente grigia di Provenzano era il Ciancimino, colui che intratteneva i rapporti». Bianconi Giovanni Pagina 18 (9 giugno 2006) - Corriere della Sera.
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