IMPETUOSO E PEGASO”
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“IMPETUOSO e PEGASO” (La storia di due torpediniere italiane) 1 “IMPETUOSO e PEGASO” (La storia di due torpediniere Italiane) Serie di 4 articoli apparsi sulla rivista SUB col nome di “OPERAZIONE PEGASO” (SUB n.198 Marzo 2002: SUB n.199 Aprile 2002: SUB n.200 Maggio 2002: SUB n. 201 giugno 2002) Testi originari di Guido Pfeiffer e Flory Calò Rivisti a cura di Claudio Corti con i racconti dei reduci: Nicola Ferrentino (“PEGASO”), Arturo Lucioli (“IMPETUOSO”), Alfredo Capozzi (“PEGASO”), Antonio Sorino (“IMPETUOSO”), Vittorio Vitale (“IMPETUOSO”), Paolella Armando (“PEGASO”), Porcelli Pompeo (“PEGASO”), Alberto De Vita (“IMPETUOSO”), Riccardo Baiolla (“PEGASO”). Foto: Claudio Corti - Foto storiche “Ufficio Storico della Marina Militare Italiana” - Dr. France- sco Cestra - Archivi personali dei Reduci Nicola Ferrentino, Arturo Luccioli, Antonio Sorino, Alberto de Vita. “LA STORIA” Dopo tre anni di ricerche, 4.500 miglia percorse, 540 ore di navigazione, più di un centinaio di immersioni, delle quali 60 a profondità comprese tra i 90 e i 110 metri, e almeno una cinquantina di persone intervistate, tra pescatori, corallari e marinai, abbiamo trovato i relitti del “PEGASO” e dell’“IMPETUOSO”, due torpediniere della Marina Militare italiana di scorta alla corazzata “Roma” quando, alle ore 16,11 del 9 settembre 1943, questa venne affondata da aerei tedeschi al largo dell'Asinara. Mentre infuriava la battaglia, “PEGASO”, “IMPETUOSO” e “Orsa” recuperarono una parte dei naufraghi della nostra nave ammiraglia e, sempre inseguiti dagli aero- plani nemici, raggiunsero la baia di Pollenza, nel versante nord/est dell’isola di Maiorca, la mag- giore delle Baleari, dove vennero sbarcati i feriti. Quindi, le due torpediniere si diressero nuova- mente verso il largo e si autoaffondarono su batimetriche attorno ai cento metri, in un punto non precisato. Erano tra le cinque e le sette del mattino dell'11 settembre 1943. Da allora sono passati 58 anni e in tutto questo tempo le due gloriose navi da guerra della Marina Militare Italiana sono rimaste nell'oblio, protette dagli abissi in cui erano sprofondate, mute testimoni di una delle pagi- ne più disperate, ambigue e dolorose della nostra storia recente. 2 Nelle prime ore dell'8 settembre, giorno dell'Armistizio, pochissime persone sapevano che cosa stava realmente succedendo: il re Vittorio Emanuele III, il capo del Governo, maresciallo Badoglio, il ministro Acquarone, il capo di Stato Maggiore Generale, generale Ambrosio, il capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Roatta, e il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Raffaele De Courten. Lo stesso comandante in capo della nostra flotta, ammiraglio Carlo Bergamini, che perì nella tre- menda deflagrazione della "Roma" assieme ad altri 1.252 uomini, non conosceva esattamente i termini della resa, firmata in gran segreto, dal generale Castellano a Cassibile, in provincia di Siracusa, cinque giorni prima, il 3 settembre, dopo laboriose trattative iniziate il 15 agosto a Ma- drid ed in seguito a Lisbona. Il momento era molto difficile: bisognava voltare le spalle alla Germa- nia e trasferire la flotta a Malta per consegnare le navi agli inglesi e agli americani, contro i quali l'Italia si era coraggiosamente battuta sino ad allora. Occorreva prepararsi per fronteggiare una più che probabile reazione tedesca e, nello stesso tempo, informare i soldati del cambiamento di cam- po, cosa non facile senza perdere la faccia, dato che le truppe erano state preparate a difendere la Patria dagli angloamericani sino all'estremo sacrificio. Bergamini, quando venne a sapere che cosa si stava delineando, non voleva umiliare la Marina e si rifiutò di abbassare le armi e la bandiera, di- cendo chiaramente che avrebbe preferito affon- dare la flotta in altomare. De Courten gli ricor- dò la situazione disastrosa in cui si trovava il popolo italiano, lo richiamò al suo senso del dovere e, per prendere tempo, gli disse di sal- pare con tutte le sue navi e di andare a La Maddalena, dove lo avrebbero aspettato il re e il Governo e dove si sarebbe finalmente deciso il destino dell'Italia. Destino che, in realtà, era già stato accurata- mente scritto, dato che nelle altissime sfere si sapeva che le navi da battaglia italiane dove- vano concentrarsi a Malta, una delle basi angloamericane in Mediterraneo, e che sia il Re sia il Governo non sarebbero andati a La Maddalena, bensì nella più sicura Brindisi. Evidente- mente De Courten voleva evitare a tutti i costi che la flotta, il grosso della quale era concentrato nei porti di La Spezia e di Genova, cadesse nelle mani dei tedeschi e contava di convincere Bergamini a piegarsi alle condizioni della resa strada facendo. L'accordo con gli angloamericani era che la notizia dell'armistizio dovesse essere data ufficialmente, alle truppe e al mondo intero, dopo il 10 settembre, per dar tempo ai militari italiani di organizzarsi. Tutto ciò, il giorno 8 settembre, i nostri ufficiali e i nostri marinai non lo sapevano. C'era molta agitazione sulle navi e negli scali della Marina. Le cisterne venivano riempite di carburante, gli arsenali di munizioni. Correva voce che lo sbarco degli americani nel litorale di Anzio fosse immi- nente. Era stata segnalata un'imponente flotta di ben 450 navi avvicinarsi alle nostre coste e i soldati pensavano di essere veramente arrivati allo scontro fina- le, quello per cui si erano a lungo addestrati, sia mentalmente sia fisicamente. Perciò, quando il 9 mattino le navi iniziarono a scaldare i motori, tutti pensaro- no di salpare per andare incontro al nemico. Il capitano di fregata Riccardo Imperiali era il nuovo comandante della torpedi- niera “PEGASO”, ormeggiata al molo Lagora, nella base navale di La Spezia. Sino a pochi giorni prima aveva fatto parte dello Stato Maggiore dell'ammira- glio Bergamini, ma aveva preferito chiedere il comando di un'unità proprio in vista di quella che, secondo molti, sarebbe stata la battaglia navale decisiva 3 della guerra. La giornata dell’8 settembre trascorse senza grandi novità, ma, verso le 18.00, Imperiali venne chiamato a rapporto sulla corazzata "Roma". L'ammiraglio Bergamini appariva preoccupato. Gli affidò il comando del Gruppo Torpediniere e poi gli disse di tenersi pronto a salpare con la Squadra, con il principale compito di recuperare gli equipaggi qualora le navi avessero dovuto autoaffondarsi e di eseguire un'esplorazione avanzata durante la navigazione. Quindi precisò che la flotta poteva uscire in mare da un momento all'altro con uno dei seguenti obiettivi: 1) affrontare in battaglia le unità inglesi che proteggevano lo sbarco alleato, presumibilmente diret- to nel Golfo di Salerno; 2) entrare a La Maddalena per sottrarsi a eventuali atti ostili dei tedeschi e attendere ordini; 3) autoaffondarsi. L’ammiraglio Bergamini nella riunione dovette usare toni forti per convincere gli ufficiali presenti a mantenere i nervi saldi, perchè l’orientamento generale degli ammiragli e comandanti presenti era per l’autoaffondamento. Il capitano di fregata Riccardo Imperiali era un ufficiale della vecchia scuola e non fece domande. Salutò il suo superiore e se ne andò. Tornò sulla sua nave e subito convocò i comandanti delle altre torpediniere della squadriglia, il comandante di Corvetta M.O.V.M. Giuseppe Cigala Fulgosi (di Piacenza), dell'“IMPETUOSO”, il capitano di Corvetta Gino Del Pin, dell’ “Orsa”, il comandante Bertetti, dell’ “Orione”. Non c'erano i comandanti del “Libra”, Riccardi, e dell’ “Ardimentoso”, Ravera. Il primo perché era in mare con la sua nave, il secondo perché era alla fonda troppo lonta- no. Gli ufficiali concordarono un eventuale piano di navigazione e si lasciarono. Poco dopo, alle ore 20.00, il giornale radio diramò la clamorosa notizia dell'avvenuto armistizio, che era stata anti- cipata dagli alleati da Radio Algeri. Gli ufficiali rimasero allibiti da quanto avevano appena udito, molti soldati esultarono, pensando che la guerra fosse finita. Dalle basi a terra arrivavano sulle navi grida di giubilo. Gli Alleati non avevano rispettato i patti e avevano diffuso in tutto il mondo la notizia della resa italiana in anticipo sulla data del 10 settembre. Il Governo e i capi militari, in molti casi, non ebbero neppure il tempo di avvertire i loro soldati. La confusione, negli alti coman- di, fu incredibile. Anche il capitano Imperiali rimase costernato. Non c'era molto da gioire. L’Italia stava attraversan- do un terribile momento e il peggio sarebbe ancora dovuto venire. Capì, a questo punto, gli ordini di Bergamini e da buon soldato; soffocò i suoi sentimenti personali, l'avvilimento e la frustrazione. Radunò i suoi ufficiali e raccomandò di non perdere la testa. Disse loro che la guerra non era affatto finita, che forse era solo cambiato il nemico. Adesso si sarebbero dovuti guardare dagli ex alleati, dai tedeschi, che sicuramente avrebbero voluto vendicarsi. Alle ore 00.52 del 9 settembre ricevette l'ordine di prendere il mare alle ore 02.00 con tutta la squadriglia delle torpediniere. La Rotta era sulla Maddalena, passando a Ovest della Corsica. La flotta da battaglia, con in testa la nuovissima corazzata "Roma", entrata in ser- vizio soltanto il 16 giugno 1942, li avrebbe seguiti di lì a poco. Il “PEGASO” lasciò la rada di La Spezia 1943, alle prime ore di quel 9 settembre, come ordinato, seguito da “IMPETUOSO”, “Orsa”, “Orione” e “Ardimentoso”. Ricordano i marinai Alfredo Capozzi (di Napoli),Nicola Ferrentino (di Salerno) e Riccardo Baiolla di Belluno) im- barcati sul “PEGASO”, che si do- 4 vette salpare talmente in fretta e furia che gli addetti alla “COMANDATA” (vettovagliamento) restarono a terra. La stessa cosa rammentano Arturo Luccioli (di Monterchi-Arezzo), Antonio Sorino (di Ortona Mare) e Alberto De Vita (di Brescia), avvenne sull’ “IMPETUOSO” ove restò a terra anche il tenente Tommaso Ricci comandante della “COMANDATA” di quella nave. Più tardi, dopo circa un’ora, sempre da La Spezia, salparono le corazzate “Roma”, “Vittorio Veneto” e “Italia” (ex “Littorio”), i tre incrociatori “Eugenio di Savoia”, “Montecuccoli” e “Attilio Rego- lo”, gli otto cacciatorpediniere “Legionario”, “Oriani”, “Artigliere”, “Grecale”, “Mitragliere”, “Fuciliere”, “Carabiniere” e “Velite”, la flotta assunse Rv 218° velocità 24 nodi.