L a C hiesa di San Maurizio in Milano

il Monastero Maggiore E LE SUE DUE TORRI

LA CHIESA DI SAN MAURIZIO IN MILANO N ihil obstat. Mediolani, die i8 Jan. 1914 Presb. A chtlles R a t t i.

Imprimatur In Curia Arch. Mediolani, die 14 Feb. 1914 Can. H enricus Mo n t o n a ti, Provic. Gen. LA CHIESA SAN MAURIZIO IN MILANO.

IL MONASTERO MAGGIORE E LE SUE DUE TORRI

Memorie raccolte dal Sacerdote Ism aele R ossi compiendosi il quinto lustro di sua residenza presso la chiesa dì S. Maurizio ed in occasione dei restauri in essa iniziati

CON 88 ILLUSTRAZIONI

MILANO • A • D • MCMXIV

AL lettore,

L'intento del presente libro è quello di fa re conoscere ed apprezzare maggiormente la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore. In esso sono raccolte ed ordinate, alla meglio, le notizie più interessanti che si trovano sparse in altri libri, e negli Archivi, ed il lettore potrà giovarsene, venendo guidato ad ammirare i tesori d'arte profusi nel sacro edificio. Anche il desiderio di sapere le particolarità che riguar- davano l'antico Monastero Maggiore, e le altre che si rife­ riscono alle due torri esistenti dietro la chiesa, può ritrarre il suo appagamento da questo opuscolo. Un buon numero d'illustrazioni contribuisce a renderne piacevole la lettura, mentre coopera a fa r conseguire con facilità e diletto lo scopo prefisso. Molte sono riprodotte, per cortesia dell’ illustre Senatore Luca Beltrami, dal suo volume: il Luini, ed il sottoscritto è ben lieto di ringraziarlo anche da questa pagina. Le notizie intorno al pittore Bernardino Luini, sono pure attinte da quel volume ; ma si noti, a maggiore esat­ tezza, che se le opere attribuite a Lui, coll'autorità dei documenti, non si ritengono anteriori all’ anno 1512 (vedi pag. 18) in una tavola segnalata di questi giorni in Parigi, nel Mìiseo facquemart-André, rappresentante la Madonna col Bambino sulle ginocchia, tra S. Agostino e S. Marghe­ rita, due angioletti a ’ suoi piedi, con la scritta: Bernardin Mediolanensis faciebat Md v il, secondo recentissime congetture dello stesso Sen.re A r c h i0 L . Beltrami, si può riconoscere il primo lavoro del Luini, da ricollegare alla VI pala conservata nella chiesa di S. Maria della Passione in Milano. A compire, poi, la lista delle spese occorse per le pitture della cassa dell'organo, esposta a pag. 116 , s ’aggiunge la seguente:

A rchivio di S t a t o , C on ven ti. B usta 439 (Monastero Magg io re). 1556. Spexa per dipingere la Cassa del organo del Monasterio Mazore de Milano facta per maestro Francesco de Medici de Seregno depinctore : Prima per foglie 2080 de oro per adornare la rimossa et cornixoni de la Cassa a soldi 55 il c e n t o ...... L. 77 soldi — E per n.° 15 smalto di fiandra a soldi 5 per l i b r a ...... » 5 » — E per n.° 5 biancha a soldi 5 per libra » I » 5 E per gesso sottille per libre 50 gesso soldi 30 » 4 » — E per negro t r i t o ...... » I » I E Endegho fino ...... » I » — E per senaprio libre 1 e onze 4 ...... » 2 » — E per bono a rm in io ...... » — » 15 E per verde azuro ...... » I » I E per c o l l a ...... » I » — E per terra g ia ld a ...... » — » 5 E per terra d u m b ra ...... » — » 5 L. 164 soldi 12 E per opere 19 fate per maestro Francesco con il garzone a soldi 55 1 una .... » 52 » 5 Eper opere 72 fate per Hieronimo suo fiolo con il garzone a soldi 55 1 una .... »198 » — Eper opere 8 fate per maestro Aluiso a soldi 20 1 u n a ...... » s » —

L. 423 soldi 17 E per depingere il corpo del organo per mil- lara 8 centellara 4 oro di foglia per ado­ rare a soldi 55 il centenaro...... » 231 » VII

Riporto . L. 231 soldi —

E per onze 13 azuro a soldi 23 per onza . » U » I9 E per gesso grosso et gesso da oro con bon arminio in c o l l a ...... » 6 » --- E per altri diversi colori...... » 6 » --- L. 267 soldi 19 E per mercede de maestro Francesco depin- ctore per quella fattura...... » 312 » I

L. 57° soldi —

Speza de depingere in avanti del Cornixono fino al fondo della Cassa et il cornixono : Per centenara 4 e mezo oro di foglia per do- rare a soldi 55 per centenara .... L. 12 soldi 7,6 E per mercede del depinctore et per la doratura » 12 » 7,6 E per oro posto a dorare dal cornixono fino al fondo dela cassa centenara 9 ...... » 24 » 15 e per verdo et azuro onze 7 a soldi io per onza » 3 » IO e per azuro onze 8 ...... » 8 » — e per gesso collori et c o lla ...... » 3 » IO L. 64 soldi io e per opere 16 fate per il depenctore al lavoro fato del Cornixono abasso a soldi 55 1 una » 44 » — L. 108 soldi io E per depinctura dele ante del orghano de dentro et de fora .... »330 » --- »108 » IO »570 » — »422 » 17 L. 1431 soldi 7

De lavoro per tanto Importa la speza et opera del orghano como per lista L. 1431:7. E per lavoro fato di nuovo L. 189.

1 Aprile 1914.

S a c .te Is m a e l e R o s si.

PARTE PRIMA

LA CHIESA DI SAN MAURIZIO IN MILANO. L a F a c c i a t a d e l l a C h i e s a d i S a n M a u r i z i o .

Fot. Ing. Bolloni. LA CHIESA DI SAN MAURIZIO

AL MONASTERO MAGGIORE IN MILANO

E poca e struttura architettonica di questa ch iesa.

a chiesa di San Maurizio in Milano, chiamata comu­ nemente chiesa del Monastero Maggiore o di San Maurizio al Monastero Mag­ giore, trovasi sul principio del corso Magenta e si protende nella via Bernardino Luini. È uno dei monumenti più notevoli del­ l’arte del cinquecento sorti in Milano. Essa si distingue per la sua particolare struttura architettonica e per le decorazioni di cui Bernardino Luini ed altri pittori 1’ hanno frescata. Una piccola lastra, murata nella pa­ rete posteriore della chiesa, recante in ri­ lievo una piccola croce ed incise le parole : lapis primarius con le cifre 1503, ricorda l’anno nel quale fu posta la prima pietra. La pianta è un rettangolo occupato da una sola navata, divisa in due parti da una grande parete trasversale ; la parte anteriore verso il corso è destinata per il popolo, la posteriore lo era per le religiose. La prima parte è divisa in quattro cam­ pate e quella delle monache in sei ; esse sono percorse da uno stesso motivo archi- tettonico con due ordini, l’uno sovrapposto Pianta generale della Chiesa. Corso Magenta. all’altro. L ’ordine inferiore è costituito da lesene doriche, tra le quali si svolgono delle arcate con sfondi sotto volte a botte; la trabeazione elegante serve di parapetto ai loggiati sovrastanti le cappelle, i quali sono in comunicazione per un loggiato più stretto aperto nella grossa parete della fac­ ciata. L ’ordine superiore è anch’esso dorico: tra le lesene si svi­ luppa una delicata combinazione di graziose colonnine di pietra che sorreggono gli architravi bene proporzionati dietro i quali si ripetono le volte a botte illuminate da alte finestre. Al di sopra della trabeazione due cordonature si elevano diagonalmente come a sostegno e ad ornamento dell’ ampia volta a botte che copre tutta la navata.

E' rimarchevole in questa grandiosa struttura l'assenza di qualsiasi legamento in ferro, a supplire la quale i muri trasversi dissimulati nell’organismo delle cappelle e del loggiato superiore facendo l’ufficio di solide speronature, contrastano le spinte della volta. Sul muro trasversale, nella parte della navata per il popolo, sono disposti sei scomparti: tre nell’ordine inferiore e tre nel superiore. Nello scomparto mediano dell’ ordine inferiore sta eretto l’altare grande, tra due lesene in marmo di breccia co­ lorata; negli scomparti laterali si ripete il motivo architettonico delle cappelle, ma senza sfondi e colle lesene su basamento di­ minuito per la elevazione del pavimento al di sopra del piano della chiesa ; nell’ordine superiore si presentano tra le lesene tre rettangoli, corrispondenti in larghezza ai comparti inferiori. Nella parte di navata, detta posteriore, o chiesa monastica, ossia coro, e precisamente nella campata che s’innesta alla parete divisoria, l’organismo dell’edificio si trasforma: un arco abbas­ sato s’ imposta alle lesene dei fianchi della navata, sopra grosse lesene di rinforzo; mediante archi minori si congiunge al grande muro divisorio ed agli sfondi, e sostiene un ampio terrazzo al piano dei loggiati laterali. La combinazione è singolare, ardita, tanto più che il muro trasversale poggia e s’ arresta sul pavi­ mento, rimanendo privo affatto di fondamenta ; si noti qui che il sotterraneo esisteva soltanto per questa parte di chiesa e si estendeva dalla parete minore fin sotto la balaustrata che chiude il presbiterio nella chiesa del popolo. La combinazione tuttavia è solidissima per il rannodamento dei piani e delle piccole volte triangolari che sorreggono il ter­ razzo, al quale serve di parapetto la trabeazione. Il pavimento è rialzato al piano del presbiterio; perciò le lesene non hanno basamento come quelle della chiesa del pub­ blico; soltanto le quattro lesene della parete minore del rettan­ golo fanno eccezione, avendo ciascuna un basso piedestallo. L ’edificio è coperto da tetto a capanna, sostenuto alle estremità da dieci archi, alti, che corrispondono alle dieci campate interne. Lo sfondo degli archi esterni presenta alcuni resti di dipinti. Lungo i due fianchi si protendono due ale di tetto che co­ prono i loggiati.

L’arch itetto G ian G iacomo D olcebo n o.

Il disegno della chiesa è attribuito a Gian Giacomo Dolce­ bono, pavese. Di lui si sa che nel 1473 trovavasi in Milano a decorare una cappella della chiesa di San Celso; modestamente allora chia­ mava se stesso: « magistro di taliare prede ». Ma subito ebbe fama di valente architetto, e nel 1488 ebbe da Lodovico il Moro, 6

l’incarico di studiare con Bramante, il progetto della cattedrale di Pavia; nello stesso anno disegnava il campanile e l’architettura interna di una nuova chiesa dedicata alla Vergine, in Lodi, co­ strutta sotto la direzione di Giov. Giacomo Battaggia; nel 1490 eseguiva, coll’arch.1” G. Ant. Amadeo, il modello del tiburio del Duomo di Milano, e nel 1498 quello della cupola ottagonale del Santuario della Madonna dei miracoli, presso San Celso, al quale disegno appose la sua firma coll’appellativo d’architetto: « Dol- cebonus architectus presentís fabrice ». Le monache del Monastero Maggiore, « dame » cospicue per religiosità, per casato, per censo, in quell’età nella quale l’arte era in fiore e l’ architettura in modo particolare ebbe nuovo sviluppo, vennero nella deliberazione di demolire la primitiva chiesa, deteriorata forse per la lunga sua sussistenza di più di cinque secoli. Non stettero quindi in dubbio se affidare l’ o­ pera della nuova chiesa che si voleva tale da assegnare maggior decoro al monastero, al Dolcebono, sebbene, nel 1474, avessero avuto con lui un non lieve litigio. Allora egli era proprietario di un fondo vicino al monastero dalla parte del canale Nirone; occorrendo alcune riparazioni, forse allo stesso canale, le mo­ nache stavano sul sostenere di non esservi tenute, e ne riversavano l’obbligo all’architetto. La contesa fu definita in sfavore di esse che ne dovettero sostenere le spese (Archivio di Stato, busta 439). Da quel tempo erano passati degli anni parecchi, circa ven- totto, più che bastanti perchè i dissapori, inevitabili pur troppo, nelle controversie, fossero sopiti, anzi spenti. L ’occasione per altro si era presentata assai opportuna a sperderne affatto ogni sentore, dovendosene ambo le parti com­ piacersi reciprocamente: il Dolcebono della fiducia di cui si vide onorato dalle monache, queste delle premure di lui, che se ne valse per creare un monumento d’arte singolarissimo in suo genere. Tre anni dopo che la fabbrica era stata incominciata, il Dol­ cebono morì. 11 Sen." L. Beltrami, a pag. 353 del suo volume : Lumi, ne adduce in prova la circostanza che nel febbraio del 1506 i deputati della fabbrica del Duomo procedettero alla no­ mina del successore. Secondo lo stesso illustre autore del Luini, si deve credere che la struttura della chiesa del Monastero Mag­ giore allora fosse già arrivata alle volte, e la decorazione di queste già iniziata, giusta il disegno del Dolcebono. Alla pagina sopra indicata infatti, il Senatore scrisse: « l’ organismo delle volte di San Maurizio colle cordonature diagonali, e la stessa 7 decorazione pittorica negli scomparti rivelano appunto l’opera di un artista molto famigliare all’organismo del Duomo di Milano, quale era appunto il Dolcebono; infatti, come mai si potrebbe spiegare che in un edificio, la cui struttura organica ed architet­ tonica rappresentava il completo abbandono di tutte le tradizioni medioevali, si avesse a decorare la volta col motivo di trafori gotici, se non attribuendo tale anomalia ad una specie di remi­ niscenza subita dall’architetto stesso, che sulle volte del Duomo di Milano aveva veduto, e fors’anco avviato il medesimo motivo? » Sembra pertanto, che la decorazione disegnata dal Dolce­ bono ed eseguita od avviata prima che egli morisse, sia stata quella delle volte del coro, diversa da quella della volta della chiesa del pubblico. Il conte Francesco Malaguzzi Valeri nell’opera sua : Contri­ buto alla storia di San Maurizio in Milano, pubblicata nel gior­ nale della « Società storico lombarda » 1908, tomo I, pag. 325, dimostra che il Dolcebono dev’essere stato l’architetto di questa chiesa, argomentando : Io sul fatto che questo geniale seguace di Bramante abitava presso il Monastero; 2" sull’ epoca in cui s’ incominciò la fabbrica della chiesa; 3° sul richiamo del mate­ riale e delle linee generali di altre costruzioni del Dolcebono.

C ristoforo S olari da C am pione.

A continuare l’opera del Dolcebono fu invitato Cristoforo Solari, da Campione. La sua famiglia fu celebre per avere dato all’arte un gran numero di architetti, pittori e scrittori, molto stimati e ricercati. Cristoforo si distinse nell’architettura ed anche nella scultura, sì che in Roma venne scambiato per Michelangelo. In Milano innalzò la cupola di Santa Maria della Passione; scolpì il Cristo alla colonna nella sagristia meridionale del Duomo, l’Adamo ed Eva sopra il coro del Duomo ed altre statue. Quelle di Lodovico il Moro e di Beatrice nella Certosa di Pavia sono opere sue. La statua di Beatrice va considerata come il suo capolavoro : Cesare Cantù nella storia di Pavia, la indica così : « La si direbbe ancor tepida di vita, con diffusa sulle spalle una capelliera, che la più delicata non può sperarsi di vedere. Se l’avessero scolpita Prassitele o Mirone, come ne andrebbero in estasi i precettori ed in epigrammi i poeti!». L ’opera del Solari però attorno alla chiesa del Monastero 8

Maggiore dovette limitarsi a curare soltanto che il concetto del suo antecessore non avesse a subire modificazioni; così non ebbe modo di esplicarvi concetti propri. Avvenne poi, che fabbricata la chiesa nelle sue parti principali, tanto da potere servire per il culto, se ne sospesero i lavori accessori, e quelli della facciata. Il Solari, quindi, nel 150S, al momento di costrurre la cupola di S. Maria della Passione, a fine di attingere maggiore ispira­ zione, lasciò Milano e recossi a Roma dove il Bramante innalzava la grande cupola del San Pietro. La facciata del San Maurizio non deve essere stata eseguita prima dell’anno 1579, trovandosi nell’Archivio di Stato busta 439 in un libretto col titolo: compere, spese, convenzioni per l’anno 1579, un cenno di « prescrizione dell’ordine e forma colla quale si doveva fabbricare la facciata della chiesa del Monastero ». In essa spicca una grande dissonanza fra i tre ordini infe­ riori : dorico, jonico, corinzio, ed il fastigio, attribuito dal Mon- geri a Francesco Pirovano, vissuto nella seconda metà del secolo XVI. Che il Pirovano abbia lavorato nel Monastero, consta da una nota conservata nella stessa busta 439; quella nota dopo aver ricordato la spesa per diverse opere nel dormitorio, e per le pietre della scalinata della chiesa e degli scalini del portico della « corticella », aggiunge : « et il zoccolo della fazata braccia 22 a s. 3 al brazo L. 41, s. 16. Et per la fattura di accomodar la soija con dui pezzi di pilastrate L. 8. 1581 — Francesco Pirovano, ingegnere ». La facciata è in pietra d’Ornavasso con basamento propor­ zionato e dicesi che avesse due piramidi laterali, le quali, tro­ vate malsicure nel 1826, furono nello stesso anno levate. Sul fastigio ergesi la croce in ferro, tra le palme e al di­ sopra del simulacro del sole. È un’allusione al trionfo del cri­ stianesimo sopra il paganesimo, rappresentato nel sole ; ed è un ricordo del tempio dedicato a Giove che credesi fosse situato nelle adiacenti località. Da questo tempio, secondo l’afferma­ zione di Fra Paolo Morigia citato dal Lattuada, vennero trasfe­ rite alla Basilica Ambrosiana le quattro colonne di porfido, che ivi sostengono il tempietto, detto tribuna, dell’ altare maggiore. La croce sul fastigio appare tra le palme dei martiri, perchè il tempio è dedicato ai Santi Martiri Maurizio, capitano della legione Tebea e Sigismondo, re di Borgogna. Nell’anno 1896 il fastigio fu rinnovato colle due colonnine laterali, ed in pari tempo venne riparato interamente il tetto e ARAZZO.

Mosè salvato dalle acque. ARAZZO.

Vocazione di Mosè. — II — restaurata in parte anche la facciata. I lavori di restauro della facciata si dovettero sospendere per mancanza di denaro, benché per tali riparazioni e ristauri, pur troppo, si siano venduti nel maggio di quello stesso anno, quattro bellissimi arazzi al prezzo di L. 11.600, rappresentanti quattro episodi della vita di Mosè: Mosè salvato dalle acque e Mosè che percuote la rupe a farne scaturire acqua era rappresentato sopra due arazzi che misura­ vano m. 3,70 d’altezza e m. 3,35 di larghezza; Mosè chiamato dal Signore, e Mosè colle tavole della legge occupava due altri arazzi di m. 3,80 per m. 2,75. Appiede di ciaschedun arazzo leg- gevasi il nome: Jan Leyniers. Non andrebbe lungi dal vero chi pensasse che tali arazzi fossero stati parte di dote o di eredità di qualche dama claustrale del Monastero Maggiore. La vendita di questi arazzi fu fatta dalla Ven. Fabbriceria di S. M. alla Porta in seguito a dispaccio del Ministero della pubblica istruzione in data 22 luglio 1895 N. 6306, e coll’auto­ rizzazione del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti in data 27 marzo 1896. Il compratore ne fu il signor Alessandro Scavini di Intra (Archivio di Santa Maria alla Porta N. 36 di repertorio, 177 di protocollo). All’esterno, il fianco sinistro della chiesa, coi due ordini in­ feriori, s’appoggiava in parte ad antica costruzione ed in parte ai portici demoliti per lasciare spazio alla via Bernardino Lumi, come si dirà più avanti. Presentandosi quindi quel fianco scalci­ nato, nel 1872 ebbe dal pittore Angelo Colla l’ordinamento archi- tettonico corrispondente a quello della facciata (Archivio della Fabbriceria di Santa Maria alla Porta, busta N. 44 ).

Memorie di alcu n e d elle opere di restauro COMPIUTE A CURA d e ll’O n . C ommissione C onservatrice dei Monum enti.

Nell’ Archivio storico lombardo, giornale della « Società sto­ rico lombarda » si hanno ordinate ed accurate memorie delle adunanze tenute dall’On. Commissione conservatrice pei monu­ menti della Provincia di Milano, allo scopo di studiare e di pro­ movere le restaurazioni della chiesa di San Maurizio. Nel vol. II, serie II dello stesso giornale, a pag. 818 tra gli atti dell’anno 1893 trovasi ricordato quello dell’Ufficio Re­ gionale per la conservazione dei monumenti, che dà voto favo- ARAZZO.

Mosè percuote la rupe. ARAZZO.

Mosè colle tavole della legge ed il culto del vitello d’oro. 14 revoie alla Veneranda Fabbrlceria'di Santa Maria alla Porta circa la vendita di quattro arazzi per adoperarne il ricavo a vantaggio del restauro della facciata della chiesa. Nel vol. VI serie III a pag. 393, anno 1894, si determinano i lavori da eseguire pel tetto, per la facciata e per il risana­ mento della chiesa al lato ovest, onde arrestare l’ umidità. Per le spese occorrenti si assegna il ricavo della vendita dei quattro arazzi. Nel vol. IX, serie III, a pag. 132 Ieggesi come in data 26 ottobre 1S96 « si è constatato che la parte superiore della fronte della chiesa si trova in condizioni assai deplorevoli e ri­ chiede d’essere riparata. Si stabilisce l’ indirizzo pei lavori, e l’ufficio attende alle pratiche necessarie per assicurare i fondi occorrenti ai lavori stessi ». Nel vol. XII, stessa serie III, a pag. 179 e 181, anno 1899, si offrono a vedere due disegni della facciata, si rileva che le condizioni della parte superiore di questa chiesa sono gravi e per togliere ogni causa di danno alla medesima ed agli affreschi che l’adornano, bisognerebbe sistemare radicalmente la fronte special- mente in quella parte più alta, la quale per essere inaccessibile e quindi più difficilmente riparata, abbisogna di essere posta in condizioni di poter resistere alle ingiurie del tempo. La V. Fabbriceria di Santa Maria alla Porta non trovasi in grado di concorrere alle spese, ed i lavori si restringono alla somma ricavata dalla vendita dei quattro arazzi. La spesa con nolo dei ponti di servizio, non supera la somma di L. 6000. Se però non si ottiene un completo restauro, si compie un’opera ordinata ad arrestare il deterioramento. (In vero la facciata, nelle sue parti inferiori non venne restaurata). A pag. 179 dello stesso volume si fa notare che « il marmo di Ornavasso usato per questo lavoro è quello stesso che ha servito con cattivo risultato ad altre costruzioni della medesima epoca, ma nel caso attuale esso ha fatto peggiore prova, perchè questa chiesa, non essendo orientata, ha la sua fronte rivolta a nord e quindi più esposta ai deterioramenti ». Prima di chiudere questa breve recensione è opportuno no­ tare che quando verso 1’ anno 1894, si stavano determinando i lavori da eseguire per il tetto della chiesa, volendosene assicu­ rare la statica, non mancò la proposta dell’ immissione dei ti­ ranti di ferro. L ’ immissione non fu fatta, grazie all’ illustre Se­ natore L. Beltrami che la sconsigliò nell’intento di conservare al San Maurizio uno dei migliori suoi pregi, che è quello di essere sprovveduto di qualsiasi legamento in ferro. La chiesa di S. Maurizio, al Monastero Maggiore, in Milano — Parte anteriore. Fot. Brogl. i6

D ecorazione d e ll’ interno della c h ie sa .

La chiesa, al di dentro, nelle sue due parti è interamente dipinta. Il Mongeri la chiama un gioiello d’arte. Cesare Cantù ed il Romussi l’hanno chiamata: meravigliosa pinacoteca luinesca e vera galleria di scuola lombarda, dove non esiste un palmo di parete che non sia dipinto. La pittura vi si disposa all’architettura e mentre l’una e l’altra vi dominano con grande maestà, con soavissima armonia cooperano a darsi vicen­ devole risalto. I colori si svolgono sulle volte in decorazione a trafori go­ tici, somigliante, come fu detto, alla decorazione del tiburio del Duomo di Milano. Dalle volte i colori si diffondono nelle tra­ beazioni, sulle lesene, sulle pareti, sotto le volte, nei pennacchi, negli svolti, negl’interspazi, formando motivi nuovi, fregi di mi­ rabile varietà, rappresentando sfondi, incarnando figure di an­ gioli, di santi, di personaggi storici, formando ricchi paluda­ menti, trattando pose di difficile esecuzione col pennello. Da uno sguardo sommario è facile rilevare che gli autori dei dipinti furono diversi. Il Bernardino Luini primeggia fra tutti gli altri che sono il Campi, il Calisto Piazza, forse il Ber- gognone, il Boltraffio ai quali si aggiungono il Peterazzano, il ed i figli dello stesso Luini.

B ernardino L uini.

Si fecero lagnanze perchè non si siano conservati i docu­ menti delle opere del Luini, quali potevano essere i conti delle spese, dei pagamenti. Ma in verità, la potenza del Luini si ma­ nifesta nelle opere sue anche senza quei documenti. In S. Mau­ rizio quella potenza grandeggia su tutta la parete trasversale che si prospetta dalla chiesa del popolo, poi nella cappella di S. Ca­ terina, e sulla parete, sotto il terrazzo nel coro. L ’illustre Senatore L. Beltrami a pag. 359 del Luini induce a ritenere « che tutta quest’opera grandiosa sia stata ordinata al Luini da Alessandro Bentivoglio, nell’occasione che la sua figlia Alessandra prese il velo nel Monastero Maggiore, verso l’anno 1522 ». Può essere stato pertanto, che le note dei pagamenti fatti al Bernardino Luini sieno passate agli stessi Bentivoglio i quali 17 si valsero della circostanza dell’ ingresso di Alessandra in reli­ gione, per prendere in particolare protezione il Monastero Mag­ giore, e per lasciare anche in Milano, traccie di quell’amore per le arti che ebbero tradizionale nella famiglia. Intorno a Bernardino Lumi non si hanno che rarissime no­ tizie ; sono mal fondate quelle che ne indicano la nascita circa l’anno 1460; queste notizie sembrano dedotte da un atto del 3 marzo 1473 del notaio di Milano Giovanni Carnisio, nel quale atto citasi un tale Bernardino figlio di Giov. Loterio, ritenuto erroneamente per il pittore. Si fece qui purtroppo, una deplo­ revole sostituzione di persone, che facilmente e certamente si sarebbe evitata qualora si fosse avvertito che quel figliolo di Giov. Loterio era detenuto per avere percosso e ferito alla testa un famigliare del castellano di Porto Valtravaglia ; mai non si seppe sia avvenuta una tale circostanza per il pittore del S. Maurizio. Non è accertato neppure che abbia avuto i natali in Luino sul Lago Maggiore. Si leggano in proposito le pagine 601 e 602 della citata opera di Luca Beltrami, « sia egli (il Luini) nato sulle rive di uno dei laghi o in una delle vallate che prospettano il verdeggiante piano lombardo, oppure in Milano, nel focolare stesso della vita intellettuale e del movimento artistico sul finire del secolo XV, Bernardino Luini è il figlio e rappresentante di tutta una regione: si direbbe quasi che la sorte stessa abbia voluto togliere valore ad una qualsiasi identificazione di nazionalità, poi­ ché il territorio nel quale la patria del pittore si trova contesa, subiva, vivente lo stesso Luini, i ripetuti smembramenti cagionati dalle vicende politiche : e fu nel 1526, mentre il Luini attendeva ai lavori di Saranno, che Carlo V decideva la restituzione del ducato di Milano, del distretto di Luino e delle valli del Marchi- rolo e Travaglia, già formanti parte, assieme a Lugano, del terri­ torio sotto il dominio di Loterio Rusca. Furono vicende politiche che a lungo funestarono la bella regione; e il Luini..... coll’opera sua apportò il conforto dell’arte, diffondendovi la soavità delle sue vergini, la grazia dei suoi putti, la calma serena delle sue composizioni, nessuna delle quali è turbata da un riflesso delle pubbliche calamità.... figura piena di nobiltà (quella di Luini) resa ancor più degna di rispetto dal costante equilibrio delle sue forze, dall’esempio di un’operosità, nella quale si intravvede la modestia che è propria di colui che con tutta l’anima si concede alla propria missione e nella quale volonterosamente si appaga. Se possiamo rimproverare al Vasari di avere menzionato il Luini

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soltanto in via incidentale, dettando la vita di altri pittori che non seppero del pari mantenersi in fama, dobbiamo essergli ri­ conoscenti per avere egli succintamente delineata la figura mo­ rale dell’artista, scrivendo di lui: fu persona cortese ed amore­ vole molto delle cose sue ; onde se gli convengono meritamente tutte quelle lodi che si deono a qualunche artefice, che con l’or­ namento della cortesia fa non meno risplendere l’ opere e i costumi della vita, che con l’essere excellente quelle dell’arte ».

Da un soffitto, già in casa Lambertenghi - Como.

Dalla lettura del bel volume risulta confermato che Bernar­ dino Luini nacque fra il 14S5 ed il 1490; i primi suoi lavori non si ritengono anteriori al 1512 e se ne accerta la morte fra il feb­ braio ed il giugno del 1532. Ebbe tre figli dei quali si hanno poche memorie; il primogenito, chiamato Evangelista, forse fu l’unico ammaestrato dal padre nella pittura. Gian Pietro fu di poco maggiore del fratello Aurelio nato nel 1530; anche questi furono pittori. Più avanti verrà dato a leggere l’elogio che ne fece Gian Paolo Lomazzo (vedi pag. 77). Quando il Luini ebbe l’incarico di decorare la grande parete trasversale, avevasi già acquistato fama di valentissimo pittore e 19 per potenza d’immaginativa e per spigliatezza nella tecnica ad affresco e per vivacità d’espressioni, caratteri che lo mostrarono sempre emancipato affatto da ogni influenza di maestri e di scuole. Assegnandosi la sua nascita non più nel 1470, ma circa l’anno 1485, si toglie valore all’opinione che abbia subita l’in­ fluenza dei maestri lombardi e dello stesso Leonardo da Vinci, prima di rivelarsi coll’affermazione propria individuale. In S. Maurizio, conviene dapprima riguardare l’opera del­ l’illustre artista nelle parti laterali dell’altare maggiore, dove tra santi e sante volle effigiare i suoi mecenati : Alessandro Benti- voglio colla propria consorte Ippolita Sforza.

A l e s s a n d r o B e n t iv o g l io .

L ’Alessandro si ravvisa nella lunetta, nel lato dell’Evangelo nel personaggio inginocchiato, ravvolto nella zimarra senatoria, nera, foderata di pelli, colla testa coperta di un lieve berretto nero, dal viso pallido, composto a raccoglimento, colla destra mano al petto e con un libriccino aperto nella sinistra. Fu egli dei duca di Bologna, della famiglia venuta dal castello Benti­ voglio, posto in quel di Bologna, fra il Savena ed il Reno. Nel secolo XIII, i Bentivoglio erano già rivestiti dei sommi onori della città e fu tradizione che una figliola di Enzo re di Sardegna (t 1272) sia andata sposa a Bentivoglio padre di due chiarissime famiglie, l’una grande per avere dominato per lungo tempo la patria, l’altra più felice per averne aborrito il dominio. Alessandro Bentivoglio nacque nel 1474; i suoi genitori fu­ rono Giovanni II che a soli 20 anni ebbe il principato di Bo­ logna, e Ginevra Sforza figlia di Alessandro o Galeazzo signore di Pesaro, vedova di Santo Bentivoglio. Le vicende di Giovanni II, come quelle degli altri membri della sua famiglia furono agitatissime, umilianti, dolorose. Nel 1506 i suoi rivali o nemici persuasero papa Giulio II a cacciarlo da Bologna (G. Bombaci, Storia di Bologna). Giovanni corse alla difesa, ma come vide che gli stessi fran­ cesi, dai quali la sua dinastia ebbe sempre valido appoggio gli si erano volti contro, perdette ogni speranza, di notte se ne partì coi figli verso Milano, passò a Genova, ma poi col figlio Ales­ sandro dovette ritornarsene a Milano. La moglie Ginevra, donna impetuosa, avida di signoria, ma Alessandro Bentivoglio.

Fot. Gigi Bassani. 21 soffrendo d’esserne priva, eccitò i figli Annibale ed Ermete a radunare soldati per riprendere Bologna. L ’occupazione fu ten­ tata nel 1508 ma fallì; ed il loro palazzo, ch’era uno dei più belli d’Italia, fu incendiato. Giovanni, in Milano, andò incarce­ rato finché non riuscì a provare d’essere stato estraneo a quel fatto. Ginevra, rimproverata da lui per il suo tentativo temerario, si afflisse in modo che ne morì. Poco dopo Giovanni la seguì nella tomba, morto di crepacuore, senza il conforto di vedersi assistito nella sua penosa agonia da alcuno dei suoi figli. Lo stesso Alessandro, che gli fu stato sempre caro compagno, trova- vasi alla corte di Francia dov’era stato citato a giustificarsi del­ l’accaduto in Bologna. Non per questo Annibaie ed Ermete si ristettero dal riten­ tare la ripresa di Bologna nel 1511 e nel 1522. Riuscito vano ogni loro sforzo, abbandonarono per sempre la città. L’Alessandro, intanto, s’era dato alla causa degli Sforza. Il lettore può ricordare come il ducato di Milano fosse al­ lora conteso tra il re di Francia Lodovico XII e l’ imperatore Massimiliano. I.odovico, vantando di essere discendente da Va­ lentina, figlia di Gian Galeazzo Visconti, andata sposa al fratello di Carlo VI di Francia, con Asti, Alba, più 400000 zecchini d’oro in dote e coll’eventualità di succedere al dominio paterno, cre- devasi in diritto di conquistarsi il ducato, perciò aveva riguar­ dato Lodovico il Moro come usurpatore, l’aveva sconfitto e tratto a languire nel castello di Loche. L ’imperatore Massimiliano, fermo nella persuasione d’essere arbitro del ducato, mostrando compassione pei figli del Moro, era sopraggiunto a liberare i milanesi dal giogo di Francia. Allora si erano avvicendate bat­ taglie dette « giornate da giganti » da quello stesso Gian Gia­ como Trivulzio, patrizio milanese che abbandonò i suoi concit­ tadini per darsi al re di Francia, e dopo avere sostenuto diciotto combattimenti per causa non sua, finì nell’amarezza, e fu sepolto nel vestibolo di S. Nazaro con questa iscrizione:

COLUI CHE MAI NON POSÒ, OR POSA; TACI I I518.

I principali attori in quelle battaglie furono gli svizzeri che vendendosi ora al re ed ora all’ imperatore, rendevano intermi­ nabile la guerra, rimanevano arbitri della vittoria e devastavano i paesi. Deliberarono, poscia, di farsi padroni dello stato mila­ nese ; aspettando il momento opportuno per conquistarselo, nel 1512 diedero il ducato a Massimiliano Sforza, primogenito di Lodovico, affatto inetto al governo. 22

Quando il 6 giugno del 1513 l’armata francese, capitanata da Luigi De la Trémouille e dal maresciallo Trivulzio, riscen­ dendo verso Milano, giunse presso Novara, Alessandro Benti- voglio fu tra i principali condottieri degli svizzeri a sconfiggerla. Ma dopo questo fatto d’arme, Alessandro, forse disgustato della vita scioperata di Massimiliano, e fors’anche dal vedere che gli svizzeri spadroneggiavano e traevano a sè senza pietà i denari del popolo già oppresso da imposte, pare avesse preso a con­ durre vita ritirata, chè gli storici taciono di lui, quando nel 1515 Francesco I, succeduto a Lodovico XII nel regno di Francia, diresse la feroce battaglia di Marignano e costrinse Massimiliano Sforza a rinunciargli il ducato di Milano. Ricomparve invece in Milano circa l’anno 1522. Era imperatore il re di Spagna Carlo il quale appena innalzato al trono cesareo, nel 1519, col titolo di Carlo V, rivolse subito lo sguardo all’usurpato dominio di Fran­ cesco I nel Milanese, e si mise in mente di consegnare il ducato a Francesco Sforza, secondogenito di Lodovico il Moro e dimo­ rante a Trento. Lo Sforza ebbe somme di denaro dall’impera­ tore ed anche dal papa Leone X per assoldare degli svizzeri. Non potevasi presentare momento più opportuno per scendere in Milano, anche perchè i cittadini erano malcontenti assai del governo duro e dispotico di Lautrec maresciallo di Foix. Ales­ sandro Bentivoglio offrì subito sue prestazioni in vantaggio dello Sforza; tuttavia non è detto se fosse coll’armata dei collegati ad impadronirsi di Milano il 19 novembre 1521, ovvero se da Trento sia venuto collo Sforza, il quale il 4 aprile 1522 giunse a Milano « con singolare rallegramento della città, perchè uomo della cui cortesia, temperanza e giustizia, grande era l’opinione nel po­ polo » (Sepulveda). Dev’essersi però distinto per valore contro Lautrec alla bat­ taglia della Bicocca, sulla strada di Monza, avvenuta il 27 aprile di quell’ anno 1522, «e rimasta nella memoria dei Francesi, i quali, per significare che un sito costerebbe molto sangue, e gioverebbe poco acquistandolo, soglion dire: C’est un bicoque» (P. Verri). In seguito a questa giornata infausta per la Francia, che perdette il Milanese, ed in seguito a quella del 3 maggio in cui Lautrec insieme coi suoi militi, superstiti alla disfatta della Bi­ cocca, fu cacciato da Lodi perdendo Pizzighettone e poscia Ge­ nova, il duca nominò senatore il Bentivoglio, gli rinnovò le inve­ stiture di Covo, di Antignate e dello stesso porto di Pizzighettone. 23

In quell’anno appunto, 1522, Bianca Bentivoglio volonterosa offrivasl a Dio per sempre, col nome di Alessandra, nel Mona­ stero Maggiore, sciogliendo forse un voto, giacché un migliore avvenire pareva arridesse a suo padre; il Luini quindi iniziava l’opera sua nella chiesa di S. Maurizio. Sfortunatamente nell’estate del 1524 infierì la pestilenza che fu una delle più funeste e micidiali per Milano. Il re di Francia ne approfittò per scendervi nuovamente e, benché i pochi cittadini scampati dalla peste si preparassero alla difesa del duca, questi seguendo il consiglio di Gerolamo Morone, suo gran cancelliere, ne li dissuase per evitare l’ultimo eccidio della patria , e trasse a vivere con Alessandro Bentivoglio ed altri a Solicino nel Cremonese. Così i francesi s’ impadronirono di Milano. Nel secondo mese dell’anno seguente, 1525, il Bentivoglio, alla testa d’un corpo d’italiani, irruppe a Casalmaggiore contro un drappello di francesi che capitanati da Giov. Lodovico Pal­ lavicino, avrebbero voluto tentare la presa di Cremona, mentre il loro re marciava ad assediare Pavia. Mirabile fu la destrezza di Alessandro in quel combattimento, poiché in breve tempo fece prigioniero il Pallavicino e disperse il presidio francese. Anche Francesco I nella battaglia di Pavia fu sconfitto e fatto prigioniero da Fernando d’Avalos, marchese di Pavia, al comando delle truppe imperiali. Tuttavia le cose volsero in basso per lo Sforza essendo stato accusato come cospiratore contro Carlo V. Nel frattempo Gian Galeazzo Medici, irrequieto castellano di Musso, spodestava il Bentivoglio della rocca di Monguzzo. Ma finalmente sorse l’epoca foriera di tempi più tranquilli per l’Italia col trattato di pace solennemente conchiuso in Bo­ logna il 23 dicembre dell’anno 1529 tra Carlo V, il Papa, Ve­ nezia, Francesco II Sforza, il duca di Savoia, i marchesi di Monferrato e di Mantova. Il ducato di Milano fu restituito a Francesco Sforza il quale non volendo scostarsi dall’ imperatore finché rimaneva in Bologna e non volendo indugiare a ripren­ dere possesso del Milanese, delegò un proprio rappresentante. Il delegato fu Alessandro Bentivoglio e la mattina del 14 gen­ naio 1530, col titolo di viceduca, entrava trionfalmente in Milano accompagnato dai commissari cesarei, dai capitani ed ufficiali principali a pigliarne possesso in nome dello Sforza, a ricevervi il giuramento di fedeltà, ad ordinarvi il governo. Nell’anno 1529, trovandosi in Lodi, dettò il suo testamento 24 in data del 3 agosto. Le principali disposizioni che possono in­ teressare il lettore sono quelle riguardanti la sepoltura eletta nella chiesa dei frati dell’osservanza di S. Francesco in Milano, chiesa detta di Sant’Angelo, ovvero nella chiesa di S. Giacomo in Bo­ logna, nella cappella di sua famiglia, qualora i Bentivoglio si fossero restituiti a quella città. Inoltre sono determinate le disposizioni di dieci scudi d’oro in oro (') all’Ospedale Maggiore di Milano, di cinquanta scudi d’oro in oro alla figlia Bianca, monaca nel Monastero Maggiore col nome d’Alessandra, della rendita di trenta lire imperiali per due messe in ciascuna settimana e per un officio annuale nella sopra detta chiesa di Sant’Angelo, dello spoglio lasciato ai servi che dopo sua morte dovevano vestirsi in nero, della nomina di tutori per la sua bambina Ippolita ancora sui dieci anni, nelle persone del duca Francesco II Sforza, del magnifico signore Alessandro Mazzolo suo cognato, dell’illustrissimo Don Annibaie suo fratello ed in fine dell’eredità per le figlie Ginevra, moglie del marchese di Finario o Finale, Violante, moglie di Giovanni Paolo Sforza ed Ippolita. A memoria di lui la figlia Alessandra pose una lapide in S. Maurizio nella serraglia dell’arcata vicina al ritratto: D. O. M. ALEXANDRO BENTIVOLO VIRO DESIDERATISS. BONONIÆ PRINCIP. MEDIOL. DOMINII PRO FRAN II SFORTIA DUCE MODERATORI JÜSTISS. QUI OMNIBUS PROFUIT NEMINI NOCUIT ALEXANDRA FILIA SACRI HUIUS CŒNOBII VIRGO XPI P. A VIRGINEO PARTU ANNO MDXXXII

Gli storici che si occuparono del Bentivoglio hanno ritenuto che sia morto precisamente nell’anno 1532. Giova sottolineare questa data perchè non si abbia ad accettare per vera la notizia di un antico biografo che Alessandro abbia tenuto al fonte bat­ tesimale Sant’Alessandro Sauli, dell’ordine del chierici regolari di S. Paolo, detti barnabiti, e figlio dell’amico suo Domenico, senatore e presidente del magistrato ordinario. Ormai è accertato

(1) Espressione che si trova nei testamenti del tempo. 25 che il Santo nacque nel 1534 ed in una missiva del duca Fran­ cesco Sforza dell’ 8 maggio 1533 esistente nell’Archivio di Stato di Milano «Atti ducali del 1533» si accenna all’esecuzione delle disposizioni testamentarie del Bentivoglio. Dove sia stato sepolto non è indicato dalla lapide : per altro non consta ch’egli abbia mutato le intenzioni dichiarate nel testa­ mento di essere sepolto in Sant’Angelo in Milano, o in S. Giacomo di Bologna. Pare però che queste disposizioni non siano state mandate ad effetto, perchè da una scrittura che si conserva nel­ l’Archivio storico lombardo, novembre 1913, ed è ritenuta come copia d’una lettera del Cardinale Gaspare Contarino all’ Ales­ sandra Bentivoglio, si viene a sapere che suo padre fu sepolto nella chiesa di San Maurizio, o più precisamente nell’ambito del Monastero Maggiore. La scrittura infatti accenna il Monastero e non la chiesa con queste parole : « Noi, Gaspare Card. Conta­ rino, per questa nostra sottoscritta di nostra mano facciamo fede a voi Donna Alessandra Bentivoglio come questo giorno X X V I di Gennaio M D X L I havemo impetra da N. S. P . P . Paulo I V absolutione di ogni scrupolo di coscienza che rimordesse l ’animo vostro o di altra vostra sorella et monache per avere ricevuto in sepultura nel vostro monastero in Milano il corpo del sign. Ales­ sandro Bentivoglio vostro padre, avendo exposto a S. Santità tutte le cause di scrupoli vostri. Valete in Domino et pregate per noi. Dat. Romee in Palat. Apostolico die XXVI Gennaio Ita est G. C a r d . C o n t a r in u s .

(Questa lettera fu trovata nell’Archivio di Stato, sezione sto­ rica, miscellanea, busta II 118 da L. S. — Archivio storico lom­ bardo, serie IV, 39, pag. 256).

T e s t a m e n t o d i A l e s s a n d r o B e n t iv o g l io .

Cum vita et mors in manti Dei omnipotentis sint meliusque sit sub metu mortis vivere quam sub spe vivendi et ad subitaneam et improvisam mortem devenire et bona sua inordinate relinquere : ideo ego, in Dei nomine Alexander de Bentivoliis filius quondam Donll! Joannis civis bononiensis defuncti moram trahens in vicinia Sancti Egidii ; Laude : sanus mente licet languens aliquantu­ lum corpore deliberavi facere hoc meum presens testamentum... In primis com­ mendo animam meam omnipotenti Deo et Beatæ Mariae virgini et toti curiæ ce- 4 26

lesti... protestor alia condidisse testamenta... sed revoco, casso, irrito et annullo... item jubeo quod si reperirentur aliqua male ablata in me... restituantur... Item quod quando corpus meum effitietur cadaver elligo mihi sepulturam in ecclesia ad onorem fratrum S. Francisci observantiæ in civitate Mediolani nuncupata S. An­ gelli Mediolani in eo loco in quo facirent residentiam ipsi dom fratres cum mo­ nasterio suo in civitate mediolani vel suburbiis ejusdem civitatis ; et casu quo domus mea Bentivolorum restituaret in civitate Bononie, volo quod cadaver ipsum def- feratur in civitate ipsa Bononiæ et reponatur in Ecclesia S. Jacobi in capella ma­ jori antecessorum meorum et etiam ubi videret infrascriptis heredibus meis de consensu Rom Pontificis ipsum cadaver meum portari facere ad dictam civitatem et capellam erit mihi gratum.

Assegna io scudi d’ oro in oro all’ Ospedale Maggiore. Ri­ corda Felice Alberino suo fattore che desiderando di ritornare a Bologna avea presso di lui deposto 150 ducati, ma fu ucciso. Alessandro assegna quella somma agli eredi di Alberino. Vuole sieno salariati i suoi servi. Costituisce tutori alla sua figlia Ip­ polita sui io anni, il duca Francesco II, il Magnifico Signor Ales­ sandro Marzolo suo cognato e D. Annibaie suo fratello. ...Item lego et judico et jure institutionis et alios omnibus meliori modo: relinquo Revdo domnc Blance in seculo nunc nuncupata Alexandra Sfortia monicha in mo- nast. majori Mediolani seu ipsi monast. et diete monastero mediante persona diete doni110 Blance: nunc: Alexandre: et cui eorum prout melius de jure fieri potest et debet filie me legitime et naturali scuta quinquaginta auri et in auro. In quibus eam tacito et tacitam esse volo computatis aliis que habuit super hereditate et bonis meis et pro omne et toto eo quod petere posset in et super hereditate et bonis meis tam causa legitime quam fassidici et generali qualibet causa et oc- caxione...

Assegna cavalli, et jumenta, e vesti ai servi: vuole che que­ sti ed i parenti suoi subito dopo la sua morte vestino in nero. Di tutto il resto nomina eredi universali : Genevram uxorem M. Marchionis D. Finnarii. Violantem uxorem Dom Jo Pauli Sfortie. Ippolitam filias meas legitimas et naturales dilectissimas. Egidius Bossius filius Lamiti doctor et advocatus fiscalis interfuit cum cceteris. (Arch, di Stato, busta 461 - 5 . M aurizio).

S a n t i d ip in t i a t t o r n o a l B e n t iv o g l io .

Nella lunetta dal lato dell’Evangelo nella chiesa di S. Mau­ rizio, dietro la figura di Alessandro Bentivoglio, si erige quella di S. Benedetto, morto nel 543 in età di 63 anni, ricco di me­ riti ed in benedizione dell’ordine religioso da lui fondato, che col titolo di benedettino, all’epoca della morte del fondatore, S. Placido. S. Benedetto. S. Giovanni. Alessandro Bentivoglio. Fot. Gigl Bassani. 28

s’era già propagato nel regno delle due Sicilie, nella Francia, nella Spagna, nel Portogallo, nella Germania e nell’Oriente. Il Luini lo dipinse vecchio, collo sguardo sereno, posato sul Ben- tivoglio, d’aspetto venerando, dalla barba candida ; colla sinistra regge il pastorale, simbolo di superiorità, e sotto il pluviale mostra le pieghe della tunica religiosa. Taluni pensarono che il pittore avesse ritratto se stesso in S. Benedetto, persuasi che essendo nato circa il 1460, fosse sul varcare i 72 anni quando attendeva a questo lavoro. Ma nè in questo lavoro nè in qualsiasi altro non è ammissibile che Luini abbia riprodotto se stesso in sembianza senile, perocché si dà per certo ch’egli aveva non più di cinquant’anni quando morì (1532). Nella lunetta che si sta descrivendo, il Luini pose due altri santi: S. Giovanni Battista e S. Placido. Il S. Giovanni, coperto di pelle di camello, col bastone sormontato dalla croce e con davanti l’agnello simbolico, addita l’altare, volge a destra il volto ed ha la chioma folta e inanel­ lata e la barba alla nazzarena. La vicinanza di questo Santo al fondatore dei benedettini, nella chiesa delle monache benedettine, trova la sua spiegazione nel fatto che S. Benedetto fu devotis­ simo del Battista, tanto che recatosi sul monte Cassino, dove adoravasi Apolline, diede il fuoco al bosco sacro all’idolo, e tra­ sformatone il tempio, vi eresse due cappelle, dedicata l'una a S. Giovanni Battista e l’altra al vescovo S. Martino; vi fondò quindi il grande monastero che tutt’ora dal monte stesso prende il nome (528). San Placido coll’aureola dei santi attorno al capo tonsurato, ha l’aspetto giovanile, gli occhi semichiusi, stringe al petto colla sinistra le palme, recando nella destra un libro. È ancor egli protettore dell’ordine benedettino. Non era ancora sugli otto anni di età quando Tertulio suo padre, nobile patrizio romano, lo condusse alle scuole di S. Benedetto. Il fanciullo vi fece grande profitto e in età di 24 anni, fattosi benedettino, edificò un mona­ stero presso Messina, nel terreno dato in dono da suo padre a S. Benedetto. Là venne assalito da Manuca, pirata potentissimo della Morea nell’Africa, acerrimo nemico dei cristiani ; ebbe strappata la lingua e dopo atroci maltrattamenti, fu decapitato. La chiesa lo venera tra i martiri. Nel fregio della leggera trabeazione che separa la lunetta descritta dallo scomparto inferiore, leggonsi queste parole: « P ia RELIGIO TEMPLI DEI DECUS AD DEI GLORIAM ». S. Cecilia. Tabernacolo. S. Orsola. Angelo COn Candele. Fot. Anderson. 3 °

S c o m p a r t o s o t t o l a l u n e t t a d a l l a p a r t e d e l V a n g e l o .

Nello scomparto inferiore v’è una finestrella di m. 0,3s per m. 0,19 chiusa da ambe le parti con imposte di legno intagliate e con piccolo catenaccio di ferro, destinata alla custodia della Santissima Eucaristia, perciò presenta al disopra l’ostia. 11 Dolce- bono ne diede il disegno, perchè il primitivo altare non aveva tabernacolo. Il Luini vi sviluppò in­ torno un delicatissimo di­ segno architettonico sopra una zoccolatura a riquadri marmorei, e sotto dipinse magistralmente un puttino colle alette che si ferma su di una finestra rettango­ lare, volgendo la testa e lo sguardo all’ altare e por­ tando due ceri accesi. Con un cero sembra voglia ri­ chiamare alla mente che G. Cristo è la purezza e la vera luce che illumina tutti gli uomini; coll’altro ricorda che ai piedi del Divino Maestro si riceve il lume di grazia, e che ciascuno degli illuminati, colle buone opere, dev’essere luce ad illuminazione ed edifica­ zione del prossimo. I lumi adoperati dalla Chiesa nel divino culto esprimono sempre anche la fede. Al fianco sinistro dell’angioletto presentasi S. Orsola. Ha il volto composto a dolce sorriso, temperato da leggero velo di mestizia : lo sguardo bello, sereno sembra rispecchi bellezze, splendori che appaiono al di là del visibile umano. Orsola, figlia di Dionico re della Cornubia, col seguito di alcune damigelle, nell’anno 3S3, veniva condotta sovra di una nave, dall’Inghilterra verso la Francia per essere data in ¡sposa, S. Cecilia. s - 0rsola- Fot. Anderson. . — 32 — contro suo volere, a Conano re della piccola Bretagna. Un vento impetuoso trasportò la nave verso altra spiaggia dove l’assalirono i ferocissimi Unni, e la trucidarono a colpi di spada, per avere essa opposto fortissima resistenza alle loro perverse voglie. La santa del Luini ha in capo il diadema regale ed una spada fitta nel petto. A destra dell’angioletto e del piccolo tabernacolo è figurata S. Cecilia, coronata di rose, colla palma dei martiri, con un libro ed i musicali ¡strumenti. La corona di rose ricorda quella che a Lei, nobile romana, fu data da un angelo, quando allo sposo Valeriano, anch’egli nobile di Roma ed assai facoltoso, inspirò il desiderio del Battesimo insieme all’amore della verginità. Ha nella destra mano il libro del Vangelo nella di cui lettura e con­ siderazione impiegava con grande frutto e diletto le ore, e nella sinistra la palma del martirio. Almachio, governatore di Roma, la fece trucidare insieme allo sposo Valeriano ed al cognato Tiburzio adducendo il pre­ testo ch’erano cristiani, ma in realtà per confiscarne le ricchezze. Il martirio di Santa Cecilia avvenne nella prima metà del secolo III ed essa è venerata come protettrice dei musicisti.

I p p o l it a S f o r z a .

Ippolita Sforza, moglie di Alessandro Bentivoglio, è rappre­ sentata nella lunetta dalla parte dell’Epistola: anch’essa, come il marito, è inginocchiata rivolta verso l’altare: posa la destra sul petto e tiene nella manca il libro delle preghiere, atteg­ giata a divozione; porta in capo un vago diadema d’oro: il sem­ biante è di donna che non abbia oltrepassato i quarant’anni ; indossa un abito di bianco broccato, trapunto a rosette di perle con le maniche larghissime, serrate a mezzo il braccio dalle quali escono le sottomaniche della camicetta rigonfie e ristrette ai polsi: la veste modestamente scollata è traversata da righe fer­ mate da bei nodi di nastro d’oro ; un grosso monile d’oro le circonda il collo e le discende sul petto in belle ghiande, pur d’oro. Suo padre fu Carlo Sforza figlio di Galeazzo Maria : di esso non si hanno notizie ; forse morì in età giovanile. Sua madre fu Bianca figlia di Angelo Simonetta, favorito segretario del duca Francesco I Sforza. Nel 1492 sposò Alessandro Bentivoglio, por- Ippolita Sforza Bentivoglio. Fot. Gigi Gassimi. 34 tando in dote molti possedimenti nel territorio milanese. Fu donna di non comune ingegno e di elevata cultura: la fama la collocò tra le più note rimatrici del tempo : i dotti frequentavano la sua casa. 11 matrimonio avvenne nel giugno (Archivio storico lombardo, anno 140 pag. 840, serie III). Con testamento in data del 6 maggio 1521 eleggeva il suo sepolcro nella chiesa di S. Maria degli Angeli, situata allora fuori delle mura di Milano ed ordinava che in una cappella grande di quella chiesa, un anno dopo la sua morte, il marito facesse costruire un sepolcro onorifico di marmo e ve la facesse deporre senza alcuna pompa e senza suono di campane, col solo intervento dei monaci di quel convento, del proprio parroco, ch’era quello di S. Pietro alla Vigna, e di dodici sacerdoti.

In nomine etc. 1521 - 6 Maggio. Hipólita Sfortia filia quondam Caroli et consors M. D. Alexandri de Benti- volis porte verceline par. sancti Petri pr. vineam Mediolani... eligo sepulcrum meum in ecclesia Sancte Marie angelorum Mediolani situata extra muros ipsius civitatis et in capella magna ipsius ecclesiae volo et ordino ab uno anno post meum decessum fiat per consortem meum sepulchrum marmoreum honorificum arbitrio mei consortis et magni Doni Jo. Ambrosi Balbi ordino quod cadaver meum ad sepulcrhum deferatur sine aliqua pompa, interveniant tantum fratres monial pre- dicti S. Marie Angelorum et mei parochi cum aliis duodecim sacerdotibus... sine aliquo sono campane.

Assegna quindi iooo ducati ai frati di S. Maria degli Angeli, «amore Dei et in remedio anime», coll’ obbligo della cura del sepolcro e della celebrazione di 6000 messe.

Item relinquo ven. doni. Alexandre Sfortie de Bentivolis filie me professe in monast. majori Mediolani et seu per eam dicto monasri0 et monialibus ejus ius et facultatem exigendi... libras millecentum et septuaginta trium sold, sex et den. octo imper, quod fit et prestatur seu fiebat et prestabatur per d. Antonium de la Somalia super bonis de quibus... etc.

(Archivio di Stato S. Maurizio - benedettiner busta.461 J.

Nella stessa lunetta, intorno all’ effige di Ippolita Sforza, stanno con graziosa movenza tre sante ; quella che sta in mezzo e si erige dietro l’immagine della signora Ippolita, vestita del­ l’abito benedettino, coi gigli nella destra ed una colomba che le vola a posarsi sulla spalla, è S. Scolastica sorella di S. Bene­ detto, superiora delle prime benedettine a Monte Cassino, morta in età di 60 anni nel 543. Una pia tradizione racconta che il fratello, assorto in orazione nella sua cella, fosse avvisato del S. Scolastica. S. Agnese. Ippolita Sforza. S. Caterina. Fot. Anderson. 36 transito di Scolastica per mezzo di una colomba che volava verso il cielo. In questa figura il Lumi ha voluto ritrarre le sembianze di Bianca, figlia dei Bentivoglio, che s’era fatta monaca nel Mo­ nastero Maggiore col nome di Alessandra. Opportunamente l’il­ lustre Sen.™ Beltrami a pag. 362, del suo Lnini, scrive: «Quel volto pieno di dolcezza della giovane monaca, degno veramente di essere preso a modello per la raffigurazione di una santa, volle pure il Luini fissare su di una tavola rappresentante la Vergine col Bambino... questa piccola e preziosa tavola, oggi custodita nel Museo Filangeri di Napoli dipinta dal Luini mentre attendeva alla decorazione di S. Maurizio, forse era destinata, così immagina l'ill, scrittore, ad allietare la stessa cella della monaca, oppure fu l’omaggio fatto dallo stesso Luini ai genitori, i quali per le incalzanti vicende politiche non poterono vedere compiuta la decorazione pittorica, costretti nel 1524 ad allonta­ narsi da Milano. L’immagine della figlia in atto di devozione davanti la Vergine, forse valse a confortarli nelle amarezze del- l’ esiglio» (vedi pag. 23 anno 1524). Sant’Agnese, la vergine di Roma, di alta nobiltà che a 13 anni fu bramata in ¡sposa da Procopio figlio del governatore di Roma e che per il rifiuto dato, venne con spada trafitta alla gola, è dipinta nella lunetta, nella parte più vicina all’altare : questa santa si rappresenta coll’agnellino perchè è tradizione che dopo morte sia apparsa colla mansueta e candida bestiola a confortare i parenti. Nell’angolo opposto della lunetta si avanza Santa Caterina d’Alessandria, colla ruota ad uncini, strumento del suo martirio. Fu chiamata per antonomasia « la filosofessa d’Alessandria » perchè studiosa delle scienze che nella sua città nativa fiorirono. L ’imperatore Massimino le fece soffrire orribili tormenti : la flagellazione che ne sfigurò le delicate sembianze, la prigionia che però le fu occasione di poter istruire nella fede cristiana l’imperatrice Sirene e Porfirio comandante generale dell’esercito imperiale, e la ruota, dalla quale la santa andò prodigiosamente illesa. Leggesi che gli angeli ne avessero trasportata la salma sul monte Sinai. Nel fregio sottostante appaiono queste parole: « NRÆ a c CŒLESTI TRIUMPHI SPECULUM CERNIS ». (Si legga in relazione del quadro dell’Assunta, (pag. 40) e si corregga: Mariae ac coelestis triumphi speculum cernis). S. Appollonia. Redentore. S. Lucia. Comunicatorio chiuso. Fot. Anderson. S. Apollonia. s Lucia.

Fot, Apdersoji, 39

S c o m p a r t o n e l l a t o d e l l ’ e p i s t o l a .

Lo scomparto di sotto presenta lo stesso disegno architet­ tonico dello scomparto nel lato del Vangelo; il disegno però è in parte modificato per cagione della finestrella aperta più in basso, dentro una nicchia coll’imposta che porta dipinto non si sa da chi, un angelo coi due ceri. A questa finestrella si comu­ nicavano le monache, perciò dicevasi « comunicatorio ». Sopra lo sportello, nell’edicola, è dipinto in piedi il Divino Redentore dal cui costato aperto, sgorga il sangue che va rac­ colto in un calice. A destra del Redentore è rappresentato S. Apollonia ed a sinistra S. Lucia. La prima fu martirizzata in Alessandria, sua patria, nel 248: ad essa furono svelti i denti, e morì abbruciata : il suo martirio è ricordato per la tenaglia che tiene nella sinistra mano. S. Lucia, nobile siracusana, soffrì acerbi dolori per amore della Fede: ferita di spada alla gola, morì nel 303. È dipinta con in mano uno stiletto infilzante due occhi ; è tradizione che le sieno stati cavati i suoi. È inutile dire della bellezza di queste immagini di Sante; l’osservatore è tratto ad ammirarle. Le figure di Santa Apollonia e di Santa Lucia hanno ma­ niera meno tozza di quelle rappresentate dal lato dell’Evangelo: in ciascuna di esse ogni particolare è trattato con naturale spon­ taneità e vivezza. Gli sguardi con tanta espressione, i profili, le linee, l’atteggiamento delle persone, le pieghe, gli svolti nelle vesti, tutto vi è condotto con perizia perfettissima dell’arte.

M a r ia a s s u n t a in c i e l o .

Al Luini si attribuiscono anche le decorazioni degli scom­ parti superiori sulla parete trasversale; ma non bisogna tacere che taluno avrebbe voluto sorprendervi i modi di altri pittori viventi nei primi decenni del secolo XVI. Il quadro dell’Assunta, che occupa il compartimento in mezzo, il posto d’onore sulla grande parete, fece pensare anche al pen­ nello del celebre pittore milanese Ambrogio Bergognone il quale secondo il Ticozzi nel suo dizionario: Pittori, etc., operava già L’Assunta — Chiesa di S. Maurizio, in Milano. Fot. Brogi. I vari episodi del martirio di S. Maurizio.

Fot. Brogi. 42 dal 1490 e dipingeva ancora nel 1535. La caratteristica di questo maestro sarebbe stata additata nel nimbo di luce giallo-rosso molto calda attorno alla Madonna. In conferma di ciò si sarebbe fatto il richiamo dell’Assunta del Bergognone nella parrocchiale di Cremeno nella Valsassina, la quale sarebbesi ritenuta di Ber­ nardino Luini se in uno scompartimento sotto quello della Ma­ donna, non vi fosse scritto A. Bergognone J. MDXXXV. Bisogna anche aggiungere che la sproporzione rimarchevole tra gli angeli festeggianti la Vergine Beata e gli apostoli, ha dato luogo al sospetto che il lavoro fosse stato compiuto da diversi autori. L ’ illustre Senatore Beltrami però, dal raffronto di questo quadro colla pala di S. Magno in Legnano, del Luini, ne prova la correlazione, ed a pag. 364 — Luini — dopo averne rilevato lo squilibrio e le sproporzioni, prende argomento per scusare l’au­ tore, scrivendo: « Nel suo assieme, questa Assunta comprova come al Luini non si confacessero le composizioni troppo vin­ colate a concetti tradizionali, per non dire convenzionali, alle quali invece s’adattavano meglio, a quel tempo, i pittori man­ canti di personali caratteristiche e di quelle genialità, che il Luini spiegava quando era perfettamente padrone del proprio campo ». Quindi l’ illustre Senatore aggiunge: « Le due compo­ sizioni laterali, (quadri di San Maurizio e San Sigismondo) ap­ punto perchè di soggetto interamente libero, ci rivelano il Luini in tutta la sua padronanza. Nel comparto di sinistra è rappre­ sentato il martirio di S. Maurizio; in quello di destra S. Sigi­ smondo re, che offre a S. Maurizio il modello della chiesa. Le due composizioni sono veramente grandiose ed abilmente com­ poste nei più minuti particolari.... il Luini con grande facilità e chiarezza raggruppa i differenti episodi in uno stesso comparto ». Queste rimarrebbero incomprese se non si illustrassero sto­ ricamente.

S a n M a u r iz io .

Si rimiri dapprima il martirio di San Maurizio, nel com­ parto di sinistra. San Maurizio, titolare della chiesa, era capi­ tano della Legione Tebea, raccolta di 6600 e più soldati, tutti cristiani del Basso Egitto. La valorosissima legione fu chiamata dall'imperatore Diocleziano in aiuto del collega Massimiano, che era in marcia contro i Bagaudi, popoli insorti delle Gallie e del 43

Belgio. Massimiano, attendato ad Octodur, oggi Martlnic, aveva dato ordine che con sacrifici si propiziassero le divinità e si tru­ cidassero i cristiani di quei luoghi alpestri ; ma San Maurizio e ì suoi soldati, accampati ad Agatino, opposero un reciso ri­ fiuto. Adiratosi, pertanto l’ imperatore comandò che la legione fosse decimata, sperando che i superstiti avrebbero facilmente cambiato consiglio. Maurizio coi sottocomandanti Esuperio e Can­ dido dichiararono a Massimiano d’essere pronti coi propri legio­ nari a combattere per Roma, ma non mai contro i cristiani, es­ sendo essi tutti cristiani. Allora Massimiano ne ordinò l’ester- minio. Ciò avvenne verso l’anno 303. (Non è certo però che sia stata uccisa tutta la legione, perchè Sant’Alessandro, San Vit­ tore, Sant’Antonino ed altri sostennero altrove il martirio). Il Luini fresco il San Maurizio sul davanti in ginocchio colle mani giunte, col capo reclinato, in atto di pregare, mentre il carnefice sta per assestargli il colpo di spada. Indietro svolse un altro episodio: un capitano imperiale pare abbia invitato altri dei legionari a rendere culto all’ idolo eretto sopra un piede- stallo vicino: ma il cristiano, forse Esuperio o Candido, leva la mano in alto ad attestare che le sue adorazioni sono pel Si­ gnore Iddio ; intorno a lui si muove un gruppo di personaggi vestiti in diverse foggie; in fondo, irrompono cavalieri, quali vi­ brando colpi di spada e quali puntando l’asta contro i cristiani che si scambiano saluti ed abbracci, inginocchiandosi. Le scene si svolgono vivamente, con efficacissimo effetto. Dietro l’attendamento e sopra il ricco fogliame degli alberi vedonsi delle torri, ed in cielo tra fulgidi splendori appaiono gli angeli che portano i martiri nella gloria.

S a n S ig is m o n d o .

San Sigismondo, re di Borgogna, è il santo compatrono di questa chiesa, ed è rappresentato nel comparto di destra, per l’osservatore. Questo santo è venerato come martire, sebbene non abbia versato il sangue ed incontrata la morte in testimonianza della fede. « Il titolo glorioso di martire glielo meritarono le penitenze da lui sostenute in espiazione delle sue colpe, la rassegnazione colla quale accettò le più umilianti tribolazioni, e sopratutto la 4 4 morte crudele ingiustamente incontrata. L ’usanza del tempo vo­ leva così, voleva cioè che si onorassero come martiri i caduti per morte ingiusta ». « La vie pénitente que mena ce prince depuis son péché, la foi avec laquelle il osa demander à Dieu, et la soumission avec laquelle il accepta, pour l’expier, les plus humiliantes tri­ bulations, et surtout la mort injuste qu’ il souffrit, l’ont fait honorer dans 1’ Eglise comme un martyr, suivant l’usage assez ordinaire de ce temps-là, de donner cette qualité aux personnes vertueuses mises a mort injustement ». « A.'* Rohrbacher : Historié Universelle, tome neuvième, pag. 37, liv. 44 edit. Paris, Gaume freres, 11b."* ». Sigismondo, verso l'anno 514, per lo zelo di S. Avito, ve­ scovo di Vienna, abiurava l’arianesimo: Sigerlco, suo figliolo, presto ne imitò l’esempio. Suo padre, Gundebado re dei Borgo­ gnoni, fu invece, ariano ostinato, tuttavia non escluse Sigismondo dal reame. Sigismondo stabilì la sua corte a Ginevra e la sgombrò dagli eretici e scismatici che vi avevano tenuto asilo, quindi volle visitare la terra bagnata dal sangue dei martiri tebani, e profuse gran parte di sue ricchezze per ampliare, riordinare, e corredare il Monastero su quella terra eretto e dedicato a San Maurizio. Quando la sua sposa Ostrogote, figlia di Teodorico re dei Goti, poi d’Italia, morì, prese in moglie, in seconde nozze, una donna indegna, che fu pur troppo cagione di gravi discordie e di sciagure. Questa donna, un dì, ebbe vaghezza d’adornarsi cogli abbi­ gliamenti di Ostrogote. La vide Sigerico e non potè trattenersi dal dirle: «Voi siete indegna di vestire quegli abiti che sono di mia madre, vostra Signora ». La matrigna se ne offese e giurò di vendicarsi ; fece credere al re suo marito che Sigerico, coll’aiuto del nonno Teodorico, cospirasse a togliergli la corona e la vita, onde Sigismondo si indusse, in un festino, ad ubbriacarlo e lo fece uccidere. Consumato l’orrendo delitto, venne subito a sapere che Si­ gerico era stato vittima innocente dell’odio e della calunnia della matrigna. Addoloratissimo, ne andò a piangere la morte e ad implo­ rare misericordia dal Signore Iddio, sulla tomba di S. Maurizio. Intanto gli si preparavano nuove sciagure. Nel 511 moriva S. Sigismondo offre il modello della chiesa a S. Maurizio.

Fot. llrogi. - 46

Clodoveo re dei Franchi, e la vedova Clotilde, che mai non potè spegnersi in cuore la bramosia di vendicare l’eccidio dei propri genitori, dei due fratelli, voluto per ragioni politiche dallo zio Gundebado, incitò alla vendetta i propri figli Clodomiro re di Orleans, Chidelberto di Parigi e Clotaire di Soissons, i quali mossero guerra al cugino Sigismondo e lo vinsero. Datosi alla fuga fu gran prodigio se potè riparare nel monastero di Agauno. Ma per tradimento orditogli da un suo suddito stesso, ne uscì per cadere nelle mani di Clodomiro che ad Orleans lo chiuse in prigione colla moglie e coi figli Gisclade e Gondebando. Quando il fratello Godemaro, riuscì a riprendere la Borgogna, Clodo­ miro disponendosi alla riconquista di questo regno, deliberò di uccidere innanzi tempo i suoi prigionieri di Orleans, e ne fece gettare i cadaveri in un pozzo, che fu poi chiamato il pozzo di S. Sigismondo. Ciò avvenne nell’anno 524, a Columella, sui con­ fini di Orleans e della Beauce. Tre anni dopo i corpi degli uccisi furono levati dal pozzo e portati processionalmente, cantandosi inni e salmi, ad Agauno, ove furono sepolti nella chiesa di San Giov. Evangelista. S. Sigismondo, patrono con S. Maurizio della chiesa del Monastero Maggiore, è dipinto sul davanti in atto di offrire a S. Maurizio ritto sopra un piedestallo, un modello di chiesa che non è questa del Monastero Maggiore. È seguito da una dama, forse Ostrogote, sua prima moglie, ovvero la principessa sua figlia la quale, abiurato l’arianesimo il giorno prima dell’abiura del padre, sposò Tierri o Teodorico figlio di Clodoveo; attorno a Sigismondo stanno alcuni spettatori. Quest’azione è immaginata su due punti : l’uno è storico ed è che il Santo riedificò il tempio e il monastero di Agauno in onore di S. Maurizio; l’altro punto è ritenuto storico ed è che S. Sigismondo fu creduto fondatore dell’antico Monastero Mag­ giore in Milano. Più avanti si ritornerà sull’esame di questo se­ condo punto (pag. 130). Una seconda scena si svolge dietro il primo atto del dipinto ed è quello del martirio del Santo: il re è in ginocchio, mentre il carnefice gli misura il colpo di spada. In fondo, diverse per­ sone s’affaccendano a gettare nel pozzo i corpi degli uccisi, di S. Sigismondo, della regina e dei figli. Sopra il terrazzo del portico, unito ad un palazzo dagli ampi finestroni, si distinguono altre persone smaniami per raccapriccio, e sotto l’atrio s’avanzano altri personaggi. — AT —

In alto, tra le nubi, appare il Padre Eterno che aprendo le braccia accoglie le anime nella gloria.

Il comparto occupato d a l l ’ a l t a r e .

Il comparto in mezzo del primo ordine, nella parete tra­ sversale, subisce una modificazione notevole per il quadro della Epifania che colla parte alta della sua cornice marmorea, invade la trabeazione, rompendone pur troppo, l’armonia architettonica. Dall’esame del muro, dalla parte del coro, si può argomentare che il Dolcebono avesse aperto in questo scomparto, sotto la tra­ beazione, una grande finestra arcata, per la quale le claustrali vedevano l’altare. L ’ampia finestra non dovette garbare, per ra­ gioni che facilmente si possono immaginare, benché la vista delle monache potesse essere tolta al pubblico mediante una tenda o padiglione. Si ricorse quindi all’espediente di ridurre la finestra a forma rettangolare, di elevare l’altare e di chiudere il resto del com­ parto con un quadro. Questo ripiego non fu ideato in una sola volta con tutte quante le sue parti : se ne progettarono i parti­ colari mano mano che nel processo dei lavori ne risultavano de­ gl’inconvenienti, per ovviare i quali si andò poi a cadere in quello massimo di fare grave offesa all’arte. La finestra venne modificata e chiusa, dalle due sue parti, con due inferriate a mandorla, lavorate bene; questo lavoro si compì sul finire dell’anno 1577, come consta dalla seguente scrit­ tura : « 17 Febbraio 157S — Io meser Paolo e meser Claudio picca prede confessiamo ricevute lire settantaquattro e soldi S imperiai computando lire trentacinque e soldi 8 quali ebbe nel meso di decembro et questo per compito pagamento delle prede intagliate per la ferriata del altare et in fede » (Archivio di Stato, S. Maurizio, busta 439). Per questa modificazione della finestra, scomparve alla vista delle claustrali, l’altare che posava forse sopra una predella: lo si volle quindi elevare dal piano del presbiterio con tre gradini di marmo macchia vecchia, che furono pagati il 25 agosto dello stesso anno 1578. « Ricevute dalla Badessa D. Laura Fiorenza L. S60 soldi 5 per scalini di pietra fato dal mae Panto o Paolo dei Zimini, scalini posti al aitar grande dela chiesa di fora » (Archivio di Stato, busta 439). Comparto occupato dall’altare - Balaustre.

Fot, G. IJass.ini, Disegno dell’altare (Archivio di Stato, busta 439, vedi pag. 52). Fot. G. Battelli.

7 50

Nel frattempo si venne nella deliberazione di collocare sopra la finestra un quadro : l’opera si affidò ad Antonio Campi, da Cremona, ammaestrato nell’arte del dipingere da Galeazzo Campi, suo padre: l’Autore cercò celebrità anche come architetto ed ottenne lusinghiere dichiarazioni di gradimento da Filippo Il re di Spagna, cui dedicò le sue cronache; da papa Gregorio XIII poi, ottenne l’insegna di cavaliere dell’abito di G. Cristo, per gli eminenti servigi prestati alla S. Sede in qualità di architetto. Viveva ancora nel 1585. E suo il S. Giovanni decollato nella chiesa di San Sigismondo in Cremona, opera di tale effetto che sembra reale e non dipinta. Il contratto del quadro per S. Maurizio fu stipulato il 25 giugno 1578 colle solite formalità, vale a dire: premesso il suono delle campane, convocato e congregato il capitolo, avanti la Ma­ dre Abbadessa, le altre RR. Dame religiose del Monastero e presente lo stesso pittore Campi Antonio che « si obbliga di fare di sua mano una anchona per l’altare grande di la gessa di mon va br. 4 on 3 et '/„ di larghezza et di altezza va br. 4 on 4 fatto sopra la tella a ollio la pictura di qual sarà il misterio della ado­ ratione delti tri maggi con sue circonstantie..... convenuti 125 scuti d’orro ». Nello stesso giorno il pittore sottoscriveva questo atto: « Giov. Ant. Campo Cremonese confessa aver avuto dalla R. Matre dona Laura Fiorenza Matre Abadessa scuti 50 d’oro in oro per ca­ parra e parte di pagamento di uno anchona con sopra ala tela a ollio li tri Magi per questa pictura siamo d’acordo in scuti 125... G. Ant. Campo... P. Don Andrea Gado confessore di dicto mo- nast. » (Archivio di Stato, busta 439). Nella stessa busta N. 439 in data 4 ottobre 1578 conservasi « Ricevuta di Giov. Battista Suardo scuti 30 per tabernacolo di legnatilo e di M. Sebastiano che non sa scrivere di 40 scuti per doratura ». Questo atto conferma la persuasione che l’altare fosse di legno verniciato, dorato e senza tabernacolo, e conferma l’o­ pinione che fino a quell’anno, la SS. Eucaristia si riponesse nel tabernacoletto aperto nella parete transversale, dal lato dell’Evan- gelo, tabernacolo adoperato in seguito a custodia dell’olio santo per l’Estrema Unzione, e del SS. Sacramento nel giovedì santo. Sul principio dell’ultimo ventennio del secolo seguente il quadro del Campi venne ornato di cornice d’argento, che fu pagata il 16 aprile del 1682 all’orefice Perego o Pereghi, come consta da questo cenno conservato nell’Archivio di Stato, busta Disegno dell’ ancona (Archivio di Stato, busta 439, vedi pagina 52). La scritta: «Disegno di porta d’ ingresso» leggesi sul controfoglio. Fot. G. Battelli. NB. Questo disegno pare veramente delineato per una porta ed il timpano di essa si trovò adatto per la cornice del quadro del Campi. 52

439: «ricevuta in data 16 Aprile 1682 di L. 103.35 col resto in L. 3S9.36 dell’orefice Pereghi per cornice d’argento dell’ancona della chiesa ». Il Lattuada nella sua Descrizione di Milano, pubblicata nel 1738, nel tomo 40 a pag. 420 ne parla come se la vedesse. Ad­ ditando il quadro del Campi, che erroneamente attribuisce al Bernardino Lovini, lo dice « cinto di vaga ancona lavorata di fine lastre d’argento ». Finalmente verso l’anno 1792, si progettò di sostituire alla cornice d’argento, quella di marmo che tuttora sussiste, e di co- strurre anche l’altare pur esso in marmo. Ciò si deduce da due disegni, conservati nell’Archivio di Stato, busta 439. Un disegno è in data del 6 febbraio 1790 colla scritta : « disegno di porta d’ingresso » la quale scritta fu aggiunta dal­ l'incaricato ad elencare le carte asportate dai monasteri, dopo il decreto di soppressione. Il disegno infatti a prima vista, fa pen­ sare ad una porta, ma in seguito ad attento esame, se ne rileva la destinazione. Il disegno, in verità troppo pesante, fu ripu­ diato; se ne conservò soltanto un’idea per il timpano e per la testa d’angelo, giusta un’ altra scritta che vi si legge a fianco. « Resta fissato il disegno più alto con la testa d’angelo sotto il timpano. Ciac. Ant. Poschini, procuratore del Monastero — Giu­ seppe Maria Buzzi accetto » (v. NB. disegno dell’ancona, p. 51). L ’altro disegno è quello dell’altare e presenta scritti i nomi: « Giuseppe Aneo Pissina ing. architetto Giuseppe Mario Buz i Ant. Giudit: la data è del 31 maggio 1792». Però nell’esecu­ zione dell’altare se ne modificarono i gradini superiori ed il bal­ dacchino del tempietto che racchiude il grazioso tabernacolo. Questo altare vuol essere ammirato per la sua forma e per i marmi, i lapislazzoli, le agate, i diaspri dì cui si adorna. Ele­ gante è il tempietto formato da sei colonnine scanalate che pog­ giando su piccolo e proporzionato basamento, sorreggono due delicate trabeazioni; ciascuna di queste è impostata su tre delle colonnine laterali al prezioso tabernacolo, e da esse, in riscontri delle colonnine, volteggiano diagonalmente sei liste di marmo, unite in alto. Il pallio ha tre scomparti, e quello in mezzo è occupato da un rilievo in marmo bianco rappresentante la cena di Emmaus colla data 1793 e colle iniziali: G. B. J. E. F. Nel disegno però, sopra indicato, questo rilievo non c’è. L ’altare è soverchiamente grande nel confronto architetto- 53 nico della chiesa : esorbita fuori dai limiti laterali dello scom­ parto, e si estende, coi suoi gradini, a coprire troppa parte del presbiterio. Questo inconveniente s’introdusse spontaneamente in seguito all’altro, quello cioè dell’alterazione dello scomparto col quadro del Campi, in relazione del quale l’altare è bene pro­ porzionato. Il Giuseppe Maria Buzzi che dichiara nel primo disegno di accettare e scrive il proprio nome nel disegno dell’altare, forse fu il marmista esecutore dei lavori. Merita d’essere riguardata anche la doppia balaustrata che elevata dal piano della chiesa per tre gradini di marmo rosso d’Arzo, partendo dalle lesene contrarie dell’ultima campata, si incontra nel mezzo mediante un cancelletto in ferro ornato e se­ para il presbiterio. E una sfilata di colonnine di marmo giallo di Siena, bene disegnate tra tavole di marmo nero di con filettatura in marmo rosso macchiato e verdi riquadri. Però questa balaustrata perde il suo pregio nel posto che occupa, vuoi per la costruzione, ed anche, per l’ adattamento barocco che le si fece avere in ragione delle circostanze locali dell’altare troppo grande, e dello spazio necessario davanti alle cappelle di Santa Caterina e di San Giovanni.

S f o n d i l a t e r a l i a l l ’ a l t a r e .

I due sfondi laterali dell’ altare recano pitture che si attri­ buirono a Giov. Paolo Lomazzo, milanese, nato nel 153S, sco­ laro di Giov. Batt. della Cerva. Il Lomazzo attese anche allo studio delle lettere attingendovi conforto nella sua sventura; pe­ rocché, perduta la vista, in età di 33 anni dettò il Trattalo detta pittura e l 'Idea del tempio della pittura, « le quali opere, dice C. Cantù, nella Storia di Milano, se contengono precetti poco elevati, serbano notizie dei pittori nostri»; mori nel 1600. Sul fondo della cappella, dal lato dell’ Evangelo, è dipinta la deposizione del Redentore dalla croce: l’azione è adattata in­ torno all’uscio della sacristía primitiva. Sui muri di fianco si mostrano dei personaggi in piedi, ri­ volti a riguardare la deposizione, ritraendo l’atteggiamento di stupore degli Apostoli della cena frescata da Leonardo da Vinci, nel refettorio dei P. Domenicani a S. M. delle Grazie. II Ticozzi, nel suo dizionario scrisse che il Lomazzo fece una 54

copia del Cenacolo vinciano pel convento della Pace ; forse il riscontro su queste pareti di San Maurizio, fece pensare a lui. Ad illustrazione del quadro di Gesti deposto dalla croce si posero nei fregi laterali le parole di San Matteo (XXVII, 59):

Parete di sinistra: La deposizione - Discepoli. Fot. G. Battelli. (Vedi l’ ultimo gruppo a destra del Redentore nella cena vinciana)

« A c c e p t o c o r p o r e Jo s e p h in v o l v it — il l u d in s in d o n e MUNDA ». Sulla volta, fra le nubi, appaiono gli angioletti, e nei pen­ nacchi dell’arco di prospetto due figure umane dalle forme ro- 55

buste stendono una striscia svolazzante colla scritta: « t e m p l u m MORIENDO DESTRUXIT, VITAM RESURGENDO REPARAVIT » ; gra­ ziosi sono gli angioletti e i fregi della trabeazione. Due figure umane sono nei pennacchi anche dell’arco dello sfondo a sinistra dell’ altare, cioè dal lato dell’ Epistola: le due figure nascondono dietro la persona e negli svolti della striscia che reggono, le parole scritturali: Cr. te transitis p. viam est dolor ut dolor meus. Thren : I 12. «V os q u i t r a n s i t i s p e r v i a m ASPICITE ET VIDETE SI EST DOLOR SICUT DOLOR MEUS ». Nel mezzo dell’arco è collocata una lapide in memoria di Giovanni III dei Bentivoglio, figlio di quell’ Ermete, fratello del sullodato Alessandro che per istigazione della madre uccise quanti dei Mariscotti, patrizi bolognesi, potè avere nelle mani; quindi si mise in capo di fare prigioniero papa Giulio, ch’era venuto a Bologna. Ma nell’assalire la porta di San Felice fu ferito e costretto a ritirarsi. Nel 1511 vi potè entrare col fratello Annibaie II, col nipote Costanzo, con 100 uomini d’arme fran­ cesi e 250 cavalleggieri. Non andò però molto che volendo il Papa ricuperare Bologna, Ermete si ritirò presso gli Estensi, dietro le forti esortazioni di Franco Fantucci, gonfaloniere di giustizia. Dopo avere tentato per un’ultima volta e inutilmente, di riprendersi il dominio della sua città proprio nell’ occasione che Adriano II era in Spagna, si ritirò a Ferrara quindi a Man­ tova, e fu ucciso il 7 ottobre 1513, combattendo a Vicenza. La lapide porta questa epigrafe:

D. O. M. JOANNI BENTIVOLO EJUS NOMINIS TERTIO HERMETIS FILIO QUI MORTE P R /E V E N T US IMMATURA LUCTUOSUM OMNIBUS SUI DESIDERIUM RELIQUIT JACOBA URSINA MATER INCONSOLABILIS FILIO DULCISS. P. M. D. XXXI VIX. ANN. XXIII. M. D. VI.

Giovanni III secondogenito di Ermete e di Giacoma Orsina, qui ricordato, fu al servizio di Carlo V, e nel 1530 trovavasi presso il principe di Orange all’assedio di Firenze. In quell’occasione ordì un trattato per sorprendere Bologna: venne però scoperto e dovette fuggirsene. Potè rifugiarsi presso lo zio Alessandro Bentivoglio a Milano, ove morì giovine. — Sua — 56 madre Giacoma Orsini fu degli Orsini di Roma, del ramo dei signori di Monterotondo, ramo estinto nel 1594; dessa ebbe per padre Giulio Orsini dapprima condottiero in Napoli al servizio di casa d’ Aragona, poi al servizio di Lodovico il Moro cóntro i veneziani. Nel 14S5 fu duca di Ascoli nel regno di Napoli; con­ dusse i fiorentini contro i genovesi. Combattè anche in Ungheria per l’imperatore Massimiliano I, contro Solimano; morì a Fi­ renze nel 1513, o nel 1517. Le nozze di Ermete e Giacoma Orsini furono concluse nel 1501, ma il matrimonio si celebrò nel 1504. Sulla parete di fondo, nella cappella, è dipinto un puttino nell’atto di sollevare l’addobbo dell’uscio d’ingresso dal primo cortile del monastero; sulla parete di destra è raffigurata l’inco­ ronazione di spine di Gesù Cristo : su quella di sinistra, per l’os­ servatore, l’Ecce Homo, e nella lunetta sopra l’uscio, la crocifis­ sione : nel fregio riportasi il versetto del salmo 21: « F o d e r u n t m a n u s m e a s e t p e d e s m e o s », e sull’archivolto l’altro versetto: « D inumeraverunt o s s a m e a ».

C a p p e l l a di S a n t a C a t e r i n a .

Si crede di Bernardino Luini la decorazione della cappella vicina, dedicata a S. Caterina, giusta la destinazione fatta con testamento del iS maggio 1524 dal cittadino e causidico Fran­ cesco Besozzi dei nobili dell’agnazione e della famiglia di Besozzo, figlio dell’ ill. sig. Gabardino di Besozzo.... (Archivio di Stato, S. Maurizio, busta N. 465): «Ego Franciscus Besutius civis et causidicus ex nobilibus agnationis et familise de besutio filius quondam ili. Gabardini de Besutio Portæ Cumanae parochiæ San Thomæ in Cruce sichariorum Dei gratia sanus mente et corpore ac boni intellectus ». Sotto l’altare di questa cappella il Besozzi elesse la sua se­ poltura: « donationem facio, pro dote capellæ Beatse Catharinæ construendas in Ecclesia monialium... et sub altare ejiis capellæ volo fiat locus sepulchri... in quo volo reponi cadaver meum— sub tutella B. Catharinæ et ut ibi remaneant ossa mea usque in diem resurrectionis electorum ». È interessante il sapere com’egli volesse che il cappellano fosse di vita onesta, dell’agnazione di Besozzo, idoneo, di buona voce, di buona condizione e fama e nobile : o almeno di buona voce, di buoni costumi e non portasse barba oltre i venti giorni, 57

nè i capelli lunghi, nè armi d’offesa, e non conversasse colle monache senza licenza scritta e rinnovata ogni mese dalla Ba­ dessa, e portasse sempre l’abito e la tonsura clericale: inoltre volesse l’altare sempre ornato e provveduto di molte candele : « volo altare bene fultum et ornatum ornamentis opportunis et cereis ». Una lapide che andò perduta, segnava l’anno della morte del Besozzi. Il Valeri ne trascrisse l’epigrafe riportata dal Sena­ tore Luca Beltrami a pag. 497, Luini:

FRANCISCI BESUTII CIVIS ET CAUSIDICI MEDIOLANI ANTIQUISSIMÆ PROSAPIÆ SEPULCRUM, QUI OBIIT XXIX NOVEM. MDXXXIX.

Forse quella lapide era murata nella parte opposta della pa­ rete cui si appoggia la cappella, sotto il portico del primo cor­ tile monastico.

T e s t a m e n t o di F r a n c e s c o B e s o z z i.

1524 - iS maggio. In nomine Domini, Sæpe consideravi hominum corpora contrariis elementis composita neces­ sario debere dissolvi et hauc fragilem et caducam nostram peregrinationem quam vitam appellamus tamquam umbram et somnum transire cito, quam sententiam non tantum ratione et supremis auctoribus, sed etiam diuturna èxperientia com­ probatam videmus, quo fit ut lex haec naturae quamvis dura tamen aequo animo toleranda sit cum frustra sit timere quod vitare non possumus, illud tamen semper fui arbitratus prudentis viri esse ita rebus suis providere, ut videatur inevitabilis mortis fuisse memor nec aliquid improvisum evenisse. Et quia in uno vere Chri­ stiano praecipue debet esse animae suae cura ut Deus omnipotens et redemptor noster ei ignoscat et ejus misereatur cum ex hoc ergastulo migrare continget nec sunt expectandi successores qui defunctorum animabus benefaciant qui ut pluri­ mum id negligunt, etiam qui facere sint gravati cum ab alio non sit petendum quod per se quis facere potest, ego propterea Franciscus Besutius mediolani civis et causidicus ex nobilibus agnationis et familiae de Besutio filius quondam Domini Gabardini de Besutio. Portae Cumanae Parochiae S. Thomae in Cruce sichariorum Dei gratia sanus mente et corpore ac boni intellectus, constitui, in remedium animae mæ et ad perpetuam memoriam agnationis et familiae de Besutio, celebrari facere singulo die missam unam in ecclesia monasterii monialium nuncupati majoris; in quibus ecclesia et monasterio multa celebrantur divina ufficia, et ad­ sunt religiosae devotae ut possit anima mea esse particeps officiorum et orationum quae fiunt a tanto numero devotissimarum virginum, sponsarum D. N. J. Christi, viventium in sanctitate et observantia D. Benedicti et propterea talem meam vo-

8 5 8 luntatem executioni mittere volens, dum vivus et sanus sum, coram Nobili viro D.no Nicolas de Biliis consule justitiæ civitatis et ducatus nostri. Feci et facio donationem inter vivos puram meram et irrevocabilem a præ- sentibus die et hora valituram modo semper et forma prout infrascriptis et ad effectus inf.t03, retento tamen semper usufructu pro me in vita mea seu dum vixero venerabilibus do.is Abatissæ et monialibus dicti monasterii majoris ac ipsis tamem post meum decessum acceptantibus praesentem donationem bonorum immobilium sitorum et jacentium in loco de Vergiate plebis Somæ Mezanæ et Arsaghi ut in instrumentis confectis inter me Franciscum Besutium et D.um Hectorem de Da- verio rogatis per Dom.un Scipionem de magistris notarium. Haac donationem facio gratis et amore Dei D.ni N. J. Christi et ejus matris Virginis Mariæ et Beatæ Virg.ni3 Catharinæ protectricis et patronee devotissimae et totius familiae agnationis de Besutio et quae mihi semper adiutrix et protec- trix fuit in omnibus et in quam spero ut etiam mediantibus virginis Catharinæ meritis et precibus sim consequturus ex misericordia Dei requiem animae in regno Paradisi et pro dote cappellae praefatae B. Catharinæ construendae in ec­ clesia ipsarum monialium juxta quam cappellani et altare ejus volo seu sueta fiat locus sepulcliri seu tumuli subterraneus si factus non est, in quo volo reponi cadaver meum sub tutela praefatae B. Cal.rc et ut ibi remaneant ossa mea usque in diem resurrectionis electorum : et ad ipsum altare teneantur moniales in per­ petuum celebrari facere missam unam omni die hora competenti per sacerdotem illum qui per me dum vixero electus et deputatus erit dum ipse sacerdos vixerit et honeste se gesserit cui probo volo tradi libras sexaginta usque in septuaginta imp. omni anno ex ipso firn, libellario quam summam ex nunc ei tali presbitero assigno et cum mortuus fuero volo quod sit in facultate ipsarum monialium con­ firmandi illum per me electum ubi bene se gesserit si non bene se gesserit pos­ sint moniales removere et alium eligere dummodo eligatur semper unus de agna­ tione de Besutio qui sit sufficiens et idoneus et bonæ vocis conditionis et famæ et qui erit nobilis, ubi non reperiatur volo alium qui celebret donec reperiatur presbiter de a. de Besutio et in hoc onero et gravo coscientiam ipsarum monia­ lium et invoco B. Catharinam ad observandam ad unguem hanc meam volun­ tatem et non alterandam, volo etiam non eligant presbiterum qui non sit bonæ vocis et bonis moribus et non eligatur qui deferat barbam plurium dierum viginti -et ferat capillos longos nec qui ferat arma offensibilia et qui non incedat in habitu •et tonsura clericali, non conversetur ad monasterium nec cum monialibus nisi pro missa celebranda et non valeat accedere ad alloquendum cum monialibus •sine licentia in scriptis omni mense D.nœ abbatissae aliter privetur et alter eligatur... volo etiam quod talis sacerdos eligendus teneatur omni die festi B.tœ Catharinæ celebrare missam in cantu ad ipsum altare B.® Cat.®, cum sex aliis presbiteris •cantantibus expensis ipsius cappellani et super ipso salario et volo quod faciat ad missam in cantu celebrandam singulis annis commemorationem qualiter uti •est dotata cappella per me... et ubi cesset in celebrando per dies octo in totum in anno volo quod ipso jure et facto privatus tali electione et emolumento et cappella et alter eligatur et volo quod ipsæ moniales habeant reddere rationem -de hoc Altissimo Deo si deficient et gravo earum conscientias ad observandum ista et volo quod reliquum dicti libellarii a dictis libris sexaginta seu septuaginta imp. dandis ipsi cappellano consignetur in manibus sacristanas ibi moniali pro­ fessae pro satisfaciendo ipsi cappellano et pro convertendo id quod necesse erit a dictis libris sexaginta vel septuaginta supra in ornatu altaris et in cera si opus •erit ita quod dictum altare habeat permanere perpetuo bene fultum et bene or­ natum ornamentis oportunis et cereis gravans etiam in hoc conscientias monia- 59

Hum et rogo quod ipse talis presbiter singulis diebus lume et veneris cujuslibet hebdomadas celebret missam pro defunctis et commemorationem facit de anima mea etiam dignentur ipsæ moniales orare pro anima mea ut ad regnum caelorum transferatur quam citius fieri possit, volo etiam quod omni anno ipsæ moniales ubi sepultus fuero faciant per ipsum cappellanum et sex alios presbíteros fieri annuale unum in commemorationem ut supra expensis cappellani respectu mer­ cedis presbiterorum tantum ut ea die ipsæ omnes moniales dicant ex sua beni­ gnitate coronam unam pro anima mea. II testatore dichiara di volere eleggere egli stesso finché vive il cappellano che da lui stesso avrà l’assegno annuale: dichiara ripetutamente di ritenersi l’uso- frutto di ciò che dona e ritenersi la facoltà di aggiungere anche altre donazioni se gli piacerà, quindi presta il suo giuramento. Notarius Stephaniis de Tonsis præsentibus Ludovico de Besutio quondam Jo. Jacobi et Ludovico Lampugnano filio D. Michaelis p. c. p. B. Carpophori Mediolani, Testes: doctor D.us mag. Franciscus de Tactis f. q. d.ni Albrigadi p. V. B. Mariæ Pedonis Mediolani, Don.113 Simon de Annono f. q. D.‘ Joannis. D.us Hector vicecomes f. q. d.¡ Jo. Francisci ambo Marchiones p. e. B. Thomæ in cruce sichariorum, Ambrosius de aixoldis f. q. D.' Ottonis p. B. Andreas ad pusterlam.

La decorazione della cappella (') fu compiuta l’ r i agosto 1530, com’è indicato nei fregi interni di destra e sinistra.

F r a n c i s c u s B e s u t i u s MDXXX d i e XI a u g u s t i — d i v æ CATERINÆ NOBILIS FRANCISCUS BESUTIUS VIVENS POSUIT. La cappella è dedicata a S. Caterina, tuttavia il soggetto principale rappresentato sulla parete maggiore è Gesù Cristo flagellato: ha il sembiante dolce e mesto e in quelle sue pupille v’è una potenza che induce alla meditazione : due manigoldi lo slegano ed uno di essi mostra dallo sguardo fiero e fisso nel flagellato, il timore ch’ei venga meno ed insieme la meraviglia che sia ancor vivo : dal corpo martoriato gocciola il sangue sul piedestallo della colonna. Sarà sempre segnalato alla comune riprovazione l’atto in­ consulto di quel profano all’arte che, nel 1S56, assumendosi l’in­ carico di levare la polvere da questo prezioso dipinto, non de- v’essersi servito a tal uopo della mollica del pane bianco, com’egli avrebbe voluto far credere, ma adoperò chi sa quali sostanze e mezzi potenti, onde fece dei guasti in alcune parti delle carni del Salvatore, e col pennello del doratore e del verniciatore andò ritoccando qua e là la bella figura, fin anco negli occhi e tin-

(1) Italian Wal Decorations of the 15th and 16th Centuries London, Chapraam and Hal, 1901. Il volumetto illustra la cappella di Santa Caterina; il testo è del Vriarte e Beltrami. Cappella di S. Caterina, in S. Maurizio.

Fot. Alinarì. S. Caterina. S. Lorenzo. Particolare dell’ affresco : Cristo alla Colonna. Fot. Brogi. 62

teggiò in nero la dalmatica di S. Stefano. Per quanto nell’anno seguente, il ri- stauratore e pittore Giu­ seppe Knoller, apposita­ mente incaricato, siasi ado­ perato per riparare quelle manomessioni, non ha tut­ tavia potuto annientarne affatto i segni e ripristinare perfettamente l’opera del Luini (Archivio S.'“ Maria alla Porta: cartella -44-). Alla destra di Gesù, sta S. Caterina, ritta in piedi, colla ruota del martirio, in atto di proteggere il Be- sozzi inginocchiato a con­ Decorazione dell’ intradosso di vòlta. templare commosso il Di- Fot. G. Bassani. vino addolorato. A sinistra di Gesù v’è S. Lorenzo di Urumna in Aragogna, che sostenne il martirio in Ro­ ma sotto Decio imperatore, il 1o agosto 28S. A destra e a sinistra in fondo, appaiono due guardie e sulla trabeazione si leggono le solite iniziali : S. P. Q. R. (Senatus po­ pulusque romanus). In alto al di fuori di due finestre dipinte si ve­ dono due episodi della pas­ sione : Pietro che tentato dalla fantesca, rinnega il Divino Maestro, e Gio­ vanni, il discepolo diletto, Decorazione dell’ intradosso di vòlta. che precedendo la Madre Fot. G. Bassani. 63 del Signore ed altre donne, volgesi a parlare e stende la mano sinistra verso il quadro della flagellazione. Chi .non ne ammira la naturalezza e la spontaneità del gestire? Sull’ archivolto leggesi : « v id e t e q u æ p r o s a l u t e v e s t r a p a t io r », e sulla volta, per altre finestre simulate, appaiono an­ geli in pose diverse, movimentate, recanti gli strumenti della passione: in mezzo il Padre Eterno guarda la vittima pei peccati del mondo. Santa Caterina si rivede sulle due pareti laterali. Su quella di sinistra per l’osservatore, è frescata la storia del suo martirio: un angelo armato di spada scende dall’alto a mettere in fuga i carnefici ed a salvare dalle ruote giranti la vergine Caterina; l’imperatrice Sirene ed il generale comandante Porfirio, convertiti alla fede dalla medesima Santa, giacciono trucidati per ordine dello stesso imperatore Massimino: S. Ca­ terina è sul davanti in ginocchio, colle mani giunte, miracolosa­ mente intatta, malgrado i tormenti sofferti. Sulla parete di destra è frescata la sua morte: Ella è genu­ flessa in attesa del colpo mortale che al collo lievemente piegato le sta vibrando il truce carnefice, attentissimo e vigoroso. Dal volto della Santa traspare la grazia soavissima, la gioia dell’anima sospirosa delle visioni celesti: dal volto del carnefice traspare la feroce soddisfazione della propria valentia. Ambedue le figure sono minutamente trattate in tutte quante le loro parti, con arte sapientissima. Sul fondo in alto, si erge la cima del monte Sinai, dove gli angeli portano la salma della Santa: i tre personaggi che s’a­ vanzano da una parte sembrano estranei ai fatti principali.

S e n e i l in e a m e n t i d i S a n t a C a t e r in a s ia n o s t a t i r it r a t t i q u e l l i di B ia n c a M a r ia c o n t e s s a di C h a l l a n t .

Questo quadro ebbe la ventura di essere frescata quattro anni dopo che sullo spazzo del rivellino del Castello fu decapi­ tata Bianca Maria, contessa di Challant. Lo si ritenne perciò come una rievocazione dell’avvenimento, e con facilità si diffuse la credenza che nei lineamenti di S. Caterina fossero stati ri­ tratti quelli della contessa. Questa credenza può dirsi derivata dal fatto che gli ambrosiani avendo veduta morta la Challant nella chiesa di S. Francesco, dove era stata portata e dove « per tutto un giorno stete che ognuno la poteva vedere parendo fosse viva » come narra il cronista pavese Grumello, la ravvisarono Chiesa di S. Maurizio, in Milano - Cappella Besozzi. La decollazione di S. Caterina. Fot. G. Bassani- 65

poscia, o si fissero in niente di ravvisarla nella S. Caterina del Monastero Maggiore. Da qui il quadro divenne interessantissimo in modo che molti dei visitatori del S. Maurizio sono stati ve­ duti ritrarsi soddisfattissimi dall’averlo mirato, senza avere dato neppure uno sguardo ad altro degli affreschi della chiesa. Che nella S. Caterina qui rappresentata, siansi riprodotte le fattezze di Bianca Maria non vorrà affermarlo con sicurezza chi ricorda essere ella stata una figura di donna storicamente affatto secondaria. Senza dubbio, sarebbe anch’essa passata nel numero delle dimenticate, se la voce popolare non avesse caricato le tinte e complicati gl’intrecci delle sue venture, senza punto co­ noscerne gl’intimi particolari, da contribuire a fare di lei il sog­ getto curiosissimo di novelle, di romanzi, di drammi emozionanti. La vedovanza toccatale sui vent’anni, per la morte di Ermes Visconti, l’abbandono di Renato di Challant, suo secondo marito, uomo irrequieto, ambizioso, inclinato per tradizioni di famiglia alla cura della politica ed all’esercizio dell’armi, e più giovane di lei, sono circostanze particolari nella storia della vita umana. Il ricat­ tarsi dell’abbandono e dell’isolamento in cui si trovò, coll’infatuare della sua avvenenza corteggiatori che rivaleggiando se la trastul­ larono, fu una colpa, figlia e madre di altre colpe. Il risentirsi, l’arrovellarsi per un insulto volgare ricevuto da uno dei suoi ado­ ratori, l’invocare la vendetta, l’aizzare il rivale a compierla col- l’uccidere l’offensore, non furono certo atti commendevoli. Nè vale a toglierne la gravezza il dire che in essa doveva essere fiero ed acuto il punto d’onore per ragione della nobiltà dei suoi natali, per lo splendore delle nozze ed anche per l’or­ goglio vieppiù eccitato dagli adoratori e dagli omaggi resi alla sua beltà, poiché le colpe non possono giammai trovare scuse in altre colpe. Forse la società d’allora, la quale conservando i costumi del medio evo sotto le apparenze di un incivilimento limitato al fasto della vita esteriore, faceva poco conto della vita di un uomo, poteva passare la vendetta della Challant, ma la coscienza, a dispetto di tutte le abitudini sociali, non poteva non insorgere e condannare quella vendetta. Sarebbe, pertanto una irriverenza al Luini, l’ammettere che siasi servito dell’occasione di un fresco eminentemente sacro destinato a fare sua comparsa tra i ritratti d’ illustri mecenati, per effigiare di proposito una disgraziata donna colpita dalla giustizia. Pure, per quel sentimento di pietà che si desta spontaneo nel cuore anche dinanzi ai percossi dalla giustizia, e per quel

9 Chiesa di S. Maurizio — Particolare della « Decollazione di S. Caterina ».

Fot. Brogi 67 senso di fierezza pel quale si rivolta l’animo quando di una tale giustizia non si è appieno convinti, attorno al feretro della Chal- lant se ne dimenticarono i falli, si svegliò la commiserazione e tanto più perchè s’ebbe sentore di certi fatti accaduti presso il pronunciarsi della sua sentenza di morte. Si seppe infatti della sciagurata che invano implorò clemenza, mentre all’assassino si agevolò la fuga ; si seppe dei suoi scatti rabbiosi e disperati, e della calma rassegnata onde poscia accettò la sua espiazione ; si seppe anche che se ne affrettò la condanna capitale, volendo il conestabile di Borbone valersene prima per vendicar sè stesso di certe trascuranze avute dalla contessa, poi per vendicare l’uc­ ciso ch’era un suo grande amico. Queste voci s’ ingrandirono, come di solito avviene, passando di bocca in bocca e suscitarono pietà e sdegno insieme, tanto che il Grumello scrisse: « la morte di la qual spiacque a molti » (foglio 159, all’anno 1526) ('). In quell’anno, 1526, non è detto che il Luini fosse assente da Milano, sebbene i lavori del santuario di Saranno fossero già iniziati dall’anno antecedente, e non è detto neppure ch’egli non si trovasse tra i molti cui dispiacque quella morte e che pote­ rono mirare nella chiesa di S. Francesco, quelle fattezze che erano state incentivo di veementi passioni. Quale meraviglia dunque se il Luini avesse voluto delineare nella Santa, non le sembianze, ma una qualche somiglianza del­ l’infelice donna, ed improntandola di un carattere sacro, di una spirazione soave, casta, soprannaturale, si fosse rammaricato che Bianca Maria contessa di Challant, in proprio danno e in danno di molti, ne fosse stata priva ! ? L ’ill." Sen." Beltrami, a pag. 506 del Luini, ha questo riflesso : « Non sembra ad ogni modo di potere intravvedere riel volto della S. Caterina, i connotati di un determinato ritratto, ma solo quel­ l’avvenenza, diremo impersonale, che era necessaria per raffor­ zare nell’osservatore il rimpianto per il martirio imminente ».

L e S ib il l e e l e p o r t ic in e t r a l e c a p p e l l e .

A Bernardino Luini si attribuisce anche la decorazione del prospetto dell’arco di questa cappella di S. Caterina, colle si­ bille Eritrea ed Agrippina adattate nei pennacchi. Si è ritenuto che le sibille fossero state vergini profetesse, vissute fra i gentili e che i loro vaticini, dettati in versi greci

0 ) P. C u s t o d i, Continuazione della Storia di Milano di P. V e r r i, cap. XXV. 68 e chiamati oracoli sibillini, riguardassero Gesù Cristo e la fon­ dazione del cristianesimo. Sono nominate, più delle altre, l’Eri­ trea, la Cumana, la Libica, la Tiburtina od Agrippina. Ormai però è accertato che l’esistenza delle sibille non è storica ed i carmi che vanno sotto il loro nome sono una pia invenzione di ebrei e cristiani, forse dei primi secoli dell’era cristiana. Il Fa­ bricio nel libro I della sua « Biblioteca critica » opina che quei carmi siano stati inventati verso la metà del secolo II del cristia­ nesimo da uno o più autori cristiani. Altri pensano che siano interpolazioni degli oracoli sibillini riguardanti l’impero romano che s’avevano in Roma, prima del cristianesimo, e degli altri tenuti in Grecia ai tempi di Aristotile (384 av. G. C.) e di Pla­ tone (442 av. G. C.). La differenza però tra questi oracoli antichi e quelli che si credono inventati è notevolissima (’). La decorazione della cappella di S. Caterina nel Monastero Maggiore fu l’ultima opera del Lumi ; pochi mesi dopo che l’ebbe compiuta, moriva. Il visitatore forse deplora che si siano aperte delle porticine di passaggio in questa cappella e nelle altre. A proposito il si­ gnor Paolo Tedeschi ne fece lamento in un librettino, edito a Lodi dalla tipogr. C. Dell’Avo nel 1900, col titolo: D i alcune opere di Calisto Piazza, consei~cate a Milano, in cui fece stam­ pare che « per aprire quelle porticine di comunicazione tra le due cappelle, si amputarono da una parte le gambe al S. Lo­ renzo di Calisto e dall’altra si tagliò lo strascico dell’abito di S. Caterina, ossia della contessa di Challant, raffigurata dal Lumi sotto le spoglie dell’illustre filosofessa d’Alessandria. Sono profanazioni e barbarismi pur troppo frequenti ». Il visitatore però deve persuadersi che le porticine di comu­ nicazione tra le cappelle si sono eseguite secondo il disegno del­ l’architetto Dolcebono e preesistono all’opera di decorazione. In conferma, piace notare che il barbarismo indicato dal sig. Paolo Tedeschi non passò neppure dinnanzi allo sguardo attento del­ irili." Sen."' Beltrami, il quale nel suo libro: Luini, al cap. II, pag. 506, descrivendo il quadro della decapitazione di S. Cate­ rina, dice che « il gruppo di figure in lontananza, accennerebbe ad un altro episodio superfluo, essendo un ripiego imposto al pittore dalla posizione della porticina, che obbligò a spostare le figure principali verso il margine destro della composizione ». (*)

(*) Dizionario di Teologia dell’abbate N i c o l a S i l v e s t r o B e r g i e r . Dictionnaire de la Biòle par F. V i g o u r o u x , Paris, 1912. Chiesa di S. Maurizio, in Milano — Cappella di S. Caterina (dal modello al Museo Victoria and Albert - Londra). 7 0

L a c a p p e l l a d e c o r a t a d a C a l is t o P ia z z a .

La cappella attigua è votiva di monsignor Francesco Ber­ nardino Simonetta, figlio di Filippo, cugino d’Ippolita Sforza e nipote di Cicco Simonetta, segretario ducale; fu coadiutore del cardinale Giacomo suo zio, nel vescovado di Perugia : egli stesso nel 1539 venne creato vescovo di quella città; morì in Milano nel 1550 e secondo il Litta, fu sepolto in questa chiesa del Mo­ nastero Maggiore. Egli è ricordato dalle due epigrafi poste tra le decorazioni delle due lesene laterali della cappella ; sulla le­ sena a sinistra di chi legge, in piccola tavola di marmo, sono incise queste parole: D. O. M. DEIPARÆ VIRGINI ET DIVIS TUTELARIBUS SACELLUM FRANCISCUS BERNARDINUS SIMONETTA PHILIPPI FILIUS EPISCOPUS PERUSINUS FIERI MANDAVIT.

Sulla lesena a destra sono incise, in piccola tavola di marmo, quest’altre parole : IDEM Siili ET JOANNI BAPTISTÆ FRATRI UTRISQUE SINE SPE SOBOLIS SEPULCHRUM CUM PROXIME SE MORITURUM CREDERET H U MI CONSTRUENDUM.

La decorazione della cappella è di Calisto Piazza da Lodi, nato sul finire del quindicesimo secolo: fu uno dei più felici imitatori di Tiziano. Pochissimo si conosce delle vicende domestiche di questo pittore che lasciò tante memorie delle sue virtù in Lodi, in Milano, in Brescia, in Crema ed in altre città della Lombardia: operò dal 1527 al 1556 ed i suoi quadri recano talvolta il suo nome : Callixtus de platea, ovvero Calixtus laudensis pinxit. Sulla parete laterale di sinistra sono rappresentati S. Lo­ renzo e S. Giacomo, il maggiore, che evangelizzò nelle Spagne ; fu egli il protomartire degli apostoli : morì in Gerusalemme e venne sepolto a Compostella. 7 i

Sulla parete di destra, dal lato dell’Epistola, è raffigurato San Giorgio col drago simbolico ferito e con una dama inginocchiata, colle mani giunte ed un diadema in capo; è l’imperatrice Ales­ sandra che fattasi animosa pei prodigi operati da S. Giorgio prese pubblicamente a professarsi cristiana; rese lo spirito innanzi di giungere al posto designato pel suo martirio, dove invece arrivò San Giorgio e fu decapitato. S. Giorgio fu il primo martire sotto Diocle­ ziano. Nella lunetta, sulla parete di fondo, va scomparendo l’immagine di S. Francesco d’Assisi. Le pa­ role nel fregio : « ip s a c o n t e r e t CAPUT TUUM ET TU INSIDIABERIS c a l c a n e o e ju s », che sembrano dell’epoca indicata per la decora­ zione fatta da Calisto, cioè nel 1555, e si appropriano all’ Immacolata, farebbero supporre che da quel tempo la Vergine vi fosse venerata con quel titolo. La parete però non porta alcuna traccia di pitture; do­ veva essere occupata da un quadro, forse quello della deposizione di Gesù nel sepolcro, che si conserva nella chiesetta della B. V., attigua alla chiesa parrocchiale di Santa Maria alla Porta e credesi opera dello stesso Calisto da Lodi. La Madonna vi è dipinta con Giuseppe d’Arimatea, un tipo veneziano col berretto rosso in capo e colla Mad­ dalena che bacia con effusione i piedi del Salvatore. Nel 1846 il nobile sacerdote Pietro Marinoni, Simulacro dell’Immacolata di Gae­ assistente della chiesa del Mona­ tano Monti da Ravenna, che dal stero, pose un ornato di legno at­ 183S si venera in questa chiesa. torno alla nicchia fatta nel muro, nella quale collocò il simulacro dell’Immacolata che si venerava in questa chiesa dal 1838, sull’altare di S. Stefano. La bella statua, in marmo di Carrara, è opera dello scultore Gaetano Monti di Ra­ venna, autore del gruppo di statue che campeggia sopra l’atrio della chiesa di Santa Maria al Castello ed anche del Mosè che trovasi sulla via che conduce alla Madonna del Monte, sopra Varese. — 72 —

Nell’archivio di Santa Maria alla Porta si conservano gli atti riguardanti questo riordinamento della cappella : tra i quali tro­ vasi quello dell’on. Congregazione municipale di Milano in data 21 settembre 1844, ordinanza N. 19465, prot. N. 37, lib. 30 che reca le seguenti parole : « Sentita la Commissione d’Ornato e

Il ritorno del figliol prodigo. veduta l’approvazione accordata al disegno delle opere da ese­ guirsi, alla Congregazione municipale nulla osta che il signor Don Pietro Marinone coad.r° di Santa Maria alla Porta ed assi­ stente alla chiesa del Monastero Maggiore eseguisca le opere accennate conformemente al disegno approvato e sotto l’ osser- 73 vanza delle prescrizioni, riserve e diffidazioni espresse nella pre­ sente. Descrizione dell’ opera: Altare marcato nel disegno ap­ provato il gn. 12 corr. settembre escludendo soltanto la cimasa suddetta, osservato nel resto i veglianti regolamenti edilizi ». E sottoscritta: « per il Podestà Mauri ass. ». Il Mongeri osserva che « questo altarino è cozzante collo stile e col senso artistico della chiesa». L ’osservazione è accettabilis­ sima e si spera che in occasione dei ristauri vi si farà un ordina­ mento migliore, con disegno architettonico intorno alla nicchia dell’Immacolata, la quale è tenuta in molta venerazione dai buoni. Si riferisce a questo altarino il progetto di una sostituzione di cui si ha cenno nell 'Archivio storico lombardo, serie III, VI, 393.

L a c a p p e l l a d i S a n P a o l o .

La cappella vicina era dedicata a S. Paolo : sui lati sono dipinti il battesimo del Santo ed il suo martirio. Forse si rife­ risce a questa cappella uno scritto in data 12 giugno 1573, con­ servato nell’Archivio di Stato, busta 439 di « Giov. Ant. Ferarri e Josepo di prevosti che confessano aver ricevuto del P. petre di castione a bon conto dell’opera dello X nella cappella della sig. Fiorenza are gud 23 imperiali così dacordo con il meso du Fran ditto il Bralo, opera di stucco alla cappella della Fiorenza per opera di Giov. Ant. Ferarri ». La signora Fiorenza qui nominata è la stessa M. Badessa che cinque anni dopo, cioè ai 25 giugno del 157S consegnava 50 scudi d’oro per caparra al Giov. Ant. Campo Cremonese. Dicendosi che la cappella era della signora Fiorenza, si argomenta che questa Madre Benedettina ne avesse ordinato l’esecuzione e la dedica. Altri credono che questa cappella disegnata con stucchi-, sia opera del Seregni. Non è detto quando nella parete di fondo sia stato aperto l’uscio togliendovisi l’ altare. Pare che queste opere sieno state fatte prima della soppressione del monastero (179S), perchè nella cartella 44i dell’Archivio di Santa Maria alla Porta, trovasi un atto del 1849 della V. Fabbriceria col quale questa reclamando contro la chiusura delle porte verso l’atrio, chiusura ordinata da S. E. il commissario imperiale, fece osservare « che la porta maggiore verso la strada non bastava per lo sfollamento della chiesa, e che questo bisogno fu sentito fin dall’originaria costru-

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zione della chiesa essendovi una seconda porta a fianco destro di chi vi entra, dalla quale si passa aH’atrio dell’ex monastero stata sempre aperta al pubblico ».

I PUTT IN I d i C a l is t o P i a z z a .

Si attribuiscono a Calisto Piazza anche i puttini che si rin­ corrono nel fregio della trabeazione sovrastante le volte di questa cappella già di San Paolo e di quella della Beata Vergine.

La benedizione di Giacobbe.

O p e r e a t t r ib u it e a l p it t o r e P e t e r a z z a n o .

Sulla parete, vicina alla porta, si rappresenta il ritorno del figliol prodigo e l’incontro festoso col padre. Nella lunetta vedesi il vecchio Isacco che dal letto protende le braccia in atto di be­ nedire Giacobbe ; da un lato compare Rebecca la quale veglia che Esaù non sopraggiunga a funestare quella cerimonia. 75

Nell’altro scomparto vicino alla porta, a destra di chi esce, è dipinto Gesù Cristo che caccia dal tempio i profanatori e, nel semiciclo, Mosè che scendendo dal Sinai, alla vista del popolo datosi all’idolatria, scaglia a terra le tavole della legge. «Queste opere, scrive il Mongeri, sono senza nome ma ab­ bastanza chiaramente appaiono di un imitatore del Vecellio, come sarebbe Simone Peterazzano, cui infatti si attribuiscono». Il Peterazzano o Peterzano nato nel Veneto avanti la metà del secolo decimosesto, fu infatti scolaro di Vecellio Tiziano, come ne fa chiara testimonianza la bellissima pala d’altare fatta

Mosè alla vista del popolo datosi all’idolatria spezza le tavole della legge. Fot. G. Battelli. per la chiesa di S. Fedele in Milano, rappresentante una Pietà a piè della quale leggesi « Titiani discipulus ». Si giudica che venuto da Venezia in Milano in fresca età vi si sia fermato lungo tempo: in S. Barnaba fresco alcuni fatti di S. Paolo; in queste opere cercò di. associare al colorito della scuola veneta, l’espres­ sione e la dottrina prospettica della scuola milanese ; fu miglior 76

pittore ad olio che a fresco, in questo genere riuscì meno cor­ retto ; nel 1591 era ancora a Milano.

L a c a p p e l l a d e l l a risurrezione .

Un altro altare fu demolito, chissà quando, nella cappella dedicata alla risurrezione del Salvatore dove venne collocato il confessionario. L ’incarico di dipingere questa cappella venne affidato ai figli

Gesù scaccia i profanatori dal tempio. Fot. G. Battelli. minori di Bernardino Luini, Gian Piero ed Aurelio, come risulta da scrittura in data 6 maggio 1555 che dichiara l’accordo fatto con la badessa del Monastero Maggiore per dipingere « la cap­ pella della felice memoria di la s. contes Brigamina nila gisa di 77 fora con Aurelio Lovino 25 scuti per risurrezione emaus e Ma- dilina » — « con un Christo che risuscita, la Madalena che trova il nostro Signore vestito da ortolano e il nostro Signore da pe- legrino con doi apostoli quando andò in emaus ». (Archivio di Stato, busta 439). Questa convenzione è scritta da Jo. Pietro Lo­ vino e firmata da lui e da Aurelio. Nella busta N. 461 in Archivio di Stato v’ha « Inventario 70 ed 8° delli 9 cassetti delle scritture matric. N. 286 : acordo e conventione fatta da fratt. Luini per pingere la capella della s. co Bregamina anno 1555 ». Questa scrittura si capisce, allude alla convenzione sopra detta. Se si deve però credere alla sincerità del Lomazzo, che ha elogiato i figli di Bernardino Luini esaltando sopratutto l’Aurelio nell’arte del pingere, bisogna dubitare che essi abbiano di pro­ pria mano, eseguite le pitture di questa cappella. Il Lomazzo elogiando il Luini passò a dire dei figli :

...... e a questa meta corre ciascun de i tre vostri figliol, tra quali Evangelista e Pietro sono uguali nel pinger : ma più vali tu Aurelio, la cui mente più alto aspira come per l’opre tue si vede e si mira.

L ’opera eseguita nella cappella della Pergamina non sembra tale da giustificare questo elogio. Nondimeno dicesi dell’Aurelio che abbia voluto seguire il veneziano Polidoro, scolaro del Ti­ ziano, ma così scadente da non essere adoperato che per opere e luoghi di poca importanza. L ’Aurelio poi s’ebbe la comune riprovazione per quel suo declinare dalla semplicità e dalla nobiltà paterna nel manierismo, in concetti volgari, in mosse ricercate, volendo mostrare il pro­ fitto dei suoi studi sull’anatomia. Tornando alla cappella della signora Bergamina, si vorrebbe concludere che dell’Aurelio sia il disegno, ma che d’altri ne sia stata l’esecuzione. Si escluda tuttavia, che sia del fratello Pietro il quale, poco maggiore di Aurelio, ebbe fama di valente pittore, tanto che per lungo tempo fu creduto autore del quadro rappre­ sentante Gesù in atto di dare le chiavi del potere a Pietro. Questo quadro invece è di Pietro Gnocchi e si .conserva nella cappella attigua a quella della B. V. nella chiesa di S. Vittore. Non bisogna qui tacere che taluni vennero nel sospetto che Pietro Gnocchi fosse il Pietro Luini, senza potersi dare ragione 78 del come e del perchè gli fosse venuto quel cognome di Gnocchi, non raro fino da quei tempi in Milano; notandosi però che Pietro- Gnocchi nacque nel 1550 resta tolto ogni ragione d’ identità col Luini Pietro ed ogni rapporto di fratellanza coll’Aurelio, del quale il Gnocchi fu scolaro. V ’è un’altra ragione che induce a dubitare dell’autenticità delle pitture eseguite nella cappella della risurrezione ed è la data apposta alla dedica nella cornice, la quale data è di 4t anni posteriore alla convenzione ed all’accordo fatto coi fratelli Luini. Ecco la dedica e la data:

BONA COMITISSA PERGAMINA CO - JO PETRI PERGAMINI UXOR MDCVI.

Se questa data indica l’ epoca della decorazione, indica in­ sieme che 1’ Aurelio non vi attese, essendo egli morto 13 anni prima, come consta dall’ atto di morte:

«1593 6 | 8 Aurelius Lovinus annorum 63 vel circha, ex febre longa obiit post menses quatuor, sine suspicione pestis, juditio Gregori Origoni phisici collegiati >>. [Archivio Civico di Milano - località, Milano: 223).

Il giorno e l’anno di sua morte erano indicati anche da una lapide già esistente nella soppressa chiesa di S. Gerolamo, chiesa atterrata nel 1912. La lapide andò perduta, ma grazie all’Arge- lati ne fu trascritta l’iscrizione, ne et ipsa cum aliis pereat:

AURELII LUINI MEDIOLANENSIS PICTORIS EXIMII MAUSOLEUM VIXIT ANN. LXIII OBIIT ANN. MDXCIII VI AUGUSTI.

La ragione per cui la decorazione concordata nel 1555, quando la contessa Bergamina « era già di felice memoria » fu ritardata fino al 1606, non si conosce. La famiglia dei Bergamini, o Pergamini, secondo il geneo- logista Fagnani, dev’essere stata nobile ed antichissima e di essa si segnalò per scienza militare Io. Pietro, forse il marito della contessa, ricordato nel fregio della cappella, il quale ebbe grazia e molto potere presso il duca di Milano, Galeazzo Sforza. Da ma­ noscritto che si conserva nella Biblioteca Ambrosiana consta che nel 147S si distinse nell’impresa contro Pietro Roscio, nel 1487 fu tra i duci che riportarono splendida vittoria contro gli Elvezi scesi nei campi di Novara ed ebbe allora con sè Renato Tri- Cappella Bergamini — Gesù ad Emmaus. Fot. G. Battelli. 8o vulzio ed il conte Giberto Borromeo; nell’anno seguente fu man­ dato dal duca di Milano a Faenza per conservarla fedele ad Astore o Astorgio Manfredi figlio di Galeoto, signore di quella città, che fu ucciso nel proprio cubiculo per ordine di Francesca sua moglie e sorella di Alessandro Bentivoglio. Questa donna che con animo non femminile, per vendicarsi di alcune ingiurie di parole, procurò una tragica morte al ma­ rito, fu cagione di gravi dolori alla sua famiglia. In questa missione il conte Bergamini pose troppa fidanza in Giovanni Bentivoglio, padre dell’Alessandro, lasciando la città incustodita. Quando finalmente vi arrivò Giovanni, i faentini caddero nel sospetto ch’ egli volesse usurparsi la signoria dei Manfredi; s’unirono quindi in congiura, uccisero lo stesso conte Pietro Bergamini con molti dei suoi, imprigionarono il duca di Bologna, Giovanni, e mandarono Astorgio da Lorenzo de’ Medici per avere protezione. Se Giovanni Bentivoglio potè allora andar libero dalla prigionia, fu perchè i bolognesi instantemente s’ in­ terposero a suo favore. Secondo la genealogia del Calvi, invece, Giovanni Pietro era figlio di Lodovico Pergamini (dei Brambillaschi) conte di S. Giov. in Croce e della celeberrima Cecilia Gallerani. Nel 1515 fu man­ dato ambasciatore a Massimiliano imperatore, dal duca di Milano- Massimiliano Sforza. Nel 1536 abitava in P. Nuova, in parrocchia di S. Andrea. Sua moglie Bona, secondo il Calvi, sarebbe stata sorella di Gian Paolo Sforza, figlio naturale di Lodovico il Moro- e primo marchese di Caravaggio. Nei tre quadri di questa cappella sono notabili le spropor­ zioni nei personaggi ; v’è però in essi viva azione ; dei tre quadri è migliore quello del fianco destro raffigurante Gesù in abito di pellegrino che conversando coi due discepoli, s’avvia ad Emmaus. Nei pennacchi esterni sono adattate la sibilla Delfica e la. Cumana : e nella trabeazione appaiono due medaglie con santi recanti la palma del martirio. Poiché di Pietro e di Aurelio Luini si ebbe occasione di dire, conviene ricordare anche il fratello Evangelista, il maggiore d’età, segnandosene la nascita verso il 1512. I biografi riferiscono che egli siasi applicato di più allo studio d’ornato che di figura, ed il Lomazzo lo qualifica « ingegnoso e capriccioso in cotali ravvolgimenti (ornamentazioni) di carte, scar- tozzi, scudi, epitaffi, grotteschi, festoni et simili, in queste parti e in altre raro». Per il che non mancarono di quelli che vollero- 8 i attribuire a lui le migliori ornamentazioni ingegnose e capricciose che abbondano in S. Maurizio, sulle lesene, nei pennacchi, nelle trabeazioni, sulle volte e sugl’ interspazi.

San Stefano. Fr. Giov. Giac. Carreto. Fot. G. Battelli.

C a p p e l l a d i S a n t o S t e f a n o .

Vicino a questa cappella trovasi quella dedicata al proto- martire S. Stefano. Sulla parete di sinistra per l’osservatore, il Santo è dipinto in atto di predicare la Divinità di Gesù Cristo, 82 predica che gli meritò il martirio della lapidazione figurata sulla parete di fondo: qui il Santo diacono è in ginocchio, cogli occhi rivolti ai cieli aperti, rapito nella visione di Gesù, in atto di proferire la preghiera che riportasi nella cornice: « D o m in e n e s t a t u a s il l is h o c p e c c a t u m ». A custodire le vesti dei lapida­ tori e ad aizzare questi contro il Santo sta, sul davanti a sinistra, il giovane Saulo che un dì sulla strada di Damasco, sorpreso dalla grazia di Dio, si tramuterà in S. Paolo. La scena si svolge vivamente, sebbene nelle figure non siano rispettate le propor­ zioni : c’è molta espressione negli ascoltatori di S. Stefano sul lato sinistro; sono belli gli ornati della volta. Non se ne conosce l’autore; la cornice svoltando esternamente verso la lesena di destra, mostra la data: m d c v iiii. Alcuni, tra i quali il Mongeri, ne credettero autore il pittore milanese Pietro Gnocchi, scolaro di Aurelio Luini. Del pittore Gnocchi non si conoscono i particolari della vita e l’epoca della morte. Sulla parete di destra è raffigurato un personaggio in gi­ nocchio, creduto il Francesco Giov. Giacomo Carreto del quale fa menzione l’epigrafe che sta nel basamento della lesena a sinistra :

FESSUS HIC TANDEM QUIESCIT FR. JO. JACOBUS CARRETUS CUI NEC GENTIS HONOR NEC DECUS ORIS NEC HASTE GLORIA DEFUIT SUB FABR1TIO PATRUO MAGNO MAGISTRO MILITIÆ HIEROSOL1MITANÆ MERUIT IN TURCAS INDEFESSUS BELLATOR PROMERITUS DUO RELIGIONIS BENEFICIA AGENS ANNUM LXXXV MORITUR

MLAN ANNO MDLI NONIS MAII B. PINUS ALUMNUS B. M. P.

Di Francesco Giovanni Giacomo Carreto e del suo alunno Pino, che gli dedica la lapide, non si trovano notizie; additali- S3 dosi però nell’epigrafe, il nominato Fr. Giov. Giacomo Carreto quale nipote di Fabricio, grande maestro della milizia gerosolo- mitana, ne risulta ch’egli era in stretta parentela con Alfonso e gli altri fratelli di Fabricio, che dedicarono a S. Giovanni Bat­ tista la vicina cappella.

C a p p e l l a d i S a n G io v a n n i B a t t i s t a , e l a f a m ig l ia d e i C a r r e t o .

Passando ad osservarla, nelle cornici della parete di fianco leggonsi queste parole: « à l p h o n s u s m a r c h , f in a r ii e t f r è s — d e c a r r e t o d ic a r u n t MDX1V ». Un altro dei Carreto è ricordato nell’epigrafe incisa in marmo che invade la trabeazione esterna dell’ arco. Egli è Giovanni, terzogenito dell’Alfonso adesso mentovato, primo di questo nome e marchese di Savona e di Finario, legato di papa Giulio II, vicario del Sacro Impero, e terzogenito di Peretta, nipote di Papa Innocenzo V III ('). Giovanni, pure, fu marchese di Savona e di Finario e vicario del S. Impero, ampliò il dominio paterno, s’ebbe in ¡sposa Gi­ nevra Bentivoglio figlia dell’Alessandro e combattendo contro i turchi a Tunisi, fu mortalmente ferito. I suoi figli Alfonso II, principe del Sacro Impero, Fabricio cavaliere gerosolomitano, Alessandro abbate di Benacomba e prin­ cipe del S. Impero, Sforza Andrea, anch’esso principe del Sacro Impero, ed Ippolita posero la lapide in sua memoria ed in me­ moria della madre : D. O. M. GENEVRÆ BENTIVOLÆ MATRONS PROBATISS. JO. CARRETO CONJU. FINARII MARCH. IN ACIE PRO REP. CHRIST. DU. APHROS INSULTAT COLLAPSO HAUD LONGE SUPERSTITI COLLACHRIMANTES F. P. MDXLV

La famiglia dei Carreto è antichissima e si distinse per no­ biltà e potenza tra i principi e gli ottimati d’Italia; trae la sua

1 ) Tabulæ gen.*™ gentis Carretensis Joannes Bricherius Columbus patricius et orator fìnariensis (Tab. XIV). 8 4 origine da Vitichindo il grande, re dei Sassoni, morto nel S67. Appartengono ad essa personaggi illustri, tra i quali Ottone II il grande, duca di Sassonia e primo imperatore : la sua figlia Adelaide Alesia Falesca sposò il consanguineo Aleramo, discen­ dente anch’esso da Vitichindo. Il terzo nipote di Aleramo e di Adelaide, di nome Enrico I

Battesimo di Gesù Cristo. Fot. G. Battelli. march, di Savona, avuta in moglie Beatrice del march, di Mon­ ferrato, nipote di Federico I imperat. IV, nell’investitura dello stesso Imperatore del 13 giugno 1162, fu detto Carreto, o del Carreto e con questo nome si chiamarono i suoi discendenti. Dopo sette generazioni, nella seconda metà del secolo XV, da Giovanni di Lazarino li vengono alla luce i fratelli Carreto, i dedicatori della cappella a S. Giov. Battista nella chiesa del Monastero Maggiore. S5

Essi sono: I° Giorgio cav. di Rodi, commendatore di Pia­ cenza secondogenito; 2° Carlo Domenico, cardinale arcivescovo di Tours; 30 Fabricio il grande maestro di Rodi (zio di Fr. Giov. Giacomo, mentovato nella lapide posta nel piedestallo della lesena

Decollazione di San Giovanni Battista. Fot. Cì. Battelli.

della cappella di S. Stefano); 4'1 Alfonso I padre di Giovanni marito di Ginevra Bentivoglio ; 5" Lodovico conte e vescovo di Cahors (Cadurcentis epiv.) ; 6° Luca Barnaba duce dei soldati di grave armatura sotto Ferdinando re della Spagna; 7° Enrico, duce delle milizie sotto Carlo VII di Francia. Nella cappella dei Carreto sono dipinti tre atti della vita di S. Giovanni Battista; sul lato sinistro dell’osservatore, è rappre­ sentato Zaccaria, il padre di S. Giovanni, che tronca la discus­ sione dei presenti sul nome da imporsi al neonato, vergando collo stiletto sulla tavoletta: Giovanni è il suo nome; in un canto il bambino viene circonciso. Sul fondo è dipinto il battesimo di Gesù Cristo: sovra di Lui il cielo è aperto, lo Spirito Santo discende in forma di colomba : nella serraglia della volta appare il Padre Eterno e negli intradossi gli angeli. Sul lato destro, sul davanti, il carnefice depone la testa del Battista nel vassoio re­ cato da una fantesca; in fondo del quadro vedesi il re Erode tra i commensali, con Erodiade e Salome che riceve il vassoio (S. Matteo, XIV, i, 12). Non si sa chi ne sia stato l’autore; il Luini pare abbia avuto un amore particolare nel dipingere la decollazione di San Gio­ vanni tanto che, secondo la recensione del Senatore Beltrami, Luini, pag. 564, ne rappresentò più di una e trovansi sparse e nell’Italia e fuori ; in Milano nella galleria Borromeo, in Firenze nella galleria degli Uffizi, in Napoli nella collezione del duca di Ascoli, in Parigi nel museo di Louvre, in Madrid nel museo di Prado: confrontando quelle con questa in S. Maurizio viene in mente che taluno dei suoi allievi se ne sia fatto copiatore.

La p o r t ic in a d ’ in g r e s s o d a l l a c h ie s a d e l p o p o l o A QUELLA MONASTICA.

La porticina per la quale si passa dalla chiesa pubblica nella monastica fu aperta nell’anno 1864, essendosi deliberato di de­ molire le antiche costruzioni a levante della chiesa per praticarvi la via Bernardino Luini. Giova però sapere che la porticina si fece ingrandendo sem­ plicemente la finestra che conteneva il torno, disegnata dal Dol- cebono nella parete laterale all’uscio della sagristia ed in ser­ vigio di questa. La Commissione speciale di pittura della Regia Accademia delle belle Arti prescrivendo la misura della porticina, ne indi­ cava la esecuzione al posto della finestra già esistente (vedasi la copia del verbale per l’adunanza del 14 luglio 1864 N. 2S6 protocollo della Regia Accademia di belle arti, nella cartella S7 presentazione N. 72 al 90 nell’archivio della V. Fabbriceria di Santa Maria alla Porta). « La commissione dopo avere attentamente esaminati i dipinti, ha concluso che l’apertura sia fatta dal lato di levante e nella cappella di fianco all’altare maggiore, ove esiste un dipinto che rammenta debolmente alcune figure della Cena di Leonardo, che nella chiesa interna corrisponde ad altro dipinto rappresentante

Uscio della primitiva Porticina d’ ingresso sagristia. al coro. (Vedi ultimo gruppo a sinistra del Redentore nella cena vinciana). la deposizione del Signore nel sepolcro, opera di merito superiore all’anzidetto, perchè della scuola di Luini. La commissione perciò ha espresso il desiderio di conservarlo, ingrandendo semplice- mente l’apertura già esistente portandola a m. 2,05 di altezza, per m. 0,90 di larghezza, ritenendo che, ridotta l’apertura a tale dimensione non verrebbe sacrificata alcuna parte importante del dipinto ». ss

C h ie s a m o n a s t ic a .

La chiesa monastica venne aperta al pubblico dopo la sop­ pressione dell’ordine religioso, sicché per quasi quattro secoli il tesoro dei dipinti ivi profuso non fu mirato da altri che dalle claustrali. Dopo la soppressione, l’incuria ed anche qualche manomes- sione contribuirono pur troppo, a togliere splendore specialmente

Chiesa monastica: coro, organo.

Alfieri k Lacrois. all’opera del Luini, che con amore aveva atteso alla decorazione della parete sottostante alle volte del terrazzo. Il tema da svolgervi propostosi dall’artista fu la Passione e la Risurrezione del Salvatore Divino che eseguì di certo col­ l’aiuto di allievi. Il visitatore pertanto, portandosi a sinistra sotto l’arco e gi­ rando verso destra, ha modo di seguire la progressione dello svolgimento e di notare quelle variabilità di esecuzione che danno - 3g - a vedere dove abbia operato il Luini stesso e dove operarono gli allievi. Sulla parete di fianco dello sfondo a sinistra sotto il grande terrazzo, è dipinto Giuda che seguito dalla turba va al Getsemani ; la scena dolorosa del Getsemani è adattata attorno all’uscio che introduceva nel chiostro: i tre discepoli Pietro, Gia­ como e Giovanni dormono, Gesù è nella lunetta in atto di pregare, e sul fianco destro dello sfondo è dipinto in atto di

Pietro, Giacomo e Giovanni nell’orto del Getsemani - Parte inferiore. Fot. G. Bassani.

soffrire gli scherni dei manigoldi. Sotto e vicino ad un riquadro murato l’ opera del Luini si manifesta nell’ immagine mono- cromata simulante la terra cotta. L ’ immagine è di un giovine avvenente, colla lunga capigliatura, che taglia colla spada il mantello e ne lascia una parte all’ uomo dalle spalle e dalle braccia nude. È noto come S. Martino in età di quindici anni, ancora catecumeno e già ascritto alla milizia, vicino ad Amiens incon- trossi in un mendico seminudo, il quale gli chiese l’elemosina;

12 Gesù schernito. Fot. Inç. Bel Ioni, L’ andata al Calvario. Fut, Gigi Bassani, 92

San Martino, sprovveduto di denaro, si levò dalle spalle il man­ tello, e divisolo in due parti, ne diede una al misero. Nella lunetta vicina e sotto la volta, vedesi Gesù che tra­ scinandosi sotto la croce, incontra sua madre, S. Giovanni e le pie donne. Nel comparto sottostante, attorno al comunicatorio, si ripro­ ducono con qualche modificazione, il disegno veduto dalla parte del popolo, e S. Apollonia e S. Lucia. Sono pregevoli i due angeli dipinti nello zoccolo, uno dei quali porta la navicella del­ l’incenso e l’altro agita il turibolo. Nella medaglia in mezzo ha viva espressione S. Barbara di Nicomedia, nella Bitinia, che per amore della verginità soffrì lungo martirio; il suo persecutore e carnefice fu lo stesso Dio- scoro, suo padre, che le recise la testa. Nella lesena, sopra piccolo piedestallo pare si distacchi dal muro la figura di S. Sebastiano, il santo che, per ordine dell’im­ peratore Diocleziano fu legato ad un palo e fatto bersaglio alle frecce. S. Francesco d’Assisi, cogli occhi fissi nel crocifisso e le stimate nelle mani è dipinto di profilo nella medaglia del piede- stallo della lesena. Si crede che il Duini abbia atteso alla decorazione di questo comparto e alla decorazione del comparto a destra dell’osserva­ tore, dove, sulla lesena, si mostra S. Rocco in riscontro di San Sebastiano. S. Rocco è invocato siccome protettore contro i mali contagiosi e specialmente contro la pestilenza. Distribuì ai po­ veri le sue sostanze, pellegrinò da Montpellier, sua patria, verso Roma e prestò sue cure agli appestati. Si narra che ritornato in patria, e creduto uno spione, venne imprigionato dallo zio ch’era il governatore di Montpellier. Il santo sopportò la prigionia ed i maltrattamenti con eroica pazienza e tenendosi incognito. Morì nello squallore del carcere in età di 34 anni nel 1318. Allora lo riconobbe lo zio che ne fu addoloratissimo e colla propria madre gli ordinò solenni funerali. Nella medaglia del piedestallo della lesena vedesi di profilo S. Pietro di Verona (1205) dell’ordine Domenicano, devoto di Sant’Agnese, di Santa Caterina e di Santa Cecilia, strenuo difen­ sore della fede cattolica contro gli eretici, dai quali venne ucciso sulla strada che mena da Como a Milano. Prima di morire, col dito bagnato del proprio sangue, scrisse sul terreno: Io credo in Dio padre. Nella lunetta v’è la deposizione di Gesù. Nel comparto, v’è il tabernacoletto decorato all’ intorno da finta edicola che posa sopra il basamento, dove presentasi un grazioso angioletto colle candele nelle mani ; nella medaglia dello zoccolo Erodiade porge la testa del Battista. S. Caterina è nuovamente effigiata, nel fianco sinistro dell’edicola; nel fianco destro raffigurasi S. Agata che in Catania, nell’anno 252, perseguitata dal prefetto Quin- ziano sostenne intrepida il martirio. Ai due lati inferiori della decorazione del tabernacoletto, due angioli s’avvicinano, l’uno colla navicella, l’altro coll’incensiere, gli arredi sacri al culto della SS. Eucaristia. Dai paludamenti delle quattro sante, frescate dal Duini, andò disperso l’oro di cui erano adorni. Sulla finestrella aperta per il torno, trasformata in uscio d’ingresso all’altare, è adattata la rappresentazione di Gesù portato al sepolcro : anche questa è opera del Luini che presso S. Giovanni pose una benedettina colle sembianze della già nominata Alessandra Bentivoglio. La risurrezione occupa il comparto dello sfondo a destra dov’è murato l’uscio per il quale s’entrava nella sagristia; sulla parete di fianco appare Gesù risorto che si rivela alla Madda­ lena. Questi due quadri non si possono attribuire al Luini : tut­ tavia dalla maniera della composizione si può inferire che ne abbia curata l’opera. Al di sotto del quadro della risurrezione e vicino all’uscio, in una medaglia Santa Marta, la sorella di Lazzaro e di Maria, reca con una mano il vaso dell’acqua benedetta ed alza coll’altra l ’aspersorio. Nell’altra medaglia è rappresentata forse Santa Mar­ cella, la domestica di Santa Marta. Una lunga cornice incominciando dai due comparti laterali dell’altare s’aggira negli sfondi e svolta sulle lesene che sosten­ gono l’arco del terrazzo, colla seguente iscrizione:

SIC HUMANI GENERIS REDEMPTOR COETERNI PATRIS UNIGENITUS OPBROBRIUM HOMINUM FACTUS OMNEM MUNDI CULPAM UNUS IPSE VELUT AGNUS INNOCENS AD OCCISIONEM DUCTUS EST TUM PRO FIDELIBUS PERPETUAS BEATITUDINE PRETIUM PERSOLVIT AD QUAM MOX RESURGENS POPULUS ASCENDIT HINC LŒTUS ANGELORUM CHORUS COMMILITANTI ECCLESIÆ DIVINIS LAUDIBUS PERSONAT. Sant’Apollonia. Andata al Calvario. S. Lucia. S. Sebastiano'. Redentore. S. Francesco- Comunicatorio. d’Assisi. S. Barbara. Parete posteriore, a destra dell’altare.

Fot. G igi HnssnnL S. Rocco. S. Caterina. Testa di S. Giovanni. Sant’Agata. .S. Pietro m.re Parete posteriore, a sinistra dell’ altare. Figure di angeli nel basamento, verso l’interno.

Fot. G, Bussarli, S. Caterina. Fot. G. Bassani.

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Il c o m p a r t o in m e z z o s o t t o il t e r r a z z o ; LE VOLTE DEL TERRAZZO E L’ ARCO DI PROSPETTO.

Il comparto in mezzo, sotto le volte del terrazzo, era costi­ tuito, come fu detto, con un’ampia finestra arcata; ciò si mani­ festa facilmente a chi esamini il muro col quale venne chiusa la finestra, disegnandovisi la lunetta colla trabeazione ed il com­ parto inferiore. Innanzi tutto si osservi che il muro della lunetta non è fre­ scata ; questa trascuranza della parte centrale e più importante, non si può spiegare altrimenti che coll’ammettere la preesistenza della finestra; inoltre, attorno a quel muro, non si fecero nep­ pure scomparire i segni che lo indicano come costruzione ag­ giunta; tali segni si vedono anche ai lati della trabeazione ; poi, due girelle conservate ancora al di sopra di questa ed al posto dove s’appoggiava l’ arco della finestra, stanno à dire il loro officio ch’era quello di sostenere le ali del padiglione disteso a togliere al popolo raccolto in chiesa, la vista delle claustrali : la stessa iscrizione : foderunt manus meas, appropriata alla cro­ cifissione di Gesù Cristo, dipinta sulla tela da sconosciuto autore, e copia di quella che trovasi nel quarto sfondo a destra nella chiesa del pubblico, non s’accorda coll’altra iscrizione, e dinota di essere stata interposta : finalmente quel muro sporgente nella parete e che racchiude la finestra rettangolare, si rivela da sè come fattura non disegnata dal Dolcebono, ma come aggiunta per sostenere il vetro di riparo contro l’aria, che irromperebbe attraverso le ferriate. Questa muratura sporgente è riquadrata da fasce ornate in oro su fondo oscuro e nelle due fasce laterali è ripetuto lo stemma della «sega d’ oro in campo rosso dei Bentivoglio, colla biscia Viscontea Sforzesca in campo verde »; sotto in oro, splendono le iniziali A L e H IP (Alexander-Hippolita). Il rannodamento di piani e di piccole volte triangolari sotto il largo e lungo terrazzo è decorato con fasce e rilievi a stucco, su fondo azzurro, dove appaiono qua e là dei gruppi d’angeli. Nei quattro spazi corrispondenti alle lunette, sono dipinti i quat­ tro Evangelisti: per l’osservatore, S. Giovanni è a sinistra del­ l’altare e San Marco presso l’arco maggiore; San Matteo a destra della lunetta e S. Luca presso l’arco; in mezzo del piano sotto la La Deposizione col ritratto di Suor Alessandra. Fot. G. Bassani. Santa Lucia. S. Sebastiano. Stemma e sigla di Alessandro Bentivoglio. Fot. Ing. Bclloni. -— IOI —

volta e presso il grande arco è raffigurato il Padre Eterno. Il Se­ natore Beltrami, a pag. 300 del Duini descritta questa decorazione, aggiunga : « il concetto decorativo di questa terza zona (della volta) non presenta caratteri Luineschi, ma è piuttosto un riflesso della tradizione del quattrocento, e dell’arte del Borgognone, che si

L’apparizione di Gesù a Maria Maddalena. Fot. G. Bassani. intravvede negli angeli disseminati a gruppi sul fondo azzurro ; non si può a meno però di avvertire qualche influenza eserci­ tata dal nostro pittore, (Luini) nelle figure degli Evangelisti e in quelle del Padre Eterno ; siamo in presenza di un aiuto del Luini ch e, non ancora svincolato dagli influssi della vecchia 102 scuola lombarda, e sebbene non privo di una certa individualità, si sforza di adattarsi all’arte del maestro che, giovane ancora, non aveva tardato ad esercitare una straordinaria influenza sulla pittura in Lombardia ». Per chi non ricordasse il perchè gli evangelisti vengano raf­ figurati coi simboli dell’uomo, del leone, del bue e dell’aquila,

San Matteo. San Luca. Decorazione della volta. Fot. G. Bassani. giova memorare la visione di Ezechiele profeta (capo i°, dal v. i° al

V . t o '1) . Nel mezzo di parvenza di vivacissima luce, rappresentante il carro trionfale di Dio sopra la terra, il profeta distinse le forme di quattro esseri misteriosi: una sembianza d’uomo, di lione, di bue e di aquila. Tutta l’antichità cristiana convenne nel ricono­ 103 scere, in queste quattro sembianze, i simboli degli altrettanti Evan­ geli o piuttosto degli altrettanti evangelisti che ne furono gli scrittori. Nell’Uomo è simboleggiato Matteo, che esordisce il suo Vangelo dalla generazione umana di G. Cristo; nel Leone scorgesi S. Marco, che lo inizia dalla voce del Precursore nel deserto, do­ ve suona maestoso e po­ tente il ruggito di quel re delle belve; Luca, che apre la sua narrazione col sacer­ dote Zaccaria nel tempio, è rappresentato nel Bue, tra gli esseri animati il de­ signato per i sacrifizii : ma S. Giovanni Evangelista. Giovanni, che, fino dalla Particolare della vòlta. prima parola, s’innalza al seno di Dio, per contemplare e narrare alla terra la eterna gene­ razione del Verbo, trova il degno suo simbolo nel­ l’Aquila, la potenza delle cui ali, nel divorare gli spazii aerei, gareggia col­ l’acume della sua pupilla nell’affissare il sole. L ’ar­ tista saviamente dispose gli evangelisti nella volta de- scrittaavvicinando S. Giov. eS. Matteo all’altare, come quelli che furono i discepoli immediati del Divino Mae­ stro e collocando S. Marco e S. Luca di fronte, essendo stato il primo, discepolo di San Pietro, capo degli apo- Serraglia della vòlta stoli, e San Luca, disce­ polo di San Paolo. In corrispondenza a questi, sulla fascia della trabeazione esterna, sull’arco di prospetto, sono dipinti nelle medaglie, i re­ 104 lutivi maestri: San Pietro e San Paolo, e nel pennacchio di sinistra l’Arcangelo Gabriele che annuncia l’Incarnazione del Fi­ gliolo di Dio alla Vergine SS., raffigurata nel pennacchio di destra. Il Mongeri opina che ¡’Annunciata sia stata pennelleggiata dal Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino milanese (?), morto verso il 1530. Nel bambino, ivi rappresentato nell’ atto di scendere verso Maria SS., taluno vedrebbe l’illustrazione dell’errore dei gnostici, eretici del III secolo, i quali, tra le altre falsità fantasticarono che l’umanità del Messia si era formata nell’alto dei cieli e non « de Spirito Sancto, e x Maria Virgine ». L ’errore fu condannato esplicitamente nel concilio Calcedo- nese (433-435)- Sul pilastro che sostiene l’arco, a destra, è riprodotto Santo Stefano e su quello a sinistra San Bernardino da Siena (13S0) il francescano nella cui bocca, « l’eloquenza cristiana ritrovò tutta la freschezza dei tempi del Divino Maestro e la franchezza dei tempi degli apostoli ». Nel piedestallo dell’uno e dell’altro pila­ stro è effigiata una santa martire. Il complesso di questa decorazione, sebbene si presenti qua e là più o meno rovinata, tra il chiaroscuro, dal di sotto del grande arco, forma uno spettacolo di una soavità d’arte vera­ mente mirabile, e doveva essere di efficacissimo e mistico effetto anche per il scintillio dell’oro di cui erano tempestati i paluda­ menti delle figure. Anche il resto della chiesa è splendido per la sua decora­ zione, nonostante che alcuni dipinti sieno di pennello meno adde­ strato. È graziosa l’ ornatura della trabeazione, colle medaglie degli apostoli ed altri Santi, collocate sul mezzo degli archi, ed anche l’ornatura sulle lesene, dove figurano dei Santi benedettini coi distintivi di abate, di vescovo, di pontefice e dove si rap­ presentano quadri della vita e della passione di Gesù Cristo.

S a n t i rappresentati n e i p e n n a c c h i in c o r o .

Attraggono poi lo sguardo i Santi posti a lato delle finestre circolari negli sfondi dei dieci archi. Pur troppo la più parte di queste immagini di Santi si pre­ senta gravemente sconciata; pure vi s’intravede l’opera di buon autore, e chi vi scorge il fare di Bartolomeo Suardi, chi la maniera '° 5 del Borgognone, chi invece del milanese Boltraffìo Giov. Ant. (1467) nobile e ricco gentiluomo che studiò sotto Leonardo da Vinci e superò i condiscepoli in profitto. Sapendosi ch’egli mori nel 1516, ottiene conferma l’ opinione del Mongeri il quale scrisse: « Certamente queste pitture (i Santi nei pennacchi late­ rali alle finestre circolari dell’ordine inferiore) furono tra le prime opere di pittura del tempio ». Nella lunetta dello sfondo a sinistra del grande arco, è ri­ prodotto San Benedetto col pluviale ed il pastorale; nell’altro

L’Arcangelo Gabriele nel pennacchio dell’arco grande in coro. Fot. Ing. Belloni. pennacchio ricompare San Placido in ginocchio colla palma del martirio nelle mani giunte; gli sta presso in piedi il compagno- San Mauro coi distintivi di abate. San Mauro figlio di Equizio, nobile romano, in età di 12 anni fu affidato alle cure di San Benedetto che lo volle poscia coadiutore nel chiostro di Subiaco e nel ritiro di Cassino. San Mauro nel 545 eresse ad Angiò la celebre abbazia di Glaufenil che resse fino a due anni avanti la sua morte avvenuta nel 564. Nella cornice sottostante, a caratteri d’oro, è scritto il motto- L ’Annunciata nel pennacchio dell’arco grande in coro.

Fot. lue. Melloni. 107

monastico : « ubi o b e d ie n t ia ib i D e i benedictione p l e n a s u n t OMNIA ». Le pitture delle pareti di questo sfondo non sono degnate di uno sguardo ma dalle religiose del Monastero, si tennero in gran conto rappresentando esse episodi della vita di San Benedetto, di San Mauro, di San Placido e di San Francesco d’Assisi. L’episodio di S. Benedetto è trattato sulla parete di fianco a destra, dove vedesi quel solitario che apparecchiò delle vivande e le recò al Santo quando ancora giovane, fuggito da Roma, si era nascosto in una spelonca. Non lungi sta il chiostro dove a Benedetto fu pro­ pinata una bevanda avvelenata da coloro stessi che l’avevano eletto a proprio su­ periore e che poscia, male sapendo adat­ tarsi alla sua disci­ plina, congiurarono di sopprimerlo. Sulla parete di fondo v’è il monaco Mauro che per or­ dine del superiore, Benedetto, accorre a Mauro e San Placido, salvare il compagno Placido, caduto nel lago, mentre vi attingeva l’acqua. Mauro fu tanto infervorato in quell’opera caritatevole che non s’avvide nemmanco di cammi­ nare miracolosamente sulle onde. Sul muro di sinistra si rappresenta San Francesco d’Assisi sul monte d’Alvernia dove riceve prodigiosamente le sacre sti­ mate. Dall’alto scende il Serafino dalle sei ali tra le quali appare Gesù crocifisso. Non è qui inutile ricordare come i religiosi di San Benedetto presso Assisi, avessero donato a San Francesco il proprio ora­ torio, detto della Porziuncola, ed il terreno vicino perchè vi eri­ gesse la prima sua casa: i benedettini ebbero sempre in vene­ razione il serafico Santo. — ioS —

Nei pennacchi laterali alla finestra rotonda, nascosta dal­ l’organo, si presentano due sante. Quella con tre corone è Santa Cecilia : la corona che tiene sul capo è simbolo della sua verginità; la corona che porta nella

Chiesa monastica, scomparto a sinistra, per l’osservatore, della porta, parete posteriore. destra mano è simbolo della verginità del suo sposo Valeriano, e la corona posta sul terreno ricorda il terzo trionfo da essa riportato nel convertire alla fede il cognato Tiburzio. Questa immagine è riprodotta sull’ imposta dell’armadio del­ l’organo, dove sta bene la protettrice dei musicisti. — 109 —

L ’altra santa raffigurata coll’angelo, potrebbe essere Santa Giuliana, figlia di Affricano riguardevolissimo signore in Nico­ media. Ad Elusio candidato al grado di viceré nella Nicomedia che voleva sposarla, rispose: Io sono cristiana, voi siete gentile :

Planimetria generale della chiesa e monastero. Il Monastero Maggiore si estendeva, dietro la chiesa di San Maurizio, dalla via Nirone alla via Brisa e comprendeva l’area ora occupata dalle case di via Ansperto, segnate coi numeri dispari, e quella di via Bernardino Luini, dove sono erette le case coi numeri 7 e 8. La casa col 11. 8 s’avanza tuttora formando un angolo con quella del 11. io, come ad indicare il confine del chiostro. io non posso sposare chi non è cristiano. Venne perciò barba­ ramente trattata da suo padre. Iddio permise che il demonio camuffatosi in angelo di luce l’assicurasse ch’essa aveva bastevolmente dimostrata la sua fe­ deltà, e che poteva quindi compiacere Elusio, senza offesa del n o

Signore Iddio; ma avendo essa pregato, le apparve un vero- angelo ad incoraggiarla al martirio. Aveva vent’anni quando fu decapitata ed il terzo secolo era sul finire. Si potrebbe anche credere che questa Santa coll’Angelo sia Masselinda o Masselindi la di cui festa si celebra nello stesso dì nel quale si festeggia Santa Cecilia, ossia il 22 di novembre. Nacque nel Belgio, non lungi da Cambray, verso la metà del secolo settimo. Assicurata da un angelo ch’essa era cara a Dio,, rifiutò le nozze col nobile giovine Arduino dal quale fu uccisa. Sotto l’arcata vicina i santi Esuperio e Candido sottocoman­ danti della Legione Tebea, grandi commilitoni di San Maurizio, figurano in aspetto giovanile e cogli ornamenti del grado da essi tenuto nella milizia. Nel pennacchio opposto a quello dove riappare San Martino nell’atto di coprire il mendico ignudo, è effigiato un santo colla tunica di religioso, col pastorale d’abate nella destra e con un libro ed una catena cui è legato un lupicino cornuto che forse vorrebbe essere un demonietto tentatore. Altri forse potrà dire chi sia questo santo ; se si ammette però che il lupicino è simbolo delle passioni infeste al cuore umano e delle tentazioni del demonio, si argomenta che debba essere l’immagine di un santo abate oltremodo travagliato, nel quale la virtù trionfò coll’incatenamento di quelle. Simili particolari si avverarono specialmente in San Ber­ nardo (1089-1153). Nella lunetta dell’ultimo sfondo sono dipinti l’arcangelo San Raffaele che riconduce da Rages il piccolo Tobia col pesce del Tigri i cui precordi ebbero virtù di restituire la vista al vecchio padre, e l’arcangelo San Michele che sconfigge Lucifero. Nello scomparto della parete minore, ossia posteriore della chiesa, si aprì una porta, forse dopo la soppressione del mona­ stero. Di questa porta non bisognavano le monache, avendo a loro uso due porticine ora chiuse, l’ una a sinistra già indicata sotto il terrazzo, l’altra a destra nel primo sfondo, dietro il coro di legno. Per quella avevano modo di salire anche sulle tribune della chiesa, trovandosi la scala al di fuori ; per la seconda ave­ vano adito sotto il portico che, appoggiato al fianco di levante ed alla parete posteriore della chiesa monastica, s’incontrava con quello tuttora esistente lungo il fianco di ponente (vedi plani­ metria generale della chiesa e monastero a pag. 109). In quello scomparto, dove adesso è aperta la porta, era Ill collocato il trono ossia la sedia detta badiale perchè vi si assi­ deva la badessa. Cinque composizioni pittoriche si eseguirono sui cinque scom­ parti della parete posteriore. Al di sopra della porta l’ultima cena coll’iscrizione: « e l e g i v o s u t e d a t is e t iiib a t is s u p e r MENSAM MEAM IN REGNO CŒLORUM ». Nello scomparto a destra dell’osservatore la cattura di Gesù ■ nell’orto di Getsemani; nella lunetta sovrastante Gesù davanti a Pilato, coll’iscrizione: « m o r t e t u r p is s im a condemnemus e u m »; nella lunetta a sinistra Gesù flagellato alla colonna e l’iscrizione: « A PLANTA PEDIS USQUE AD VERTICEM NON EST IN EO SANITAS »; e nello scomparto di sotto Gesù deposto dalla croce. Il Mongeri attribuisce queste composizioni ai figli di Ber­ nardino Luini, dicendo che « Aurelio e Gian Pietro si mostrano venuti a gara col padre » ; il Mongeri però soggiunge che « fu una gara miseranda ! ». L ’immagine di San Maurizio, ricompare nel pennacchio presso la finestra circolare del primo sfondo, dove sono dipinti gli epi­ sodi di Noè. Il San Maurizio impugna il vessillo colla croce, e tiene nella mano sinistra il bastone del comando e la palma del martirio. La seconda figura è di San Sigismondo; porta sulla destra il modello della chiesa ; se si ammette che anche questa figura fu tra le prime opere di pittura del tempio, e quindi eseguita molto tempo innanzi che la facciata fosse costruita, si può im­ maginare essere il modello della chiesa colla propria facciata, forse ideata dal Dolcebono, quello tenuto in mano del Santo. Il pontefice colla tiara in capo, colla crocetta, nella sinistra e che nell’atto di benedire apre e solleva d’intorno a sè l’ampio pluviale, è San Gregorio Magno. Uomo di grande sapienza e di singolari virtù, di ricca e se­ natoria famiglia, pretore egli stesso di Roma, per amore di per­ fezione santa, si fece monaco vestendo l’abito benedettino; fatto cardinale e mandato quale ambasciatore pontificio a Costanti­ nopoli presso l’imperatore, ebbe occasione d’avvicinare l’eretico patriarca Eutichio e lo converti; eletto papa fu infaticabile nel pro­ muovere il bene ; primo dei pontefici si chiamò servo dei servi. Dopo settantacinque anni di vita modesta, santa ed opero­ sissima, morì nel 604. Bello è il Sant’Ambrogio nell’altro pennacchio cogl’indumenti pontificali e col simbolico staffile nella destra. II2

Eletto vescovo di Milano per acclamazione unanime dei cit­ tadini che l’avevano governatore, si distinse per sapienza e per zelo. Alla sua eloquenza devesi la conversione di Sant’ Agostino : amò il suo popolo pel quale propugnò la giustizia ; per ventidue anni fu, per così dire, l’anima della chiesa d’occidente, e fu amata e venerato dagli imperatori Valentiniano, Graziano e Teodosio. Morì il sabato santo dell’anno 397. Il Santo è effigiato collo staffile in mano, simbolo di quel­ l’ardore che lo mosse a flagellare di santa ragione, colla forte ed' inspirata sua parola, l’eresia di Ario. Non è vero che il Santo abbia fatto strage degli ariani innanzi alla chiesa di Santo Ste­ fano e che il santuario della Madonna del Monte sopra Varese, sia stato eretto da lui in memoria del sanguinoso sterminio di. quegli eretici. Le sue parole, e più i suoi fatti, dimostrarono chia­ ramente com’egli fosse nemico acerrimo dell’errore e pieno di compassione per gli erranti. Soleva egli dire : « Tirannide del sacerdote è la sua debolezza: le armi avute da Cristo sono l’o­ razione, la misericordia, il digiuno». E la storia narra che quando il popolo insorse minaccioso contro Giustina, suocera dell’impe­ ratore e partitante per gli ariani, Ambrogio s’affrettò a calmarlo proclamando che « la verità non si difende colle armi ma colla sofferenza », e che quando Itacio, vescovo spagnolo, domandò la sua amicizia, il Santo non ne volle sapere perchè a quel ve­ scovo si era imputata la morte dell’eresiarca Priscilliano. Nello sfondo allato il visitatore rivede Gesù che in abito di giardiniere appare alla Maddalena; nell’altro sfondo trova bene operate le figure di S. Pietro e S. Paolo, e nell’ultimo quelle di Maria Santissima e della cognata Santa Elisabetta. Le parole nella cornice : inter natos nemo major fortior me si riferiscono a S. Giov. Battista. Altre lettere s’intravedono nel seguito della cornice; pur troppo, sono indecifrabili.

Il coro in l e g n o , l ’organo ed il lo ggiato .

All’architetto Dolcebono si attribuisce meritamente anche il disegno del coro in legno dai cento stalli. Il Dolcebono, sempre timoroso del trasmodare, si rivela « nella misura proporzionata dell’intaglio, delle colonnine, dell’eleganza ai braccioli, alle men­ sole del baldacchino, e tra il profilo largo, semplice e corret­ tissimo ». II3

Sulla parte sinistra del giro corale fu collocato l’organo, strumento musicale liturgico ed immancabile presso le religiose votate alla clausura. Questa chiesa con più diritto d’ogni altra, non doveva esserne priva, appartenendo a quell’ordine religioso che in ogni tempo s’applicò, con particolare amore, allo studio ed alla cultura della musica sacra. Il Dolcebono pertanto, nell’ideare l’architettura del tempio, vi dovette pensare e forse assegnava a quello stru­ mento il posto spazioso sul terrazzo; quindi nell’atto di dare

Nella 2a arcata del loggiato entrando dalla torre.

Fot. Ing. Bclloni. novella prova della sua perizia architettonica colla struttura ori­ ginale di quel terrazzo, provvedeva che le tribune della chiesa claustrale si potessero percorrere all’ingiro, rimanendo chiuse quelle della chiesa del popolo, che le religiose musichesse aves­ sero agio di raccogliersi attorno all’organo e di ordinarsi anche lungo i loggiati laterali, e che le esecuzioni musicali raggiunges­ sero il migliore degli effetti, giacché non si poteva assegnare all’organo posto più adatto che quello sul terrazzo. Tuttavia quel posto pare non sia stato approvato dalle mo­ nache, trovandosi troppo elevato dal coro dove stava riunita la comunità a salmeggiare, ed anche per la poca comodità di salirvi, avendosi all’ esterno la scala. Pertanto il 4 settembre 1554 si convenne coll’organaio milanese Gian Giacomo Antiguad, figlio di Bartolomeo, per la costruzione dello strumento: la conven­ zione si compì nella solita forma solenne. Se ne conserva il do­ cumento nell’Archivio di Stato, busta 439.

In nomine Domini anno a Nativitate D. N. J. X. millimo quingenmo quinqum0 quarto in die XIII du Martis quarta mensis septembris convocato et congregato

Nella 3a arcata del loggiato: S.tft Giuliana.

Fot. Ing. Bclloui. capitulo et conventu venrum et venrum abbattissæ et monialium religiosi ordinis S. Benedicti de observantia ubi solum pro similibus negociis congregari de mandato vend0 domnc Hiero- nime de Brippio Dei gratia dicti Monari abbatisse et sono campane premisso ut moris est et in qua quidem convocatione et congregatione aderant ipsa dom. abbatissa et cum ea et penes eam infra ven. dom. mare d. Eufesina citadina priora et..: (sono- elencate 96 altre claustrali tra le quali D. Angela Serafina da Terzàgo, D. Alessandra Sforza Bentivoglio, D. Francesca Violante Bentivoglio, D. Ottavia Pusterla...), qui sunt major et sanior pars et doni Jacobus Antignati filius quodamdom. Bartholomei. ...Jacobus est obligatus construed organum unum illius altitudinis et latitu­ dinis cujus et organum ecclesie S. Simpliciani et cum illis registris omnia suis expends propriis ipsius domini Jacobi excepta capsa organi et pozolo sup quo firmabitur organo qui capsa et pozolum expensis monialum et monasterii dicto Jacobo pro constructor dicti organi ut supra descr. scuta quin­ quaginta auri que faciunt tibi ducentu septuaginta quinque imperial, qui seu va­ luta confitetur recepisse ab ipsis mon. presentibus abbatissa et monialibus alia scuta quinquaginta seu valuta ad computu tibi quinque cum dimidio sur scuto in festo pascalis resurrectionis D. pro futuro alia scuta quinquaginta seu valuta ad computum ut in festo S. Martini expendi pro futuro, alia scuta quinquaginta cum perfectum fuerit instrumentum et organo qui sunt scuta ducenti. Udest D. Ambrosius de Mediolano Dei gratia abbas SS. Petri et Pauli di etc.

Nella 3a arcata del loggiato di fronte a S.ta Giuliana.

Fot. Ing. Bclloni.

Nel 1837 fu rinnovato in più parti perchè quasi inservibile e per quest'opera si sborsarono L. 400, come risulta dal conto conservato in Archivio di Santa Maria alla Porta, cartella Il cartellino sopra la tastiera ricorda un’altra ristaurazione fatta dall’organaio milanese Natale Balbiani nel 1877; verso l’anno 1900 lo stesso Balbiani cambiava in maniera moderna la registrazione e la pedaliera. La decorazione del grande armadio dell’organo ebbe per autore un Francesco De-Medici di Seregno: nell’Archivio di Stato, busta 439 havvi la seguente fattura colla data: « 1556 conto per — ii6 — spese fatte per dipingere la cassa dell’organo fata per Frane, di Medici di Seregno dipinctor :

Spese per foglio d’oro L. 164 B. 12 » garzoni...... 198 » » il corpo dell’organo. 570 » spese fino al cornicione». Sulle imposte al di fuori sono rappresentati in chiaroscuro San Maurizio e San Sigismondo con un modello di chiesa in mano, e nella controparte, in colori, Santa Caterina e Santa Cecilia

Nella Ia arcata del loggiato dopo il terrazzo: S.ta Lucia. Fot. Ing. Bulloni. colle tre corone ; nella cimasa domina uno stemma tra le ini­ ziali V. B. che forse vogliono dire Violante Bentivoglio, altra figlia d’Alessandro che seguì la sorella nel monastero: essa è elencata tra le intervenute al contratto coll’Antignati ed è ricor­ data nella lapide che sta sulla tribuna; più innanzi si dirà di questa lapide (pag. 120). Quest’organo è destinato a scomparire da questo posto per la libera prospettiva del tempio. Sull’altra parte del giro corale era costrutta una cantoria perfettamente simmetrica a quella dell’organo di fronte. H 7

Nel loggiato di questa parte interna della chiesa, al di sopra dei piccoli archi di passaggio, sono simulate delle finestre cir­ colari nelle quali si prospettano immagini di sante dotate di no­ biltà e bellezza singolare ; il Mongeri afferma che « è la bellezza lombarda in tutto il suo splendore, in tutta la sua purezza che trovasi qui esplicata ; ed è forza confessare che vi prevale più che la luinesca, l’ispirazione leonardesca ». Non pochi degli stu­ diosi infatti ne vorrebbero attribuire il merito al Boltraffio segnan­ done la maniera sua specialmente nel rotondeggiare dei sembianti e nelle fronti alte e severe. Si riconoscono Santa Scolastica e Santa Barbara dipinta colla

Nella i a arcata del loggiato dopo il terrazzo: S.ta Caterina. Fot. Ing. Belloni. torre nella prima arcata d’ ingresso nel loggiato ; forse Santa Giuliana coll’angelo nella terza e Santa Apollonia nella quinta. Oltrepassato il terrazzo, entrando nel loggiato parallelo al primo, si riscontrano Santa Lucia e Santa Caterina nella prima arcata, forse Santa Tecla nella seconda, la figlia spirituale di San Paolo, la protomartire delle sante. Si narra nella storia del suo martirio, che Erode, trovandosi in Antiochia, diede ordine di gettarla in pasto alle fiere, le quali anziché farne strage le si fecero d’ attorno a guisa di cagnolini domestici, scherzando e lambendole le vesti. Santa Cecilia è dipinta colla corona di rose in capo e con un cesto di rose in mano nella terza arcata: Santa Agnese nella ii8 quarta e nell’ultima Sant’Agata. La santa di fronte a Sant’Agata coll’abito benedettino si reputa Santa Chiara, prima figlia spirituale di S. Francesco d’Assisi, dapprima religiosa nel chiostro dell’or­ dine di S. Benedetto presso la Porziuncola, poi fondatrice dell’or­ dine delle Clarisse; la sua preziosa morte seguì nell’anno 1235. L ’adorazione dei magi ed il battesimo di Gesù Cristo frescati sul muro trasversale, al di sopra del terrazzo, si credono opera dell’Aurelio Luini. Nella cornice sopra il quadro dei magi, leg- gesi il nome di D. Maura Taverna, monaca professa qui ricor­ data forse quale benefattrice che a proprie spese fece decorare

Nella 4;l arcata del loggiato dopo il terrazzo: S.'“ Tecla. Fot. Ing. Bel Ioni. questa parte del muro trasversale. Nel fregio sovrastante la lesena vicina, sta uno stemma con due fasce bianche parallele, disposte in direzione inclinata, in campo verde-oscuro. Il quadro delle nozze di Cana, a detta del Mongeri « è in­ degno d’avere posto tra il consorzio degli altri dipinti». Infatti vi sono violate le regole della prospettiva. Ë però desso una imita­ zione del quadro delle nozze di Cana di Calisto Piazza che aspor­ tato dal monastero cistercense di Sant’Ambrogio si conserva sullo scalone della biblioteca di Brera. Nel fregio della trabeazione appare in medaglia o scudo, l’immagine di un agnello in atto di guardare una stella. Al di sopra della lesena sta un altro stemma con un leoncino ritto sulle gambe posteriori in campo rosso. Al di sopra del quadro del battesimo di Gesù nel Giordano — 119 leggesi la data 1565. Per la data « 1556 primo febrarie», che leg- gesi sulle lesene laterali al quadro delle nozze di Cana, si può congetturare essersi incominciato questo lavoro pittorico dopo che si venne nella deliberazione di collocare l’organo sopra il coro di legno. Anche gli angioletti cogli strumenti musicali sulle due lesene, allato alle composizioni pittoriche degli scomparti, mentre accennano alla festa degli angeli veri in quei tre momenti della vita di Gesù Cristo, pare stieno similmente a ricordanza del pro­ getto del Dolcebono.

Nella 4a arcata del loggiato oltre il terrazzo: S.tft Agnese. Fot. Ing. Felloni.

Un piccolo monumento esiste nella tribuna, sopra lo sfondo nel lato dell’Evangelo dell’altare maggiore, coll’iscrizione: D. O. M. ALEXANDRO B ENTI VOLO EX BONONIÆ PRINCIPIBUS MONTIS ACUTI DOMINO QUI — A — — A — MDO ET CREMONÆ PFUIT HUJUSQ MON.

R editus valde amplificavit et io an i NEPOTI FILIABUSQUE GENEVRÆ FINALII MARCH ESIÆ ET FRANCISCÆ VIOLANTHIDI MONACHÆ PIISSIMÆ ALEXANDRÆQUE CÆNOBII HUJUSCE ANTISTITI SEXIES BLANCA HIERONYMA BRIPPIA ANTISTES CÆTERÆQUE DOMINÆ SORORES BENEFICIORUM MEMORES B. M. P. MDLXXII. 120

Di questo piccolo monumento si fece il contratto il 29 ago­ sto 1572 e se ne ha cenno nell’Archivio di Stato, busta 439 « con­ tratto tra la badessa Bianca di Bri vio e certo Giov. Batta Vaylà (di Vailate) per una lapide con l’arma dei Bentivoglio relativo epitaffio da porsi nella chiesa del mon., da finire per l’ottobre per prezzo di 21 scudi d’oro in oro in 4 volte sborsati ». Il monumentino di marmo consta di due rettangoli di cui l’uno è sovrapposto all’altro: nel superiore è scolpito un ornato di figura ovale, tra due angioletti appoggiati sopra un portafiaccola

Nell’ultima arcata del loggiato: S.ta Chiara. Fot. Ing. Belloni. capovolto, ed in attitudine mesta ; nell’inferiore è scolpita l’epi­ grafe. Da questa risulta confermato che dei Bentivoglio si fece monaca non solo la Bianca detta poi Alessandra, ma anche la sorella Francesca Violante, in fama di piissima. E curioso che di essa non abbiano fatto menzione i genitori nei loro testamenti mentre fecero dichiarazioni esplicite e determinate per la figlia Alessandra. Si potrebbe però supporre che la Violante all’epoca in cui fu dettato il testamento di Alessandro, vale a dire nel 1529, vivesse col marito sig. Giov. Paolo Sforza, e poscia rimasta ve­ dova abbia preferito riunirsi alla sorella nel sacro ritiro. Dalle tribune meglio che dal plano della chiesa si possono contemplare le medaglie monocromatiche ordinate sugli archi­ travi delle tribune opposte: ciascun santo vi è indicato col pro­ prio nome che leggesi nella cornice circolare della medaglia. Sono notevoli per bellezza quelle nella chiesa monastica, tra le quali si distinguono S. Maurizio, S. Esuperio, S. Candido, S. Innocenzo sulla parete posteriore.

O per e di ristauro.

Ora si attende che l’opera intelligente ed accurata di valente artista indirizzata a levare la polvere ed a ripararvi le ingiurie fatte dal tempo, dall’umidità, dall’incuria, rimetta in splendore questa meravigliosa pinacoteca luinesca e vera galleria di scuola lombarda. 11 23 dicembre 1910 la veneranda Fabbriceria di S. Maria alla Porta ed illustri cultori d’arte che si costituirono in comitato per l’opera dei nstauri di San Maurizio, domandavano l’incorag­ giamento e la contribuzione generosa del pubblico colla seguente lettera: « Richiamando l’attenzione del pubblico e quella particolare della S. V. sul prezioso edificio di S. Maurizio al Monastero Maggiore, al quale le grazie del pennello di Bernardino Luini e le semplici ed elette forme del nostro primo cinquecento asse­ gnano posto affatto singolare fra gli edifici sacri milanesi e rino­ manza ben meritata presso ogni cultore d’arte, la Fabbriceria ed il Comitato qui sottoscritti confidano vivamente di non compiere opera vana. « Tale fiducia massimamente trova giustificazione nelle non dubbie prove che Milano sa dare di comprendere, non solo di qual culto siano degne le sue tradizioni artistiche ed i suoi mo­ numenti, ma anche in qual modo occorra efficacemente provve­ dere alla loro tutela. « È pertanto quasi un semplice dovere cittadino quello che ora compiamo ricordando alla S. V. come non possa oramai di troppo esser protratto il momento in cui la nostra attenzione e la nostra azione concorde debbano essere non vanamente dirette a pro dell’insigne edificio di S. Maurizio. Una tenebra sempre più fitta va addensandosi oramai fino ad insidiare e ad offuscare il sorriso degli affreschi del grande Maestro lombardo. Malanni

16 122 di varia natura hanno lasciato e seguitano a lasciar traccie troppo penose lungo le pareti dell’augusto tempio. Trascurarlo oltre, e non provvedere con efficacia e sollecitudine a qualche rimedio, equivarrebbe forse impedire che nel futuro si possa assaporare l’intimo godimento di tante cose belle onde la buona arte d’un tempo ha illeggiadrito il nobile ambiente di S. Maurizio. Nè oltre giova insistere per dimostrare come un’azione a pro del restauro artistico di tale chiesa si imponga oramai, e come il nostro ap­ pello all’interessamento d’ogni cultore e d’ogni amante d'arte a non negare il proprio contributo alla presente iniziativa abbia diritto di confidare nella più favorevole delle accoglienze. « La Fabbriceria provvede con cura alla ordinaria manuten­ zione del fabbricato. E pochi anni or sono, con non poco sacri­ ficio e qualche aiuto governativo fece, sotto la sorveglianza del­ l’Ufficio Regionale, una generale riparazione straordinaria al vasto tetto, ai canali ed alla facciata ecc. per salvaguardare il monumento almeno dalle intemperie : ma dalle sue finanze è vano esigere il ristauro artistico interno, che solo un generoso pub­ blico concorso potrà conseguire nel suo assieme efficace ed am­ mirevole. Il fabbisogno per una degna e reclamata opera, im­ porterà una spesa rilevante. Con ciò si avrà giusto orgoglio di preservare un monumento che è vanto di fede, d’amor patrio e d’arte. « A noi non resta pertanto che attendere dall’incoraggiamento e dal contributo del pubblico la possibilità di concretare quel piano finanziario che, unito a quello degli altri pubblici Enti, permetterà di tramutare in atto la presente iniziativa, che racco­ mandiamo intanto vivamente e particolarmente anche al benevolo interessamento della S. V. ». Milano, 23 dicembre 1910.

COMITATO PEI RESTAURI DELLA CHIESA DI S. MAURIZIO AL MONASTERO MAGGIORE.

B a g a t t i V a l s e c c h i Barone Giuseppe B a z z e r o Cav. Avv. Carlo B e l t r a m i Comm. Arch. Luca - Senatore del Regno B r u s c o n i Arch. Augusto - Soprintendente dei Monumenti della Lom­ bardia C a v e n a g h i Prof. Comm. Luigi - Pittore C o m u n e d i M i l a n o

C o r n a g g i a -C a s t i g l i o n i Conte C. Ottavio - Deputato al Parlamento D e C a p i t a n i D ’A r z a g o Nob. Comm. Avv. Giuseppe 123

F r i z z o n i Dott. Cav. Gustavo G r a n d i Antonio L u r a n i Nob. Agostino M o d i g l i a n i Dott. Ettore - Soprintendente delle RR. Gallerie e raccolte d’arte della Lombardia M o r e t t i Arch. Comm. Gaetano - Professore d’Architettura nella R. Ac­ cademia di Belle Arti in Milano « R a s s e g n a d ’A r t e »

R i c c i Comm. Corrado - Direttore Generale per le Antichità e Belle Arti V a l v a s s o r i P e r o n i A v v . Angelo - Deputato al Parlamento

FABBRICERIA DI S. M. ALLA PORTA.

D a l V e r m e Conte Antonio - Presidente C a s t e l l i Dottor Francesco - Fabbricere anziano G a v a z z i Comm. Ing. Pio - Fabbricere V a n d o n i Ing. Carlo - Fabbricere T a v e l l a Giovanni - Fabbricere Monsignor M a m b r e t t i Cesare - Proposto Parroco Sacerdote Rossi Ismaele - Coadiutore e assistente di San Maurizio. Bossi Massimo - Agente-Cassiere Le oblazioni si ricevono, nei giorni di mercoledì e sabato dalle io alle n presso: Il Sac. Don I s m a e l e R o s s i , Via Bernardino Luini, n. 2 Il sig. Ing. C a r l o V a n d o n i , Foro Bonaparte, n. 2 Il nome degli oblatori e delle loro offerte saranno pubblicati a cura del Comitato.

L ’ invito destò subito interessamento, ed i generosi oblatori si susseguirono con belle offerte, che aggiunte ad altra cospicua di L. 50.000 pervenuta per l’illustrissimo Senatore Luca Beltrami, formarono tale somma da bastare perchè s’iniziassero i lavori di ristauro.

ELENCO DEI PRIMI OBLATORI. Questo i° elenco fu pubblicato dai giornali cittadini V Unione e Corriere della Sera il to aprile 1911. Tra gli oblatori si segnalano: Ministero della pubblica istruzione . . . L. 1500 Comune di M ila n o ...... » 2500 Economato generale dei benefici vacanti . » 500 Mons. Sac. Cesare Mambretti Prep. Parr. di S. M. alla Porta...... » 500 Conte Antonio Dal Verm e...... » 300 Dott. Francesco C a s t e l li...... » 300 Comm. Ing. Pio G a v a z z i...... » 300 Nob. Cav. Guido Gagnola...... » IOO Contessa Jeannette Dal Verme .... » 500 Avv. Enrico Mariani e consorte .... » IOO L. 6600 124

Riporto L. 6600 2° elenco pubblicato come sopra il 16 aprile 1911: Comm. Arch. Luca Beltrami, Sen. del Regno L. 200 Rag. Luigi C a s s a n i...... » 200 Rag. Cav. Luigi B a r e g g i...... » io Signora Giulia Bordini ...... » 100 Sig. Pietro C u r le tti...... » 500 » Luigi B ellin gard i...... » 100 Capit. Gaspare Rotondi...... » 20 Sig. Cesare Hénin...... » 200 Signora Giuseppina Miotti Magretti. ...» 100 » Amalia Crippa Fenaroli e consorte . » 20 Conte Cesare Del M a y n o ...... » 20 L. 1470 3° elenco, 24 aprile 1911: Pinacoteca di B r e r a ...... L. 500 Sig. Gerolamo Schieppati...... » 50 Avv. Comm. Giuseppe De Capitani d’Arsago » 100 Sig. Gaetano Borsani...... » 200 L. 850 4° elenco, 18 giugno 1911: Sig. Carlo B e lg ir...... L. 100 Ing. Ugo M onneret...... » 30 Dott. Cav. Gustavo F rizzo n i...... » 150 Signora Lina G in o u lh ia c...... » 100 I. Hage di D anim arca...... » 100 L. 4S0 50 elenco, 19 giugno 1912 : Conte C. Ottavio Cornaggia Castiglioni . . L. 50 Signor Ang. Maria C orn elio...... » 85 Noseda Cav. A l d o ...... » 100 Signor Grandi A ntonio...... » 100 Bagatti Vaisecchi Bar” Giuseppe .... » 150 L. 485 6° elenco, 8 luglio 1913: Bertarelli D.r Com.” Ambrogio .... L. 50 Monsig. Prep. P.“ Cesare Mambretti (2a offerta) » 100 Signor De Gaudenzi E n r ic o ...... » 50 Signor Angelo Maria Cornelio (2a offerta) . » 25 L. 225

Da riportare L. 10110 125

Riporto L. ioiio Lumi. •— Materiale di studio raccolto a cura del Comm. Sen. Luca Beltrami, edizione di 300 copie a totale vantaggio dei restauri di S. Maurizio in Milano depositate presso la Ditta P. Bonomi, Galleria V. E. - Prezzo L. 25.— cadauna. Ricavo al 14 gennaio 1 9 1 3 ...... L. 4212 Totale L. 14322

Le opere di restauro, dirette dall’ arch. Augusto Brusconi, soprintendente dei monumenti della Lombardia e dall’ ingegnere Carlo Vandoni, membro della veneranda Fabbriceria di Santa Maria alla Porta, incominciarono il giorno 16 settembre 1912. La prima delle opere fu la sostituzione del pavimento di marmo di Verona al primitivo di mattone, in coro. Si curò anche la statica del tempio con diverse operazioni muratorie agli archi ed alle volte in pericolo di cadere; l’impostame e le invetriate alle finestre sono nuove ed il coro di legno venne ripristinato. A fine di fermare, per quanto possibile, l’azione deleteria dell’umidità, nella chiesa del popolo, si dovette intraprendere un lungo lavoro. Si noti che questa parte della chiesa non aveva sotterraneo, avendolo invece la chiesa delle claustrali. Si dovette quindi la­ vorare una profonda escavazione e fabbricarvi le volte. Intanto si venne a scoprire che già altra volta si ebbe cura di fermare l’umidità ed all’uopo si distese uno strato di sabbia sotto il pa­ vimento. Nell’occasione di questo lavoro forse si manomisero i sepolcri del Besozzi (test. 1524), di Filippo Balbo (test. 157S), di Vittoria Crivelli (test. 1598), i quali disposero con testamento d’es­ sere sepolti sotto l’altare di Santa Caterina, e si manomisero anche i sepolcri di Agostino di Legnano (1546) e di Gian Giacomo Car­ reta, perocché sotto la cappella di Santa Caterina non si trovò neppure un resto dei sullodati testatori, e neppure un indizio che vi fossero stati dei sepolcri ; invece si scoprì in mezzo della chiesa ed a tre metri di distanza dalla porta maggiore d’ingresso, un grande avello costrutto con mattoni e dentro diviso per il lungo da muro, in modo da formare due sepolcri, avendo ciasche­ duno la profondità interna di m. 1,90, la lunghezza interna di m. 3, la larghezza interna di ni. 1,60, coi mitri grossi ni. 0,30; questi sepolcri erano pieni di mattoni infranti e di terriccio. Ciò fa pensare che quando si levò il primitivo pavimento, per le riparazioni occorrenti a riparo dell’umidità, si levarono dal loro posto anche le ossa dei sepolti, e non se ne capisce la ragione. Quindi per fare posto allo strato di sabbia, anziché asportare quella parte di terreno ivi ingombrante, se ne gettò una grande quantità negli sfondi arcati che si ripetono nei fon­ damenti sotto le cappelle, ed a versarne il resto nell’avello coi rottami del suo coperchio. Dei cinque scheletri umani che, se­ condo gli atti esistenti nell’Archivio di Stato, vi dovrebbero es­ sere stati conservati, non se ne trovarono che due: uno giaceva scomposto e colle sue parti cumulate le une sulle altre, sotto la cappella di San Paolo, ossia sotto il vano a destra di chi entra in chiesa; l’altro invece, fu trovato disteso e naturalmente com­ posto sotto la cappella di San Giovanni. Questi resti umani fu­ rono raccolti in apposita cassetta colla seguente scrittura dettata dall’ ili."’0 Mons.” Preposto Parroco di Santa Maria alla Porta Sac. Cesare Mambretti :

SUBTER UDIS FORNICIBUS DESTRUCTIS MENSE JUNIO ANNO MDCCCCXIII MARMOREUM LATERICIO PAVIMENTO SUFFECTUM EX TUMULIS OSSA JAMPRIDEM DISPERSA RECOLLECTA HUC ET CONDITA DONEC REVIVISCANT.

La cassetta è deposta nel sotterraneo nuovo della chiesa e precisamente sotto la cappella della resurrezione. PARTE SECONDA

IL MONASTERO MAGGIORE IN MILANO. Corso Magenta — La porta d’ ingresso al Monastero Maggiore.

Fot. G. Battelli. IL MONASTERO MAGGIORE IN MILANO

O p in io n i d iv e r s e in t o r n o a l e ’ o r ig in e

d e l M o n a s t e r o M a g g io r e .

e notizie che possono interessare intorno al Monastero Maggiore sono innanzi tratto quelle che riguardano la sua origine. A. proposito si fecero diverse con­ getture che il Sac.te Serviliano Lattuada riportò nel suo libro : Descrizione di Milano e precisamente nel tomo IV, N. 170; alcune delle quali si leggono pure nel Milano nei suoi monumenti di Carlo Romussi ed in libri di altri autori. Vi sono ricordate quelle di Galvaneo Fiamma che attribuì la fondazione del Monastero Maggiore all’ imperatore Ottone, (936-973), quella del Torri che l’attribuì invece alla regina Teo­ dolinda (600-614), le altre che fecero credere esserne stato fonda­ tore S. Sigismondo re di Borgogna (496-524), e le congetture del­ l’arciprete Puricelli più propenso a crederlo fondato in tempo più lontano, circa l’anno 356, da S. Martino vescovo di Tours. Comunemente però si ritenne che S. Sigismondo ne fosse stato il fondatore. I.e claustrali del Monastero Maggiore non ne ebbero dubbio alcuno, quindi, vollero effigiato il Santo in uno dei posti d’onore sulla parete trasversale della chiesa, lo vene­ rarono quale compatrono del loro sacro ritiro e della chiesa, ne celebravano la festa con particolare solennità, il primo giorno di maggio e gli appropriarono il titolo di conditore del Monastero, nell’iscrizione in marmo nero, posta sulla porta d’ingresso dal corso Magenta, accanto alla facciata della chiesa. L ’iscrizione è questa: MONASTERIUM HOC, S. SIGISMUNDI CONDITORIS, S. MAURITII PATRONI, S. BENEDICTI INSTITUTORIS, MAGNIS NOMINIBUS CLARUM, OTTONIS MAGNI IMPERATORIS, DESIDERII REGIS LONGOBARDORUM MUNIFICENTIA MAXIMUM SACRARUM VIRGINUM RELIGIO MAJUS FECIT. 130

Inoltre in alcune scritture conservate nell’Archivio di Stato, busta 440, dettate dalle stesse monache, si è dato per certo che il Monastero Maggiore avesse avuto per fondatore il santo re di Borgogna. In un atto del 1625 si hanno queste parole: « cessi ogni no­ vità tentata al Monastero Maggiore che ebbe origine da quel gran re S. Sigismondo seicento anni sono, nobilitato ed accresciuto di molti privilegi et grazie ». In una supplica del 1626 diretta dalle monache al duca di Milano Gonzalo Fernandez de Cordova si riconferma quell’ affermazione coll’ autorità del breviario, che andò smarrito, e proprio colla prima lezione dell’officiatura del santo : « patet in lectura prime lectionis solemnitatis S. Sigis- mundi ».

Se S a n S ig is m o n d o s ia s t a t o f o n d a t o r e d e l M o n a s t e r o M a g g io r e .

Donde sia derivata questa credenza, chi lo sa? Poche e lievi considerazioni però bastano a dimostrare che è destituita di fon­ damento. Intanto s’incominci a rilevare nell’atto sopracitato del 1625 un errore madornale di data: scrivendosi quell’atto nel 1625 non si potevano contare seicento anni dalla fondazione del Mo­ nastero Maggiore se questa era da attribuirsi « a quel gran re S. Sigismondo », ma se ne dovevano contare più di mille : l’iscri­ zione poi che si legge sulla porta del Monastero in corso Ma­ genta anteponendo l’imperatore Ottone al re Desiderio, manifesta confusione d’idee intorno a fatti e date che si dovevano appu­ rare. Fu detto, scritto e creduto che S. Sigismondo abbia fondato il Monastero Maggiore, ma non fu mai detto in quale anno, ne in quale occasione e circostanza : e ciò non fu mai detto perchè non lo si può neppure congetturare. Mancano memorie ch’egli sia venuto in Milano, o che abbia avuto rapporti tali con questa città da muoverlo ad edificarvi un monastero. Nell’anno 495 sposò la figlia di Teodorico re d’Italia, ma non si conosce dove abbia celebrato il matrimonio : e bisogna ricordare che in quel- l’anno era ariano, quindi è certo che non gli venne nemmanco l’intenzione di edificare un monastero. Narrano le storie che verso l’anno 514, essendosi egli con­ vertito al cattolicesimo, si recò a Roma per venerare le tombe dei SS. Apostoli e per professare devozione al Pontefice ch’era — I 3 I

Simmaco, ma taciono del suo viaggio, nè dicono se sia passato per Milano. Ancorché vi fosse passato, non era proprio quello il tempo opportuno per dare esecuzione ad un disegno inattuabile per le circostanze in cui trovavasi la città di Milano. Erano tanto mi­ serabili le condizioni di questa città che Teodorico non volle stabilirvi la sua sede e preferì collocarla in Ravenna. Sigismondo doveva anche ricordare che suo padre stesso, Gundebado re di Borgogna, aveva contribuito dopo Attila, a rendere misere le condizioni di Milano sì che non vi avrebbe trovato favorevole accoglienza. Non erano forse trascorsi vent’anni dacché Gunde­ bado, sotto pretesto di correre in difesa di Odoacre re degli Eruli contro Teodorico re dei Goti che si disputavano il dominio d’Italia, scese con numerosa truppa dai monti della Savoia, sco­ razzò per le fertili pianure del Piemonte, della Lombardia e com­ piendo saccheggi, appiccando incendi ed uccidendo quanti gli si opponevano colla resistenza, giunse a Milano. Quindi carico di bottino, traendo seco i giovani da tenere schiavi nei suoi paesi a coltivare i campi ed ostaggi da cambiare coll’oro, se ne andò, lasciando le contrade del Milanese deserte, i villaggi spopolati, le campagne squallide. Quando Teodorico proclamatosi re d’Italia nel 493 volle riscattare quegli schiavi sborsò moltissimo oro, e tuttavia d’altro oro ancora fu richiesto dall’inesorabile Gundebado. Del resto si ammetta pure che S. Sigismondo abbia in Mi­ lano fondato il Monastero Maggiore, non v’ha dubbio che questo sarebbe andato distrutto nella famosa devastazione operata da Uraia nell’anno 538, come andarono distrutti, nel saccheggio di Attila e di Gundebado, i primi monasteri ch’erano due : quello per gli uomini fondato da S. Martino vescovo di Tours nel 356 e quello per le donne fondato forse da Sant’Ambrogio, del quale lo stesso santo parla nel sno libro : De lapsis virginibus al capo 70 : « Oblita domum patris tui ad monasterium transisti ». Uraia, se si vuoi credere agli storici, aveva lasciato al posto della città « un cumulo di rovine con alcune chiese e alcune case abitate da un piccolo numero di poveri mal sicuri, perchè at­ terrate le mura, a chiunque si presentava libero l’ingresso » (Verri). Dal che appare che la fondazione del Monastero Maggiore non si può attribuire a S. Sigismondo; nè si può credere che sia stato fondato prima del secolo ottavo. 132

S e T e o d o l in d a s ia s t a t a l a f o n d a t r ic e d e l M o n a s t e r o M a g g io r e .

Il Torri volse il pensiero alla regina Teodolinda e conget­ turò che a lei debbasi l’istituzione di questo sacro ritiro. La sua congettura procede sicuramente dal fatto che questa pia regina seppe indurre il re Autari, suo primo marito, a per­ mettere che si ricostruissero le chiese, sebbene non abbia potuto fargli abbiurare l’arianesimo, nella quale eresia quel re morì da ostinato, lasciando anche un pubblico editto con cui aveva proi­ bito ai suoi sudditi di far battezzare i figlioli da preti cattolici nella cattolica religione. La congettura del Torri prende più forte motivo anche da un altro fatto, quello cioè che Agilulfo, secondo marito di Teo­ dolinda, convertitosi al cattolicesimo, fondò la celebre badia di Bobbio, la prima fondata dai Longobardi presso l’anno ottavo del regno di Agilulfo cioè nel 59S. Il Torri quindi facilmente immaginò che la regina Teodolinda, alla sua volta, fondasse in Milano il Monastero Maggiore; tanto più facile gli tornò l’immaginare questo fatto dal sapere che pre­ cisamente in Milano in quel tempo vergini e vedove comincia­ rono a professare vita religiosa dapprima nelle proprie case, poi in appartato luogo, distinguendosi coi nomi di ancelle o serve di Dio, religiose, velate o vestite di abito religioso. Di esse si trova un cenno in una lettera del pontefice S. Gregorio (590-604). La lettera è riportata nel libro I De virginibus al cap. 1®. ed aveva per scopo la composizione di una vertenza di una tale Luminosa, ancella di Dio, la quale avendo ereditato un legato dall’ arcivescovo Costanzo suo zio, morto in Genova nell’ anno 600 dov’era fuggito per l’invasione dei Longobardi, non voleva farne la consegna al successore Diodato. Che queste religiose fossero state, per così dire, le antesi­ gnane di quelle del Monastero Maggiore non consta, nè il Torri osò dirlo, nè affermò che Teodolinda avesse avuto parte nel convocarle a vita ritirata. Del Monastero Maggiore non si fa menzione nemmeno nel­ l’epoca di Liutprando il quale regnò dal 712 al 744, sebbene in quell’epoca i sacri ritiri fossero aumentati di numero, colla pro­ tezione di Liutprando stesso che dettò sacre regole per le mo­ nache e per i loro istituti. 133

U n p r im o c e n n o d e l f o n d a t o r e d e l M o n a s t e r o M a g g io r e .

Un primo cenno del Monastero Maggiore si trova in un di­ ploma dell’anno 1002, nel quale se ne attribuisce il merito della fondazione a Desiderio, re dei Longobardi dall’anno 757 al 774. Il diploma è del re Arduino il quale raccomandava « alla vigilanza ed alla pietà dell’abate di Sant’Ambrogio l’insigne milanese monastero di vergini, denominato il maggiore, tenuto in gran conto per le nobili vergini in esso raccolte e per essere stato fondato da Desiderio re dei Longobardi ». Questo diploma era conservato nell’archivio del monastero di Sant’Ambrogio, secondo la testimonianza dei cirstercensi di Lombardia che lo citarono nel loro libro : Delle antichità long ubardico-milanesi, vol. I, dissertazione i a pag. 92. Se il diploma è autorevole, valse certamente a conservare quella tradizione, secondo la quale, come scrisse Romussi a pa­ gina 310, disp. 39, 3“ ediz. del « Milano nei suoi monumenti », « rimangono a ricordarci il re Desiderio, la chiesa di S. Sisto e il Monastero Maggiore, che altri attribuiscono a Teodolinda ». In verità dalla morte dell’infelicissimo re che chiuse la stirpe longobarda, all’epoca del diploma di Arduino erano passati più di duecento anni. Non per questo si può dire che non sia vera l’affermazione di Arduino. Si omettano pure tutte quelle consi­ derazioni suadenti non essere fuori del possibile che Desiderio abbia disegnato l’erezione del Monastero Maggiore. Ebbe egli, infatti, fama di uomo pio e religioso, edificò chiese e profuse ricchezze a vantaggio della religione. Suo fu il monastero di Santa Giulia in Brescia, che dotò con reale munificenza e del quale prima abbadessa fu la sua figlia Ansperga o Ansuberga. Piuttosto si osservi che l’affermazione del re Arduino può avere la sua conferma da questo fatto : Prima del re Desiderio non si trova nemmanco un cenno del Monastero Maggiore : dopo di lui invece vedesi il monastero salire in tanta rinomanza d’at­ trarre la particolare attenzione di re e d’ imperatori che si suc­ cedettero nei duecento anni trascorsi fino all’epoca del diploma di Arduino. Questi re ed imperatori sono nominati in ordine cronologico in una scrittura, detta placito dell’ imperatore Ottone I, della quale si conserva la copia nell’Archivio di Stato « Monast. Mag. » busta 461, e sono Lodovico, Lotario, Carlo, Berengario, Guido. 134

Conviene leggere questa scrittura che, sprovvista del carat­ tere dell’autenticità, viene tuttavia opportuna a porgere aiuto per risalire da un tempo prossimo a quello di Arduino, vale a dire trentanove anni prima di lui, all’epoca di Desiderio, ed a ricor­ dare diverse notizie del Monastero.

UNA GOFFA FALSIFICAZIONE.

P l a c it o d e l l ’ im p e r a t o r e O t t o n e . Æquuni nobis semper visum est justis petitionibus nostrorum fidelium aures accomodare gratiasque impartire maxime cum ad Omnipotentis Dei Immaculatae que Virginis Matris Mariæ .... notum esse volumus Odonem Illustrem comitem consiliarium nostrum exposuisse Imperiali Majestati Nostræ quod comes Fatius ejus nepos Vendre Abbatissæ Domnæ Adelaide afini nostræ cariss. quæ præsse videtur Monasterio Sante Mariæ Majoris aedificato intus vineam prope antiquum Palatium nostrum imperiale intra civitatem Medni donavit medietatem Curtis Castri et ville Aroxii cum ejus capellis, casis terris et juribus ac hominibus utriusque sexus eidem pertinentibus et insuper jugera decem terre posite ibi ubi dicitur in Romanove et in Buguntio prope dictam Curtem praeter multa inculta eisdem locis sicut ea per­ venerunt in partem Illu Viro Mainfredo, seu Berengario comiti avo suo et ab eo pervenerunt in bonam memoriam Ugonis comitis ejus filii et inde in comitem Falconem ejus nepotem exponentis et Amizonis comitis ejus fratris Patrem. . .. ad beneficium Sacrrum Virg11""1 ibidem Deo famulantium nec noe ad utilitatem no­ bilis puele Valdrade ejus sororis ibidem sacratae cui etiam Illust. consanguinea nostra Matilda ejus mater concessit mansa quattuor terrae in loco quinto... ideo prætns donationes laudamus. .. . approbamus, sancimus. Praeterea cum in Ecclesia dicti venerabis nostri Monasterii, insignes depo­ suissemus reliquias Gloris Marris Sanoti Mauritii Patroni Nostri ut perpetuo cultu ibi venerentur eundem Monasrîum ob dicli Sanü reverentiam etiam munificentiam nostram experiri volentes, per hanc paginam declaramus omnia bona.... sub tutelam Imperialis Mundburdii recipimus, et immunia et exempla.... a anga­ riis .... scientes dictum monast. nostrum multis privilegiis munitum esse et pre­ cipue serenisum regum et imperatorum Aluduici, Allotharii, Karoli, Berengarii, Vuidonis et aliorum prædecessorum nostrorum ea omnia privilegia confirmamus.... Quod ut firmius credatur.. .. signo nostro firmavimus anulique nostri impressione roborari jussimus, Hujus rei testes : Adalgisius Amburgensis Antobertus curiensis, Ghezzo Derthonensis Vidertus Parmensis Vuido Utinensis Episcopi atque Eve- rardus comes Vuido comes Addo comes et quamplures alii principes et proceres.

Signum Domini Ottonis Magni Imperatoris semper A ugusti

Luitgerius cancellarius ad vicem Vuidonis Episcopi arcicancellari imperialis recognovit. Acta sunt haec Romæ anno imperii Domini Ottonis tertio (anno 963) in vi­ giliis Natalis Domini indicione septima feliciter. (Concordat cum originali etc.). 135

Questa scrittura è destituita d’ogni autorità, perchè non fu dettata nè dall’ imperatore Ottone, nè in suo nome, nè per in­ combenza avutane. L ’ illustrissimo e Reveren,"'” Monsign." Dott. Achille Ratti ne additò la falsificazione nel « Regesta imperii II J. J. Bohmer » a pag. 168 dov’è elencata colla nota di ripudio per Biffi nel « Gloria nobilitas vicecomitum, 42 n.° 6 a 969; per Stumpf Acta ined. 609 n.° 434; M. G. DD. 1, 632 n.° 462 spur. zu 964 ». La nota è quella di essere « una goffa falsificazione — pLumpe Fàlsehung — » compilata allo scopo di dimostrare la discendenza dei Visconti da Ottone da Vercelli dal re Desiderio, « um die Abslammung der Visconti von Atto von Vercelli und von K. Desiderius zu erweisen ». Bisogna però avvisare che questa falsificazione fu fatta dopo il soggiorno di Ottone in Roma, del quale si dovette vivamente ricordare il falsificatore, versato anche nella storia. « Eingereiht nach dem Anfenthalt zu Rom, melcher deni geschichtskundigen Faiseher vorgeschwcbt haben wird ». Non si può dire, pertanto, che sieno false le notizie conte­ nute in quella stessa falsificazione. Dapprima fingesi in essa che l’ imperatore Ottone lodi, ap­ provi e ratifichi le donazioni fatte ad Adelaide, sua affine e ba­ dessa del Monastero Maggiore, dal conte Bonifacio nipote del suo consiglierò conte Odone, e confermi allo stesso Monastero i privilegi dati dai re ed imperatori suoi predecessori Lodovico, Lotario, Carlo, Berengario, Guido. « _scientes dictum mona­ sterium nostrum multis privilegiis munitum esse et praecipue serenissimorum regum et imperatorum Aluduici, Allotharii, Ka- roli, Berengarii, Wuidonis et aliorum praedecessorum nostrorum, ea omnia privilegia confirmamus ». Non si è in grado, pur troppo, di enumerare quali sieno stati i privilegi dati dai sopra­ nominati imperatori ; ma che essi si sieno resi benemeriti verso il Monastero Maggiore viene confermato da Gotofredo da Busserò citato dal Giulini nella Storia di Milano, volume III, pag. 608, ediz. 1857, così: «Gotofredo crede che gl’ imperatori Franchi, assai divoti di San Maurizio, fondassero la chiesa di quel mona­ stero (maggiore) nel proprio loro reale palazzo di Milano ». Ora, trascurando, per poco momento ogni altra considera­ zione, vedasi come per Guido, Berengario, Carlo, Lotario e Lodovico si arrivi a Desiderio, chiamato da Arduino, fondatore del Monastero Maggiore. 136

Il Berengario sopranominato dev’essere il primo di questo nome, essendo stato avvicinato dal falsificatore del placito d’Ot- tone a Guido « Windonis », il quale noncurante dell’accordo fatto con Berengario, cioè di stabilirsi in Francia, ripassò le Alpi, lo vinse ed entrò in Pavia a farsi eleggere re. Beren­ gario II invece non può essere il nominato nel placito di Ottone, per la ragione semplicissima che dopo di lui nè con lui la sto­ ria non ricorda alcun Guido. Nè si può supporre che l’autore della falsificazione, il quale doveva conoscere bene la storia, scrivendo in persona di Ottone, volesse alludere a Berengario II. Ottone non avrebbe potuto nominarlo tra i suoi predecessori, chè l’aveva contemporaneo; non l’avrebbe nominato coi benefattori di monasteri, essendo quegli usurpatore dei beni ecclesiastici ; nè avrebbe potuto infine ricordarlo con piacere, mentre per cagione di lui soffrì tanto finché l’ebbe vinto. Ammesso quindi che il Berengario morto verso l’anno 924 è il nominato nel placito di Ottone è facile risalire da quello a Desiderio seguendo l’ordine dei nomi degli altri re: Carlo Lo­ tario e Lodovico, Karoli, Allotharii, Aluduici. Berengario infatti è nipote dell’Aluduici cioè di Lodovico detto il Pio, essendo nato dalla di lui figlia Gisla ; Lodovico il Pio è il padre di Lotario e di Carlo il Calvo: Allotharii, Karoli, e Lodovico il Pio è vicinissimo a Desiderio, essendo terzogenito di Carlo Magno, che successe al medesimo Desiderio assumendo dapprima il titolo di re dei Longobardi. Queste brevi considerazioni bastano per mettere in luce l’affermazione del re Arduino ed inducono a credere che al re Desiderio si debba attribuire la fondazione dell’insigne milanese Monastero Maggiore. Dopo queste considerazioni è affatto inutile insistere se debbasi credere al Galvaneo Fiamma che voleva istituito il monastero da Ottone II, ed al cronista Filippo da Castel Seprio il quale scrisse che nel 960 Ottone I edificò in Milano il Mo­ nastero Maggiore. All’uno ed all’altro, del resto, ha già risposto il conte Giulini nella sua Storia di Milano. Per confutare il Fiamma nel vol. I pag. 202 addusse una pergamena dell’anno S53 (charta in Archivio Ambros.) colla quale il prete Deusdedit e Verullo, suo fratello, nominavano eredi del possesso dell’ospe­ dale da essi fondato, le proprie sorelle monache nel Monastero Maggiore. — 137 —

Al cronista Filippo da Castel Seprio poi il Giulini a pag. 562, vol. I, fece rilevare l’abbaglio della di lui affermazione, assicu­ randolo che Ottone « nell’anno 960 non era ancora imperatore e non manco libero padrone di Milano ». Per altro il falso placito di Ottone in qualche suo partico­ lare ha un riscontro nella credenza del già citato Gotofredo da Busserò. Così, il reale palazzo nel quale, o presso del quale gl’imperatori franchi avrebbero fondata, come vuole il Gotofredo la chiesa del Monastero Maggiore, richiama « I'antiquum Pala­ tium nostrum impel iate » mentovato nel falso placito. E chissà che appartenendo questo palazzo al sacro romano impero, siasi ritenuto poscia erroneamente come palazzo di epoca romana e quindi di Massimiano ? È importante ritenere a memoria questa osservazione che può contribuire a fare luce sulla questione : « se le due torri esistenti presso San Maurizio sieno dell’epoca ro­ mana e se appartenessero al palazzo di Massimiano ». La que­ stione verrà più avanti trattata e precisamente a pag. 159. È bello il vedere anche come la goffa falsificazione citata additi il Monastero Maggiore, edificato in mezzo della vigna. « Ædijicato intus vineam ». Tale località corrisponde perfetta­ mente all’indicazione del Giulini, che a pag. 132, vol. Ili, Storia di Milano, asserisce che il Monastero era chiamato — inter vi­ neam — perchè era nella medesima vigna in cui si trovava la chiesa di San Pietro. La vigna si estendeva dalle vecchie mura di Massimiano fin presso alla chiesa di Santa Valeria. Queste due chiese erano soggette allo stesso Monastero Maggiore e le vecchie mura di Massimiano segnavano una retta dal Carrobbio, a Santa Maria al circo, indi a porta Vercellina, ora angolo di via Meravigli, di San Giovanni sul Muro e del vicolo Brisa (v. pag. 154). Nel così detto placito di Ottone v’è un’altra indicazione di luogo che è conforme a verità. Il monastero dicesi edificato in città: «intra civitatem Mediolani». Infatti l’ arcivescovo An- sperto ve l’aveva incluso allargando la cerchia delle mura dal Carrobbio a P. Vercellina. Il Giulini nel vol. Ili, a pag. 135 della suddetta storia scrisse: « non credo d’ingannarmi nell’attri- buire all’arciv. Ansperto quel pezzo di muro aggiunto tra la porta Ticinese e la Vercellina, a me sembra più verosimile che Ansperto non ad altro fine ergesse quel nuovo muro che per mettere dentro la città lo stesso Monastero Maggiore che non ¡stava troppo bene al di fuori in quei barbari tempi, nei quali 18 138

anche il vicino monastero di Sant’Ambrogio non si credette ba- stevolmente sicuro finché non fu bene fortificato» (v. p. 17T-172). Il monastero era ricchissimo e per i beni avuti in dote ed eredità dalle dame religiose, quasi tutte di nobile lignaggio e per le donazioni cospicue che gli pervennero da insigni bene­ fattori. Forse trovavansi veramente tra le dame religiose, quelle menzionate nel placito imperiale: e l’abbadessa Adelaide affine dell’imperatore, e la contessa Valdrada sorella del conte Adone, o Odone, consigliere di corte e figlia di Matilde consanguinea di Ottone stesso. « _ven.dæ abbatisse D.æ Adelaidas afini nostræ cariss. quæ praesse videtur Monasterio Sanctæ Marias Majoris ædificato intus vineam... ad utilitatem nobilis puele Valdrade ejus sororis (Adonis) cui consanguinea nostra Matilda ejus mater concessit etc. ». 11 falsificatore dev’essere stato abile nell’estrarre questi nomi come quelli dei testimoni e le sottoscrizioni e ricognizioni im­ periali da un documento autentico: Bohmer, 1. c: « Die Zen- gen sind cuis n.° 311 nbgeschrieben, (M. G. DD. 1.631) dagegen muss die Kais. Unterschrift und Rekognition einer echten Urkunde beliebiger Rrovenienz entnommen sein, damns aneli wahrscheinlich die auf Immunitâtsverleihung bezügliche ». E dovevano essere veramente riguardevoli per casato le dame raccolte in questo monastero, testimoniando Gotofredo da Busserò che le tante ricchezze che avevano non erano tutte pervenute loro dai privati ma se l’ebbero esse in dote. Le donazioni furono molte e si segnalano quelle del conte Bonifacio, detto comes Fatius nel placito di Ottone, della metà della corte di Castello e della villa d’Arosio, con testamento ro­ gato nell’anno 959 da Ottone notaio del sacro palazzo, quella dei fondi di Quinto Stampi con testamento di Clotilde, figlia di Adolfo, nell’anno ventiquattresimo del regno dei re di Germania, nono d’Italia e primo dell’imperatore; la donazione di Berta figlia del re di Danimarca, nell’anno primo dell’imperio di Be­ rengario; (Archivio di Stato, busta 461); la donazione del paese di Rivolta d’ Adda nel 1090; la donazione della chiesa e dei fondi del monastero di S. Ambrogio di Rivolta d’Adda nel 1518 e 1527 (busta n.u 442) dei fondi di Vergiate con testamento del­ l’ anno 1524 del cittadino e causidico Francesco Besozzi, dei fondi di Baranzate, di Cerchiate, di Cerro. Chi del resto volesse farsi un’idea delle ricchezze apparte- 139

nenti a questo monastero, potrebbe a suo bell’agio nell’Archivio di Stato esaminare delle buste contenenti i documenti relativi, quelle che si seguono col numero d’ordine dal 443 al 459; po­ trebbe leggere nell 'Archivio storico lombardo serie III vol. XVII, a pag. 26 la dissertazione che si protrae fino a pag. 56 con do­ cumenti del Monastero Maggiore e nomi di monache, dal titolo : « La compagnia della Braida di Monte Volpe nell' antico suburbio milanese ed il suo statuto nel 1246 ». Alla pag. 166 del vol. XVI della medesime serie : Archivio storico lombardo, troverebbe cenno dell’ interessantissima opera di Giov. Seregni, dal titolo: « Del luogo di Arusio e dei suoi statuti nei secoli XII e X/II, con appendice di documenti inediti estratti dalla miscellanea di storia italiana ». È una memoria, come scrive il dott. Ettore Verga, per la quale il Seregni trasse argomento e materia dalla preziosa raccolta di antichissimi documenti del P. Bonomi, segnalata ed illustrata dall’ ili. Mons. Dott. Achille Ratti. Arosio, villaggio in prov. di Como, nelle vicinanze di Inve- rigo presso Erba, era proprietà di una famiglia de Canibus; il conte Bonifacio, come ricordasi in atto presso l’Archivio di Stato busta J. K. S. Maurizio - 461, detto Fatius nel così detto placito d’Ottone, diede dei beni di Arosio al Monastero Maggiore; ed al Monastero Maggiore, poi, Arosio passò con tutti i diritti si­ gnorili verso la metà del secolo XII, mediante un livello che mascherava una vendita. Il Giulini a pag. 364 Storia di Milano vol. III accenna come papa Eugenio III avesse confermato ai 29 di luglio 114S al Monastero Maggiore tutti i beni e diritti, « nominatamente le chiese di S. Maria al circolo, di San Pietro nella.vigna, di San Quirico, e di Santa Valeria in Milano, la corte d’Arosio, di Cerchiate, di Porlezza, il castello di Robiate oltre a molt’altre possessioni in molte terre ». Il falso placito di Ottone chiama l’attenzione anche sovra altre circostanze particolari interessanti, come quella del nome col quale chiamavasi lo stesso monastero, quella ancora di una deposizione delle relique di San Maurizio fattavi dall’imperatore, e quell’altra dell’avere preso Ottone sotto la tutela dell’imperiale mundburdio il monastero stesso. Il nome primitivo del monastero dev’essere stato quello di Santa Maria cui s’aggiunse poscia il qualificativo di maggiore: e si osservi che il placito ottomano espressamente segnala la Vergine Maria Madre di Dio col titolo d’immacolata. 140

Il Monastero s’ebbe i titoli di S. Maria e di Maggiore fino verso l’anno 1137. Nel 1034 l’arcivescovo Ariberto l’ebbe indi­ cato nel suo testamento cosi: Monasterium Sanctæ Dei Geni­ tricis Mariæ quod dicitur maggiore (Monumenta Basìlica Am ­ brosiana, pag. 370). In una pergamena ritrovata dal Puricelli nell’Archivio del Monastero Maggiore, nella quale è stipulato un contratto nel mese di luglio del 1123 con donna Margherita badessa, il Mo­ nastero è detto di Santa Maria, poi è detto Maggiore. Nell’anno 1137 da un’altra pergamena che si conservava nell’Archivio di S. Maria in Valle, si viene a sapere che al Monastero Maggiore s’erano dati due titoli, quello di Santa Maria e l’altro di San Maurizio, e finalmente nell’anno 1148 Papa Eugenio III con sua bolla del 29 agosto lo chiamava col solo nome di San Maurizio (Giulini vol. Ili pag. 130; pag. 270; pag. 364). La bolla di Eugenio III conservasi nell’Archivio di Stato, busta 442; bolle pontificie. Il perchè si denominasse maggiore non si conosce. 11 Latuada nella sua Descrizione di Milano toni. 4, pag. 415, dice che « il Monastero ebbe questo appellativo di maggiore per essere il primo fondato tra i sette monasteri di Milano, ovvero per essere il più rinomato per la pietà e per la nobiltà delle religiose ivi raccolte ». Pare che questa seconda ragione addotta dal Lattuada sia più ammissibile della prima ; questa anzi non ha valore alcuno perchè fu già detto che il primo monastero per le donne in Mi­ lano venne fondato ai tempi di S. Ambrogio ed andò distrutto per le invasioni di Attila e Gundebado. Che se il Latuada in­ tese che il Monastero Maggiore fu il primo fondato dai Longo­ bardi, s’ingannò, e s’ingannò perchè ignorava che Desiderio ne era stato il fondatore e che prima di questo re, esisteva già in Milano qualche ritiro di sacre vergini o di vedove votate a Dio. Gotofredo da Busserò, di cui espone l’opinione il Giulini nel vol. Ili pag. 608, dopo aver detto di credere che gl’impe­ ratori franchi fondarono la chiesa del monastero nel loro reale palazzo di Milano, aggiunge di credere ch’essi gli avessero dato il titolo di maggiore per la dignità imperiale, e non per l’anti­ chità. Che Ottone abbia deposto nella chiesa del Monastero Mag­ giore le insigni reliquie di San Maurizio, affinchè con perpetuo culto vi fossero venerate, per ora non si sa altrimenti che da quel placito stimmatizzato : il fatto tuttavia non può essere im­ probabile, assicurando il cronista Filippo da Castel Seprio che l’imperatore fu divotissimo del Santo, sì che nei suoi beni pa­ trimoniali, presso a Magdeburg, gli edificò una chiesa (Giulini, vol. I pag. 562). La divozione a questo Santo però dev’essere stata praticata nel Monastero Maggiore anche prima di Ottone, se è vera l’as­ serzione di Gotofredo da Busserò che « gl’imperatori franchi, fondatori della chiesa del monastero nel loro reale palazzo di Milano, fossero divotissimi del Santo capitano della legione tebea ». Nè può essere improbabile che 1’ imperatore Ottone avesse preso sotto la tutela dell’ imperiale mundburdio il monastero stesso. Per chi non ricordasse il significato della parola mundburdio dell’uso diplomatico dei longobardi, giova dire che con essa il sovrano dichiarava di volere tutelare determinate persone, le loro sostanze ed i loro diritti.

N o t iz ie d i v e r s e .

Si confida di fare cosa grata al lettore col presentargli la raccolta di alcune delle notizie riguardanti il Monastero Mag­ giore, che si trovano sparse qua e colà sulle pagine tra « I do­ cumenti illustrativi per la storia di Milano » compilati da quel diligentissimo ed autorevole scrittore che fu il conte Giorgio Giulini, nonché qualche altra delle notizie conservate tra le molte nell'Archivio storico lombardo. La processione colla Santa Croce. — il conte Giulini, nel vol. III a pag. 784 ricorda l’ istituzione, in Milano, della festa solenne del ritrovamento della Santa Croce, nel 1179, per An­ seimo da Ro, ordinario della metropolitana, e narra che fino a quell’anno (1179) «si portava privatamente la croce, d’oro e di gemme composta, dalla chiesa metropolitana alla chiesa di Santa Maria al Circolo, dove si celebrava quella festa; là poi la croce si trasferiva alla chiesa di San Pietro alla Vigna ; e finalmente con maggiore solennità fino al Monastero Maggiore e nulla più ». Statuti della badessa del Monastero Maggiore per gli abi­ tanti delle terre di Arosio e Bigunto nella pieve di Marliano (Giulini, vol. IV pag. 226). Donna Vittoria, badéssa del Mona­ stero Maggiore fece stendere nell’ anno 1215 gli statuti che do­ vevano servire di legge nelle terre già nominate. « Nei primi statuti impone pene pecuniarie per varii delitti, come gli omicidi, gli assalti, le ferite con ¡spargimento di san­ gue, gli spergiuri etc. ». Passa poscia a comandare che « nessuno ardisca di fare causa o litigare sotto altri giudici, fuorché avanti di lei, e del suo nunzio ». (Questi era il signor Amederio Cotta, fratello della stessa badessa, suo vicario e nunzio in quei luo­ ghi di Arosio). Comanda che nessuno ricusi di venire a rendere ragione avanti i suoi messi, o i consoli o i decani eletti da essa, o dal suo nunzio; e che ciascuno, massimamente ogni capo di casa, comparisca prontamente, quando col suono di un ¡strumento, chiamato Malliola, sarà chiamato nella vicinanza a consiglio. Proibisce che si portino o si vendano piante, tronchi d’albero, o verghe ritorte, fuori della giurisdizione. Alcuni altri suoi decreti riguardano l’osservanza delle feste, tal’altri trattano dell’adunare con frequenza i vicini per ragio­ nare dei comuni affari. Due decreti finalmente danno qualche regolamento intorno al pane. Nel primo si prescrive ai fornaj, che facciano tutto il pane casalingo, ossia casarengo, di once 42, due once più, due once meno. Nel secondo si proibisce ad ognuno di far cuocere il pane di frumento per venderlo. A pag. 4S0 dello stesso vol. IV del Giulini, dichiarasi che questi statuti, dell’anno 1215, sono stati nel 1251 confermati dalla badessa del Monastero Maggiore, donna Mattia, e da essa il 15 febbraio fu eletto per podestà della corte di Arosio e Bu­ gunto « il signor Gaspare da Giussano col salario di cento soldi di terzoli per un anno. I podestà feudali, sebbene fossero go­ vernatori di poche terre o anche di una sola, ed avessero un tenue salario, pure dal titolo di signore e dai cognomi si vede ch’erano personaggi riguardevoli ». La badessa ed i vassalli del Monastero Maggiore. — Il Giulini a pag. 525 del vol. IV dà la notizia che « la signora Mattia badessa di San Maurizio detto il maggiore, nel giovedì giorno 13 di giugno del 1252, alla presenza dei signori Jacopo fu Osa dell’Osa, Guglielmo fu Guidone, e Jacopo di Canturio, che probabilmente erano vassalli del Monastero Maggiore, rice­ vette il giuramento di fedeltà da altri suoi vassalli, cioè Gui­ doni del fu Lantelmo e Giovanni suo figliuolo; Lantelmo e 143

Fiorio del fu Guidone, ed altri, tutti della famiglia da Lan- driano; ad essi poi diede l’investitura di un ospizio che il mo­ nastero aveva comperato nel 1218, al prezzo di L. 200, somma che la badessa d’ allora, donna Vittoria, aveva ricevuto come valore di certi beni tenuti nella valle De’ Soldi, detta poscia Valsolda, sulla sponda meridionale del lago di Lugano, il vil­ laggio principale della quale era Albogasio ». Luogo per il bando delle gride. — Da una grida dell’anno 1535, consta che la chiesa del Monastero Maggiore dall’anno 1385 all’anno 1429 era indicata come luogo ove il trombetta comunale bandiva le gride (Archivio stor. civ. Kg. Provv. 1532- 1537 fol. 169).

D e l c u l t o d i S a n S ig is m o n d o .

Non appare facilmente, quando abbia avuto principio la divozione a S. Sigismondo. E credibile che vi sia stata intro­ dotta, ed introdotta fors’anche in Milano, dai reali di Borgogna. Anzi si potrebbe pensare che siavi stata insinuata dalla buona Adelaide, detta da taluni : Alice o Alunda figlia di Rodolfo II di Borgogna e sposa in seconde nozze, dopo vicende dolorosis­ sime che contristarono la sua vedovanza, dell’imperatore Ottone I. Rimasta vedova di Lottario II, Adalberto figlio di Berengario II la chiese in ¡sposa: ma avutane una ripulsa inferocì contro di essa e per istigazione dell’invidiosa Guilla la rinchiuse in una torre. Fu per le industrie caritatevoli di un prete, di cui non si conosce il nome, che Alunda potè involarsi e riparare sicura sotto la protezione del vescovo di Reggio nella fortezza di Ca­ nossa, dove attrasse lo sguardo amorevole di Ottone che se la sposò in Pavia (951). Se ciò fosse, si potrebbe ammettere che il culto di S. Mau­ rizio e di S. Sigismondo abbia avuto principio nel Monastero Maggiore circa il 1000. Da qui si chiarisce come le claustrali, non avendo appurato fatti ed epoche, in quel loro scritto del 1625, già citato a pa­ gina 130 scambiarono la data del principio del culto a S. Sigi­ smondo per la data della fondazione, e quindi non esitarono di proclamare che « il monastero era riguardevole per essere stato fondato da S. Sigismondo seicento anni sono ». 144

F e d e r ic o B a r b a r o s s a .

Si credette che Federico Barbarossa, bandita la legge mar­ ziale contro Milano nel 1160, nell’atto di versare Tedeschi dal Frinii, dal S. Bernardo per ogni valle a cominciare una guerra da barbari, avesse ordinato che si riguardassero soltanto le chiese di S. Maria, di S. Maurizio e di S. Ambrogio. Ma questa cre­ denza è falsa. E vero ch’egli dietro le ostili dimostrazioni rice­ vute dai milanesi, giurò di non cingere più il diadema finché la loro città non fosse distrutta. Pure Milano non fu distrutta: la vendetta del Barbarossa ebbe di mira le fortificazioni onde la città ne andava superba: le torri, i bastioni, le mura caddero sotto i suoi fieri colpi; ma l’incendio non divampò in tutte le contrade, le case non vennero tutte spianate al suolo e molte altre chiese oltre le accennate, si lasciarono illese, se si eccettua il Duomo danneggiato sotto le rovine dell’alta sua torre che si voleva allora demolire, e non si sa se per comando di Federico. I.a chiesa di S. Sepolcro coi suoi campanili, quelle di S. Celso, di S. Simpliciano, di S. Satiro colla sua torre, di S. Giorgio in Palazzo, di S. Nazaro in Brolio, di S. Eustorgio, di S. Maria Podone, le torri di S. Lorenzo col grandioso antico suo colonnato esistevano prima del Barbarossa. Non si saprebbe quindi quale valore attribuire alle testimo­ nianze dell’abbadessa Chiara Arrigoni che nell’anno 1687, pro­ testava doversi rispetto al Monastero Maggiore perchè anche il Barbarossa l’aveva rispettato. La protesta aveva avuto motivo dal fatto che il signor conte Giuseppe Arconati aveva innalzato la sua casa confinante col monastero, aprendo in essa quattro fi­ nestre ed aggiungendovi dei ballatoi (baltresche) donde si poteva guardare nel chiostro. Perciò l’abbadessa scrisse: «Queste opere tornano in pre­ giudizio del monastero di S. Maurizio detto il maggiore collegio per monache dell’ordine di S. Benedetto Sacro Imperiale Ducale, riguardevole non solo per la qualità et quantità di Dame che ci furono e sono, ma ancora per li privileggi concessili da tanti Somi Pontefici e confirmati come da moltissimi imperatori, regi lon­ gobardi et regi di Francia, Spagna come duchi di Milano come pure dal medesimo Tirano Imp. Barbarossa che le fece portare e portò tanto rispetto, che consta chiaramente dall’Historie che pienamente ne parlano » (Archivio di Stato, busta 439). 145

Che il Monastero Maggiore fosse in comunicazione colla chiesa di S. Maria al Circo per mezzo di una strada sotterranea fu creduto un sogno di Galvaneo Fiamma, qualificato dal Mu­ ratori per uomo fecondo di fiabe e facilissimo ad adottare le opi­ nioni popolari, i favolosi racconti, ma il Giulini a pag. 135 del vol. III scrisse che « la strada sotterranea additata dal Fiamma... sembra appunto fatta quando le religiose del Monastero Mag­ giore erano fuori di città, perchè elleno potessero avere in ogni caso una sicura ed occulta ritirata dentro di essa, per salvare almeno le persone e qualche cosa più preziosa, facile a tra­ sportarsi ».

R e g o l a d i S a n B e n e d e t t o .

L ’osservanza tenuta in questo monastero era quella di San Benedetto, con qualche variante, forse introdotta nel celebre mo­ nastero di S. Giustina in Padova; perciò le monache di S. Mau­ rizio erano chiamate: benedettine dell’osservanza di S. Giustina da Padova. Pur troppo nel secolo XV s’affievolì in esse il fervore della carità e lo spirito della regolare osservanza ; tra le cause di questo rilassamento va, senza dubbio, noverata quella del non essere le monache obbligate alla clausura. Assai facilmente si mostravano in pubblico, perciò può essere vera l’asserzione del Romussi nel cap. XXVI, pag. 296 vol. I, 3a ediz. che « la badessa quando usciva per la città era accompagnata dagli arcieri ». Gli arcive­ scovi di Milano si adoperarono molto per ridurle ad un tenore di vita perfetta. Nel 1444 il Card. Arciv. Enrico Rampini intro­ dusse nel Monastero Maggiore alcune monache di lodevolissima condotta, dell’ordine di S. Agostino, del Monastero di Cantalupo, affinchè col loro esempio virtuoso, fossero di sprone al bene : ed una di esse fu subito eletta abbadessa. Quantunque richiamate a riforma ed a clausura perpetua in quell’anno stesso dal Sommo Pontefice (Archivio di Stato bolle pontificie busta 442), non vi si arresero finalmente che nell’anno 1447 e ciò avvenne « con somma edificazione e contento della città » (Puricelli : Monumenta Basilica Ambrosiana, pag. 3S5). L ’arcivescovo di Milano Gabriele Sforza, fratello del duca Francesco I, stimando che le monache meglio sarebbero state avviate all’osservanza delle loro regole se vigilate da savi direttori

19 146 di spirito, ne affidava il governo al vicario dei padri romitani di S. Agostino della congregazione di Lombardia, e la sua di­ sposizione veniva confermata nel 1455 da Papa Calisto III. La disposizione tuttavia non fu delle migliori non potendo quel vicario prestarsi per la visita e per la cura del monastero, occupato già troppo pel governo dei suoi conventi. Le monache di S. Maurizio pregarono esse medesime Papa Pio II che vo­ lesse incaricare del loro governo i religiosi di S. Pietro in Ges­ sate, anch’essi benedettini dell’osservanza di S. Giustina, ed il Papa con bolla del 1 ottobre 1461 le esaudì. Quei monaci di S. Pietro in Gessate, detti anche cassinesi, governarono il Monastero Maggiore forse fino al principio del secolo XVIII, sebbene, nel secolo XVII, il cardinale Federico Borromeo si fosse adoperato per averlo sotto la propria giuri­ sdizione. Pare che sul principio del XVIII secolo il monastero sia stato sottoposto alla giurisdizione dell’ordinario di Milano perchè il cardinale arcivescovo Giuseppe Archimi con sua lettera del 5 gennaio 1710 alla badessa Donna Giulia Teresa Arese, assegnava per confessore delle monache il signor Canonico Casati di San Tomaso (Archivio di Stato, bust. 440).

D e m o l iz io n e d e l p r im it iv o c h i o s t r o : EDIFICAZIONE DEL NUOVO.

L ’antica costruzione del Monastero Maggiore fu demolita nel penultimo decennio del secolo XVII, mano mano che si fabbri­ cavano gli edifici che in parte rimangono oggi ancora. Nell’arch. di St. bust. 439 conservansi diverse scritture dalle quali risulta che il 19 gennaio 1680 l’ing. Benedetto Quarantino assunse «l’incombenza dalle RR. M. abbadessa Suor Chiara Maria Arigona e Suor Lucrezia Aresa celelaria nel sacro ducale im­ periale monastero d’aggiustare in quel milor modo possibile il cortile esteriore»; in foglio del 23 febbraio 16S3 espone «le spese occorse nella misurazione demolizione ed erezione del disegno fatto nel 16S0 e mostrato al capomastro Tomaso Bosso, alle Dame monache, ai loro protettori ». Nella sopradetta busta si conservano anche le ricevute del marmista (scultore) Giacomo Mattone in data 21 dicembre 16S3 Archivio di Stato, busta: F. R. oo. W. N. 2460.

Fot. G. Battelli. — I 4 S — di L. 6000 imper. avute per mano del signor Carlo Ambrogio Colla per Pornamento di pietra fatto alla porta del monastero verso P. Vercellina, e le ricevute « dei fornitori, carradori, e del ferraai Carlo Petazzo ». Questo ornamento di pietra alla porta colla lapide può es­ sere riguardato come « uno dei più eleganti e spigliati lavori architettonici ornamentali del seicento lombardo ». L ’inferriata che chiude la lunetta è eseguita sopra disegno dell’epoca e se ne dà per autore un tal Giov. Pietro Alegrino (Dott. Ugo Nebbia, Rassegna d'arte, 15 gennaio 1911). In quasi tutti gli scritti del secolo XVII e XVIII conservati nell’Archivio di Stato il Monastero Maggiore è segnalato coi titoli di Sacro Ducale Imperiale, ma non consta nè il quando, nè il come gli furono attribuiti questi titoli insigni. Sul catalogo delle monache compilato nel 1774 (busta F. R. 00 W. N. 2460), ap­ pare anche il loro stemma che reca in campo il sole tra due palme intrecciate in basso in una corona; dietro il campo due mezze aquile, appoggiate Puna contro l’altra, sono sormontate dalla corona ducale e dalla corona imperiale.

L’ a b b a d e s s a n e l l a f e s t iv it à d i S. M a u r iz io .

E certo che il Monastero Maggiore ebbe sempre grande ri­ nomanza, e la badessa fu tenuta in alto onore. I nostri vecchi di Milano ricordavano di averla veduta nella solennità di S. Maurizio (22 settembre) del 179S, seguire il sa­ cerdote che, in processione, usciva dalla porta del Monastero sul corso di Porta Vercellina, indi entrava nella chiesa per la celebrazione della Messa in canto. Si diceva che, secondo una antica costumanza, a lei sola delle religiose era dato di lasciare la clausura nella festa di San Maurizio per assistere alla Messa dal presbiterio, dove le era preparato l’inginocchiatoio e la sedia badiale. In quella solenne circostanza ella compariva con pre­ zioso diadema sul capo e col pastorale nella sinistra mano. Fi­ nita la Messa dietro la processione, ritornava, per il breve tratto del corso di Porta Vercellina, nel Monastero. 149

S oppressione d e l M o n a s t e r o M a g g io r e .

Più di dieci secoli erano trascorsi dalla fondazione dell’in­ signe Monastero Maggiore ed un’ora s’avvicinava nella quale d’un tratto ivi si sarebbero troncate per sempre le dolci, le care, tranquille abitudini della vita religiosa. Si era proclamata la Repubblica Cisalpina che promettendo di regalare libertà, fratellanza, uguaglianza, indipendenza ai mi­ lanesi li aveva mandati in tripudio : ma tosto questi dovettero pentirsene, costretti a dire sottovoce : « libertà, indipendenza fin al dazi de porta Renza», ed anche: «seni liber ligaa alla francesa ». Per fare intanto un po’ di uguaglianza ed in nome della li­ bertà si tolsero anche ricchissimi tesori alle chiese, i più bei quadri alle gallerie, i più preziosi manoscritti dalle biblioteche e se ne arricchì Parigi. Si cacciarono quindi i frati e le monache dai loro conventi e dei loro beni si vendettero per cinque quelli che valevano trenta, purché i compratori avessero fatto a metà coi riveriti signori commissari di Francia, e ciò sempre in omaggio all’uguaglianza. Venne l’ora in cui anche il Sacro Imperiale Ducale Mona­ stero Maggiore dovette soggiacere alla soppressione che gli venne intimata nientemeno che in nome di Dio. Il 20 novembre 1798 il delegato dal commissario del Diret­ torio Esecutivo si portò al monastero, e convocate le monache, lesse loro il seguente ordine : (Atto notarile del not. Piantanida). 1798, 20 Novembre.

L ib e r t à F e d e U g u a g l i a n z a .

I n n o m e d i D io e d e l l a R e p u b b l i c a C i s a l p i n a U n a I ndivisibile i n d i z i o n e SECONDA TRENTA BRUMALE ANNO SETTIMO REPUBLICANO GIORNO DI MARTEDÌ LI VENTI NOVEMBRE 1798 V. S. In virtù della legge 19 Fiorile anno VI repubn0 per far fronte agli attuali bisogni dello Stato il Dirett. Esec. ordinò la soppressione dell’ infrascritta Reli­ giosa corporazione. Avendo quindi il Ministro dell’ interno consuo foglio N. 3412 data 24 Brumale anno 70 repubno partecipato all’infrascritto commissario del D. E. tale superiore determinazione affinchè di concerto coll’agente dei beni nazionali del Dipartimento d’Olona e nelle solite regolari forme passasse a darvi pronta esecuzione. 150

Il cittadino municipale Cernuschi specialmente delegato dal Commissario del D. E. con lettera N. 139 del 18 andante coll’intervento del cittadino Avv. Pietro Minetti agente dei beni nazionali di Dipartimento di Olona e del cittadino Avv. Fra- scaroli municip10 del circondario IV ed alle presenze dei inf. testimoni si è por­ tato al Monastero delle Benedettine di detti Monast. detto maggiore di questo comune ed ivi nei consueti modi convocate tutte le religiose professe e converse per l’effetto di cui in appresso nel luogo di ordinaria congregazione sono le me­ desime personalmente intervenute nel numero indicato nell’elenco che si registrerà in fine del presente...... ha notificato e notifica a tutte e singole le dette religiose che rimane e resta perpetuamente soppresso ed abolito il Monastero di Santa Maria detto il Maggiore di questo comune, ed ora in avanti cessa la sua legale esistenza e che perciò ciascuna d’esse dovrà tosto lasciare in libertà il Monastero anzi nominato col trasporto soltanto dei rispettivi mobili e coll’obbligo di deporre l’abito dell’ Istituto, nei termini del proclama 14 Fiorile anno VI repubblicano restando cosi assegnata ad ogni pro­ fessa fino a nuove disposizioni delli due Consigli, l’antica pensione di lire ottocento e di seicento alle converse che non oltrepassano l’età di cinquant’anni ben inteso che le entrate del Monastero ne siano suscettibili altrimenti le pensioni sudt0 do­ vranno ad esse proporzionarsi nei modi portati dal proclama 8 Messidoro Anno VI repubblicano. In forza pure dell’anzicitato Proclama potranno le singole monache di questo Dipartimento avere l’alloggio a condizione che non abbiano alcuna forma di cor­ porazione nè uso di Chiesa, di clausura, di parlatorio, o rota o simillima vivano semplicemente in famiglia semprecchè indirizzino la loro domanda all’Ammini­ strazione Centrale abilitata a destinare a quest’uso uno o due dei Conventi rimasti vuoti com’essa crederà opportuno. Quelle monache che avranno l’ intera pensione pagheranno annualmente alla nazione L. 21 per l’affitto, alle altre sarà concesso l’alloggio a gratis. Attesa la quale soppressione essendosi reso vacante tutto il patrimonio di detto Monastero, lo stesso commissario ha dichiarato e dichiara che il predetto agente debba prendere com’egli prende in virtù del près. pubbco atto in nome della R. C. il civile e naturale possesso di tutto il vacante di detto sopps0 Monast. e sue dipendenze. E perchè contar possa della sostanza appartenente al detto Monast. quanto allo stabile, si faranno dal prefato cittadino agente coll’opera delle persone neces­ sarie gl’ inventari di tutta la sostanza sì attiva che passiva e dei residui di quel Monast. e sue dipendenze si restringerà il conto di cassa rilevando li crediti e i debiti e tutt’altro di dipendenza del medesimo salvo che rispetto al locale ed ai mobili esclusi quelli specialmente destinati al culto, resta incaricato il nominato cittadino municipale a farne rilevare l’ inventario, ritenerne il loro deposito ed a darne tosto nota all’agente tanto del locale o delle sue parti quanto degli effetti che non potessero entrare nelle viste di uso della nazione. Finalmente ciascuna di dette monache e segnatamente chi aveva ingerenza all’economico è obbligata a manifestare con giuramento tutto quello che in qual­ sivoglia forma può appartenere al Monast. e di prestarsi all’esatto adempimento delle Direttoriali jussioni. Per il che coi patti esecutivi rinunciando hanno giurato e giurano Libertà Eguaglianza. Catalogo delle infrascritte cittadine monache coriste professe del Monast. di San Maurizio chiamato il maggiore di Milano 1798: Maria Giuseppa Pizzotti abbadessa milanese d’anni 73. Teodora Marianna Molina priora milanese d’anni 73. Seguono le altre; sono 62, la minore conta 27 anni di età, tra esse si riscon­ trano quelle provenienti dai soppressi monasteri delle Rocchette, di Pavia e di Santa Lucia in Milano, di Santa M. Valle. Fatto letto e pubblicato nella sala capitolare del Monast. presenti Gaetano Girafiglio del fu D.r Carlo Giuseppe di S. M. Pedone e Paolo Valsuani del fu Giov. di San Giorgio. Testimoni il ragrc Ambrosoli figlio di Aquilino di S. M. del Giardino, Carlo Mazzucchelli di S. Stefano in Broglio e Giac. Ant. Cischiai fu Ant. di S. M. alla Porta tutti noti ed idonei. Notaio Piantanida. Arch, di Stato, busta: Monasteri comuni F. R. 00. W. N. 2460.

Nel catalogo non sono notate le novizie e le converse; è probabile però che non vi fossero novizie; forse prevedendosi la soppressione, da parecchi anni non s’erano fatte accettazioni di nuove religiose. I locali del Monastero Maggiore, dopo la soppressione, ser­ virono di ricovero anche per le ex monache di altri monasteri ; nel 1847 ne erano viventi ancora 22 (Archivio della Fabbriceria di Santa Maria alla Porta 3 Nell’Archivio di Stato nella busta sopra indicata N. 2460 si conserva la copia di uno scritto col quale una delle ex religiose, essendo malata ed abitando una camera molto umida, pregava che le fosse dato il permesso di abitare un’altra esposta al sole, e si conserva la copia dello scritto dell’ex monaca di S. M. Valle Stroppa Maria Fedele, la quale chiedeva d’essere ricoverata nel­ l’Ospedale Maggiore. Durante le due prime guerre d’indipendenza il monastero fu quartiere ed anche ospedale militare. Con ¡strumento del giorno il maggio dell’anno 1S64 rogato dal notaio Velini del R. Erario fu ceduto al Municipio di Milano con alcune condizioni in favore della chiesa di S. Maurizio. II Municipio nell’anno 1867, abbattute le costruzioni, le sa- gristie ed il portico che s’appoggiavano al fianco di levante della chiesa, vi aprì la via Bernardino Luini conducente nell’antica contrada del Cappuccio, quindi apri la via Ansperto che, attra­ versando a modo di croce greca quella di Bernardino Luini, di­ vide i fabbricati dell’ex monastero dai nuovi edifici, innalzati sul resto dell’area monasteriale. Nei fabbricati a sud-est della chiesa di S. Maurizio, dopo le guardie daziarie, nell’anno 1885 si stanziarono i civici pompieri ed in quelli ad ovest eransi sta­ bilite le scuole elementari maschili e femminili e dopo il 1888 vi rimasero soltanto le scuole femminili. 152

La chiesa di S. Maurizio invece, subito dopo la soppres­ sione, fu dichiarata dal Direttorio Esecutivo sussidiaria della Parrocchia di S. M. alla Porta. Il Direttorio invero era già ve­ nuto in questa determinazione fino dal 17 Messidoro anno VI repubblicano; ma questa determinazione fu comunicata alla Ve­ neranda Fabbriceria della suddetta parrocchia dall’Agenzia dei Beni Nazionali in data del 18 ventoso anno VII, e la Veneranda Fabbriceria accettava in sussidiaria di S. Maria alla Porta la chiesa di S. Maurizio il giorno 17 aprile dell’ anno 1799 (Ar­ chivio parrocchiale PARTE TERZA

LA TORRE QUADRATA DEL MONASTERO MAGGIORE E LA TORRE ROTONDA DELL’ARCIVESCOVO ANSPERTO.

2 0 La linea punteggiata che si protende dalla cinta romana alla stella presso la strada passante per H e s’ incrocia colla strada passante per G, segna l’allargamento delle mura fatto dall’arci­ vescovo Ansperto per includere in Milano il Monastero Maggiore. LA TORRE QUADRATA DEL MONASTERO MAGGIORE E LA TORRE ROTONDA D’ANSPERTO

Duè torri s’innalzano dietro la chiesa di San Maurizio, una quadrata a sud, l’altra rotonda a sud ovest. Ve­ ramente non hanno alcun pregio ; pure si tennero in gran conto perchè ad esse si attribuì quello di un’an­ tichità che tuttavia pare non debbano avere. Fu creduto che fossero dell’epoca romana e questa credenza forse si diffuse facilmente, essendosi detto che sull'area adiacente sor­ gevano edifizi romani. Si ritennero come avanzi di questi edifizi alcune pietre lavorate, venute alla luce nell’occasione dell’opere d’allestimento eseguite nella civica caserma dei pompieri in via Ansperto, e delle escavazioni fatte per la fogna lungo la via Bernardino Luini.

Se d e b b a s i a c c e t t a r e l ’ o p in io n e DEL Sac. L a TTUADA E QUELLA DEL PADRE GRAZIOLI INTORNO ALL’ EPOCA DELLE DUE TORRI.

Un’affermazione che quelle torri sieno romane, leggesi nel tomo IV al N. 170 della Descrizione di Milano del Sac. Ser­ viliano Lattuada. L ’ affermazione però oltreché data come pro­ babile, ma senza prove di sue probabilità, si estende a certi fatti che persuadono essere stato il Lattuada poco informato. Ed è curioso il vedere che il Lattuada espone la sua affermazione senza prove, subito dopo di non aver voluto dichiararsi parziale o con­ trario all’opinione di Fra Paolo Morigia, che si era figurato in mente, sulle località del Monastero Maggiore un tempio insigne 156

dedicato a Giove, dal quale sarebbero state tolte le quattro colonne di porfido del baldacchino dell’altare di Sant’ Ambrogio sendo l’opinione, a detta del Lattuada stesso, priva di classici documenti che la contrastino, o pure la comprovino. Ecco le parole del Lat­ tuada: « Si sa bensì, che Marcello dopo la decantata distruzione della nostra città earn reœdificavit cum turribus trecentis rotundis per circuitum muri, come asserisce un autore della storia degli Umiliati, riferito dal Puricelli, e che que­ sto muro si stendeva in forma rotonda, abbracciando la città dalla chiesa di Santa Maria al Circo fino ai recinti del sito, ov’ è il Monastero Maggiore, vedendo­ sene ancora a’ nostri giorni (anno 173S) dei logori avanzi, e massimamente una torre, pure rotonda, in cui furono dete­ nuti prigionieri li Santi Martiri, Pro­ taso, Gervaso, Na- bore, Felice e Vit­ tore ; le immagini di « Torre quadrata » alcuni dei quali si veduta dall’ex monastero, ora scuole comunali. vedono rappresen­ Fot. Ing. Iìelloni. tate da antico pen­ nello sopra il muro, in atteggiamento di starsene alle crati della carcere, espressevi in simil forma, per mantenere sempre viva presso di noi l’ inveterata tradizione di tale avvenimento. E fino ai nostri giorni quelle monache nell’additata torre solennizzano con pompa nel giorno 19 di giugno la festa dei Santi fratelli Protaso e Gervaso, ed agli S di maggio quella del martirio di San Vittore. Tal torre essa è probabilmente una di quelle, che circondavano le antiche mura della città, ed in oltre più ad­ dentro ve ne ha un’altra quadrata, di cui forma conghiettura il Padre Grazioli nel lodato suo libro, che servisse per ispalleg- « Torre rotonda » del Monastero Maggiore veduta dal cortile presso via Nirone. 158 giare il circo, onde vi rimandiamo il leggitore, che potrà ancora vedervi dell’ima e dell’altra il disegno ». Dicendo il Lattuada che la torre rotonda è probabilmente una superstite delle trecento torri edificate dal console romano Mar­ cello per fortificare le mura della città di Milano, che posta a settentrione di Roma, avrebbe meglio difeso la repubblica dalle possibili invasioni degli stranieri, attribuirebbe alla torre rotonda un’esistenza troppo antica. Da duecento e vent’un anni prima dell'èra volgare sarebbe ella esistita : ed è impossibile che abbia potuto resistere alle moltissime e furiose vicende che le sarebbero passate sopra. Coll’asserire poscia, «che le mura della città colle trecento torri si estendevano in forma rotonda, abbracciando la città dalla chiesa di Santa Maria al Circo fino ai recinti del sito ov’è il Monastero Maggiore», dimostra d’ ignorare che l’ ampliamento delle mura dal Carrobbio a Porta Vercellina fu ordinato dall’Ar­ civescovo Ansperto, trovandosi le mura prima di questo arcive­ scovo, vicine alla chiesa di Santa Maria alla Porta ('). Di più, l’asserzione che nella torre rotonda sieno stati detenuti prigioni li Santi Martiri Protaso, Gervaso ecc., è affatto gratuita, nè si può ritenere che la tradizione di tale avvenimento si fosse voluta mantenere viva per le immagini rappresentate sulla parete del piano inferiore della torre, poiché coi Santi martiri Protaso, Fe­ lice, Nabore, sono rappresentati anche San Pietro, San Paolo, San Michele, San Francesco d’Assisi ed altre figure di sante in abito monacale. Rimirandosi questi dipinti vi si riscontrano ca­ ratteri cosi diversi da essere indotti a ritenerne alcuni quali opere del decimoterzo secolo, altri che si presentano incorniciati da decorazioni architettoniche di carattere gotico, quali opere del decimoquarto secolo, le figure femminili come opere del decimo­ quinto secolo (Dott. Ugo Nebbia, Rassegna d'Arte, gennaio 1911). Ed il visitatore facilmente comprende di trovarsi dinanzi ad opere votive, ad opere cioè che furono fatte eseguire da per­ sone in modo particolare divote di questo o di quell’altro dei Santi effigiati in quel luogo assai adatto al raccoglimento ed alla preghiera. Le persone divote pare abbiano voluto rivelarsi colle sigle e coi due biscioni viscontei, adesso poco visibili tra i graf­ fiti a punta sull’ intonaco.

0 ) Vedi G i u l i n i , vol. Ili pag. 132 e seg. Finalmente le congetture del Padre Grazioli, riportate dal Lattuada, e riguardante la torre quadrata, sono trascurabili in seguito a quello che poco avanti si dirà.

Se d e b b a si a c c e t t a r e l a t e s i d i C a r l o R o m u ssi INTORNO a l l ’ e p o c a DELLE DUE TORRI.

Carlo Romussi invece, nella Milano nei suoi Monumenti, 3a ediz., vol. i° cap. VII, pag. S9-90; afferma senz’ambagi che « entrambe le torri dovevano appartenere al palazzo imperiale edificato da Massimiano, e detto anche di Stilicone, perchè il famoso generale vi ebbe dimora ». Dimostra la sua tesi e gli argomenti che adduce possono ridursi a tre. Egli dice: i° che i grandi e solidi mattoni onde ne risulta la costru­ zione massiccia, sono romani ; 20 che la costruzione regolare e massiccia della torre ro­ tonda, confrontata col lavoro e col materiale adottato per il cam­ panile dei monaci di Sant’Ambrogio, persuade che la stessa torre rotonda, è romana ; 3° che nelle antiche carte il palazzo di Massimiano è ri­ cordato colle sue due torri, cum duabus turris e cita un diploma di Carlo il Grosso dell’anno 880 che contiene la donazione del palazzo imperiale al Monastero di Sant’Ambrogio con queste parole : « Dono similiter palatium quod dicitur Maximiani cum tota ten a e x alia parte jacente cum duabus turris »; cita anche Landolfo il quale scrisse che il re Adalberto nel 959, volendo fer­ marsi in Milano, chiese gli fosse preparato il palazzo di Massi­ miano infra moenia urbis, cioè sopra o vicino le vecchie mura. Ammette che queste torri sieno state restaurate dall’arcive­ scovo Ansperto, ripetendo però che preesistevano a lui. Nella Milano nei suoi Monumenti, infatti a pag. 89 ed a pa­ gina 90 dice: « Le due torri, una rotonda e l’ altra quadrata poste dietro la chiesa, sono costrutte con grandi e solidi mattoni romani che non lasciano dubbio sulla loro origine, ad onta che il municipio abbia confuse alquanto le idee con questa epigrafe troppo recisa che attribuisce all’arcivescovo Ansperto la torre rotonda :

A n s p e r t o d a B ia s s o n o arcivescovo a m p l ia t a in p a r t e l a c e r c h ia d e l l e m u r a r o m a n e in n a l z ò q u e s t a t o r r e NEL SECOLO IX. Affreschi del secolo X lV e X V nel locale terreno della « Torre d’Ansperto ». Fot. Alfieri k Lacroi r.

21 Affreschi trecenteschi nel locale terreno della «Torre d’Ansperto ».

Fot. .Vittori & Lacrois. Affreschi trecenteschi nel locale terreno della « Torre d’Ansperto ». Fot. Alfieri & Lacroix. — 164 —

Questa torre, e, sopratutto la quadrata sono state da Anspcrto restaurate, ma preesistevano a lui. Dovevano entrambe apparte­ nere al palazzo imperiale edificato da Massimiano e detto, anche

S. Francesco che riceve le stigmate - Particolare degli affreschi. Fot. Alfieri & Lacroix. di Stilicone, perchè il famoso generale vi ebbe dimora. Nelle antiche carte questo palazzo è ricordato colle sue due torri, cimi duabus turris (appiede della pagina sono citati il diploma di Carlo il Grosso e Landolfo colle parole già trascritte sopra nel — 1 65 —

3° argomento). La torre rotonda con la sua massiccia costruzione andò soggetta a ben pochi cambiamenti ; forse avrà avuto una merlatura, forse sarà stata rivestita di marmi ; ma basta confron­ tare la costruzione regolare di questa col lavoro e col materiale adottato per il campanile dei monaci di Sant' Ambrogio che è dell’epoca di Ansperto, per essere persuasi che questa torre è romana e non si può attribuire a quel grande arcivescovo. Piuttosto siamo d ’avviso che Ansperto abbia fatto restaurare la torre quadrata. Il ballatoio, a tre archi per lato, che oggi termina la torre, è un’aggiunta del secolo IX. L ’arco prolungato alla bizantina, le colonne mancanti di base e i capitelli che hanno carattere di opere frammentarie, non lasciano dubbio sull’epoca dei restauri. E di questi certamente parla l’epitaffio in Sant’Am­ brogio, che ricorda avere Ansperto restaurato il palazzo di Stili­ cene, che era quello fondato ed abitato da Massimiano Erculeo ». Fin qui il sullodato autore, ma in verità, s’è indotti a dire che la sua dimostrazione persuade poco. Innanzi tutto, la gran­ dezza e la solidità riscontrata nei mattoni delle torri, non sembra un criterio sufficiente per affermare che gli stessi mattoni sieno romani. Vi furono epoche diverse nelle quali si fabbricarono mattoni in più o meno grandi dimensioni e con solidità vera­ mente sfidatrice dei secoli. Se ne vedono parecchi nello stesso atrio di Sant’ Ambrogio ; se ne trovarono altri nelle demolizioni di edifizi costruiti in tempi lontani dall’epoca romana e vicini ai tempi che corrono. Non c’è neppur bisogno di discostarsi dal San Maurizio per accertarsene ; i mattoni del pavimento del coro, levati nell’ottobre dello scorso anno 1912, per la sostituzione del pavimento di marmo erano dotati di solidità pareggiabile a quella dei mattoni delle torri : La misura della loro grandezza era di m. 0,37 X i9> ma avevano la spessezza di m. 0,06 ed anche di 0,07 e non mostravano alcuna cavità nella superficie, non ostante che da innumerevoli piedi fossero stati calcati. Aprendosi poscia nel p. p. settembre la finestra nella prima porta della chiesa, in via Bernardino Luini e vicino al corso Magenta, per fare arioso il nuovo sotterraneo della chiesa, venne alla luce qualche mattone lungo m. 0,50, largo m. 0,30 e grosso m. 0,07. Il Romussi s’affretta a parlare della torre rotonda ed invita il suo lettore a confrontarne la costruzione massiccia e regolare col lavoro e col materiale adottato per il campanile dei monaci di Sant’Ambrogio, quello che s’ innalza a destra di chi guarda la facciata della chiesa, che è dell’epoca di Ansperto, ed il suo ar­ i6 6

gomento sarebbe questo: Se la torre rotonda del Monastero Maggiore fosse di Ansperto, come credesi e come attesta l’ iscri­ zione che vi pose il municipio, dovrebbe somigliare per lavoro e per materiale al campanile dei monaci di Sant’Ambrogio che è dell’epoca di Ansperto. Ma la torre rotonda non ha queste ragioni di somiglianza. La sua costruzione è massiccia e rego­ lare, ed invece quella del campanile di Sant’ Ambrogio consta di materiali raccogliticci ed ha costruzione affatto barbara, come dice l’architetto Landriani, riportato dallo stesso Romussi nel vol. i° cap. XXX pag. 3S2. Dunque la torre rotonda del Mo­ nastero Maggiore è romana e non si può attribuire all’ epoca di Ansperto. L ’argomentazione pur troppo non si può lasciar passare, perchè è suscettibile di riflessi contrari. Il supposto su cui si fonda, cioè che il campanile di Sant’Ambrogio è dell’epoca di Ansperto non si dà per certo ; lo stesso Romussi ne dubita, scri­ vendo nel suddetto capitolo a pagina 381 : « quello a destra fu probabilmente innalzato prima di Ansperto e dicevasi campanile vecchio o dei monaci ». Il che egli convalida a pagina 3S2 am­ mettendo l’opinione dell’architetto Landriani il quale « crede che questo campanile sia stata la prima opera eseguita dai monaci appena ebbero il possesso della basilica », deducendo il Landriani la sua credenza « dal carattere raccogliticcio dei materiali e dal­ l’esecuzione affatto barbara della torre (per quanto la sua ossa­ tura sia disposta ingegnosamente) che rammenta il modo di co­ struire dei Longobardi ». L ’opinione del Landriani verrebbe così a determinare l’epoca nella quale il campanile fu innalzato assegnandola poco dopo l’anno 789 cioè ottant’anni circa prima di Ansperto, perchè da un diploma dell’arcivescovo Pietro I, riportato nel libro: Anti­ chità Longobardico-MUanesi illustrate dai cirstercensi vol. IV di­ sert. XXXI pag. 53, consta che lo stesso arciv. Pietro diede a quei monaci il possesso della basilica il giorno 23 ottobre del­ l’anno 789, ed Ansperto, giova ricordarlo, fu arcivescovo dal- P869 all’881. Questo campanile pertanto perchè non è dell’epoca di Ansperto non si dovrebbe proporre quale termine di confronto colla torre rotonda attribuita ad Ansperto, tanto più che la torre rotonda, secondo quello che dice Romussi nel cap. VII pag. 90, andò soggetta a ben pochi cambiamenti, mentre invece « quel campanile ha la forma affatto diversa dalla primitiva » ; così a pagina 382. — i 67 —

Si lascino tuttavia queste osservazioni le quali non sciolgono la difficoltà addotta; piuttosto a distruggerla direttamente con­ viene riflettere che due costruzioni di una medesima epoca pos­ sono tra loro confrontarsi, se ambedue hanno un identico scopo. Ebbene, delle due torri mentovate non fu identico lo scopo, perchè la torre rotonda dovette servire di fortificazione alla città, e la torre di Sant’Ambrogio fu costrutta per essere campanile. Da questo semplicissimo riflesso, si chiarisce come la costru­ zione massiccia di quella torre non sia una prova irrefragabile di sua romanità, ma la condizione richiesta per essere fortifica­ zione ; il campanile, avendo scopo diverso, quello cioè di sor­ reggere le campane, potè invece formarsi con « lavoro ed anche materiale diverso ». Il terzo argomento col quale Romussi sostiene la sua tesi è dedotto da antiche carte che ricordano il palazzo di Massimiano colle sue due torri. Queste carte che ricordano semplicemente 1’esistenza di due torri, senza indicare se le torri siano quelle delle quali si parla, in verità qui non hanno alcun valore di dimostrazione o di prova. Per avere qualche valore dimostrativo basterebbe che delle torri indicassero le proprietà di essere cioè una rotonda, l’altra qua­ drata: pare che in quelle carte non se ne faccia cenno, perchè se vi fosse, essendo un tal cenno importantissimo, si capisce, comparirebbe anche nel libro : Milano nei suoi monumenti. Ta­ luno potrebbe soggiungere che essendo quelle torri, al tempo in cui si scrissero le carte cui allude Romussi, conosciutissime come torri del palazzo imperiale, non era mestieri ricordarle colla loro proprietà. Va bene ; però se erano conosciutissime allora, non lo sono adesso; occorre quindi far luce, e per averla si indichi dove fosse il palazzo imperiale di Massimiano. Romussi, a pag. 89, vol. 1" domanda: dove sorgeva il pa­ lazzo ? e risponde « che non doveva essere tanto vicino alla canonica o all’atrio di Sant’Ambrogio, e che alcune testimonianze e do­ cumenti fanno credere che sorgesse verso la via di San Nicolao: così resterebbe avvicinato al Monastero ». Ebbene si supponga che verso San Nicolao si trovasse quel « vastissimo edifizio » e si torni all’esame delle carte. Si volti la pagina 89 della Milano nei suoi monumenti: nella pagina 90 seguente, appiede, è citato un diploma di Carlo il Grosso, dell’anno 880, il quale contiene la donazione del palazzo imperiale al monastero di Sant’Ambrogio i6 S con queste parole : « Dono similiter palatium quod dicitur Maxi­ miani, cum tota terra ex alia parte jacente, cum duabus turris ». Ebbene, che si deve dire di questo diploma? Si deve dire che pare citato apposta per dimostrare il con­ trario di ciò che si vuol provare. Infatti egli dimostra che le torri donate al monastero di Sant’Ambrogio non erano precisa- mente nè la torre rotonda, nè l’altra quadrata che sorgono dietro il San Maurizio. Non la torre rotonda, che nell’anno 880 s’ap­ poggiava al nuovo muro edificato da Ansperto dal Carrobbio a Porta Vercellina, allo scopo d’includere nella città il Monastero Maggiore che ne era fuori : si ricordi infatti che l’ampliamento della cerchia della città fu tra le prime opere dell’Arc. Ansperto, se in questo senso merita fede anche l’iscrizione a lui dedicata in Sant’ Ambrogio : « moenia sollicitus commisses reddidit urbi diruta ». Sollicitus, cioè appena creato vescovo, si diede fretta di ri­ fare le diroccate mura della città a lui affidata. Di più, la torre rotonda, per il Nirone che ad ovest le scor­ reva presso, era separata dal palazzo di Massimiano, situato verso San Nicolao; non si comprende quindi come e perchè que­ sta torre rotonda dovesse diventare pertinenza del monastero di Sant’Ambrogio. E neppure la torre quadrata potevasi donare a quel mona­ stero, elevandosi essa nel recinto delle benedettine, proprio ad est della torre rotonda. Appiede della stessa pag. go, in seguito alla citazione del diploma di Carlo il Grosso, Romussi fa menzione di Landolfo così: « scrive egli pure (Landolfo) che il re Adalberto, nell’anno 959, volendo fermarsi in Milano, chiedeva gli fosse preparato il palazzo di Massimiano infra moenia urbis, cioè o sopra o vicino le vecchie mura ». Anche Landolfo col suo scritto intorno al re Adalberto, è citato appiede della pag. 90 della Milano nei suoi Monumenti, allo scopo di provare che le due torri innalzate dietro San Maurizio appartenevano al palazzo di Massimiano, il quale palazzo sor­ geva infra moenia urbis, cioè si vorrebbe dire, vicino al mona­ stero maggiore ; ma pur troppo questo Landolfo col suo scritto, anziché provare la tesi proposta, giunge opportunamente à far luce nella confusione delle idee in senso diverso da quello inteso dall’autore della Milano nei suoi monumenti. O il palazzo infra moenia, e detto forse dal solo Landolfo : palazzo di Massimiano, chiesto nell’anno 959 dal re Adalberto, era quello posseduto dal monastero di Sant’Ambrogio, in virtù del diploma di Carlo il Grosso dell’anno 8S0, ovvero non era quello. Se era quello donato ai monaci di Sant’Ambrogio nell’anno

Torre rotonda veduta dal cortile presso via Ansperto e via Bernardino Luini.

880, bisogna supporre che nella durata dei 79 anni passati tra l’anno 880 e l’anno 959, sia stato tolto a quei monaci per ridi­ ventare palazzo imperiale, o reggia. Ma come, quando e perchè il palazzo donato da Carlo il Grosso al monastero di Sant’Am­ brogio sia stato ridomandato, non si spiega da nessun docu­ — 170 —

mento: e allora ne deriva che il palazzo chiesto dal re Adal­ berto non era proprio quello donato nell'anno SSo a quel mo­ nastero di Sant’Ambrogio, ma un altro. Ed ecco qui la confusione: si credette che fosse uno solo il palazzo detto di Massimiano, invece se è autentico il diploma citato di Carlo il Grosso dell’anno 880, e se è vero ciò che scrisse Landolfo del re Adalberto, bisogna ammettere che fossero due i palazzi detti di Massimiano. L ’uno colle sue due torri era stato donato ai monaci di Sant’Ambrogio, e chi sa dove sorgeva. L ’altro, chiesto nell’anno 959 dal re Adalberto, situato infra moenia, forse senza torri, chè Landolfo al posto sopra citato cioè a pag. 90 della « Milano nei suoi monumenti », non le ricorda, sussisteva realmente presso il Monastero Maggiore, se credesi al cronista Gotofredo di cui fu detto nella parte II a pag. 137. Quando però si pensa a quelle visite a Milano di un Attila nell’anno 452, e di un Uraia nel 539, colle quali sparirono le cento torri, le famose reggie, la curia, i sontuosi palazzi dei pa­ trizi, viene in mente che anche queste due torri, se fossero state esistenti, sarebbero parimenti sparite. Uraia certamente non si curò di demolire le colonne di San Lorenzo, il circo, il teatro, l’arco romano: forse volle risparmiare dalla universale devasta­ zione questi monumenti perchè non gli recavano noia alcuna. Ma le torri, le mura non poteva risparmiare: e la sua ferocia le prese di mira, tanto più che i milanesi avevano avuto l’ardire di mostrarsi dalle torri e sulle mura coll’armi in pugno in aria di minaccia. Stando così le cose non si può dire che il municipio di Milano abbia confuso alquanto le idee ponendo sulla torre ro­ tonda l’epigrafe:

A n s p e r t o d a B ia s s o n o INNALZÒ QUESTA TORRE NEL SECOLO IX.

C h ia r is s im e d e d u z io n i d e l c o n t e G . G iu l in i.

Il conte Giulini nel vol. III, delle sue. Memorie spettanti alla storia di Milano, edizione 1855, a pag. 132 e seguenti, da una scrittura trovata dal Puricelli nell’archivio del Monastero Mag­ giore, deduce delle notizie importanti e che forse hanno giovato al municipio di Milano negli studi fatti per l’epigrafe posta sulla torre rotonda. La scrittura dell’anno 1123, trovata dal Puricelli, indica un muro antico che passava dentro la cinta del brolo del monastero, ed un muro nuovo al di fuori che serviva a circondare la città. Il muro vecchio serrato nel chiostro, servì di fondamento ad un edificio fatto per le monache. Il giro del muro nuovo seguiva il giro del canale del Nirone. Il Giulini assai chiaramente dimostra che il muro vecchio serrato nel monastero era parte delle mura di Massimiano, le quali erano composte di grandi pietre qua­ drate, almeno nella parte inferiore, e regolarmente senza formare il lunghissimo e deforme angolo denotato dal canale del Nirone, andavano dalla Porta Vercellina (angoli di via Meravigli e vicolo Brisa) alla Porta Ticinese (Carrobbio) escludendo la vigna e con essa il sito della chiesa di S. Pietro, e quello del Monastero Maggiore. E il muro edificato dall’arcivescovo Ansperto era l’altro nuovo che inchiudeva nella città il monastero, ed era composto di mattoni ; ad esso univasi « la torre rotonda, formata essa pure di soli mattoni, colle sue specole, o balestriere, in cima, e d’ogni intorno, divisa in più piani, co?i tre palchi o tavolati ». Quindi il dotto scrittore conchiude, a pag. 136, affermando che « la torre rotonda era delle mura » e ne riproduce 1’ imagine che il P. Grazioli fece scolpire in rame. Nell’ imagine la torre è rappresentata con un avanzo di mura : essendo questo avanzo situato « verso San Francesco, nella parte estrema del monistero, presso il canale del Nirone, si comprende con sicu­ rezza, scrive Giulini a pag. 134, ch’ egli è una porzione del se­ condo muro esteriore che cingeva quel chiostro, e lo serrava dentro la città prima di Barbarossa ». Più avanti, nella stessa pag. 134, come a ribadire la persuasione che la torre rotonda e l’avanzo di muro non sono dell’epoca romana scrisse: « Che gli avanzi rimasti sieno veramente del secondo muro, oltre che è cosa incontrastabile a cagione del loro sito, si scopre anche nell’osservare la loro struttura ; perchè tutte le relazioni e de­ scrizioni antiche del muro di Massimiano, tutte d’accordo ce lo dipingono composto di grandi pietre quadrate, almeno nella parte inferiore; e negli additati avanzi non si vede una pietra. Eglino dunque sono parte dell’altro muro aggiunto, eretto cer­ tamente quando più non si fabbricava colla romana magnifi­ cenza ». Qui il lettore deve, senza dubbio, provare vaghezza di sa­ pere come e quando la torre rotonda e l’avanzo di muro, di cui sopra si è parlato, vennero in dominio delle monache del Monastero Maggiore e s’inclusero nel chiostro. Torre delle mura di Ansperto con qualche avanzo delle medesime, disegnata dal P. Grazioli.

Fot. G. Battelli. 173

Lo stesso conte Giulini nella pagina 134 già indicata, si presta ad appagare quel desiderio di sapere, con queste altre notizie: « Dopo che da quell’imperatore (F. Barbarossa) fu atter­ rato Milano, quando tornò a ristabilirsi, si concedette a ciascuno che aveva qualche abitazione presso al muro diroccato, la fa­ coltà di occuparlo e di servirsene pei propri usi. Mediante tale facoltà, il monastero maggiore s’impadronì degli avanzi del muro, ch’erano vicini, dov’era rimasta ancora in piedi una torre, e quegli avanzi con quella torre colà tuttora si vedono. In tal guisa il recinto del chiostro venne ad occupare oltre il più an­ tico, anche il più moderno dei due descritti muri, che colà si ritrovavano prima di Barbarossa ».

O p in io n e di C a r l o B o r g h i s u l l a t o r r e r o t o n d a .

A proposito di questa torre rotonda eccita la curiosità ciò che si legge nell’opuscolo col titolo: Palazzi e Monumenti di Carlo Borghi, pubblicato nel libro: Milano — 1881 — per l’edi­ tore Giuseppe Ottino, in occasione dell’esposizione nazionale. A pag. 137 della 2“ edizione, l’autore dopo avere accennato che Carlo Magno, venuto dopo la metà del secolo V ili con le sue buone intenzioni ed il suo amore per le tradizioni latine, diede slancio alla piena fioritura dell’arte già preparatasi lungo quei due secoli d’attesa, dell’arte lombarda, senz'altro insinua una sua opinione in forma di domanda: «Chi sa, dice egli, Carlo Borghi, chi sa che di quest’ arte nel suo stadio ancor primitivo e rozzo, non rimanga una reliquia in quella torre rotonda presso il Monastero Maggiore, nascosta e mezzo murata fra le case, comunemente attribuita ad un tempo posteriore, quello d ’Ansperto! » L’opinione, potrebbe essere probabile, e forse per dare da pensare al municipio di Milano, autore della nota epigrafe, fu esposta nel libro: Milano, 1881; il libro per l’appunto è dedicato all’ill. signor conte Bellinzaghi, sindaco nel 1881, e sindaco forse anche allora che si fecero studi per la compilazione dell’epigrafe. Ma il municipio non se ne diede per inteso, tanto è vero che non si scompose per toglierla dalla torre : ve la lasciò ed è bene che vi stia finché non si alleghino documenti in dimostrazione ed in prova del contrario. 174

Q u a n d o f u c o s t r u t t a l a t o r r e q u a d r a t a e q u a l e n e f u l o s c o p o .

La torre quadrata, tuttora esistente dietro la chiesa di San Maurizio, probabilmente fu innalzata presso lo stesso tempo nel quale venne eretto il campanile dei monaci benedettini di San- t’Ambrogio, vale a dire sulla fine del secolo V ili o in principio del secolo IX, poco dopo la fondazione del Monastero Maggiore. Chi ricorda l’asserzione di Gotofredo, che cioè i re .franchi eressero la chiesa di San Maurizio nel loro reale palazzo, sarebbe propenso a credere che questa torre sia stata pertinenza di quel palazzo. Il ballatoio però, in seguito, ha subito diverse modifi­ cazioni. Non è tanto facile indicare quale ne fosse stato il primo disegno. Dall’esame della costruzione si è indotti a credere che i quattro pilastri d’angolo del ballatoio siano opera di una sola volta colla struttura della torre: ma quale fosse stato il motivo svoltosi tra i pilastri è arduo l’immaginare. Nei quattro lati sono visibili otto grandi pietre, l’esistenza delle quali farebbe supporre che servissero d’appoggio ad altrettante colonne disposte a due per interspazio e destinate a sorreggere gli architravi del tetto. Quello che appare con certezza è che i muri tra i pilastri sono stati costrutti in epoca posteriore alla fabbrica della torre, e sopra di essi dovevano poggiare le colonnine colla loro base. Cinque di quelle colonnine sono di un solo pezzo coi capitelli cubici e colla base, e sono caricati di pulvini : si reputano opera degli scultori lombardi della seconda metà del secolo D£. Gli archi prolungati alla bizantina sembrano opera rifatta dopo il mille. Un’ ultima modificazione al ballatoio consiste nella strut­ tura del terrazzo al piano delle colonnine, e nell’essere state queste in gran parte racchiuse nel muro innalzato, affinchè ser­ visse di rinforzo e di parapetto. I mattoni sporgenti sopra l’arco grande che poggia a piano terreno, verso levante, sopra due colonne, senza capitello, una mensola finamente lavorata, le cornici sui pilastri, avanzi di mensolette al di sopra degli archi del ballatoio a nord ed a sud lasciano intravvedere che la torre era adorna di fregi. L’esistenza di questa torre nel recinto monastico, non può essere altrimenti spiegata che coll’ammettere essere stata la torre Torre quadrata cogli ultimi rifacimenti. 176 il primitivo campanile. Quando andò distrutta la chiesa antica, si ritenne tuttavia la torre ad uso campanile, servendo ella di nuovo ed assai bene allo scopo per la vicinanza nella quale si volle fabbricare la chiesa attuale di San Maurizio. Al piano terreno, la volta a croce della torre non mostra alcun segno dei fori necessari per il passaggio delle corde delle campane: ma non è neppure da immaginare che sotto il portico della torre pendessero quelle corde per essere alle mani di chi doveva suonare le campane. Il portico era aperto anche nel lato a ponente e per una scala si saliva al locale del monastero, de­ stinato adesso per le scuole e tuttora rialzato sopra il livello del portico della torre. Una convenzione tra la Giunta Municipale e la Fabbriceria di S. M. alla Porta del giorno 14 marzo 1S56, 44 conservato nell’archivio di detta Fabbriceria, cartella- — accenna a queste condizioni di luogo, ordinando di « levare la scala e di otturare le aperture che dal portico sottoposto alla torre mette­ vano, guardando a ponente, alla residua proprietà comunale ». Per il suono delle campane era incaricata una religiosa ed altre con essa, com’è d’uso presso gli ordini monastici: e queste adem­ pivano il loro officio dal piano sovrastante il portico. E inutile fare osservare che l’interno della torre fu trasfor­ mato parecchie volte in modo da rendere arduo il raccappezzare come fosse in antico. Molte trasformazioni si effettuarono dopo la soppressione del monastero: secondo la bisogna di provve­ dere alla sicurezza, o di fare le occorrenti riparazioni del tetto e della volta della chiesa, o di salire nel loggiato di questa si fecero diverse opere tra le quali va ricordata quella della scala fabbricata verso il 1S66. Gli atti delle pratiche occorse si con­ servano nelle cartelle - per il Monastero Maggiore nell’Ar- 3 chivio di S. M. alla Porta. Nelle cartelle per detto monastero, segnate coi numeri — e trovansi diverse scritture le quali si possono citare in con­ fermazione che la torre quadrata ebbe lo scopo di essere cam­ panile del Monastero. Da queste scritture risulta che all’epoca della soppressione del Monastero, sulla torre quadrata stavano sospese tre campane le quali furono dal Senatore Ministro per il culto, con sua let­ tera del 31 luglio 1812 N. 7091, consegnate alla Fabbriceria di S. M. alla Porta coll’ordine di « levarle dalla torre attuale rima­ nendo a cura ed a peso della Fabbriceria il costruire il campa­ nile sopra la chiesa che basti a sostenerne due fornendosi alla 44 spesa col prezzo dell’altra da vendersi » (cart. —— ). Nell’inventario compilatosi il 16 marzo 1836 (vedi s. c. car- 44 tella —— ) è scritta quest’annotazione : « le tre campane del peso di circa Rubli N. 300 date in consegna dal Demanio nel­ l’anno 1812 alla Ri- spett. Fabbriceria di S. M. Porta vennero dal M. Rev. Parroco Signor Don Egidio Annoili di concerto colla prelodata Fab­ briceria ritirate onde fare l’ attuale con­ certo di campane nella parrocchiale di S. M. alla Porta ». Il nuovo cam­ panile fu elevato nel 1814 al fianco di le­ vante della chiesa, sopra le sagristie, demolite come fu detto altrove, per praticarvi la via Ber­ nardino Luini. In­ fatti la Cesarea R. Capitello delloggiato superiore della « Torre quadrata » Direzione del De- Fot. Ing. Celioni, manió d’Olona con lettera N. 6669 (cart. ) del 6 ottobre 1S14 deplora « i guasti accaduti nella soffitta di una delle stanze superiori alla sagristia interna ed ai fabbricati a contatto in occasione dell’elevazione del nuovo campanile fattasi nell’agosto (stesso anno 1814) e ne comanda alla Fabbriceria il risarcimento da compiersi nel ter­ mine di 15 giorni ». Il 19 maggio dell’anno seguente 1815 ricorda « fermo l’obbligo esclusivo ai fabbri ceri di sottostare a tutte le spese di manutenzione che potessero occorrere al nuovo campa­ nile dai medesimi eretto » lettera N. 2658 :

23 Invece di due campane, il nuovo campanile ne ebbe tre, pagate il 7 novembre 1816 con L. 230,25,6 italiane pari a mi­ lanesi L. 300. Finalmente nell’anno 1863, il capo mastro signor Giov. Pif- faretti ebbe l’incarico di demolire questo campanile e di erigerne un altro di ferro sul tetto della chiesa e di trasportarvi le tre campane. Il campanile in ferro è quello che si conserva ancora col deplorevole sconcio delle tre corde pendenti dinanzi ai di­ pinti, nel vano sottostante il terrazzo della chiesa interna. Lo sconcio si sarebbe tolto se fosse stato esaudito il voto del M. R. Preposto Parroco di Santa Maria alla Porta, Nobile Don Alberto De Capitani, il quale, con atto del 27 febbraio dell’anno 1S66, mentre unitamente alla Ven. Fabbriceria, presentava re­ clamo alla Giunta Municipale perchè « aveva compiuto alcune opere presso San Maurizio contrarie alle convenzioni ed intelli­ genze prese » domandò il libero accesso alla torre quadrata, dicendo « che può servire alla chiesa per riporvi le campane loro 44 sede naturale ed antica » (busta —7- present. N. 45 al 55).

I m a g in e d e l l a t o r r e q u a d r a t a d e l P. G r a z io l i ED OSSERVAZIONI DEL CONTE G . GlULINI.

Non senza esitazione nel capitolo antecedente, a pag. 174, si manifestava come tra i quattro pilastri d’angolo nel ballatoio della torre quadrata si era immaginata l’esistenza di alte colonne a sostegno degli architravi del tetto. E conviene dichiarare che l’esitazione s’aveva, non perchè si dubitasse della possibile esi­ stenza di quelle colonne, ma perchè non si sapeva che da altri fosse stata concepita una simile congettura e si temeva quindi di dare nella stravaganza. Ma fu grande la contentezza quando nell’aprire il terzo volume della Storia di Alitano del conte Giu­ bili, cadde lo sguardo sull’imagine della torre quadrata data dal P. Grazioli. L ’ imagine rappresenta la torre per l’appunto colle alte colonne nel ballatoio, disposte a due negl’ interspazii tra i pilastri, i quali contrastano le spinte dell’architravata. Fu poi altro argomento di contentezza il trovare nelle osservazioni del conte Giulini la conferma di quello.che si è detto intorno all’o­ rigine ed allo scopo della torre quadrata. Giulini infatti a pa- Torre del campanile del Monastero Maggiore; disegno del P. Grazioli, i8o gina 136 osserva che la torre quadrata « serve alle campane ». Quindi aggiunge: «Siccome al piede di questa si vede una porta fiancheggiata da due colonne di marmo, quel dotto scrit­ tore (P. Grazioli) ha creduto che nei tempi romani ella servisse a qualche insigne edificio; ma io a dir vero, è il Giulini che parla, la reputo una fabbrica dei secoli bassi. La parte supe­ riore di questa torre è fatta in guisa ch’espressamente si vede formata per uso delle campane. Quanto poi alla parte inferiore, la porta che ivi si vede non ci può dare il minimo indizio di un romano edificio, e le colonne che vi sono a lato, invece di avvalorare la conghiettura del P. Grazioli, e altri scrittori che fu­ rono del suo parere, corrobora mirabilmente la mia, perchè sono ambedue senza capitello regolare; nè ai tempi romani si usava di erger colonne senza regolari capitelli, ma bensì nei barbari. Io concedo bensì, continua il Giulini, che nel sito, dove ora è il Monastero Maggiore vi fosse qualche insigne fab­ brica romana, perchè ivi si trovano considerabili avanzi di ro­ mana architettura, e singolarmente colonne di preziosi marmi ; onde non fu difficile nei tempi posteriori a chi fabbricò quel campanile colla porta sottoposta, il servirsi per sostenerne l’arco di due delle antiche colonne che ivi si ritrovavano ». Via Bernardino Luini. Fot. Ing. Belloni.

CRONISTI ED ALCUNI DEGLI SCRITTORI CITATI IN QUESTO LIBRO

Argelati Filippo. Nacque a Bologna nell’anno 1685. Studiò sotto la direzione dei PP. Gesuiti in Firenze ed in altre città della Toscana; curò la pubblicazione di diverse opere. Nel 1720 i promotori della Società Palatina lo chiamarono a Milano. Fu amico di Lodovico Muratori. Opera sua: Bibliotheca scriptorum mediolanensium, 1745. Bergier Nicola Silvestro. Nacque il giorno 31 dicembre 1718 in Darney, piccola città dei Vogesi, da una famiglia della Franca Contea. Promosso al sacerdozio nel 1744, tenne la cattedra di filosofia nell’ Università di Besanzone. L’ anno appresso fu mandato, quale parroco a Flangebouche, nelle montagne della Franca Contea. Nel 1766 venne ascritto tra i membri dell’Accademia di Besanzone. Scrisse diverse opere di grande merito e valore. Nel suo Dizionario di Teologia combatte i nemici della Religione, mettendone in luce i so­ fismi. Morì nel 1790 la mattina del 9 aprile. Borghi Carlo. Morì il 6 aprile 1883. Custodi Pietro, barone, nacque in Galliate il 29 novembre 1771 ; fu il continuatore della Storia di Milano, scritta dal Verri e narrò i fatti avvenuti dal 1525 al 1792. Morì il 14 maggio 1S42. Fabricio Gian Andrea. Nato nel 1696 a Dodendorf, presso Maddeburgo, professò la filosofia nel collegio di Brunswich e dal 1753 resse il ginnasio di Nordhausen, dove morì ai 28 di febbraio 1769. Dal 1748 al 1759 pubblicò la sua B i­ blioteca critica in 24 tomi. Fiamma Galvaneo. Nacque a Milano nel 1283; a 15 anni entrò nel convento dei PP. Domenicani a Sant’Eustorgio. Si crede che sia morto nel 1362. Scrisse: Manipulus florum, sive hi­ storia mediolanensis. Filippo da Castel Seprio. Visse in fine del secolo XIII ed in principio del secolo XIV. Sua opera: Chronica de dictis et factis Mediolani. — 1 8 4 —

Giulini conte Giorgio. Nacque a Milano il 16 luglio 1714, studiò nella scuola dei PP. Gesuiti ed in Pavia sotto i più dotti professori. Fu sempre secolare e morì la vigilia di Natale dell’ anno 17S0. Tra le sue opere: Memorie spettanti alla storia ed al governo della città e campagna di Milano nei secoli bassi (773-1447) Gotofredo da Busserò. Nacque nel 1220, fu parroco di Rodello, scriveva ancora nell’anno 128S. Sua opera tra le altre: Opus historicum. Archivio storico lombardo anno XXVIII, 1901 ; vol. XV, pag. 18-23. Monsignor Dott. A. R a t t i , Dozio Giov.: Notizie di Vivier cate e sua pieve. Grazioli, padre barnabita. Nacque a Bologna nel 1700; professò la filosofia a Lodi e le belle lettere a Milano, nell’Università. Papa Benedetto XIV gli affidò la direzione del Seminario di Bologna dove morì nel 1755. Scrisse, tra le altre opere: De prcEclaris Mediolani œdificiis. Grumello Antonio, pavese. Si è rilevato dalla sua cronaca stessa che fu testimonio oculare delle cose avvenute in Lombardia dall’ anno 1499 al 1529. Lattuada Serviliano. Non si conosce l’anno di sua nascita; fu Preposto Parroco di San Satiro in Milano ; morì il 25 aprile 1764. Scrisse la Descrizione di Milano. Mongeri Giuseppe, fu segretario dellTmperiale Regia Accademia di belle arti in Milano. Gli atti dell’anno 1856, concernenti i restauri eseguiti nella chiesa di San Maurizio, e che si con­ servano nell’ archivio di Santa Maria alla Porta, cartella -, recano la sua firma dopo quella del Cav. Giuseppe Mol- teni, Conservatore delle Gallerie di belle arti. Il Mongeri scrisse l'Arte in Milano, pubblicata nel settembre dell’anno 1S72. Morigia fra’ Paolo. Nacque il 1° gennaio 1525 da antica e no­ bilissima famiglia. Fu della congregazione dei Gesuiti. Fu generale del suo ordine e morì nel 1604. Muratori Lodovico. Nacque in Vignola (Modena) nel 1672: in età di 22 anni fu nominato prefetto della Biblioteca Ambro­ siana in Milano, dove fu consacrato prete. Fu bibliotecario ducale in Modena, dove divenne cieco e morì nel gennaio del 1750. Puricelli Giovanni Pietro. Nacque a Gallarate nel 1589 ed a Milano studiò nel collegio dei Gesuiti di Brera; vestì l’abito ecclesiastico, insegnò filosofia, teologia ed eloquenza nel — iS5 —

grande seminario di Milano. Nel 1629 venne nominato arci­ prete della Basilica di San Lorenzo. Non si sa in quale anno sia morto. Rohrbacher. Nacque il 20 settembre 1789 a Langatte presso Sarrebourg. Nell’ anno 1812 venne ordinato sacerdote. La persecuzione intentata da Napoleone contro Pio VII, lo mosse a studiare il Trattato della Chiesa con tanto profitto, da sentirsi pronto a dare la vita per le verità studiate. La circostanza poi, del processo di M. J. De Lamennais, il quale aveva pubblicato la difesa dei diritti della Chiesa in un arti­ colo del giornale Le Défenseur del 20 gennaio 1818, destò in lui più vivo l’ ardore di studiare la storia, i Concilii, i SS. Padri. Fu dottore di teologia nell’università cattolica di Louvain e professore nel seminario di Nancy. Scrisse la Storia universale della Chiesa cattolica che venne pubblicata, in 28 volumi, durante cinque anni dopo il 1842. Sepulveda Giovanni, storico spagnolo. Nacque verso il 1490 a Pozo Bianco, presso Cordova, di nobile famiglia. Nel 1515 fu nel collegio del cardinale Albornos a Bologna. Nel 1529 tornò a Roma; ebbe amici i dotti più illustri d’Italia. Mori a Mariano, villaggio vicino al luogo della sua nascita, nel 1573 in età di S3 anni. Torri Carlo. Fu canonico di San Nazaro. Sua opera: Ritratto di Milano stampato nel 1674. Non si conoscono i particolari della sua vita. Ticozzi Stefano. Nato a Pasturo nel 1762, morì a Lecco nel 1836. Fu letterato e scrittore d’arte. Vasari Giorgio. Nacque ad Arezzo il 30 luglio 151Ï e morì a. Firenze il 27 giugno 1574. Fu scrittore, architetto e pittore. Scrisse : Vite dei piti eccellenti pittori, scultori ed architetti. Verri Pietro. Nato in Milano il 12 dicembre J72S, fu capitano nel reggimento Clerici dal 17 5 S al 1760 . Nel 17 6 5 fu eletto consigliere nel supremo Consiglio di Economia. Nel 1780' venne nominato presidente del Magistrato Camerale e nel 17 8 5 ebbe il grado di cavaliere di San Stefano. Scrisse diverse opere, tra le quali celebre è la Storia di Milano. Morì quasi improvvisamente colpito d’apoplessia nella sala della muni­ cipalità nella notte del 28 giugno 17 9 7.

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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

PARTE PRIMA.

Pag. Facciata della chiesa...... 2 Pianta generale della c h ie s a ...... 3 Prospetto d’una ca m p a ta ...... 4 S e z io n e ...... ivi Arazzi : Mosè salvato dalle a c q u e ...... 9 Vocazione di M o s è ...... io Mosè percuote la r u p e ...... 12 Mosè colle tavole della legge ed il culto del vitello d’o r o ...... 13 Parte anteriore della c h ie s a ...... 15 Bernardino L u in i...... 18 Alessandro Bentivoglio...... ; 20 Lunetta dalla parte del Vangelo...... 27 Comparto dalla parte del V an gelo...... 29 Angioletto con candele...... 30 Santa Cecilia e Sant’ O r s o la ...... 31 Ippolita Sforza Bentivoglio...... 33 Lunetta dalla parte dell’Epistola...... 35 Comparto dalla parte dell’Epistola...... 37 Sant’Appollonia e Santa L u c ia ...... 38 Maria SS. assunta in C i e l o ...... 40 Martirio di San Maurizio e della legione tebea .... 41 San S igism on d o ...... 45 Altare maggiore e b a la u stra ta ...... 4S Disegno dell’ a lt a r e ...... 49 Disegno dell’ ancona...... 51 Particolare della deposizione del Sacratissimo Corpo del Signore dalla croce, di L o m a z z o ...... 54 Cappella della Flagellazione e di Santa Caterina .... 60 iS8

Pag. Santa Caterina e San L o re n z o ...... 61 Decorazione dell’ intradosso di volta: Angioletti colla croce e chiodi - Angioletti colle v e rg h e ...... 62 Decollazione di Santa C aterin a...... 64 Particolare della decollazione di Santa Caterina . . . 66 Cappella di Santa Caterina : le sibille...... 69 Il simulacro dell’ Immacolata...... 71 Il ritorno del figliol prodigo...... 72 La benedizione di G iacobbe...... 74 Mosè spezza le tavole della le g g e ...... 75 Gesù scaccia dal tempio i profanatori...... 76 Gesù ad Emmaus...... 79 San Stefano, suo martirio, e Francesco Giacomo Carreto . 81 Battesimo di Gesù C r is to ...... 84 Decollazione di San Giovanni Battista...... 85 Deposizione del Sacratissimo Corpo del Signore dalla croce di Lomazzo...... 87 Chiesa monastica, coro in legno, organo...... SS Apostoli nell’orto del Getsemani...... S9 Gesù schernito...... 90 Gesù porta la croce sul monte Calvario...... 91 Parete a destra dell’altare in c o ro ...... 94 Parete a sinistra dell’altare in coro...... 95 Angioletto col turibolo...... 96 Angioletto colla n avicella...... ivi Santa Caterina...... 97 La deposizione del Santissimo Corpo di Gesù nel sepolcro col ritratto di suor Alessandra Bentivoglio...... 99 San Sebastiano, stemma e sigle dei Bentivoglio . . . . 100 Gesù in abito d’ortolano appare alla Maddalena .... ior Decorazione della volta del terrazzo: S. Matteo e S. Luca 102 Decorazione della volta del terrazzo: S. Giovanni evangel. 103 Serraglia della volta: immagine dell’Eterno Divin Padre . ivi L’Arcangelo G abriele ...... 105 L’Annunciata...... 106 San Mauro e San Placido...... 107 ' Deposizione del Sacratissimo Corpo di Gesù dalla croce, ■ rappresentata su di un comparto della parete minore in c o r o ...... 108 Planimetria generale della chiesa e monastero . . 109 — 1 8 9 —

Pag. Santa nella 2a arcata delle gallerie su p e rio ri...... 113 Santa Giuliana...... 114 Santa nella 3a arcata delle gallerie su p e rio ri...... 115 Santa Lucia...... ir6 Santa Caterina...... 1x7 Santa T ecla...... n8 Santa A g n e s e ...... 119 Santa C h i a r a ...... 120

PARTE SECONDA.

Porta d’ ingresso al Monastero Maggiore...... 12S Stemma del Monastero M a g g io re ...... 147

PARTE TERZA.

Linea della cinta romana coll’ampliamento di Ansperto per comprendere il Monastero Maggiore in Milano . . . 154 Torre quadrata veduta dall’ ex monastero, ora scuola co­ munale ...... 156 Torre rotonda di Ansperto veduta dal secondo cortile della scuola ...... 157 Affreschi del secolo XIV e XV nella torre rotonda . . 160-161 Affreschi del secolo XIV e XV nella torre rotonda. . . 162 Affreschi trecenteschi nella torre rotonda...... 163 San Francesco che riceve le stim ate...... 164 Torre rotonda veduta dal cortile in via Ansperto. . . . 169 Torre rotonda ed avanzo delle mura; disegno del P. Grazioli 172 Torre quadrata veduta da via Bernardino Luini . . . . 175 Capitello del loggiato superiore della torre quadrata. . . 177 Torre quadrata; disegno del P. Grazioli...... 179 Via Bernardino L u i n i ...... i8r

INDICE

PARTE PRIMA.

Pag. Epoca e struttura architettonica della chiesa di S. Maurizio 3 L ’architetto Gian Giacomo Dolcebono...... 5 Cristoforo Solari da C am p io n e...... 7 La facciata della chiesa e l’ingegnere Franco Pirovano . 8 Memorie di alcune delle opere di restauro compiute a cura della Commissione conservatrice dei monumenti della Prov. di Milano e dell’Ufficio Regionale per la conser­ vazione dei monumenti di Lombardia...... 11 Decorazione dell’ interno della ch iesa...... 16 Bernardino L u in i...... ivi Alessandro Bentivoglio...... 19 Testamento di Alessandro Bentivoglio...... 25 Santi dipinti attorno all’ imagine del Bentivoglio .... 26 Scomparto sotto la lunetta dalla parte del Vangelo . . . 30 Ippolita Sforza...... 32 Scomparto nel lato dell’ Epistola...... 39 Maria SS. assunta in C i e l o ...... ivi San M a u rizio ...... 42 San Sigism on d o ...... 43 Il comparto occupato dall’altare m ag g io re...... 47 Sfondi laterali all’altare...... 53 Cappella di Santa C a te r in a ...... 56 Testamento di Francesco B e so zzi...... 57 Se nei lineamenti di Santa Caterina siano stati ritratti quelli di Bianca Maria contessa di Challant...... 63 Le sibille e le porticine tra le ca p p e lle ...... 67 La cappella decorata da Calisto P ia z z a ...... 70 La cappella di San P ao lo ...... 73 I puttini di Calisto Piazza...... 74 1 9 2

Pag. Opere attribuite al pittore P eterazzan o ...... 74 La cappella della Risurrezione di N. S. Gesù Cristo . . 76 Cappella di San S t e fa n o ...... Si Cappella di San Giovanni Battista e la famiglia dei Carreto S3 La porticina d’ ingresso dalla chiesa del popolo a quella m o n astica ...... 86 , Chiesa monastica...... SS Il comparto in mezzo sotto il terrazzo ; le volte del terrazzo ed il prospetto dell’ a r c o ...... 9$ Santi rappresentati nei pennacchi in c o r o ...... 104 Il coro in legno, l’organo ed il loggiato...... 112 Opere di ristauro...... 121 Comitato pei ristauri della c h ie s a ...... 122 Fabbriceria di Santa Maria alla P o r t a ...... 123 Elenco degli oblatori...... 123

PARTE SECONDA.

Opinioni diverse intorno all’origine del Monastero Maggiore 129 Se San Sigismondo sia stato fondatore del Monastero Mag­ giore ...... 13° Se Teodolinda sia stata la fondatrice del Monastero Mag­ giore ...... 132 Un primo cenno del fondatore del Monastero Maggiore . 133 Una goffa falsificazione - Placito dell’imperatore Ottone . 134 Notizie diverse...... 141 Del culto di San Sigismondo...... 143 Federico Barbarossa...... 144 Regola di San B enedetto...... 145 Demolizione del primitivo chiostro; edificazione del nuovo 146 Catalogo delle RR. Velate del Monastero Maggiore . . . 147 L ’abbadessa nella festività di San Maurizio...... 148 Soppressione del Monastero Maggiore...... 149

PARTE TERZA.

La torre quadrata del Monastero Maggiore e la torre ro­ tonda dell’arcivescovo Ansperto...... i 55 Se debbasi accettare l’opinione del Sac. Lattuada e quella del P. Grazioli intorno all’epoca delle due torri . . . ivi 193

Pag. Se debbasi accettare la tesi di Carlo Romussi intorno al­ l’epoca delle due to r r i...... 159 Chiarissime deduzioni del conte Giorgio Giulini . . . . 170 Opinione di Carlo Borghi sulla torre rotonda...... 173 Quando fu costrutta la torre quadrata e quale ne fu lo scop o ...... 174 Immagine della torre quadrata del P. Grazioli ed osserva­ zioni del conte Giorgio Giu lin i...... 178 Cronisti ed alcuni degli scrittori citati in questo libro . . 183 Indice delle illu strazio n i...... 187

Indice alfab etico ...... 195

Landolfo seniore visse e mori nella seconda metà del secolo XI, Cesare Cantù lo qualifica « poco esatto ma abbastanza piacevole ». Storia Univ., tomo 6U, parte II, pag. 962.

Pag. 19 — riga ultima : ma correggi male. » 55 — riga prima: templum » mortem. » 104 — riga undicesima: Spirito »Spiritu. » 200 — Ratti, 135, 139, 184.

Nel martirio di S. Stelano, rappresentato nella sua cappella, (pag. 81) si riscontra, sebbene in modo molto debole, quello eseguito nella chiesa di San Stefano, in Genova, da Giulio Romano 0 Giulio Pippi che fu uno dei più celebri discepoli di Raffaello, e visse dal 1492 al 1546.

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INDICE ALFABETICO

A Aresa Lucrezia, 146. Arese Giulia Teresa, 146. Abbate di Sant*Ambrogio, 133. Arduino, 133, 135, 144. Adalberto, 143, 159, 168, 169, 170. Argelati, 78. Adamo ed Eva, 7. Ariberto, 140. Adelaide, 134, 135, 138, 143. Arigoni Chiara Maria, 144, 146. Adolfo, 138. Ario, 112. Adone, 138, Aristotile, 68. Adriano II, 55. Arosio, 134, 138, 139, 141, 142. Affricano, 109. Arzo, 53. Agauno, 43, 46, Ascoli, 56. Agidolfo, 132. Assunta, 36, 39, 42. Agostino di Legnano, 125. Asti, 21. Agrippina, 67. Attila, 131, 140, 170. Alba, 21. Autari, 132. Alberino Felice, 26. Albogasio, 143. B Alegrino Giovanni Pietro, 148. Aleramo, 84. Bagaudi, 42. Alessandra, imperatrice, 71. Bagatti Vaisecchi Giuseppe, 122, 124. Alessandria, 39. Balbiani Natale, 115. Alessandro e Galeazzo di Pesaro, 19. Balbo, 34, 125. Almachio, 32. Balaustrata, 53. Alvernia, 107. Baranzate, 138. Amadeo Giovanni Antonio, 6. Bareggi Luigi, 124. Ambrosoli d’Aquilino, 151. Basilica Ambrosiana, 8. Amiens, 89. Battaggia, 6. Angiò, 105. Bazzero Carlo, 122. Annoni Egidio, 177. Beauce, 46. Ansperto, 137, 151, 155, 158, 159, 164, Beatrice di Monferrato, 84. 165, 166, 168, 171. Beatrice, 7. Antignate Gian Giacomo, 22, 114, 115. Belgio, 43. Antignati Bartolomeo, 114. Belgir Carlo, 124. Antiochia, 117. Bellingardi Luigi, 124. Aragona, 56. Beltrami Luca, 6, 14, 16, 17, 36, 42, Arazzi con episodi di Mosè, 9, io, 12, 13. 57, 59, 67, 68, 86, 101, 122, 123, 124, 125. Archinti Giuseppe, arcivescovo, 146. Bentivoglio Alessandra, 16, 22, 24, 26, Arconati Giuseppe, 144. 26, 34, 36, 93. Bentivoglio Alessandro, 16, 19, 21, 23, 24, c 25» 32, 34, 55, 98- Bentivoglio Annibaie, 19, 21, 24, 26, 55. Cagnola Guido, 123. Bentivoglio Costanzo, 55. Calcedonese, concilio, 104. Bentivoglio Ermete, 19, 21, 55, 56. Calisto Piazza, 118. Bentivoglio Francesca, 80, 114, 116, 120. Calisto III, 146. Bentivoglio Ginevra, 19, 24, 26, 83. Calvi, 80. Bentivoglio Giovanni II, 19, 21, 80. Cambray, no. Bentivoglio Giovanni III, 55. Campi Antonio, 16, 50, 53, 73. Bentivoglio Ippolita, 24, 26. Campi Galeazzo, 50. Bentivoglio Santo, 19. Campo Cremonesi Giov. Antonio, 73. Berengario, 133, 135, 136, 138, 143. Canibus, de, 139. Bergamini Bona, 80. Canossa, 143. Bergamini Giovanni Pietro, 79, 80. Cantalupo, 145. Bergier Nicola Silvestro, 68. Cantù Cesare, 7, 16, 53. Bertarelli Ambrogio, 108. Cappuccio, via, 151. Besozzi Francesco, 56, 62. 125, 138. Carlo il Calvo, 136. Bianca M. di Challant, 63, 65, 67. Carlo il Grosso, 133, 135» 136, i59. i64 , Biassono, 170. 167, 168, 169, 180. Bicocca, 22. Carlo Magno, 136, 173. Bigunto, 141, 142. Carlo V, 17, 22, 23, 55. Bobbio, 132. Carlo VI, 21. Bologna, 19, 21, 23, 55. Carnisio Giovanni, 17. Beltraffio, 16, 105, 117. Carreto Alessandro, 43. Bombaci, 19. Carreto Alfonso II, 83. Bonifacio, 134, 135. 138, 139. Carreto Fabrizio, 83. Bonomi, ditta, 125. Carreto Francesco Giovanni, 82. Bonomi, 139. Carreto, fratelli, 85. Borbone, 67. Carreto Gian Giacomo, 82, 125. Borghi Carlo, 9, 173. Carreto Giovanni, 83. Borgogna, 46. Carrobbio, 137, 158, 16S, 171. Borgognone, 16, 39, 42, 105. Casalmaggiore, 23. Bohmer, 135. Casati, 146. Bordini Giulia, 124. Cassani Luigi, 124. Borromeo Federico, 146. Castelli Francesco, 122, 123. Borromeo Giberto, 80. Catalogo delle monache, 147. Borsani Gaetano, 124. Cavenaghi Luigi, 122. Bossi Egidio, 26. Cena d’Emmaus, 52. Bossi Massimo, 123. Cenacolo Vinciano, 54. Bosso Tomaso, 146. Cerchiate, 138, 139. Braida, 139. Cernuschi, 150. Bramante, 6, 8. Cerro, 138. Bramantino, 104. Certosa di Pavia, 7. Brera, 118. Chapmam, nota, 59. Briccherio Colombo Giovanni, 83. Chidelberto di Parigi, 46. Brigamina, 76, 77, 79. Cisclade, 46. Brisa, 137, 171. Claudio Meser, 47. Brivio Bianca, 120. Clodomiro d’ Orleans, 46. Brusconi Augusto, 122, 125. Clodoveo, 46. Bugunto, 142. Clotaire di Soisson, 26. Buzzi Giuseppe, 52, 53. Clotilde, 46, 138. 197

Colla Angelo, ii. Elusio, 109. Colla Carlo Ambrogio, 148. Emmaus, 77. Columella, 46. Enrico I di Savona, 84. Comitato pei ristauri, 122, 123. Enzo re di Sardegna, 19. Comune di Milano, 122, 123. Equizio, 105. Comunicatorio, 39, 92, 94. Erba, 139. Contarino cardinale Gaspare, 25. Eritrea, 68. Cornaggia Castiglioni Ottavio, 122, 123. Erode re, 86, 117. Cornelio Maria Angelo, 124. Erodiade, 86, 93. Costanzo, 131. Estensi, 55. Costantinopoli, in . Eugenio III, 139, 140. Cotta Amedeo, 142. Eufesina, 114. Covo, 22. Evangelisti, 98. Cremona, 23. Ezechiele, 102. Crivelli Vittoria, 125. Crocopio e Procopio, 36. F Cumana, sibilla, 68, 80. Fabbriceria Santa M. alla Porta, 11, 14. Curletti Pietro, 124. Fabricio, 68. Custodi Pietro, 67. Facciata San Maurizio, 8. Faenza, 80. D Fagnani, 78. Dal Verme Antonio, 123. Falesca Adelaide, 84. Dal Verme Jeannette, 123. Fantucci Francesco, 55. Damasco, 82. Fatius, 134, 135, 138, 139. Danimarca, 138. Federico Barbarossa, 144, 171, 173. De Capitani Alberto, 178. Fenaroli Amalia Crippa, 124. De Capitani Giuseppe, 122, 124. Fernando D’Avalos, 23. Ferrara, 55. Decio, 62. De Gaudenzi Enrico, 124. Ferrari G. Ant. et Josepo, 73. De La Somalia Antonio, 34. Fiamma Galvaneo, 129, 136, 145. Filippo li di Spagna, 50. De La Tremouille Luigi, 22. Filippo da Castel Seprio, 136, 137, 141. Delfina, sibilla, 80. Della Cerva Giovanni Battista, 53. Finado, 24, 28. Del Maino Cesare, 124. Fiorenza, 73. Fiorenza Laura, 47. De Medici Lorenzo, 80. Desiderio, 130, 133, 135, 136, 140. Firenze, 55, 56. Deusdedit, 136. Foix, 22. Diocleziano, 42, 71, 92. Francia, 149. Dionico, 30. Francesco I, re, 22, 23. Diodato, 132. Francesco dei Medici da Seregno. 115, Dioscoro, 92. 116. Direttorio Esecutivo, 149, 152. Francesi, 22. Dolcebono Gian Giacomo, 5, 6, 7, 30, 47, Frascaroli, 150. 68, 86, 98, in , 112, 113, 119. Frizzoni Gustavo, 123, 124. Duomo, 6, 7, 16. Gr IL Gabriele, arcangelo, 104. Economato Beni Vacanti, 123. Gallerani Cecilia, 80. Egitto, 42. Gallie, 42. Elenco degli oblatori pel restauro, 123. Gaspare da Giussano, 142. — 1 9 8 —

Gavazzi Pio, 123. L Genova, 19, 22. Getsemani, 89, in . Landolfo, 159, 164, 168, 170. Ginevra, 21, 44. Landriani, 166. Ginoulhiac Lina, 124. Lapide d’Ansperto, 169. Giordano, 118. Lapide di Bentivoglio Alessandro, 14, 119. Giove, 156. Lapide di Bentivoglio Giovanni III, 55. Girafiglio Gaetano, 151. Lapide di Bentivoglio Giovanni e Car- Gisla, 136. reto, 83. Giuda, 89. Lapide di Besozzi, 57. Giulini, 135, 136, 137, 139, J41, 142, Lapide di Carreto, 82. 145, 170, 171, 173, 178, 180. Lapide di Luini Aurelio, 79. Giulio II, papa, 19, 55, 83. Lapide Simonetta, 70. Giuseppe d’Arimatea, 71. Lapis primarius, 3. Giustina, 112. Lattuada, 8, 52, 84, 129, 140, 155, 156, Glaufenil, abbazia, 105. 158, 1 59 - Gnocchi Pietro, 77, 79, 82. Lazzarino II, 84. Godemaro, 46. Lazzaro, 93. Gondebado, 131, 140. Leyniers Jan, 11. Gonzales Fernandez de Cordova, 130. Leonardo da Vinci, 19, 53, 87, 105. Gottofredo di Busserò, 135, 137, 138, 140, Leone X, 22. 141, 170, 174. Liutprando, 132. Grandi Antonio, 123, 124. Loche, 21. Graziano, 112. Lodi, 22, 23. Grazioli, padre, 155, 156, 159, 171, 178, Lodovico il Moro, 5, 7, 21, 22, 56, 80. 180. Lodovico il Pio, 133, 135, 136. Gregorio Magno, in . Lodovico XII, re, 21. Gregorio XIII, 50. Lomazzo Paolo, 16, i8, 53, 77, 80. Grumello, 63, 65, 67. Lombardia, 131. Guido, 133, 135, 136. Longobardi, 132, 140, 166. Guilla, 143. Lotario, 133, I3 5 > i 43.- Gundebado, 44, 46. Loterio Giovanni, 17. Lucifero, no. Lugano, 17. H Luini Aurelio, 18, 76, 77, 79, 82, in , 1:8. Hai, 59. Luini Bernardino, 16, 17, 18, 28, 30, 43, Hage J. di Danimarca, 124. 56, 65, 67, 77, 86, 88, 89, 92, 93, 151, Hénin Cesare, 124. 155, 165, 177. Hieronima de Brippio, 114. Luini Evangelista, 18, 77, 80. Luini Gian Piero, 18, 76, 77, 79, in . Luini, via, n , 86. I Luminosa, 132. Lurani Agostino, 123. Innocenzo V ili, 83. , 139. M Isacco, 74. Itacio, 112. Maddalena, 71, 77. Madonna, Monte Varese, 112. K Magenta, corso, 165. Magdeburg, 141. Knoller Giuseppe, 62. Magretti Miotti Giuseppina, 124. 199

Malaguzzi Valeri, 7, 57. Moretti Gaetano, 123. Malliola, 142. Moriggia fra’ Paolo, 8, 155. Mambretti Cesare, 123, 124, 1 2 6 . Morone Gerolamo, 23. Manfredi Astorre, 80. Mosè, 8, io, i i , 75. Manfredi Galeotto, 80. Musso, 23. Mantova, 25, 55. Mottone Giacomo, 146. Manuca, 28. Municipio di Milano, 170. Manzolo o Marzolo Alessandro, 24, 26. Muratori Antonio, 145. Marcello, 156, 158. Musica sacra, 113. Marchirolo, 17. Margherita, 140. N Mariani Enrico, 123. Marignano, 22. Napoli, 56. Marinoni Pietro, 71, 72. Nebbia Ugo, 158. Mariscotti, 55. Nicomedia, 109. Marliano, 141. Nirone, canale, 6, 168, 171. Martinic, 43. Noè, in . Masselinda, no. Noseda Aldo, 124. Massimiano, 42, 43, 137, 159, 164, 165, Novara, 21, 78. 167, 168, 170, 171. Massimiliano, 21, 56, 80. O Massimino, 36. Matilde, 134, 138. Octodur, 43. Mattia, 142. Odoacre, 131. Mauri, 73. Orange, 55. Mazzucchelli Carlo, 151. Organo, 113, 115. Medici Gian Galeazzo, 23. Origoni, 79. Meravigli, via, 137, 171. Orleans, 46. Meser Paolo, 47. Ornavasso, 8, 14. Messina, 28. Orsini Giacoma, 55, 56. Michelangelo, 7. Orsini Giulio, 56. Milano, 3, 5, 6, 7, 11, 16, 17, 19, 23, 67, Ospedale Maggiore, 24. 131, 140. Ostrogote, 44, 46. Minetti Pietro, 150. Ottone I, 129, 130, 133, 134, 135, 136, 137, Ministero Pubblica Istruzione, 123. 138, 139. M3 - Mirone, 7. Ottone II, 84, 136. Modigliani Ettore, 123. Ottino Giuseppe, 173. Molina Teodora, 150. Molteni Giuseppe, 184. P Monache Monastero Maggiore, 6. Monastero Maggiore, 22. Pace, convento, 54. Monferrato, 23. Pallavicino Giovanni Ludovico, 23. Mongeri, 16, 73, 75, 82, 104, 105, in , Paolo IV, 25. 117, 118. Parigi, 149. Monguzzo, 23. Passione, chiesa, cupola, 8. Monneret Ugo, 124. Pavia, 7, 23, 143. Monte Cassino, 28, 34, 105. Per ego o Pereghi, 50. Monterotondo, 56. Peretta, 83. Monti Gaetano, 71. Pergamini Ludovico, 80. Montpellier, 92. Petazzo Carlo, 148. Monza, 22. Peterazzano, 16, 74, 75. Piantanida, 149, 151. Roscio Pietro, 78. Piazza Calisto, 16, 70, 74. Rotondi Gaspare, 124. Piemonte, 131. Rusca Loterio, 17. Pietro I, 166. Piffaretti Giovanni, 178. S Pilato, in . Pinacoteca di Brera, 124. Salome, 86. Pino, 82. Santi: Pio II, papa, 146. S. Agata, 93, 117. Pirovano Francesco, 8. S. Agnese, 36, 117. Pissina Giuseppe, 52. S. Agostino, 112. Pizzighettone, 22. S. Alessandro Sauli, 24, 43. Pizzotti Maria Giuseppa, 150. S. Ambrogio, in , 112, 118, 131, 138, 140,. Platone, 68. 169, 170, 174. Porfirio, 36, 63. S. Ambrogio, monastero, 135, 159, 165,. Polidoro, 77. 166, 167, 168. Porlezza, 139. S. Angelo, 24, 25, 26. Porto Valtravaglia, 17. S. Antonino, 43. Poschini Gian Antonio, 52. S. Apollonia, 39, 92, 117. Porziuncola, 107, 118. S. Avito, 44. Prassitele, 7. S. Barnaba, 75. Priscilliano, 112. S. Benedetto, 26, 28, 105, 107, 145. Puricelli, 129, 140, 145, 170. S. Bernardino da Siena, 104. Pusterla D. Ottavia, 114. S. Bernardo, no. S. Candido, 43, no, T21. S. Caterina, 16, 36, 56, 59, 62, 63, 65, 93,. Q 116, 117. Quarantino Benedetto, 146. S. Cecilia, 32, 108, no, 116, 117. Quinto Stampi, 138. S. Celso, 5. S. Chiara, 118. Quinziano, 93. S. Croce, 141. S. Elisabetta, 112. R S. Esufrerio, 43, no, 121. Rages, no. S. Eutichio, in . Rampini Enrico, arcivescovo, 145. S. Felice, 55, 156, 158, 171. Rassegna d’Arte , 123. S. Francesco d’Assisi, 24, 63, 67, 71, 92,. Ratti dottor Achille, 135, 139. 107, 118. Ravenna, 131. S. Gerolamo, 79. Reggio, 143. S. Gervaso, 156, 158. Renato Challant, 65. S. Giacomo, 24, 25, 26, 70, 89. Reno, 19. S. Giorgio, 71, 151. Repubblica Cisalpina, 149. S. Giovanni Battista, 28, 83, 86, 89, 92,. Ricci Corrado, 123. 93, 9S, 103, 112. Rivolta d’Adda, 138. S. Giovanni Evangelista, chiesa, 45. Robbiate, 139. S. Giovanni sul Muro, 137. Rocchette, 151. S. Giulia, monastero, 133. Rodolfo II, 143. S. Giuliana, 109, 117. Rohrbacher, 44. S. Giustina da Padova, 145. Roma, 8, 158. S. Gregorio Magno, in , 132, Romussi, 16, 129, 133, 145, 159, 165, 166, S. Innocenzo, 121. 167, 168. S. Lorenzo, 62, 70, 170. 201

S. Lucca, 98, 103. Savona, 19. S. Lucia, 39, 92, 117. Savoia, 23, 131. S. Magno, 42. Scavini Alessandro, n . S. Marcello, 93. Schieppati Gerolamo, 124. S. Marco, 98, 103. Sepulseda, 22. S. Maria, 93, 139. Serafina da Terzago Angela, 114. S. Maria al Circo, 137, 139, 141, 156, 158. Serafino dalle sei ali, 107. S. Maria degli Angeli, 34. Seregni, 73, 139. S. Maria del Giardino, 151. Sforza Andrea, 83. S. Maria delle Grazie, 53. Sforza Bentivoglio Alessandra, 114. S. Maria in Valle, 140. Sforza Carlo, 32, 34. S. Maria Maddalena, 71, 77, 93, 139. Sforza Francesco I, 22, 32. S. Maria Pedone, 151. Sforza Francesco II, 23, 24, 25, 26. S. Marta, 93. Sforza Gabriele, arcivescovo, 145. S. Martino, 28, 89, 92, no, 129, 131. Sforza Galeazzo Maria, 32, 79. S. Matteo, 98, 103. Sforza Ginevra, 19. S. Maurizio, 8, 11, 17, 24, 42, 43, 44, 46, Sforza Giovanni Paolo, 24, 26, 80, 120. no, n i, 116. 121, 134, 1 3 9 , 1 4 0 , 141, Sforza Ippolita, 32, 34, 70, 83.

1 4 3 . Sforza Massimiliano, 21, 22, 80. S. Mauro, 105, 107. Sibille, 68. S. Michele, no, 158. Siena, marmo giallo, 53. S. Naborre, 156. Sigerico, 44. S. Nazaro, 21. Simmaco papa, 131. S. Nicolao, via, 167, 168. Simonetta Angelo, 32. S. Orsola, 30. Simonetta Bianca, 32. S. Paolo, 24, 73, 82, 103, 104, 112, 117, 158. Simonetta Cicco, 70. S. Pietro, 8, 34, 89, 92, 103, 104, 112, 137, Simonetta Filippo, 70. 139, 141» 158. Simonetta Francesco Bernardo, 70. S. Pietro alla Vigna, 171. Simonetta Giovanni, 70. S. Pietro di Verona, 92. Sinai, 36. S. Pietro in Gessate, 146. Sirene, imperatrice, 36, 63. S. Placido, 28, 105, 107. Solari Cristoforo di Campione, 7, 8. S. Protaso, 156, 158. Solimano, 56. S. Quirico, 139. Soncino, 23. , S. Raffaele, no. South Rentigton, 59. S. Rocco, 92. Spagna, 55. S. Scolastica, 34, 117. Stemma e sigla di Alessandro Bentivo­ S. Sebastiano, 92. glio, 98. S. Sigismondo, 8, 43, 44, 46, in , 116, 129, Stilicone, 159, 164, 165. 130, 131, 1 43 - Stroppa Maria, 151. S. Simpliciano, chiesa, 114. Suardi Bartolomeo, 104. S. Sisto, chiesa, 133. Subiaco, 105. S. Stefano, 62, 81, 104. Svizzeri, 21, 22. S. Stefano, chiesa, 112. S. Tecla, 117. T S. Tommaso, 116. S. Valeria, 137, 139- Tavella Paolo, 123. S. Vittore, 43, 77, 156. Taverna D. Maura, 118. , 17, 67. Tebea, 42. Sauli Domenico, 24. Tedeschi Paolo, 68. Saulo, 82. Tempio di Giove, 8.

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Teodolinda, 129, 132. Valentiniano, 112. Teodorico, 44, 130, 131. Valeriano, 32, 108. Teodosio, 112. Valeri, 7, 57. Tertulio, 28. Valle dei soldi, 143. Tiburzio, 108. Valsuani Paolo, 151. Ticinese porta, 171. Valvassori Peroni Angelo, 123. Ticozzi, 39, 53. Vandoni ing. Carlo, 123, 125. Tierri o Teodorico, 46. Varrenna, 53. Tigri, no. Vasari, 17. Tiziano, 77. Vassalli, 142. Tobia, no. Vaylà Giovanni, 120. Torri, 129, 132. Vecellio Tiziano, 75. Travaglia, 17. Velini, 151. Trento, 22. Vercellina, 137, 148, 158, 168, 171. Triburzio, 32. Verga Ettore, 139. Trivulzio Gian Giacomo, 22. Vergiate, 138. Trivulzio Renato, 80. Verri, 131. Tunisi, 83. Verullo, 136. U Vicenza, 55. Visconti Ermes, 65. Umiliati, 156. Visconti Gian Galeazzo, 21. Ungheria, 56. Vitichindo, 84. Unni, 32. Vriarte, 59. Uraia, 131, 170. V Z Valdrada, 134, 138. Zaccaria, 86. Valentina, 21.