I CENTO PASSI (Italia, 2000) Regia: Marco Tullio Giordana
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Intervista e recensione a cura di Giancarlo Visitilli. Ogni diritto è riservato. “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!” I CENTO PASSI (Italia, 2000) Regia: Marco Tullio Giordana Sceneggiatura: Claudio Fava, Marco Tullio Giordana, Monica Zapelli Cast: Luigi Lo Cascio, Paolo Briguglia, Lucia Sardo, Luigi Maria Burruano. Fotografia: Roberto Forza Montaggio: Roberto Missiroli Scenografia: Franco Ceraolo Costumi: Elisabetta Montaldo Genere: Drammatico, Biografico Durata: 104' Trama Cento sono i passi che occorre fare, a Cinisi, per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Tano Badalamenti. Il giovane Peppino Impastato vive cercando di sfuggire a quest'inesorabile legame con l'ambiente mafioso che il padre, Luigi Impastato, un po' per inerzia, un po' perché ha una moglie da proteggere e due figli da crescere, non ha la forza di rompere. Anche di fronte alla vulnerabilità sua e della propria famiglia, Peppino, animato da uno spirito civico irrefrenabile, non esita, con l'involontaria complicità del fratello Giovanni, ad attaccare "don Tano" e a denunciarne pubblicamente le malefatte. Il percorso "controcorrente" di Peppino nasce quando, bambino, vede scorrere davanti a sé gli albori della lotta politica contro la mafia e il potere a essa colluso, lotta a cui poi prenderà attiva parte una volta adolescente e poi da adulto. La morte violenta dello zio capomafia, l'incontro con il pittore comunista Stefano Venuti, il rifiuto del padre biologico e della famiglia, intesa in senso mafioso e il formarsi con il pittore idealista, suo vero "padre etico", sono i punti di svolta della vita di Peppino bambino, che lo segneranno per il resto della sua esistenza. La frase “noi comunisti perdiamo perché ci piace perdere” sembra quasi un preludio alla sua tragica morte, che giunge quando ormai è diventato troppo scomodo ai mafiosi e il padre, morto in un oscuro incidente, non lo può più proteggere da don Tano. Peppino é ucciso soprattutto per l'operato dell'irriverente Radio Aut, dai microfoni della quale si è scagliato senza freni a denunciare la mafia e i suoi misfatti. Recensione I cento passi non è un film sulla mafia, così come lo si può intendere, in rapporto al genere. Si tratta, piuttosto, di un film sul conflitto famigliare, sulla disillusione, l’amore e la passione, utili per cambiare il mondo, con coraggio, la dimensione del sogno e la possibilità di renderlo concreto. Infatti, il regista concentra gran parte della sua attenzione sulla dimensione famigliare: un padre che non riesce e non vuole comprendere la ribellione di un figlio, accanto ad una madre coraggiosissima, gli zii mafiosi, la gente di Cinisi. Ma il personaggio più complesso, dell’intera vicenda, rimane il padre che, mentre Peppino, determinato, mai esitante, va per la sua strada, diversamente lui combatte tra due forze: quella rappresentata dal potere della mafia, cui è vincolato e debitore, e l’amore per suo figlio. E, se da una parte tenta in ogni modo di dissuaderlo dai suoi intenti, dall’altra, lo stesso padre protegge Peppino, facendogli anche da scudo. È un film generazionale, in cui la dimensione della memoria è ravvisabile, come in chi, come Giordana, il co-sceneggiatore, Claudio Fava e lo stesso Impastato, fu giovane negli anni Settanta. Tuttavia, non si tratta del solito film nostalgico e privato. In I cento passi, piuttosto, la storia privata s’innesta in una realtà politica più ampia e complessa. Non a caso assumono forte rilievo anche i genitori e gli altri parenti più anziani di Peppino, insieme agli abitanti di Cinisi. Se oggi, non solo in Sicilia, si può parlare di lotta alla mafia e di educazione alla legalità, lo si deve, senza ombra di dubbio, a uomini e donne come Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, ma anche ai vivi, come Agnese Moro, Giovanni Bachelet, Umberto Ambrosoli e tantissimi altri. La storia di Impastato è raccontata sulla base di documenti e di ricordi. Egli viveva in un paesino siciliano, Cinisi, in provincia di Palermo, in una famiglia invischiata nella mafia. Fin da piccolo, si rese conto che qualcosa non era chiaro nelle riunioni di famiglia e nelle morti delle persone che conosceva. La manifestazione del suo punto di vista e il disprezzo per l'atteggiamento del padre, troppo solidale con i mafiosi del luogo, coincidono con quel periodo travagliato e pieno di ideali, per tutti i giovani, che come lui, vivono negli anni Sessanta-Settanta. Infatti, lo stesso Peppino partecipa ad importanti attività politiche, sociali e culturali, tutte finalizzate alla lotta antimafia: conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi; costituisce il gruppo “Musica e cultura”, e nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio privata e autofinanziata, con cui denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi. Il suo programma si chiamava “Onda Pazza”, con parole d’inquietudine e ironiche sfidava quel potere così “normale” per suo padre. Ed è in una delle sue dirette che il boss Gaetano Badalamenti, che abitava a “cento passi” da casa sua, diventa “Tano seduto”. Peppino Impastato muore nel 1978, nello stesso giorno del delitto Aldo Moro. Oscurati dalla tragedia nazionale in atto in quei giorni, la tragica storia di Impastato restò ignota ai più per vent’anni. Per tanto, I cento passi è un film di impegno civile, non diversamente da altri film che hanno fatto la storia del cinema, non solo italiana, fra quelli di Elio Petri, Ettore Scola o come lo stesso Le mani sulla città di Francesco Rosi, in questo film di Giordana, ampiamente citato. È come se, sotto il segno di Pier Paolo Pasolini, intellettuale molto amato da Giordana e qui anch’esso citato nella poesia che Peppino recita alla madre, egli coniugasse la lezione del cinema politico italiano degli anni Sessanta, con quella più hollywoodiana, per esempio de Il padrino. I cento passi é il film che consacra il regista, che anche negli anni a venire darà prova di grande successo e bravura nella capacità di raccontare importanti pagine della storia nazionale, compresi quegli anni bui, come nell’altro grande successo La meglio gioventù (2003). E non si tratta solo di grande narrazione attraverso le immagini: Giordana è un abile ed esperto narratore anche attraverso l’importante linguaggio musicale, sempre di grande interesse nei suoi film, proprio come in I cento passi e l’importante commento sonoro, per mezzo di canzoni famose già nell’epoca raccontata, che fungono da grande catalizzatore per le immagini. Queste ultime contengono la bellezza naturale dell’epoca, perché rese magistrali e molto reali, per mezzo di una fotografia (Roberto Forza) capace di catturare l’attenzione dello spettatore ed immergerlo nel “pathos”, nei colori e nei ‘grigiori’ di quell’epoca. Giordana, diversamente che in altri suoi film, in questo preferisce evitare un taglio registico troppo documentario, drammatizzando ed enfatizzando le vicende, facendo emozionare, fino alla commozione, lo spettatore. Elemento essenziale del successo del film é l’interpretazione magistrale di un attore esordiente nel cinema, ma che viene da una scuola di teatro, quest’ultimo già ampiamente frequentato e che lo ha visto protagonista di importanti successi, Luigi Lo Cascio, premiato con un David di Donatello. Insomma, un film destinato a segnare per sempre la storia del cinema e quella più propriamente del grande racconto di un uomo che, oggi più che mai, manca in un paese sempre più alle prese con la corruzione. Intervista al regista, Marco Tullio Giordana (Venezia, settembre 2000) I cento passi del titolo sono quelli che separano casa Impastato e casa Badalamenti. Quanti sono quelli fra le nostre case e l’illegalità? A volte, anche di meno di cento: siamo complici, adiacenti, coinquilini, nello stesso organismo. Il più delle volte lo sappiamo anche… Lei non è nuovo rispetto a film inchiesta, come quello su Pasolini. Questo su Impastato non è proprio un film inchiesta. Vuole dare lei un’indicazione? Questo è un film sulla storia di una vocazione. Come esiste quella religiosa, esiste anche una vocazione d’impegno civile, laico, di opposizione, nel caso di Peppino, di ribellione alla propria famiglia. Peppino mette in gioco tutta la sua vita, come dovrebbe fare un qualsiasi consacrato: mette a repentaglio i propri sentimenti privati, disdicendo se stesso e i suoi affetti più cari. Peppino Impastato era anche e soprattutto un giovane giornalista. Coraggioso. Crede che possa insegnare qualcosa a chi fa questo mestiere, un film come I cento passi? Per prima cosa, Peppino Impastato comprese la grande utilità e importanza, democratica, dei mezzi di informazione. Grazie alla radio, ai volantini, e quindi alla stampa, Peppino segnò una nuova era a Cinisi, rispetto al dire: diede la possibilità a tutti, collusi con la mafia e non, di sentire le parole della mafia e le parole dell’antimafia. Ho chiacchierato molto con i suoi amici e nemici, in occasione della preparazione del film. Ai suoi tempi anche alcuni amici di Peppino dicevano che la mafia non esisteva. La grande battaglia di Peppino è stata innanzitutto quella di rendere consapevoli tutti che la mafia esiste, si reincarna e si modifica a seconda delle esigenze. Oltre alla sua vita, ci fu qualcosa che già cambiò, mentre era ancora in vita Peppino? Era un sistema che cominciò a cambiare quando era già in vita Peppino. La dimostrazione eclatante fu anche che ai suoi funerali parteciparono migliaia di persone, non solo sue amici. Fu quella la prima rottura con l’omertà.