Una Finestra Vistalago

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Una Finestra Vistalago Caro Lettore, in questi giorni virali giunge quanto mai opportuno il consiglio di trascorrere parte del tempo leggendo un buon libro. Vero è che anche le librerie, non certo uno dei luoghi più frequentati al mondo, soggiacciono alle misure restrittive e sono chiuse. Ma la tecnologia ci permette di tollerare l’as- sedio del virus ricorrendo agli e-book. Non certo una sco- perta si dirà e non posso che concordare. Una novità però c’è, sorta di mano simbolicamente tesa, ed è l’iniziativa del mio editore di offrirne gratuitamente uno. Adesso viene il bello. Trattasi di Una finestra vistalago. Sarà lui a dover soste- nere l’impegnativa parte del buon libro da leggere per oc- cupare un po’ di tempo. Sono curioso di vedere come andrà. Che dire ancora? Buona lettura, sursum corda e, massì!, esageriamo, ad maiora! Andrea Vitali elefanti bestseller Andrea Vitali Una finestra vistalago Garzanti www.garzanti.it facebook.com/Garzanti @garzantilibri www.illibraio.it Sito dell’Autore: www.andreavitali.info In copertina: © Photonica ISBN 978-88-11-13325-4 © 2003, 2011, Garzanti S.r.l., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione digitale: 2011 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. UNA FINESTRA VISTALAGO 1 Ar.Ca.Vi. stava per Arrigoni, Cattaneo, Vitali. Società a­ nonima. Fondata nel 1919 da Quintiliano Arrigoni per lo sviluppo di progetti utili alla lavorazione della seta. Nel 1922 i tre soci ebbero il colpo di fortuna, ideando e producendo un macchinario che serviva a disfare i boz­ zoli, lavoro sino ad allora eseguito manualmente. L’anima del successo commerciale della straordinaria macchina fu il comasco Gabriele del Dossi. Costui girava il mondo intrattenendo rapporti d’affari e d’amicizia coi corrispondenti degli industriali lariani. Amava, per que­ sto, definirsi ambasciatore della seta. Visto il progetto, il del Dossi comprese immediata­ mente che la macchina sfogliabozzoli avrebbe rivoluzio­ nato la lavorazione della seta. Riuscì a venderla dapper­ tutto e la fortuna dei tre fu fatta. Nel 1924 Quintiliano Arrigoni divenne presidente del­ la Banca del Mandamento di Bellano. A titolo di ricono­ scenza offrì al comasco un posto nel consiglio di ammi­ nistrazione. L’amicizia tra i due si rinsaldò ulteriormen­ te. Già da tempo, infatti, il del Dossi aveva preso l’abitu­ dine di salirsene a Bellano, di tanto in tanto, per passare qualche giorno presso la villa dell’amico. Scapolo inveterato, il comasco aveva un rispetto quasi religioso di quelle giornate bellanesi. Con occhio da uo­ mo di mondo le considerava pause salutari, necessarie 7 per depurare il fisico dai continui viaggi, dalle cene, dal­ le trattative, dalle avventure. Amava i composti spettacoli che il paese offriva: il fiu­ me placido, l’arrivo del treno, l’approdo del battello. Né disprezzava la cucina di casa Arrigoni, i piatti sani, semplici e gustosi che uscivano dalle mani tormentate dall’artrosi di Severa Signorelli, la cuoca. Certi suoi mi­ nestroni avevano il potere di commuovere il del Dossi, ri­ cordandogli quelli dell’infanzia. «È un privilegio poter pranzare e cenare a casa tua», diceva spesso Gabriele all’amico Quintiliano a mo’ di complimento. Tanto privilegio durò sino al 1929. Fu in quell’anno che i due litigarono duramente e l’amicizia si ruppe. 8 2 Severa Signorelli era entrata a servizio in casa Arrigoni nel 1908. Nel 1911 s’era dovuta accollare Gentilina, figlia di sua sorella: un’epidemia di tifo l’aveva resa orfana. La piccola aveva cinque anni. Severa aveva cominciato a por­ tarsela appresso. Col permesso dei padroni la lasciava a giocare nel giardino della villa durante la bella stagione o nella lavanderia d’inverno. La signora Vittoria, moglie di Quintiliano, guardava alla bambinetta con occhio bene­ volo: la considerava una presenza beneaugurante per l’arrivo di quel figlio che non era ancora riuscita a dare a suo marito. A un certo punto Severa aveva smesso di tirarsi dietro Gentilina. Un po’ perché, confermandosi anno dopo an- no la sua sterilità, la presenza di Gentilina aveva comin­ ciato a intristire la signora Vittoria, un po’ perché, essen­ do grandicella, la ragazza le era più utile in casa. Gentilina era riapparsa sulla scena di casa Arrigoni nel 1928. Severa, acciaccata, aveva proposto ai padroni di considerarla come la sua naturale sostituta. Le aveva in­ segnato tutto quello che sapeva, dalla casseula agli gnoc­ chi di zucca, dal pollo in gelatina al minestrone con la codega. La signora Vittoria aveva detto subito sì. La visione di una donna bell’e fatta non le procurava alcun deliquio. Quintiliano s’era accodato alla decisione della moglie, approvando incondizionatamente qualche giorno più 9 tardi, dopo aver constatato l’eguale bontà del minestro­ ne. A metà del 1929, Gentilina aveva dovuto confessare a Severa di essere incinta. Severa, per quanto anchilosata, l’aveva prima di tutto riempita di sberle. Poi aveva voluto sapere. La risposta l’aveva lasciata di stucco: fosse stato qualche popolano il colpevole, sapeva bene come tratta­ re la faccenda. Ma c’erano di mezzo i signori della villa, bisognava andarci piano. Quintiliano Arrigoni, nel frattempo, era stato nomina­ to Cavaliere del Regno. Severa l’aveva voluto incontrare per discutere della fac­ cenda. Quando l’anziana cuoca aveva terminato di par- lare, l’Arrigoni s’era illuminato di un largo sorriso. «Sono un uomo d’onore», aveva risposto. «Non fuggo davanti alle mie responsabilità.» Severa aveva ringraziato il cielo. S’era aspettata dinie­ ghi, aveva trovato un sorriso. Evidentemente, aveva pen­ sato, il Cavaliere del Regno era felice di aver dimostrato anche solo a sé stesso di poter generare: la secca era sua moglie, non lui. Tuttavia, da quella donna onesta che era, Severa aveva fatto notare che, secondo la confessione estorta a Genti­ lina, anche il del Dossi poteva essere indiziato. «Lo escludo», aveva reagito con veemenza Quintilia­ no. «Nella maniera più assoluta.» La pulce, però, gli era rimasta nell’orecchio. Alla pri­ ma occasione aveva voluto indagare. Una sera, dopo cena, restato a tavola solo col comasco, aveva assunto un atteggiamento confidenziale e, passo do­ po passo, aveva tirato il del Dossi sull’argomento delle donne per giungere infine a parlare di Gentilina. «Quelle di classe», aveva detto Quintiliano, «sono a volte sin troppo sfiziose. Di tanto in tanto una popolana ci vuole.» «Anche loro hanno dei pregi», aveva sentenziato il del Dossi. 10 «Una come Gentilina», l’aveva provocato l’Arrigoni, «tu, te la porteresti a letto?» Il del Dossi, ingobbendosi verso di lui e mettendogli una mano sul braccio, aveva risposto: «Se ti confessassi d’averlo già fatto?» Quintiliano s’era imporporato. «Dici sul serio?» aveva chiesto, tenendo a freno il tono della voce. «E ti pare che scherzi?» All’Arrigoni erano scappati i cavalli. S’era alzato di scatto, ribaltando la sedia. «In casa mia?» aveva gridato. L’altro l’aveva guardato, paralizzato dal repentino cambiamento. «Fuori di qua!» «Ma...» aveva tentato di obiettare il comasco. «Fuori! Vigliacco! Approfittatore!» L’aveva estromesso da casa, nonostante fosse già notte. «Non farti mai più rivedere qui», gli aveva gridato dal cancello del giardino. Il giorno seguente, Quintiliano aveva voluto rivedere Severa. L’aveva tranquillizzata. «Non ci sono dubbi», aveva detto. «Il padre sono io. Ho parlato col del Dossi e abbiamo chiarito la cosa.» Come poteva ben capire, aveva poi aggiunto, lui non poteva riconoscere il nascituro. Ma né lei né Gentilina a­ vrebbero dovuto preoccuparsi: con discrezione, avrebbe pensato lui a tutte le necessità. Quale che fosse il sesso, al bambino non sarebbe mancato nulla. Severa, commossa, aveva promesso che sia lei sia la ni- pote sarebbero state due tombe. «Se sarà femmina si chiamerà Cristina, come mia ma­ dre», aveva ordinato l’Arrigoni. «Se maschio gli mettere­ mo il nome di mio padre, Giuseppe.» «Speriamo che sia maschio», aveva detto Severa. Maschio era stato. 11 3 Quando, nel 1930, il bambino nacque, Quintiliano a­ veva già dato più di una dimostrazione di non aver parla­ to a vanvera: teneva fede alla parola. Soprattutto, aveva brigato e tramato al fine di trovare un marito per Gentilina, cosa che infine era riuscito a fa­ re con la fondamentale collaborazione del prevosto, don Giuseppe Arrigoni. Il giovane si chiamava Federico e pure lui faceva Arri­ goni di cognome. La coincidenza contribuì ad accresce­ re la felicità di Quintiliano. Fu, questa, una delle ultime gioie della vita del Cava­ liere del Regno. Nel 1932 infatti sua moglie Vittoria morì. Nel 1933 lui patì un infarto. Su consiglio del medi­ co abbandonò il mondo degli affari e, dal 1934, si ritirò a vivere solitario nell’immensa villa di Bellano, vuota di o­ gni rumore. Vuoi per la solitudine, vuoi per le precarie condizioni di salute, Quintiliano cominciò a deperire. Seguirono an- ni infelici. Quintiliano un po’ entrava in ospedale un po’ stava a casa. Con cautela, il suo medico cominciò a consi­ gliargli di prendere in considerazione l’idea di cambiare: ce n’erano, gli disse, di posti di lusso dove andare, stando in compagnia, accuditi e coccolati come infanti. I soldi non gli mancavano. «In un ricovero mai», ribatteva Quintiliano. «Alberghi, sono alberghi», correggeva il dottore. 12 Quintiliano tenne duro, nonostante il diabete che si pa­ lesò nel corso del 1939, per tutta la durata della guerra. Nessuno poteva sapere che a mantenerlo saldo in quel- la decisione era il pensiero di provvedere, come da paro­ la data, alle necessità del piccolo Giuseppe, che rimase orfano di padre il 10 luglio 1941, durante la battaglia di Punta Stilo. L’incrociatore sui cui Federico Arrigoni era imbarcato venne affondato, di lui non si seppe più nulla. Alla fine della guerra, però, non ci fu santo che tenne.
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