ARMUNGIA, IL FUTURO DIFFICILE DEL PAESE DI LUSSU (UNIONE SARDA) Armungia, 5 mar 2010 (L'Unione Sarda) - Sotto il di pietra che domina il paese, nei vicoli del centro storico, si muovono poche persone, anziani soprattutto. Sono rimasti in pochi, cinquecento o poco più, a percorrere le strade che videro crescere nei primi del Novecento il leggendario Emilio Lussu, il capitano della Grande Guerra, il fondatore del Partito sardo d'azione, il ministro, il politico che per tutta la vita si batté per un popolo al quale rimproverava spesso un eccesso di subalternità ai potenti di turno. Nel bosco di Murdega, sulle colline del Gerrei e nelle valle del Flumendosa pochi caprari e rari pastori di pecore e maiali, una decina di greggi in tutto, vivono isolati, nel silenzio rotto da rare voci, nel quale i più romantici riescono ancora a sentire gli zoccoli di Stella e Regina, i cavalli sui quali Lussu partiva dalla casa di via Marconi per recarsi nella foresta. AI PIEDI DEL NURAGHE Sotto la torre di pietra, intorno alle case minime, nel cuore del paese sono tante le abitazioni abbandonate. «Eravamo 1.314 nel 1951, da allora l'emigrazione ha via via ridotto il numero di abitanti, 584 nel 2001 e oggi appena 500», dice Marilena Cabboi, sardista rossomora come Lussu, assessore comunale alla Sanità. Coordinatrice dei tecnici di Radiologia all'ospedale Brotzu di , è l'esempio vivente dei tanti che lasciano il paese ma non spezzano le radici. «Nei fine settimane e d'estate, ad agosto - racconta - Armungia si riempie, torna ad avere mille abitanti, perché tornano gli emigrati». Tornano quelli trasferiti a Cagliari, come Linetta Serri, ex sindaco e vicepresidente del Consiglio regionale, ma anche quelli assai più lontani. «Tanti sono in Francia, in Belgio, in Germania, o a Torino, dove si recarono negli anni del Grande Esodo», racconta Ettore Axedu, 77 anni, impegnato in una chiacchierata con un coetaneo proprio di fronte al giornalaio, due passi dalla parrocchia. «Io ho sempre fatto il pastore, di capre, di pecore, di maiali, tutto quello che capitava, ma molti se ne sono andati, anche quei pochi che lavoravano, soprattutto donne, nella miniera di Su Suergiu, a ». LA CASA DEL SEGRETARIO Curiosamente, anche per merito degli amministratori e delle leggi regionali che hanno incentivato il risanamento dei centri storici, Armungia si presenta come un paese delizioso, con edifici belli, quale la Casa del segretario o Sa domu de is Ainas (letteralmente la casa degli attrezzi) dove due esperte come Annalisa Uda e Cristina Mascia guidano ogni anno oltre 1.500 turisti interessati ai di Armungia. La casa del segretario ospita il museo multimediale dedicato a Emilio Lussu, arricchito dalle fotografie di Franco Caruso, mentre la casa degli attrezzi racconta con oltre trecento pezzi la vita dei campi. E poco vicino l' Antica bottega del fabbro mostra come si svolgevano la ferratura del bestiame e la fabbricazione degli attrezzi agricoli. Armungia non viveva infatti soltanto di pastorizia, ma anche di cerealicoltura, grano e orzo su tutti. «Ora la coltivazione è praticamente abbandonata - spiega Marilena Cabboi - e la pastorizia fatica. La novità è il rapporto con il mare e la costa, dovuto in gran parte alla strada che, attraverso l valle del Flumendosa ci porta al mare di in mezz'ora. E fa arrivare i turisti nei nostri musei e nel nostro paese». Non c'è un movimento in grado di generare occupazione, ma qualcosa si muove, ad esempio il bed and breakfast Antica locanda del carabiniere PASTORI SFRUTTATI L'attività ancora più diffusa fra chi lavora («ma il 40 per cento degli abitanti - spiega il sindaco Antonio Quartu- ha più di 65 anni, un record da paese spopolato») è la pastorizia, con particolare propensione per l'allevamento delle capre, classico del Gerrei. Si tratta di un'attività durissima, quindici ore al giorno, a iniziare dalle 5 del mattino, e sulla carta dalle grandi potenzialità, perché latte, ricotte, mozzarelle e formaggi di capra sono ricercatissimi fra i benestanti dell'Occidente. Ma da Armungia e dintorni è difficile entrare nel grande business. «Ci pagano il latte 48 centesimi al litro, 15 in meno di quello di pecora - racconta Gigi Cabboi, 67 anni passati e una grinta da capopolo - e questo spiega perché siamo ridotti a sette caprili e i giovani se ne vanno. Per allevare una capra si calcola una spesa quotidiana di un euro e venti, come si fa a vivere? Io poi ho una pensione di 450 euro, ecco perché dalle 5 del mattino alle 8 di sera sono in campagna. E nel caprile, nel silenzio, fra cisti e lentischi, pensi, pensi molto. E scopri che forse per me sarebbe stato meglio Stalin rispetto a questa finta democrazia, dove magari ti fanno parlare e ti sfruttano con dolcezza, ma ti fanno lavorare quindici ore al giorno senza remunerare la tua fatica. Ecco perché Armungia si spopola, perché i giovani vanno via e io rischio di parlare soltanto con le mie capre, perché quando torno a casa dalla montagna la strada è spesso deserta». LE STRADE DELLO SVILUPPO Inutile andare a cercare gli 800 che se ne sono andati. «Il nostro obiettivo è bloccare lo spopolamento- spiega il sindaco, ingegnere di 57 anni, direttore generale dell'assessorato regionale agli Affari generali - anche se non è un obiettivo facile in una comunità che conta 15 morti e appena due nascite l'anno. Due sono le strade del futuro: l'impegno dell'Ente foreste per raddoppiare l'occupazione (oggi una decina di lavoratori) nei nostri 2.500 ettari di bosco e dar vita a un'impresa legata al settore lattiero caseario in grado di impegnare almeno venti persone in produzioni di nicchia. Tutto ciò senza trascurare ciò che può arrivare dal turismo della costa, attratto anche dal nostro sistema museale, nel quale la Casa del segretario dedicata a Emilio Lussu giuoca un ruolo centrale. Servirebbe una politica di promozione, in collegamento anche ai paesi vicini, senza trascurare il rilancio di un paese che, con le sue piazze e le sue case di scisto, attira anche emigrati di ritorno». Il più illustre è sicuramente Tommaso Lussu, archeologo, figlio di Giovanni Lussu, nipote di Emilio. DAL NOSTRO INVIATO GIANCARLO GHIRRA

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