«Anch'io Vuo' Divenir Gigante»

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«Anch'io Vuo' Divenir Gigante» Corso di Laurea in Filologia e Letteratura italiana Ordinamento ex D.M. 270/2004 Tesi di Laurea «Anch’io vuo’ divenir gigante» La Gerusalemme Liberata nell’epistolario di Torquato Tasso Relatore Ch. Prof. Attilio Bettinzoli Correlatore Ch. Prof. Aldo Maria Costantini Ch. Prof. Valerio Vianello Laureando Francesca Aurora Degano Matricola 836189 Anno Accademico 2015 / 2016 PREMESSA «A pensarci bene, c’è sempre nelle cose italiane – tragedia, dramma, commedia o farsa che siano - ‘un matrimonio che non s’ha da fare’…», commentava Sciascia.1 E aggiungo: raramente ci si trova di fronte ad un compiuto e definitivo et in Arcadia ego, ad una serenità compositiva, testuale, stilistica veramente risolta. Nel caso del Tasso, queste due proposizioni trovano la loro forma più estrema nella serie innumerevole di travagli (mentali e fisici, reali e immaginari) che funestarono una vita di suo sempre dedita al culto dell’opera da farsi, del grande lascito, della perfezione formale oltranzista e incontentabile, del sogno fantastico ferocemente ancorato suo malgrado alle esigenze della materia poematica e alle costrizioni del percorso compositivo. Una vita votata alla ricerca della grandezza e dell’ordine, all’interno dello scompiglio in cui versava il genere del poema d’inclinazione romanzesca, lascito dei moderni contro gli antichi; una vita e un pensiero stretti attorno ad una mai mitigata «ambizione», dagli intenti molteplici e contraddittori, dalla natura quasi paradossale e insieme 1 L. SCIASCIA, Dalle parti degli infedeli, Palermo, Sellerio, 1979, p. 34. 1 più che motivata.2 «Sperai di esser simile a Virgilio ne la fortuna, più tosto che ad Ovidio o ad Omero; benché l’uno troppo vedesse, e l’altro poco».3 Ad attestare questa vasta congerie di casi e situazioni, non di rado topiche, e insieme a fare da filtro, vi è l’epistolario: testimonianza mai troppo vagliata, non di rado scorsa con indici di lettura partigiani, adattata ai modi e ai tempi della consultazione, fruita in raccolte dai criteri confusi, piegata alle circostanze e alle ricostruzioni biografiche. Epistolario che rappresenta uno specchio fedele e insieme deformante delle esigenze tassiane, in particolar modo dell’opera che più di tutte ha avuto un percorso complicato nel suo lento dispiegarsi, dalla battagliata revisione sotto la «sferza» dei critici sino al complesso tragitto della stampa: la doppia Gerusalemme, la «terrena» Liberata e la «celeste» Conquistata. Opera, la Gerusalemme, che può definirsi l’approdo simbolico e definitivo della scrittura del Tasso, senza per questo che il privilegio imponga di tralasciare il rimanente e senza elevarla a sublime ‘sanguisuga’ del talento dell’autore.4 2 «Io non mi proposi mai di piacere al vulgo stupido, ma non vorrei però solamente sodisfare a i maestri dell’arte. Anzi sono ambiziosissimo dell’applauso de gli uomini mediocri [...]» (T. TASSO, Lettere poetiche, Parma, Fondazione Pietro Bembo / Guanda, 1995, XIX, pp. 166-167); «Non voglio dissimulare la mia ambizione» (XXI, p. 173); «E per confessare, com’io soglio, la mia vanità [...]» (XXXVI, p. 324); «[...] perciochè io confesso d’esser amatore di gloria [...]» (T. TASSO, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo, a.c. di C. Guasti, Firenze, Le Monnier, 1852-1855, II, 341, p. 324); «Sono ambizioso; e non mi credo di saper sì poco, ch’io meriti d’esser disprezzato da’ miei padroni, e molto meno da’ nemici» (T. TASSO, Lettere, cit., III, 760, p. 154); «Vorrei confidarle [le Rime] a la fede di persona che fosse desiderosa de la mia gloria, e de la fama immortale; ma in modo, che ‘l mondo non s’avvedesse de la mia ambizione, o de la vanità [...]» (T. TASSO, Lettere, cit., V, 1327, p. 47). 3 T. TASSO, Lettere, cit., IV, 1220, p. 287. 4 L. CARETTI, Ariosto e Tasso, Torino, Einaudi, 1967, pp. 12-13: «[…] l’esame degli scritti tassiani è concepito appunto in maniera non statica […] ma essenzialmente dinamica, e perché illustra concretamente la lunga e laboriosa vita interna del poema tassiano persuadendoci, alla fine, che esso fu veramente l’opera centrale di Torquato, la summa delle ombre e delle luci della sua vita di artista in attrito costante con la misura ineludibile della realtà storica». 2 La tesi nasce in questo senso da una comparazione tra gli elementi di discussione forniti dall’epistolario e la materia della Gerusalemme - in particolar modo la Liberata, vista la ridotta presenza della Conquistata nell’epistolario e la pressoché totale mancanza di discussioni teoriche circa le nuove scelte testuali; discussioni che avevano invece innervato le riletture della Liberata, alimentando il serbatoio delle lettere cosiddette poetiche. Tutto ciò nei modi di un’indagine che faccia emergere luoghi specifici e difformità di vedute, soluzioni transitorie ed elementi radicati nelle fondamenta del testo. La tesi si apre dunque con un’Introduzione, che presenta a grandi linee la situazione testuale dell’epistolario e ricostruisce le vicende della tradizione di quest’opera tassiana. L’edizione di riferimento è quella in cinque volumi curata dal Guasti, che lungi dall’essere il traguardo definitivo presenta comunque il pregio di offrire una testimonianza quanto meno compatta e uniforme: di essa è stato condotto uno spoglio sistematico, i cui risultati trovano posto in appendice alla tesi e vanno a integrare i materiali che sono alla base di questa ricerca. Il primo capitolo si diffonde sulla biografia tassiana, esaminandola alla luce delle testimonianze offerte dalle lettere stesse e della presenza in atto o in potenza della Gerusalemme. I due successivi capitoli prendono invece in esame la discussione teorica attorno ai grandi temi dell’epica, in particolare la concezione del verisimile e il controverso nodo del meraviglioso, punti fermi del dibattito-contrasto fra Tasso e i suoi contemporanei. Di qui anche l’analisi di episodi specifici, maggiori e minori, del poema (il rogo di Olindo e Sofronia, la nave della Fortuna, il concilio diabolico, la foresta di Saron, le divagazioni di Rinaldo, la storia di Clorinda), analisi condotta facendo sempre riferimento alle testimonianze trasmesse dalle epistole. L’interesse dominante ricade 3 inevitabilmente sulla Liberata, che gode di una tradizione testuale più ricca e complessa (e sofferta); tuttavia, il ruolo della Conquistata è tenuto ben presente, ed è arricchito dal confronto con altri testi (in particolare l’Orlando furioso, ineluttabile e fatale pietra di paragone). Una storia lineare e criticamente ponderata dell’epistolario è ancora difficile, richiedendo di fatto ogni lettera una specifica valutazione che va al di là degli obiettivi di questa tesi; le vicende della Gerusalemme si accavallano tra loro con un intreccio quasi inestricabile; la vita stessa del Tasso è animata da un continuo ripercorrere i propri passi. «Ancora son vivo, e con la vecchiezza cresce la vanità; laonde niuna cosa più desidero, che di publicare al mondo tutte le mie vanissime occupazioni, per aver occasione di abandonarle [...]».5 Alla fine, non rimane che il riconoscimento della fragilità delle cose umane e l’auspicio di un lascito: «Non disprezzino la fortuna, perché ne l’altre cose io mi contento di stare al giudicio di coloro che giudicano senza passione. Questi, senza fallo, saranno i posteri; al giudicio de’ quali io soglio appellarmi. Forse avranno quell’opinione di me ch’io aveva pensato[…]».6 5 T. TASSO, Lettere, cit., V, 1284, p. 11. 6 T. TASSO, Lettere, cit., IV, 1005, p. 89. 4 INTRODUZIONE Il ruolo svolto dall’epistolario nel vasto raggruppamento di opere nate dalla fantasia di Torquato è quello di cartina di tornasole delle ispirazioni più varie ed eterogenee. Il mezzo della scrittura epistolare porta alla luce una serie di confluenze, di affinità e di contrasti che finiscono inevitabilmente con il complicare la visione d’insieme: in essa appare chiara la distanza tra la ricerca ideale e il suo concreto manifestarsi, la difformità di vedute interiori e di reazioni esterne, l’intrico perenne tra forma e sostanza, teoria e prassi. Torquato si serve delle sue missive come fossero una sorta di prolungamento, una proiezione quasi esoterica del proprio io in direzione dei destinatari, ora bendisposti, ora indifferenti, ora marcatamente ostili; tramite esse costruisce un’immagine romanzesca di sé che non necessita di correzioni e riletture adeguate alla mutazione dei tempi: forgia un’icona destinata a perdurare nella creazione di un mito tuttora presente nella fantasia collettiva, assegnando all’epistolario il ruolo di «principale fonte di leggende intorno al grande infelice».1 Le lettere che partono 1 R. SPONGANO, Note per la futura edizione critica delle Rime di Torquato Tasso, in ID., La prosa di Galileo e altri scritti, Messina - Firenze, D’Anna, 1949, p. 88. L’intreccio poetico-biografico è stato ripetutamente analizzato da studiosi quali Guasti, Solerti (sostenitore dell’immagine di Tasso creatore primo del proprio mito), De Sanctis (dubbioso circa l’organicità dell’epistolario), 5 incessantemente dal suo scrittoio rappresentano una sorta di autoesegesi critica della psiche, dimostrazione in atto di una struttura mentale indebolita, tormentata e confusa, onde si dividono insensibilmente tra apologia e mistificazione; sanciscono la raffigurazione plastica di un profilo ideale dalle risonanze liricheggianti, anche nel disagio dell’elemosina forzata e nella continua contestualizzazione dei contorni e delle circostanze, non di rado sgradevoli; squarciano il velo del passato tramite il ripensamento sofferto dei propri casi e aprono la via
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