Tirature 20 Rev.Pdf
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BOZZA PROVVISORIA BOZZA PROVVISORIA www.fondazionemondadori.it [email protected] In collaborazione con Regione Lombardia Fondazione Cariplo ISBN 978-88-85938-71-7 © Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2020 Cari amici, cari lettori, la storia di «Tirature» è ormai molto lunga: sono passati circa trent’anni dall’uscita del primo numero, nel 1991. «Tirature» è sempre stato anche il frutto di un confronto, di un ininterrotto dialogo e di un progetto condiviso. Ma, come tutti sanno, dietro l’idea di «Tirature», la delineazione del suo impianto, la proposta, anno per anno, degli argomen- ti per le sezioni monografiche e di gran parte degli articoli c’è sempre stato Vittorio Spinazzola, che per molti di noi è, semplicemente, il Maestro. La sua autorevolezza, la sua inarrivabile competenza, la sua infinita curiosità, la profondità del suo sguardo critico, ma anche la leggerezza del suo hu- mour e la sua capacità di guardare senza pregiudizi a ogni forma della lette- ratura e della cultura, e a ogni manifestazione dell’umano bisogno di piace- re estetico, hanno da sempre guidato il nostro lavoro. Ma, per la prima volta dopo tanti anni, «Tirature» esce sen-za che Vittorio Spinazzola lo possa leggere. Il Maestro è mancato il 5 febbraio 2020, quando ormai anche l’ul- tima sua creatura, che vi apprestate a leggere, era in dirittura d’arrivo. Non è retorica dire che la sua lezione e i suoi innumerevoli inse- gnamenti continueranno a vive-re e a guidare il lavoro nostro e di molti altri. Ma certo il vuoto che Spinazzola lascia è enorme, e non può essere colmato. L’uscita di «Tirature ’20», la cui sezione monografica è dedi- cata, con involontaria e molto spinazzoliana ironia, a I cattivi, rappresenta così molte cose. È l’ultimo lavoro del Maestro, ed è un modo di tenere fede a quanto da lui iniziato; è un fattivo omaggio, il segno di un lavoro che conti-nua, ma anche la dolorosa presa d’atto di una perdita senza rimedio e dunque di un’inevitabile discon-tinuità. Sarà doveroso ripartire, ma sa- pendo che non sarà più come prima. SOMMARIO I CATTIVI Cattiveria cercasi di Mario Barenghi Bambinacce e ragazzacce: le strane virtù dell’immoralità di Gianni Turchetta Distopici sì, ma come? di Paolo Giovannetti Supercattivi, cattivisti, anticristi di Giuliano Cenati I «cattivi» in versi di Valerio Magrelli e Umberto Fiori di Stefano Ghidinelli I cattivi del noir sono cattivi davvero? di Carlo Tirinanzi De Medici I polemisti cattivi: Giordano, Forchielli, Paragone e Montanari di Luca Gallarini La necessità di un buon cattivo di Tina Porcelli Un gioco per pedine grigie: Game of Thrones oltre il fantasy manicheo di Michele Farina I cattivi riscritti della fanfiction di Martina Battocchio GLI AUTORI Bachi piemontesi e leoni di Sicilia di Giovanna Rosa Come ci delude la vita bugiarda degli adulti di Elisa Gambaro Narratori reloaded: ripubblicazioni e immagini d’autore di Francesca Caputo Retoriche dell’expat di Filippo Pennacchio Un coro a poche voci: il “madrigale” di Andrea Tarabbia di Giacomo Raccis «Di quello che ero non resta più niente». Su Febbre di Jonathan Bazzi di Luca Daino GLI EDITORI Il crepuscolo delle collane di Mauro Novelli Il podcast è il messaggio di Paolo Costa La legge sulla lettura di Paola Dubini I LETTORI Classificare, mettere in evidenza, presentare il libro. Esperienze di incontro e scelta nelle librerie online di Bruno Falcetto Neuroscienze a gogo di Luca Clerici Dentro la rete di Wattpad: un labirinto di storie condivise di Maurizio Vivarelli Lettori migranti di Dario Moretti È l’italiano, bellezza! di Giuseppe Sergio MONDO LIBRO 2019 Almanacco delle classifiche di Alessandro Terreni Calendario editoriale di Roberta Cesana Mappe transnazionali di Sara Sullam Taccuino bibliotecario di Stefano Parise I CATTIVI Cattiveria cercasi di Mario Barenghi Bambinacce e ragazzacce: le strane virtù dell’immoralità di Gianni Turchetta Distopici sì, ma come? di Paolo Giovannetti Supercattivi, cattivisti, anticristi di Giuliano Cenati I «cattivi» in versi di Valerio Magrelli e Umberto Fiori di Stefano Ghidinelli I cattivi del noir sono cattivi davvero? di Carlo Tirinanzi De Medici I polemisti cattivi: Giordano, Forchielli, Paragone e Montanari di Luca Gallarini La necessità di un buon cattivo di Tina Porcelli Un gioco per pedine grigie: Game of Thrones oltre il fantasy manicheo di Michele Farina I cattivi riscritti della fanfiction di Martina Battocchio Cattiveria cercasi di Mario Barenghi Il buon funzionamento di una storia dipende in buona misura dalla figura del cattivo. Se è vero che non si dà trama senza la necessità di superare un ostacolo, identificare l’ostacolo con una volontà individuale, cioè con una persona in carne e ossa, è una delle strategie compositive più efficaci. Ma oltre a svolgere la funzione di antagonisti nell’intreccio, i cattivi risultano spesso attraenti, se non addirittura simpatici. Quali sono le ragioni di questo fenomeno? E come cambia, nel tempo, la distanza fra personaggi positivi e personaggi negativi? Forse i primi decenni di questo secolo segnano anche una nuova tendenza alla polarizzazione. Forse è finito il tempo in cui si trovava sempre qualcosa dell’eroe nel cattivo e qualcosa del cattivo nell’eroe. Sono tornati i cattivi- cattivi? Cosa sarebbe Otello, senza Jago? o Edmond Dantès, senza Danglars? Cosa sarebbero Renzo e Lucia, senza don Ro- drigo? o Tosca e Cavaradossi, senza Scarpia? Se i giusti sono il sale della terra, i cattivi sono il sale della letteratura. E non della letteratura sol- tanto. Su questo punto Alfred Hitchcock e François Truffaut concorda- vano: migliore il villain, migliore il film. E non è difficile riscontrare lo stesso principio chiacchierando con gli attori: i personaggi più interes- santi da interpretare sono i cattivi. Le ragioni sono molteplici. La più lu- singhiera per un attore è che la cattiveria è estranea alla sua indole: da ciò deriva che fare il personaggio del cattivo costituisce, professionalmente parlando, una sfida. La più oggettiva è che molti cattivi sono personaggi ambigui, complessi, sfaccettati, mentre la bontà è monocorde. E in veri- tà, se ci mettiamo dal punto di vista del lettore o dello spettatore, la bontà è certamente meno interessante della cattiveria, perché dai buoni non occorre difendersi. Con i buoni, non bisogna stare in guardia: ci si può abbandonare. Ci si fida. Però, a ben vedere, le questioni in gioco sono almeno due, abba- stanza diverse fra loro. La prima riguarda la narrazione in generale: per- ché una storia catturi l’attenzione dei destinatari è necessario che qualcosa – almeno all’inizio – vada male. Senza una disgrazia, o un’ingiustizia, o 8 Cattiveria cercasi una mancanza, la storia non decolla. Potrà essere uno stato iniziale, una di- sgrazia o una perdita, una condizione di penuria, persecuzione, prigionia, malefizio; oppure, data una situazione di equilibrio, potrà subentrare un danneggiamento in una fase successiva, come effetto di un’iniziativa o di un evento che a un certo punto si verifica. Ma, in ogni caso, la narrazione si impernia su un elemento negativo: un problema da risolvere, una difficoltà da affrontare, una minaccia da sventare, un torto da risarcire. Al limite, un guasto da riparare. Lo scorso anno ricorreva il cinquantesimo anniversario del primo sbarco sulla Luna; ebbene, non è un caso che quell’epica impresa non abbia prodotto opere di rilievo. Il grande film sulle imprese spaziali è Apollo 13, di Ron Howard (1995): non la celebrazione di una conquista, ma il resoconto di un avventuroso salvataggio. Insomma: le storie richie- dono guai. Come ha scritto un romanziere americano, Charles Baxter, «Hell is story friendly», l’inferno è amico delle storie. Se volete una storia avvincente, collocate il protagonista in mezzo ai dannati. C’è una sintonia, sostiene Baxter, fra i meccanismi della narrativa e quelli dell’inferno. Con il paradiso è diverso: «Il Paradiso non è una storia. È quello che succede quando le storie finiscono». Quali siano i meccanismi infernali, in verità, non ci è (ancora) dato sapere con esattezza. Ma di certo, se per mettersi davvero in moto la storia richiede un elemento negativo, non importa se cronico o episodi- co, sia esso povertà o pericolo, sciagura o sopruso, è quasi inevitabile vi sia implicata un’intenzione umana, una soggettiva volontà. Non mancano, è vero, storie anche assai coinvolgenti in cui il negativo non è personalizzato, o è spalmato su una pluralità di personaggi nessuno dei quali merita la qua- lifica di “cattivo” in senso stretto. Di norma, però, all’agire del protagonista fa riscontro l’agire (previo o seguente) di un antagonista. Che è, appunto, il cattivo – the villain, le méchant. Lo scioglimento della trama potrà poi risolvere, in via provvisoria o definitiva, il conflitto. In linea di massima, mi sembra di poter affermare che la probabilità di una completa sconfitta delle forze del male è tanto più alta quanto più i cattivi hanno connota- ti disumani. Se al genere umano non appartengono affatto, scommettere sul loro successo significa buttar via i soldi: mostri e orchi sono destinati a perdere. Degno di nota è però che l’esito opposto, cioè la disfatta di un protagonista positivo, di rado coincide con il trionfo personale di un catti- vo. Molto più probabile è che il negativo prevalga nella forma di un assetto generale del mondo, di una mentalità dominante, di un’iniquità diffusa, di 9 I CATTIVI un clima – non del singolo soggetto identificabile come villain. Un esem- pio eloquente è la conclusione dell’Adelchi manzoniano: se il traditore Svarto prospera, la sua sorte rimane però sullo sfondo: in primo piano è l’imporsi dell’universale ingiustizia, incarnata semmai dai regnanti, Carlo e Desiderio. Allo stesso modo, la disfatta di Winston Smith, nel 1984 di George Orwell, nella sua agghiacciante assolutezza, non è presentata come il successo personale di O’Brien.