ELEMENTI METODOLOGICI Per la valutazione di cui alla presente indagine si è proceduto secondo le metodolo- gie in uso nella ricerca archeologica, comunemente accettate in ambito scientifico e in accordo con le Linee guida per l’adeguamento dei Piani Urbanistici Comunali al PPR e al PAI – Prima fase – Riordino delle conoscenze: Assetto storico culturale , relative al Piano Paesaggistico Regionale (L.R. 25 novembre 2004, n. 8). Le procedure seguite si inseriscono, come detto, nella prassi dell'indagine archeolo- gica così come codificata, ormai in modo condiviso, in ambito nazionale e interna- zionale. Lo scopo è quello di indagare tutte le fonti possibili, a qualsiasi livello di approfondimento e da qualsiasi sorgente utile; sia che si tratti di fonti pregresse (dati di letteratura, d’archivio o fonti orali, vecchie indagini sul terreno) che di fonti derivanti da indagini sul terreno realizzate per il presente lavoro. Indagine che si estrinseca nel trattamento secondo le procedure di validazione e nell’analisi secondo le metodologie specifiche alla tipologia di fonte e l’inserimento in modelli di valuta- zione specifici.

ANALISI DELLE CONOSCENZE PREGRESSE La fase preparatoria prevede l’analisi delle conoscenze pregresse e di una serie di strumenti utili quali le foto e le carte. Questa fase è particolarmente importante per una pluralità di motivi: - in primo luogo permette di avere un primo quadro articolato del territo- rio oggetto di indagine, tanto più credibile quanto più ampie e circostan- ziate sono state le indagini nel passato. - In secondo luogo permette di valutare siti di interesse archeologico che oggi non sono più esistenti o la cui visibilità è scarsa o nulla rispetto al passato. A parte i casi di distruzione completa, sono presenti aree ar- cheologiche oggi non leggibili per le modifiche avvenute nel terreno do- vute a cambi di destinazione d’uso (urbanizzazione o formazione di co- pertura vegetale tale da comprometterne la leggibilità) oppure per il fe- nomeno, noto in letteratura, dei “siti semaforo”, siti caratterizzati da a- ree di dispersione di materiali in superficie, la cui visibilità non è costan- te nel tempo; in questo caso è altamente probabile che durante le perlu- strazioni effettuate per la realizzazione di Piani urbanistici o valutazioni di impatto archeologico tali siti non siano visti. La menzione in letteratu- ra o in archivio (o per fonte orale) resta così l’unico dato utilizzabile per la definizione di un’area di rischio che eviti, nel caso di lavori particolar- mente invasivi, la definitiva scomparsa del bene.

RACCOLTA DEI DATI DI ARCHIVIO E BIBLIOGRAFICI Per quanto riguarda gli archivi, l'indagine ha riguardato quello della Soprintendenza Archeologica per le province di e e gli Archivi di Stato di Oristano e Cagliari. La ricerca ha riguardato l'esistenza di indicazioni specifiche sulla presenza di rinvenimenti archeologici attestati da documenti ufficiali dell'Ente competente per

1 la tutela sul territorio, la Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano. Per i dati di letteratura l'indagine si è svolta presso le principali biblioteche speciali- stiche per il settore archeologico, dotate dei testi necessari, comprendendo sia testi scientifici sia divulgativi, al fine di assumere tutte le informazioni anche non suppor- tate da specifiche validazioni scientifiche; notizie verificate, ovviamente, in fase successiva. Le Biblioteche nelle quali sono state effettuate le indagini sono quelle della Soprin- tendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano, del Dipartimento di Scienze archeologiche e storico-artistiche (ora dipartimento di storia, beni culturali e territorio) e della Scuola di Specializzazione in Studi Sardi dell'Università degli Studi di Cagliari, la Biblioteca Universitaria di Cagliari, con le quali si ritiene di aver compiuto uno spoglio esaustivo di quanto edito. Ai due luoghi si affianca un’altra fonte importante quella orale, dovuta alla presenza di informatori locali competenti e la cui conoscenza del terreno, frutto di una plurali- tà di anni di percorrenza, è insostituibile.

SCAVI ARCHEOLOGICI Per alcune aree è stato possibile disporre di dati provenienti da scavi archeologici effettuati dalla Soprintendenza archeologica e dal Comune di San Vero , sia di tipo programmato ( s’Urachi e Su Pallosu ) sia a seguito di lavori di trasformazione territoriale, in particolare condotte idriche (necropoli di Punta Zinnigas e di Perd’e Cresia ), dia a seguito di interventi d’urgenza.

FOTOINTERPRETAZIONE Si è provveduto all'analisi delle fotografie aeree esistenti e all'analisi di immagini di satellite. L'indagine, dato lo stato del terreno, ha permesso l’individuazione di ele- mente peculiari che hanno permesso una migliore definizione delle ricerche a terra.

LETTURA GEOMORFOLOGICA DEL TERRITORIO La lettura geomorfologica del territorio è stata utilizzata per individuare eventuali anomalie o segni lasciati sul terreno da resti archeologici ovvero per individuare costanti geografiche nella disposizione dell'insediamento umano, tali da evidenziare le potenzialità insediative. La lettura è stata realizzata sia con l'indagine visiva sui luoghi sia attraverso il ricorso alle carte tematiche (geologiche, geopedologiche, uso del suolo) esistenti.

PROSPEZIONI DI SUPERFICIE Sono state svolte con il classico metodo del field-walking , consistente nel cammina- re lungo le aree oggetto di indagine e rilevare autopticamente gli indicatori sia visivi sia materiali che permettano di indiziare la presenza di elementi di interesse ar- cheologico, quali resti di edifici o reperti archeologici affioranti sul terreno. Durante

2 le prospezioni si è provveduto a documentare l’eventuale presenza di reperti dia- gnostici per la determinazione della qualità cronologica e culturale del sito.

PARAMETRI DI VALUTAZIONE Per poter effettuare una valutazione dei dati raccolti, secondo le modalità su de- scritte è necessario rifarsi a dei parametri che permettano di distinguere il grado di conoscenza raggiunto per ciascun sito analizzato. Il territorio di pre- senta un complesso sistema di criticità archeologiche che rendono necessaria l’attenta valutazione degli interventi che nel tempo vengono proposti nell’evoluzione territoriale. Per tale motivo è importante definire quale sia il grado di conoscenza sulla base del quale viene effettuta la valutazione. Come è detto l’estensione del rischio che ogni singolo sito corre può essere esplicitato cartograficamente solo in modo parziale, trattandosi di beni non facilmente individuabili sul terreno, salvo casi rari di monu- mentalizzazione che ha resistito allo spoglio sistematico iniziato subito dopo l’abbandono del bene e proseguito sino ai giorni nostri. Ciò significa che la ricerca non è un dato fissato una volta per tutte ma che si trova in costante aggiornamen- to. Allo stato attuale è possibile attivare una conoscenza condivisa (tramite gli stru- menti della cartografia e del database) su tre livelli di completezza: 1. Individuazione presumibile sulla base dei parametri insediamentali noti per questo territorio, ma non definibile con dati materiali 2. Individuazione generica , non definibile nella sua reale estensione nel terre- no e, conseguentemente, cartografica e parzialmente analitica 3. Individuazione puntuale , sul terreno, cartografica e analitica Per quanto riguarda i parametri di valutazione del grado di rischio archeologico si è fatto riferimento alla presente scala elaborata dallo scrivente:

Grado 1 l'area indagata presenta elementi morfologici tipici dei parametri = insediativi noti nella zona senza che in superficie vi siano evidenti tracce culturali tali da permettere l'identificazione puntuale; Grado 2 l'area indagata è segnalata da fonti orali o scritte non verificabili in = modo più approfondito, senza che in superficie vi siano evidenti tracce culturali tali da permettere l'identificazione puntuale; Grado 3 l'area indagata è segnalata da fonti orali o scritte di carattere scien- = tifico o comunque di provenienza verificata, senza che in superficie vi siano evidenti tracce culturali tali da permettere l'identificazione puntuale; Grado 4 l'area indagata è segnalata dalla presenza di tracce culturali sul ter- = reno tali da indiziare l'esistenza di un Bene Culturale sebbene in modo generico in assenza di sondaggi o scavi archeologici; Grado 5 l'area indagata è segnalata dalla presenza di strutture o di elementi = in grado di permettere una definizione puntuale del Bene Culturale

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CARTE Le carte prodotte a seguito delle indagini compiute per il presente lavoro sono fatte di tanti punti formalizzati che indicano le presenze archeologiche accertate. Dal punto di vista metodologico, ogni carta archeologica ha una valenza diversa a se- conda dell’uso che ne dobbiamo fare. Se lo scopo è quello della ricostruzione dei paesaggi la carta andrà sequenziata cronologicamente, in modo tanto più raffinato quanto è possibile sulla base del progresso della ricerca. Altro è l’uso urbanistico nel quale la carta si trasforma in strumento di tutela che, in prospettiva, dovrebbe tra- sformarsi in vera e propria carta del rischio. In entrambi i casi le carte prodotte non sono significative per le assenze, ma il loro valore è tale solo per le presenze archeologiche indicate. Ciò significa che i vuoti non sono di per sé vuoti di testimonianze ma possono derivare più semplicemente da fattori non dipendenti direttamente dalle indagini qui effettuate. In particolare si fa riferimento: - Alla scarsa o nulla leggibilità del terreno derivante dalla presenza di spazi in- colti o coperti da vegetazione nei quali è molto difficile poter evidenziare le presenze archeologiche - Al fenomeno dei “siti semaforo” nelle aree destinate a coltivazione, noti in letteratura scientifica per la loro caratteristica di non essere sempre visibili, ma di scomparire ad annate alterne. - All’assenza, talvolta, di precise ubicazioni cartografiche per quanto riguarda rinvenimenti effettuati nel passato. Sono in sostanza carte a scadenza per le quali andrebbe periodicamente prevista la revisione evitando la presunzione della carta completa, della carta “una volta per tutte”. Nell’ambito delle norme urbanistiche ciò significa anche la previsione di una norma che sottoponga a tutela anche quei siti non indicati in carta al momento dell’approvazione di quest’ultima ed evidenziati in fasi successive.

4 Storia delle scoperte e degli studi Il territorio sanverese, compreso in due distinte regioni geografiche, il Sinis setten- trionale e il Campidano di Milis, conserva un eccezionale patrimonio di beni cultura- li, tra i maggiori dell’isola. La presenza di edifici storici di notevole dimensione e visibilità ha fatto sì che questi beni non solo fossero sempre presenti nella percezio- ne di chi vive nel territorio, ma divenissero elementi di vita quotidiana; il continuo riutilizzo ne è la testimonianza più convincente. Per tutti vale l’esempio del s’Urachi , il maggiore insediamento archeologico presente nel territorio comunale, e uno dei maggiori dell’isola, che vede la propria origine come nuraghe nel Bronzo Medio (metà II millennio a.C.), continua a essere utilizzato e riutilizzato con distruzioni e ricostruzioni da quell’epoca sino ad età tar- do romana, per poi essere abbandonato; riutilizzato con l’impianto di un mulino ad acqua nel XVII-XVIII sec. e poi come luogo per la fabbricazione dei mattoni crudi ancora alla metà del nostro secolo 1; fino a diventare il luogo della discarica pubblica e vedere una parte delle torri dell’antemurale coperte dall’asfalto della strada pro- vinciale negli anni ‘80 2. La visibilità dei monumenti e in particolare nuraghi, ha fatto si che da epoca antica si trovino tracce di loro nei documenti. Ne fa fede, ad esempio, l’utilizzo come rife- rimenti topografici dei nuraghi Zerrei, De Mesu e Sorighis , durante la “visita” del “vidazzone” di San Vero Milis effettuata il 7 febbraio1787 dai rappresentanti del Re, del Comune e del Feudatario 3. A partire dalla metà del XIX sec. l’avvio del moderno catasto permette di avere un quadro più ampio e completo della localizzazione esatta dei monumenti allora iden- tificabili. Infatti, nel cosiddetto “Catasto De Candia”, datato 1847, alla carta 203, nelle varie tavole, sono indicati i seguenti nuraghi: s’Omu , Paracannas (attuale Su Cunventu o Spinarba ), su Brasu de Pala Pira (attuale Sale Porcus ), de Mesu , Guttu- ru Elighe (attuale Gutturu Diegu ), Sorighe , Mevas (attuale Melas ), Pearba (attuale Priogu ), Arau (attuale Serra is Araus ), de Mesu , Santa Maria , Nurazolu de Prumu e de S. Maria (non identificato), Miali (su Perdosu ?), Soddì , Biancu (attuale s’Uracheddu biancu ). Ma nessuna di queste indicazioni derivava da una ricerca specifica rivolta alle anti- chità. È solo con l’attività di alcuni studiosi o appassionati che nell’800 si avvia il ritrovamento e il recupero di importanti reperti archeologici che entreranno a far parte delle collezioni museali pubbliche, nel migliore dei casi, o private, delle quali spesso non si hanno precise informazioni. Indicativa, in tal senso, la storia del famoso “torciere” bronzeo, proveniente presu- mibilmente da s’Urachi . Il pezzo, dopo il ritrovamento, finì in epoca imprecisata nel- la collezione Caput e da qui nel Museo Nazionale di Cagliari, che lo acquisì, fortuna- tamente, in data 16.8.1890, registrandolo nell’inventario al numero 22.932 4. Tra le figure che maggiormente spiccano in campo archeologico va ricordata quella del chirurgo Salvatore Orrù di San Vero Milis, il quale a più riprese segnala e invia al canonico Spano importanti reperti archeologici provenienti dal territorio del paese e in genere dal Sinis, nonché da Cornus . Per quanto riguarda il territorio sanverese si ricordano il ritrovamento, in località Zerrei , di una statuina bronzea di età romana della divinità Flora 5, di una moneta punica d’oro (o forse di elettro) 6 e di “ idoletti in

1 Molti dei muri delle case del paese portano traccia di questa attività, con la presenza nei mattoni di frammenti ceramici. Nella stessa area archeologica gli scavi compiuti negli anni ottanta hanno messo in luce i piani di lavorazione dei mattoni crudi. 2 Alcuni anni dopo la strada venne spostata, su richiesta dell’Amministrazione comunale. 3 Archivio di Stato di Cagliari, Inventario Regio Demanio, Classe IV, cat. IV, cartella 64, fascicolo 29. 4 Tore 1986, p. 73. 5 Spano 1860, pp. 73-74; Crespi 1861, p. 69 e disegno n° 5.

5 terra cotta ” 7 presso l’abitato e, nel Sinis, di una stadera di bronzo 8, di una corniola romana con una figura femminile e monete della famiglia Fonteja 9. Di qualche anno più tardi, 1887, è la notizia del primo scavo ufficiale tenuto nel territorio di San Vero Milis. L’allora Regio Soprastante, Filippo Nissardi, effettuò un brevissimo saggio di scavo nella necropoli romana presso il Nuraghe majore o de sa perda longa , attualmente conosciuto con il nome di Bidda Maiore 10 . L’intervento, durato un solo giorno, fu reso necessario dal ritrovamento da parte del proprietario del terreno, Giovanni Lotto (verosimilmente Lotta), di tombe, urne e “ pietre lavora- te, aventi scolpite parti di figure ”11 . Si tratta delle note stele funerarie di Bidda Maiore che periodicamente affiorano dal terreno 12 . Dopodiché segue un lungo silenzio di ricerche fino al secondo dopoguerra, interrotto solo dalla attività statale legata alla tutela che si traduce, in particolare, con la pub- blicazione nel 1902 e nel 1922 degli Elenchi degli Edifizi Monumentali , a opera del Ministero della Pubblica Istruzione 13 . In essi sono individuati alcuni nuraghi appar- tenenti al territorio di San Vero Milis: Soddì, Santa Maria, De Mesu, Sorighis, S. Perdu Columbas 14 . Nell’elenco è anche inserito il nuraghe Arcibispu che in realtà si trova nel territorio di 15 . Al territorio di Cabras sono state invece errone- amente attribuite le torri litoranee di Capo Mannu , della Mora e di “ Scala Sale ”16 . Nel 1935 viene pubblicata l’Edizione archeologica della Carta d’Italia per i fogli rela- tivi al territorio sanverese, a cura di Antonio Taramelli 17 . Nella pubblicazione sono citati vari nuraghi del territorio sanverese: s’Ommu 18 , Sale ‘ Porcu 19 , ‘e Mesu 20 , S. Pietro 21 , Bidda Majore 22 , S’Uraci 23 , Soddì 24 , de Mesu 25 , S. Perdu Columbas 26 , Sori- ghis 27 . Alcuni anni prima, pubblicando la carta relativa al Sinis centro meridionale, Taramelli aveva inserito, erroneamente, il nuraghe Nuragheddu Biancu nel territorio di Riola Sardo 28 .

6 Spano 1861, p. 29-30; Taramelli 1935, p. 154, n° 49 a. 7 Spano 1872, p. 7: “ la maggior parte andarono frantumati ”, ma non è chiaro se altri, invece, si siano salvati e dove si trovino. 8 Spano 1870, p. 20 (la provenienza è data dal Sinis di Riola, ma non si può escludere che invece si tratti del territorio di San Vero Milis). 9 Spano 1872, p. 7. 10 Nissardi 1887. Il nuraghe viene erroneamente attribuito al territorio di Riola Sardo. 11 Nissardi 1887, p. 48. 12 Tore 1975, Tore 1985. 13 Ministero 1902; 1922. 14 Ministero 1902, p. 498; 1922, p. 164. 15 Ministero 1902, p. 498. 16 Ministero 1902, p. 465. Curiosamente manca l’indicazione della torre di guardia delle Saline, la più grande di tutte. 17 Taramelli 1935. Taramelli ricopriva l’incarico di Direttore degli Scavi e del Museo Archeologico Nazio- nale. 18 Taramelli 1935, p. 5, n° 1. 19 Taramelli 1935, p. 5, n° 2. 20 Taramelli 1935, p. 6, n° 3. 21 Taramelli 1935, p. 154, n° 48. 22 Taramelli 1935, p. 154, n° 49. Il nuraghe non va confuso con quello omonimo del Sinis. 23 Taramelli 1935, p. 154, n° 50. Si tratta della prima citazione in campo archeologico dell’importante complesso; l’autore lo definisce: “ un cumulo di rovine appena sporgente dal suolo ”. Del nuraghe si ave- va traccia nel toponimo Ponte su rachi presente in documenti del 1835 relativi a un terreno del sacerdo- te Salvatore Angelo Puliga di San Vero Milis, nei quali era presente un mulino ad acqua (Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, Serie II, vol. 1588). I resti del mulino sono ancora visibili nei pres- si del nuraghe. È curioso come nel documento citato, parlando dei confini della proprietà non venga citata la struttura nuragica; all’epoca, evidentemente, l’imponente monumento, doveva essere interrato. 24 Taramelli 1935, p. 154, n° 51. 25 Taramelli 1935, p. 166, n° 22. 26 Taramelli 1935, p. 167, n° 23. 27 Taramelli 1935, p. 167, n° 25. 28 Taramelli 1929, p. 3, n° 3.

6 Nell’immediato dopoguerra, Giovanni Lilliu avvia la prima campagna di scavi nel nuraghe s’Urachi, durata pochi mesi. L’intervento mise in luce un antemurale con sette torri, nonché tracce di un abitato punico-romano. Di questo scavo viene data immediatamente notizia con alcuni articoli, accompagnati però da una planimetria non corretta della struttura 29 . Negli anni ’50 e ’60 l’avvio della meccanizzazione dell’agricoltura portò alla messa in coltivazione di molti terreni con il conseguente ritrovamento di numerosi reperti archeologici che nella maggior parte dei casi andarono dispersi sul mercato clande- stino o distrutti dagli stessi coltivatori che temevano per i loro possedimenti. Molti reperti sono pervenuti anche in collezioni private, alcune delle quali fortunatamente segnalate e inventariate, o nei musei di Cagliari e Oristano, per i quali ancora non esiste un elenco certo. Spicca tra i vari ritrovamenti quello di Serra Araus , una necropoli preistorica a tom- be ipogeiche ( domu de janas ). La prima tomba venne rinvenuta nel 1957, ad opera di due insegnanti oristanesi, Giovanni e Nicola Atzori e restituì la famosa stele poli- mazone in arenaria 30 . La necropoli fu poi oggetto di scavi da parte di Enrico Atzeni dell’Università di Cagliari, che la renderanno, per i reperti ritrovati, una delle più importanti nell’isola 31 . Purtroppo, quasi immediatamente tra il 1963 e il 1964 la necropoli sarà oggetto di interventi vandalici come attestano le varie denunce con- servate nell’Archivio della Soprintendenza Archeologica di Cagliari 32 . Nel 1974 viene effettuata la ricognizione archeologica nell’isolotto di Sa Tonnara . Di tale esplorazione resta un comunicato stampa 33 ad opera dell’allora Soprintendente archeologo prof. Ferruccio Barreca e altre scarne citazioni 34 . Sostanzialmente, se- condo l’ipotesi di Barreca, si tratterebbe di una struttura fortificata con un muro di recinzione, a casematte, di tipo fenicio-punico 35 . In realtà le strutture presenti nell’isolotto appartengono a periodi diversi, e non sono ancora state indagate a fon- do. Nel 1979 vengono ripresi gli scavi presso il nuraghe S’Urachi , che proseguono con andamento alterno fino ai giorni nostri. Da allora si sono succedute otto campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza archeologica e dal Comune, nel 1979 36 , ne- gli anni ’80, 37 quindi nel 1995 38 e, infine, nel 2005. 39 Dal 1979 iniziano, inoltre, i lavori di censimento archeologico del territorio comuna- le, dapprima con il gruppo archeologico costituito ai sensi della L. 285/1977 e poi nell’ambito dei servizi culturali del Comune. Il censimento ha portato all’individuazione delle aree di interesse storico e archeologico, alla compilazione

29 Lilliu 1947, p. 254, da una notizia preliminare sull’importanza del monumento; sugli scavi: Lilliu 1948, p. 54, n. 34 e p. 64, n. 74; 1949, pp. 399-406. 30 Lilliu 1957, pp. 20ss. 31 Atzeni 1975, pp. 22-23, 41. 32 Archivio della Soprintendenza archeologica di Cagliari: 30.10.1963 denuncia di scavi clandestini fatta dal prof. Enrico Atzeni; 25.11.1963; denuncia fatta dai carabinieri della stazione di Riola; 12.10.1964; denuncia fatta da E. Atzeni; 15.10.1964 denuncia fatta dal Soprintendente G. Pesce. 33 Unione Sarda n° 103 del 7.5.1974, p. 7. 34 Barreca 1983, p. 302; 1986, p. 318. 35 Barreca 1978, p. 126; 1986, p. 318. Per una diversa interpretazione: come resti della tonnara, vedi Mastino 1979, p. 82, n. 18; 36 Guidata da Antonio Zara della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano. 37 Nel 1980 con la direzione di Anna Maria Cossu e di Teresa Olmetto e dal 1982 con quella di Giovanni Tore dell’Università di Cagliari: Tore 1984a; 1984b; Tore – Stiglitz 1992, pp. 89-92. 38 con la direzione di Giovanni Tore. 39 Con la direzione di chi scrive e di Alessandro Usai della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano: Stiglitz et al. 2012.

7 delle relative schede e alla raccolta di una notevole quantità di documentazione. Di queste ricerche è stata data comunicazione scientifica in varie pubblicazioni 40 . Nell’ambito di tali attività furono eseguiti una serie di scavi archeologici nel territo- rio comunale, oltre a quello di s’Urachi, legati ad attività di tutela e di ricerca. Si ricordano: - nel 1981 lo scavo di un monumentino nuragico sulla spiaggia di Sa Rocca Tunda 41 ; - nel 1984 il recupero d’urgenza di tre tombe romane nella scarpata della col- lina di Soddì 42 ; - nel 1985 lo scavo di un pozzo e altre strutture con materiali nuragici e ro- mani in località Pauli Cherchi 43 , lo scavo di 19 tombe della necropoli romana di Bingia Arena 44 e i sondaggi nell’edificio romano di Is Aieddus 45 ; - nel 1987 lo scavo di 12 tombe romane, di cui 5 a cassone, nella necropoli di Punta Zinnigas 46 ; - nel 1989 la seconda campagna di sondaggi nell’edificio romano di Is Aied- dus 47 . In tutti questi anni sono avvenuti anche numerosi ritrovamenti subacquei, frutto sia di casualità che di recuperi ufficialmente eseguiti48 ; negli ultimi anni, inoltre, l’area di mare del Capo Mannu è divenuta capo di indagine archeologica e didattica nell’ambito delle attività di archeologia subacquea svolte dall’Università di Sassari (docenti Pier Giorgio Spanu e Raimondo Zucca) in collaborazione con la Soprinten- denza archeologica 49 . Tra i materiali, un frammento di chiglia lignea di nave 50 , varie ancore di epoca romana, un’anfora etrusca e molti altri 51 . Nel frattempo, nel 1986, il Comune di San Vero Milis ha istituito il Museo civico con annesso il Parco archeologico di s’Urachi 52 e negli anni ’90 ne ha avviato la costru- zione oggi giunta a compimento. Il Museo, sebbene ancora non aperto al pubblico, svolge da anni attività di divulgazione e di ricerca scientifica, tra cui gli scavi arche- ologici nel territorio; in particolare partecipa alle attività del progetto di ricerca Co- lonial Traditions 53 che hanno visto l’attuazione di studi archeometrici sulle cerami- che provenienti dal villaggio di Su Padrigheddu , contiguo al nuraghe 54 e quelle dall’edificio turrito. Contemporaneamente, nell’ambito di un dottorato di ricerca, sono state avviate attività di prospezione e di scavo nell’area costiera di San Vero

40 Tore-Stiglitz 1987a; 1987b; 1987c.; 1992; Tore-Stiglitz-Dadea 1988; Stiglitz-Tore 1991. 41 Stiglitz 1984. 42 Tore-Stiglitz 1987a, p. 656; Tore - Stiglitz - Dadea 1988, p. 456 43 Tore-Stiglitz 1987a, pp. 651-652. 44 Tore - Stiglitz 1987a, p. 654; Tore - Stiglitz - Dadea 1988, p. 455 e p. 456, fig. 2: 45 Tore-Stiglitz 1987a, pp. 645-646. 46 Tore - Stiglitz - Dadea 1988, pp. 456-457 e p. 458, fig. 3. 47 Alfonso Stiglitz, San Vero Milis, Loc. Is Aieddus: lottizzazione Puliga - lotto A. Sondaggi archeologici (12.6-24.8.1989) . Relazione, 24.8.1989. (Archivio servizi culturali del Comune di San Vero Milis). A seguito dei risultati l’area è stata assoggettata a vincolo archeologico di inedificabilità ai sensi della L. 1089/1939. 48 Linder-Edgerton 1986; 49 Mastino- Spanu-Zucca 2006, pp. 9-194. 50 Le operazioni di recupero dirette dallo scrivente vennero effettuate nel 1996 con la collaborazione della Forestale di Oristano. A seguito di tale recupero è stato modificato il progetto museale con la crea- zione di un laboratorio di restauro per reperti sottomarini. 51 Zucca 1985; Tore-Stiglitz 1987a, p. 644; 1987c, p. 165; Stiglitz 2006. 52 Deliberazione del Consiglio Comunale n. 28 del 07.02.1986. 53 Colonial Traditions è parte del programma di ricerca Tracing Networks , finanziato dal Leverhume Trust ( http://www.tracingnetworks.ac.uk/content/web/introduction.jsp ). Il progetto è condotto da Peter van Dommelen e Andrea Roppa in collaborazione con lo scrivente e con il supporto di Alessandro Usai della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano . 54 Tore 1984a, pp. 707-708; Stiglitz 2007; Roppa 2012; Stiglitz c.s.

8 Milis, nel Capo Mannu, che hanno visto la realizzazione di alcune campagne di scavo nel deposito nuragico posto nella spiaggia di Su Pallosu, che ha restituito materiali databili dal Bronzo recente sino all’età del Ferro, e di prospezione in tutta l’area 55 . Sono stati anche avviati i lavori di sistemazione dei depositi del Museo e di pubbli- cazione dei reperti ivi presenti. 56 Infine, in accordo con le università sarde sono sta- te realizzate diverse tesi di laurea e specializzazione, e ricerche di giovani archeolo- gi 57 , ancora in corso di pubblicazione. Negli ultimi due decenni le attività di ricerca e di tutela sono state affiancate da continue iniziative volte alla divulgazione dei dati, con assidue presenze nelle scuole locali e non, di ogni ordine e grado, e con mostre che hanno avuto ampia risonanza esterna. Il patrimonio archeologico sanverese è stato oggetto di studi mirati alla tutela e alla valutazione dei danni subiti e dei rischi futuri 58 . Le attività di tutela hanno portato alla imposizione di tre vincoli archeologici ex lege 1089/1939 nelle località di s’Urachi , di Sa rocca tunda (due domu de janas ) e di Is Aieddus (edificio romano) e all’avvio di un progetto di fruizione dell’area archeologica di Serra is Araus , in ac- cordo con la proprietà, Compagnia Compagnia delle Figlie Del Sacro Cuore Evari- stiane, con la realizzazione della recinzione dell’area e di un piccolo centro visita.

55 Sulle indagini, realizzate nell’ambito del Capo Mannu Project con la direzione scientifica di Giandaniele Castangia, Alfonso Stiglitz, Alessandro Usai e Alessandro Vanzetti ( http://capomannuproject.it/ ) cfr. Castangia 2011; 2012; per i materiali dell’età del Ferro vedi Falchi 2006. 56 Tore 1975; Tore 1985; Tore 1986; Stiglitz 2007; Lugliè 2012; Roppa 2012; Stiglitz 2012a; Usai 2012; Stiglitz c.s. 57 Panico 2011. 58 I risultati sono stati sinteticamente editi dallo scrivente: Stiglitz 1991; 1995.

9 Abitato e territorio circostante

Caratteristiche L'abitato e il territorio circostante sono situati nella regione denominata Campidano (o Parte) Milis , che costituisce la porzione settentrionale della grande pianura che unisce il Golfo di Oristano a quello di Cagliari. Si tratta di un’area sostanzialmente pianeggiante e leggermente ondulata senza alture di dimensioni ragguardevoli. Si distinguono dal territorio circostante (ma con quote modeste) alcuni terrazzi allu- vionali come quelli di Su Sartu Mannu , di Su Pedrosu e dell'abitato. Numerosi tor- renti attraversano il territorio con andamento Nord-Sud, alcuni dei quali di una cer- ta rilevanza: Riu e Riu Canargia . Curioso è l'andamento del Riu Canargia e del Riu Mannu che poco a sud degli abitati di e di San Vero Milis, rispetti- vamente, piegano bruscamente a Ovest e vanno a immettersi nell'area paludosa di Mare 'e Foghe , attualmente bonificata; l’andamento deriva probabilmente dalle an- tiche trasformazioni del corso del fiume Tirso, della cui direttrice gli attuali torrenti mantengono memoria. La struttura alluvionale del terreno lo rende adatto alle attività agricole sia estensi- ve (cerealicoltura) che specializzate (orticoltura) come attestano le classificazioni di limitazione d'uso dei suoli 59 . Queste caratteristiche, congiuntamente alla posizione geografica di transizione fra la piana alluvionale e l'interno montagnoso, resero questo territorio (e quello dei paesi vicini) particolarmente propizio all'insediamento umano sin da epoca antica.

La Preistoria. Le più antiche tracce di presenza umana finora individuate nel Campidano di Milis risalgono al Neolitico Medio (V millennio a.C.), e sono testimoniate dal rinvenimento di una statuina di dea madre in località Su Anzu di 60 . Nella porzione di ter- ritorio pertinente a San Vero Milis, invece, la prima presenza umana può farsi risali- re alla fase successiva del Neolitico Recente (IV—III millennio a.C.), caratterizzata dalla cosiddetta cultura di San Michele di Ozieri. Si è rinvenuto, finora, un unico insediamento abitativo in località Sa Perda Lada , situato su un terrazzo alluvionale e caratterizzato dai tipici “fondi di capanna” che hanno restituito materiali ceramici e litici caratteristici di questa cultura 61 . Il recente riesame dei materiali provenienti dai vecchi scavi di s’Urachi ha permesso di individuare alcuni frammenti ceramici che riportano a quest’ambito; l’esiguità quantitativa del materiale non permette di chiarire la natura del rinvenimento, ma solo di ipotizzare che il nuraghe sia stato realizzato su un abitato più antico, del quale, allo stato attuale, non vi sono tracce sul terreno. Il numero limitato degli insediamenti nell’area dell’abitato di San Vero Milis e dei paesi vicini 62 va attribuito oltre che a carenza di indagini, anche a un tipo di occu- pazione del suolo a carattere ancora sporadico, legato ad una agricoltura elementa- re necessitante, quindi, di ampi spazi; un'economia in cui l'aspetto caccia-raccolta ha ancora un peso determinante.

Età nuragica

59 Regione Autonoma della Sardegna 1986. 60 Usai, 2005, pp. 21-22 e fig. 2. 61 Atzeni 1959-1961, pp. 194-195; Cossu 2005-2006. 62 Per un quadro aggiornato vedi Sebis 2009, pp. 30-31 e fig. 2

10 Nessun reperto pertinente alle fasi di transizione tra l’età Neolitica e quella Nuragica (fine III- inizi II millennio a.C.) è stato rinvenuto in questa porzione di territorio, anche se l’ assenza può essere attribuita a carenza di indagini; non lontano dal ter- ritorio di San Vero Milis sono, infatti, presenti insediamenti riportabili alla Cultura di Monte Claro (III millennio a.C.) come ad esempio quello posto tra i nuraghi Zoddias e Tradori nel territorio di Narbolia 63 . In età nuragica, a partire dalla fase del Bronzo medio (metà II millennio a.C.) si assiste all’occupazione integrale del territorio in tutti i suoi aspetti morfologici. Un tessuto continuo e articolato, centrato sui nuraghi a tholos e sui villaggi, atto a un più complesso sfruttamento delle risorse, in un quadro di organizzazione territoriale (comprensoriale ?) nel quale sembrano intravedersi elementi di gerarchizzazione del siti: non a caso al centro della piana sorge il grande insediamento di s'Urachi , uno del maggiori dell'isola. È in rapporto con questo grande centro che va pensata l'organizzazione territoriale di quest'area con una corona di nuraghi minori (alcuni anche di dimensioni notevoli come S'Urachi 'e Mesu ) nella piana agricola, il cui con- trollo era necessario per lo sviluppo delle basi economiche della società nuragica (agricoltura e allevamento). Più in alto, nelle colline laviche che chiudono la pianu- ra, in terreni di scarso interesse agricolo e pascolativo, una consistente presenza di nuraghi controlla le vie di penetrazione verso l'interno, segnate a Nord-Est dal Rio Perda Pira , a Nord-Ovest dallo stretto corridoio di passaggio tra il monte e il mare e al centro da piccole gole e valli. Non si può escludere che questa disposizione possa avere una qualche connessione con la presenza di filoni metalliferi nel 64 . Il complesso monumentale di s’Urachi si trova nel punto di raccordo tra le varie par- te del territorio; una posizione apparentemente anomala quella del centro situato nella piana, con un elemento di modesta sopraelevazione rispetto all’area circostan- te, sebbene fenomeni di subsidenza dell’area possono portare a valutare una eleva- zione del piano di posa dell’edificio relativamente maggiore di qualche decina di cm 65 . La sua posizione va quindi spiegata con la centralità “politica” dell’insediamento in rapporto a un ampio territorio di riferimento 66 ; il centro, per la sua articolazione e dimensioni, si configura come località centrale di un cantone (?) nuragico sede, verosimilmente del potere politico, religioso ed economico. Nei suoi immediati dintorni è leggibile un tessuto insediamentale fitto, costituito da vari altri nuraghi, di dimensioni e complessità minori, inquadrabili nel complesso sistema di controllo territoriale incentrato sul nuraghe s’Urachi : entro i 500 metri di distanza è presente un altro nuraghe, tra 1 e 2 km sono presenti 3 nuraghi, tra 2 e 3 km altri 3 nuraghi, tra 3 e 4 km 9 nuraghi e così crescendo verso le pendici del Montiferru , dal quale i nuragici del cantone traevano le materie prime. Alcuni dei nuraghi sono totalmente scomparsi, come quello di S. Pietro e di, Bidda Maiore (Santa Vittoria) o quello, segnalato da fonti orali, all'interno dell'abitato 67 ; gli altri edifici si presentano totalmente interrati (fatto normale nelle pianure sog- gette a coltivazione agricola) quindi di difficile lettura planimetrica, con l'eccezione di S'Urachi e di S'Urachi 'e Mesu , parzialmente visibili. Il nuraghe s’Urachi è, oggi leggibile solo parzialmente perché ancora in buona parte interrato. Attualmente è visibile una parte dell’ampio antemurale, di cui si distin- guono chiaramente sette torri, unite da cortine rettilinee, alle quali vanno aggiunte con certezza almeno due torri, oggi coperte dal vecchio tracciato della strada pro- vinciale, ma ancora percepibili prima della sua asfaltatura. Fortunatamente la stra-

63 Usai 2005, p. 23. 64 Tore-Stiglitz 1987b; Tore-Stiglitz 1992. 65 Stiglitz et al. 2012, p. 922. 66 Stiglitz et al. 2012, p. 922. 67 Tore-Stiglitz 1987b. Nell'area tra via Eleonora e via Roma è ancora visibile un pozzo che potrebbe essere di origine nuragica. Nella stessa via Roma vennero rinvenuti frammenti ceramici di tale epoca. In quest'area viene segnalato il nuraghe.

11 da moderna, che riprende una più antica che potrebbe risalire sino a età romana, in corrispondenza del nuraghe, risulta sopraelevata rispetto alle strutture; per questo motivo futuri scavi potranno mettere in luce le torri oggi occultate. L’estrema rego- larità dell’antemurale, che può considerarsi quasi perfettamente circolare, permette di ipotizzare l’esistenza di una decima torre oggi interrata; la sua assenza, infatti, creerebbe una anomalia nella realizzazione dell’opera. L’antemurale si inserisce in una tipologia ben nota come attestato da quello del nuraghe Su Nuraxi di Barumini, dotato però di sette torri e di una minore regolarità nella pianta. La muraglia recin- ge al proprio interno il nuraghe vero e proprio del quale, nelle campagne di scavo del 1995 e 2005, sono state individuate, ma non ancora scavate, due delle torri laterali di un nuraghe complesso; non è ancora chiara quale sia la forma di questo edificio, se quadrilobato, come nel caso di Barumini, o pentalobato come nel vicino esempio del nuraghe Cobulas di Milis. La posizione delle due torri laterali, in rappor- to a un piccolo tratto murario rettilineo di raccordo con un’altra torre sembra far propendere per quest’ultima ipotesi. 68 Non abbiamo allo stato attuale evidenze murarie del villaggio di pertinenza di s’Urachi. Nel territorio è da segnalare il villaggio di Is Crastus , privo di nuraghe, purtroppo devastato dai lavori agricoli 69 . Nessuna area funeraria è stata finora rinvenuta, ma alcuni indizi permettono di ipo- tizzarne la presenza: un betilo in basalto rinvenuto presso la chiesa di S. Nicola e il riutilizzo nelle strutture della stessa di conci pertinenti a una costruzione nuragica 70 ; un frammento di elemento architettonico con tre incavi, caratteristico delle "tombe dei giganti" giacente in una cunetta della strada provinciale di Milis 71 . La fine dell’età del Bronzo (XII-X sec. a.C.) è segnata da una profonda ristruttura- zione di S'Urachi , con l'aggiunta di strutture murarie che ne modificano l'utilizzo, realizzate anche con blocchi provenienti dallo stesso edificio più antico. Si tratta di un muro a paramento isodomo che va a recingere una parte esterna dell’antemurale. Non è ancora chiara la natura di questo spazio sebbene si possa pensare a una funzione cultuale, data la tipologia del muro 72 . Per la successiva Età del Ferro (IX-VII sec.), sempre a s’Urachi è attestata la pre- senza di un abitato situato in un’area adiacente, denominata Su Padrigheddu , non ancora oggetto di scavo. Da quest’area, oggi coperta da un fitto boschetto produtti- vo, proviene un lotto di materiali pertinenti a un centro nuragico vitale e aperto per tutto l’VIII sec. a.C. e per i primi tempi del secolo successivo 73 . A questa stessa fase sono da riportare le prime attestazioni di importazioni fenicie, tra cui il famoso sup- porto ("torciere") bronzeo rinvenuto nell’800 probabilmente a S'Urachi e databile tra la seconda metà dell'VIII e gli inizi del VII sec. a.C. 74 .

Età Fenicio-punica Con la seconda metà dell’VIII sec. a.C. si evidenzia la presenza di materiale di fab- bricazione fenicia nell’area del Golfo di Oristano. Il centro di s’Urachi rappresenta, da questo punto di vista il più importante sito dell’entroterra. Presso s’Urachi nel villaggio di Su Padrigheddu , ma anche nell’area delimitata dall’antemurale sono presenti materiali chiaramente fenici, sia di importazione che di fattura locale. Par-

68 Per un’analisi delle strutture cfr: Tore 1984a; Tore 1984b; Tore-Stiglitz 1992, pp. 89-92; Stiglitz et al. 2012. 69 Tore-Stiglitz 1987b, p. 97. 70 Tore-Stiglitz 1992, p. 95. 71 Tore-Stiglitz 1992, p. 94. 72 Stiglitz 2007, p. 88; Stiglitz 2012b, pp. 246-247. 73 Stiglitz 2007, pp. 89-94; Roppa 2012. 74 Tore 1986.

12 ticolarmente interessante è lo svilupparsi di una manifattura ceramica che vede integrate le tradizioni nuragica e fenicia, che nel VII sec. non compaiono più distin- te 75 . Tra i frammenti ceramici destano un alto interesse quelli pertinenti ad anfore vinarie di produzione locale, che testimoniano l’esistenza di una importante attività vitivinicola, svolta dalla comunità nuragico-fenicia di s’Urachi . Tra la fine del VII e la prima metà del VI sec. a.C. compaiono altre tracce di presen- za fenicia, in particolare due necropoli, localizzate a non grande distanza da s’Urachi , in località S’Uracheddu Pranu e Punta Zinnigas 76 ; la loro presenza fornisce i primi indizi di un’organizzazione territoriale volta al controllo delle risorse primarie agricole. Anche in età punica, dalla metà del VI sec. a.C. in poi, S'Urachi mantiene un posto preminente e vede, più specificamente all'interno dell'antemurale (in contempora- nea vitalità dell'area dell'insediamento di Su Padrigheddu ), una decisa presenza cultuale di tipologia assai complessa dal punto di vista interpretativo. Purtroppo la situazione stratigrafica è tale che non ci permette ancora di percepire le forme e la qualità di questa frequentazione. Infatti, il nuraghe è letteralmente sommerso da un insieme di unità stratigrafiche moderne frutto del lavoro realizzato per la fabbrica- zione dei mattoni crudi che ha portato all’asportazione della terra dall’area del nu- raghe (un’autentica cava) e la sua deposizione sulle strutture. In sostanza si tratta di una gigantesca discarica che, però, ha restituito una quantità consistente e inte- ressante di materiali votivi. Tra i materiali rinvenuti sono indicative le varie matrici circolari fittili, sia nelle tipo- logie di VI-V che di IV-III sec. a.C., decorate con motivi geometrici o vegetali su una o su entrambe le facce. Si tratta di materiali comunemente connessi sia a ne- cropoli sia ad aree di culto; a far propendere per questa seconda ipotesi è la straor- dinaria presenza, contemporanea, dei frammenti di almeno 3 statue fittili raffigu- ranti la divinità egiziana Bes, di media grandezza (cm 50 circa) e una più piccola e di un notevole numero di frammenti di thymiateria . Ovviamente resta il complesso problema dei culti praticati in questo santuario, complicati dal fatto che dallo spazio antistante l'antemurale, e quindi a una certa distanza dal deposito votivo del nura- ghe, proviene una statuina di sofferente, del tipo presente in grandi quantità del deposito votivo di Bithia , purtroppo anch’essa fuori contesto. L’iconografia dei pezzi di s’Urachi è riportabile a quella del Bes strangolatore di serpenti, che è prevalente in Occidente; l’accostamento con la presenza del serpente come elemento caratte- rizzante delle raffigurazioni di Asclepio fa pensare a un dio guaritore, favorendo quindi l’interpretazione delle statue come quelle della divinità fenicia di Eshmun . Interessante è anche la connessione con i thymiateria a testa femminile, che sem- brano rinviare ad altri ambiti religiosi, normalmente interpretati come connessi al culto di Demetra, ma per i quali si dovrà pensare «a una dimensione di culto ampia e genericamente femminile» non necessariamente individuabile nella divinità greca e in piena sintonia con la funzione di protettore della maternità che Bes svolge. I- noltre, la presenza a S’Urachi delle matrici figurate puniche, nel loro significato di ‘pani sacri’, rafforza l’idea di una presenza divina femminile alla quale ci rinvia il richiamo delle fonti bibliche dell'offerta di pani ad Astarte. 77 Nel resto del territorio, il rinvenimento di necropoli a Bingia Arena e a Punta Zinni- gas e di materiali ceramici d'uso quotidiano in località quali S'Abbadiga , San Nicola e altre, forma il quadro di un insediamento sparso legato a una economia agricola che trova il suo culmine nel IV—III sec. a.C. 78 .

75 Roppa 2012. 76 Stiglitz c.s. 77 Sul deposito votivo di s’Urachi qui descritto vedi Stiglitz 2012b. 78 Tore-Stiglitz 1987c; Stiglitz 2003, pp. 116-121; Stiglitz 2011, pp. 357-371.

13 Età romana. Non è possibile definire con esattezza i confini tra l'età fenicio-punica e quella ro- mana, tanto profonda è l’influenza culturale e politica della prima in questi territori. La data del 238/7 a. C. (passaggio ufficiale dell'isola a Roma) non delimita, infatti, il trapasso culturale fra le due epoche; permangono ancora a lungo elementi della cultura punica, ne sono testimonianza la permanenza dell’uso dei depositi votivi, dei rituali funerari e delle produzioni artigianali, in particolare la ceramica. A ciò si ag- giunge il tentativo di rivolta organizzato proprio in questi territori da Ampsicora, un latifondista punico di origine numida, che in connessione con Cartagine tenta, inva- no, di riportare l’isola nell’ambito politico della metropoli punica. Anche in età romana, come nell'epoca precedente, l’area sanverese si caratterizza per la sua natura di entroterra di Tharros , destinato alla coltivazione cerealicola, nonché area di passaggio solcata da varie strade. Per l'età Repubblicana, i dati rac- colti mostrano un insediamento che occupa tutti gli aspetti geomorfologici del terri- torio, con un popolamento sparso, le cui caratteristiche risultano, per ora, non evi- denziabili a causa del riuso degli stessi insediamenti in età imperiale. L'insediamen- to meglio noto è quello di S'Urachi , dove rimane in vita il villaggio, già presente in età punica, connesso con il passaggio di una strada lastricata che doveva unire le due grandi arterie arterie principali: la TharrosCornus e la centrale sarda 79 . Partico- larmente interessanti anche le necropoli di Perd’e Cresia e di Punta Zinnigas , che mostrano il permanere di siti punici ancora in età romana repubblicana e un prose- guo anche nei primi secoli di quella imperiale 80 . L'età romana imperiale ci restituisce un quadro più definito, soprattutto per i primi secoli (I—III sec. d.C.), con numerosi gli insediamenti nella piana tra San Vero Mi- lis, Milis, Narbolia, Riola, Tramatza e . L’aspetto è quello di una occupazio- ne del territorio a carattere latifondistico, legato alla cerealicoltura. Il quadro è completato da una fitta rete viaria, sempre più evidente con il proseguo delle ricer- che, di strade, tratturi e sentieri che toccano gli insediamenti principali ponendoli in collegamento tra essi e con le arterie principali. Nel territorio circostante l'abitato di San Vero Milis spicca il centro di S'Urachi , con il tracciato viario e un piccolo ponte ancore visibili. Il villaggio si mantiene ancora in vita, per essere poi abbandonato nella piena età imperiale, forse a seguito dell'impaludamento della zona. Nei pressi del paese e nel paese stesso si sviluppa in età imperiale un notevole in- sediamento come mostrano i resti murari su una collina di fronte al Cimitero vec- chio e la necropoli di via Roma 81 . Fuori abitato continuano in uso le necropoli di Bin- gia Arena e Punta Zinnigas . Per l’età tardo-romana i dati, ancora poco numerosi, indicano il permanere in vita degli insediamenti, alcuni dei quali continueranno ad essere abitati in età medieva- le; in particolare si può citare il rinvenimento di tombe dentro l'abitato (via Roma) e a in località Soddì 82 .

Età Medievale. A partire dalla fine dell’età romana e fino agli inizi del II millennio non si hanno rin- venimenti archeologici tali da permettere di delineare un quadro del popolamento di quest'area. È molto probabile che nel Campidano di Milis si assista a un processo di parziale abbandono delle campagne, soprattutto nelle zone costiere, all'accentrarsi delle popolazioni in nuclei abitativi più consistenti di quelli di epoche precedenti e

79 Tore-Stiglitz-Dadea 1988, p. 459. 80 Tore-Stiglitz-Dadea 1988, pp. 455-458. 81 Tore-Stiglitz 1987a, pp. 655-656; Tore-Stiglitz-Dadea 1988, p. 455. 82 Tore-Stiglitz 1987a, p. 656; Tore-Stiglitz 1988, p. 456.

14 all'abbandono del numerosi siti sparsi; fenomeno che tende ad essere spiegato con un concorso di fattori: crisi economica e sostanziale abbandono della Sardegna da parte dei Bizantini e insicurezza delle coste con il progressivo aumentare delle in- cursioni arabe 83 . Agli inizi del II millennio, in piena età giudicale, i documenti scritti e i resti monumentali ci forniscono un quadro più delineato. Un complesso di piccoli villaggi si dividono il territorio oggi pertinente ai comuni di San Vero Milis, Narbolia, Tramatza, Milis, : Craccargiu (o Calcaria), Milis, San Simeone di Vesala Piscopiu (tutti in territorio di Milis); Narbolia e Tune (in territorio di Narbolia); Se- neghe e Milis Pizzinnu e Segatzus (in territorio di Seneghe); Tramatza e Urasa (in territorio di Tramatza) Spinarba, Sollie e Santeru (in territorio di San Vero Milis) 84 . Si tratta spesso di piccoli agglomerati che caratterizzavano l'assetto territoriale di età giudicale (donnicalie, corti, domestiche), in altri casi di centri abitati più consi- stenti (ville). Il crollo demografico conseguente a carestie ed epidemie nonché il protrarsi della guerra di conquista Aragonese ed infine l'imposizione del feudalesimo furono le cause del fenomeno dei "villaggi abbandonati" che tra il XIV e il XV sec. caratterizzò la scomparsa di un notevole numero di questi centri minori. Nella no- stra zona rimasero in vita quelle ‘ville’ che tuttora esistono (San Vero Milis, Milis, Tramatza, Narbolia, Zeddiani). Il territorio attuale di San Vero Milis comprendeva in quei tempi i territori di Sant’eru , di Sollie e di Spinarba , posti a pochi chilometri di distanza. La prima men- zione di Sant’eru è del XII sec. e si riferisce alla donazione che il giudice Barisone fece alla moglie Agalbursa della corte di Sancti Teodori ( Santeru ). Si trattava quindi di una proprietà del Giudice, composta probabilmente da poche case intorno ad una chiesa dedicata appunto a S.Teodoro. Di questa primo insediamento non si hanno attualmente tracce anche se la presenza nella Parrocchiale di Santa Sofia di un ab- side chiaramente riportabile all’architettura romanica, fa pensare che la chiesa di San Teodoro possa essere identificata con essa 85 . Maggiori notizie si ricavano dal Condaghe di S.Maria di , nel quale San Vero Milis viene citato più volte, assieme agli altri villaggi: interessante è la citazione degli orti, ancora presenti sul bordo orientale del paese. Nel 1358 Vero Milis ha già acquisito lo status di Villa e in tale veste compare nel trattato di pace tra il Giudicato d' e la Corona d'Ara- gona (c.d. pace di Eleonora). Il XVI e il XVII secolo paiono essere stati un periodo di crescita del centro abitato, come attestano gli ampi lavori di ristrutturazione o edificazione delle chiese 86 , anche se si assiste a qualche caduta demografica, conseguente alle epidemie di peste, che portano a drastici ridimensionamenti della popolazione, come mostrano i censimenti del 1655 e del 1688, ma la ripresa è quasi immediata. In questo periodo l’estensione dell’abitato dovrebbe aver raggiunto i limiti che perdureranno almeno sino alla metà dell’800. Lo dimostra la costruzione a fine ‘600 della Chiesa del Car- mine al limite settentrionale del paese, che corregge lo ‘squilibrio’ topografico del baricentro religioso.

83 Stiglitz-Tore 1991. 84 Casula 1980: 97. 85 Coroneo 1993, p. 220. 86 Segni Pulvirenti – Naitza 1994, pp. 228-229, 232.

15 Isola amministrativa marina.

Caratteristiche. L'isola amministrativa marina costituisce la parte settentrionale della penisola del Sinis. La porzione settentrionale del Sinis , dominata dalla mole del Capo Mannu , è caratterizzata da una forte dinamica geografica che ha interagito con il popolamen- to umano nelle varie epoche entrando a far parte dei fattori di scelta che le genti trovavano davanti a sé. La sua stessa posizione geografica nel centro dello sviluppo della costa occidentale sarda, spartiacque di un impegnativo tratto marino la cui pericolosità è attestata dalla innumerevole quantità di relitti di ogni epoca presente davanti alle coste ne ha fatto, da sempre, luogo privilegiato dell’interesse umano. Inoltre, l’essere lo sbocco naturale di una pianura fertile, ultimo lembo dei Campi- dani e il posizionarsi alle falde del grande sistema vulcanico terziario del Montiferru , ricco complesso minerario, rendono ancora più articolato il problema delle risorse potenziali. Elemento catalizzatore del Sinis settentrionale è l’imponente struttura del Capo Mannu ; essa appare come un ampio tavolato, degradante verso l'interno, che si erge sul mare con alte falesie ed è unito alla terraferma da sottili cordoni sabbiosi, che delimitano gli stagni temporanei di Sa Salina manna, Sa Marigòsa, Sa Mesa longa . Più arretrato il sistema umido di Sa ‘e Proccus-Is Benas e della corona di piccoli stagni che li contornano. Il loro ricco patrimonio di risorse, in particolare il sale di Sa Salina Manna , rappresentò uno dei motivi di richiamo per il popolamento umano. Alture non particolarmente elevate, sia di natura vulcanica che sedimenta- ria, circondano le aree umide; la costa presenta due ampie insenature ai due lati del promontorio di Capo Mannu , riparate dai venti di maestro, l'una e di S-W, l'altra, rendono possibile l'attracco di natanti in condizioni sufficientemente sicure, come mostrano le fonti storiche che qui collocano il Korakodes Portus 87 . A Est è presente il vasto "deserto" di Is Arenas , estesa area di dune di sabbia, la cui formazione, al- meno parzialmente, è avvenuta in tempi storici ed è stata tale da determinare alcu- ne direttrici dello sviluppo dell'insediamento umano.

Preistoria. Le prime tracce di presenza umana nel Sinis sono state rinvenute nell'area di Cuc- curu Is Arrius , in territorio di Cabras e sono riportabili al Neolitico Medio (V millen- nio a.C.), ma è con la fase successiva del Neolitico Recente (IV—III millennio a.C.) che l'insediamento si diffonde nella penisola. L'ampiezza di questa presenza trova ragione nelle caratteristiche economiche di questa cultura che a forme di agricoltura a carattere più estensivo che intensivo, unisce una solida base di caccia e raccolta. Le caratteristiche del territorio con la presenza di aree umide ricche di selvaggina e pescato, nonchè del mare e di terreni parzialmente atti alla coltivazione risultarono ideali per quelle genti. Nel Sinis settentrionale la presenza di genti neolitiche ha lasciato segni molto evi- denti come le tre necropoli a domu de janas di Serra Is Araus , Putzu Idu e Sa Rocca Tunda e i villagqi capannicoli di Serra Is Araus , Costa Atzori e Monte Benei . Particolarmente interessante la collocazione lungo le coste dello stagno di Sa Salina Manna e a breve distanza dal mare di due dei siti preistorici, Putzu Idu e Sa Rocca Tunda , di cui conosciamo le necropoli a domu de janas . Tanto più interessante se si potessero individuare le fasi cronologiche di formazione delle saline, da riportare a tempi di non molto anteriori a quelli dell'età neolitica e quindi a giustificare tale presenza con forme di sfruttamento del sale. La realizzazione delle tombe è, proba- bilemente, un indicatore cronologico della effettiva formazione della zona umida,

87 Stiglitz 2006.

16 fissandola in un momento del IV millennio a.C. A quest'epoca, infatti, sono da ri- portare gli impianti originari delle tombe di Sa Rocca tunda e di Putzu idu , nell'am- bito della cultura di Ozieri 88 . Della prima necropoli sono attualmente noti due ipogei, il primo dei quali del tipo monocellulare, a forno, con anticella e l’altro, di dimensio- ni maggiori, composto da due camere in asse e da un'anticella 89 . Della necropoli di Putzu Idu è nota, per ora, una sola tomba composta da una camera quadrangolare e da un pozzetto d'accesso 90 . Non sono ancora stati individuati i relativi villaggi per i quali si può ipotizzare la localizzazione nelle vicine colline. A pochi chilometri di distanza nell'entroterra è presente una terza necropoli a domu de janas in località Serra is Aràus , oggetto di scavi archeologici tra gli anni ’50 e ’60, che hanno portato alla messa in luce di una dozzina di ipogei a calatoia, mono- cellulari, anch’essi pertinenti alla cultura di Ozieri 91 . Nell'area sono stati rinvenuti alcuni villaggi appartenenti a questo periodo, collocati su colline poste a corona del grande stagno temporaneo di Sa 'e pròccus , in località Monte Beneì e Costa Atzori ; tutti hanno restituito elementi materiali ceramici di chiara attribuzione alla cultura di Ozieri 92 .

Età nuragica. A differenza del territorio circostante l'abitato, nel Sinis settentrionale sono presenti tracce delle fasi culturali intermedie fra l’età Neolitica e quella Nuragica, attestate nelle tre necropoli citate. Particolarmente importante quella di Serra is Araus che ha restituito la prima sequenza stratigrafica nota in Sardegna del passaggio tra eneoli- tico e primo Bronzo (Culture M. Claro e Bunnannaro)93 . Nell'ipogeo di Putzu Idu è presente l'aggiunta di un duplice corridoio megalitico addossato alla domus con in- nalzamento dell'ingresso; i confronti tipologici proposti rimandano a momenti eneo- litici 94 . Un ipogeo della necropoli di Sa Rocca tunda mostra invece un ampliamento con l'aggiunta di due camere, che in pianta formano una L, più piccole delle due antistanti e lavorate in modo decisamente meno raffinato; a questa aggiunta vanno attribuite le ceramiche edite come provenienti dalla domus delle Saline 95 . Mancano ancora evidenze dei villaggi connessi a queste fasi delle tre necropoli citate. Con l'età nuragica, nelle fasi del Bronzo medio e recente (XVI-XIII sec. a.C.), l'inse- diamento umano si diffonde in tutti gli ambiti morfologici, rendendo ii Sinis una delle regioni più popolate nella Sardegna di questo periodo. Non è stato individuato, finora, un insediamento centrale sul genere di S'Urachi , ma una miriade di edifici turriti posti spesso a breve distanza l'uno dall'altro (anche meno di 200 metri), sia in cima a colline ( Costa Atzori, Serra Araus, S'omu ), che lungo gli stagni (ben 11 in aree immediatamente contigue allo stagno di Sa ‘e Porcus ) o nella piana alluviona- le. L'età nuragica restituisceuna situazione piuttosto singolare per il periodo legato ai nuraghi, quando, a differenza di quanto attestato nel Sinis meridionale, l'area del Capo Mannu non presenta l’attestazione di torri. I nuraghi più vicini sono, infatti, posizionati a distanza dalla costa, sui dossi presso il sistema delle zone umide in-

88 Stiglitz-Manca Demurtas-Demurtas 2000. 89 Nessuna delle due domus è stata oggetto di regolare scavo ma i confronti tipologici e il rinvenimento di un frammento ceramico con decorazione tipica della cultura di Ozieri permettono agevolmente l'attri- buzione cronologica. Una terza struttura, non lontano dalle precedenti, potrebbe essere attribuita alla stessa tipologia. 90 Anch'essa non è stata oggetto di scavo e la attribuzione cronologica si basa esclusivamente su con- fronti tipologici. 91 Atzeni 1975, passim . 92 Atzeni 1959-1961, pp. 193-194. 93 Atzeni 1975, p. 41. 94 Stiglitz-Manca Demurtas-Demurtas 2000, pp. 855-858. 95 Ferrarese Ceruti-Germanà 1978, pp. 20, 73 nota 68, tav. XXII, 1-10: la domus viene erroneamente riferita al territorio di .

17 terne. Ci riferisce al monotorre Abili a sud-ovest e al gruppo dei nuraghi complessi Su Cunventu e Spinarba e al monotorre s'Omu ; più distanti i nuraghi sulle rive del- lo stagno di Sa' e proccus . Un'intensità tra le più alte della Sardegna 96 che rende di difficile comprensione la totale assenza, nelle favorevoli alture a corona delle saline e nel Capo Mannu , di torri nuragiche. Andrà individuato l'elemento chiarificatore di una situazione che trova riscontro nel promontorio di Cagliari dove sono altrettanto assenti. La felicità dell'approdo e la presenza di sale rendono evidentemente super- flue strutture di potere di tale tipo. Paradossalmente la fine dell'epoca delle torri e la nuova temperie della società nu- ragica dell'età del Bronzo finale (XII-X sec. a.C.) vedono fiorire gli insediamenti sul- la costa, segno di una diversa sistemazione sociale e territoriale. Il periodo è rap- presentato nella Cala Su Pallosu da due testimonianze cultuali: un deposito di piccole olle a colletto sul tratto di spiaggia di Su Pallosu 97 e la fonte sacra di Sa Rocca tunda , sulla spiaggia omonima 98 . Essi si inseriscono in un complesso di strutture cultuali del Bronzo finale collocate sulla costa oristanese 99 e connesse, evidentemente, con i fenomeni della navigazione e dello scambio che, nel Bronzo finale, vede i nuragici attori primari Nessuna struttura funeraria nuragica è stata finora rinvenuta nel Sinis di San Vero Milis. Particolarmente interessanti sono gli indizi relativi alla fase più avanzata dell’epoca nuragica, quella relativa all’Età del Ferro (primi secoli del I millennio a. C.), grazie ad alcuni interessanti rinvenimenti di materiale riportabile ad ambiti cultuali o co- munque legati a rituali specifici. In primo luogo le coppette su alto piede del deposi- to di Su Pallosu 100 nell’area del deposito della parte più antica della fase nuragica. Più arretrato rispetto alla costa, ma non molto distante, il sito di Monte Beneì , occu- pato già in età neolitica, restituisce un frammento di bronzetto di “ personaggio che offre due pugnaletti ad elsa gammata e le impiombature relative all’infissione di spade a costolatura centrale di carattere votivo ”101 , forse connessi con un deposito purtroppo di natura indefinita. Ancora più all’interno sono collocati i tre modelli di nuraghe realizzati in pietra calcarea provenienti uno da Serra is Araus 102 e gli altri due da una discarica di età romana rinvenuta in una cavità nei pressi dello stagno di Pauli Cerchi 103 .

Età Fenicio-punica In età Fenicio- punica il Sinis si caratterizza come entroterra della città di Tharros fondata dai Fenici nell'estremità meridionale della penisola. Di questo rapporto città campagna ne sono testimoni gli insediamenti che restituiscono elementi pertinenti a questa cultura, sempre più numerosi man mano che si consolida la presenza di Tharros e la penetrazione dell’influenza fenicia verso l'interno. A partire dal VI sec.a.C., con il maggiore protagonismo di Cartagine, e fino a tutto il III sec. a.C., il quadro si presenta con un abitato sparso di piccoli insediamenti agricoli che, in par- te, riutilizzano insediamenti precedenti. Particolare rilevanza hanno i rinvenimenti lungo la costa e nell'immediato retroterra e quelli marini, tra i quali va segnalato per importanza quello avvenuto nelle acque

96 Tore-Stiglitz 1987c, pp. 96-105; Sebis 1998; Stiglitz 1998; basti pensare, ad esempio, che i due nuraghi complessi Su Conventu e Spinarba distano poco più di 150 m l'uno dall'altro. 97 Castangia 2011. 98 Stiglitz 1984. 99 Stiglitz 2006; Stiglitz 2007; Stiglitz 2011: pozzi sacri di Cuccuru is arrius (Cabras) Orrì (Arborea) 100 Falchi 2006. 101 Zucca 2003, p. 289. 102 Usai 2012. 103 Lugliè 2012.

18 antistanti il Capo Mannu di un'anfora etrusca del tipo PY 3B/Gras EM C databile al VII-inizi VI sec. a.C 104 . La frequenza di questi ritrovamenti e l'intenso popolamento di quest'area propongono con sempre maggiore attendibilità il problema di uno sca- lo marittimo nell’area di Capo Mannu , da identificare con il Korakodes Portus delle fonti classiche, approdo intermedio lungo la rotta occidentale tra e Tharros, collegato verosimilmente con quest'ultima e di cui sono testimonianza alcuni relitti di età punica, come quello che ha restituito macine e anfore contenenti vetro grez- zo, trasportato per essere successivamente lavorato, databile tra fine IV e inizi III sec. a.C. 105 . La presenza del retrotrerra agricolo, di saline e di aree umide ricche di risorse biologiche nonché la sua posizione a ridosso di vie di penetrazione verso l'interno e, forse, verso i filoni metalliferi del Montiferru, motivano la proposizione dell'ipotesi. Nell'entroterra i vari rinvenimenti attestano la presenza di un fitto insediamento rurale 106 testimoniato da numerose aree che restituiscono materiali punici interpre- tabili in via di ipotesi, in assenza di scavi, come fattorie e relative necropoli, alle quali vanno aggiunte alcuni depositi votivi, legati all’attività agricola 107 .

Età Romana I primi secoli dell'età romana vedono ancora il permanere di una forte influenza culturale punica, come mostrano le stele funerarie provenienti da Bidda Maiore , di ambito punicizzato e databili agli inizi dell'età imperiale 108 . L'età repubblicana è attestata dal rinvenimento di ceramica comune, anfore da tra- sporto e da vasellame fine a vernice nera in siti come San Lorenzo, Sa Salina Man- na, Is Aieddus, Su Cunventu, S'omu, Abilis, Monte Benei 109 e via via nelle aree più interne. È complesso allo stato attuale delle ricerche attribuire questi materiali a strutture chiaramente identificabili, sia perchè buona parte delle località mostra sovrapposizioni di età imperiale, sia per il notevole degrado subito da molti dei siti, per cui non sempre è agevole la definizione funzionale di un insediamento, l'identi- ficazione di strutture e il nesso tra i materiali e queste ultime. La quasi totalità dei siti repubblicani presenta una continuità di occupazione anche in periodo imperiale e nuovi siti vengono occupati. Per l’età imperiale spiccano edifi- ci di ampie dimensioni quale quello di Is Aieddus 110 e di Sa’e Proccus nei pressi delle rive dello stagno omonimo 111 , a cui vanno unite le segnalazioni del secolo scorso di edifici a Serra Is Araus 112 e Zerrei 113 . Particolarmente interessante è l'edificio di Is Aièddus realizzato sulla sommità e alle pendici di una duna fossile, alle spalle della spiaggia di Sa Rocca Tunda . Sulla colli- na si evidenziano i resti di un edificio con murature in opus coementicium , di piccole pietre e frammenti di laterizi tenuti assieme da malta. Alcuni sondaggi eseguiti nel 1985 hanno permesso di individuare un tratto di muro, con andamento parallelo all’arenile, lungo una trentina di metri. Lungo il suo tracciato, nella parte alta della collina, si notano tracce di muri trasversi. Alla base della collina al di sotto di una coltre di sabbia eolica potente oltre 2 metri, è stata rinvenuta un’ampia area di for-

104 Stiglitz 2006, p. 69. 105 Salvi 2006. 106 Tore-Stiglitz 1987c; Stiglitz 1997. 107 Le più vicine sono quelle di Monte Beneì (Tore-Stiglitz 1987c, p. 169), Pearba (Zucca 2003, pp. 290- 291 nota 1196), Bidda Maiore ( Zucca 1980, p. 44). 108 Tore 1975; Tore 1985. 109 Tore-Stiglitz 1987a, passim. 110 Tore-Stiglitz 1987a, pp . 645-646. 111 Tore-Stiglitz 1987a, pp . 649. 112 Tore-Stiglitz 1987a, p . 650. 113 Tore-Stiglitz 1987a, p . 648.

19 ma rettangolare (10 x 6 metri) composta da un accumulo di pietrame di piccole e medie dimensioni e lastrine, che copre un notevole accumulo di embrici e coppi. Più in basso l’area è delimitata da un muro a doppio paramento, che è stato possibile seguire solo per 20 m circa. Il muro è composto da due filari paralleli di massi di arenaria e calcare, posti più o meno regolarmente; lo spazio tra i due filari è riempi- to da altro pietrame, ma non si notano tracce di calce. I dati di scavo permettono di datare l’edificio alla piena età imperiale romana (II-III sec. a.C.), mentre le struttu- re alla base della duna potrebbero essere riportate all’ultima fase della vita dell’insediamento, databili a età tardoromana 114 . L’edificio è stato interpretato come possibile villa costiera 115 ma non è escluso che possa essere riportato a strutture portuali 116 Questa struttura si inserisce in un ampio ventaglio di edifici della zona, tra cui ri- cordiamo le strutture termali di S. Andrea di Pischinappiu (Narbolia) e di Su Anzu (Riola) che attestano la presenza di una serie di centri di una certa consistenza strutturale. Difficile in assenza di scavi l'identificazione delle tipologie di questi cen- tri, anche se comunemente li si riporta a tipologie di villa. La complessità dell'insediamento circostante le saline e il porto è sottolineata dalla presenza di almeno tre necropoli. La prima con possibile utilizzo già a partire da età repubblicana 117 e durata sino a età tardoromana (almeno VI sec. d.C.) è ubicata nel sito di San Lorenzo , tra gli stagni di Sa Salina manna e Sa Marigòsa 118 . Una seconda necropoli di età imperiale e tardoromana, è segnalata sulle dune sabbiose di Su Pallòsu 119 . Infine, una terza necropoli era situata a Putzu Idu 120 . Il probabile abitato di quest’ultima necropoli può essere individuato in una vasta area di raccolta reperti tra Putzu Idu e la Torre delle Saline, che perdura da età repubblicana 121 sino alme- no ad età altomedievale. Alle spalle di questo intenso popolamento si può eviden- ziare un articolato controllo del territorio sia nel Sinis che nel Campidano settentrio- nale 122 . Infine va segnalata la presenza nell'area di Sa Rocca tunda di vari tratti di carrarec- ce la cui datazione è, allo stato attuale delle ricerche, non agevole 123 ; è stata avan- zata l'ipotesi di un tracciato viario di età romana, di cui questi tratti potrebbero es- sere l'ultimo residuo 124 .

Età Medievale Una parte degli insediamenti occupati in età romana imperiale rimangono ancora in vita fino all’età bizantina e vengono abbandonati in un epoca situabile fra il VI e il VII sec. d.C.: reperti di questo periodo hanno restituito le località dl San Lorenzo, Is Aieddus, Sa Salina Manna, Sale Porcus 125 e altre più all'interno. Per San Lorenzo si è ipotizzata la presenza di un edificio chiesastico, al quale potrebbero riferirsi le trac- ce di muri in opus coementicium con un tratto curvilineo 126 , interpretabili come un

114 L’area è stata assoggettata a vincolo archeologico ministeriale: D.M. 08.05.1990. 115 Zucca 2003, p. 293. 116 Stiglitz 2006, pp. 71-72. 117 Moneta di bronzo con Core a sx e toro gradiente verso dx e astro a 6 punte (Zucca 2003, p. 291 nota 1197). 118 Stefani-Zucca 1985, p. 98; Tore-Stiglitz 1986a, pp. 644-645. 119 Inedita; alla necropoli appartiene la tomba edita in Lilliu 1949, p. 506. 120 Cherchi Paba 1974, p. 303. 121 Tore-Stiglitz 1986a, p. 646. 122 Stiglitz-Tore 1991. 123 Tore-Stiglitz 1986a, p. 645. 124 Fois 1964, pp. 41-43. 125 Tore-Stiglitz 1986a, passim. 126 Tore-Stiglitz 1986a, p. 644.

20 “possibile edificio chiesastico intitolato al martire romano Laurentius” 127 , al quale apparterrebbe la necropoli nella sua fase tarda. A partire dall'VIII sec, non si hanno più rinvenimenti, allo stato attuale delle ricer- che. Ciò si accorda con il sostanziale abbandono dell'intero Sinis, dove "sopravvive"' probabilmente sotto forma di 'Castrum' , Tharros, che verrà presto abbandonata anch'essa. L'abbandono può essere attribuito ad un concorso di cause: recessione economica, con relativa crisi delle strutture produttive del territorio, iniziata proba- bilmente nel V-VI sec. ma precipitata col VII-VIII sec. in contemporanea con la sempre maggiore pressione araba; aggravarsi di problemi ambientali con l'avanzata progressiva della desertificazione (Is Arenas) e di problemi sanitari legati all'espan- dersi della malaria 128 . Questa situazione ha favorito il ritirarsi delle popolazioni ver- so l'interno; non è un caso se gli insediamenti giudicali e successivi si trovino molto all'interno, al di qua del confine stabilito dallo stagno di Cabras e dalle aree umide connesse, quasi si sia voluto porre una barriera tra se e il mare ormai foriero di problemi. Lo spopolamento del Sinis si mantiene sostanzialmente sino ai nostri giorni. In età medievale nessun abitato è documentato nella zona, ma solo alcune attività eco- nomiche continueranno a sopravvivere. In particolare per la zona di San Vero Milis è noto l'uso delle saline, la cui più antica menzione è databile al 1311, con la menzio- ne contenuta nella carta nautica di Pietro Vesconte129 . Il resto dell'area deve aver conosciuto secoli di abbandono che, probabilmente, hanno favorito la ripresa della vegetazione spontanea e del bosco di cui si ha notizia fino agli inizi del 1700.

Età moderna e contemporanea Si hanno scarse notizie riguardanti il Sinis nei primi tempi dell'età spagnola (tra la fine del XV sec. caduta del Marchesato di Oristano e il XVI sec.) Si può ritenere che rientrasse nel patrimonio Regio con l'acquisizione del Marchesato di Oristano da parte del re di Spagna Ferdinando II; già nel 1572, infatti, veniva definito "terra del Maggiordomo del Marchesato di Oristano" nella relazione di Camos 130 . Dal 1767 rientra nel feudo del Marchesato d'Arcais, con l'infeudazione concessa a Damiano Nurra dei tre Campidani di Oristano. Si può inoltre affermare che nel XVI sec. fossero già stabiliti i confini tra le ville di Cabras, Riola, San Vero e Narbolia uguali a quelli attuali. Queste divisioni diedero vita a una serie di vicende giudiziarie a partire almeno dal 1526, che proseguiranno fino al secolo scorso 131 . Tra la fine del XVI e gli inizi del XVII sec, la necessità di difendere le coste dagli assalti barbareschi spinsero la Spagna a dotare le coste della Sardegna di torri di avvistamento. Nel Sinis di S. Vero Milis vennero erette quattro torri, di cui tre di avvistamento costiero: Sa Mora, Capo Mannu, Scal'e Sali e una a guardia delle sali- ne: Torre delle Saline 132 . I documenti d'archivio attestano, a partire dal XVI sec., la presenza di attività agri- cole quali la pastorizia, con il trasferimento di bestiame anche da paesi dell'interno come ad esempio Seneghe o, addirittura, dalla Barbagia. Così come è documentata la coltivazione dei campi, in un regime di agricoltura controllata con il sistema del

127 Zucca 2003, p. 293. 128 Per un’analisi dei processi avvenuti nel Sinis in età post romana cfr. Stiglitz-Tore 1991; Stiglitz 1998. 129 Piloni 1974, tav. VI. Le saline di Capo Mannu sono citate anche nel Kitab-i Bahriyye (Libro della Mari- neria), il portolano del navigatore turco Piri Re’is, completato nel 1525 e indicate nella relativa carta con il toponimo di Salïne Tuzlu , salina di saline (Pinna 1996, Vol. II, pp. 172 e 242. 130 Pillosu 1959. 131 Pau - Zucca s.d., p. 74 ss. 132 Manca Cossu – Loche 2002.

21 vidazzone; per la porzione del Sinis sanverese conosciamo la posizione del vidazzo- ni nel 1778, grazie a un documento dell'Archivio di Stato di Cagliari che ne dà i con- fini: " Su Portolario, Nuraqui De Cezzei, Nuraqui De Mesu, Sa Pauli De Sale Porcus, Pauli Pirastu "; nello stesso documento vengono individuate altre parti da destinare a coltivazione: Cerrei, Nuraqui de Mesu, Nuraqui Sorighis, Bidda Majore, Costa de Atzori, Su Benatzu de Su Moru . Va osservato, per inciso, che la toponomastica non ha subito variazioni di sorta nei secoli. Altre attività economiche documentate in questa porzione di Sinis sono l’estrazione del sale, le tonnare e le cave di pietra. Per le saline il loro utilizzo data, come si é detto nei capitoli precedenti, a epoche remote, ma é solo dal periodo spagnolo che ci sono giunti documenti comprovanti la produttività di questa attività. In attesa che vengano studiati i documenti ed elabo- rati i dati economici va osservato che, comunque, il ruolo di queste saline fu secon- dario nel commercio del sale in Sardegna, dominato dalle grandi saline di Cagliari. Pare che il sale prodotto nelle saline di Capo Mannu non fosse sufficiente neanche per il fabbisogno locale, a cui si aggiunge la valutazione pessima sulla qualità della produzione tanto che in periodo spagnolo "era prescritto che il cattivo sale di quelle zone fosse mescolato, in certe porzioni, con quello importato da Cagliari" 133 . Nel XVII secolo è attestata la presenza delle tonnare. Al 1696 data la concessione della tonnara di Su Pallosu ai mercanti cagliaritani Joyme Borro e Juan Baupta Bru- nelli. Degli inizi del secolo data quella di Scal'e Sali. La tonnara del Peloso rimane attiva, con alterne vicende fino agli inizi del novecento. Infine a completare il quadro economico vanno citate le cave di pietra della zona di Putzu Idu e Sa Rocca Tunda. Documenti d’archivio del ‘700 attestano il loro uso per materiale edilizio.

133 Manca 1966, p. 38.

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