Kaiak. A Philosophical Journey. Sezione Cinema

MAESTRI DEL B/N

n.2:

di Giuseppe Russo

Sebbene possa apparire inusuale, la scelta di considerare Robert Wise fra i maestri dell’arte cinematografica in bianco e nero è profondamente radicata nella sua cifra stilistica, nella sua lunga e prestigiosa carriera, ma anche nell’eredità che ha lasciato ad almeno due generazioni di cineasti a lui successivi. Il senso dell’immagine che Wise ha saputo sviluppare e perfezionare nell’arco di svariati decenni nasce da un’idea della composizione tipicamente B/N, che iniziò a formarsi negli anni fondamentali delle collaborazioni con Garson Kanin e con Orson Welles. Tecniche di ripresa, posizionamenti e movimenti di macchina, ricerca della profondità di campo secondo strategie diverse in interni e in esterni, formazione di simmetrie compositive, sono tutte clausole tipiche della Hollywood classica degli anni del noir e del poliziesco. Era del tutto ovvio che gli studios preferissero un regista incredibilmente eclettico come lui ad altre tipologie, magari

1 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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più tumultuose e geniali, ma proprio per questo meno controllabili. Anche i numeri parlano chiaro: Robert Wise ha diretto 41 film in 56 anni, di cui 26 in B/N e 15 a colori. Certo, il vasto pubblico lo conosce principalmente per opere nelle quali l’uso del Technicolor raggiunge vertici assoluti, come West Side Story (1961) e The Sound of Music (1965), in Italia da sempre noto col titolo democristiano di Tutti insieme appassionatamente : tre ore di minestrone musical-sentimentale che ad ogni Natale trovano occasione di programmazione sulle televisioni nostrane. Ma basta scorrere alcuni suoi titoli degli anni ’40 e ’50 per rendersi conto dei due principali meriti di questo cineasta: la sua quasi insuperabile versatilità, dal momento che ha spaziato letteralmente fra tutti i generi cinematografici allora esistenti, tentandone anche qualcuno non ancora standardizzato; e il fatto che quasi tutti gli altri suoi film meritevoli di essere conosciuti, celebrati o riscoperti sono in B/N, e in molti casi non sarebbero nemmeno concepibili a colori. Il passaggio dal B/N al colore, negli anni ’40 e ’50, si verificò secondo modalità molto diverse, non solo a seconda dei Paesi, ma dei cineasti stessi e, nel caso delle major hollywoodiane, degli obiettivi delle case di produzione. A maggior ragione molti registi furono, per così dire, costretti a prendere posizione quando il procedimento tricromico Technicolor fu rapidamente superato da quello Eastman, e le stesse mdp iniziarono ad essere prodotte con le nuove caratteristiche tecniche richieste, anche se furono necessari molti anni perché in America il cambiamento risultasse relativamente definitivo 1 e il B/N sopravvivesse come scelta stilistica e non più come concezione dominante. In linea di principio, sebbene questa sia una forte semplificazione, possiamo dire che ci sono stati registi che si sono convertiti al colore senza opporre resistenza (Hitchcock, Cukor, Wilder, Mankiewcz etc.), in genere anche perché incuriositi dalle nuove opportunità, ed altri che hanno ritardato il più possibile il cambiamento perché vi si riconoscevano solo in minima parte o per niente (Welles, Hawks, Huston, Ray, etc.). Robert Wise prese una posizione intermedia, ma probabilmente più vicina alla prima serie che alla seconda, senza particolari traumi ma con tempi molto personali. E seppe portare nei suoi film a colori una certa unità di stile maturata nei lunghi anni di esperienze in B/N, sia alla RKO che presso altre case produttrici, prima come tecnico del suono e assistente alla regia e poi come director , perché Wise ha avuto una lunga gavetta ed è stato proprio grazie a questa che ha potuto raggiungere presto risultati notevoli, tali da far rimuovere col tempo l’accusa rivolta nei suoi confronti di essere anzitutto un artigiano ( craftsman ) del cinema. Martin Scorsese, nel suo Un secolo di cinema (A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies , 1995), ci terrà a precisare che Wise «è stato un artista e niente affatto un artigiano».

1 Su questo argomento, cfr. J. Waner, Hollywood’s Conversion of all Production to Color , Wyckoff, Tobey Publ. 2000.

2 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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Robert Earl Wise nasce a Winchester (Indiana) il 10 settembre 1914, mentre i venti di guerra soffiano ancora lontano dalle coste orientali degli USA. È il terzo figlio di una coppia della working class del Midwest, con modeste possibilità economiche, che nel 1923 si trasferisce a Connersville, cittadina poco più grande (meno di 10.000 abitanti nel 1920) ma con maggiori opportunità di lavoro e la presenza di diverse sale cinematografiche. Qui Wise inizia e porta avanti i suoi studi, ma il suo passatempo preferito è andare al cinema, in particolare per vedere i tanti film d’azione che negli anni Venti hanno per protagonista Douglas Fairbanks Sr., da Il segno di Zorro (1920) a Il ladro di Baghdad (1924) a Il Pirata nero (1926). In un’intervista del 1998, Wise ricorda la sua infatuazione infantile per Douglas Fairbanks con queste parole:

Ero un suo grande fan. Era meraviglioso nel fare quei salti, quelle capriole e tutto il resto (…) Una volta, dovevo avere nove o dieci anni, uscì un suo nuovo film [ Il ladro di Baghdad ] e quella sera stessa andai a vederlo. Decisi di restare oltre la fine della proiezione e vederlo una seconda volta. Ero arrivato a metà quando sentii una mano pesante sulla mia spalla: mio fratello maggiore era stato mandato a riportarmi a casa. Non ero autorizzato a stare al cinema fino a quell’ora. 2

Gli altri riferimenti cinematografici essenziali dell’adolescenza del futuro regista furono Chaplin e Leo McCarey. Nel 1928, mentre Robert prosegue i suoi studi alla Connersville High School e scrive con regolarità articoli per le pagine sportive del giornale della scuola, il fratello maggiore David si trasferisce a Hollywood, dove trova un lavoro nella casa di produzione RKO. Terminati gli studi, e con la famiglia colpita dalla Grande Depressione, Robert lo raggiunge nel 1933, ma prima di riuscire a mettere piede in una sala di montaggio – che era il suo obiettivo in quel momento – dovrà fare un lungo tirocinio di lavoretti anche abbastanza umilianti nei più disparati ambiti della produzione 3. L’anno successivo diventa assistente di T.K. Wood come tecnico degli effetti sonori, e il suo nome è compare per la prima nei titoli del corto A Trip through Fijiland (1935), un progetto che la RKO abbandonò a metà della lavorazione 4. Ma a Wise interessava in quel momento il lavoro di editing, la fase

2 W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , Indianapolis, Indiana Historical Society Press 2012, p. 3 (trad. mia). 3 Cfr. Smith, David L., Hoosiers in Hollywood , Indianapolis, Indiana Historical Society Press. 2006, p. 404. Il termine Hoosier è da quasi due secoli sinonimo di “nativo dell’Indiana”. Il suo uso cominciò a diventare di massa dopo la pubblicazione del poema The Hoosier’s Nest (1833), di John Finley, che però non ne è l’inventore. Come altri appellativi tipici della lingua americana parlata, tende ad assumere una valenza dispregiativa se usato da altri nei confronti degli abitanti dell’Indiana, non se usato da questi ultimi fra di loro. 4 Cfr. W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., pp. 27-28.

3 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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del montaggio, non poteva accontentarsi di controllare le voci e gli effetti audio ambientali 5. Ebbe modo di fare le sue prime esperienze di questo tipo con un editor di fiducia della RKO come William “Billy” Hamilton, tra il 1936 e il 1938. L’anno seguente è assistente al montaggio (non accreditato) per una commedia di notevole successo al botteghino come The Story of Vernon and Irene Castle , di H.C. Potter. Nel 1939-1940, sempre come responsabile del montaggio, inanella una serie di film riusciti, ma stavolta puntualmente accreditato: da 5th Ave Girl , di Gregory La Cava, fino a My Favorite Wife , di Leo McCarey, passando per il quintessenziale Il gobbo di Notre Dame di William Dieterle, con Charles Laughton e Maureen O’Hara.

È a quel punto che si verifica la prima svolta decisiva nella carriera di Wise: la RKO decide che è la persona giusta per occuparsi del montaggio di Quarto Potere (Citizen Kane , 1941). Orson Welles aveva firmato il suo contratto con la RKO il 21 agosto del 1939, e aveva trascorso cinque mesi a convincere i vertici della casa di produzione riguardo questo progetto filmico, dando inizio a dispute tra le più lunghe e famose dell’intera storia del cinema. Welles era riuscito ad assicurarsi il final cut del film, il che era proprio ciò che destava i maggiori timori della RKO. La scelta di affidargli proprio Wise per il montaggio, verosimil- mente, voleva avere tra i suoi obiettivi arginare le gesta del personaggio più incontrollabile della Hollywood di quegli anni, e sostanzialmente fra i due la collaborazione funzionò e risultò perfino proficua, al puto che Wise ebbe anche una nomination della Academy per il miglior montaggio. Di Orson Welles, Wise ha poi detto: «È quanto di più simile ad un genio io abbia mai conosciuto. Ci si sentiva oltraggiosi anche solo a suggerirgli una cosa o due, al che lui se ne usciva con un’idea talmente brillante, che ti lasciava letteralmente a

5 Pur avendo fatto questo lavoro anche per lungometraggi di notevole rilevanza, come Of Human Bondage (1934), di John Cromwell, film per molti versi disturbante e quasi scandaloso, che lanciò in modo definitivo Bette Davis come attrice protagonista.

4 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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bocca aperta»6, incapace di replicare. Alcune foto di scena, come quella sopra riportata, mostrano i due dialogare sul set, con Wise in evidente posizione di sudditanza psicologica nei confronti di Welles 7, che pure, sebbene conosciutissimo in quegli e in altri ambienti, in fondo era appena all’inizio della sua carriera cinematografica. La collaborazione tra i due prosegue anche con The Magnificent Ambersons (1943), quindi Wise lavora ad alcune pellicole belliche, compresa The Fallen Sparrow (1944) di Richard Wallace, finché all’inizio del 1944 la RKO gli offre la prima possibilità come regista, soprattutto grazie alla mediazione di Val Lewton, che ormai da tempo credeva in lui come regista e che decise di produrre personalmente una sorta di sequel del fortunatissimo (e sempre da lui prodotto) Il bacio della pantera (Cat People , 1942), di Jacques Tourneur, altro grande maestro del B/N. Siamo nell’ambito della migliore tradizione dei B-movies RKO: film che non dovevano costare più di poche di migliaia di dollari e non dovevano superare i 70-75 minuti di durata. In realtà si tratta di un regia ereditata: come director era stato scelto da tempo Gunther von Frisch, ma la fragorosa rottura fra Welles e la RKO fece vittime e danni qua e là. Von Frisch, che era al suo debutto e aveva già iniziato le riprese, con Wise assistente alla regia, fu epurato dalla RKO in quanto seguace di Welles, e così il film stava per essere cancellato, quando intervenne Lewton, persona molto disciplinata e di fiducia della casa di produzione, che convinse Wise a portare avanti il progetto rimpiazzandolo. Il regista ha in seguito ricordato che Lewton gli suggerì di non indugiare e di non farsi scrupoli morali, dicendogli: «Se non lo fai tu lo farà qualcun altro. E poi non sei tu che stai buttando Gunther fuori»8. Il film fu intitolato The Curse of the Cat People (tit. it. Il giardino delle streghe ), ebbe come protagonista la stessa Simone Simon, e per le riprese furono usati gli stessi set de L’orgoglio degli Amberson , proprio perché la produzione del film di Welles era costata troppo. Ciò nonostante, il film di Wise sforò del 40% il budget previsto, ma si rifece al botteghino incassando quasi 150.000 dollari. Wise, pur non modificando la sceneggiatura di DeWitt Bodeen, portò avanti la sua prima regia facendo di questo sequel qualcosa di esteticamente diverso dal film horror di Tourneur, ossia una sorta di “dark fantasy” 9 in cui una bambina crea una relazione con un fantasma che svolge una funzione materna ma che conserva anche un fattore perturbante, che la piccola è in grado di evocare grazie ad un anello magico. Lo si potrebbe definire un “quasi horror per tutta la famiglia”, quindi qualcosa situato in una zona intermedia fra i generi, che Wise sviluppa mostrando

6 W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., p. 31 (trad. mia). 7 Sul sito online di Daily Motion è attualmente disponibile un breve video nel quale Wise ripercorre gli avvenimenti: https://www.dailymotion.com/video/x4bbgpf . 8 W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., p. 66 (trad. mia). 9 Cfr. J. Agee, The Curse of the Cat People review , in “The Nation” del 01.04.1944.

5 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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già un notevole senso dell’immagine. Nella maggior parte delle sequenze in interni, vediamo luci fredde che entrano lateralmente da finestre fuori campo e illuminano i personaggi durante i loro dialoghi. Nelle riprese notturne in esterni, è quasi sempre il fantasma di Irena (Simone Simon) a farsi portatore di luce, ad interrompere il dominio semantico del buio nei giardini. Ma ci sono anche idee più interessanti, ad esempio laddove le ombre longitudinali degli alberi si adattano agli avvallamenti del terreno creando forme spaventose, simili a lunghi artigli diabolici che (Fritz Lang docet) si protendono verso la creatura indifesa, come in una illustrazione da fiaba gotica. Le forme che rappresentano il pericolo attendono di essere placate dall’arrivo di Irena.

La seconda regia di Wise, Mademoiselle Fifi , anche questa prodotta da Lewton, è un adattamento dell’omonimo racconto di Maupassant, parzialmente mescolato col più noto Boule de suif e condito in salsa antitedesca, come pressoché inevitabile nella primavera del 1944. Girato in appena tre settimane ancora con Simone Simon come protagonista principale, coadiuvata da John Emery, la vicenda non decolla più di tanto né dal punto di vista diegetico né da quello estetico: Elizabeth è presentata come una lavandaia anziché una prostituta vendicativa, le ambienta- zioni appaiono piuttosto modeste (furono usati gli stessi set de Il gobbo di Notre Dame di Dieterle), la fotografia di Harr J. Wild troppo timida. È però anche vero che il regista aveva le sue buone ragioni per temere che una certa licenziosità nello sviluppare il personaggio di Elizabeth avrebbe immediatamente messo in azione la censura 10 , e un film a basso budget realizzato soli in 22 giorni non può proprio

10 Cfr. W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., p. 91.

6 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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permettersi strascichi legali. Ad una prima visione, i rinvii tra i comportamenti dei Prussiani in Francia durante la guerra del 1870 e l’occupazione nazista dopo il 1940 sembrano solo parzialmente sviluppati: troppo abbottonati i primi per far pensare all’abissale crudeltà dei secondi. Tuttavia c’è stato anche chi ha visto in questi parallelismi «una ricchezza morale e una sottigliezza che nessun altro film hollywoodiano del periodo della guerra è riuscito ad avere»11 , in particolare per la pressione di Lewton produttore, che ci teneva a conservare una certa raffinatezza dello stile a dispetto della materia. In ogni caso, alcune riprese in interni mostrano una certa attenzione alla composizione dell’immagine, come nel posizionamento di macchina dietro i musicisti nella sequenza della cena con illumi- nazione centrale, dove Wise riesce a sviluppare una notevole profon- dità di campo nonostante le scarse risorse a disposizione, e a creare una sorta di elegante suspense che preannuncia avvenimenti imminenti che potrebbero essere anche molto spiacevoli.

La terza regia di Wise è già un corpo filmico che orbita lungo l’ellissi del capolavoro di genere: La Jena (The Body Snatcher , 1945) 12 . La RKO crede a tal punto in questo progetto da reclutare due autentici mostri sacri del cinema horror come Bela Lugosi e Boris Karloff, stanziare una cifra superiore alle sue abitudini come budget (125.000 dollari) e scegliere tra le proprie fila un grande professionista della fotografia come Robert De Grasse, che aveva un’oceanica esperienza nella commedia sofisticata e nelle spy stories , ma era stato anche direttore della fotografia per The Leopard Man (1943) di Jacques Tourneur. La sceneggiatura è basata sul celebre racconto Il ladro di cadaveri di Robert L. Stevenson, che a sua volta rielaborava gli orribili fatti di cronaca realmente avvenuti a Edimburgo tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del XIX

11 J.E. Siegel, Val Lewton: The Reality of Terror , New York, Viking Press 1973, p. 146 (trad. mia). 12 Dovrebbe essere questa la prima volta che la formula Body Snatcher (lett: “recuperatori di corpi”) entra nella titolografia del cinema. In seguito, sarà utilizzata molte volte, diventando in italiano “ultracorpi” con Invasion of the Body Snatchers , classico sci-fi di Don Siegel del 1956, poi rifatto da Philip Kaufman nel 1978. Ma il film di Wise ha avuto a sua volta alcuni remake: nel 1960 ( Le jene di Edimburgo , di John Gilling) e nel 2010 Ladri di cadaveri - Burke & Hare , di John Landis).

7 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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secolo, quando i furti di cadaveri dai cimiteri a scopo di studio e di insegnamento avevano raggiunto dimensioni clamorose, al punto da indurre il governo britannico ad emanare l’Anatomic Act nel 1832 per porre fine a questo lugubre mercato. In particolare, la trama si fissa sul traffico di cadaveri nel quartiere di West Port. Le riprese furono realizzate negli studios RKO di Encino Ranch e di Hollywood in sole tre settimane, tra il 25 ottobre e il 17 novembre 1944.

La prevalenza del buio sulla luce è crescente nello sviluppo della trama e nella costruzione della tensione, e sotto la direzione di De Grasse raggiunge i suoi vertici nelle sequenze notturne in esterni e nelle riprese in interni che vedono Karloff mercanteggiare col dr. MacFarlane sulle cifre e sul trattamento dei cadaveri. I punti di luce sono pochissimi, algidi, diagonali e disposti con grande attenzione in modo da illuminare debolmente i soli lineamenti essenziali, alcune parti del corpo (mani tremolanti, un mento asimmetrico, una fronte sgomenta), porzioni dell’ambiente necessarie all’incremento della suspense 13 . In queste riprese appare del tutto evidente come l’oscurità sia la sorgente dei significati e le parti illuminate soltanto i significanti disposti in varie zone dell’immagine per comporre una costruzione plurisensoriale compiuta e precisa. Questi motivi fanno di The Body Snatcher

13 Sulle tecniche di ripresa e sull’uso del contrasto in questo genere cinematografico in questo decennio, cfr. C. Clarens, An Illustrated History of the Horror Film , New York, Perigee Trade 1968; J. Rigby, American Gothic: Sixty Years of Horror Cinema , London, Reynolds & Hearn Ltd. 2007.

8 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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un’opera classica appartenente, come è stato osservato di recente, al genere dei «drammi raccapriccianti che hanno a che fare con società ingiuste e decadenti (…) illuminati dalla presenza ispirata di un Boris Karloff cui viene infine lasciata la libertà di esprimersi a piacimento»14 , anche grazie alla volontà e alla perseveranza di Val Lewton, che alla metà degli anni ’40 era ormai diventato un nume tutelare di questo genere cinematografico e della cui amicizia Robert Wise continuerà a beneficiare ancora per un bel po’ di tempo 15 , anche se non più in qualità di produttore dei suoi lavori, ma a questo punto non era più necessario.

Dopo una pregevole variazione sul tema dell’horror da isolamento e sopravvivenza (Game of Death , 1945, remake di The Most Dangerous Game , 1932, di Irving Pichel) e un’escursione sui territori della crime story a lieto fine ( Criminal Court , 1946), due film a budget molto ridotto, Wise ha modo di impegnarsi più a fondo con Perfido inganno (Born to Kill , 1947), splendido e fumoso noir a tinte fosche, nel quale non ci sono particolari colpi di scena, sparatorie lungo marciapiedi notturni bagnati dalla pioggia o trame oscure che imprigionano i personaggi al loro passato come accade in tanti noir classici, ma la cui trama lavora benissimo nei vortici chiaroscuri dei tradimenti, degli occultamenti, dei ricatti e delle gelosie. È il primo film di Wise che raggiunge l’ora e mezza di durata, il primo lungometraggio in senso stretto, il che permette uno sviluppo degli avvenimenti più attento sia ai particolari che al quadro d’insieme. In alcune sequenze l’immagine appare raffinatamente grezza, quasi aurorale, piuttosto spaventosa, ed è nuovamente De Grasse a dirigere la fotografia. In altre, la dialettica di luci e di buio riesce a creare una tensione molto forte e grondante di aspettative su ciò che potrà accadere subito dopo, sul what’s next , aprendo nella mente dello spettatore una strada verso l’incertezza crescente tra il dato di realtà e le paure dei personaggi. Come è stato notato con riferimento al noir, «le modalità propriamente cinematografiche di narrazione soggettiva, retrospettiva, ‘onirica’ sembrano consentire una rappresentazione, o meglio una messa in scena, quasi naturale della dialettica presenza/assenza, vita/morte, realtà/immaginazione che è, in fondo, il cuore o l’essenza del racconto ‘giallo’ nella sua forma più pura. E i personaggi di questa messa in scena (…) diventano dei simulacri, dei fantasmi mentali, delle ombre»16 , quasi sempre in attesa di sistemazione in una delle due colonne amico/nemico, dove difficilmente troveranno una collocazione duratura.

14 K. Newton, L’Horror , in AA.VV., Storia del cinema mondiale , vol. II, tomo I (Gli Stati Uniti), a c. di G.P. Brunetta, Torino, Einaudi 1999, p. 847. 15 Per ulteriori dettagli in merito alla produzione di Wise negli anni ’40 e ai suoi rapporti con Lewton e con la dirigenza della RKO, cfr. R.C. Keenan, The Films of Robert Wise , Lanham (MD), Scarecrow Press 2007. 16 G. Alonge e G. Carluccio, Il cinema americano classico , Bari-Roma, Laterza 2006, pp. 99-100.

9 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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Una porta aperta a metà ripresa frontalmente con macchina fissa e che separa due complici che ancora non si sono riconosciuti, un bastone a stento illuminato da una luce radente, due volti spaventati circondati dall’oscurità, sono più che sufficienti a generare una tensione che molte pellicole successive, realizzate senza badare a spese, non riusciranno a raggiungere. Paul Schrader, qualche anno fa, ha dichiarato che considera Born to Kill una lampante dimostrazione del fatto i migliori film noir sono stati realizzati da grandi registi quando erano ancora nella fase iniziale della loro carriera 17 ; dopodiché, secondo l’autore del remake del Bacio della pantera del 1982, nonché di sceneggiature epocali come quelle di Taxi Driver e di Toro scatenato , subentrano fattori extra-artistici che spingono i cineasti verso soluzioni diverse e spesso meno riuscite.

Le successive regie di Wise sono un western considerato “psicologico”, 18 (1948), con un perfido Robert Mitchum e un’ambigua Barbara Bel Geddes, e una modesta detective story d’ambientazione subtropicale, Mistery in Mexico (1948). Ma è con Stasera ho vinto anch’io (The Set-Up , 1949), interpretato da uno strepitoso Robert Ryan, che si ritorna nel perimetro dei capolavori di

17 Cfr. W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., p. 104. 18 Cfr. le pagine ad esso dedicate in: R.C. Keenan, The Films of Robert Wise , cit.

10 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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genere. Di questo film, che fu presentato al Festival di Cannes del 1949 e che vede alla direzione della fotografia un ispirato Milton R. Krasner, è parzialmente debitore Kubrick per The Killer’s Kiss (1955), lo è totalmente John Huston per Città amara (Fat City , 1972). Siamo nel filone appena nato dello sport drama , in questo caso con venature da crime story . Il pugile Stoker Thompson (Ryan, scelto perché negli anni del college era stato più volte campione dei pesi massimi), ormai in fase calante a causa dell’età, non sa che il match dal quale può dipendere il suo ritorno nel circuito della boxe è stato truccato dal suo manager, che solo all’inizio del quarto ed ultimo round lo informa del fatto che deve perdere, altrimenti tutti soldi puntati sfumeranno. Stoker, il cui viso è ormai ridotto ad una maschera di sangue, fiuta tuttavia l’odore ancestrale del ring, sente che può vincere e non intende soccombere per ragioni non sportive. Così vince, in effetti, ma da quel momento inizia una caccia all’uomo che si conclude rapidamente nel buio fitto delle strade vicine all’arena, dove viene punito dagli scagnozzi dell’uomo che aveva organizzato la combine, i quali gli massacrano una mano per punizione. La sua carriera ora è davvero finita, ma lo è da campione in carica; e la moglie, che sperava in una sua sconfitta per vederlo finalmente fuori da quell’ambiente putrido, lo consola dicendogli che hanno vinto entrambi. È una pellicola «su un’umanità marginale, di proletari e sconfitti del sogno americano che vanno a bruciare sul ring le loro speranze prima di essere inghiottiti dallo squallore e dalla sofferenza»19 e nel quale la parabola criminale in senso stretto retrocede in background «per far affiorare una disperata apoteosi del perdente»20 , sconvolgendo per ottenere questo obiettivo anche l’opera letteraria che aveva fatto da spunto alla sceneggiatura di Art Cohn. Le riprese da bordo ring registrano dei posiziona- menti di macchina molto bassi per drammatizzare la situazione e che faranno letteralmente scuola in questo tipo di film, fino a Scorsese compreso. Gli esterni notte sono degni della più ispirata estetica noir, con il buio che avvolge i portatori di morte mentre circondano l’uomo che non ha saputo stare al suo posto, illuminato dall’alto dall’unico punto-

19 R. Venturelli, L’età del noir. Ombre, incubi e delitti nel cinema americano (1940-1960) , Torino, Einaudi 2007, p. 317. 20 Ibid.

11 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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luce del set. In termini di composizione dell’immagine e di posizionamenti di macchina, di primi piani incrociati e di contrasti luce-oscurità, è un film di intenso godimento per lo spettatore.

All’inizio del 1950 Robert Wise lascia la RKO e si mette a disposizione degli altri studios. La prima offerta che accetta è della Warner Bros., con cui realizza Tre segreti ( , 1950), interessante dramma il cui principio motore è la conflittualità tra psicologie femminili, qui interpretate da Patricia Neal, Eleanor Parker e Ruth Roman. Segue un modesto lungometraggio ambientato durante la guerra civile americana, (1950), con Joseph Cotten e Linda Darnell, girato in New Mexico per la 20th Century Fox. Ma è con Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still , 1951), girato proprio per la 20th Century tra aprile e maggio del 1951 con un budget di 1,2 milioni di dollari, che il regista realizza una nuova pietra miliare in un nuovo genere non ancora praticato fino a quel momento: la fantascienza a sfondo politico. Basato sul racconto Addio al padrone (Farewell to the Master ) di Harry Bates, che si dissociò totalmente dalla sceneggiatura e dal film 21 , questo lungometraggio ormai da lungo tempo appartiene ai grandi classici della science fiction , e recentemente (2008) è stato anche miseramente rifatto dalla stessa major, con Keanu Reeves nei panni di Klaatu e Scott Derrickson, noto per l’horror The Exorcism of Emily Rose (2005), dietro la mdp. La trama è talmente nota, che davvero non è il caso di riassumerla. È peraltro giusto ricordare che nel 1951 si era in piena stagione di caccia alle streghe da parte della Commissione per le Attività Antiamericane e di paura della diffusione sul suolo statunitense di osservatori sovietici, puntualmente ritenuti abilissimi nel confondersi con la popolazione Wasp. Con la sua maestria, pur senza alludere a posizioni politiche precise e senza demonizzare nessuno al di fuori dell’umana stupidità, il film di Wise è oggi considerato dalla critica «una rara avis progressista, decisamente controcorrente negli Stati Uniti del maccartismo e del sospetto. I disastri causati dall’emotività, della sfiducia, dall’irrazionalità di un potere incapace di aprirsi a un’idea di pacifica convivenza con l’esterno ( qualsiasi esterno) vi sono ineccepibilmente esemplati»22 , certo meglio che in tanti altri lungometraggi di fantascienza a sfondo politico degli anni Cinquanta, come anche del decennio successivo.

21 Nel testo originale, Klaatu viene ucciso dai militari appena sceso dalla navicella, quindi non si avvia nessun rapporto uomo/alieno, non c’è nessun messaggio cifrato (il celeberrimo «Klaatu barada nikto» poi citato anche da George Lucas ne Il ritorno dello Jedi e finito nella cultura popolare e nei cartoni animati) e nessun monito sul futuro del pianeta, ciò di cui invece la sceneggiatura si nutre. 22 F. La Polla, La fantascienza , in AA.VV., Storia del cinema mondiale , vol. II, tomo II (Gli Stati Uniti), cit., p. 1526.

12 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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Soffermiamoci invece su alcune tecniche di ripresa e di composizione dell’immagine, dove possiamo facilmente ritrovare il tocco del regista. Le riprese in esterni sui prati del Lincoln Memorial e del National Mall di Washington D.C. permettono al cineasta di praticare movimenti di macchina utili a incrementare o smorzare la tensione, a seconda dei momenti. Ma è nelle riprese in interni che Wise dà il meglio di sé, sotto la supervisione di Leo Tover come direttore della fotografia. I giochi di luce a sorgente variabile e la presenza di forme opprimenti di oscurità in sequenze particolarmente decisive nell’avvicinare l’alieno agli esseri umani, sono del tutto simili a quelli utilizzati dal regista hoosier nei suoi polizieschi e nei suoi noir. Molti dettagli ricevono una valenza semantica nella costruzione di un percorso che intende sottolineare come il nemico non sia qualcosa di diverso da noi ma piuttosto una presenza costante nella nostra mente, che può affiorare proprio nel momento in cui dovremmo assumere i comportamenti più razionali per evitare il peggio e non riusciamo a farlo. In termini di neuroscienze, potremmo dire che il rapporto tra sistema limbico e corteccia prefrontale non era ottimale allora come non lo è oggi.

Il posizionamento di macchina dietro le sbarre della cella in cui è occultato il corpo dell’uomo che stava vanamente cercando di mediare per superare l’opposizione schmittiana amico/nemico, permette allo spettatore di notare alcuni particolari: l’ombra dell’alieno si proietta su una parete della cella devastata come si proietterebbe quella di qualsiasi umano, il silenzio segue sempre la distruzione,

13 Data di pubblicazione: 10.09.2018

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l’automobile che si intravede in profondità di campo (presumibilmente una Ford Popular, nel 1950 usata anche come ambulanza) non porterà in salvo nessuno. Non a caso si è parlato di traslazione (transition ) di atmosfere horror nell’ambito della fantascienza 23 come idea estetica che ha permesso la riuscita del film, in sintonia con il suo messaggio di fondo: la ricerca di mostri dà facilmente buoni frutti, se di mostri abbiamo bisogno. Ce n’è sempre qualcuno a portata di mano, non c’è bisogno di attendere un’invasione aliena per questo. E quelle sbarre, che il regista ha scelto di porre in primo piano, sono costantemente davanti ai nostri occhi perché avere uno sguardo limitato o ostacolato, tutto sommato, ci piace.

Le opere successive di Wise dimostrano in modo definitivo la sua estrema versatilità nel dedicarsi ai più disparati generi cinematografici, valore che migliora la sua reputazione nel mondo delle case di produzione. Ho paura di lui (The House on Telegraph Hill , 1951), con Valentina Cortese e Richard Basehart, è un buon noir claustrofobico con assassino misterioso da scoprire, che riprende bene la lezione hitchcockiana. (1952, tuttora inedito in Italia) è una commedia che mostra ambienti dell’alta società di Washington come già avevano fatto Cukor o Hawks. La città prigioniera (The Captive City , 1952), basato su fatti realmente accaduti al reporter Alvin M. Joseph Jr. del “Time”, è un cupo thriller cospirazionista interamente girato a Reno e nel quale, in forma di lungo flashback, si ricostruisce la vicenda di un giornalista al quale si cerca in ogni modo di impedire di deporre dinanzi alla Commissione Kefauver 24 , ma che alla fine riesce nel suo intento e così permette alla giustizia di trionfare. Seguono due film di guerra non strepitosi: The Desert Rats (1953) e Destinazione Mongolia ( , 1953), con Richard Widmark e Don Taylor, che è il primo lungometraggio di Robert Wise a colori, girato per la 20th Century Fox. Il regista torna subito al B/N con Solo per te ho vissuto (So Big , 1953), melodramma di sentimenti contrastanti con Jane Wyman e Sterling Hayden, e prosegue lungo questa strada col notevole La sete del potere ( , 1954), ricca produzione MGM con William Holden e Barbara Stanwyck, storia di lotta di successione in una famiglia di industriali di mobili ma anche pellicola nella quale Wise può per la prima volta usare tutta l’ampiezza dei 35 mm. con un formato dell’immagine di 1,75:1, contro il misero 1,37:1 usato fino a quel momento. Il film fu anche presentato alla mostra del cinema di Venezia del 1954 e il National Board of Review of Motion Pictures lo dichiarò tra i dieci migliori film dell’anno.

23 Cfr. W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., pp. 141-143. 24 La Commissione del Congresso presieduta dal senatore democratico Estes Kefauver, che nella sequenza conclusiva del film interpreta se stesso, fu in vigore nel biennio 1950-1951 con lo scopo di stanare chiunque permettesse o proteggesse la diffusione del crimine organizzato negli USA. Questo in un periodo nel quale il direttore dell’FBI, J. Edgar Hoover, negava pubblicamente l’esistenza del crimine organizzato in America.

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Mentre porta avanti la co-produzione internazionale in Technicolor Elena di Troia (1956), in cui Wise ha come assistente alla regia un giovane Sergio Leone ancora nei suoi Lehrjahre , il regista non disdegna un’irruzione nel western con La legge del capestro ( , 1956), che di fatto colleziona giudizi negativi e si rivela un fallimento al box office, causando una perdita di oltre 1,6 milioni di dollari alla Metro Goldwyn Meyer. Ma il successo di pubblico e di critica torna subito con il fortunatissimo Lassù qualcuno mi ama (Somebody Up There Likes Me , 1956), biopic prodotto dalla MGM del pugile Rocky Graziano, interpretato da un trentunenne Paul Newman 25 , e con Anna Maria Pierangeli. Girato in Cinemascope (formato 1,85:1) per le strade di Brooklyn e di Manhattan tra il gennaio e il marzo del 1956, il film incassò in pochi mesi quasi il doppio di quanto era costato (3,6 milioni di dollari contro 1,9 di budget). Anche in questo caso la trama è molto nota e non necessita di essere ricordata, trattandosi di un tema classico della cultura americana: emersione di un outsider dagli ambienti più infimi della società, con conseguente ascesa, raggiungimento del successo per mezzo dell’ostinazione e a dispetto delle avversità, e uscita di scena prima dell’inesorabile caduta 26 . È invece opportuno sottolineare la bravura e la maturità artistica di Wise – per l’occasione, coadiuvato dal bravissimo Joseph Ruttenberg, che per la sua direzione della fotografia si aggiudicò un Oscar – nel comporre contrasti molto diversi tra di loro a seconda della direttrice narrativa da sviluppare: forti opposizioni luce/oscurità nelle riprese in interni, sia quelle che riguardano il conflitto quotidiano con il cavernicolo padre, sia quelle che riguardano gli allenamenti e i combattimenti di Graziano, con posizionamenti di macchina molto bassi, simili a quelli già usati in Stanotte ho vinto anch’io , ma decisamente perfezionati dal punto di vista stilistico. Gli esterni girati a Brooklyn permettono finalmente al regista di fare ricorso, e con ottimi risultati, a lunghi carrelli paralleli al manto stradale e perfino all’uso del dolly. Qui la fotografia diventa volutamente morbida, tende a ridurre il contrasto B/N, ad infittire le zone del grigio per adattarsi all’umanità che realmente viveva in quelle strade e in quei palazzi di Brooklyn alla metà degli anni ’50, e che era formata principalmente da figli di emigrati italiani, irlandesi, polacchi e russi. È un ambiente grigio, più che bianco e nero, fatto di sfumature più che di contrasti netti, e Wise decide saggiamente di mostrarlo con questa dominante cromatica, come si nota nel fotogramma di seguito riportato.

25 Che subentrò fin dall’inizio della lavorazione, dato che in fase di pre-produzione, molto prima dell’inizio delle riprese, per questo ruolo era già stato scelto James Dean, ma il “ribelle senza motivo” morì nel tremendo incidente d’auto alla fine di settembre del 1955, e la MGM pensò subito a Newman come rimpiazzo. Da ricordare anche il fatto che James Dean era fidanzato proprio con la Pierangeli, al momento della morte. 26 Cfr. W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., pp. 130-132; R.C. Keenan, The Films of Robert Wise , cit.

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Da molti punti di vista, l’essere uscito dai set prefabbricati degli studios per girare con macchine su carrelli nelle strade di una grande metropoli permette anche all’idea di cinema di Wise di entrare nel circuito di quelle soluzioni che Gilles Deleuze ha definito caratteristiche della “immagine-azione”, dato che la scelta è ricaduta proprio su «un ambiente determinato [che] può attualizzare una tale potenza che esso stesso vale per un mondo originario o uno spazio qualsiasi»27 . Più densa è la folla che circonda Rocky Graziano nel suo vagabondare per le strade di Brooklyn, più questo spaccato di umanità forma un’entità precisa e dotata di un’identità compiuta che vive in uno spazio conosciuto e quindi credibile nella sua peculiarità, il che era senz’altro tra gli obiettivi del regista. Sebbene si sia sempre mormorato che, durante la fase embrionale del progetto, il film fosse stato pensato in Technicolor e si sia deciso di girarlo in B/N solo dopo la scelta di Paul Newman come protagonista 28 , ovviamente con il benestare di Wise, proprio l’eccellente riuscita di queste immagini, di questi movimenti di macchina e di questo spettro di soluzioni diverse di B/N rendono, come si è detto in apertura, impossibile pensare a questo lungometraggio come a un film a colori. Se solo lo

27 G. Deleuze, L’immagine-movimento , a c. di J.P. Manganaro, Milano, Ubulibri 1993², p. 167. 28 Questo particolare appartiene più che altro al mondo delle leggende di Hollywood, dato che di fatto non esistono riscontri certi e documentati della decisione di adottare il B/N solo a causa della morte di James Dean. Sul sito dell’American Film Institute è riportata una ricostruzione abbastanza dettagliata dei fatti, ma neanche lì è precisato che la scelta di passare dal Technicolor al B/N sarebbe stata provocata dal cambiamento dell’attore protagonista, cfr. http://catalog.afi.com/Catalog/MovieDetails/52009 . È molto più probabile che si sia trattato di una scelta stilistica che Wise ha operato osservando i luoghi che avrebbero ospitato le riprese.

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immaginiamo a colori, diventa a tutti gli effetti un altro film, un’opera cinematografica totalmente diversa.

I successivi lavori in B/N di Robert Wise non fanno che confermare il suo talento come regista in grado di esprimersi sui più disparati generi cinematografici richiesti dalle case di produzione. Questa notte o mai (This could be the Night , 1957) è una riuscita commedia MGM ambientata in locali notturni di dubbia moralità, con una Jean Simmons meno angelicale del consueto ed Anthony Franciosa. Quattro donne aspettano ( , 1957) è un melodramma MGM in Cinemascope che ha per protagoniste ancora Jean Simmons, Joan Fontaine e Piper Laurie, che si contendono le attenzioni di Paul Newman nel ruolo di un marine di stanza a Christchurch, in Nuova Zelanda. In questo lungometraggio alcune riprese in interni sono realizzate con una magistrale attenzione alla diffusione della luce radente dalle finestre, sostanzialmente alla maniera di Tourneur, ma tutto sommato non si registrano innovazioni o posizionamenti di macchina memorabili. Mare caldo (Run Silent Run Deep , 1958) è un war movie United Artists basato sul romanzo del comandante Edward L. Beach Jr., che durante la Seconda guerra mondiale aveva combattuto alle Midway, con protagonisti d’eccezione come Clark Gable, Burt Lancaster e Jack Warden. Non voglio morire (I want to live! , 1958) è un intenso spaccato di vita carceraria che ha permesso a Susan Hayward di conquistare un più che meritato Oscar come attrice protagonista, nel quale le riprese della camera a gas in cui sta per aver luogo l’esecuzione fecero cambiare idea a non pochi americani sulla compatibilità della pena di morte con la Costituzione degli USA. Il tema razziale, che Hollywood faceva di tutto per non affrontare mai di petto, è al centro di Strategia di una rapina ( , 1958), crime drama girato in vari quartieri di New York per la United Artists con un Harry Belafonte 31enne (che si cimenta anche nella colonna sonora) e un nevrotico Robert Ryan attraversato da crescenti pulsioni razziste. Jean-Pierre Melville possedeva una copia personale di questo film in 35 mm. e ha confessato di averlo visto almeno 80 volte, a tal punto lo considerava ben fatto, mentre James Ellroy lo ha definito «il miglior film su una rapina non riuscita che sia mai stato girato»29 . L’anno seguente ci sarà la super-produzione di West Side Story , con cui Wise conquisterà il suo primo Oscar come regista e la pellicola lo vincerà come miglior film. È poi la volta dello psicodramma La ragazza del quartiere ( , 1962), adattamento di una pièce teatrale di William Gibson che aveva avuto un discreto successo a Broadway un paio di stagioni prima, con Robert Mitchum e Shirley MacLane, girato in Panavision con procedimento anamorfico. Ma l’ultimo lungometraggio in B/N di Robert Wise sul quale è opportuno e necessario soffermarsi, per molte ragioni, non può che essere Gli invasati (The

29 Cfr. https://www.imdb.com/title/tt0053133/trivia?ref_=tt_trv_trv .

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Haunting , 1963), prodotto dalla Argyle e girato anch’esso in Panavision con procedimento anamorfico (formato d’immagine di 2,35:1), con Claire Bloom e Julie Harris. Con questo lavoro Wise dice addio al bianco e nero, e lo fa cimentandosi allo stesso tempo col suo mentore di inizio carriera, Val Lewton, dimostrando che quella lezione è ormai perfettamente appresa e perfino superata. Di questo film è stato detto che a tal punto si basa sulla credenza nei fantasmi «che, prima della fine, sarà riuscito a far credere ai fantasmi anche il pubblico»30 . Ma a noi qui interessa soprattutto l’aspetto tecnico e, per apprezzarne i caratteri, occorre ricordare che al momento delle riprese, che hanno avuto luogo in Inghilterra tra ottobre e dicembre del 1962, Wise aveva ormai 52 anni, aveva girato più di trenta film, molti dei quali erano stati dei grandi successi internazionali, era letteralmente coccolato dalle case di produzione, adorato dagli attori, e insomma non doveva dimostrare più nulla a nessuno. Eppure il cineasta avverte il bisogno di speri- mentare trame complesse e posizionamenti di macchina che possiamo definire estremi, in parte debitori della lezione di altri grandi maestri del B/N come Siodmak o Preminger, come per ribadire che si può avere coraggio registico anche dopo i cinquant’anni. Peraltro, si tratta di un horror molto particolare, intensamente claustrofobico e nel quale la traccia narrativa è molto ridotta: uno scienziato accetta di visitare una casa che si ritiene infestata dai fantasmi per dimostrarne la non esistenza. Queste le sue intenzioni, ma mal gliene incolse.

Un posizionamento di macchina come quello nel fotogramma sopra riportato è semplicemente magistrale, oltre che spregiudicato. Il suo effetto sullo spettatore è ovviamente moltiplicato dal fortissimo contrasto del B/N e dalla profondità di campo data dalla parte superiore dello scalone, che a sua volta è illuminata solo

30 W.D. Gehring, Robert Wise. Shadowlands , cit., p. 232 (trad. mia).

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quanto basta per trasmettere la sua posizione nello spazio e sedurre la vista dello spettatore affinché partecipi all’atmosfera lugubre degli ambienti. Non c’è da stupirsi se altri registi si siano ispirati ad una simile idea, dalle produzioni horror degli anni ’70 fino a Il cigno nero (2010) di Aronofsky: sequenze del genere sono delle vere e proprie lezioni di cinema, e ce ne sono svariate in questo film. A coronamento della sua lunga carriera, e dopo aver portato sullo schermo anche il primo (e probabilmente il migliore, vedi la set still seguente) lungometraggio della serie Star Trek (1979), Robert Wise fu nominato direttore della Directors Guild of America (1971-1975), presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences dal 1984 al 1987, nonché membro permanente del Comitato Direttivo dell’American Film Institute. Negli ultimi anni della sua vita si è occupato delle riedizioni dei suoi film, realizzando diversi commenti d’autore come extra dei suoi lungometraggi in Dvd. Un infarto lo ha portato via il 14 settembre 2005, all’età di 91 anni. Da tempo abitava in una villa di Westwood, a soli 12 chilometri di distanza dall’amata Hollywood.

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