Franca Leverotti Gli officiali del ducato sforzesco [A stampa in “Annali della Classe di Lettere e Filosofia della Scuola Normale Superiore”, serie IV, Quaderni I (1997), pp. 17-77 – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”]

Una breve risposta al questionario Modi di nomina degli officiali È il duca che decide in ultima istanza i nomi degli officiali, anche se la scelta è teoricamente condizionata dall’approvazione della maggioranza dei consiglieri segreti e di giustizia allo scopo – così esplicitato “adeo quod officiis de personis idoneis provideatur, non autem personis de officiis” – di avere personale competente e idoneo. La scelta dei sindacatori e degli officiali periferici (podestà, capitani...) in particolare rimane per tutto il periodo sforzesco di competenza del Consiglio Segreto, così come nel caso di uffici venduti, o, più esattamente, di uffici concessi dietro un prestito (prestito che veniva restituito alla fine del mandato, non dal duca, ma dall’ufficiale che subentrava); prerequisito per la nomina in questi casi era infatti non soltanto il versamento della somma alle magistrature finanziarie, ma la valutazione del curriculum da parte del Consiglio Segreto, oltre all’attestazione che era stato assolto dai sindacatori per i precedenti incarichi. Nel caso di “novus officialis “ il Consiglio, prima di procedere alla nomina, doveva richiedere il parere di tre persone note, in genere esponenti di spicco della società milanese, cortigiani o burocrati, che vengono nominati nella nota di trasmissione al primo segretario Cicco Simonetta, il cui benestare era essenziale per perfezionare l’iter della pratica.

Carriere Non c’è commistione tra uffici centrali e periferici. Si tratta di circuiti ben distinti che non hanno interferenze tra loro tranne poche eccezioni: i vicari promossi sindacatori generali hanno alle spalle una carriera di vicari di podestà cittadini e di podestà, mentre i referendari delle città possono diventare maestri delle entrate. Non ci sono viceversa spostamenti dal centro alla periferia, se non nel caso di un segretario alle entrate promosso referendario di Piacenza, o di alcuni cancellieri ducali spostati nel territorio come addetti all’alloggio delle truppe nei primi anni di governo sforzesco. Quando si parla di uffici centrali bisogna sempre distinguere due livelli: i magistrati veri e propri dal nutrito gruppo dei cancellieri delle singole magistrature. Questi ultimi, per consuetudine, non venivano licenziati, esercitavano a vita e lasciavano il posto a familiari: figli, fratelli, generi. Per questa categoria è ricostruibile una carriera standard; infatti entrano come scrivani o coadiutori, diventano cancellieri ed infine segretari. Ovviamente un caso a parte sono i cancellieri della Cancelleria segreta che vedono la loro carriera interrotta dalle successioni ducali, soprattutto quando ricoprono posti-chiave come capo della cancelleria segreta politica, o delle cancellerie finanziaria, giudiziaria o beneficiale. In questo caso al licenziamento in tronco, che si verifica solo nel momento in cui il primo segretario, Cicco Simonetta, viene fisicamente eliminato, si preferisce il trasferimento presso la cancelleria del Consiglio Segreto. Per gli alti livelli del funzionariato centrale i passaggi da un ufficio ad un altro sono limitati in questo modo: a) è consuetudine che il maestro preposto ai Maestri delle entrate straordinarie sia un giureconsulto, che, dopo alcuni anni, viene promosso al Consiglio di Giustizia, e da qui può talora passare al Consiglio Segreto 1; b) il sindaco fiscale o semplici procuratori fiscali possono diventare maestri delle entrate ordinarie 2;

1 Raffaele da Busseto, Giovanni Arcimboldi, Giovanni Andrea Cagnola, Giovanfrancesco Marliani (i due ultimi diventano anche consiglieri segreti) 2 Candido Porri, Francesco Bolla, Giovanni Andrea Cagnola, Antonio da Besana. 1 c) i vicari e sindacatori generali, che sono tutti giureconsulti, possono essere promossi maestri delle entrate straordinarie e successivamente consiglieri di giustizia o segreti; oppure possono passare direttamente al Consiglio di Giustizia e poi al Consiglio Segreto 3; d) i maestri delle entrate straordinarie possono diventare consiglieri segreti 4; e) i consiglieri di giustizia sono di frequente promossi al Consiglio Segreto 5; f) i maestri delle entrate ordinarie possono diventare consiglieri segreti 6; g) a fine Quattrocento i collaterali generali, che sovrintendono all’organizzazione militare, diventano maestri delle entrate straordinarie 7. Poiché i casi citati sono numericamente limitati si può constatare che una progressione di carriera consueta è solo quella del maestro giureconsulto promosso dalle entrate straordinarie al Consiglio di Giustizia. In tutti gli altri casi le “promozioni “ vanno valutate caso per caso e momento per momento, perché in alcuni casi, ad esempio con Galeazzo Maria, una promozione al Consiglio Segreto, organo privo di poteri politici, demandati a un consiglio ristretto non formalizzato, ha il significato di rimozione dal precedente incarico.

Uffici periferici Per alcune magistrature periferiche, officiali delle bollette e referendari, sono in atto sia con Galeazzo Maria che con Ludovico il Moro tentativi di costruire una sorta di carriera, spostando questi funzionari da una città all’altra, naturalmente in ordine di importanza crescente. Per i podestà delle città è praticamente impossibile ricostruire una carriera, anche perché intervallano le cariche nel ducato ad altre in stati diversi; a fine secolo alcuni possono raggiungere l’incarico di consigliere segreto e con tale qualifica tornare a reggere le città come commissari. Per i podestà rurali, circuito del tutto separato da quello cittadino, e con aree di pertinenza ben delimitate (esercitano in genere in due, massimo tre contadi urbani) non sono evidenti carriere, anche se la maggior parte è impiegata per alcuni decenni. Non c’è carriera neppure per gli offici militari e assimilati: capitani delle cittadelle, castellani, connestabili delle porte. Sono uffici ricoperti in genere a vita, senza trasferimenti, e si possono definire offici “familiari”, perché esercitati dal titolare insieme con figli e fratelli, e in genere alla morte del titolare vengono ricoperti da membri della stessa famiglia. L’interruzione di una dinastia familiare o lo spostamento di sede sono esclusivamente legati ai momenti di successione ducale, in particolare al 1467-68, quando Galeazzo Maria prende il potere allontanando i servitori allineati con la madre, o alla fine degli anni ‘80, quando il Moro diventa signore del ducato.

Competenze e titolo di studio I titolari delle magistrature finanziarie sono in genere mercanti e banchieri con pratica di scritture contabili, scelti anche per le loro ampie disponibilità economiche. Tutti i consiglieri di giustizia e molti consiglieri segreti, nonché tutti i vicari e sindacatori generali sono giureconsulti; molti dei podestà cittadini e tutti i loro vicari sono giureconsulti.

Durata dell’incarico Gli offici centrali vengono concessi a vita, con la sola eccezione dei tesorieri e degli amministratori del sale, i quali, dato anche l’impegno finanziario a cui sono chiamati (in genere sono mercanti che anticipano al duca cospicue somme di denaro senza interesse), ricoprono l’ufficio per due-tre anni,

3 Diventa maestro delle entrate ordinarie Ruggero de Comite; diventano maestri delle entrate straordinarie: Antonio da Besana (precedentemente sindaco fiscale), Francesco Lucani, Bernardino da Arezzo, Giovanni Paolo Barzizza, Scipione Barbavara. Sono vicari, maestri delle entrate straordinarie, consiglieri di giustizia: Matteo e Baldassarre Corti, Pietro Crivelli (già avvocato fiscale); passano da maestri a consiglieri segreti: Scipione Barbavara e Ziliolo Oldoini; diventano direttamente consiglieri segreti Lorenzo Terenzi, per diversi anni commissario a , e Giorgio Colli, già ambasciatore residente a Venezia. 4 Barbavara e Oldoini. 5 Sceva Corti, Alberico Maletta, Bartolomeo Moroni, Giovanni Agostino Vimercati, Sillano Negri, Geronimo Maletta, 6B iagio Cusani, Antonio Marliani. 7 Giovanni da Busto, Giovanpietro da Casate e Prevostino Piora. 2 con possibilità di rinnovo. Una lunga carriera è quella di Antonio Landriani, tesoriere generale dal 1474 al 1499, quando viene ucciso. I licenziamenti, che hanno per lo più un carattere politico e riguardano i soli vertici dell’amministrazione centrale, sono più frequenti nelle cariche finanziarie. Lo zoccolo duro delle cancellerie, con l’eccezione della Cancelleria segreta, sembra immune dalle vicende successorie ducali, anche perché era difficile sostituire la competenza e la professionalità di questi funzionari. Gli officiali periferici (avvocati e sindaci fiscali, tesorieri, referendari e officiali delle bollette in città; capitani del divieto, officiali delle biade, officiali sulle tasse dei cavalli in campagna) durano in carica diversi anni; viceversa i podestà rurali e cittadini stanno in carica solo due anni, con qualche inconsueto prolungamento di uno o due anni i podestà cittadini, con rinnovi anche pluriennali i podestà rurali soprattutto alla fine del Quattrocento.

Provenienza Gli officiali centrali, tranne i membri della Cancelleria segreta, sono in prevalenza milanesi. I milanesi diventano predominanti nel periodo del Moro anche tra i podestà cittadini; i podestà rurali invece, ad eccezione di quelli che esercitano nel contado cremonese e in parte nei contadi milanese e pavese, sono forestieri nel senso che non sono originari della città nel cui contado si trovano ad esercitare.

Sindacato Viene effettuato regolarmente alla fine di ogni mandato per tutte le magistrature locali. Nelle magistrature centrali lo si trova ovviamente solo al momento degli avvicendamenti nelle magistrature finanziarie: tesorieri, ragioniere generale, cancelliere preposto alla cancelleria finanziaria.

Stipendi Sono a carico del duca, ma a partire da Galeazzo Maria se ne fa onere in gran parte alla comunità e si stabilisce che una componente importante dello stipendio deve provenire dalle condanne.

Vendita delle cariche La vendita delle cariche è una pratica sconosciuta, questo non vuol dire che non si ricorra agli uffici per recuperare entrate nei momenti di difficoltà finanziarie, secondo una procedura già praticata dalla Repubblica Ambrosiana, negli anni della conquista del ducato e della guerra con Venezia, e ancora nel 1473 e nel 1479 8. Il meccanismo è questo: si mettono in vendita le cariche e l’acquirente anticipa una cifra al duca che gli verrà restituita alla fine dell’officio, generalmente un biennio dopo, con la clausola esplicitata nell’atto di nomina che non potrà essere rimosso, se non avrà riavuto i suoi soldi. Questa procedura non comporta l’immobilizzo della carica, ovvero la sua alienazione o la trasmissione in eredità ai figli del prestatore, perché la somma versata in tesoreria viene restituita all’ufficiale dal suo successore; perciò negli uffici periferici si mantiene il consueto turn over biennale, a parte poche eccezioni non correlate esclusivamente al fatto che la carica era stata ‘venduta’. Nelle cancellerie degli uffici centrali sono consueti il prolungamento a vita e la successione familiare; ogni rimozione anzi tempo, come quelle operate o tentate da Galeazzo Maria, era vista come un sopruso inaccettabile, proprio perché infrangeva la tradizione: “mai non fu usanza de remuovere da li officii de curte nisi la morte intervengha”, scriveva al duca il commissario di Lodi in relazione al licenziamento di un notaio della camera straordinaria. Un caso particolare è quello del collaterale del podestà di Milano Babila da Filago, che aveva comprato la carica nel 1450 per 20 fiorini, e che troviamo esercitare per ben 29 anni.

8 È rimasta documentazione (elenco degli uffici, nome dell’acquirente, avvantaggi, valore, in alcuni casi valore a denari consumati) per gli anni ‘48-50, ‘50-52, ‘52-54, ‘54-56 in Archivio di Stato di Milano (indicazione d’ora in poi omessa), Uffici e Tribunali regi , parte antica (d’ora in poi p.a.), 7 e Sforzesco, 1604; ‘74-75 in Sforzesco , 1612. 3 L’anticipazione di denaro da parte della burocrazia sforzesca appare perciò un prestito forzoso rimborsato, senza interesse, a fine mandato. Non si vendono neppure gli offici di tesoreria, ma i mercanti-banchieri che li prendevano in gestione anticipavano al duca una forte somma senza alcun interesse, e un’altra somma a interesse contenuto (2 %).Dato il particolare carattere temporaneo dell’alienazione non stupirà trovare incantati offici importanti, come le podesterie cittadine, le bollette, le referendarie, i capitanati del divieto e anche podesterie di terre grosse e separate. La procedura di nomina (che partiva nel febbraio dell’anno precedente l’incarico: gli offici, per un decreto di Galeazzo Maria, avevano inizio in gennaio) prevedeva la richiesta dell’officio a due maestri delle entrate (uno dei quali era anche referendario generale), a ciò delegati, i quali scrivevano al Senato per l’approvazione dell’officiale. Questa veniva concessa il giorno seguente e inviata al primo segretario, con l’indicazione dei precedenti offici ricoperti dall’aspirante o il parere positivo di tre persone, generalmente dell’ambiente di corte 9; seguiva entro un paio di mesi il versamento della somma ai funzionari delegati (i due maestri delle entrate), somma che veniva annotata nel liber tabuli , messa in debito al tesoriere generale nel libro dati et recepti e in credito all’officiale nel libro dei creditori degli offici 10 . Contemporaneamente al pagamento i Maestri scrivevano al primo segretario perché facesse la lettera di nomina con l’indicazione che non avrebbe potuto esser rimosso, se non gli fossero stati restituiti i soldi. Negli elenchi di officiali compilati da C. Santoro si può trovare di fianco al nome dell’officiale l’indicazione di una cifra seguita dall’espressione mutuo , che sta ad indicare un prestito con interesse a carico della camera; viceversa subvenit indica un’anticipazione senza interesse; in alcuni casi, per volontà del duca o della duchessa – come troviamo indicato, la somma veniva restituita totalmente o in parte.

Limiti di esercizio del potere Sono stabiliti dagli Statuti cittadini e dai decreti signorili; nel caso di commissari o vicari generali sono indicati nelle singole lettere di nomina.

Altri officiali Ogni città e ogni grosso borgo ha un numero diverso di officiali con denominazioni e competenze diverse, stabilite negli Statuti locali, necessari per il funzionamento dell’amministrazione locale; prescelti dalla comunità, erano sottoposti all’approvazione ducale, pagati direttamente con le entrate ordinarie della comunità, e come per le cancellerie degli offici centrali spesso nominati a vita 11 . Con Filippo Maria Visconti erano sottoposti al sindacato del signore. L’intervento del duca era presente anche nella nomina dei consigli generali; a Parma, ad esempio, confermava le liste dei 100 neo-eletti, oppure li sceglieva direttamente dalle liste dei 50 nomi che ognuna delle quattro squadre in cui era divisa Parma gli proponeva. Sempre in questa città il duca provvedeva direttamente alla nomina dei cancellieri del comune, un tempo nominati dal consiglio generale. Tutti gli offici cittadini sono però esclusivo appannaggio dei locali. In alcuni casi, ad esempio, nel caso dei ragionieri di Lodi, l’incarico rendeva soltanto 20 fiorini di entrata, ma la famiglia Vistarini che lo teneva da sempre, lo rivendicava esclusivamente per honore . Ancora a Lodi la famiglia Gambarini invece esercitava da più di 100 anni (sic) l’ufficio di ingegnere del comune; perciò, quando morì Taddeo, si suggerì di nominare al suo posto non il figlio Giovanni, che non sembrava

9 Un caso anomalo è la concessione della podesteria di Casalmaggiore al giureconsulto Giovanni Aliprandi, che fu dichiarato idoneo dal Senato, perché avevano attestato per lui Bonifacio e Geronimo Aliprandi, rispettivamente un cancelliere della cancelleria segreta e un ragioniere dei maestri delle entrate, chiaramente suoi parenti ( Comuni , 21, Casalmaggiore, 1479). 10 Nel 1474 non esisteva un libro dei creditori degli offici, ma la somma versata veniva scritta a debito dell’officiale nel libro tabuli , a suo credito nel libro delle entrate, e a debito del tesoriere nel libro del dato e ricevuto (ad esempio, Comuni , 18). 11 Biblioteca Ambrosiana di Milano, d’ora in poi B.A.M., S 210 inf, cc. 175-9, 1455 febbraio ultimo, riforme elaborate dal Consiglio Segreto 4 adatto, ma il nipote Bernardino, perché esperto nell’arte de bombardero e spezaprede, bono inzignero e magistro da ligname, muratore perfecto et livelatore bono de aque.

PREMESSA La burocrazia sforzesca è la burocrazia di uno stato regionale; il governo degli Sforza abbracciava oltre a Genova il territorio di dieci città (Milano, Pavia, Como, Novara, Tortona, Alessandria, Cremona, Lodi, Parma e Piacenza), ciascuna con il proprio contado, di numerose terre separate e consistenti aree feudali. Non esiste una città capitale, anche se Milano è la città modello cui si rapportano le altre 12 . L’impalcatura amministrativa che descriveremo è di origine viscontea; Francesco Sforza infatti non innova, né muta le competenze dei singoli uffici, limitandosi a farli ricoprire da persone di sua fiducia 13 . La fonte è costituita dal volume di Caterina Santoro Gli offici del dominio sforzesco 14 , un volume costruito dallo spoglio dei registri di nomina dei funzionari, ricco di oltre 4.000 nomi 15 . Questo significa però che, avendo il solo decreto di nomina, non sappiamo se l’officiale ha ricoperto effettivamente, se è stato rimosso dopo un certo tempo, o confermato dopo il biennio, se è deceduto durante l’incarico. Le omonimie rendono problematica la ricostruzione delle carriere. A tutt’oggi infine non si conoscono le competenze di molti offici. L’esame degli uffici e degli officiali, integrato dallo spoglio delle fonti rimaste, ha focalizzato l’attenzione in particolare su alcune magistrature che finora non sono state oggetto di indagine specifica.

PARTE PRIMA: I PRINCIPALI OFFICI CENTRALI Offici di corte : Cancelleria segreta, famigli cavalcanti e cavallari; aulici, camerieri, sescalchi, tesorieri, spenditori, maestri di stalla, confessori, maestri.

Magistrature giudiziarie : Consiglio Segreto e cancelleria; Consiglio di Giustizia e cancelleria; Uditore; Capitano di giustizia; Vicari e sindacatori generali.

Magistrature finanziarie : Maestri delle entrate ordinarie e cancelleria; Maestri delle entrate straordinarie e cancelleria con avvocati fiscali, sindaci fiscali e ingegneri; Referendario generale; Tesoriere generale e cancelleria; Ragioniere generale e cancellerie della carta, del papiro, delle spese consumate; Officiali della zecca; Commissario del sale.

12 Capo et exempio de tuta Lombardia , diranno i mercanti milanesi ( Comuni , 45); Da’ norma e forma a le altre iuxta illud quem ad modum ego feci etiam vos faciatis scrive nel 1474 l’ambasciatore mantovano al suo signore; e ancora il segretario Fabrizio da San Genesio, noto anche come Elfiteo, nel momento in cui si pone l’inquinto scrive a Galeazzo Maria dicendo che una volta che Milano avrà accettato tute le altre (città) seguiranno. 13 F. LEVEROTTI, Diplomazia e governo dello stato. I famigli cavalcanti di Francesco Sforza (1450-66) , Pisa, Gisem ETS 1992 (PBG, 3), in particolare il capitolo V Da Filippo Maria Visconti a Francesco Sforza: continuità o frattura nell’organizzazione burocratica? 14 Milano, 1947. Impagabile l’opera della Santoro e limitatissime le sviste che qui segnaliamo: Pandolfo da Bologna, indicato come commissario a Parma nel 1454 è in realtà commissario delle tasse dei cavalli; Ziliolo Oldoini a Pavia e Nicolò Testa a Caravaggio ricoprono la carica nelle rispettive sedi non di commissario, ma di vice- commissario: erano infatti impegnati a sindacare il precedente commissario e in questa veste erano responsabili anche della commissaria. Sono due diverse persone Giovannolo de Galaciis e Giovanni de Gallasiis; Lanfranco Pietro detto Brunoro de Podio e Pietro Lanfranco Plodio. Nel volume Santoro segnala alcune nomine fatte nel ‘67 da Pietro Pagnano, senza precisare che costui era il segretario addetto agli offici, o meglio, a partire almeno dal 1458 doveva annotare in un quadernetto i soldi ricevuti per gli offici, ed informarne il primo segretario che procedeva così alla nomina. Quanto alla podesteria di Valenza il podestà del ‘72 non è un Trotti, ma un Torti; il podestà del ‘77-8, qui non segnalato, è Giovanni Giacomo da Cocconate. Si cita infine la podesteria di Trivulzio nel pavese, indicandone un solo podestà, Giovanni Antonio da Robiate nel ‘69-70, anno in cui costui era invece podestà a Treviglio. 15 La serie è praticamente completa; esistono inoltre dei registri riassuntivi compilati nel 1468, quando Galeazzo Maria riordina la cancelleria, che segnalano, officio per officio, i nomi dei funzionari che avevano ricoperto l’incarico a partire dal 1450. 5

Magistrature militari : Collaterali con cancelleria; Officiali delle munizioni con cancelleria.

Officiale alla sanità con cancelleria

La Cancelleria segreta Vero e proprio motore dello stato, costituisce il filtro tra la volontà del duca e le amministrazioni centrali e periferiche, come mostrano le serie archivistiche dei Registri Ducali e dei Registri delle Missive. Composta nel 1450 da sole 18 persone, tutte forestiere, tranne uno, si articola ben presto in quattro distinti settori: cancelleria beneficiale (1451), giudiziaria (1451) 16 , finanziaria (1456), politica (sotto la guida di Cicco Simonetta dal ‘50 al ‘79, di Bartolomeo Calco dall’80 al ‘99) 17 . Dalla cancelleria politica vera e propria, che è responsabile della condotta politica interna ed estera, sovrintende alle relazioni diplomatiche 18 e coordina l’invio di ambasciatori, dipendono il corpo dei famigli cavalcanti, cioè dei cancellieri incaricati di brevi missioni diplomatiche 19 , e l’ufficio dei cavallari, ovvero le poste ducali 20 . Un settore particolare di questa cancelleria politica, affidato dagli anni ‘70 a Giovanni Simonetta, curava la corrispondenza con le magistrature locali. Negli anni di Galeazzo Maria verrà creata una cancelleria delle biade separata, mentre con Francesco Sforza questo settore era curato da un cancelliere della Cancelleria segreta, come mostra l’unico registro rimasto 21 . All’organico della Cancelleria segreta, aperta anche ai lombardi a partire da Galeazzo Maria, è consuetudine una carriera da scriba, a coadiutore, a cancelliere, a segretario; ma si tratta di una carriera fortemente condizionata dalle successioni ducali e dai rapporti col primo segretario, tali da portare alla frequente decapitazione dei vertici e generalmente al trasferimento, con la qualifica di segretari, presso la cancelleria del Consiglio Segreto. Dotati di cultura modesta, inizialmente non sono neppure notai, a partire dagli anni ‘60 i cancellieri sembrano aprirsi alla cultura umanistica e frequentano le lezioni di greco di Crisolora, ma di respiro modesto restano le Storie del Simonetta. del Minuti, o di Tristano Calco. La delicatezza dell’incarico fa sì che non si verifichi, a differenza di altri offici centrali, una successione parentale, ma la presenza di familiari sembra consuetudine solo per la persona del primo segretario: Cicco è affiancato dal fratello Giovanni e da un figlio; il Calco da un figlio, un fratello e diversi parenti: quattro Calchi, un Perego e due Settara (famiglia cui apparteneva la moglie del primo segretario).

Il Consiglio Segreto Ampie sono le competenze della più importante magistratura dello stato; consulente del duca nelle più delicate decisioni politiche e amministrative, si occupava della nomina dei funzionari delle magistrature periferiche e dei vicari generali, e, su delega ducale, poteva funzionare da

16 Sulle origini di questa branca M. N. COVINI, Vigevano nelle carte dell’auditore. Aspetti dell’intervento ducale nell’amministrazione della giustizia, in G. CHITTOLINI (a cura di), Vigevano e i territori circostanti alla fine del Medioevo , Milano Unicopli 1997, 303-24. 17 F. LEVEROTTI, “ Diligentia, obedientia, fides, taciturnitas... cum modestia”. La cancelleria segreta nel ducato sforzesco , in “Ricerche Storiche”XXIV, 1994, 305-335. 18 Per la diplomazia fino alla pace di Lodi P. MARGAROLI, Diplomazia e stati rinascimentali. Le ambascerie sforzesche fino alla conclusione della Lega Italica (1450-55), Firenze La Nuova Italia 1992. 19 LEVEROTTI, Diplomazia e governo dello Stato. I famigli cavalcanti di Francesco Sforza. 20 L’ufficio dei cavallari delle poste, coordinato da un cancelliere e da un collaboratore che esercitavano in genere a vita, era composto da un numero di cavallari che si aggira attorno alle novanta persone; facevano capo a Milano nel 1470 38 cavallari, 8 erano a Lodi, 7 a Cremona, 3 a Pizzighettone, 6 a Piacenza, 3 a Borgo San Donnino, 4 a Parma, 5 a Pavia, 4 a Dorno, 3 a Tortona, 3 ad Alessandria e 2 a Serravalle. Data la delicatezza di questo ufficio nelle singole città viene esercitato da una o due famiglie soltanto: gli Zavachi a Parma, i Galbiate a Tortona, Farra, Bonate e Spanzotti a Lodi...che ritroviamo ancora a fine Quattrocento (Elenchi di cavallari in Uffici e Tribunali regi , p. a., 7; Registri Missive, 211, c.228-9 e Sforzesco, 1625; regole sull’ufficio in B.A.M., S 210 inf; elenco poste nel tratto Milano Napoli in Comuni, 52). 21 M. LUNARI, Forme di governo nella Milano sforzesca: l’ufficio di provvisione delle biade durante il ducato di Galeazzo Maria, in “Società e Storia”, 68, 1995, 245-66. 6 magistratura giudiziaria di appello. Data la vasta e generica sfera delle sue attribuzioni, l’organo subisce temporaneamente profonde modifiche e limitazioni nelle sue competenze, in ragione dei rapporti col duca. Essendo consuetudine infatti che i consiglieri segreti tenessero l’incarico a vita (solo con Galeazzo Maria alcuni furono costretti a dimettersi) capitava che il duca si trovasse a governare con persone che non solo non aveva scelto, ma che lo ostacolavano (il Consiglio Segreto, dopo la morte del duca Francesco, parteggiava per Bianca Maria). La dilatazione del numero dei consiglieri, escogitata da Galeazzo Maria per avere una maggioranza certa, si rivelava inadatta al governo; a partire dal ‘68 perciò il duca usava riunirsi con un piccolo gruppo dei consiglieri più fedeli per deliberare sulle pratiche di stato 22 ; questo Consiglio ristretto venne formalizzato dopo l’uccisione di Galeazzo Maria e prese il nome, dal luogo di residenza, di Consiglio Segreto del castello, l’altro, in cui entrarono molti nuovi, si sarebbe denominato Consiglio Segreto dell’arengo 23 . Manca un’appropriata indagine prosopografica che ci consenta di valutare appieno questa magistratura e di collegarla al ceto dirigente del ducato; gli elenchi di C. Santoro sono incompleti, non registrano tra l’altro la nomina a consiglieri segreti fin dagli anni ‘70 di Pietro Pusterla e Giovanni da Gallarate 24 . Certamente non raccoglie una rappresentanza di tutte le città dello stato come al tempo di Francesco II, né è espressione esclusiva dell’aristocrazia milanese, come il Senato di fine Cinquecento. Per gli anni di Francesco Sforza la definizione più appropriata, in base all’esame dei suoi componenti, sembra quella di “Consiglio di famiglia”, dal momento che le persone nominate, in gran parte già al servizio di Filippo Maria Visconti, sono in genere imparentate per matrimonio con la famiglia Visconti: proprio su questa relazione di parentela sembra contare il condottiero per costruire e legittimare il suo potere, come mostra anche la distribuzione degli offici di corte. Nel periodo di Galeazzo Maria le nomine vengono triplicate rispetto al periodo precedente, ma il consistente numero dei milanesi è determinato dal fatto che vengono promossi a questo Consiglio tutti i giureconsulti che il duca voleva allontanare dal Consiglio di Giustizia, e la presenza dei milanesi Marliani sembra legata semplicemente al fatto che l’amante del duca era Lucia Marliani 25 . Nel 1488 il Moro lo avrebbe ridotto da 60 a solo otto componenti, in massima parte giureconsulti; i vecchi consiglieri, nobili milanesi per lo più, privati dello stipendio, potevano partecipare alle sedute, ma senza voto né pareri 26 . L’esistenza di forestieri, anche svizzeri e tedeschi, che troviamo a fine secolo conferma l’attribuzione puramente onorifica di alcune nomine, ma il numero dei consiglieri effettivi rimaneva così alto che il Moro, volendo ridurlo a venti, avrebbe inviato alcuni

22 F. LEVEROTTI, “Governare a modo e stillo de’ Signori…” Osservazioni in margine all’amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano (1466-76) , Firenze Olschki 1992, in particolare 84-102. 23 R. FUBINI, Osservazioni e documenti sulla crisi del ducato di Milano nel 1477 e sulla riforma del Consiglio Segreto ducale di Bona di Savoia, in Essays presented to M. P. Gilmore, Firenze La Nuova Italia 1978, 47-103. 24 Un’accurata ricognizione dei consiglieri presenti alla fine degli anni ‘60 in F.M. VAGLIENTI, “Fidelissimi servitori de Consilio suo Secreto”. Struttura e organizzazione del Consiglio Segreto nei primi anni del ducato di Galeazzo Maria Sforza (1466-69) , in “Nuova Rivista Storica”, LXXVI, 1992, 645-708. 25 Grazie a questa relazione, da cui nasceranno tre figli, la nobile e potente famiglia milanese accresce vistosamente il suo potere. Uno zio di Lucia, Michele, vescovo di Tortona dal ‘61, poi di Piacenza, avrà anche il titolo di consigliere segreto, lo zio Giovanni Antonio era arciprete di S. Maria al Monte di Varese, un terzo zio era commendatario gerosolimitano di S. Maria della Misericordia a Piacenza. Il fratello Fabrizio, prima vescovo di Tortona e poi di Piacenza, era il confessore del duca; una sorella Cecilia, monaca nel monastero di S. Orsola avrebbe cercato di far unire il suo monastero con quello ricchissimo del Cappuccio, contando appunto sull’appoggio del duca, scatenando così l’ira di grandi famiglie milanesi (Piatti, Moresini, Dugnani, Crivelli, della Torre, della Croce, de Comite) che avevano figlie e sorelle al Cappuccio. Lucia era anche parente (nipote ?) di Antonio Marliano, maestro delle entrate straordinarie dal ‘73; costui aveva due figli, uno Ambrogio, studente a Pavia in diritto canonico, divenne precettore di S. Giovanni gerosolimitano a Piacenza e prevosto di S. Giorgio in Palazzo di Milano, l’altro Aloisio era officiale del sale a Venezia e informatore segreto del duca. Lucia era imparentata con Giorgio di Zonfrino Marliani, cameriere ducale, e con i fratelli Marco, Antonio e Melchione Marliani; Marco era stato nominato da Galeazzo Maria castellano a Trezzo e consigliere segreto dal ‘69, Antonio dal ‘68 maestro delle entrate ordinarie, poi consigliere segreto al posto del defunto fratello Melchione; Melchione (il terzo fratello) dal ‘69 consigliere segreto, per le careze (del duca)- si diceva- vive in tanta superbia che pare essere un altro Cosimo de Medici; un figlio di Melchione, Aloisio, era cameriere di camera del duca. 26 La riforma del 1488, che sembra estesa alle altre magistrature centrale, non è conosciuta, né è stata studiata; mi è stata gentilmente segnalata da Francesco Somaini che l’ha rinvenuta nel carteggio diplomatico estense. 7 consiglieri come commissari nelle città o ambasciatori residenti presso gli stati italiani; nonostante questo provvedimento l’organo risultava inadatto alle funzioni consulenti che pure aveva avuto un tempo, costringendo il duca a creare una struttura politica nuova, il Consiglio di Stato (costituito dai Consiglieri di Stato, dal castellano di Porta Giovia, dal primo segretario, dal maestro generale di Casa, dal camerlengo responsabile delle fortezze, dai commissari generali sulle genti d’arme), che lo affiancava nelle scelte politiche 27 .

Il Consiglio di Giustizia Magistratura già viscontea, delegata a trattare le cause esclusivamente inerenti la giustizia, costituita da pochi giureconsulti, che dopo un certo numero di anni venivano trasferiti al Consiglio Segreto, è fortemente limitata nelle sue competenze da Galeazzo Maria. Composto prevalentemente da milanesi, che avevano esercitato come maestri delle entrate, vicari e sindacatori generali, avvocati fiscali, e che saranno in parte impiegati dal Moro come ambasciatori, essendo il numero dei consiglieri cresciuto a dismisura a fine Quattrocento (cinque secondo Ludovico era il numero ideale), a partire dagli anni ‘80 diventa l’approdo dei giureconsulti milanesi, membri delle famiglie che praticavano nelle Cancellerie, nel Consiglio Segreto, negli offici finanziari e militari, come i Brivio, i Bossi, i Cusani, i Castiglioni, i Feruffini, i Bottigella, i Marliani, i Dugnani: in questa magistratura si possono e si devono cercare le radici del patriziato milanese.

L’Uditore Compito dell’uditore era occuparsi di grazie, cittadinanze e salvacondotti, oltre che di cause particolari che il duca sottraeva in questo modo alle magistrature ordinarie. Riguardo alla concessione di grazie però l’uditore sembra subordinato ad altre magistrature; infatti doveva informare delle richieste il Consiglio di Giustizia, se si trattava di grazie per cause private e di privati, il Consiglio Segreto, se riguardavano cause dello stato o concernenti entrate. La carica era temporanea, soggetta alla discrezionalità del duca e della duchessa, che aveva anch’essa un proprio uditore. In genere giureconsulti, venivano scelti dal duca tra i membri del Consiglio Segreto; mentre la duchessa, come è evidente da un elenco di 20 nomi, ripartiti per città, li sceglieva all’interno di una rosa più ampia, composta da avvocati fiscali, podestà e vicari- sindacatori. Francesco Sforza appena nominato duca aveva più uditori, già suoi segretari doctores ; uno di questi, Angelo da Rieti, preposto alla cancelleria giudiziaria, sarebbe stato nominato anche consigliere segreto. Avevano registri particolari e una propria cancelleria.

I Maestri delle entrate ordinarie È la più importante magistratura finanziaria 28 di controllo, che ha cura e conoscenza di tutte le entrate ducali; subisce tuttavia alcune limitazioni a partire dal ‘69, quando Galeazzo Maria istituisce un solo tesoriere generale e trasforma la tesoreria da semplice ufficio contabile a banca. I Maestri tengono nota delle entrate e delle spese delle singole città e ricevono per questo rendiconti mensili dai referendari cittadini, officiali della cui nomina si occupano personalmente, curando che siano circumspecti, prudentes, intratarum et datiorum peritiam habentes et experti, avendo anche l’autorità di revocarli e sostituirli. Poiché la città di Milano non ha un suo referendario curano l’appalto degli incanti dei dazi della città, insieme con un maestro delle entrate straordinarie, con il referendario generale e con il giudice dei dazi di Milano.

27 Interessante il rapido profilo tracciato da D. M. BUENO DE MESQUITA, The Privy Council in the Government of the Dukes of , in Florence and Milan: comparisons and relations, Firenze La Nuova Italia 1989, I, 135-56. 28 Le competenze delle magistrature finanziarie sono tratte da un regolamento emanato da Filippo Maria Visconti nel 1445 e riconfermate da Francesco Sforza (LEVEROTTI, Diplomazia e governo dello stato. I “famigli cavalcanti” di Francesco Sforza, 58); il testo visconteo conservato alla Biblioteca Trivulziana, codice 1210, è stato pubblicato da C. SANTORO, Ordini di Filippo Maria per l’amministrazione delle entrate ducali, in Studi in onore di Amintore Fanfani, Milano Giuffrè 1962, III, 465-92. 8 Annualmente, a gennaio, valutano le entrate e le spese dello stato, sulla base di un “quadernetto” compilato e sottoscritto dal ragioniere generale 29 , e decidono con persone idonee e con i referendari della corte i modi possibili per recuperare denaro nel caso valutino le entrate insufficienti ai bisogni. Insieme al duca decidono se e come pagare i salariati (provvedimenti frequenti erano il pagamento differito, la sospensione del pagamento per un mese, duodecima , o anche per più mesi, e il capsoldo , cioè una trattenuta di 12 denari per fiorino), segnalano ai ragionieri l’ammontare degli stipendi, trasmettendo copie di questi al tesoriere generale, e ai ragionieri della carta e del papiro. Fino al ‘69 si preoccupano di trasferire alla tesoreria generale i soldi che essi e i referendari percepivano; dopo il ‘69 avallano con i loro mandati i soldi introitati o spesi dalla tesoreria generale. Giornalmente ricevono la nota delle entrate e delle spese fatte dal tesoriere generale di cui rivedono i conti ogni mese; controllano anche le spese dei sescalchi e degli spenditori di corte che dovevano inviare ogni giorno la nota delle spese, a meno che il duca si trovasse fuori Milano; in questo caso la nota arrivava ai Maestri tramite il referendario della città. Davano corso ai restauri , ovvero ai rimborsi decisi dal duca e curavano che i ragionieri del papiro scrivessero in un libro apposito tutti gli oneri e le esenzioni concesse. Spetta infine a loro curare le ragioni finanziarie delle terre prive di referendari e tesorieri.

I Maestri delle entrate straordinarie Si occupano della composizione ed esazione di multe e condanne (questa, anzi, nel periodo di Galeazzo Maria diventa l’attività principale), della liquidazione dei beni confiscati, del patrimonio personale del signore, dei navigli e delle acque in genere, del contrabbando di biade, del commercio dei guadi, dell’appalto di uffici, delle tasse straordinarie imposte a esenti e feudatari, dei feudi e delle terre separate, delle quali ultime in particolare introitavano le entrate. I soldi che ricevevano venivano gestiti da un tesoriere, abolito da Galeazzo Maria. I tre maestri, di cui uno giurisperito, portati a cinque da Galeazzo Maria, che riforma radicalmente questa magistratura non solo quanto alle competenze, ma soprattutto quanto agli uomini (licenzia i vecchi maestri e sottopone i nuovi al controllo di un segretario di Camera e di un cancelliere) 30 , erano affiancati da notai, ragionieri, avvocati e sindaci fiscali e un ingegnere.

Il Referendario generale Funzionava probabilmente da supervisore dei referendari cittadini e a Milano sostituiva il locale funzionario che era stato abolito (cura infatti con i maestri delle entrate e il giudice dei dazi l’appalto dei dazi della città). Nel 1450 venne eletto a questo incarico il tortonese Giovanni Botta, già referendario a Pavia con Filippo Maria Visconti, in sottordine però a ser Antonio Minuti detto Longo, vecchio cancelliere di Francesco, cui era stata delegata anche la cura del sale, presto nominato regolatore generale delle entrate. Galeazzo Maria mantenne il Botta referendario generale e responsabile del sale e lo promosse dal ‘68 maestro delle entrate ordinarie, ma nella cura del sale e della referendaria generale gli affiancò fin dal ‘66 il mercante e famiglio cavalcante del padre Facio Gallerano, dal ‘76 anche maestro delle entrate ordinarie. L’officio, di cui ignoriamo le competenze, è affidato a persone particolarmente legate al duca, già cancellieri ducali (Agostino Bernardigio, Enea Crivelli, Tommaso Brasca), o maestri delle entrate (Giovanni Cusani), e per alcuni anni al fratello del primo segretario, Gabriele Calco.

29 A partire dal ‘69 sarà compito del tesoriere generale preparare trimestralmente dei preventivi di entrata per l’anno seguente e per il successivo (F. LEVEROTTI, Scritture finanziarie dell’età sforzesca , in Squarci d’archivio sforzesco. Mostra storico-documentaria , Como New press 1981, 123-137, 128-9). 30 La magistratura è stata studiata, limitatamente agli anni di Galeazzo Maria in LEVEROTTI, “Governare a modo e stillo de’ signori...” , 43-83. 9 Il Ragioniere generale Tiene conto delle entrate e delle spese e cura che i ragionieri alle sue dipendenze, ragionieri delle bollette a papiro , ragionieri delle bollette ad cartam , cioè delle entrate e delle spese, ragionieri alle spese consumate, facciano le scritture dovute e che il tesoriere generale non sia negligente nell’indicare i denari introitati (denari che vengono imputati a debito al tesoriere) in modo da poter conoscere la somma esatta presente in cassa. A questo scopo riceve ogni giorno dal tesoriere la nota di entrata e spesa giornaliera, che scrive in un libro per evitare di fare ordini di pagamento maggiori di quanto dispone il tesoriere. Il suo notaio annota in un registro apposito le assegnazioni fatte, specificando persona, quantità, causa e debito assegnato con eventuale interesse. I ragionieri dislocati nelle città (v. offici locali) hanno l’incarico di scrivere le entrate e le spese e obbediscono nell’ordine ai Maestri, ai referendari cittadini e al ragioniere generale. Nel caso in cui si debbano avere soldi dalla camera i ragionieri fanno una scritta o recipiat indirizzata al tesoriere generale in cui si indica persona, quantità e causa, e mettono la cifra in debito al tesoriere e in credito a chi la deve ricevere. La carica affidata per 17 anni a Giulino Vimercati, allontanato con l’incarico di maestro delle entrate, da cui fu bruscamente licenziato poco dopo, viene affidata da Galeazzo Maria ad un parmense Antonio Carissimi che la ricopre fino alla morte. Ma la ristrutturazione della tesoreria generale ne aveva fatto un modesto ufficio contabile.

Il Tesoriere generale Fino al ‘68 riceve soldi e fa pagamenti dietro il recipiat dei ragionieri e trasmette giorno per giorno entrata e uscita al ragioniere generale e ai Maestri ordinari; ogni mese, a richiesta dei Maestri, mostra loro i suoi conti. A partire però dalla nomina a tesoriere generale del cameriere ducale e mercante piacentino Antonio Anguissola l’ufficio diventa il centro di affluenza e di spesa di tutto il denaro: per eius viam transeat universa intratarum receptio quam expensarum et solutionum distributio. Il tesoriere viene così affiancato da un gruppo di otto officiali, addetti rispettivamente a ricevere il denaro, a pagare, a tenere il libro mastro, a scrivere il libro tabuli , a tenere il libro delle truppe, a tenere il libro dei famigli, a tenere nota del dato e ricevuto e delle bollette, a tener nota delle ragioni della camera straordinaria e delle altre città. La costituzione della tesoreria generale ora ufficio “non de papiro, ma de’ denari”, avrebbe portato alla soppressione della tesoreria che funzionava presso la camera dei Maestri delle entrate straordinarie. Affidata al fiorentino Boccaccino Alamanni e ai suoi figli fino al ‘59, gestita per sei anni dal mercante di origine senese Bartolomeo Gallerani, per quattro anni fu diretta da Giovanpietro Medici da Seregno costretto a lasciarla da Galeazzo Maria 31 . L’ufficio venne concesso al cameriere ducale e mercante piacentino Antonio Anguissola e alla sua morte, sempre de mente de Galeazo , ad Antonio Landriani, membro di una ricca famiglia di banchieri e prestatori milanesi che l’avrebbe retta fino alla fine del secolo 32 .

Il Capitano di giustizia o Esecutore La magistratura, creata all’inizio del Quattrocento, ancora ora poco conosciuta 33 , fin dall’inizio soggetta a modifiche e trasformazioni, come mostrano i diversi appellativi con i quali è nota nel periodo visconteo (“vicarius generalis et exequtor”, “capitaneus generalis et exequtor”), nel periodo sforzesco sembra sdoppiarsi; infatti a partire dagli anni di Galeazzo Maria troviamo registrato tra gli officiali un “esecutore” distinto dal capitano di giustizia. Quest’ultima era una magistratura giudiziaria di nomina ducale, affidata a un dottore giureconsulto, nata probabilmente con lo scopo di limitare le competenze del podestà di Milano, cioè della magistratura cittadina cui spettavano le competenze giudiziarie nella stessa città. Ovviamente ciò portava a sovrapposizioni e contrasti; per questo motivo Filippo Maria Visconti ribadì in un decreto del 1445 che il capitano di giustizia non

31 Sforzesco, 884, ‘68 maggio 27; referendario e maestri delle entrate chiedono al duca di riconfermare il tesoriere. 32 La scelta di questo ramo dei da Landriano non è chiara; non è da escludere che appartenesse a questo gruppo familiare la prima amante di Galeazzo, Lucrezia, sposa di un Pietro Landriani, da cui il duca aveva avuto tre figli. 33 Per una prima introduzione M. SPINELLI, Il capitano di giustizia durante la prima metà del Quattrocento. Spunti e riflessioni , in L’età dei Visconti. Il dominio di Milano tra XIII e XV secolo , Milano La Storia 1993, 27-34. 10 si doveva impacciare di civile né di criminale, se non in casi gravi e pertinenti allo stato, anche perché questo giudice aveva ampio arbitrio, non essendo, a differenza del podestà, obbligato ad osservare gli statuti cittadini, né la ragione comune 34 . Nel 1450, al momento della nomina di Galeotto Ratti, si confermò che il capitano di giustizia non si doveva intromettere nelle cause civili e criminali che non fossero attinenti a fatti di stato o commissionategli dal duca, e si precisò che se il podestà aveva una buona famiglia gli sarebbero bastati 25 famigli 35 . L’incarico nel periodo sforzesco è affidato a giuristi forestieri dal 1450 fino alla caduta del Simonetta (1480); il bolognese Giovanni Angelelli lo ricopre dal settembre ‘51 fino a ottobre ‘72, quando viene nominato commissario di Piacenza, probabilmente per rimuoverlo da Milano. A partire da questo anno però gli ufficiali, anche del ducato, che si alternano, lo eserciteranno per periodi molto brevi, all’incirca un anno, probabilmente a causa delle ampie prerogative che la magistratura aveva assunto con Galeazzo Maria, divenendo il braccio giudiziario extralegale del duca. Non è un caso che Borrino Colli venisse incaricato, mentre era in carica, del processo a Cicco Simonetta 36 .

Le cancellerie delle magistrature centrali Consiglio Segreto e di Giustizia, Uditore, Tesoreria generale, Maestri delle entrate ordinarie e straordinarie avevano ciascuno una propria cancelleria costituita, in ordine di importanza decrescente, da segretari, cancellieri, coadiutori, scribi e uscieri, oltre ad alcuni ragionieri, presenti ovviamente nelle magistrature finanziarie. Trattare di questa burocrazia minore significa innanzitutto operare una netta distinzione tra le cancellerie dei Consigli Segreto e di Giustizia, e le cancellerie finanziarie. Nel primo caso infatti, essendo tali magistrature di un notevole rilievo politico, i funzionari nominati erano tutti uomini fedeli allo Sforza, “nuovi” rispetto al corpo burocratico visconteo, spesso esterni al ducato, e per questo stesso motivo capita anche che i vertici di queste cancellerie vengano in genere sostituiti nei momenti di successione ducale; la cancelleria del Consiglio Segreto in particolare risulta anche il punto di approdo dei membri della Cancelleria Segreta caduti in disgrazia o allontanati dopo la morte del duca. Nel 1450 lo Sforza, nel momento in cui ridà vita all’impalcatura amministrativa viscontea, sceglie gli stessi cancellieri del suocero per non pregiudicare il buon funzionamento dell’apparato amministrativo centrale, e, quando pochi mesi dopo, per questioni di bilancio, deve ridurre l’organico, mantiene quelli “magis docti et pratici”. In queste cancellerie non si attua così la frattura con il precedente regime, evidente invece ai vertici degli offici centrali; inoltre risultano chiaramente altre due caratteristiche: questi uffici tecnici, concessi a vita, diventano “familiari”, perché nel momento in cui un funzionario muore o viene promosso, o spostato, il suo posto viene ricoperto da un fratello, da un figlio, da un genero, spesso pratici dell’officio perché servivano come scribi, o vi lavoravano senza una regolare assunzione. Possiamo perciò parlare di dinastie familiari che monopolizzano, almeno fino alla conquista francese, questi offici minori. Ma la successione familiare è talora presente, anche se non è la norma, ai vertici degli uffici centrali: Bernardino di Castelsanpietro (dal ‘74 coadiutore del Consiglio segreto) occupa il posto del padre Francesco, maestro delle entrate dal ‘50 all’82. Così, quando nel 1498 il Moro nomina referendario generale Tommaso Brasca, già capo dei cavallari, lo sostituisce a capo delle poste con il fratello Giovanni che esercitava come collaterale generale; e quando un terzo fratello, Santo, si assenta per andare a visitare il Santo Sepolcro, sarà il fratello Erasmo, coadiutore nella Cancelleria segreta, a sostituirlo nell’incarico di cancelliere delle entrate ordinarie.

34 B.A.M., S 210 inf, cc. 193, lettera del Consiglio segreto al duca contro le intromissioni del capitano di giustizia, 1452 gennaio 10. 35 Uffici e Tribunali Regi, p.a., 7; come annota Santoro la sua famiglia era composta da sei cavalieri, un vicario, un cancelliere, due collaterali e un connestabile con 24 provvisionati. 36 Giureconsulto di famiglia alessandrina, figlio di Corrado Colli e Maddalena Porri, tramite la madre è imparentato con Rinaldo Varadeo cancelliere alle entrate e con il sindaco fiscale Candido Porri. Col ‘69 inizia una prestigiosa carriera amministrativa come podestà di Tortona, Bellinzona, Novara, Pontremoli; capitano di giustizia di Milano dal dicembre ‘79, dall’80 consigliere segreto, è successivamente commissario a Cremona, Piacenza e Parma e podestà a Genova 11 Certamente colpisce nelle cancellerie finanziarie la continuità per almeno mezzo secolo dei Brugora (Pietro e Aloisio), ragionieri al papiro e alla carta, dei da Prato (Giovanni, Cristoforo, Gregorio, Stefano, Bartolomeo) pure all’ufficio carta come i Varadeo (Rinaldo, cognato del sindaco fiscale Candido Porri, e Ambrogio), o il breve, ma intenso periodo di favori e di uffici dei Panigarola 37 , o ancora la dinastia degli Schiaffenati 38 . In genere la lunga permanenza nell’officio fa sì che si percorra tutta la carriera da coadiutore a ragioniere e che i figli o i fratelli subentrino nei gradini più bassi, con qualche eccezione 39 . Talora è il padre, ancora in vita, ma anziano, a chiedere al duca di lasciare il posto ai figli. Ad esempio, Gabriele della Croce, officiale alle munizioni e al vettovagliamento delle fortezze dal ‘50, chiede nel ‘77 di lasciare per anzianità (morirà poco dopo) l’officio ai figli Giovanni Ambrogio e Geronimo che già lo praticavano; alla sua morte anche gli altri due figli, Giovanni Andrea e Bartolomeo, che era coadiutore alla cancelleria delle entrate ordinarie, lo chiedono ed eserciteranno tutti e quattro. Ma troviamo anche il padre che promuove l’assunzione del figlio al gradino più basso, come Andrea Oppreno, cancelliere della camera straordinaria dal ‘54, che ottiene per il figlio Giovanni (ragioniere dall’85) la nomina a coadiutore, facendo forza sul precedente di Tomeno Schiaffenati che aveva avuto il figlio Agostino prima suo coadiutore, indi suo sostituto 40 . Lo stesso Andrea avrebbe nel ‘61 affiancato il figlio dell’esattore generale Paolo della Padella, subentrato nell’incarico al padre Tibaldo, in forza di non chiari rapporti di parentela che li legavano 41 . Ma come le promesse non sempre vengono mantenute 42 , così l’avvicendamento padre-figlio può non essere ben visto dal duca 43 . Certamente l’influenza di un padre o di un fratello, o il favore del duca, spalancano le porte della burocrazia ai familiari e favoriscono avvicendamenti e successioni spesso al di là degli offici tecnici delle cancellerie. Alcuni pochi esempi: tre fratelli da Busti ricoprono l’ufficio di collaterale generale, in successione, dal ‘72 al ‘99; i Morigia, padre e figli, sono soprastanti alla zecca dal ‘70 al ‘99. Alessandro Castiglioni, fratello di Paolo, maestro delle entrate ordinarie dal ‘50, esercita come referendario dal ‘50, indi come podestà; dei suoi figli Giovanni Antonio, notaio, entra alla camera fiscale di Milano come coadiutore di Giacomo Perego, il sindaco fiscale, di cui sposa anche una figlia, Maddalena; gli altri ricoprono offici nella burocrazia centrale: Benedetto è avvocato della Camera, Dionigi e Giovanni Giacomo sono procuratori fiscali e il notaio Michele lavora in Cancelleria segreta.

37 Giovanpietro Panigarola, famiglio dal ‘65, poi famiglio cavalcante, indi ambasciatore residente in Borgogna, poi cancelliere della Cancelleria segreta ed infine segretario del Consiglio Segreto, aveva quattro fratelli: Cristoforo, Aloisio, Francesco e Pietro. Aloisio, coadiutore alle entrate straordinarie dal ‘61, fu promosso nel ‘66, grazie al fratello, cancelliere del Consiglio Segreto, riuscendo a farsi sostituire nel precedente incarico dal parente Gaspare, poi coadiutore della cancelleria del Consiglio Segreto; alla morte di Giovanpietro Aloisio lo sostituì come segretario del Consiglio Segreto. L’altro fratello, Pietro, subentra al fratello Aloisio come coadiutore della Cancelleria del Consiglio Segreto; nell’83 un terzo fratello, Francesco, diventa coadiutore alle entrate straordinarie. Grazie a Gottardo Panigarola (non imparentato con la famiglia sopracitata), cancelliere addetto al guardaroba ducale, il padre ebbe l’incarico di sindaco del comune di Milano dal ‘76. 38 Tommeno Schiaffenati, è ragioniere alla camera straordinaria dal ‘50 al ‘59; gli subentra il figlio Giovanni Antonio che esercita fino al ‘65, anno in cui entra il fratello Agostino. Costui, dal ‘58 ragioniere alle spese consumate, poi ragioniere al papiro, diventa nel ‘90 contrascrittore generale del sale, officio che esercita con i figli Ambrogio (dal ‘95) e Giovanfrancesco (dal ‘99), mentre un terzo figlio, Giovanni Agostino era dal ‘92 coadiutore alle spese consumate, lo stesso ufficio in cui aveva iniziato la carriera il padre. Sono ignoti i rapporti di parentela con Uberto, ragioniere della camera straordinaria nel ‘50, e Bartolomeo, coadiutore dei ragionieri al papiro, poi ragioniere alle dipendenze del ragioniere generale. 39 Cristoforo Marliani è ragioniere alla carta dal ‘50 al ‘56; gli subentra il figlio Giacomo, dal ‘54 coadiutore dei ragionieri al papiro, che lascia il suo posto al fratello Giorgio. Giacomo rimane all’ufficio di ragioniere fino al ‘99, quando muore; i tre figli ottengono “ per onore della casa e per i meriti del padre “ di essere nominati allo stesso ufficio del padre, anche se uno solo avrebbe dovuto esercitare. 40 Famiglie , 170. 41 Registri ducali , 130. 42 Registri Missive , 89, sono promessi posti di coadiutore a a Francesco Visconti e Francesco da Cannobio, rispettivamente figli dei segretario del Consiglio Segreto, Giovanni e Antonio. 43 Il 4 giugno 1471 il Consiglio di Giustizia chiedeva che il coadiutore Giacomo Antonio, figlio del defunto segretario Francesco Giochi, subentrasse al padre ( Sforzesco , 900), ma il duca nomina un altro. La famiglia rifiuterà allora di consegnare le carte riguardanti l’ufficio che aveva in casa ( ivi , giugno 109). 12 Una lunga continuità, favorita dalle relazioni di parentela, fittamente intrecciate e intricate anche grazie ai matrimoni, fa sì che poche famiglie amministrino per svariati decenni lo zoccolo duro della burocrazia centrale. Alle dinastie dei ragionieri e dei cancellieri delle magistrature finanziarie possiamo aggiungere i Gazada, notai della camera straordinaria dal ‘60 all’87, i Perego, sindaci fiscali dal ‘50 all’80, i Castano notai dei sindaci del comune di Milano dal ‘59 al’91. Le raccomandazioni di parenti e amici sembrano invero una prassi particolarmente intensa nel ‘50, quando lo Sforza, per ricompensare i suoi fautori e pagare così i suoi debiti, destina gli uffici periferici a personaggi il più delle volte ignoti, ma seguiti dall’illuminante “instante” e il nome del sostenitore. Un elenco di offici conserva questa sequela di nomi dal ‘50 al ‘54, con incarichi annuali e semestrali, ma un riscontro con le nomine realmente avvenute ha mostrato come pochissimi dei raccomandati, e solo nei primi due anni, avessero avuto l’ufficio. Tuttavia il costume delle raccomandazioni sembra duro a morire, anche in un clima politico di maggiore robustezza, come mostrano questi pochi esempi. Per “compiacere” Alessandro Colletta, cancelliere della Cancelleria Segreta, si concede al fratello la contrascrittoria della gabella del sale di Cremona; Gaspare da Vimercate, il potente conte di Valenza, ottiene per Stefano da Vimercate la nomina a ragioniere della Camera straordinaria e il subentro del di lui figlio Giovanni, in caso di morte. Antonio da Besana, maestro delle entrate straordinarie, chiede che il genero, Raniero da Settala, collabori per inventariare le carte dei revisori; Giovanni Botta, maestro delle entrate e referendario generale, ottiene che alla morte di Geronimo Botta, certamente un suo parente, il posto di coadiutore della cancelleria del Consiglio Segreto sia preso dal genero Giovanpietro da Figino; quando Leonardo Astolfi lascia la coadiutoria della cancelleria del Consiglio Segreto ottiene che Bernardino Astolfi gli subentri. Il fatto di ricoprire l’incarico a vita fa sì che facilmente si percorra in questi uffici la scala gerarchica da scribi a segretari; il Moro stesso auspicava per i posti di cancellieri e ragionieri persone capaci e preparate, da reclutarsi nell’ ambiente di corte, e ne tracciava una carriera ascensionale perché “promuovendosi de grado in grado dall’uno offitio all’altro maiore cresca l’animo de ben servire cum la speranza de possere crescere etiam in honore”. Alcuni esempi: Artaldo de Oxii, nel ‘52 coadiutore del ragioniere alla carta, nell’81 è ragioniere della camera straordinaria, e dieci anni dopo subentra il genero Giovanni Stefano Belabucchis. Ubertino Ghiringhelli è dal ‘50 al ‘64 coadiutore delle entrate straordinarie, nel ‘71 cancelliere e dal ‘77 ragioniere generale della camera ordinaria.

Gli officiali del sale L’officio che si occupava della più importante entrata dello stato è completamente sconosciuto; non solo si ignorano i meccanismi di funzionamento, ma non si conoscono neppure gli appaltatori del sale. Santoro infatti registra solo l’amministratore generale del sale, un ragioniere, un cancelliere e alcuni servitori, oltre ai funzionari della canepa delle diverse città, ma sappiamo che vi erano anche appaltatori di sale per le terre diverse e per il sale bergamino. Dal regolamento del 1445 è noto che c’era un amministratore del sale che, con il consenso dei Maestri delle entrate e dei commissari sul sale, doveva comprare sale a miglior prezzo e farlo condurre a Pavia e poi dare in appalto la condotta del sale da Pavia a Milano. Gli amministratori erano probabilmente ricchi mercanti che prendevano l’ufficio in appalto anche con dei soci e lo gestivano per diversi anni: i de Comite lo tengono per dodici anni, cinque anni ciascuno il Melzi e il Morigia, pochi mesi il Beaqua che morì improvvisamente, meno di un decennio Giovanni Varesino, ancora un decennio i Cagnola e il potente Ambrogio de Curte. L’insufficienza degli studi non permette però di andare oltre questo scarno elenco di nomi, né di portare alla luce il nesso tra servizio pubblico e ricchezza privata, le molte interferenze, i reciproci condizionamenti e ancora meno ci consente di valutare il ruolo degli uomini d’affari nella formazione dello stato, la creazione o meno di uno spazio economico coincidente con il ducato, anche se la matrice fortemente cittadina fa ipotizzare le presenza di molteplici interessi particolaristici. Da non trascurare è anche il fatto che molti appaltatori ricoprono contemporaneamente l’ufficio di soprastante alla zecca ducale.

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I Vicari e sindacatori generali Sono due uffici distinti, talora associati in una sola persona: tutti i sindacatori infatti erano anche vicari, mentre un vicario poteva non essere sindacatore. Vicario è un appellativo generico che indica un sostituto, mentre sindacatore è l’appellativo pertinente a quel gruppo ristretto di magistrati delegati ad esaminare l’operato degli ufficiali alla fine del mandato. Questi officiali dipendevano negli anni di Francesco e Galeazzo Maria dalla Camera straordinaria, negli anni del Moro invece direttamente dalla Cancelleria segreta addetta alla giustizia. Si tratta di pochi funzionari: non più di una decina 44 ; in genere giureconsulti che hanno praticato come vicari di podestà, come podestà o avvocati fiscali 45 . Fino agli anni ‘80 provengono da tutte le città dello stato ed alcuni sono anche forestieri 46 ; Ludovico il Moro nel Testamento ne prevede solo quattro: tre forestieri e un milanese “per dare questo honore alla città primaria e lasciare ai dottori di Milano di poter ascendere a dignità per virtù”. La loro nomina sembra spettare al Consiglio Segreto47 , ma è evidente che l’ultima parola è quella del duca. In qualità di vicari sostituiscono temporaneamente i magistrati periferici, assenti o lontani 48 , sentenziano (“in rebus magni ponderis ius reddere”) e dirimono controversie sorte tra i singoli e le comunità; compongono le liti nate tra i feudatari e la popolazione, tra gli officiali e la popolazione 49 ; esercitano come sindaci fiscali 50 ; fungono da consultori degli officiali del divieto51 ; sono inviati in ambascerie 52 ; ma la loro funzione precipua è sindacare gli officiali. Mentre nel periodo sforzesco esercitano il sindacato sugli officiali ducali periferici, nel periodo visconteo sembra loro affidato anche l’incarico di sindacare gli officiali comunali 53 . Nella veste di sindacatori valutano di volta in volta l’operato di diversi funzionari, che hanno esercitato in una ben definita area geografica 54 , che non coincide mai, naturalmente, con la loro città di provenienza; mentre sono in carica come sindacatori svolgono anche le funzioni di podestà della stessa località, con il titolo di vice-podestà, per impedire inquinamenti di prove 55 .

44 Francesco Sforza nel ‘55 ne aveva previsto solo sei (B.A.M., S 210 inf., cc.175-9). 45 Quando nel ‘74 il Consiglio Segreto propone Giovanni Antonio Sparavara come sindacatore si precisa che si era ben comportato a Genova come vicario del pretore e come vicario generale; il nostro era stato anche giudice dei malefici a Savona e nel ‘72 podestà di Alessandria. Avvocati fiscali erano stati Ruggero de Comite, Antonio da Besana e Cristoforo Ghegli, mentre Smiraldo Biffoli da Firenze aveva esercitato per molti anni come vicario del podestà di Milano. 46 Si veda ad esempio l’elenco dei sindacatori prescelti dal Consiglio Segreto nel 1468 settembre l5; erano di Milano: Ghigli, Geroldo Olivi, Ruggero de Comite, Antonio da Besana, Baldassarre de Comite; di Como Filippo Casanova; di Pontremoli Giacomo Pellizzari; di Novara Matteo Biscaccia e Bartolomeo della Porta; di Pavia Francesco Sannazzaro; di Lodi Antonio da Gandino e Giovanni Bassiano Micoli; di Firenze Smiraldo Biffoli ( Comuni , 50). 47 Oltre al documento sopraccitato si veda in Sforzesco, 922, ‘74 gennaio 11 l’approvazione da parte del Consiglio Segreto di Luchino Feruffini, fratello del segretario della Cancelleria Segreta Filippo. 48 Il vicario generale Antonio da Besana fu nominato vice-podestà e commissario di Pavia nel 1467, quando il podestà Carlo da Norcia lasciò l’incarico, perché era stato multato di 40 ducati per non aver voluto donare bracchi e uccelli al duca, come era consuetudine ( Sforzesco , 845, ‘67 ottobre, 10). 49 In Registri Missive, 99 il Biffoli media tra i consorti Crivelli e gli uomini di Magenta; in Comuni, 42 Luchino Feruffini interviene nella lite tra Galeazzo Beccaria, capitano e castellano, e il comune di Melegnano; in Registri Missive, 66 Antonio Lante di Siena media tra la famiglia Carnevali e Casalmaggiore. In B.A.M., Pergamene , 6655, Giovanfrancesco Mangano è incaricato nel 1455 di fare l’estimo della pieve di Garlate. 50 Registri Missive, 81 Bartolomeo Acerbi viene mandato sindaco fiscale a Parma. 51 Comuni, 63: lo Schiffi collabora con l’officiale del divieto Taddeo da Cremona. 52 Giustiniano Cavitelli va a Genova, Siena, Bologna, Gerardo Colli a Bologna, Ziliolo Oldoini in Savoia e in corte di Roma. 53 G. P. BOGNETTI, Per la storia dello stato visconteo , in”Archivio Storico Lombardo”, 1927, 237- 358; nel 1444 il bolognese Nicolò Bianchini ha questo incarico (doc. n. 363) 54 Sforzesco, 898 (1471) Besana sindaca i podestà di Piacenza, Alessandria, Tortona e Pellegrino; Baldassarre Corti quelli di Novara, Vigevano, Bassignana e Valenza; Giacomo Pellizzari quelli di Lodi, Saronno, Busto, Gallarate, Desio, Melzo, Trezzo, Cassano, Monza; Barbavara quelli di Parma, Cremona, Caravaggio e Treviglio; il Micoli quelli di Como, Porlezza, Gravellona e Menaggio; Biffoli quelli del Lago Maggiore, Tirana, Valsassina, Bormio, Lugano e Bellinzona, oltre al giudice dei dazi di Milano. 55 Così è esplicitato in Comuni, 78, San Colombano, quando viene cacciato dalla comunità il vicepodestà Erasmo del Vescovo da Lodi. 14 Molti sindacatori – l’ufficio, soprattutto con Galeazzo Maria, è un incarico temporaneo – esercitano tra un’incombenza e l’altra come vicari al seguito di podestà cittadini; capita perciò che, talora, per sindacare gli officiali si debba ricorrere ai sindaci della camera fiscale 56 . Il sindacato degli officiali, provvedimento in uso nello stato visconteo almeno dagli anni ’80, è regolarmente praticato alla fine dell’incarico. Il sindacatore, una volta sul posto, invitava la popolazione a presentare libelli e lamentele, esaminava le prove, ascoltava testi a carico e discarico, ma, prima di emettere la sentenza, inviava la sua decisione al duca, cui spettava l’ultima parola. Se condannato l’ufficiale era costretto a pagare quattro volte tanto 57 , e talora non esitava a fuggire prima della sentenza 58 . Si ha notizia di officiali condannati e non vi è traccia di una loro riassunzione; anzi, quando il Consiglio Segreto è chiamato a confermare le nomine, specifica sempre che l’eletto era stato assolto nei precedenti sindacati; tuttavia un primo regolamento emanato nel ‘55 prevedeva, in caso di condanna, semplicemente cinque anni di lontananza dal servizio attivo. Mancano purtroppo i verbali dei sindacati, anche se alcuni si trovano sparsi nel Notarile 59 , e non possiamo perciò valutare la quantità e il tipo di condanne. Sulla base di alcune sparse fonti possiamo dire che in alcuni casi i sindacatori non sembrano particolarmente esigenti quanto al comportamento degli officiali; tendono a far passare vitio e malitia per imperitia, inadvertentia, negligentia 60 ; pronti a giustificarli, attribuendone le manchevolezze magis infelicitati quam culpe , sottolineandone le ingenuità: “vir modestus et continens... magis sinceritatem columbae quam astutiam serpentis” scrive Roggero de Comite del podestà di Cremona Giovanni Arcidiacono 61 . Viceversa sembrano molto attenti a che le “debolezze” dell’ufficiale non abbiano attentato alla sicurezza dello stato. Michele Sturione propone di condannare il podestà Leonardo Astolfi, colpevole di essersi impossessato di otto sacchi di avena, perché non aveva avvisato di “unioni di uomini”; nella stessa occasione il collaterale viene condannato per un cattivo uso dei pegni e per uno dei 25 processi che aveva istruito contro la comunità circa la manutenzione di strade e ponti 62 . Non stupisce di conseguenza trovare un’assoluzione per Giovanni della Porta, podestà di Pontremoli, “rapinatore e trabutatore”, ma comportatosi bene “nei facti de lo Stato”. Da un resoconto dello Sturione si viene a conoscere dettagliatamente l’iter di un sindacato. Il sindacatore appena giunto a Tortona si consulta con i funzionari del Comune e con alcuni membri del Consiglio generale cittadino per avere la loro opinione sul comportamento del podestà riguardo al fisco e alla comunità, a negozi privati e all’amministrazione della giustizia; poi fissa un termine per la presentazione delle denunce. Preso atto delle accuse dei funzionari comunali: “è collerico, è più ghibellino che guelfo, non ha tenuto sempre il vicario, ha un figlio giovane all’ufficio dei danni dati”, il sindacatore si domanda: “Ha causato disordini? No, tranne il fatto che alcuni non hanno avuto quella tal soddisfatione che avrebbero voluto, la quale – spiega– è però manchamento naturale a tutti gli officiali , che non possono soddisfare tutti, e su molte cose non possono

56 Il 30 gennaio ‘70 il Consiglio Segreto scrive al duca che invia a sindacare il podestà di Casalmaggiore e altri officiali del cremonese, Nicolò Villanterio, sindaco fiscale, pratico ed esperto, perché i sindacatori erano tutti occupati; nell’occasione chiede anche di autorizzare una piccola somma “ per il suo vivere”, recuperabile grazie a condanne o cose straordinarie. Consiglia poi il duca, per non dover provvedere a emolumenti imprevisti, di usare come sindacatori nel pavese e nel lodigiano i vicari degli stessi podestà ( Comuni , 30). 57 Si veda in Comuni, 5 il sindacato di Mariotto da Cremona da parte di Baldassarre Corti. 58 Il podestà di Romagnano, Giovanpietro Pozzobonelli, già podestà di Borgomanero nel ‘59, fugge per evitare il sindacato ( Famiglie , 143, Pietrasanta); da Comuni , 77 (Romagnano) si evince che il Pozzobonelli frodava il sale sequestrato e mandava biade oltre confine. 59 Enrico Roveda segnala in Notarile, 2439, 1476 maggio 10, il sindacato di Baldassarre Corti riguardante il podestà di Tortona Giovanni Giacomo Madregnano e il suo sostituto Andrea Cristiani. Ma non sempre negli atti dei notai si sono conservati questi documenti; risulta, ad esempio, che Pietro Brenna era notaio del sindacatore Antonio da Besana, ma nei suoi atti non vi sono sindacati. 60 Così il Biffoli incaricato di sindacare il capitano del piacentino Antonio da Casate, nel tentativo di addossare le colpe al solo cancelliere ( Sforzesco , 889, ’69 giugno 23). 61 Comuni , 31, lettera del sindacatore al cancelliere della Cancelleria segreta Bartolomeo Calco, 1477 dicembre 21; in questo caso particolare il sindacatore faceva sapere che l’ufficiale aveva pagato molti debiti e fatte molte restituzioni. 62 Comuni , 61, 1479 marzo 11. 15 intervenire perché i processi li hanno i notai”; e, in attesa delle accuse che possono venire dalle denunce di singoli, scrive a Milano 63 proponendo l’assoluzione. Qual è dunque lo scopo di sindacare gli officiali, vista la mano blanda dei sindacatori? “Isti sindicatus – scrive il sindacatore Roggero de Comite – multa operantur bona, timorem incutunt offitialibus et abstinent a malo, bene vivendi normam prestant et populis quoque multum satisfiunt” 64 . Le comunità grandi e piccole spesso sollecitano il sindacato 65 e si lamentano se il sindacatore assolve un officiale a loro giudizio colpevole, non esitando a ricusare il sindacatore, asserendo che un cattivo esempio era premessa per un comportamento scorretto dei futuri officiali, portava danno alla camera fiscale e oppressione ai sudditi 66 . Le comunità ricusano talora immediatamente il sindacatore nominato 67 , ma spesso sono gli stessi officiali a ricusarlo 68 . Le comunità inoltre non esitano a chiedere, anche dopo anni, un secondo sindacato 69 , a ricusare i sindacatori inetti 70 , affermando che è dovere del sindacatore consultare anche avvocati e sindaci fiscali, i quali – si ricordi – erano locali, e ad esperire il sindacato con l’aiuto dei sindacatori eletti dalla città 71 , cercando così di sottoporre gli stessi sindacatori a uno stretto controllo locale, tanto più che il duca posponeva a una retta amministrazione la sicurezza dello stato. Numerose e ripetitive le malefatte dei podestà: ci si appropria dei redditi spettanti alla comunità, non si pagano i fitti dovuti, si barattano i pegni, non si fanno processi nei tempi stabiliti, si vendono i beni sequestrati, in particolare il sale, si esportano fraudolentemente le biade, si assolve senza l’intervento del sindaco fiscale 72 ; mentre aver tenuto continuamente il vicario e una famiglia onorevole, non essersi macchiato di faziosità apre la strada alla richiesta di riconferma 73 .

63 Comuni , 3, lettera del vicario Matteo Sturione sul podestà di Alessandria Maffeo Selvatico. 64 Comuni , 31, 1477 dicembre 12. 65 Comuni , 63, Pallanza contro Giovanstefano Casati che aveva lasciato al suo posto tre luogotenenti; Comuni , 70, Pavia contro Giovanni Pietrasanta (supplica della comunità). 66 Sforzesco , 757, 1461, poiché lo Schiffi aveva assolto il podestà di Piacenza, Giovan Filippo Megli, la città chiede dei sindacatori migliori, i due Corti o Antonio Lante. Ma vedi anche l’avvocato della camera di Pavia Giovanni Ruffino Baracho in Comuni , 70, quando suggerisce di sindacare il capitano dell’Oltrepò, ma chiede che non venga mandato Giustiniano Cavitelli pena oppressione per i sudditi, danno alla Camera... 67 Comuni , 78, San Colombano ricusa il sindacatore perché accusato di amicizia col vicario del podestà, che era stato notaio alla banca di Lodi quando il sindacatore, Giacomo da Pontremoli, era vicepodestà di Lodi. Pavia aveva ricusato all’atto della nomina il sindacatore Roggero de Comite ( Comuni , 70). 68 Comuni , 23; supplica di Antonio de Collis, in cui ricorda il caso del podestà di Castelleone, Giovanni de Burgo, che, avendo ricusato Roggero de Comite, aveva avuto come sindacatore Lorenzo da Pesaro. Il Colli, già vicario del podestà di Cremona, richiede, al posto di Giacomo Pellizzari, alcuni consiglieri segreti (che evidentemente potevano fare anche i sindacatori): il da Pesaro, Agostino Rossi, Antonio da Romagnano. La proposta anomala è da mettere in relazione, probabilmente, con il fatto che il vigevanese, Antonio, di Giorgio Colli, era probabilmente affine del consigliere segreto Gerardo Colli. 69 Comuni , 68; Pavia chiede di sindacare una seconda volta Alessandro Castiglioni, già assolto nel sindacato per la referendaria di Pavia, perché, essendo stato eletto subito dopo podestà della stessa città, la comunità non aveva parlato contro di lui per paura. La comunità accusava in particolare il Cavitelli di averlo assolto perché il fratello era al servizio del duca (era infatti maestro delle entrate) e per la “parentela”, e questo nonostante una lettera inviata da alcuni cittadini e dottori in cui si richiamava l’affinità con il sindacatore; e precisava che molti delitti erano rimasti impuniti, perché erano state fatte composizioni con il Cavitelli. 70 Comuni , 70, Pavia (v. supplica della comunità) ricusa Roggero de Comite che aveva sindacato Giovanni Pietrasanta, podestà della città dal ‘75, per due motivi: era stata richiesta la sua sospensione, come sospetto, prima che iniziasse il sindacato; inoltre non si era consultato né con i sindacatori eletti dalla comunità, né con avvocato e sindaco fiscale. 71 Comuni , 70; a Piacenza erano sette notabili locali ( Sforzesco , 1616), a Parma quattro, mentre a Milano, al tempo del Moro, erano due membri del collegio dei giurisperiti ( Panigarola- Statuti , 12, p.33). 72 Per alcuni esempi: Famiglie , 17 e 187; Comuni , 3, Alessandria, resoconto di Matteo Sturione intorno a Maffeo Salvatico; Comuni, 20, 1492 settembre 6, Giacomo Cella, già capitano di Lugano, scrive al Moro difendendosi dalle accuse che hanno portato lo Squassi a condannarlo: aveva partecipato alla caccia all’orso, aveva assolto uno senza partecipazione del sindaco fiscale, aveva lasciato 80 processi pendenti; Comuni, 34, supplica degli uomini di Dongo contro il podestà Gabriele Corti, lì da dieci anni e negligente; Comuni , 77, elenco delle mancanze di Giovanpietro Pozzobonelli podestà di Romagnano dal ‘63 al ‘67; Comuni , 85, Varese, elenco senza data e nome delle malefatte di un podestà. 73 È il caso ad esempio di Agostino Conago, capitano a Monza ( Sforzesco , 666). 16 Alcuni sindacatori sembrano approfittare della loro posizione per favorire i parenti; Antonio da Besana, ad esempio, dopo aver sindacato il podestà di Pellegrino, Arcangelo del Grande, che ha contro di lui ben 46 libelli, propone come nuovo podestà il cognato Minetto del Torgio 74 . Da ricordare infine il sindacato inusuale di un’intera comunità; Como infatti venne sindacata, al tempo di Galeazzo Maria nel 1471, da Antonio da Besana, perché avrebbe impetrato bolle a Roma per riformare i monasteri femminili senza il permesso ducale: ma si trattava di un pretesto per incamerare a beneficio della Camera una grossa somma di denaro 75 .

I collaterali generali Filippo M. Visconti aveva un solo collaterale generale che insieme ai Maestri ordinari avrebbe dovuto provvedere a far osservare gli ordini del banco degli stipendiari, cioè dei soldati (ordini olim magno libramine confectos ), sia quanto alle modalità di assoldamento e pagamento, sia per le modalità delle mostre. Con Francesco Sforza ci sono due collaterali generali, un collaterale cavalcante, due sottocollaterali, un officiale per le bollette, uno per le licenze, un accusatore; ma il numero varia negli anni. Nel 1477, ad esempio, i collaterali sono ben sei. Compito dei collaterali cavalcanti che dovevano essere fidos, expertos et incorruptibiles , era controllare i soldati al servizio di castellani, capitani, podestà e connestabili e degli stipendiati in genere, almeno ogni due mesi; dovevano poi verificare le munizioni e annualmente controllare i fortilizi importanti o posti al confine per vedere se munizioni e vettovaglie fossero sufficienti e se i castelli necessitassero di riparazioni. Quando Antonio Guidoboni scrive nell’agosto 1449 una lettera a Francesco Sforza su come governare lo stato, gli suggerisce di istituire un consiglio di giustizia, di affidare la gestione di dazi e sale a persone fidate, e di nominare collaterali con lo scopo di sorvegliare castellani, connestabili delle porte e capitani delle cittadelle che servivano assai male 76 . Gli officiali, che ricoprono a lungo, fino alla morte, venendo in genere sostituiti dai figli, sono per lo più milanesi 77 .

Gli officiali alle munizioni Con questo termine generico si indicavano funzionari che dovevano controllare e garantire il rifornimento di biade e munizioni. L’ufficio appare gestito dal 1450 da Gabriello della Croce, nominato nel ‘50 commissario sulle munizioni e biade delle fortezze. Lasciato l’incarico per vecchiezza nel ‘77, lo trasmise ai figli Giovanni Ambrogio, Geronimo 78 , Bartolomeo 79 e Giovanni Andrea che lo tennero per tutto il periodo del Moro. Contrascrittore e cancelliere alle munizioni era dal ‘62 Filippo Corio, che dal ‘74, fino alla morte (ottobre ‘85), esercitò come tesoriere generale dei lavori, incarico cui subentrò il figlio Francesco. Ancora successioni rigidamente familiari troviamo perciò in uffici importanti per la sicurezza dello stato e che richiedevano maneggio di denaro.

74 Famiglie , 17. 75 Comuni, 26. 76 LEVEROTTI, Diplomazia e governo dello Stato, 185-9; Guidoboni, referendario di Cremona nel ‘48, segretario del Consiglio segreto dal ‘51, fu a lungo ambasciatore residente a Venezia dopo la pace di Lodi. 77 Per questi offici militari si veda anche M.N. COVINI, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-80), Roma (Istituto storico italiano per il Medio Evo),1998. Tra i collaterali della prima ora bisogna ricordare Giacomo Olgiati, padre dell’uccisore del duca, in officio dal ‘50 al ‘76; Giovanni Pietrasanta, padre di Francesco, il segretario ducale, ambasciatore in Francia e di Giovanpietro, pure collaterale, poi segretario del Consiglio segreto. E ancora le dinastie degli Arrigoni, dei Busti, degli Orombelli, dei Birago, dei Casate, o il figlio dell’ambasciatore residente in Savoia, Cesare Appiani: poche fedeli famiglie cui veniva demandata l’ispezione dell’apparato difensivo dello stato. 78 Geronimo, cancelliere al sale nel ‘63 (marito di una nipote del collaterale Andrea Birago), venuto in urto con Galeazzo Maria, di cui era aulico, fu confinato per alcuni anni. Lo zio Giovanni era stato precedentemente incarcerato nel ‘70 perché rifiutava di comporre i suoi crediti col duca, il quale voleva rimborsarlo ma soltanto per la metà del debito ( Sforzesco , 894, 1470 giugno 13 il vicario di provvisione a Cicco). 79 Era cancelliere delle entrate ordinarie. 17 L’officiale di sanità L’ufficio centrale riceveva bollettini quotidiani dalle diverse città con l’indicazione dei morti. Gestito da un responsabile on il titolo di commissarius epidemie , era costituito, nel 1450, da un fisico, un cerusico, un barbiere, un notaio, tre famigli, due cavallanti, e un portatore di liste. A partire dagli anni ‘70 viene affiancato da due maestri delle entrate e da due consiglieri segreti. Si conservano nel fondo Popolazione serie di registri, a partire dal 1452, in cui sono annotati i decessi della città di Milano, con nome, età, residenza e malattia del defunto, oltre al nome del medico curante 80 .

LE PRINCIPALI MAGISTRATURE PERIFERICHE Città : Commissario, podestà, tesoriere, referendario, avvocato fiscale, sindaco fiscale, officiale delle bollette, economo dei benefici vacanti, capitano della cittadella, castellano, connestabili delle porte, cavallari delle poste.

Comunità del contado : Podestà; castellano e/o podestà.

Contado : Capitano del contado; officiale o commissario delle biade, officiale sugli alloggiamenti dei cavalli; officiale dei porti.

Il commissario A capo delle città c’è generalmente un podestà, il quale può talora rivestire la carica di commissario (come a Lodi tra ‘73 e ‘76, a Pavia tra ‘70 e ‘78, a Novara dall’89 al ‘95, a Como dall’84), oppure essere affiancato da un commissario. Con la sola eccezione di Milano, che ovviamente, non ha mai un commissario, e di Parma che, data la particolare situazione interna: la città è divisa in fazioni che si combattono tra loro, ha costantemente un commissario, si può tracciare questo sviluppo. Un commissario compare in tutte le città (ma Alessandria e Novara lo avranno poi in comune, sotto la denominazione di commissario dell’Oltrepò) e nelle aree di confine, come la Ghiaradadda e il centro urbano di Pontremoli, dal 1450 fino alla pace di Lodi, ovvero in anni di instabilità politica e di guerra. Il commissario riappare temporaneamente nel ‘66, nel delicato momento della successione, dopo la morte di Francesco; ma, a partire dal ‘69 viene preposto a tutte le città. Per individuare le differenze che passano tra un commissario e un podestà useremo le parole di un consigliere segreto, Lorenzo Terenzi da Pesaro, che era stato commissario a Parma tra il ‘62 e il ‘66: “L’offitio del podestà richiede il sindacato, l’offitio del commissario arbitrio largo e pieno” 81 . Infatti, il podestà, come vedremo, ha mero e misto imperio, si occupa della giurisdizione di cause civili, criminali e miste, può procedere per accusa, denuncia, querela e inquisizione; giudica e condanna secondo gli statuti cittadini e i decreti ducali 82 , ed è sindacato alla fine del mandato. Il commissario invece ha, oltre a mero e misto imperio, la potestà di gladio; può inquisire e procedere contro tutti coloro che attentano alla sicurezza dello stato “tam servata quam non servata statuta”, fino al supplizio, cioè alla pena di morte; ha libero arbitrio, ovvero è sciolto dall’osservanza di qualunque legge; non è sindacato; a lui sono obbligati gente d’arme e feudatari, e la sua giurisdizione abbraccia oltre alla città anche il contado: può infatti “regere, gubernare, corrigere, reformare res omnes urbis et districti” 83 . È ovvio perciò che il commissario compaia nei periodi di guerra, soprattutto nelle località di confine, o quando la vita cittadina turbata da faide

80 Bollettini giornalieri di decessi in Miscellanea Storica e B.A.M., Pergamene. Per una ricerca basata su queste fonti G. ALBINI, Guerra, fame, peste. Crisi di mortalità e sistema sanitario nella Lombardia tardomedievale, Bologna Cappelli 1982. 81 Sforzesco , 885, ‘69 giugno 23; ma si vedano anche le competenze di Giacomo Lonati, commissario a Piacenza con il Visconti, non solo non era sindacabile, ma poteva procedere contro Bartolomeo Colleoni e i suoi soldati con pieno arbitrio: “non tam communis iuris formam et statutorum sequatur, quam de facto procedat et agat” (BOGNETTI, Per la storia dello stato visconteo, n. 202). 82 Registri ducali , 179. 83 Registri ducali , 179. 18 locali mette in pericolo la sicurezza dello stato; così, quando scoppia la rivolta del piacentino nel 1462 il segretario Francesco Maletta governa con il titolo di commissario per ben tre anni. Negli anni di governo di Francesco Sforza l’ufficio del commissario non viene più utilizzato dopo la pace di Lodi, con la sola eccezione di Parma; il ritorno dei commissari nel ‘66, durante la prima successione sforzesca, ha il significato di prevenire disordini e insubordinazioni; viceversa la loro istituzione in tutte le città a partire dal ‘69, dopo la morte di Bianca Maria, ha lo scopo di porre sotto controllo quegli officiali (podestà, referendari, avvocati e sindaci...) che, avendo servito sotto il padre, rappresentavano la continuità di una linea politica rifiutata da Galeazzo Maria: istituendo questi funzionari con pieni poteri, che, svincolati dall’osservanza di ogni legge, rispondevano solo alla sua persona, il duca veniva a porre sotto la sua diretta giurisdizione non solo la città, ma anche l’esercito e i feudatari 84 . Compiti del commissario erano “appianare le fazioni, accordarsi con gli officiali, attendere soltanto alle cose di Stato, badando a lasciare al podestà i processi civili e criminali, a meno che non avesse avuto esplicita delega ducale, visitare le fortezze e le porte della città” 85 . E simili competenze mostra avere anche a fine Quattrocento, quando il Moro nel Testamento suggerisce di usare per il governo delle città consiglieri ducali, capitani o condottieri, che non si devono impacciare di civile, né di criminale, non possono avere vicario, devono stare in carica solo due anni e essere riconfermati dopo un biennio di vacanza. Proprio per la delicatezza del loro compito: attendere alle cose di Stato e controllare che gli officiali si comportassero rettamente, né signori di altri stati, né ambasciatori avrebbero potuto chiedere tale officio o raccomandare qualcuno. Data l’ampiezza delle competenze e il fatto che era insindacabile, il commissario non era ben visto dalle comunità: “sotto nome e scuola di commissario gli officiali fanno rapine, concussioni e trasgressioni” 86 . E per lo stesso motivo non era ben vista neppure l’associazione della carica di podestà con quella di commissario: “se no, non si fa rasone, né si osservano gli Statuti” 87 ; anche se, in alcuni casi, quando le lotte di fazione erano più violente, lo si invocava, rilevando che si sarebbe avuta la “terra disfata se non la si provede de officiali rigidi e che fazano da commissarii” 88 . Inoltre la presenza del commissario comportava un ulteriore aggravio finanziario 89 . Talora venivano concesse le due cariche a una sola persona, ma solo a scopo onorifico, come precisava il duca nella lettera di nomina: “tutto el peso tuo consisterà nell’amministrare la podesteria, per essere la principale cosa, et el titulo de commissario solum datoti a maggiore tuo honore et extimatione” 90 . Ma nel 1495 il Moro ordinava di separare i due offici (facendo riferimento alle città di Novara, Como e Lodi ove una sola persona esercitava le due cariche), così che i podestà potessero essere sindacati 91 . Delicatissimo era il rapporto con il podestà, anche perché di questi contrasti approfittavano le fazioni per schierarsi con l’uno o con l’altro. Fin dal 1473 il duca in un decreto, riportato anche nei Diari di Cicco Simonetta, aveva ribadito le esclusive competenze del podestà sulle cause civili e

84 Il duca faceva sapere che, avendo commissari nelle città di Parma, Piacenza, Cremona, Lodi e Novara, inviava con questa funzione Lorenzo Terenzi a Pavia, Zanotto Visconti a Tortona, Alessandro Trivulzio ad Alessandria. Si trattava di uomini di piena fiducia come il Terenzi, poi nominato auditore, di Pietro Trivulzio, vecchio consigliere segreto del padre, non pienamente concorde con la politica di Galeazzo e per questo allontanato da Consiglio Segreto. Uomo nuovo di Galeazzo era Zanotto, commissario a Como nel ‘67, a Tortona dal ‘69, ove ricopre fino alla morte del duca la carica di capitano della cittadella, suscitando le lamentele del podestà che lo accusava di comportarsi come se fosse il podestà ( Comuni , 82, 1474). 85 Così esplicitati i compiti del commissario dell’Oltrepò ( Comuni , 2, 1484 luglio 27, istruzione a Guidone Castiglioni), in questo specifico caso il commissario doveva risiedere alternativamente nelle due città, lasciando al suo posto un luogotenente; doveva citare ogni persona nella rispettiva città, vigilare su Castelnuovo tortonese infeudata al duca di Modena, sorvegliare le liti tra i feudatari, particolarmente numerosi nella zona, ammonire gli officiali delle bollette che facessero accuratamente il loro dovere, essendo Genova vicina, il marchese del Monferrato anziano, e passando per Alessandria la strada che veniva dalla Francia ( sic ). 86 Comuni , 12, 1495, richieste di Bormio. 87 Comuni, 3, 1480 maggio 16, Giovanni Andrea Cagnola al duca; Comuni , 75, Pontremoli chiede il sindacato per Giovanni della Porta da otto anni commissario. 88 Famiglie , 88, Guastamiglio; in questo caso il riferimento è a Vigevano. 89 Comuni , 2, Alessandria. 90 Comuni , 17, 1490 il duca a Filippo Visconti eletto a Caravaggio. 91 Panigarola -Statuti , 12, p.126. 19 criminali, e del commissario sui fatti di stato 92 ; ma se un commissario-podestà, come il consigliere segreto Raffaele Inviciati, da Pavia faceva sapere che “non si impaccia personalmente di cause ordinarie, ma le affidava al suo luogotenente” 93 , c’era anche chi denunciava che il commissario cavalca il terreno del podestà . Numerose sono le lamentele dei podestà nei confronti dei commissari; Giovanni Agostino Olgiati, ad esempio, lamenta che il suo ufficio di podestà a Lodi è vuoto e deserto, con conseguente mancanza di onore e di emolumenti, perché il commissario fa ogni causa civile e criminale, nonostante i decreti in proposito 94 . Ugualmente a Como il podestà Giovanni Antonio Gambaloita si lamenta del commissario e consigliere di giustizia Giovanni Agostino Vimercati: lo priva della sua giurisdizione, gli prende le cause nonostante gli ordini ducali, ha fatto lega con i Rusca “quali non voleno temere li offitiali, reputandosi loro como signori de questa ciptà” 95 . Anche a Lodi nel ‘78 il podestà Saturno Villani denuncia che il commissario si intromette nelle sue cause con l’aiuto di alcuni lodigiani (due Barni e un Micoli) e pretende che il suo salario sia pagato con i soldi riscossi dalle condanne. Ma il Villani avrebbe chiaramente ribadito al duca: “In queste cose pertinente al mio officio non mi pare che esso sia superiore; ne le cose pertinenti al Stato e al governo de la ciptà io gli starò sempre prompto et obedientissimo como rechiede el debito mio. Io non credo che le Vostre Signorie mi habiano mandato qua se non ad effecto che cadauno de nuy faza il suo officio, li quali sono distincti per li decreti de le ill. V. Signorie” 96 . L’ufficio, ricoperto da consiglieri segreti negli ultimi venti anni del Quattrocento, non era presente ovunque; infatti in alcune città (Como, Novara) appare solo di quando in quando; a Pavia e Lodi è talvolta associato a quello di podestà. Inoltre, con la sola eccezione di Cremona, ove cambiano ogni due anni, la durata dell’officio nelle diverse città è irregolare. Le fonti registrano due sole violenze della cittadinanza contro i commissari; l’una ebbe luogo nel 1483 a Parma e portò all’uccisione di Martino Paolo Nibbia, noto anche come Nidobeato, per motivi di tasse. La seconda vide la luce ad Alessandria nel maggio 1485 con l’uccisione del commissario fiorentino Pietro Vespucci, e fu provocata, come riconosceva Giovanni Andrea Cagnola inviato dal duca come commissario straordinario, dalla violenza e ingiustizia esercitate dallo stesso commissario contro un cittadino 97 . Il carteggio dell’ambasciatore mantovano Zaccaria Saggi del novembre 1486 rivela che il cittadino mantovano Andrea de’ Corradi, di famiglia austriaca, imparentato con lo stesso Zaccaria, già podestà di Milano dall’82, poi podestà e commissario di Piacenza era stato incarcerato dopo il sindacato e rischiava addirittura la pena di morte per i suoi comportamenti. Secondo l’ambasciatore si volevano ricavare dalla sua condanna almeno 20.000 ducati, avendo egli fama di essere “ricchissimo”, anche perché pur di avere quell’officio non aveva esitato a pagare la somma di 4.000 ducati: l’ambizione e le disponibilità economiche del Corradi non si sposavano in questo caso con una pari professionalità.

Il podestà cittadino e la sua “famiglia” Il podestà è, dopo il commissario, la più alta carica ducale in città; ricopre l’incarico generalmente per due anni, poi viene regolarmente sindacato. È a capo della giurisdizione civile e criminale, che applica secondo gli statuti locali e i decreti ducali. Il Moro, nel suo Testamento, auspicava che questa carica non venisse mai messa in vendita: “non si po' sperare sincero offitio nè administratione de integra iustitia” se tale ufficio viene comprato, osservava lucidamente. Il personale è costituito da giuristi, anche forestieri, che ricoprono professionalmente questi offici e per più anni, anche se non continuativamente. Le frequenti interruzioni derivano probabilmente dal fatto che esercitavano anche fuori del ducato, in altri stati, come nel caso di Giovanni da Balbiano che, prima di diventare commissario a Cremona era stato podestà a Firenze, Bologna e

92 I diari di Cicco Simonetta , a cura di A. R. NATALE, Milano Giuffrè 1962 (FISA, Acta Italica ,1), 39-40: “ l’officio cura et commissione vostra volimo che sia attendere et solicitamente insistere et invigilare ad quelle cose che mere concerneno il Stato et honore nostro, conservatione et salveza de quella cità et del paese vi havemo dato in guoverno”. 93 Comuni , 68, 1483. 94 Comuni , 40, 1480 gennaio 15. 95 Famiglie , 77. 96 Comuni , 40, 1478 novembre 1. 97 Comuni , 3. 20 Perugia, o Paolo da Carpi, cognato del consigliere segreto Angelo Simonetta, che alle podesterie di Como, Lodi, Tortona, Alessandria, intermezza offici in città forestiere. Non tornano mai a ricoprire l’incarico di podestà nella stessa città ove hanno esercitato, anche se si sono comportati così bene da ricevere alla fine del mandato le insegne della città o doni in argento 98 . Rare le riconferme 99 , e altrettanto eccezionali, anche se più frequenti, i prolungamenti del mandato per un solo anno 100 . L’esercizio di una podesteria cittadina sembra nel ducato sforzesco una professione altamente specializzata, poiché i professionisti delle podesterie non esercitano, a parte qualche caso particolare, in altri offici. Una carriera specializzata, ma anche una carriera di breve durata, dal momento che sembra limitarsi in media all’esercizio di tre podesterie del ducato, per un totale di circa sei anni; le eccezioni, che pure ci sono, vanno inquadrate nel contesto politico e valutate caso per caso: ci riferiamo in particolare alla nomina a consigliere segreto dei podestà Borrino Colli e Giovanni della Porta di Alessandria, e alla nomina di alcuni podestà a maestri delle entrate straordinarie negli anni ‘90 101 . Nonostante la delicatezza dell’incarico si possono trovare successioni familiari, quando un podestà muore durante l’officio e aveva anticipato del denaro 102 , ma può talora subentrare semplicemente il suo vicario. Importanti le cerimonie che precedevano l’insediamento del nuovo podestà; a Parma, ad esempio, veniva suonata la campana del comune mentre il podestà giungeva in piazza Maggiore, ove ad accoglierlo trovava il precedente podestà con la famiglia e il capitano del castello. Dopo l’offerta alla Cattedrale si andava al palazzo vecchio del comune, dove, nella sala delle adunanze, alla presenza degli Anziani, del commissario e di altre persone, il podestà presentava le sue patenti che venivano lette ad alta voce da un cancelliere della comunità, dopodiché uno degli Anziani, membro del collegio dei giudici, recitava un’orazione, a cui il podestà avrebbe risposto prima di ricevere la verga o la spada e il bacio della pace dal predecessore. La cerimonia si concludeva con il giuramento di podestà, vicario e giudice dei malefici secondo lo schema scritto negli Statuti locali 103 . Se spostiamo ora il nostro punto di vista dai podestà come funzionari ducali ai podestà come strumento di governo signorile, è evidente dalla tabella seguente che inizialmente circa un terzo dei podestà vengono reclutati al di fuori del ducato, anche se nel periodo del Moro questa tendenza si va attenuando a vantaggio dei milanesi, che rappresentano da soli oltre la metà dei funzionari, quasi che il ducato solo allora venisse effettivamente assoggettato alla sua capitale naturale. La politica di Francesco e di Galeazzo Maria sembra dunque tesa a rispettare parvenze di autonomia urbana, evitando che le più importanti città si sentissero in qualche modo subordinate alla capitale economica, cioè a Milano, probabilmente anche per i recenti patti di dedizione, visto che alcune, come Piacenza, ad esempio, avevano richiesto esplicitamente di non avere podestà milanesi all’infuori di alcuni (tre) cittadini ricordati per nome.

98 Numerosi esempi si possono recuperare dal carteggio su doni a podestà, molti segnalati anche da Chittolini, L’onore dell’officiale; citeremo questa lettera della comunità di Lodi al Moro:” perché questa comunità voluntieri gratifica li offitiali ducali che se portano bene como è questo, secondo le forze de essa comunità, sì per demonstrare a Vostra Excellentia havemo caro li soi offitiali che sono homini integerrimi, sì per dare norma ali futuri offitiali de portarse bene, lo faressimo voluntieri cittadino de questa cità con donarli l’arma et insegna d’essa su alcuni vaxi de argento de pretio de 50 ducati” ( Sforzesco, 1168, 1498 dicembre 2). 99 Paolo da Carpi è prorogato per un secondo biennio ad Alessandria, ma era cognato del consigliere segreto Angelo Simonetta, zio del primo segretario Cicco. 100 Paolo Amiconi a Lodi, Giovanni Nicola Bergonzi a Novara, Paolo da Carpi a Lodi. 101 Ci riferiamo ai casi di Ilario Gentili da Tortona, Bartolomeo della Croce di Milano e Francesco Mariani da Carpi. 102 Quando nel ‘78 muore il podestà di Tortona Tomeno Trovamala, il commissario Giovanni Castiglione dà parere favorevole al subentro temporaneo del vicario, ma suggerisce di confermarlo solo fino a gennaio, dal momento che Tomeno aveva comprato l’ufficio e aveva due figli qualificati, l’uno vicario del podestà di Milano, l’altro podestà del Castellazzo ( Comuni, 82). Il duca però avrebbe nominato nella persona di Andrea Malaspina un nuovo podestà, che prese servizio in ottobre, col consenso dei figli di Tomeno.Invece a Giovanni Marco Grassi, commissario di Alessandria e Tortona, sarebbe subentrato il fratello Luca. 103 A. PEZZANA, Storia della città di Parma, Parma 1847, rist. an. Bologna Forni 1971, vol. V, p.322, anno 1496 21 Podestà cittadini (esclus a Milano)

Anni 1450 -79 % 1480 -99 % Forestieri 74 35, 7 48 32,4 Milanesi 90 43,4 79 53,3 Pavesi 39 18,8 24 16,2 Cremonesi 4 1,9 1 0,6 Totale 207 148

Questa ripartizione rivela anche la debolezza dei primi duchi di Milano, da un lato incapaci di forzare la mano, dall’altro consapevoli di non poter contare appieno sull’aristocrazia milanese. Osservando la distribuzione dei podestà in base alla città di origine, è possibile individuare all’interno del ducato le aree di influenza delle singole realtà cittadine. Infatti in alcune città, Como, Novara e Cremona (oltre alla Ghiaradadda) i podestà milanesi sono predominanti anche nel primo periodo sforzesco, il che mostra come l’ ambito di influenza della capitale fosse limitato alle aree più vicine e da più tempo assoggettate (Novara, Ghiaradadda e Como), mentre l’officiatura di Cremona è probabilmente da mettere in relazione con il fatto che lo Sforza la signoreggiava dagli anni ‘40 104 . Piacenza ed Alessandria sembrano equamente amministrate da podestà milanesi e pavesi, mentre Lodi e Tortona sono strettamente controllate dai pavesi 105 . Una netta predominanza di podestà forestieri si rileva a Pavia 106 , la città in perenne antagonismo politico con la capitale, e a Parma, dove sono presenti gravi lotte di fazione. A Milano invece, quasi a ribadire il suo ruolo di città egemone nel ducato, i podestà sono tutti forestieri: molti i fiorentini fino agli anni ‘80 107 e numerosi dell’Italia del Nord, soprattutto mantovani e ferraresi. Il podestà aveva una familia , composta da vicario, giudice, cavaliere, collaterale, berrovieri, una familia molto diversa da città a città, regolamentata negli Statuti cittadini 108 . Ogni podestà era affiancato da uno o più giudici, con la sola eccezione di Novara ove, nel 1450, c’era semplicemente un notaio che rivestiva la carica di cancelliere dei malefici (ma in questo caso il vicario doveva essere almeno giurisperito); ad Alessandria, Como, Pavia, Piacenza e Tortona vi era un solo giudice dei malefici, a Cremona vi erano un giudice dei malefici e uno delle vettovaglie; a Parma un giudice dei malefici e un giudice delle ragioni che doveva essere giurisperito; a Milano un giudice dei malefici e due giudici per le cause civili, uno dei quali fungeva anche da giudice dei malefici per il duca. Anche il collaterale aveva competenze giudiziarie 109 ; ogni città ne aveva uno, con le sole eccezioni di Piacenza che ne aveva due, di Milano che ne aveva tre, e di Parma che ne aveva altrettanti, rispettivamente: uno per le vettovaglie, uno per le strade e uno per la notte. Donnicelli, famigli da stalla, cuochi, sguatteri e un manipolo di berrovieri (dagli otto di Como, ai 10 di Tortona, 16 a Lodi, 25 a Piacenza, Pavia e Parma, 36 a Milano) soggetti a un connestabile completavano la famiglia del podestà; una famiglia in cui la posizione più importante era certamente occupata dal vicario, colui che faceva – come dice il nome – le veci del podestà 110 . Una figura poco definita sia quanto alle competenze che quanto alla preparazione. A Parma doveva essere un legum doctor , a Novara, nel 1450, un semplice iurisperitus . Era comunque un complemento indispensabile del podestà, che spesso lo precedeva a prendere servizio, se il podestà

104 A Como sono 27 su 34, a Novara 14 su 23, a Cremona 10 su 13, in Ghiaradadda 15 su 23. 105 Rispettivamente 5 su 14 e 8 su 22. 106 E a Pavia troviamo anche alcuni podestà cremonesi. 107 Tra questi ricordamo Bartolomeo Zanfigliacci, podestà a Parma e a Milano, poi capitano di giustizia, e Giovanni Zanfigliacci, podestà di Milano nel ‘60-2, carica avuta perché era genero dell’oratore fiorentino, Carlo Angelo Pandolfini; Gabriele Ginori è podestà in ben sei città del ducato: Novara, Cremona, Alessandria, Parma, Pavia e Milano tra 1489 e 1500. 108 Le fonti utilizzate per stabilire la composizione di queste famiglie sono il Bilancio dello stato di Milano del 1463, in B.A.M., S. P. 19 e il materiale conservato in Uffici e Tribunali Regi , p. a., 7. 109 Esige i debiti del sale a Lodi, mentre fa processi per la manutenzione di strade e ponti a Novara ( Comuni , 61). 110 Quando si trova l’espressione vice-podestà non si tratta del vicario, ma in genere del sindacatore che, mentre esegue il sindacato, assume anche le funzioni di reggente la podesteria. 22 era trattenuto altrove per qualche impedimento o per il sindacato; era la persona delegata a sostituirlo in caso di assenza, malattia, se veniva convocato a corte. Generalmente al momento del sindacato i cittadini si lamentano come di cosa grave della sua assenza, e al momento della nomina di un podestà gli si raccomanda in particolare di scegliere con cura il vicario, soprattutto se deve andare a reggere città ove sono lotte di fazione 111 Rare sono le indicazioni sul nome dei vicari; da uno spoglio condotto sulla Storia di Parma del Pezzana si evince che, secondo la normativa statutaria locale, i vicari che si avvicendano a Parma nel secondo Quattrocento sono tutti legum doctor, raramente prolungano l’incarico anche col podestà successivo 112 , ma possiamo trovare podestà, come Giacomo Luppari e Antonio da Montecatino, che cambiano vicario ogni anno. Certamente nessuno dei vicari segnalati dal Pezzana in questo mezzo secolo torna a Parma con questa qualifica. Lo spoglio dei 23 nomi segnalati mostra che se circa la metà (nove) sono del ducato, più della metà sono forestieri, anche se ben sette appartengono alla vicina Reggio Emilia. Il vicario, che può avere a sua volta un luogotenente o sostituto 113 , non sembra provenire dalla stessa città del podestà, anche se troviamo alcuni di questi casi 114 ; la sua nomina era certamente di competenza del podestà, ma talora era il duca ad imporre il vicario, soprattutto nel caso di giureconsulti forestieri raccomandati da signori o governi amici, o nel caso di nomine podestarili “di facciata”. Quando, ad esempio, viene nominato commissario a Genova Corrado da Fogliano, zio del duca, gli si impone il vicario; poiché il Fogliano si lamenta del medesimo, da Milano si fa sapere che costui, Giovanniantonio Sparavara, era un giurista preparato, esercitatosi in ufficio a Genova, Chiavari e Savona, assolto nei sindacati e lodato in particolare dal collegio dei dottori di Savona. Lo Sparavara ricoprì successivamente le cariche di podestà di Alessandria, poi di Parma, prima di essere nominato sindacatore generale. È probabile che, come in questo esempio ricordato, a monte della carriera di un sindacatore o di un podestà ci fosse un oscuro percorso di vicario podestarile 115 . Raffaele Inviciati (podestà a Parma nell’80, consigliere segreto dall’82, podestà e commissario di Piacenza nell’83) porta alla luce questo lungo e poco noto tirocinio in una lettera in cui scrive di aver “praticato” con ben 18 tra commissari e podestà: ad Alessandria e a Parma con il Cagnola, a Piacenza con Antonio Lonati (1473), con Giovanni Antonio Cotta e suo fratello (1480), a Cremona con il cognato Giovanni Pallavicino (1468), con Guidone Visconti (1471), e Guidantonio Arcimboldi (1480) e ancora con altri a Lodi e Como 116 . Ma anche il giureconsulto lodigiano Simone Ferrari, podestà di Varese dal ‘97 al ‘99, rivela in una lettera scritta da Varese l’1 novembre 1497 un onorevole passato di vicario quando precisa che “fu in officio a Parma con Baldassarre Pusterla, a Piacenza, a Como, a Pavia e vicario a Milano”, oltre che vicario nella stessa Varese, a partire dal 1497, del podestà milanese Giovanni Luchino Crivelli 117 . Circa le funzioni possiamo dire semplicemente che il vicario prende possesso ed esercita l’ufficio nel momento in cui il podestà è sotto sindacato per il precedente incarico, ma ha piena competenza sui processi.

111 Comuni, 3, 1478 gennaio 7 lettera del podesta Carocio Spinola da Alessandria 112 Solo Antonio Colli da Vigevano è vicario con Angelo Trovamala e poi con Giorgio Pescaroli. Ad Alessandria nel ‘78 il nuovo podestà Carocio Spinola tiene il precedente vicario, perché si era comportato bene ( Comuni, 3, 1478 gennaio 17); a Como si ordina al podestà di tenere il vecchio vicario Simone Barberii ( Comuni , 26); a Vigevano nel ‘96 è la comunità che acconsente a mantenere il vecchio vicario ( Comuni , 91). A Milano il vicario del podestà sembra stare in officio a lungo; infatti se Biffoli lo è almeno dal ‘64 al ‘67, Sillano Negri lo sarebbe stato per ben 13 anni. 113 È il caso di Gaspare da Vologno di Reggio, a Parma nel ‘59, che ha come luogotenente Grisante Marconi da Reggio. 114 Il fiorentino Braccio Guicciardini ha un vicario di Pistoia; l’alessandrino Inviciati ha un Guaschi di Alessandria, uno Zucchi cremonese ha un Crotti cremonese; il pavese Isimbardi ha Iacobo Annibaldi di Valenza; il feudatario Battista Sannazzaro delle Giarole utilizza come vicario Bernardino da Mede dei conti di Lomello, pure feudatario pavese. A Cremona nel ‘65 è podestà Benedetto Zaboli di Parma che ha come vicario un giureconsulto di Parma e come giudice dei malefici un giurisperito pure di Parma. 115 Il giureconsulto reggiano Giovanni Maria Vallisneri, vicario a Pavia nel ‘79 ( Comuni, 4), proposto dal duca nell’81 come vicario del podestà di Cremona ( Comuni , 33, 1481 gennaio 10), fu nominato nel ‘93 podestà di Parma e nel ‘97 di Cremona. 116 Comuni , 68, ‘83 giugno 12. 117 Comuni , 85. 23 Un aspetto negativo della famiglia del podestà, spesso richiamato dai sindacatori, è la presenza di familiari; l’Inviciati, nell’esempio sopraccitato, ricorda di essere stato vicario del cognato Giovanni da Scipione, ma altri esempi possiamo portare. Nel ‘69 la comunità di Alessandria accusò il podestà Tomaino Trovamala di omicidi e ruberie, che imputava al fatto che il figlio del podestà faceva il vicario, al maleficio c’era un cognato, Pietrantonio Guaschi, come cavaliere aveva un figlio, e, probabilmente per risparmiare, teneva solo sei famigli 118 . Questo è certamente un caso limite, ma è noto che il capitano del Seprio, Antonio da Casate, aveva nel ‘56 come vice un Giovanpietro da Casate; il podestà di Pontremoli, Borrino Colli, aveva un parente come luogotenente; il podestà di Siziano Nicolò Gambaloita nel ‘56 teneva il fratello Francesco come luogotenente; e Giacomo Pusterla commissario e podestà di Lodi, chiedendo di assentarsi, affermava di lasciare al suo posto, oltre al vicario e al giudice, un figlio di 30 anni, pratico, perché sempre con lui in officio 119 . Certamente ricoprire la carica di podestà non sembra remunerativo, soprattutto in alcuni anni, e questo vale sia per i grandi che per i piccoli centri. Stefano da Onate, ad esempio, commissario e podestà della terra separata di Soncino nel cremonese dal ‘69, dichiarava di aver avuto una trattenuta di tre mesi di salario (imposta a tutti i funzionari) e che i maestri delle entrate tra capsoldo e duodecima si trattenevano quasi un mese di salario. Nello stesso anno il podestà di Tortona, il ferrarese Battista Bendedio, si lamentava perché avrebbe dovuto avere 100 fiorini al mese, ma con la trattenuta dei tre mesi ne riscuoteva ora solo 2/3; appena preso servizio aveva poi saputo che avrebbe avuto solo tre paghe a fiorini 66 ciascuna, ma, dovendo dare ducati 20 per il consueto donativo al duca di sparviero, cani 120 e altre cose, gli sarebbero rimasti all’anno solo 42 ducati. Egli doveva tenere vicario, giudice del maleficio, cavaliere e connestabile a paghe 10, mantenere quattro famigli oltre alla sua famiglia di sangue; chiedeva perciò di ricevere almeno 8, 9 paghe, volendo vivere con onore, alieno da tristitia e bara teria 121 . Galeazzo Maria infatti aveva deliberato che i funzionari si pagassero lo stipendio con i soldi riscossi dalle condanne, e negli anni ‘80 il podestà di Lodi, in lite con il commissario, rivendicava di poter esercitare appieno l’ufficio, sia nella giurisdizione civile che criminale, sia per l’onore che per conseguire il suo salario “qual consta de condanne”. E veniamo agli uomini che esercitarono come podestà. Ci sono alcuni forestieri che come Gabriele Ginori, il fiorentino che fu podestà di ben sei città tra l’89 e il ‘99, percorrono una lunga carriera nel ducato sforzesco, arrivando alla carica di consigliere segreto. Significativo anche l’esempio di due fratelli anconitani, legati allo Sforza dagli anni ‘40, Giacomo e Libero Bonarelli. Libero, commissario ad Alessandria e Tortona, poi podestà a Milano, muore nel ‘57; il fratello (podestà a Firenze nel ‘64) fu podestà a Tortona, Milano (ove subentra al fratello defunto), Genova, commissario in Corsica, a Cremona e Parma, capitano di giustizia a Milano, consigliere segreto, costretto a rientrare in patria, pena la confisca dei beni, da un’ordinanza papale. Il conte bolognese Alberto Bruscoli fu podestà dal ‘72 a Parma, poi a Borgotaro, Pontremoli, Cremona e Genova, dal ‘90 capitano di giustizia di Milano e dal ‘95 consigliere segreto. Ma ci sono anche quelli che racchiudono la loro esperienza di officiali in una manciata di anni, come nel caso di Carlo da Norcia, figlio di Benedetto Riguardati, podestà a Lodi, Tortona e Pavia dal marzo’63 al febbraio ‘68, che lascia l’officio anzitempo essendo stato multato dal duca per non aver donato al duca cani e uccelli da caccia secondo la consuetudine; è assai probabile che l’interruzione di questa

118 Sforzesco , 776; le accuse non interruppero la carriera del Trovamala, che dal ‘72 fu per sei anni podestà a Piacenza, poi a Tortona, ove morì. In tale occasione si faceva presente al duca che avrebbero potuto subentrargli i figli, uno podestà a Castellazzo, l’altro vicario del podestà di Milano ( Comuni , 82 agosto ‘78). In questo caso non si ebbe però successione familiare. 119 Rispettivamente in Comuni , 63, Pallanza; Comuni , 75, Pontremoli; Comuni ,40, Lodi. 120 Alcuni officiali dovevano dare al duca come “onoranza” per l’officio ogni anno, a S. Maria di settembre, 20 ducati, oltre a uno sparviero e ad un paio di bracchi; gli offici obbligati erano le podesterie delle città, i capitanati delle cittadelle di Parma, Novara, Alessandria e Tortona, i capitanati del divieto di Parma, Piacenza, Casteggio, Novara, Alessandria -Tortona e Ghiaradadda, i capitanati di Lomellina, Lago di Como, Lago Maggiore, Valtellinam Bellinzona, Seprio e Martesana ( Registri Missive , 53 e 65). 121 Comuni , 80 e 82. 24 promettente carriera burocratica nel ducato sia anche da collegare al fatto che il padre, già medico di Bianca Maria, lascia Milano per Firenze nel ‘69, pochi mesi dopo la morte della duchessa. Quanto ai lombardi, alcuni esercitano per pochi anni, ad esempio Paolo Amiconi podestà tra ‘54 e ‘63 di tre importanti città: Como, Cremona e Lodi, ma la cui esperienza burocratica si consuma in meno di un decennio; altri invece esercitano più a lungo, ma senza che si possa individuare una progressione di carriera, come nel caso del milanese Maffeo Selvatico, podestà tra ‘60 e 87 di alcuni centri e due città: nell’ordine, Melzo, Lecco, Borgo S. Donnino, Chiavenna, Como, Tortona e Soncino, o come nel caso del nobile parmense Aloisio Cornelio podestà dal ‘76 al 1500. Sembra invece poter individuare nel cremonese Giovanni Zucca un cittadino che attraverso il servizio in ufficio seppe crescere e arrivare a cariche di prestigio. Nominato a partire dal ‘57 podestà di alcune terre separate del cremonese, Castelleone, Soncino (che regge per ben sette anni), Pizzighettone, diventa commissario di Ghiaradadda per cinque anni e nel ‘76 podestà di Genova; commissario e podestà a Lodi per quattro anni, vi ricopre anche la carica di tesoriere; nell’84 è nominato commissario e podestà di Parma. La documentazione esaminata segnala una sola rimozione anzitempo di un podestà cittadino 122 .

Il referendario È la più importante magistratura finanziaria in sede locale e seconda solo ai Maestri delle entrate, ai quali era demandato il compito di verificare che i referendari fossero “circumspecti, prudentes, experti” 123 . La rilevanza di questo ufficio è comprovata anche dal fatto che i cavallari delle singole città si consideravano alla dipendenza esclusiva del solo referendario e dell’ eventuale commissario 124 . Spettava a loro incantare i dazi della città, alla presenza del podestà e del vicario, e verificare la solvibilità degli acquirenti e dei fideiussori. L’incarico era uno dei più delicati, perché i dazi costituivano la voce più importante delle entrate cittadine e dello stato: “li cittadini fanno la cità et la cità per li citadini fa le nostre entrate... quando non fusse la cità cessariano le nostre entrate”, scrivevano nel 1479 i Maestri delle entrate al commissario, al podestà e al referendario di Cremona 125 . Era compito dei referendari trasferire i soldi incassati alla tesoreria generale e informare prontamente i Maestri delle entrate di ogni mancata riscossione. Ai Maestri dovevano inviare mensilmente, alla fine di ogni mese ed entro i primi dieci giorni del successivo, la “nota” delle entrate e delle spese; era di loro competenza infatti eseguire i pagamenti e fare le spese per le quali avessero avuto licenza. Loro stessi ricevevano giornalmente la nota delle spese e delle entrate della locale tesoreria e dovevano annotare in un libro apposito sia i debiti della comunità che dei singoli, in particolare nel caso di sussidi e imposte straordinarie 126 . Non solo “intendono il modo che gli è al denaro”, essendo al corrente dei tempi di riscossione delle singole entrate e del loro ammontare, ma dovevano provvedere ai pagamenti secondo “lo ordine secundo el quale se ha ad paghare”. Poteva infatti capitare che, a causa di ritardati o mancati pagamenti, scoppiassero tumulti che mettevano in pericolo la sicurezza dello stato, come ad Alessandria nel ‘68, quando era stato ritardato il pagamento dello stipendio ai castellani 127 . È assai probabile che i referendari, come i tesorieri, venissero chiamati di persona a sovvenire con il loro denaro quando le entrate erano insufficienti e le spese indilazionabili.

122 Si tratta del milanese Giovanni Antonio Gambaloita, alla prima esperienza burocratica, che doveva probabilmente l’incarico alla sua importante rete di parentele: era genero del consigliere segreto Giovanfilippo da Trecate e cognato del vecchio cancelliere di Francesco Sforza Boschino di Angera. La sua rimozione, a ben vedere, però sembra determinata dai cattivi rapporti con il consigliere di giustizia Giovanni Agostino Vimercati, che era commissario a Como ( Famiglie , 77). 123 SANTORO, Ordini di Filippo Maria , 470 cap.3. 124 Comuni , 82, Tortona ottobre ‘79, il podestà Andrea Malaspina giustifica il ritardo delle sue lettere, perché il cavallaro non ha voluto interrompere le poste, dicendosi obbligato solo al referendario e al commissario. 125 Comuni , 30, 1479 maggio 15. 126 SANTORO, Ordini di Filippo Maria, 471 par. 8 e 478 sg. par. 32-9; secondo PEZZANA, Storia di Parma, vol. III, p.1676 amministravano giustizia nelle cause tra locali ed Ebrei. 127 M. N. COVINI, I castellani ducali all’epoca di Galeazo Maria Sforza: offici, carriera, stato sociale, in < Nuova Rivista Storica >, LXXI, 1987, 531-86, 575-6. 25 Il personale che ricopre l’officio doveva essere fidato e anche dotato di una certa professionalità; esercita in genere per parecchi anni in una stessa città e poi viene trasferito. Negli anni della guerra con Venezia anche alcune referendarie (Como e Pavia ad esempio) vengono vendute; ma nel ‘55 si suggerisce di utilizzare solo personale esperto negli incarichi di referendari e officiali delle bollette, di sindacarli ogni anno e di trasferirli alla città più importante 128 . Da documentazione del 1470 129 si evince però che il referendario di Como era lì da quattro anni, quello di Piacenza da otto, quello di Cremona addirittura da sedici, con la conseguenza inopportuna che quest’ultimo aveva due figlie sposate in città 130 . Eppure il duca sembra attento ad evitare situazioni ambigue, come nel caso in cui rifiuterà di spostare Agostino Conago da Alessandria a Piacenza, perché a Piacenza era stato referendario dal febbraio ‘53 a luglio ‘65 il fratello Luchino. Nel ‘75 il segretario del Consiglio Segreto Vincenzo Amidani ripropone di regolamentare la durata dell’incarico, suggerendo un periodo massimo di cinque anni in ogni città 131 , ma la proposta cade nel vuoto. Alla fine del secolo il Moro nel Testamento stabiliva una permanenza di soli tre anni, per poi passare alla città “più onorevole”, e diventare infine, grazie alla pratica acquisita, maestri delle entrate. Non tutte le referendarie erano naturalmente della stessa importanza; sulla base di documentazione del 1470 si ricostruisce questa graduatoria (in ordine di importanza decrescente): Milano, Pavia, Cremona e Piacenza, Como, Alessandria, Novara e Tortona. A Tortona in particolare la referendaria era associata all’amministrazione dei gualdi e nel periodo di Galeazzo Maria la carica fu esercitata da un maestro delle entrate straordinarie, forse caduto in disgrazia 132 . Quanto a Milano, come molte altre cariche della città- capitale, l’ufficio venne soppresso e assorbito dal referendario generale; l’appalto dei dazi di Milano era perciò demandato ai Maestri delle entrate. I referendari erano officiali non solo con una specifica preparazione, ma anche con una tradizione familiare alle spalle. Prendiamo ad esempio i fratelli Conago: erano figli di Beltramolo, maestro delle entrate di Filippo Maria Visconti; Luchino era stato referendario a Como dal ‘29 al ‘31, prima di diventare officiale del banco degli stipendiari dal ‘50 al ‘52 e a partire dal ‘53 fino alla morte (luglio ‘65) referendario di Piacenza. Agostino, il fratello, già spenditore straordinario sotto i sescalchi con Filippo Maria, dal ‘55 al ‘60 capitano di Monza, avrebbe esercitato come referendario quattro anni a Parma, tre a Lodi, uno a Pavia, uno a Como, tre ad Alessandria, prima di essere nominato maestro delle entrate straordinarie (seguendo così l’iter auspicato anni dopo dal Moro). Lancillotto Bossi invece era figlio di Giacomino, referendario generale e maestro delle entrate ordinarie di Filippo Maria; nominato tesoriere generale della Repubblica Ambrosiana, esercitò come officiale del sale, referendario ad Alessandria, Pavia e Tortona e da ultimo come maestro delle entrate ordinarie. I referendari sforzeschi godono di una rete di relazioni parentali importanti, che ha certamente un peso sia nell’affido dell’incarico che nella successiva carriera. Francesco Cambiago, ad esempio, già referendario a Tortona dal ‘56 al ‘63, ad Alessandria dal ‘63 al ‘69, a Parma dal ‘69 al ‘77 e da luglio ‘77 referendario generale, era fratello del potente cancelliere della Cancelleria segreta Cristoforo Cambiago (spostato alla cancelleria del Consiglio Segreto nel gennaio ‘77, ma tornato in auge nel maggio quando Cicco aveva avuto ragione dei suoi avversari). Alessandro Castiglioni, referendario a Parma dal ‘50 al ‘54, a Pavia dal ‘59 al ‘63, quando diviene addirittura podestà della città, era fratello probabilmente di Galeazzo referendario a Cremona dal ‘54 al ‘73, certamente di Paolo, maestro delle entrate dal ‘50, caduto in disgrazia al tempo di Galeazzo Maria, quando Alessandro si trova, di conseguenza, a ricoprire le modeste podesterie di Brescello, Pontremoli e Novara. Giacomo Pegii, referendario di Tortona dal ‘64 al ‘68 e di Novara dal ‘68 al ‘79, era fratello di Giacomo, coadiutore dei ragionieri alla carta dal ‘61 al ‘70 (quando muore), e parente

128 BAM, S 210 inf, cc.175-9 (1455 febbraio ultimo). 129 Sforzesco , 892, 1470 febbraio 2. 130 Per una licenza matrimoniale al referendario di Como, ivi, 927. 131 Sforzesco , 926. 132 Ivi , 892, ‘70 febbraio 2. 26 probabilmente di Battista, tesoriere del comune di Milano e caneparo della gabella del sale di Milano nel ‘68, giudice dei dazi di Milano dal ‘71 all’87, padre del cancelliere Pietro Paolo. Alcuni esercitano nelle cancellerie finanziarie prima di diventare referendari, come il Pugnelli, già specializzato in compartiti di cavalli, Pietro di Azo Corio coadiutore della cancelleria finanziaria, Gregorio Griffi cancelliere del sale a Milano. Al pari di altri uffici anche questo subisce i contraccolpi delle successioni ducali: Galeazzo Maria tenta di rimuovere da Como Lorenzo Aimi, perché aveva avuto l’ufficio grazie a Bianca Maria, essendo genero di Isabetta Astolfi, dama della duchessa 133 . Giovanfrancesco Zazi, tesoriere di Alessandria dal ‘68 e qui anche referendario dal ‘71, viene rimosso nel ‘77, nonostante il parere contrario di una parte degli Anziani di Alessandria134 , probabilmente perché imparentato con il potente referendario generale, maestro delle entrate e amministratore del sale di Galeazzo Maria, Giovanni Botta, caduto in disgrazia dopo l’assassinio del duca. L’officio del referendario è caratterizzato da una lunga permanenza in officio, determinata dalla loro competenza: praticamente è affidata a questi officiali tutta la parte fiscale e finanziaria della città, rimanendo di spettanza podestarile solo l’amministrazione giudiziaria, competenze perciò che richiedevano personale esperto e fidato, anche se non tutti i referendari possono vantare i 21 anni di carriera di Francesco Cambiago o i 30 di Giacomo Ardizi da Abiate; alcuni diventano maestri delle entrate (Agostino Conago, Lancillotto Bossi, Pietro Corio, Domenico Zandemaria); altri vengono allontanati con l’incarico di podestà (Bergonzi, Castiglioni, Cambiago).

Gli officiali delle bollette Strettamente legati ai referendari: spesso hanno lo stesso cognome135 , gestiscono un ufficio molto delicato per la sicurezza dello stato. Voluti da Giangaleazzo nel 1386, dovevano controllare che tutta la posta in arrivo, partenza o transito fosse bollata; ugualmente prendevano nota dei forestieri di passaggio o in arrivo e di coloro che pernottavano negli alberghi. Questi ultimi non solo dovevano essere registrati in un apposito registro dagli albergatori, ma tutta la loro merce e soprattutto le loro carte dovevano avere un bollo di riscontro. L’officio era di grande rilevanza, in particolare nei momenti di guerra, perché permetteva di controllare il passaggio di spie ed ambasciatori e di carpire i segreti della loro corrispondenza, talvolta sequestrata, aperta con artifizi, copiata, risigillata e riconsegnata al latore. Alessandria e Piacenza, che costituivano le “porte” del ducato verso la Francia, erano considerate uffici molto importanti 136 ; ugualmente Piacenza, perché sulla strada per Roma 137 . Erano gli officiali delle bollette che sulla base di sommarie descrizioni dovevano provvedere a catturare, o semplicemente a segnalare la presenza di banditi, ladri, spie: “Andrea Casanova – diceva uno di questi identikit – da Vercelli sta dirigendosi a Venezia; zovane, circa 30 anni, grande di statura, non troppo grande di persona, rosso in faccia, con la zazera, vestito corto e bene, con 3- 4 cavalli”, e ancora un altro: “statura non troppo grande e quasi mediocre, ardito, faccia non troppo bianco, né negro, naso lungo, capelli non troppo negri” 138 . Sono questi medesimi officiali incaricati di sorvegliare la città in caso di peste; a Parma, ad esempio, aveva alle sue dipendenze nei momenti di peste 25 uomini addetti a sorvegliare le porte della città. Dovevano inoltre inviare a Milano l’elenco dei morti per peste 139 e controllare che le meretrici portassero il loro segno distintivo, cioè un mantelletto bianco 140 . Praticamente esercitavano compiti di polizia.

133 Ivi , 884,’68 giugno 28 e 885, luglio 3. 134 Comuni , 2, ‘77 febbraio 14. 135 Quando Luchino Conago è referendario a Piacenza, Giacomo Conago è alle bollette; quando Francesco Cambiago è referendario ad Alessandria, un Filippo Cambiago è alle bollette. Quando nel 1480 è commissario di Parma Antonio Trotti troviamo alle bollette Luciano Trotti. 136 Sforzesco , 884, ‘68 maggio 4. 137 Finanza , parte antica, 439, 1487 febbraio 4; in questa cartella si trova la normativa riguardante quest’ufficio dal 1385 al 1450. 138 Registro Missive, 81, c.112 v; Comuni, 25 (1473). 139 Comuni, 65, Parma. 140 Sforzesco, 1496, 1483. 27 I tempi di permanenza nelle singole città sono abbastanza lunghi, nonostante negli anni cinquanta si fosse stabilito di sindacarli ogni anno e di non confermarli dopo un biennio; Giovannolo Galassi, ad esempio, a Milano dal ‘52 al ‘56, è a Piacenza dal ‘65 al ‘70. Ancora negli anni di Galeazzo si proporrà che referendari e officiali delle bollette stiano in carica nelle singole città un solo anno 141 . L’ufficio non registra successioni “familiari”, se non in un solo caso: quando muore nel maggio ‘67 Giacomo Suardi a Novara, è il genero Giovanni Andrea Caimi a sostituirlo 142 .

Il sindaco o procuratore fiscale Insieme con l’avvocato fiscale è una magistratura “recente”; infatti fu istituita solo nel 1443 da Filippo Maria Visconti per facilitare l’applicazione di un decreto sui malefici. Venivano pagati metà dalla Camera e metà dalla città in base alle condanne. A differenze delle altre magistrature erano originari della città in cui esercitavano. Generalmente causidici o notai, le loro competenze sono assai poco note, anche se si definiscono “contrapesi e quasi como contrascriptori de li altri officiali”, dando a intendere che uno dei loro compiti fosse controllare che il podestà si comportasse con correttezza quanto alle cose del fisco 143 . Sulla base della documentazione esaminata risulta che dovevano assistere ai processi del podestà, spedire a Milano i processi terminati e inviare i soldi delle condanne alla camera; dovevano avere copia di tutte le denuncie, accuse, querele riguardanti malefici e danni dati; dovevano esaminare i testimoni insieme al giudice dei malefici e al giudice dei danni dati 144 . Milano non avrà più il sindaco a partire dagli anni ‘60, ma il Vicario e i 12 di Provvisione avrebbero nominato loro sindaco Giacomo Perego, ovvero il sindaco fiscale della Camera ducale: l’unificazione della carica in una sola persona veniva così a privare la città di una sua magistratura, impoverendola dal punto di vista amministrativo e indebolendola dal punto di vista politico.

L’avvocato fiscale Istituito insieme al sindaco fiscale nel 1443 145 , l’ufficio era coperto da locali che appartenevano al collegio dei giurisperiti. I compiti non sono chiari e ci sono sovrapposizioni con l’ufficio del sindaco. Entrambi infatti sembrano responsabili della custodia dei decreti emanati dal duca e dai suoi predecessori 146 ; in particolare l’avvocato descrive i beni dei condannati e sollecita i pagamenti di tasse e condanne 147 . Con Filippo Maria l’incarico sembra fosse in origine biennale; certamente nel periodo sforzesco dura più a lungo, ma non sembra uniformente regolamentato. Come per altri uffici la città di Milano non aveva più il suo avvocato, ma esercitavano questa funzione gli avvocati della Camera.

Il tesoriere Anche per questa magistratura ignoriamo le competenze, e solo un’indagine prosopografica sui personaggi individuati, incrociata con fonti notarili e fiscali, permetterebbe di collocare socialmente questi ufficiali, probabilmente mercanti e banchieri. In ogni città c’era un tesoriere, con l’eccezione di Milano, dove l’incarico, a partire dagli anni ‘70, è assorbito dal tesoriere generale. Al momento in cui entravano in carica sembra fossero obbligati ad anticipare al duca cospicue somme di denari, una parte senza alcun interesse, un’altra con interessi molto bassi; erano chiamati poi a sovvenzionare il duca nei momenti di gravi disagi finanziari, ricevendo in cambio assegnazioni sulle entrate degli anni futuri. Dal semplice spoglio dei nomi si possono ricavare queste prime osservazioni: a Parma, Piacenza, Tortona i tesorieri sono locali che

141 Ivi , 1616. 142 Registri Ducali, 9, p.385. 143 Si veda a questo proposito la supplica del sindaco fiscale di Vigevano, Giorgio Colli, accusato di negligenza dai Maestri delle entrate, trascritta in F. VAGLIENTI, Cacce e parchi ducali sul Ticino (1450-76), in G. CHITTOLINI (a cura di) Vigevano e i territori circostanti alla fine del Medioevo, Milano Unicopli 1997, 185-260, 209. 144 Le competenze sono state stabilite in base a documenti di tipo diverso contenuti nelle seguenti cartelle:Comuni , 2, 18, 20, 74 e 91; Sforzesco , 889. 145 Il decreto istitutivo, 1 dicembre 1443, è regestato in BOGNETTI, Per la storia dello Stato visconteo , n. 169. 146 Registri Ducali , 153, per l’avvocato di Lodi Pontirolo. 147 Rispettivamente Sforzesco , 757 e 847. 28 ricoprono a turno per pochissimi anni (a parte i 7 anni dei Cornazzano a Parma), evitando così di impegnarsi a fondo in questa carica; viceversa a Novara due famiglie novaresi, i Baliotti dal ‘51 al ‘75 e poi i Taegio gestiscono l’ufficio per mezzo secolo; a Cremona si alternano tre famiglie i Trecchi (‘49-69), gli Schinchinelli (‘69-80), i Fodri (dal ‘91); a Lodi i Barni sono in carica dal ‘56 all’81 e i Barilli dall’86 al ‘97. Ad Alessandria invece a partire dal ‘68 subentrano ai locali gli Zazi pavesi e poi i Bossi milanesi; a Como dopo i Corio milanesi (‘50-6) e gli Erba con i Trecchi comaschi, regge la tesoreria il milanese Matteo Toscani (‘69-74), per passarla ancora a dei comaschi: Lucini (‘74-94) e poi Rusca. Ancora comportamenti diversi per Pavia: qui dopo una famiglia locale, gli Zazzi (‘51-4), la tesoreria viene gestita da famiglie fiorentine fino al ‘69, quando iniziano ad alternarsi famiglie locali per periodi molto brevi (Rossi, Folperti, Fiamberti, Carlevari e Resta) che col ‘93 cedono l’ufficio al milanese Ambrogio Mantegazza. Particolare il caso di Milano città, ove sono tesorieri per i primi dieci anni dei Trecchi, probabilmente cremonesi, dal ‘63 al ‘65 il mercante milanese Sebastiano da Giovenzate che era stato caneparo della gabella del sale di Milano nel ‘61-2, imprigionato nel ‘70 dal duca, confinato ad Alessandria, rientrerà solo dopo la morte di Galeazzo. Ancora un mercante milanese, Ambrogio Arzoni, è tesoriere dal ‘66, ma muore nel ‘68, e la famiglia nomina come sostituto Battista de Pegiis (probabilmente socio dell’Arzoni, dal momento che risulta appaltatore della gabella del sale di Milano dal ‘68), avendo l’Arzoni anticipato una cospicua somma che il duca non era in grado di restituirgli e non trovando chi volesse subentrare. Fu questo l’ultimo tesoriere della città di Milano 148 ; Galeazzo Maria infatti decise di sopprimere l’ufficio, accelerando così quel processo di fusione tra uffici della capitale e corte che era ormai in corso 149 . Non si hanno lamentele nei confronti di questi ufficiali, a parte la protesta di Alessandria che accusa Giovanfrancesco Zazi di lucrare sul cambio 150 .

Gli economi dei benefici vacanti Presenti in ogni città e nei centri più importanti a partire dalla istituzione dell’economato dei benefici vacanti, si prendevano cura dei benefici che si liberavano a seguito della morte del titolare fino alla nomina del nuovo beneficiario 151 . Collegati al settore della Cancelleria segreta che si occupava di benefici, potevano contemporaneamente ricoprire l’incarico di podestà o referendario; dagli anni ‘60 però sono tutti ecclesiastici. Le persone che ricoprirono questo incarico appartenevano a famiglie legate alla corte 152 , anche per la particolare materia che essi gestivano; infatti al di là della rilevanza economica dei singoli benefici, acquisire o mantenere in seno alla famiglia una chiesa o un monastero significava irrobustire e consolidare situazioni di potere, come nel caso dei de la Canale che arrivano a dare a un contendente 400 fiorini pur di mantenere l’abbazia di Civate “ in casa sua azo fusseno sempre più possenti in quello monte de Brianza” 153 .

I cavallari Il servizio postale era molto curato fin dal periodo visconteo; problemi politici e militari, ma anche di ordinaria e quotidiana amministrazione facevano sì che ogni città avesse un certo numero di

148 Il Pegii fu nominato dal 1471 giudice dei dazi di Milano, carica che resse fino alla morte, giugno ‘87, lasciandola al figlio Pietro Paolo. 149 L’assorbimento portò anche alla confluenza dei funzionari comunali nel nuovo organo; Balino Ghegli, ad esempio, nel ‘60 ragioniere del comune è dal ‘71 al ‘99 ragioniere della tesoreria generale. 150 Riceveva ducati a lire 4 denari 6, ma li spendeva a lire 4 soldi 10. 151 Oltre a L. PROSDOCIMI, Il diritto ecclesiastico dello stato di Milano dall’inizio della signoria viscontea al periodo tridentino (secc.XIII-XVI) , Milano 1941, si veda M. ANSANI, La provvista dei benefici (1450-66). Strumenti e limiti dell’intervento ducale , in G. CHITTOLINI (a cura di), Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel ducato di Milano (1450-1535) , Gisem Liguori ed. Napoli 1989, 1-114. 152 Basta ricordare che l’ufficio di Parma fu tenuto da un cognato (Arlotti) e da un fratello di Francesco Maletta, segretario ai benefici vacanti fino agli anni ‘60, o ai da Varese, Gabriele, Giacomo e Donato, tre ecclesiastici che si alternarono nell’ufficio di Varese, ma erano fratelli di Francesco Carabelli, cameriere del duca Francesco e sescalco di Galeazzo Maria. 153 Famiglie, 95, Lampugnani Princivalle. 29 cavallari che dovevano trasmettere la corrispondenza 154 . Tali officiali dipendevano dalla Cancelleria dei cavallari, che costituiva un’appendice della Cancelleria segreta. L’importanza dell’incarico che richiedeva onestà e lealtà fa sì che venga ricoperto a vita, che si trasmetta a parenti e che nelle singole località sia in mano a una o alcune famiglie soltanto 155 .

I funzionari militari periferici I castellani, i capitani delle cittadelle, i connestabili delle porte delle singole città e terre hanno nelle serie documentarie rimaste registri di nomina distinti, una variante da tenere in considerazione in quanto spia di una categoria particolare di officiali: a loro infatti era affidata la sicurezza materiale dello stato. Ripensiamo agli avvertimenti del Moro, laddove ribadiva che nelle fortezze e nelle truppe risiedeva la “fermeza et conservatione delli Stati”, arrivando a proibire al figlio l’accesso alle fortezze di Trezzo, Cassano, Pizzighettone e Cremona, situate ai confini con Venezia, almeno fino all’età di venti anni; e ripensiamo anche all’accuratezza con cui venivano stabiliti i diversi contrassegni dei castellani, in base ai quali potevano fare entrate singole persone, altri funzionari ducali, o emissari del signore 156 . I castellani, un centinaio circa, erano a capo di fortezze situate in zone militarmente importanti, mentre i capitani delle cittadelle controllavano le fortezze cittadine; entrambi erano responsabili dell’equipaggiamento del fortilizio, facevano eseguire periodicamente le “mostre” dei soldati, organizzavano la difesa. Subordinati al Banco degli stipendiari, che per mezzo dei collaterali cavalcanti o di altri funzionari, quali i cancellieri della Cancelleria segreta, periodicamente (al tempo di Filippo Maria addirittura ogni due mesi) verificavano la qualità del contingente, del cui reclutamento era responsabile il castellano, oltre che la consistenza delle munizioni e delle vettovaglie, erano pagati dal banco. Ai connestabili delle porte era affidata la sorveglianza materiale delle porte, la loro apertura e chiusura, e il controllo sui forestieri e le merci che transitavano. Le cariche di questi funzionari sono vitalizie ed ereditarie , cioè passano da padre a figlio e sono anche familiari; infatti nel momento in cui si concede uno di questi uffici, questo gli viene affidato dopo aver preso atto della disponibilità economica del futuro officiale (per evitare il rischio che per denaro cedesse la fortezza al nemico) 157 e della composizione del nucleo familiare: fratelli, figli, generi, affini sono elencati a fianco del nome degli eleggibili con la rispettiva età 158 . La presenza di

154 A Milano nel 1474, oltre ai due cancellieri e a 5 uscieri vi erano 38 cavallari; a Lodi 8; a Cremona 7; a Pizzighettone 3; a Piacenza 6; a Borgo San Donnino 3; a Parma 4; a Pavia 5; a Dorno 4; a Tortona 3; ad Alessandria 3; a Serravalle 2 (Sforzesco, 1625; altra lista del ‘70 limitata a Milano in Ivi , 1612). In Comuni, 52, è conservata un elenco delle poste da Milano a Roma, che vede l’impiego di ben 84 cavallari. 155 A Pizzighettone c’erano i Besana, a Parma gli Zavachi; a Tortona i Galbiate; a Cremona tre de Cumis, a Lodi tre Farra, due Bonate e due Spanzotti. 156 Si veda ad esempio, Comuni , 18, luglio 1466, ordini a Francesco e Giovanpietro Visconti castellani di Montebello a Bellinzona: devono consegnare il castello a chi presenta lettere con sottoscrizione autografa del duca, sigillo in cera bianca e sottoscrizione del segretario. Possono far entrare due persone, prima che altri siano usciti dal castello, solo se questi presentano una lettera con sottoscrizione autografa del duca e sigillata “con corniola grande che imprime l’arma nostra della bissa con il vecchio per cimero che tiene un diamante in mano”, in cera bianca, con la firma del segretario e il consueto sigillo del duca. I castellani non potevano lasciare la fortezza, se non avevano lettera sottoscritta di mano propria del duca, sigillata con la corniola “ che imprime testa di un uomo in cera verde”, sottoscritta dal segretario e con il solito sigillo ducale in cera bianca. Altro materiale sui contrassegni in Autografi , Diplomi e dispacci sovrani, 1462, Achille Stampa e Sforzesco , 657 (1451) per Novara e Bellinzona. Sui sigilli viscontei-sforzeschi A. BAZZI, Contributo alla storia dei sigilli di Francesco Sforza, “Quaderni ticinesi di numismatica e antichità ” 1977, 401-08 . 157 Diventare castellano richiedeva un minimo di 3.000 fiorini di beni ed essere “homini facti et da bene et richi ”, citato da COVINI, I castellani ducali, 532-3. 158 Esempi di liste in Famiglie , 143, Pietrasanta, ove si elencano dodici famiglie (Crivelli, Pietrasanta, Borri, Lampugnani, Landriani, Raimondi) con nome dei componenti maschi maggiorenni, età e stima delle ricchezze; uno dell’elenco, Otto Crivelli di Cerro, lo troviamo poi castellano a Bellinzona dal ‘76 e alla sua morte subentrano i figli. In Sforzesco , 1616 “suficienti et idonei “ sono ritenute le famiglie Trovamale di Sale e Fonte di Tortona, per le quali si indicano nomi dei componenti con l’ età. In Famiglie, 7 del castellano di Bellinzona Francesco Crivelli si precisa che ha figli di 25, 22, 18 e 16 anni, oltre a molti parenti, mentre in Famiglie , 8 si propone come castellano di Borgovalditaro Leonello Villani, perché ha fratelli e parenti. 30 familiari che potessero sostituire il titolare in caso di assenza o malattia 159 è spia di quanto ancora fosse importante il rapporto fiduciario con il signore, e per contro quanto scarsamente burocratico fosse il gruppo dei funzionari militari 160 . Nei piccoli centri di pianura alla carica di podestà poteva essere associata quella di castellano; mentre nelle città capitava in casi eccezionali che il capitano della cittadella rivestisse anche funzioni amministrative. L’officio è a vita, e i castellani vengono rimossi o trasferiti solo nei momenti di successione dei duchi 161 , ad esempio nell’aprile ‘66 da Galeazzo Maria, succeduto al padre nel marzo 162 , o nell’autunno del 1480, dopo l’uccisione del primo segretario Cicco Simonetta. I castellani, ma anche i connestabili delle porte, sono con Francesco Sforza tutti forestieri, molti della stessa terra di origine del condottiero, Cotignola 163 , con pochissime eccezioni milanesi: Stampa, Borri, alcuni rami Landriani. In genere sono vecchi compagni d’arme, come conferma anche l’aggettivo “strenuus” che affianca molte di queste nomine, che lo Sforza predilige per la loro esperienza e anche per ricompensarli dei lunghi anni di militanza. Solo con Galeazzo Maria entrano insieme ad esponenti del ceto militare, cioè soldati che erano stati in servizio attivo fino al ‘66, probabilmente in età avanzata, famiglie milanesi: Caimi, Borri, Crivelli, Marliani, Landriani; e sempre con Galeazzo si introduce una certa mobilità nell’officio, nel senso che i castellani ora vengono trasferiti da una castello all’ altro 164 . Evidenti motivi di sicurezza fanno sì che vengano rigorosamente vietati i matrimoni con persone del posto, così come per le magistrature giudiziarie e finanziarie 165 . I tre tipi di officio, castellani, capitani delle cittadelle, connestabili delle porte, sono circuiti ben distinti tra loro; in un solo caso un connestabile diventa castellano 166 . Inoltre, essendo questi offici assegnati a vita, non esiste nessuna forma di carriera 167 .

159 Si concede, ad esempio, al castellano della rocca di Voltabbio di assentarsi purché lasci i fratelli ( Registri Missive , 66). Lorenzo Bernardini di Orvieto, castellano e podestà a San Colombano (Lodi), chiede di associare all’ufficio il con suocero Pietro Lampugnani, di buona famiglia milanese, fedele servitore e padre del famiglio d’arme Paolino, perché il duca era scontento del fratello del castellano Domenico ( Famiglie , 13). Quando si sequestrano i beni di Innocenzo Fieschi le sue rocche vengono affidate a Ursino Crivelli di Magenta “con un fratello “ e a Galeazzo Pietrasanta “con un fratello “ ( Registri Missive , 125). 160 Alcuni esempi di “continuità” familiare: i da Baviera sono castellani ad Abbiate dal ‘50 al ‘93; i Serratti dal ‘50 al ‘99 a Pontremoli; gli Stampa dal ‘54 al ‘99 ad Alessandria; i da Lugo sono castellani a Borgo San Donnino dal ‘54 al ‘99; i Carminati sono connestabili a Lodi dal ‘49 al ‘91; i de Cumis connestabili a Parma dal ‘49 al ‘90; i de Pisis connestabili a Pavia dal ‘49 al ‘79; i Raimondi castellani a rocchetta Ticino nel pavese dal 1450 al 1500; i Corsellini da Cotignola stanno a guardia del ponte sull’Adda dal ‘53 al ‘95; i Santi custodiscono Baiedo dal ‘66 almeno fino all’81; i Petracina da Cotignola stanno alla torre rotonda di Como dal 1450 al 1500, con l’ interruzione tra ‘63 e ‘71 dovuta al fatto che un membro della famiglia, Francesco, cancelliere e tesoriere militare del duca era stato accusato di malversazione e fu riabilitato solo nel ‘71; Monguccio Cassani da Cotignola risiede al castello del Piagnaro a Pontremoli per 44 anni, poi subentra il figlio; altri da Cotignola vigilano al ponte di Lecco dal 1450 al 1500. 161 Costituiscono eccezioni i casi di Melchione Landriani, rimosso nel ‘72 dal castello grande di Bellinzona, ove era castellano dal 1450, perché imprigionato per debiti ( Comuni , 18) e i Trevio, spostati da Cassano dopo venti anni di servizio e nominati castellani a Novara nel ‘72 per liberare l’ufficio di Cassano per Giovanni Antonio Landriani. 162 Comuni, 5, 1467 aprile, Bianca Maria rimprovera il figlio per aver mandato lettere di sostituzione ai castellani che governavano le fortezze alle frontiere quando erano ancora a capo delle stesse e dunque insediati dentro alla rocche, mettendo così in pericolo la sicurezza dello stato. 163 Sei famiglie originarie di Cotignola sono connestabili, sette castellani, mentre i familiari del duca, gli Attendoli, sovrintenderanno ai castelli delle città più importanti: Pavia, dal ‘48 all’87; Milano, dal ‘52 all’agosto ‘66; Piacenza, dal ‘59 al ‘62 (anno della rivolta di oltre un centinaio di terre rurali) e ancora dal ‘66 al ‘69. 164 Covini riporta l’esempio dei Caimi, trasferiti da Savona a Lodi, poi a Lucolo e Soncino. 165 Giovanni Antonio della Croce, castellano a Bellinzona, chiede il permesso di far sposare a un figlio naturale un’orfana del luogo con 300 ducati di dote, ma di vile condizione e non originaria di Bellinzona e dunque senza parenti in città ( Comuni , 20). 166 Antonio Mirani, connestabile a Como dal ‘50 al ‘67, è promosso con Galeazzo Maria castellano presso la rocchetta di S. Maria sopra Trezzo, a confine con Venezia, ma nell’82 il figlio, che gli era subentrato, sarà rimosso dal Moro. 167 Stesse caratteristiche anche nel periodo visconteo: offici familiari, concessi a vita, senza carriera, se non il fatto che alcuni castellani possono diventare capitani della città (con supervisIone e giurisdizione perciò delle fortificazioni della città e del distretto); affidati a militi di nobili famiglie lombarde i castelli, a soldati di provata fede le porte (T. ZAMBARBIERI, Castelli e castellani viscontei. Per la storia delle istituzioni e dell’amministrazione ducali nella prima metà del XV secolo , Bologna Cappelli 1988). 31

GLI OFFICIALI DEL CONTADO I podestà rurali Una breve premessa Parlare di podestà del contado significa trattare di una realtà amministrativa molto variegata e composita. Per contado si intende propriamente il territorio dipendente dalla città, ovvero, dal punto di vista dell’organizzazione ecclesiastica, l’ ambito diocesano; un’area di antica pertinenza urbana, amministrativamente ripartita in pievi, vicariati, squadre, circoscrizioni di ampiezza diversa, che comprendevano un certo numero di insediamenti rurali, affidate per l’ordinaria amministrazione e la bassa giustizia a un podestà, in genere originario della città 168 . Ma nel Quattrocento questa geografia amministrativa dei contadi appare lacerata e interrotta da diversi tipi di énclaves amministrative, terre che non dipendevano più dalla città, ma dotate di mero e misto imperio, che possiamo ripartire in terre di antica pertinenza ecclesiastica 169 , terre cosiddette exempte et separate , cioè terre che dipendevano direttamente dal duca ( immediate supposite) 170 e terre infeudate ( infeudate et alienate ). Siamo in presenza perciò di una maglia amministrativa molto variegata, delle cui varianti si serve il duca per indebolire la città, sottraendole i centri economicamente più ricchi e portandoli sotto il suo diretto controllo, o infeudando i villaggi del suo contado. Fu certamente per controllare l’antica feudalità, predominante in certe aree del ducato, e soprattutto per disciplinare i suoi officiali che non erano soggetti al sindacato 171 , che Filippo Maria Visconti emanò nel 1441 il decreto del Maggior Magistrato, limitatamente a Pavia, Piacenza e Parma172 , ove stabiliva che, nei casi di controversia tra rurali soggetti a feudatari e cittadini, il magistrato competente sarebbe stato il podestà cittadino, ma, essendo questo ufficiale di nomina ducale e non più cittadina, in ultima istanza il duca con questo decreto avocava a sé le controversie tra feudatari e cives 173 . Chiarissimo appare anche il tentativo di spezzare la compenetrazione città-contado e di indebolire la classe dirigente urbana, soprattutto nel periodo sforzesco, quando la esclusiva presenza di cittadini che reggono le podesterie del loro contado appare limitata al solo cremonese (i cui cittadini però, a partire da Galeazzo Maria, si vedranno esclusi dalle terre separate dello stesso contado), e nonostante tale richiesta comparisse regolarmente tra il 1448 e il 1450 nei capitoli stesi tra Francesco Sforza e le singole città. Capitoli di estremo interesse perché mostrano lo spirito municipalistico che anima questi centri, che rivendicano anacronisticamente la reintegrazione delle località separate o alienate, sostengono la concessione dei benefici ecclesiastici ai soli cittadini, e chiedono che ai collegi di giudici e notai venissero ammessi solo i locali. Seguire le carriere dei podestà rurali richiederebbe preliminarmente individuare le diverse aree amministrative, una realtà sfuggente e mutevole, sia per le numerose e temporanee infeudazioni

168 Mancano del tutto le indagini sulle circoscrizioni amministrative del territorio e sulla consistenza demica dei contadi, anche se esistono fonti utili allo scopo, come ad esempio i compartiti dei cavalli e del sale, censimenti di biade e una visita pastorale nel contado pavese. Per una prima indicazione si veda la relazione del 1533 dell’ambasciatore veneziano Giovanni Basadonna che cita (ed escluse Parma e Piacenza) 2222 comuni (A. SEGARIZZI, a cura di, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Bari Laterza 1913, vol.II, 38-9) 169 La corte di Mattarella nella Valle di Antigorio, ad esempio, era separata perché dipendeva dal vescovato di Novara, Volpedo nel Tortonese era della Fabbrica del Duomo di Milano, Portalbera e Stradella del cardinale di Pavia che nominava perciò gli officiali. 170 Sull’argomento si veda G. CHITTOLINI, Città, comunità e feudi nell’Italia centrosettentrionale (secc. XIV-XV) , Milano Unicopli 1996. 171 Sforzesco , 1135, 1496 settembre 13. I senatori segreti e di giustizia ricordavano al Moro che il decreto del 1441 era limitato alle aree feudali e non alle terre separate, perché in queste ultime il duca poneva i suoi officiali e li faceva sindacare. 172 Novara, Como e Lodi lo avrebbero ottenuto nel luglio ‘68; Tortona lo rivendicava ancora nel ‘95. 173 In realtà questa normativa, considerata dai feudatari come lesiva dei loro privilegi, sembra essere stata assai poco praticata; tuttavia il Consiglio Segreto avrebbe suggerito a Galeazzo Maria di usare un compromesso per farla rispettare senza inimicarsi i feudatari: un cittadino avrebbe dovuto inizialmente convocare un suddito di feudatari davanti al magistrato feudale e solo se non avesse avuto bona iustitia avrebbe potuto far ricorso al maggior magistrato (Sforzesco , 885, 1468 luglio 12). 32 dei duchi, sia per le numerose e temporanee separazioni concesse. Tra l’altro sotto nome di feudo, non a caso si preferisce nei documenti quattrocenteschi usare l’espressione terra alienata , vanno cose molto diverse, nel senso che la giurisdizione copre ambiti diversi e ha un diverso spessore nelle diverse località, e anche le entrate concesse sono diverse: generalmente, secondo un uso introdotto da Filippo Maria Visconti, il duca si riserva nelle alienazioni il dazio della mercanzia, la tassa del sale e dei cavalli, ma in certi casi vengono concesse anche queste al neo feudatario. D’altra parte, come precisava il giurista Giovanni Grassi nel 1471, i duchi di Milano non potevano concedere terre a estranei se non in feudo, in forza della investitura imperiale fatta nel 1396 al primo duca. Infine non si può non ricordare che i numerosi rami della famiglia Visconti non si consideravano feudatari sforzeschi, perché – affermavano orgogliosamente – possedevano le terre “ab aeterno” 174 ; non solo essi non pagavano le annate come gli altri feudatari, ma anche i loro massari erano esenti dai carichi fiscali, privando così gli Sforza di una consistente entrata se l’ambasciatore veneziano Gianiacopo Caroldo, nel 1520, osservava che i Visconti avevano entrate per 80.000 ducati, quando l’entrata ordinaria dello stato non raggiungeva i 350-400.000 ducati. Inoltre, sotto il termine di terre separate vanno entità amministrative molto diverse; generalmente ci si riferisce a quei borghi che avevano raggiunto questo status (in alcuni casi come Monza fin dalla metà del Trecento), in forza della loro rilevanza economica e di una più robusta concentrazione demografica (Monza, Vigevano, Abbiategrasso, Mortara, Borgo San Donnino), ma anche della loro particolare collocazione geografica: a confine con Venezia (Casalmaggiore, Castelleone, Soncino), a confine con i paesi di lingua tedesca (Valsassina, Bellinzona...), a confine con il Piemonte (Sale, Biandrate, Valenza, Bosco…). Ma a fianco a questi centri, spesso anche infeudati temporaneamente, bisogna ricordare singole aree di pianura senza un centro demico di rilievo e anche più modeste possessioni, che ottengono tuttavia giurisdizione separata 175 ; l’ambasciatore veneziano Basadonna nel 1533 censiva ben 72 terre separate. È una realtà molto mutevole questa amministrativa, sia per le infeudazioni, più intense con Galeazzo Maria e con il Moro, sia per le richieste (non sempre accolte) di separazione, ambita dalle comunità come mezzo per farsi “ogni dì bone di forteze e di populi” 176 , realtà mutevole, ben evidente dalle nomine intermittenti segnalate da Caterina Santoro 177 . Molte podesterie rurali infine, senza essere infeudate, esenti o separate, venivano donate; questo significa che il donatario poteva nominare l’ufficiale che esercitava giurisdizione 178 . Riguardo ai funzionari che le reggono dobbiamo distinguere tra le podesterie rurali propriamente dette, su cui avanzano pretese i cives della città, le podesterie delle terre separate che vengono amministrate direttamente dal duca attraverso i Maestri delle entrate straordinarie, e le podesterie feudali, i cui podestà sono di nomina del feudatario. Per quanto riguarda i podestà feudali sembra che la loro nomina fosse di competenza del signore, anche se il duca non rinuncia ad esercitare un certo controllo, sia confermando le nomine dei

174 Famiglie , 207. 175 Giacomo Alfieri di Sant’Angelo Lodigiano chiede la separazione di una sua possessione, la “Bonhora”, perché estendendosi nel territorio di ben cinque località era impossibile metterla all’estimo dei singoli comuni. E ancora, Giovanni Aloisio e Franchino Visconti avevano una possessione nella pieve di Carbonara, ove erano anche i maggiori proprietari terrieri, possessione di recente costituita mettendo a coltura boschi e gerbidi e introducendo nuovi abitanti; chiedevano perciò il dominio di questo luogo, come se fosse un feudo ( Famiglie , 207). Ma è possibile anche seguire la nascita e formazione di una nuova giurisdizione nei pressi di una città. Facino Tanzi, mercante e caneparo del sale delle terre diverse fino agli anni ‘80, proprietario di una possessione nell’alessandrino, a Fraschetta, chiamata S. Giuliano, ove aveva costruito fienili, cascine per massari e bergamini, stalle, chiede dapprima il permesso di circondarla con un muro che doveva essere interrotto da due porte e da torricini, essendo in un luogo isolato, distante dalla città sette miglia. Tre anni dopo, quando vi risiedevano già 18 famiglie per un totale 100 bocche, chiede di nominare un officiale che avesse giurisdizione civile e criminale e ogni altro potere sul luogo; nel 1462 gode certamente di esenzione totale anche per i fittabili e i mezzadri ( Famiglie, 184, Tanzi). 176 Così la supplica di Romanengo nel cremonese che richiamava le condizioni economiche di Soncino, Castelleone, Covo, Antignate e Mozzanica, terre separate a lei vicine; la stessa comunità in un’altra supplica avrebbe minacciato l’esodo in caso di infeudazione ( Comuni ,77) 177 Basta vedere le nomine nel pavese dei podestà di Stradella, Pellegrino, Rivanazzano, Piopera, oppure di Casalnoceto e Castelnuovo nel Tortonese. 178 Registri Ducali, 106, 1470, si dona a Gottardo sellaro del duca la podesteria comense di Bellano, Dervio e Varenna. 33 podestà feudali, sia imponendo loro il sindacato (spesso dietro sollecitazione della popolazione), sindacato effettuato dai sindacatori ducali, scelti però dallo stesso feudatario 179 . Talora il duca costringe il feudatario a nominare come podestà un suo raccomandato 180 ; altre volte impone il podestà, nonostante le opposizioni dei nobili locali 181 . A partire dal ‘91 poi il duca rivendica l’autorità di intromettersi nelle cause tra i feudatari e i loro sudditi 182 . Per individuare le caratteristiche di questi funzionari bisogna innanzitutto distinguere grandi e piccole località infeudate. Nelle piccole e piccolissime infatti esercitano come podestà persone in genere originarie del posto, che praticano a lungo, senza che l’incarico sia premessa per un cursus professionale 183 . Un caso limite quanto a durata dell’officio sembra quel Giovanni da Bologna podestà di Valmaggia e Valle Lavizzara da più di 36 per conto del feudatario Pietro Rusca e riconfermato dal duca 184 . Viceversa i podestà delle località infeudate di dimensioni più rilevanti sono giuristi che intervallano cariche nel ducato e fuori a cariche nei feudi. Due soli esempi: Giovanni Marco Grassi giureconsulto pavese, già esecutore di Filippo Maria Visconti, è luogotenente di Luchina dal Verme a Voghera nel ‘55-7 e commissario di Alessandria e Tortona dal febbraio ‘63. Giacomo Secco da Caravaggio, giureconsulto e sindacatore generale, è podestà di Bosio Sforza a Castellarquato 185 . Nel ducato di Milano l’infeudazione non è ben vista, né a livello centrale 186 , né da parte della popolazione, spesso sobillata e appoggiata dai grandi proprietari locali 187 . Molte località si oppongono alle infeudazioni, non lasciando esercitare il podestà feudale 188 , altre ricorrono al duca invocando migliore officiale 189 . Ma si trovano anche località che, vessate dalla città, si dichiarano

179 Si veda ad esempio la supplica contro il podestà di Volpedo nel Tortonese, Giovanni Stefano Mondella, perché non fa giustizia, li picchia, li incarcera. In Registro Missive , 105, 1472, Gabriella da Fogliano ricusa il sindacatore Baldassarre da Corte inviatole dal duca per sindacare il podestà di Castelnuovo parmense. 180 Comuni , 36. In una lettera senza firma si consiglia a Bartolomeo Calco di parlare con la duchessa perché convinca due dei quattro figli di Guarnerio Castiglioni a dare la podesteria di Garlasco a Bertola da Cogliate. 181 Gli Isimbardi avevano avuto in feudo la podesteria di Cario, ma il duca sembra nominare il podestà; nel ‘67 infatti i nobili di Cario si oppongono alla nomina di Iselberto di Canepanova, un locale che aveva acquistato l’ufficio, asserendo che era in contrasto con i decreti ducali nominare uno del posto e offrendosi di rimborsare la cifra (Sforzesco , 845). Santoro segnala questo nome come ultimo podestà di Cario; è probabile che non avesse mai ricoperto e che i nobili locali si fossero accollati da allora in poi la spesa della podesteria per amministrarla come volevano. 182 Comuni , 20; supplica di Pietro Rusca del 6 maggio 1497. 183 Tomeno Paltroni di Novara fu podestà di Calpignano da dicembre ‘52 a maggio ‘59 e ancora, secondo Santoro, dal ‘65 a maggio ‘67; le nomine di Calpignano poi si interrompono essendo divenuto feudo del giureconsulto pavese e consigliere segreto Giovanni Giacomo Ricci che lo aveva comprato nel ‘66. Ma il Paltroni, riconfermato dal feudatario, avrebbe esercitato ancora, finché nel ‘72 la comunità chiese al duca di sindacarlo perché aveva venduto con frode pascoli e boschi del comune per pagare la tassa del sale della comunità ( Comuni , 17). Ad Annone Carlo Viola è podestà da febbraio ‘60 a dicembre ‘77, mentre il figlio Nicolò lo è di Arazzo (feudo di Carlo Cagarano, consuocero di Giorgio di Annone) nel ‘76, e poi da ottobre ‘87 al ‘94 e ancora nel ‘97. 184 Comuni , 18, ‘75 maggio 9; sempre nel ‘75 però sono i Maestri delle entrate straordinarie che per conto di Pietro Rusca nominano Giacomo Crivelli podestà di Locarno. 185 Comuni , 22. 186 Comuni, 42 Memoria anonima per il vicario Ardicino da Cella che deve riferire a Cicco su le infeudazioni delle pievi di Agliate a Vimercate, in cui si dice che il paese e gli uffici sono impoveriti da queste alienazioni. La stessa duchessa Bianca si dichiarava contraria a concedere feudi: “meglio un’onesta provvisione che l’entrata di un luogo del novarese, anche se a favore di un Visconti” ( Famiglie , 207). 187 Quando si concede in feudo a Giovanni Antonio Gambaloita Terdobbiate nel novarese, i massari di Calzavacca rifiutano di giurare la fedeltà e chiedono una sospensione di un mese, affermando che sono “rudi et inexperti et poverelli laboratori de terra et incogniti ne la cità de Milano, in la quale esso Giovanni Antonio ha infiniti favori, amicitie et parentati “. Essi si fanno rappresentare dai potenti novaresi Enrico e fratelli Tornielli, dei quali sono fittavoli ( Famiglie, 77). 188 Comuni , 42, 1496 febbraio 5, Bartolomeo Pilizoni, podestà di Mandello per Gaspare Sanseverino, scrive al Moro che gli uomini non lo fanno esercitare, perché non vogliono altro signore se non il duca. 189 Comuni , 78, 1481 S. Giorgio di Lomellina si lamenta dei figli del precedente feudatario Alberico Maletta perché esosi, e denuncia che il nuovo feudatario, il segretario di Bona, Aloisio Becchetti, ha posto come podestà Galeazzo Maletta, inesperto, ignorante e sempre assente; chiedono perciò al duca un podestà migliore e non della famiglia Maletta. 34 favorevoli all’infeudazione, probabilmente attirate dalle promesse del futuro feudatario 190 . In genere quando una località viene infeudata è consuetudine che il podestà ducale termini l’officio, prima di essere sostituito 191 . Concludendo, a parte i podestà giuristi dei grandi feudi, i podestà dei piccoli centri infeudati o alienati o donati sono locali che esercitano temporaneamente, anche se più o meno a lungo, ma esclusivamente in quella località. I podestà delle piccole località rurali esercitano in genere due anni, per poi spostarsi in località vicine, spesso appartenenti allo stesso contado. Particolare è il caso dei cittadini cremonesi che esercitano esclusivamente nelle podesterie del loro contado, per più anni, spostandosi da una terra ad un’altra e facendo così una professione di questo servizio a raggio ridotto 192 . Anche nel cremonese però si riscontrano lunghe e anomale permanenze in una stessa località, che solo un’accurata ricerca locale che tenga conto, ad esempio, della distribuzione della proprietà fondiaria potrebbe essere in grado di giustificare 193 . In genere la permanenza è limitata ai due anni ed il circuito di questi podestà rurali abbraccia un ambito territoriale di due, tre contadi cittadini; a fine ‘400 però soprattutto nel comasco e in zone di confine le permanenze dei podestà si dilatano, quasi che si preferisca un funzionario pratico e fedele ad un inesperto e sconosciuto reggitore 194 . Ma non si può generalizzare, e bisognerebbe valutare caso per caso le “eccezioni” 195 . La presenza del fiorentino Rinaldo Albizi a Salso dal gennaio ‘51 a dicembre ‘66 è forse la ricompensa di Francesco a un sostenitore? Il commissariato di Ghiaradadda tra ‘53 e ‘68 ai Secco, grandi proprietari del luogo, cognati di Sagramoro Visconti e di Gaspare Vimercate, ha il significato di ricompensare una famiglia fedele in un’area di confine, o non è l’implicita accettazione di una signoria locale, per quanto favorevole agli Sforza, e bruscamente interrotta da Galeazzo Maria, mascherata e legittimata attraverso una carica statale? Certamente ha forti interessi economici a Bergoglio l’alessandrino Giovanni Stefano Guasco, podestà tra ‘80 e ‘99; così come i da Concorezzo lodigiani, podestà e castellani a San Colombano, ma anche affittuari della omonima possessione della Certosa di Pavia. La presenza dei Cusani a Trezzo, terra a confine con Venezia, che reggono un officio di grande importanza militare, rivela invece gli stretti legami e la grande fedeltà di questa famiglia alla casa Sforza. Nei primi anni di dominio, soprattutto dopo la pace di Lodi, Francesco Sforza aveva utilizzato le piccole podesterie rurali per ricompensare anziani famigli d’arme e fedeli seguaci 196 : ben 122 podestà, in massima parte forestieri, ricoprono la carica di podestà una sola volta e per un solo biennio 197 . Più tardi questo costume di utilizzare gli offici minori come ricompensa continua ed è in genere associato al prolungamento dell’incarico oltre il biennio 198 .

190 Comuni , 63 Le entrate di Paderno e Montegualdone erano state donate dal duca al segretario Antonio Guidoboni per la dote della moglie; le due comunità chiedono al duca, minacciando l’emigrazione, di essere infeudati al Guidoboni, ricordandogli che in tal caso lo Sforza continuerà a riscuotere sale, inquinto e tassa dei cavalli. 191 Famiglie , 37; lettera di Bartolomeo Calcaterra podestà ducale di Castelnuovo Tortonese. 192 Guglielmo Oldoini esercita come podestà nel cremonese dal ‘54 al ‘69, Stefano Stefani dal ‘56 all’84. 193 Martino Galli di Chiari è podestà di Trivoli da gennaio ‘67 a dicembre ‘79; Apollonio Zocco è a Bordolano da gennaio ‘65 a dicembre ‘70, quando trasmigra a San Giovanni in Croce; Giovanni da Vho è a Platina da gennaio ‘70 a dicembre ‘78. 194 Il Comasco è terreno esclusivo di milanesi (Lanci, Federici, Caimi, Barzi, Bossi, Porri, Camnago) e comaschi; dei Malagrida comaschi Francesco è podestà a Dongo dal ‘76 all’82, Raffaele a Coreno dal ‘60 al ‘68 e a Gravedona dal ‘67 al ‘79. 195 Segnaliamo i milanesi de Orto a Desio tra ‘82 e ‘99, i de Trizio (Giacomo e il figlio Francesco) a Castelnuovo parmense dall’ottobre ‘54 al dicembre ‘70, prima dell’infeudazione a Corrado Fogliani. 196 Per riconoscenza verso l’aulico Baldassarre Barzi che gli aveva prestato 200 fiorini, concede al fratello Alessandro, già podestà a Morbegno e Teglio, la podesteria di Tirano dal ‘54 al’56 ( Sforzesco , 1616). 197 Successivamente le podesterie sono appannaggio esclusivo dei lombardi, con l’eccezione di Antonio da Forlì podestà di Sezzadio nell’alessandrino dal ‘62 al ‘66 e di Laciosus Laciosi da Forlì podestà nel parmense e piacentino tra ‘50 e ‘56, ma dal ‘56 al ‘60 officiale delle bollette di Alessandria. 198 Bianca Maria concede alcuni offici gratis, come per i Poiani di Crema podestà a Returbio e Casalmaggiore e per Gabriele Undegardi a Giarola pavese e in Valsesia; sempre grazie a Bianca Maria Cristoforo Capello, tra ‘54 e ‘66 podestà a Busto e Gallarate, esercita anche per otto anni di seguito nella stessa località. 35 Occupare piccole podesterie per più anni è spia che in questo caso l’esercizio della carica vuole essere la remunerazione per dei servizi prestati, come nel caso di Filippo Scottioli, podestà a Vailate dal ‘70 al ‘77, a lungo impiegato nella ricostruzione del castello di Porta Giovia. Tuttavia il duca non perde mai di vista l’interesse dello stato e queste podesterie saranno sempre di limitato valore economico e di scarso interesse politico. Si è conservata per il periodo di Galeazzo Maria documentazione in cui, città per città, si riportano gli offici distinti in offici che importano , officii de piaceri , officii de pocha importanza; tali liste, che non sono complete, e presentano anche oscillazioni di uno stesso officio da una categoria all’altra, confermano però la scarsa rilevanza politica ed economica di alcune località. Sono censite tra gli officii de’ piaceri, ad esempio, tutte quelle località che dal tempo di Filippo Maria Visconti erano riservate agli uccellatori ducali che qui avrebbero esercitato anche come podestà 199 , cosicché l’ufficio costituiva la loro remunerazione. Un ultimo esempio a conferma di questa oculata gestione ducale: Ercole del Maino, figlio del consigliere segreto e zio della duchessa Bianca Maria Andriotto, inviato ufficialmente come officiale del sale a Venezia, nella realtà spia personale di Galeazzo Maria, era stato imprigionato e poi espulso per questa sua attività dal governo veneziano. Ritornato in patria ottiene, gratis, la podesteria di Bormio per due anni, senza avere nessuna pratica amministrativa; ma questa podesteria, che il del Maino ricopre per poco tempo, essendo ucciso di lì a poco, era sì una podesteria di confine, ma di scarsa importanza; infatti, come esplicitano alcuni documenti, “qui il podestà ha poco arbitrio e quando siede al banco ha una sola voce, perciò gli si poteva imputare poco o niente” 200 . Anche la frequenza delle raccomandazioni 201 , che spesso vanno a buon fine 202 , non sembra andare a discapito dell’esercizio della carica, generalmente esercitata personalmente 203 . Tuttavia alcune podesterie sembrano vere e proprie sinecure, come nel caso dei Federici di Valcamonica, antichi signori che si mantengono esercitando offici nel comasco, con risvolti negativi, perché la lunga permanenza in alcune località li porta ad allacciare amicizie e parentele a danno di un limpido esercizio dell’officio 204 . I podestà delle piccole o meno piccole comunità trovano spesso ostacoli nella presenza di ricchi proprietari o affittuari 205 , e di antiche famiglie 206 , talora già feudatari della località 207 , come i Confalonieri di Candia nel pavese, che non partecipano al consiglio comunale, o si fanno sollecitare “poco extimando l’offitio et il comandamento del podestà” 208 , intralciando l’operato del funzionario con grave danno per il suo onore e per l’autorità ducale. Feudatari e ricchi proprietari godono tra l’altro di importanti amicizie e parentele nell’ambito della corte e dei Consigli, parentele di cui si servono a danno ora degli abitanti, ora dello stesso podestà 209 . Ma si può trovare

199 I documenti si trovano in Uffici e Tribunali regi , p. a., 7 e Sforzesco , 1604 e 1625; il documento sulle podesterie concesse agli uccellatori, con relativa cartina, è trascritto in VAGLIENTI, Cacce e parchi ducali , 258-60 200 Comuni , 28, 1498 dicembre 15, il Consiglio Segreto al Moro per Giacomo Vismara podestà di Bormio eletto podestà di Soncino. 201 Sforzesco, 1616, il cancelliere della Cancelleria segreta Filippo Feruffini chiede un officio per Giovanni Giacomo Guerra. 202 Elena del Maino ottiene nel 1480 la podesteria di Treviglio per il cognato Pietro Preattoni ( Famiglie , 103). 203 Pochi i casi di sostituzione individuati: il milanese Bartolomeo Scazoso “ per servire meglio il duca” fa esercitare da altri la carica di officiale delle vettovaglie a Como ( Famiglie , 169); Francesco Birago aveva ottenuto per due anni il capitanato di Domodossola, ma era stato costretto a promettere di cambiare il suo sostituto Pietro Torti (che ritroveremo poi podestà di Alessandria dall’80 all’84) perché non si comportava bene ( Famiglie , 21). 204 Si veda per Giovanni Bartolomeo Federici podestà di Borgo Magenta Comuni , 42 e per Mario Federici podestà di Tirano dal ‘58 all’83, con intervalli, le accuse in Comuni , 81. 205 Si è già ricordato il caso di Gabriele da Concorezzo, podestà e castellano di S. Colombano, che con i fratelli Bassiano e Ambrogio, canonico questi a S. Ambrogio a Milano, era fittabile dal 1467 dei 1300 ettari della possessione omonima di proprietà della Certosa di Pavia. 206 Rimandiamo ai numerosi esempi citati in CHITTOLINI, L’onore dell’officiale , in particolare 22-6 l’esempio dei Secco da Caravaggio. 207 È il caso dei Beccaria di Arena Po nel pavese illustrato da G. STORTI, Arena Po. Lineamenti di storia medievale , Pavia 1972, 78-92. 208 Comuni , 17, Candia 1497 il podestà Nicolò al duca. 209 Comuni , 78, Salvano è una terra separata nell’ Oltrepò pavese ove i Bottigella, Menapace e Tommaso, cittadini pavesi, hanno vaste proprietà esenti. Essendo scoppiata una lite con gli altri abitanti per il riparto dei carichi rurali, i 36 anche il caso di comunità che chiedono il prolungamento dell’officio per gli antichi signori decaduti che lì esercitano come podestà 210 . I feudatari medesimi non disdegnano l’ufficio di podestà, ponendosi come rappresentanti ducali là dove esercitavano o aveva esercitato antichi diritti di signoria, come nel cuore del pavese feudale, dove troviamo aggregate in una sola podesterie Cario, Gambarana e Sperovara, tre terre già feudo di antiche famiglie, i da Gambarana, i da Sperovara, gli Isimbardi. In questa piccola circoscrizione l’officio è affidato a un prestigioso giurista pavese, Lorenzo Isimbardi, il quale lo tiene, con l’autorità di farsi sostituire, fino al settembre ‘61 quando muore. Essere titolare di una piccola podesteria non sembrava disdicevole a questo giurista che nel dicembre ‘49 scriveva risentito a Francesco Sforza per non essere stato nominato consigliere di Giustizia, considerandola anzi una “grande infamia”, fatta a lui che pure aveva rifiutato altri incarichi “per governare Pavia per 20 anni”, cioè per rimanere al governo della città. Era stato infatti chiamato ad insegnare diritto e ad esercitare la funzione di consigliere in Borgogna, ma costretto da Filippo Maria Visconti a rinunciare; era andato ambasciatore del Visconti in Savoia da papa Felice, al concilio di Basilea, a Magonza e ancora dal re di Francia, a Venezia, dall’imperatore. Uditore di Nicolò e di Francesco Piccinino, aveva convinto i pavesi a darsi allo Sforza e aveva avuto gravi danni a Cairo perché i Savoini avevano bruciato tutte le case... 211 . Un tale personaggio dunque figurava titolare di una podesteria rurale che in parte ancora signoreggiava. Nonostante la scarsa remunerazione e molte intrinseche difficoltà nell’esercizio della carica la professione di podestà rurale appare praticata sistematicamente da alcuni personaggi che la esercitano in genere in uno, due, massimo tre contadi 212 . Tracciare la carriera di questi ufficiali è impossibile perché sono ignote sia l’ampiezza delle circoscrizioni amministrative che la consistenza demografica delle stesse; eppure sembra di poter affermare che per i modesti podestà rurali non esiste una carriera ascensionale, ma solo circolare, pur con qualche eccezione, come nel caso di Giovanni Brambilla che esercita dal ‘50 al ‘74 nel lodigiano, pavese, Ghiaradadda e piacentino. Costui sembra far carriera, perché da piccole località come Meleto, Villanterio, Broni, arriva a Fiorenzuola e BorgoValditaro.

Ad un livello diverso, per preparazione, capacità e carriera appartiene invece il gruppo dei podestà che esercitano nelle quasi-città 213 , cioè nei grossi borghi rurali separati amministrativamente dalla città alla cui diocesi continuano invece ad appartenere. Premettiamo che in queste località esercitano quasi esclusivamente officiali originari del ducato e non forestieri, officiali che non provengono mai dalla città dominante, con l’eccezione delle terre separate del cremonese fino al periodo di Galeazzo Maria. Anzi, possiamo constatare come a partire almeno dal periodo di Francesco Sforza e con l’eccezione globale del cremonese e solo in parte del pavese, del milanese e residenti inviano una supplica al duca lamentando i rapporti tra alcuni consiglieri segreti (la causa era stata affidata al Consiglio Segreto) e i Bottigella: “Alessandro Spinola era parente di Corradino Bottigella, mentre GiovanMatteo, figlio di Tomeno che era parte in causa, era nipote di Giovanni Borromeo, affine di Sagramoro Visconti, intimo e amicissimo di Agostino Rossi, compare e intimo come un fratello con Tommaso da Bologna”. La comunità chiedeva perciò che la causa venisse affidata a un più modesto, ma meno corruttibile sindacatore. 210 Comuni, 90, Villanterio; si chiede la riconferma di Giovanni Antonio dei capitani di Villanterio, podestà da sei anni, perché, essendo cittadino, non paga lì per i pochi beni che ha. La podesteria gli era stata concessa perché un parente, Giovanni Antonio, sindaco fiscale e revisore a Milano, l’ aveva ottenuta a sconto di un credito di 200 lire. E’ probabile che la comunità volesse accattivarsi la benevolenza del sindaco fiscale. 211 Sforzesco , 38, 1449 dicembre 8, Pavia; la nomina dell’Isimbardi provocò l’opposizione della popolazione, spinta dai 36 nobili di Cario che rivendicavano l’elezione del podestà, e suggerivano di nominare Enrico Santa Maria che lo era stato già per 20 anni. 212 Alcuni esempi: Cristoforo Bossi tra ‘51 e ‘65 è podestà a Cantù, nel comasco (Mandello, Morbegno,Teglio), e nel pavese (Chignolo); un Bossi Bartolomeo esercita nell’alessandrino (Solerio, Quargnento, Bergoglio) tra ‘60 e ‘70; Giovanni Antonio da Robiate tra ‘63 e ‘79, quando muore, a Lecco, Bassignana, Trezzo, Treviglio, Bormio, Asso; Opicino de Lanciis da settembre ‘50 alla morte (1474) a Tirano, Bormio, Rivolta, Pellegrino parmense, Teglio, S. Colombano e Tirano. Il milanese Giuliano Porri dal ‘60 all’89 ricopre in Valsesia, nel piacentino, comasco, in Ghiaradadda, nel cremonese e in Valditaro. Giovanni Becchi di Calvisano tra ‘54 e ‘68 è podestà nel pavese (Bulgaro e Confienza), tre anni nella terra separata di Fontanella cremonese, ancora nel pavese (Bassignana), poi nell’alessandrino (Solerio). 213 Si veda per questo CHITTOLINI, Città, comunità e feudi. 37 del comasco le podesterie rurali, nonostante le richieste presentate nei capitoli di dedizione, non sono più appannaggio dei cives. L’officiatura delle terre separate sembra affidata a personaggi di un certo livello che ora chiudono qui la loro carriera, ora invece la utilizzano come trampolino per arrivare a posti di più grande prestigio. Porteremo due soli esempi: il milanese Maffeo Salvatico esercitò per una ventina di anni (‘60-’87), alternando all’officiatura di grossi centri (Melzo, Lecco, Borgo San Donnino, Chiavenna), il governo di due città, Como e Tortona, per chiudere la sua carriera nella terra separata di Soncino. Il cremonese Giovanni Zucca invece esercita tra ‘57 e ‘83, quando muore; fino agli anni ‘70 riveste la carica di podestà di tre terre separate del cremonese: Castelleone, Soncino e Pizzighettone; diventa commissario di Ghiaraddda e poi di Genova, è podestà e commissario a Lodi, ove, riconfermato, tiene anche la tesoreria; nominato podestà e commissario a Parma, dove muore, è sostituito nella carica dal figlio Fabrizio giureconsulto. Le comunità, grandi e piccole, si rivelano molto attente alle nomine dei loro podestà 214 , soprattutto nei casi in cui la carica viene venduta 215 , anche se dei loro timori e delle loro denunce non sempre si tiene conto 216 . L’officiatura di una podesteria anche piccola era preclusa a molti, dal momento che le spese da sostenersi per ottenerla non erano alla portata di tutti 217 , ma l’acquisto di una qualsivoglia carica era probabilmente finalizzata anche a un certo investimento, come faceva sapere un capitano del contado, “verum...se li officii non havesseno emolumenti et beneficii non se trovaria chi li incantasse et exercitasse, cum multo danno de la Camera...” 218 .

I capitani del divieto I capitani del divieto, da non confondere con i capitani di Monza, Binasco e Melegnano che sono equivalenti ai podestà, esercitano nei distretti cittadini con una serie complessa, e variabile nel tempo, di funzioni, che li equipara ora ai capitani del contado di altre aree italiane, ad esempio Lucca e Perugia, avendo in alcuni casi competenze giurisdizionali nei confronti di chi portava armi proibite, dei ribelli e banditi, degli omicidi, dei ladri, degli incendiari 219 ; ora invece hanno compito di mera sorveglianza del commercio di frodo, delle esportazioni illegali di sale e di vettovaglie; ora hanno funzioni esattoriali in quanto sono competenti a riscuotere le tasse gravanti sulle bestie da soma, le ruote dei mulini, le licenze di biade, farine e legumi (per le quali in particolare saranno affiancati a partire dal ‘68 dagli officiali delle biade) e le persone forestiere in transito 220 . Sono dislocati nel comasco: capitano del lago di Como, capitano del lago di Lugano, capitano di Valtellina; nel milanese: capitano di Martesana (risiede a Vimercate e ha giurisdizione anche nel Monte di Brianza), capitano del Seprio (risiede a Gallarate), capitano di Ghiaradadda (risiede a Vailate); nel pavese: capitano di Lomellina e Isolara, capitano di Oltrepò o Casteggio; nel tortonese e alessandrino: un capitano; nel cremonese: un capitano; nel novarese: un capitano nel distretto (a

214 Comuni, 81, Treviglio denuncia che il milanese Giovanni Antonio Robecco, che aveva impetrato l’officio e che troveremo esercitare regolarmente per due anni, aveva una pessima fama. 215 Comuni , 35; la comunità di Fiorenzuola scrive al duca nel ‘74 per informarlo che Luchino Aliotti di Parma, nuovo agli uffici, ha acquistato per 300 fiorini la podesteria che non vale più di 260 fiorini, osservando che non sapeva giudicare se il futuro officiale fosse semplice o malitioso , e offrendosi di restituire i soldi già pagati pur di non averlo come podestà. La supplica non ha effetto e l’Aliotti ricopre per ben quattro anni l’ufficio e poi diventa capitano del Lago Maggiore per due anni. 216 Pantaleo da Crema, podestà a Bulgaro nel pavese per quattro anni e nel novarese a Casalvolone dal ‘56 al ‘62, vede la carriera interrotta dall’accusa degli uomini di Casalvolone di accumulare denaro illecitamente. 217 Si veda in Comuni, , 34, le spese per la podesteria di Erba: lire 184 per l’incanto, lire 4 per spese diverse in uffici della corte, lire 8 e soldi 16 per la lettera di nomina con il sigillo, lire 12 e soldi 10 per tre viaggi a Milano, lire 32 per l’interesse di 130 fiorini presi in prestito. 218 Comuni , 2, Basilio da Firenze capitano del divieto in alessandrino e tortonese (senza data, ma probabilmente del 1473). 219 Il capitano del novarese, ad esempio, come scrive Giovanpietro Pietrasanta nel ‘79 non si occupa di civile, né di criminale; viceversa ancora a fine Cinquecento per i capitani del Seprio e della Martesana si precisa che esercitano nella loro giurisdizione la cura del criminale , secondo le primitive prerogative della carica, istituita a fine Trecento (Per le competenze e le familie degli officiali delle biade a fine Cinquecento si veda P. FRIGERIO-P.G. PISONI, Il ‘chi è’ della burocrazia milanese per l’anno 1589 , in Libri e documenti, VII 1981, n. 1, 29-56. 220 Le competenze si ricavano dai decreti di nomina conservati in Registri ducali, 106, 135. 38 Borgomanero) e un capitano nel lago Maggiore; nel piacentino: un capitano 221 . Naturalmene non avevano la stessa importanza, come risulta evidente confrontando le cifre che pagano per avere l’officio il capitano del piacentino, lire 600, il capitano di Valle Lugano, lire 735, il capitano del cremonese, lire 1136 222 . Questi officiali sono affiancati da un vicario, da 4 a 12 uomini a cavallo, un connestabile con 4-12 uomini a piedi e un ragazzo; un numero variabile (da 3 a 6) di fanti guidati da un capitano o da un più modesto officiale sono dislocati lungo le strade e i passi di accesso al territorio del ducato; molti podestà di diverse località hanno anche l’obbligo di controllare che non si esportino biade senza licenza 223 . Strettamente controllati dai Maestri delle entrate straordinarie, i capitani non potevano processare senza avere informato i Maestri, non potevano emettere sentenza senza il loro parere, e dovevano mensilmente annotare in un libro i processi, secondo l’uso vigente al tempo di Filippo Maria Visconti 224 . Gli offici sono ricoperti da un gruppo ristretto di persone che esercita a lungo in una località (anche fino a un massimo di nove anni 225 ), per poi spostarsi in altri contadi 226 . La delicatezza dell’incarico, che si prestava a facili guadagni, poteva mettere in pericolo la sicurezza e l’autosufficienza di un contado, e nel ‘62 avrebbe provocato la rivolta di ben 107 comuni del piacentino e portato alle porte di Piacenza 4.000 contadini; inoltre il fatto che avessero giurisdizione anche nelle terre feudali e nelle terre esenti 227 , fa sì che l’incarico venga affidato a persone dell’entourage di corte, nobili o di prestigiose famiglie 228 , legati da un rapporto di particolare fiducia col signore: molti sono familiari ducali 229 , e che spesso la carica rimanga nell’ambito della stessa famiglia per lunghi anni230 . Anche questo, a partire almeno dagli anni ‘70 è un ufficio che si compra 231 , ma il fatto che si trovino elenchi di persone giudicate idonee a ricoprirlo, sembra confermare l’attenzione da parte ducale alla competenza di questi funzionari, i quali peraltro erano tutti sindacati alla fine di ogni mandato 232 . La specializzazione dell’incarico fa sì che la carriera sia circoscritta e limitata a questo officio, che può avere travasi o a cui si può giungere, però, dal ruolo degli alloggiamenti dei cavalli, con queste eccezioni:è la sola esperienza funzionariale per pochi nobili milanesi che la esercitano per alcuni anni e in un solo contado 233 ; è una tappa iniziale per Giovanni Antonio Menclozi che diventa podestà, una tappa intermedia per Angelo Trovamala, un trampolino per Alpinolo da Casate che ascende al posto di consigliere segreto 234 .

221 Non sembra esserci un capitano nel lodigiano, ma vi erano invece officiali per la licenza delle biade a Castiglione, Cerreto, Postino e Roncadello. 222 Sforzesco, 1602. 223 Registri ducali , 199, p.110 sg. 224 B.A.M., S 210 inf, cc. 175-9. 225 Abbondio Parravicino è capitano di Lomellina da maggio ‘68 fino a tutto il ‘77. 226 Antonio da Casate da Milano tra ‘52 e ‘77 esercita come capitano del lago Maggiore, Seprio, novarese, Lomellina, piacentino e ancora Seprio; il cremonese Taddeo Bucchiarini tra ‘58 e gennaio ‘70 in Martesana, novarese, Seprio, alessandrino-tortonese. 227 Panigarola- Statuti, 7, 1454 settembre 18. 228 Beccaria, Aliprandi, Cocconate, da Cemo, Pietrasanta, da Madregnano, da Valera, Lampugnani, Bascapè, Crivelli, Visconti. 229 Abbondio Pallavicino, Basilio da Firenze; Bartolomeo da Cemo era stato tesoriere di camera, Galeazzo da Cocconate e Bartolomeo Vistarini camerieri. 230 I da Cemo sono capitani del lago di Como da novembre ‘56 a dicembre ‘70; inoltre la presenza di più membri della famiglia Casate impegnati come capitani nell’alta Lombardia fa sì che nel Seprio, in Lomellina, nel Lago Maggiore si ritrovino successivamente membri della stessa famiglia. 231 Molte successioni familiari degli anni ‘80 sono legate proprio a questa anticipazione di denaro, come nel caso dei Parravicino nel novarese, dei Vistarino nel piacentino. In Sforzesco ,1602, 1471 aprile 26, elenco delle somme versate da alcuni capitani del divieto. Un elenco di officiali eleggibili in Sforzesco , 1604, pro capitaneo devetum. 232 Il capitanato del novarese però era stato donato nel ‘76 da Galeazzo Maria a Filippo Maria Visconti con facoltà di nominare chi volesse. 233 Giovanni Andrea Lampugnani è per un anno capitano parmense, Giovanni Donato Crivelli capitano di Martesana per quattro anni, Andrea Visconti per tre anni capitano del lago Maggiore. 234 Il Menclozi è per sei anni capitano nell’alessandrino-novarese, poi podestà a Borgovalditaro, indi a Cugnolo e poi a Castellazzo; Angelo Trovamala dopo la podesteria di Novara e Parma è capitano di Valtellina, poi ancora podestà di Cremona e Castelnuovo Tortonese. Alpinolo, capitano di Valtellina dal ‘60 al ‘65, del lago Maggiore dal ‘65 al ‘68, del 39

Gli officiali delle biade Officiali addetti in particolare alla concessione di licenze di biade li troviamo solo a partire dal ‘68, quando Galeazzo Maria, alla ricerca di sempre nuove fonti di entrata, creò una cancelleria delle biade distinta dalla cancelleria segreta e affiancò ai capitani del divieto officiali addetti alle licenze di biade 235 . Ma, nel 1479, per limitare le spese, vennero soppressi e le loro competenze tornarono ai capitani del divieto 236 . L’officio fu ripristinato all’inizio del Cinquecento. Per fare le licenze operavano di conserva coi capitani e le rilasciavano insieme; erano obbligati a scrivere ogni giorno in un libro le licenze concesse e dovevano inviarne nota a Milano in due copie, una per la cancelleria delle biade e una per i maestri delle entrate, tutti i mesi entro il giorno 8; i denari riscossi invece dovevano essere mandati mensilmente al tesoriere generale 237 . Anche alcuni podestà avevano comunque l’obbligo di sorvegliare le esportazioni fraudolenti di biade 238 , mentre i capitani del divieto dovevano tenere nei punti di transito più importanti piccoli distaccamenti di fanti 239 . Negli anni di Francesco Sforza l’incarico di sorvegliare le esportazioni fraudolente di vettovaglie era affidato a commissari , come quel Gaspare Ardizzoni da Reggio, familiare ducale, a lungo commissario nel Monte di Brianza, accusato dalla popolazione di farsi pagare più del dovuto 240 , e veniva assegnato per più anni, come nel caso di Zanone da Strada che lo esercitò a Borgotaro per ben 8 anni.

Gli officiali sugli alloggiamenti dei cavalli L’incarico di officiale sugli alloggiamenti dei cavalli era un incarico di grande rilevanza perché si trattava di stabilire in base alle capacità economiche delle singole località il numero dei soldati che vi avrebbero potuto alloggiare; frequenti compartiti verranno perciò fatti nel ducato da cancellieri e familiari ducali, preceduti sia da estimi che da censimenti della popolazione 241 allo scopo di non gravare eccessivamente le famiglie. Eppure numerose lamentele e suppliche si ritrovano, come quella contro Guglielmo Lanzavecchia, officiale nel piacentino, accusato dalla popolazione di costringerli a mangiare erbe e ghiande, essendo stati privati anche delle sementi da seminare 242 ; protesta esagerata forse, ma fondata, se anche Antonio Guidoboni, ambasciatore milanese residente a Venezia, in una lettera a Bianca Maria del marzo 1462 collegava la rivolta del piacentino al fatto che la popolazione delle campagne era eccessivamente gravata dalle tasse del sale e dei cavalli.

lago di Como nel ‘71, consigliere segreto dall’81, nuovamente incaricato in Valtellina rinuncia dopo liti con la comunità (Comuni , 87, era stato accusato da 18 comuni di estorsioni, ruberie, furti e di mettere le mani nel sangue ); non sembra un officiale esemplare dal momento che i comuni del lago di Como, dopo averlo avuto per due anni, si opposero alla sua riconferma. 235 Sulla cancelleria delle biade si veda LUNARI, Forme digoverno nella Milano sforzesca: l’ufficio di provvisione delle biade. 236 Così LUNARI, 265; nel 1531 almeno però ritroviamo a fianco dei capitani gli officiali delle biade dislocati nei diversi capitanati con il titolo di commissario e affiancati da un contrascrittore ( Sforzesco , 1624). 237 Tale procedura si ricava dalle istruzioni inviate a Giovanni Ventura Crivelli officiale a Bosco nell’alessandrino (Comuni, 12, Bosco). 238 I podestà di: Varese, Cantù, Saronno, Marliano, Carimate, Desio, Incino, Vallassina, Lecco, Valsassina, Varzi. 239 Nel vicariato di Saronno a Rovello e Binago; in Martesana a Copreno; in Lomellina a Gravellona; nel piacentino a Rieti, Rovergaro, Castel San Giovanni, Bobbio; nel parmense a Berceto, Corniglio, ponte Enza; nell’alessandrino- tortonese a Bosco, Monferone e Monteacuto; nel cremonese a Piadena, Gallignano, Antignate, Castel Visconti, Castelleone e Calvatone; nel lodigiano a Castiglione, Cerreto, Postino, Roncadello; nel novarese a Fontaneto. 240 Registri Missive , 38, anno 1458; è molto difficile ricostruire l’organico dell’ufficio, segnaliamo perciò in Sforzesco , 1612,1470 novembre 10, un elenco di denari pervenuti alla tesoreria dalle licenzie di biade con l’indicazione degli officiali deputati alle varie poste. 241 Sulle modalità di esazione e sulle trasformazioni di questa tassa dal periodo visconteo a quello sforzesco si veda M. N. COVINI, “Alle spese di Zoan Villano “: gli alloggiamenti militari nel dominio visconteo-sforzesco, “Nuova Rivista Storica”, LXXVI, 1992, 1-56. 242 Famiglie , 94 1478 novembre 13; la popolazione si lamenta che quando riscuote la tassa del carreggio tiene 4-6 fanti a loro spese all’osteria, che quando invia un famiglio, ogni villa deve pagare una certa cifra, che ha muli e cavalli a carico delle comunità... 40 La tassa dei cavalli non riguardava invero tutti i contadi; alcuni, come il comasco erano esenti per le condizioni pedologiche del territorio, altri, come il milanese, godevano dell’esenzione concessa nel ‘69, in occasione della nascita del figlio maschio primogenito al duca. Gli officiali addetti sono inizialmente cancellieri del duca 243 , anche in ragione del fatto che devono essere pratici di eserciti; successivamente troviamo lombardi, legati al duca da rapporti di familiarità, imparentati con funzionari ducali e di nobile famiglia 244 . Come per i capitani del contado questo è un officio specializzato, che si esercita a lungo in una stessa località, anche in forza del fatto che a partire dagli anni ‘70 viene – per così dire – venduto, e l’ufficiale non può essere sostituito fino a che non si trovi un sostituto che accetta di pagare la somma anticipata. Tuttavia a differenza dei capitani e di altri offici sembra che l’officio venga affidato a cittadini: troveremo così Maletta e Trotti e Isimbardi nel pavese, da Cerrato e Cornazzano a Parma; Zucchi e Mariani a Cremona. Da segnalare due officiali, forse di famiglia milanese, che si distinguono per il lungo esercizio della carica, l’uno Giovanni Lampugnani è nel novarese dal ‘65 all’80 e poi ancora dall’87; l’altro, Giovanni Andrea Landriani, è impiegato dal ‘67 all’80 nel cremonese e dall’80 al ‘99 nel parmense.

Gli officiali dei porti La rete capillare dei porti 245 era tutelata attentamente, per quanto le entrate di alcuni di questi fossero state donate a privati; sorvegliare i porti significava infatti controllare il transito di persone sospette ed impedire anche commerci fraudolenti di sale e biade. In particolare nei periodi in cui scoppiava la peste, per evitare che il contagio si propagasse, venivano inviati come sorveglianti nelle località di transito più importanti cortigiani e camerieri, ovvero persone legate al duca da un particolare rapporto di fiducia. Ogni porto doveva avere un officiale e chi aveva avuto in dono l’entrata di un porto doveva provvedere personalmente a stipendiare l’officiale 246 ; capitava tuttavia che per risparmiare il patrono facesse esercitare l’officio dal portinaro, cioè l’addetto all’attracco dei barconi, uomo spesso onesto, ma anche analfabeta, che, come riferisce Antonio Cane che nel ‘73 era commissario del Po, non sapendo leggere faceva passare molti senza bollette regolamentari 247 . Capitava anche che l’incarico temporaneo, assegnato a famigli e cortigiani, in caso di sospette pestilenze, si protraesse a lungo, come si ricava da una supplica dell’aulico Aloisio Aliprandi che chiedeva di essere utilizzato altrimenti che non come cortigiano, se il duca non poteva permettersi di pagarlo per l’ufficio a corte, dal momento che erano tre anni che sorvegliava i porti di Vaprio, Cassano e Rivolta, andando a cavallo notte e giorno per impedire frodi di biade e sale e con un misero stipendio, sì che aveva già speso del suo ben 200 ducati 248 .

Osservazioni conclusive Alcune osservazioni conclusive su un materiale ancora informe e che necessita di ben altre e lunghe ricerche proviamo a tracciare qui, in base allo spoglio di alcune migliaia di nomi e alla ricostruzione di altrettante carriere, ricostruzione che presenta sovente lacune (alcune nomine non compaiono, alcune sostituzioni non sono segnalate), incertezze (non si sa se l ’ufficiale designato ha effettivamente ricoperto e per quanto tempo) e ambiguità (per le omonimie).

243 Il cremonese Raffaele Pugnelli, già collaterale con Filippo Maria Visconti, al servizio dello Sforza dal ‘45, morirà nel ‘66, cancelliere e famiglio cavalcante, nonchè aulico di Francesco, fin dal ‘50 si era occupato di alloggiare le truppe ed era stato incaricato del compartito nel piacentino che gravava su tutte le terre anche le feudali ed esenti. Referendario di Parma nel ‘55, era nel ‘60 officiale per gli alloggi dei cavalli nel lodigiano e nel parmense. 244 Giovanni Antonio e Giovanni Giacomo Maletta, officiali in Lomellina, erano fratelli del segretario Francesco Maletta; Silvestro Bottigella apparteneva a una nobile famiglia pavese; il conte Marco Cerrati era di Parma. 245 In Sforzesco , 1602, è conservato un elenco di 37 porti già attivi all’epoca di Filippo Maria Visconti con, a fianco di alcuni, il nome del tenutario. 246 Ad esempio Registro Missive, 130, c.142 v. 247 Sforzesco , 793. 248 Comuni , 22. 41 Certamente officiali centrali, officiali periferici, officiali militari costituiscono tre circuiti diversi, che non si incrociano, né si intersecano, a parte i pochi casi ricordati nelle note iniziali in cui è presente un travaso dalla periferia al centro; non solo, i tre distinti tipi di officiali risultano diversi non tanto per le competenze e la durata dell’incarico, ma soprattutto per i criteri di reclutamento. Partiamo dagli offici militari: che siano modesti connestabili di porte, o capitani di cittadelle, o castellani di luoghi importanti militarmente, l’ufficio è affidato dagli anni ‘50 per lo più a persone esterne al ducato, fedeli compagni d’arme dello Sforza condottiero, o a sostenitori lombardi, non necessariamente pratici di milizie, che lo esercitano collegialmente insieme a figli, fratelli e parenti per garantire una totale copertura dell’incarico e questo stesso incarico trasmetteranno in eredità alla stirpe. Un requisito essenziale per gli offici militari diventa anche la disponibilità di un certo reddito, che deve garantire non tanto da malversazioni, quanto dal rischio che la fortezza venga venduta al nemico. Un rapporto esclusivamente fiduciario (anche perché è a loro delegata la scelta e il reclutamento dei piccoli contingenti militari che assicurano la protezione delle fortezze) e non di anonimo servizio è alla base di questi incarichi: maxima pars securitas est nihil inique egisse, troviamo scritto nel Registro ducale 171, che contiene nomine di castellani e connestabili. E proprio la pregnanza del rapporto fiduciario aiuta a capire i repentini trasferimenti operati da Galeazzo Maria quando prende il potere, e le brusche interruzioni di servizio negli anni ‘80, in momenti cioè di successioni al ducato poco limpide o travagliate. Quanto agli offici periferici bisogna operare una distinzione tra gli offici delle città e quelli dei contadi. La città è coperta da una rete capillare di magistrature, assoggettate a uno stretto controllo ducale tramite il sindacato; ma un servizio burocratico, di breve e determinata durata (in genere due anni, con pochi eccezionali prolungamenti di uno o due anni), seguito regolarmente dal sindacato alla fine del mandato, sembra solo quello esercitato dal podestà, generalmente un tecnico del diritto, spesso forestiero che professionalmente esercita spostandosi anche in altri stati, amministrando giustizia con un corpo di magistrati (vicari, giudici, notai...) prescelti direttamente da lui, anche se soggetti al beneplacito del duca, quasi un corpo estraneo nel ducato. In questo caso il rapporto fiduciario non sembra particolarmente rilevante: il podestà offre un servizio, lo porta a termine, viene valutato, si tirano le somme e si stabilisce se sarà conveniente o meno utilizzarlo anche in futuro. È ovvio che in questo caso si può nominare qualcuno podestà solo per compiacere un signore alleato o un ambasciatore o qualche fedelissimo, tanto più che i binari dell’officio sono rigidamente segnati dai codici; è significativo che a Novara esistesse ad uso del podestà un volume particolare che conteneva una copia degli statuti cittadini vigenti e dei decreti e lettere ducali 249 . Il rapporto fiduciario sembra invece segnare profondamente la carica di referendario, la più importante magistratura fiscale-finanziaria in sede locale: persone abili, oneste e competenti dovevano contemperare le richieste del duca con le esigenze e soprattutto con le condizioni locali. Proprio questa delicata opera di mediazione e l’approfondita conoscenza dell’economia cittadina che si rendevano necessarie fanno sì che l’ufficio venga esercitato a lungo in una stessa città, da persone che non sono originarie di quella città; inoltre, l’esperienza e la competenza richieste fanno sì che questo specifico incarico lo si eserciti a vita, spostandosi da una città ad un’altra più importante, e che, in rari casi, la carriera si possa concludere con l’incarico di Maestro delle entrate. Viceversa il tesoriere, che garantisce personalmente le entrate cittadine, e anche sindaci e avvocati fiscali, che devono curare gli interessi ducali in città, sono locali, e non solo, ma esercitano per più anni, costituendo probabilmente dei nuovi centri di coagulo di potere locale, che ora si inseriscono nelle fazioni cittadine, ora si pongono in alternativa. Ma il loro peso nella storia della città è tutto da studiare, così come il rapporto mercanti-banchieri con i tesorieri locali, o con gli officiali del sale. Abbiamo già detto delle differenze all’interno del contado tra le podesterie delle terre separate, che costituiscono il bacino di un funzionariato emergente, interno al ducato, ma non proveniente da quel distretto cittadino, le piccole podesterie feudali, appannaggio di locali, di nomina feudale,

249 Comuni , 61, nel 1485 si lamentava la scomparsa da 15 giorni del libro in questione. 42 che esercitano per svariati decenni, e le piccole podesterie rurali. In queste ultime il bacino di reclutamento è diverso; gli officiali sono tutti lombardi, che esercitano professionalmente e continuativamente la funzione di podestà, anche per alcuni decenni, spostandosi biennio dopo biennio, all’interno di un territorio ristretto di due-tre contadi cittadini, con la sola eccezione del cremonese e in parte del pavese e del milanese, ove l’ufficio è esercitato dai cives della città. Nel primo caso i podestà sembrano professionisti di modesta levatura, in genere senza titolo di studio 250 , ma sufficienti, in grado cioè di superare il sindacato e di rispondere alle aspettative della popolazione locale; la presenza di cittadini nel proprio contado viceversa va indagata caso per caso per vedere quanto sia una professione e quanto non sia funzionale al potenziamento di particolari situazioni economiche. Da ultimo il centro. Anche qui bisogna operare una netta distinzione tra le cancellerie, che sono offici a vita, ereditari e familiari, e dunque non soggetti a sindacato, in mano a un corpo qualificato e gli uffici centrali, anch’essi non soggetti a sindacato, eccetto quelli finanziari, e in genere concessi a vita, ma molto più sensibili alla successioni ducali: prescelti i primi per la loro professionalità dai ranghi funzionariali viscontei, reclutati gli altri tra uomini di fiducia dei singoli duchi. Concludendo, sono officiali del duca castellani, connestabili, cancellieri delle magistrature centrali: tutti funzionari che esercitano a vita (con l’eccezione di alcuni castellani), generalmente nella stessa località, e che trasmettono l’officio ai figli; per i soli cancellieri è consuetudine una progressione di carriera: lo scriba e il coadiutore diventano cancelliere e poi segretario. Sono officiali, di ambito periferico, i referendari, il corpo dei podestà cittadini, e, a un livello tecnico più basso, i podestà rurali; i podestà esercitano per soli due anni, poi sono sindacati e si spostano in altre località; anzi i podestà delle città, tra i quali troviamo molti forestieri, esercitano, secondo l’uso duecentesco anche fuori del ducato: appaiono così più amministratori professionisti che officiali del principe. Referendari e podestà rurali sono invece originari del ducato; mentre per i primi si può tracciare una carriera, perché vengono spostati nella città più importante, per i secondi invece, non conoscendo la consistenza demica delle diverse circoscrizioni, non è possibile fare considerazioni di sorta, al di là dell’osservazione che un podestà rurale apre e chiude il suo ciclo funzionariale nelle podesterie rurali. Ci sono molti forestieri invece tra i podestà delle città. La mancata integrazione fra i due circuiti principali, centro e periferia, e tra i diversi offici, militare, finanziario, giudiziario, è spia, a mio avviso, di una esigenza di professionalità che non si poteva improvvisare, ma che si poteva conquistare, e perfezionare, come mostrano le carriere dei referendari o dei cancellieri, facendo pratica negli offici. Non sorprende perciò l’assenza di un travaso dagli offici di corte (aulici e camerieri, ma anche spenditori e tesorieri) a quelli statali, con le sole eccezioni di quei cortigiani di cui il duca si voleva liberare, concedendo loro un modesto incarico nelle magistrature periferiche. Aulici, camerieri e famigli troveremo invece distaccati temporaneamente in caso di peste a sorvegliare porti e passi del ducato, in forza del particolare legame che li collegava al duca: quando la salus Rei era in pericolo si ricorreva, per incarichi particolari che non richiedevano specializzazioni di sorta, all’aiuto straordinario e temporaneo dei membri della corte. Né lavorare a corte sembra favorire inserimenti familiari nel circuito degli offici: la brutale coincidenza di cognomi tra officiali e cortigiani è limitata a una manciata di nomi. Esiste perciò un compatto e consistente corpo di collaboratori stipendiati, che esercitano la professione di officiale, in grado di far funzionare un vasto stato, un corpo consapevole di rappresentare il duca nell’esercizio delle sue funzioni, e consapevole anche che ogni offesa subita era un’offesa al duca, come ha dimostrato Chittolini; persone che reputavano l’esercizio dell’ officio fonte di onore , come Giovanni Antonio Gambaloita, podestà di Como, che in lite con il commissario, di fronte alla rimozione, supplicava Galeazzo Maria “che non sia privato del honore suo ad levarlo ante l’anno”, o addirittura casati come i Crivelli, che, essendo stato rimosso nel giugno ‘77 il castellano di Cremona, fecero in modo di far nominare ancora un membro della

250 Pochissime sono le terre che rivendicano podestà-giuristi, come nel caso di Pallanza che rifiutava Antonio de Ficienis, che aveva pagato per la carica, perché semplice giurisperito. Nella lettera di nomina perciò non solo veniva indicato che l’eletto era stato per più anni laudabiliter podestà di Teglio, ma avrebbero attestato per la sua iurisperitia il commissario di Domodossola Leonino Biglia, il giureconsulto Bartolomeo Meraviglia e il causidico Gervasio de Comite ( Comuni , 63, Pallanza). 43 famiglia “perché i Crivelli se dolevano de quel’altro fose mutato, parendoli se facesse carico alla casa loro...”. Complementariamente troviamo un centro in grado di trasmettere ordini e pronto a rispondere alle sollecitazioni della periferia. È vero anche che la non interferenza tra circuiti amministrativi, centrale e periferico, e tra i diversi tipi di officio (militare, finanziario, giudiziario) fa sì che il bacino di reclutamento degli officiali fosse molto diverso: ci sono famiglie che esercitano quasi esclusivamente nelle magistrature centrali, non solo, ma molte altre, che hanno incarichi a corte, si tengono lontane dall’apparato amministrativo vero e proprio; perciò di burocrazia sembra lecito parlare solo per gli offici periferici, incarichi più amministrativi che politici, incarichi a tempo e soggetti regolarmente a sindacato. Ma c’è un elemento che permette di parlare di un ceto di officiali anche per le magistrature centrali, in particolare per quello zoccolo duro di tecnici che trasmettono ai figli, o ai fratelli l’ufficio di cancelliere alle entrate o di ragioniere, un elemento comune anche a molte magistrature finanziarie centrali, ed è il legame di parentela presente tra queste famiglie, un legame voluto dal duca e prepotentemente guidato dai suoi veti o dalla sua intermediazione 251 . Lo aveva imposto Filippo Maria che i membri della corte e degli offici centrali dovessero sposarsi con il suo beneplacito, lo mette in pratica Galeazzo Maria, quando, per spezzare il fronte delle antiche famiglie milanesi, fa e disfa matrimoni, e lo vediamo realizzato nelle magistrature centrali, generalmente all’interno dei diversi offici. Potremmo portare decine e decine di esempi; ne segnaliamo solo alcuni: Francesco Petracini tesoriere generale delle truppe con Francesco Sforza è genero del maestro delle entrate Biagio Cusani; il segretario alle finanze Zannino Barbato è suocero di un Trecchi, famiglia che gestisce la tesoreria di Milano dal ‘56 al ‘62; Pietro de Comite, amministratore generale del traffico del sale è genero di Gabriele Vimercati, vicario di Provvisione di Milano; il sescalco Picetto è genero del ragioniere della camera straordinaria Protasio Bernardigio; Benedetto Caimi, contrascrittore dei cavallari, è cognato del famiglio cavalcante Donato Chiozi; Giovancristoforo da Figino, ragioniere della camera straordinaria, sposa la figlia di Tomeno Schiaffenati suo anziano collega; Giovanstefano Brivio maestro delle entrate ordinarie sposa una Gallerani, figlia del maestro delle entrate, mentre suo figlio Francesco, pure maestro delle entrate sposa la figlia del tesoriere generale Antonio Landriani, donde all’inizio del Cinquecento la successione Landriano-Brivio nelle prepositure umiliate. Lo stesso Galeazzo Maria aveva voluto che diventassero cognati l’Anguissola, suo tesoriere generale, e Giacomo Alfieri, potente segretario di camera del duca addetto alle finanze, come se l’imparentamento garantisse al duca un servizio più fedele e più pronto. Non solo, ma questo rapporto matrimoniale salda prepotentemente il ceto economico, i grandi mercanti milanesi, che trovano un input non indifferente nelle commesse di corte – sì che l’ambasciatore mantovano, alcuni mesi dopo la morte di Galeazzo Maria, inviterà la marchesa a procurarsi una collana d’oro a Venezia dal momento che a Milano “non si sarebbe più lavorato” – con il corpo degli officiali ducali addetti alle finanze. I Rabia, ad esempio, stringono attraverso i matrimoni legami di parentela con Gualtiero Bascapè, potente giudice dei dazi e maestro delle entrate, con il maestro delle entrate Donato de Comite, con il referendario generale Facio Gallerani; il mercante Giovanni Beolco, poi maestro delle entrate, sposa la figlia del maestro delle entrate Antonio Marliani; la figlia del ragioniere della camera Cristoforo Marliani si sposa con il mercante Giacomo Onate; il tesoriere generale Landriani è cognato di Giorgio Maggiolini, mercante di origine pisana, fornitore del Marchese di Mantova; Gabriele Pagliari, cancelliere alle finanze, tesoriere generale, deputato alle biade e maestro delle entrate è sposato con la figlia del ricco mercante di lana Simone Meraviglia. Gli stessi mercanti-banchieri milanesi, oltre a fornire di drappi la corte e a vestire l’esercito, non esitano a impiegarsi nella burocrazia, ora come amministratori del sale, l’entrata più importante dello stato (i de Comite, i Melzi, i Morigia, i Beaqua), ora come maestri delle entrate (Melzi, Gallerani, Cusani, Marliani, Beolco), come tesorieri di corte (i Puricelli da Gallarate), come

251 Su questo aspetto si veda LEVEROTTI, “Governare a modo e stillo de’ signori...” , in particolare Alcune premesse per un indice anomalo , 137-9. 44 tesorieri generali (il piacentino Anguissola, il milanese Landriani), come semplici ragionieri (Pietro Brugora, Aloisio Lattuada) 252 . Il grumo duca, officiali, società diventa così il nocciolo duro e imprescindibile che è premessa ad un’organizzazione amministrativa più solida e che permette di spazzare via quei residui anacronistici di burocrazia itinerante, quali i podestà forestieri che praticavano la giustizia con una famiglia scelta da loro, come mostrano sia la forte componente di podestà milanesi alla fine del Quattrocento, sia le interferenze ducali nella scelta dei vicari dei podestà, cioè delle persone che rendevano giustizia, o il prolungamento di alcuni vicari, ma anche di giudici e notai che esercitano a lungo nella stessa città, servendo podestà diversi, trasformandoli lentamente e impercettibilmente in officiali ducali. Le limitazioni alla carica di podestà cittadino trovano compenso nella delega di funzioni politiche e anche amministrativo-giudiziarie (nei casi in cui le due cariche sono associate in una medesima persona) ai commissari, consiglieri segreti e di giustizia, mandati a vigilare la tumultuosa società cittadina. Colpisce nello stato sforzesco la rete delle magistrature, fitta, coerente, che uniformemente abbraccia tutte le città dello stato, senza una smagliatura, senza un’eccezione, una rete di matrice viscontea che, analizzata nei suoi momenti diversi di crescita, permetterebbe di focalizzare le priorità amministrative di uno stato medievale e di seguirne i processi di formazione. Insieme alla robustezza e all’articolazione della maglia amministrativa i Visconti avrebbero coerentemente imposto, come ha dimostrato una recente ricerca 253 , l’uniformità del diritto almeno nell’ambito del processo civile, cercando così di dare omogeneità a una costellazione di città molto diverse, caratterizzate da un’individualità statutaria assai spiccata. Un processo certo non facile, né probabilmente ben accolto, anche perché incrinava l’individualità della normativa cittadina, ma con fruttuosi risultati, se Pavia, nei capitoli di dedizione a Francesco Sforza, avrebbe chiesto al nuovo signore, di cassare tutti i decreti viscontei, tranne quelli che riguardavano le cause civili, riconoscendo così la validità della legislazione signorile in proposito. La stessa Pavia avrebbe contemporaneamente richiesto allo Sforza che fossero osservati i suoi statuti etiam non obstante statuto disponente quod per statuta non derogetur decretis: i Visconti perciò erano riusciti ad imporre come superiori alla legge statutaria i loro decreti e questa norma per di più veniva considerata statuto 254 . La revisione degli statuti comunali voluta da Azzone dagli anni trenta del Trecento e il fatto che fin da Gian Galeazzo i duchi si erano attribuiti il potere di approvare, emendare e cassare statuti non erano stati perciò interventi puramente programmatrici, ma avevano avuto concreti risvolti; non per caso dunque i signori di Milano intitolavano leges i loro interventi legislativi. Gli Sforza, che utilizzano la rete amministrativa viscontea, spingono avanti il processo di uniformazione giuridica; non solo infatti inviano alle città lettere e decreti che, secondo l’uso visconteo, vengono trascritti nei libri statutari, ma procedono almeno due volte, con Francesco e con Galeazzo Maria, a far revisionare gli statuti delle città per togliere le norme vistosamente in contrasto con gli ordini ducali. L’operazione, confirmandi et reformandi et denuo faciendi statuta, affidata a un giurista, Sillano Negri, e a un politico, Pietro Cotta 255 , che il 26 gennaio 1458 hanno

252 Osservazioni sull’intreccio tra cariche finanziarie e società mercantile in P. MAINONI, L’attività mercantile e le casate milanesi nel secondo Quattrocento, in Milano nell’età di Ludovico il Moro . Atti del convegno int. 28 febbraio-4 marzo 1983, Milano 1983, vol. II, 575-584. 253 C. STORTI STORCHI, Giudici e giuristi nelle riforme viscontee del processo civile per Milano (1330-86), in Ius Mediolani. Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara , Milano Giuffrè 1996, 47-188. 254 Comuni , 67 La risposta del lo Sforza fu che i decreti per le cause civili e gli statuti di Pavia erano confermati; quanto agli altri decreti venivano sospesi finché non si fosse stabilito quali erano onesti e giusti (Per il decreto Quod per Statuta non derrogetur decretis inviato a Pavia e Piacenza da Gian Galeazzo nel 1384, STORTI STORCHI, 73 n. 58). Anche Lodi nei suoi capitoli avrebbe chiesto che insieme agli statuti venissero confermati i decreti sulle cause civili, sui giudici delle appellazioni e sui compromessi da farsi tra gli agnati ( Sforzesco, 37). 255 Precedentemente lo Sforza aveva affidato la revisione degli Statuti di Tortona, studiata da E. DEZZA, a Gabriele da Lecce, un francescano, che fu anche a capo della provincia dei Minori, legatissimo al duca (v. F. LEVEROTTI, Ricerche sulle origini dell’ospedale Maggiore di Milano , in , CVII, 1981, 77-114, 87 n.55. Ma nel ‘53 tra i revisori di Cremona era stato nominato il domenicano Gioacchino Castiglioni, altro uomo del duca (v. E. FUMAGALLI, Francesco Sforza e i domenicani Gioacchino Castiglioni e Girolamo Visconti , in “Archivum Fratrum Predicatorum”, LVI, 1986, 81-151,118). 45 l’incarico per la città di Como, segue un’analoga portata a termine in un periodo precedente a Cremona, e viene estesa con un decreto a tutte le città dello stato (i due saranno a Novara nel ‘60, ad Alessandria nel ‘63) 256 . Con Galeazzo Maria la stessa operazione venne demandata a quattro giureconsulti, membri del Consiglio di Giustizia: Antonio da Romagnano, Antonio Bracelli, Giacomo Cusani, Raimondo Lupi 257 . Anche le versioni statutarie che le città vogliono dare a stampa vengono preventivamente controllate e corrette, come nel caso di Parma nel 1494, i cui statuti furono rivisti dal Consiglio Segreto e dai Maestri delle entrate. E quando il Moro nel ‘98 mette mano agli statuti di Milano, questi saranno affidati a consiglieri del signore, affiancati da due membri del collegio cittadino dei giureconsulti. Né è da escludere che in occasione delle revisioni statutarie si procedesse anche alla revisione degli statuti dei locali collegi di giudici e avvocati, e di notai, di coloro cioè che applicavano quotidianamente le leggi, che non per caso si trovano inseriti in fondo al volume dei nuovi statuti cittadini, come, ad esempio, a Novara e Como. Questi collegi ancora per tutto il Quattrocento si manifestano invero come roccaforti inespugnabili di municipalismo che il duca a fatica cerca di far cadere a favore di qualche suo raccomandato. Non stupisce perciò che molte città avrebbero nel Cinquecento mandato a stampa gli Statuti più antichi, i soli che esprimevano l’animo dell’antico comune. L’operazione di uniformazione ebbe con Galeazzo anche un intervento al centro con un’imponente raccolta legislativa; a partire dal 1468 il duca fece ricopiare sistematicamente in registri separati i decreti emanati rispettivamente per: frodi di biade, frodi di sale, confische e apprensioni, decreti civili, decreti riguardanti tesorieri, amministratori e sindacatori, il testo della pace di Costanza, i decreti feudali e la normativa in base alla quale i feudi tornavano al principe (sic). Nell’occasione si era anche scritto all’officio di Provvisione di Milano e ai Panigarola, l’officio che dall’età viscontea raccoglieva le disposizioni normative, per avere copia della totalità dei decreti emanati 258 . L’opera di riordino legislativo veniva completata l’anno seguente, quando il duca ordinò ai sindaci fiscali delle città del dominio di inviare copia dei decreti conservati negli archivi cittadini per raccoglierli in un volume apposito 259 . Contemporaneamente Galeazzo Maria pensava alla costituzione di un corpo di officiali che lo aiutasse a governare lo stato, un corpo di officiali nuovo:rispetto a quello del padre che aveva ampiamente utilizzato i vecchi compagni d’arme. Gli interventi in questo senso partono precedentemente agli interventi legislativi, pochi mesi dopo la morte del duca Francesco, quando il podestà di Lodi comunica, il 20 giugno ‘66, di aver mandato al primo segretario gli elenchi di cittadini nobili e non, dottori e non, con il colore e le facoltà , cioè con l’indicazione per ciascuno di fazione e censo; pochi giorni dopo il podestà di Como invia la lista dei cittadini valutati idonei a ricoprire castellanie e offici, anche questi distinti per fazioni ( squadre ) e ripartiti in atti a offici onorevoli, atti a offici minori; per i castellani, oltre all’età e alla ricchezza, veniva indicato anche il numero dei figli e dei fratelli; il 25 giugno referendario e podestà di Novara comunicavano di aver inviato segretamente le liste richieste 260 . È probabile che il duca fosse stato spinto a questa operazione dalla volontà di sostituire i vecchi funzionari del padre, che tra l’altro lo osteggiavano palesemente a favore di una reggenza della madre; è probabile anche che molti di questi antichi servitori del padre, in particolare i castellani e i connestabili che erano stati compagni d’arme di Francesco condottiero, fossero ormai anziani; quello che è importante però è che il duca individua nel suo stato il bacino di reclutamento dei nuovi funzionari. Non conosciamo i risultati di questa operazione, che sembra avere esiti solo negli offici militari dei castellani in cui entrano diverse famiglie lombarde, come ha mostrato Covini; certamente questi primi anni di governo di Galeazzo Maria vedono un pesante intervento ducale di riforma, sia per le competenze, sia soprattutto quanto agli uomini, a livello delle magistrature centrali 261 .

256 Registri Ducali, 127, p. 459. 257 Registri Missive, 120, 1475 febbraio 13. 258 Sforzesco , 1606. 259 Comuni , 70. 260 Conservati rispettivamente in Sforzesco , 801, 781 e 1620, 823. 261 Ampiamente descritto in LEVEROTTI, Governare a modo e stillo de’ Signori..... 46 L’iniziativa sopra descritta è ripresa quattro anni dopo, quando nel giugno del ‘70, volendo riformare gli offici e la corte ordina che i podestà cittadini ed il Consiglio Segreto (limitatamente questo alla città di Milano) approntino liste dei cittadini più apti et idonei 262 . I milanesi registrati in questi elenchi sono 267 e vi compaiono anche membri di quelle nobili famiglie che risiedevano in parte ancora in contado, come Borri, Crivelli, Lampugnani, Landriano, Pietrasanta e Squassi; 21 sono i novaresi, 13 soltanto i pavesi, 43 i piacentini, 36 i tortonesi, 46 gli alessandrini, 40 i comaschi, 76 i cremonesi, 57 i lodigiani, 35 i parmensi. Al di là della macroscopica differenza numerica delle singole città, che non è assolutamente in relazione con la loro dimensione demografica, ma è specchio chiaramente di un diverso porsi dei cittadini di fronte all’offerta di offici ducali e di realtà economiche diverse, basta ricordare il podestà di Como quando scriveva che non c’erano cittadini atti alla corte, perché tutti erano mercanti, colpisce la scarsità di giuristi, soprattutto nell’elenco di Pavia. Le liste segnalano la presenza di doctores, indicati con una d., rispettivamente 15 per Milano, 12 Novara, 9 Pavia, 11 Piacenza, 8 Tortona,17 Alessandria, 7 Como, 14 Cremona, 2 Lodi e 11 Parma: è assai probabile che milanesi e pavesi trovassero più remunerativo e anche più onorevole esercitare fuori del ducato. Fatta con estrema cura appare la lista di Alessandria, che distingue i dottori adatti alle podesterie cittadine e all’officio di capitano, dai cives adatti a fare i podestà di terre e di città minori, da un terzo gruppo adatti, questi, a reggere le castellanie e le podesterie delle buone terre (sic). La lista di Cremona invece segnala alcuni nomi per gli offici, rispettivamente, di referendario, capitano, podestà di terre grosse e inferiori. La lista di Lodi infine segnala vicino a ogni nome le cariche più opportune: potestas civitatis; potestas, capitaneus, referendarius ; capitaneus; potestas terre grosse; potestas oppidi; potestas oppidi et offitialis bullectarum; e per alcuni aptus ad omnia , ad quodlibet regimen. Questa ripartizione è importante se la valutiamo non in ordine ai singoli nomi: gli apta ad omnia di Lodi sono i membri delle due più importanti famiglie, Fissiraga e Vistarini, ma perché ci fa vedere la consapevolezza che esisteva una graduazione nelle cariche amministrative e che per esercitarle erano necessarie particolari capacità, oltre che una specifica preparazione. Ne deduciamo perciò che l’officio non era un nome senza contenuto, ma una carica, con una sfera ben precisa e riconosciuta di competenze. Le liste di alcune città poi presentano ancora una particolarità: i cremonesi sono ripartiti in guelfi, ghibellini e maltraversi; i lodigiani in guelfi e ghibellini, i parmensi nelle squadre ducale, rossa, ghibellina e Sanvitale. Non c’è una divisione per Piacenza, ma le fazioni si riconoscono perché i nomi sono raggruppati sotto gli Scotti, gli Anguissola, Landi e Malvicini da Fontana. Questo è un dato importante perché è la conferma che all’interno delle città esistono ancora queste fazioni, le diaboliche parti , che aggregano consistenti gruppi di popolazione, basta vedere le liste delle squadre di Parma articolate in “primari, mediocri e infimi”, fazioni che governano la città e danno filo da torcere ai commissari ducali; ma è importante anche perché il fatto che il duca ne prenda atto conferma che le fazioni erano ancora una presenza politica di peso in città e in contado e che avevano, come scrive Princivalle Lampugnani commissario a Parma, possanza di sangue, giurisdizione, uomini e seguito 263 . Pochissimi dei nomi indicati nelle liste del 1470 sono officiali che rivestono o hanno rivestito una carica, gli altri sono tutti nomi nuovi. Il 4 agosto da Monza il duca invita il Consiglio Segreto a scegliere e proporre tre nomi per ognuno degli offici segnalati in un elenco allegato (si tratta di capitanati, bollette, podesterie cittadine e di grossi centri); il 4 settembre il Consiglio fa avere al duca la lista per questi 57 offici (gli altri 59 sarebbero stati ricoperti con le solite procedure). Nella lettera di accompagnamento i senatori giustificavano il ritardo con cui la facevano pervenire con il fatto che, non conoscendo molti dei nomi inseriti nelle liste, avevano chiesto ulteriori notizie e avevano discusso a lungo gli elenchi; tuttavia dal confronto con i nomi inseriti nella terna risultano alcuni nomi nuovi rispetto agli elenchi, e per talune integrazioni si precisa licet non sit in lista, e

262 Il materiale, in copia coeva, è conservato in Uffici e Tribunali regi , p.a., 7; la lettera del 4 giugno è in Sforzesco 894. 263 Per Alessandria si parla di colori, o guelfi e ghibellini, o popolani e nobili; a Borgotaro ci sono i Platone e i Costaerbosa (dal nome di due famiglie locali), a Castelnuovo Tortonese i bianchi e neri, a Domodossola Ponteschi e Breneschi, a Lugano ghibellini e guelfi (ovvero Rusca e Sanseverino), in Valtellina Quadrio e da Ponte, a Tortona le sette o parentele sono divise in nobili e popolari..... 47 colpisce anche la netta preferenza per i pavesi (ne selezionano ben 11 su 19) e per i milanesi (ben 75, pari a circa un quarto dei milanesi): il Consiglio Segreto non aveva rispettato la volontà di Galeazzo di aprire gli offici a tutte le città del suo stato. Il confronto delle persone selezionate dal Consiglio con quelle elette da Galeazzo Maria ha mostrato anche che pochissimi nomi della terna furono designati 264 ; viceversa si nominarono diversi milanesi, che non erano stati segnalati dal Consiglio Segreto, ma che comparivano nel primo lungo elenco redatto dal medesimo Consiglio: la diffidenza e l’autoritarismo del duca avevano ancora una volta vinto. Ma la via degli offici non sembra attirare più di tanto, se solo pochi di questi nomi proposti nel ‘70 troveremo praticarla dopo la morte del duca. Al di là dei risultati il tentativo macchinoso del duca è importante perché mostra l’intenzione di reclutare gli officiali all’interno dello stato, in accordo con le partizioni locali. L’esigenza di costituire un corpo di officiali si affianca però a liste di petentes officia, a elenchi di persone alle quali promissa sunt infrascripta officia, o raccomandati, ora da un consigliere segreto, ora dall’ambasciatore del duca di Urbino, dalle comunità che li avevano avuti per podestà, dal duca di Modena, dal sescalco di corte, o in forza di una particolare posizione che gli stessi aspiranti ricoprivano a corte: cuoco, aromatario. E troviamo anche un’anonima lista con l’entrata mensile di modesti uffici cremonesi così intestata: Li infrascripti sono li officii che sariano boni et habilli da fare per vostro padre m. Antonio, li infrascripti che vacano... sariano boni per vostro cosino Bartolomeo... , chiaramente destinata a un cremonese che lavorava a corte o negli uffici centrali 265 . Questa realtà amministrativa è comunque una realtà in movimento; esiste un gioco di contrappesi tra uomini e cariche abilmente utilizzato dal signore per affermare il suo potere: là dove non è opportuno sostituire gli uomini, si può comunque operare modificando le competenze, o caricando di valenze diverse l’ufficio; perciò ogni rimozione, ogni prolungamento di incarico va seguito e valutato caso per caso. Eppure nello stato sforzesco sembra di poter individuare un processo di costruzione statale ancorato saldamente alla rete amministrativa di matrice viscontea e comunale, che incerniera la lontana periferia alla rete delle cancellerie situate al centro, che si occupano rispettivamente di politica estera e diplomazia, di amministrazione interna, di benefici, dell’esercito, della giustizia (da questa cancelleria, e non più dai Maestri delle entrate, dipenderanno opportunamente a fine secolo anche i vicari generali), di finanze e di biade, permettendo al duca di sovrintendere con agilità alla capillare rete amministrativa, attraverso questi canali diretti istituiti tra la periferia e il centro. Porteremo un solo esempio, estremamente significativo. Nel 1498 il podestà di Candia, una piccola località del pavese, scrive al Moro lamentando di non aver avuto risposta a un suo quesito, richiesto in una lettera precedente; fa presente che aveva scritto indirizzandola al duca, ma indicando anche Giovanni Molo, il segretario preposto alla Cancelleria criminale, per una questione che riguardava conflitti di competenza tra lui e il podestà di Pavia, e indicando Gaspare Stanga, preposto alla Cancelleria delle biade, per una questione di frodi di biade; nella parte finale di questa seconda lettera il podestà si lamenta del comportamento dei nobili del luogo. Un modesto podestà di un villaggio del contado sapeva dunque a chi far riferimento per le diverse questioni: scriveva al duca, ma indirizzava ai diversi cancellieri. Il centro da parte sua, in questo caso latitante nelle risposte, sapeva bene a chi far recapitare la corrispondenza; questa lettera infatti riporta a margine di altra mano queste indicazioni: d. Gaspare Stanga (della cancelleria delle biade), laddove il podestà fa riferimento alle biade, d. Giovanni Molo (segretario della cancelleria giudiziaria) alle righe in cui scrive di giustizia, e Demetrio (cioè il cancelliere della Cancelleria segreta politica Demetrio Greco) a fianco della parte finale dove il podestà accusa i nobili Confalonieri. Una sola lettera di una sola facciata avrebbe dovuto così circolare e passare da tre cancellerie: troppo gravoso per una burocrazia Quattrocentesca, ma gravoso anche per una burocrazia moderna, se il Kaunitz invitava il Firmian

264 Il duca prescelse 28 milanesi (circa il 10% della lista), 22 dei quali continueranno la carriera degli offici anche dopo Galeazzo Maria; 6 pavesi, 4 cremonesi, 3 parmensi, 1 tortonese, 1 novarese, 1 piacentino, 1 lodigiano, 1 alessandrino, nessun comasco. 265 Conservati in Uffici e Tribunali regi, p. a, 7 e Sforzesco ,1604. 48 nel 1772 ad adeguarsi all’uso di Vienna e a rispondere con lettere separate e distinte secondo gli argomenti per il maggior comodo de’ rispettivi registri et ordine nell’Archivio. Ancora un’esigenza di raccordo tra centro e periferie, insieme alla necessità di prendere decisioni rapide e congrue con l’aiuto di persone qualificate che avessero una minuta conoscenza dei problemi, avrebbero portato, fin dal tempo di Galeazzo Maria, alla concentrazione di cariche in mano alle stesse persone (il referendario generale risulta negli anni ‘70 anche maestro delle entrate e responsabile dell’amministrazione del sale) e alla creazione di collegi più agili e informali (i Deputati) con determinate incombenze (il governo di Genova, ad esempio); particolarmente sviluppato appare a fine secolo con il Moro l’uso di piccoli gruppi consulenti, in genere consiglieri segreti, quali i deputati sopra l’università di Pavia, i commissari sopra i benefici, i deputati rei pecuniariae per gli affari finanziari, i prefecti ordinum che si occupavano di legislazione. L’integrazione politica e amministrativa del ducato sforzesco, che porta all’utilizzo sistematico nelle città di alcuni offici comunali, che diventano così parte integrante dell’intelaiatura viscontea (i funzionari locali addetti all’amministrazione fiscale delle città vengono regolarmente inseriti nei ruoli ducali, come risulta, ad esempio, dal Bilancio del 1463), nel caso di Milano invece, per la contiguità degli offici dell’amministrazione centrale, aveva comportato la soppressione di alcuni offici di matrice comunale, come la tesoreria, trasformato alcune cariche, come il collaterale del podestà diventato un funzionario ducale, in carica a vita, portato all’eliminazione di altre, quali avvocato e sindaco fiscale, esercitate ora dalle medesime persone che svolgevano l’incarico di avvocato e sindaco della camera: per la città- capitale integrazione significava manifesta perdita dell’identità comunale, a vantaggio del potere ducale e dei suoi officiali.

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