Burr, Elisabeth (1998): "Lingua Media E Lingua Dei Giornali", In: Navarro Salazar, María Teresa (Ed.): Italica Matritensia

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Burr, Elisabeth (1998): Burr, Elisabeth (1998): "Lingua media e lingua dei giornali", in: Navarro Salazar, María Teresa (ed.): Italica Matritensia. Atti del IV Convegno SILFI, Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Madrid, 27-29 giugno 1996). Firenze: Franco Cesati 115-133. LINGUA MEDIA E LINGUA DEI GIORNALI Elisabeth BURR Gerhard-Mercator-Universität GH Duisburg 1 INTRODUZIONE La ricerca di una norma, di una lingua standard, attraversa la storia della lingua italiana come questione della lingua, che si presenta, secondo il diverso momento storico, sotto un segno diverso. Anche se l’italiano da una lingua egemone di classe è diventato, nel frattempo, una «lingua universale» nei termini di Bossong (1979: 493) che mettendo a disposizione tutti i registri rilevanti, può essere usata quale mezzo di comunicazione e di lavoro, a tutti i livelli della società: „l’italiano non serve più solo per trattati filosofici o per cantare romanze, ma fascia e innerva l’esperienza quotidiana, volta a volta umile e alta, intima e privata, pubblica e collettiva, scientifica e letteraria, di decine e decine di milioni di persone“ (De Mauro/Mancini/Vedovelli/Voghera 1993: 60)1, le questione della norma è, ancor’oggi, aperta. Caratterizzata da un abisso fra l’«italiano colto ancien régime» (Berruto 1987: 55), ossia la supernorma ancora vigente (Sabatini 1980: 75), e la lingua media, si manifesta, soprattutto, nell’insegnamento della lingua e nella politica linguistica in Italia e all’estero. Per poter finalmente risolverla, non a favore di una lingua ideale o immaginaria, ma a favore dell’uso vero, servono studi attenti sulla lingua dell’uso medio, le sue varie forme di realizzazione e le norme relative. 2 LA LINGUA MEDIA Benchè il concetto di lingua media sia presente già nelle ricerche intorno alla lingua dei giornali svolte durante gli anni settanta e si intuisca già allora il suo status di nuovo standard non-letterario, la linguistica ne prende atto veramente soltanto dopo la relazione di Francesco Sabatini «Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo e problemi di norma» (Sabatini, 1980). In questa relazione, Sabatini si pone la questione della norma quale punto di riferimento per l’insegnamento dell’italiano all’estero, alla quale dà la risposta seguente: «dobbiamo mettere il discente in grado di capire, e poi produrre, l’italiano della conversazione media». uest’italiano dell’uso medio, unitario e sovraregionale si usa, secondo Sabatini, sempre più spesso nei giornali (vedi Sabatini 1980: 74-75) e nella conversazione orale e scritta dei ceti colti (cf. Sabatini 1990: 77). 2.1 L’archittetura della lingua media Nel frattempo ci siamo resi conto, però, che neanche la lingua media è una lingua unitaria. Dalla sua origine un socioletto, si realizza, anch’essa, attraverso diverse varietà. Nella prospettiva diatopica si distingue un italiano regionale delle classi istruite che dimostrerebbe, secondo Sabatini, particolarità unicamente al livello fonico (vedi Sabatini 1990: 76-77). Nella prospettiva diastratica, invece, si possono distinguere vari gradi di conoscenza e d’uso presso i 1 Dall’internet dove non poche discussioni vengono svolte in italiano e dal WWW con le sue numerose pagine in italiano, ce ne arriva attualmente un’altra conferma. vari ceti socio-culturali. La dimensione diafasica, infine, riguarda i tipi di modalità espressive ossia stili usate a seconda delle situazioni del parlare. Basta qui un accenno ai linguaggi settoriali o ai linguaggi speciali. Unità di stili interdipendenti che per il loro uso congiunto corrispondono ad ampie sfere della vita e della cultura, e rappresentano modalità comunicative interdipendenti come per esempio la lingua letteraria o la lingua dei giornali, le possiamo chiamare, usando un termine di Eugenio Coseriu registri linguistici (vedi Coseriu 1981/1988: 25). 2.2 Lingua media e lingua dei giornali Nel giornale quale mezzo importante della comunicazione di massa si manifesta certamente, par excellence, la lingua dell’uso medio scritta o prosa media, nei termini di Dardano (vedi Dardano 1970: 295). Nella ricerca si è richiamata più volte l’attenzione sul fatto, che c’è una stretta relazione fra lingua dei giornali da una parte e formazione e diffusione dell’italiano comune, dall’altra (vedi per es. Beccaria 1973/1978; De Mauro 1976). Fin’ora, però, l’interesse scientifico si è rivolto piuttosto agli inizi di questo processo ai tempi dell’unificazione, per cui disponiamo, ormai, di lavori che ne tracciano un quadro esaustivo (vedi i lavori di Bisceglia Bonomi, De Stefanis Ciccone e Masini). Per la lingua dei giornali attuali mancano, invece, materiali sistematizzati e studi comparabili, benchè ci sia accordo sul fatto che l’italiano dell’uso medio nasce, ancor’oggi, proprio nei giornali dalla confluenza di lingua letteraria, lingue settoriali e parlato scritto quale stilizzazione del parlato vero (vedi Dardano, 1987) trovando qui anche la sua maggiore diffusione: “I giornali svolgono una propria funzione nel guidare l’aggiornamento culturale e linguistico di una fascia medio-alta di lettori. Il testo scritto permette un apprendimento più motivato (e più motivante) dei vocaboli e delle espressioni nuove; comporta vari percorsi di lettura e di rilettura; induce al confronto tra diverse rese formali.” (Dardano 1987, 59). Una ricerca sulla lingua dei giornali, quale importante documento della lingua media nascente: «il giornale può essere assunto per un verso quale indice di quel tipo di lingua ‘media’ che in Italia si va diffondendo nel parlante medio» (Beccaria 1973/1978: 66), cosicchè del rispettivo stato della lingua: «il quotidiano è lo specchio della nostra lingua in movimento» (ibid. 65) e dei cambiamenti in atto nella norma dell’italiano: «Nel linguaggio dei giornali si ritrovano dunque tutte le principali tendenze della lingua italiana di oggi» (ibid. 59), rappresenta, dunque, anche una ricerca sulla lingua media e la sua variazione interna contribuendo, perciò, a gettare le basi concrete per la discussione della norma dell’italiano e della sua codificazione nell’ambito delle grammatiche o di altri supporti dell’insegnamento della lingua. Un’analisi di questo tipo - se ne rammarica anche Gaetano Berruto - manca, però, quasi del tutto: “manca una riflessione e una descrizione esplicita della natura e dei tratti linguistici di queste varietà di lingua, o meglio di questo settore della gamma di variazione dell’italiano contemporaneo. [...] sono scarse o mancano del tutto le faticose e forse poco paganti ma indispensabili ricerche di base, vale a dire le descrizioni esaustive di ampi corpora specifici di usi della lingua.” (Berruto 1988, 249). 3 LA LINGUA DEI GIORNALI Prima che si possano studiare, però, le varietà diafasiche stesse, si deve definire l’unità, che ne viene costituita, soprattutto perchè il termine lingua dei giornali non viene usato in modo omogeneo nella ricerca linguistica sull’italiano. 3.1 Definizioni di lingua dei giornali Maurizio Dardano, per esempio, definisce la lingua dei giornali come scrittura giornalistica, come prosa media che viene realizzata unicamente nella cronaca cittadina e nella cronaca politica. Gli stili che appaiono nelle altre rubriche del giornale vengono esclusi dalla sua ricerca (vedi per es. Dardano 1973/1981: soprattutto 22-23). Anche Gian Luigi Beccaria (1973/1978) delimita uno stile giornalistico che si manifesta nella cronaca, ma non lo identifica con la lingua dei giornali stessa. Invece, parte da un linguaggio giornalistico costituito da diverse varietà interne. Una di queste è lo stile giornalistico. Esiste, secondo lui, uno stretto legame fra la molteplicità di stili esistenti all’interno del giornale e i vari gruppi di persone che leggono il giornale da un lato, dall’altro, le diverse rubriche, che lo compongono (vedi Beccaria 1973/1978: 64). A parte le differenze rilevate nell’approdo dei due linguisti, il criterio preso in considerazione per la delimitazione di una scrittura o di uno stile gironalistico è lo stesso, ossia la presunta anonimità, omogeneità e neutralità stilistica della varietà in questione. Anna Antonini, che restringe ancora di più il luogo dove si manifesterebbe la lingua dei giornali, alla sola cronaca politica, la caratterizza così: «è la meno settoriale in quanto, almeno in teoria, è rivolta a tutti» (Antonini 1982: 219). Scopo delle varie ricerche è, perciò, l’analisi di una modalità neutrale, una sorta di norma, dalla quale gli altri stili si differenziano. Secondo Giambattista Vicari, però, nel giornale non esiste, affatto, uno stile neutrale e anonimo: «Niente è più utopistico dello stile impersonale ed anonimo» (Vicari 1973: 24). Invece, la lingua dei giornali stessa è eterogenea ed ogni stile corrisponde sia al pubblico che lo legge, sia al tema trattato (vedi ibid. 18). All’interno di ogni giornale esistono, secondo Vicari, però anche tendenze che orizzontalmente o verticalmente possono risultare nella omogeneizzazione della lingua e delle strutture. In questo modo non si arriva soltanto a una «prassi redazionale collettiva che mira a livellare il linguaggio nei diversi reparti», ma anche a uno “scambio dei registri tra i vari ‘generi’, in un contatto ravvicinato che, al limite, presume la ricomposizione e la riscrittura (ad opera di un redattore qualificato), fino a quando i diversi redattori e collaboratori abbiano raggiunto l’allineamento e la consonanza voluti” (ibid. 20-21). Se e in che modo questa tensione fra l’eterogeneità originaria della lingua dei giornali e la spinta all’omogeneità da parte dei giornali stessi
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