Quaderni del Liceo Orazio

Contiene un documento inedito di un prigioniero italiano in Germania nella seconda guerra mondiale

N. 5 Anno Scolastico 2014/2015 Liceo ginnasio statale Orazio ROMA

1 Questa pubblicazione è stata curata da Mario Carini

Tipografia Istituto Salesiano Pio XI – Via Umbertide 11 – 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 – Fax 06.78.48.333 – E-mail: [email protected] Finito di stampare: Marzo 2015

2 INDICE

Introduzione ……………………………………………………… 5

SEZIONE DOCENTI

ANNA PAOLA BOTTONI, “Radio Isolabella”: giovani e anziani in onda ……………………………………………………………… 11

MARIO CARINI, Una voce dal lager: il taccuino di Serafino Clementi (1943-1945) ……………………………………………………… 21

PIERANGELO CRUCITTI, Biodiversità, Liste Rosse e Citizen Science (Prima parte) ……………………………………………………… 117

ANNA MARIA ROBUSTELLI, L’arte di perdere …………………… 134

AMITO VACCHIANO, Crisi del liceo classico o crisi della cultura classica in Italia? ( Per una nuova Res publica litterarum ) ……… 151

SEZIONE DIDATTICA (collaborazioni degli studenti)

Prof. Stefano De Stefano, L’Orazio alle Olimpiadi di Filosofia … 165

Prof. Marco Pescetelli, Happy Orazio ……………………….…… 173

Miscellanea di matematica, a cura del Prof. Maurizio Castellan … 177

Prof. Roberto Cetera, Riprogrammiamo il software ……………… 211

3 4 INTRODUZIONE

Il 2015, nel ciclo degli anniversari, è un anno strettamente legato ai tragici eventi bellici del Novecento, che videro coinvolto anche il nostro Paese: il 24 maggio 1915 l’Italia entrava in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa contro Austria e Germania, il 7 maggio 1945 veniva firmata a Reims, tra i generali tedeschi e i rappresentanti degli Alleati, la capito- lazione della Germania nazista. Se il primo conflitto mondiale rap- presentò l’epica conclusione del processo risorgimentale, con la libera- zione di Trento e Trieste dal dominio austriaco, la seconda guerra mondiale fu una tragica avventura per l’Italia, che conseguì al prezzo di tanto sangue versato e di immani distruzioni la liberazione dal nazi- fascismo, celebrata nella data simbolo del 25 aprile, e il ritorno tra le nazioni libere e democratiche. I due conflitti sopra ricordati, e di cui quest’anno ricorre l’anni- versario, sono stati, com’è noto, abbondantemente studiati dagli storici, che hanno potuto fruire di una massa imponente di documenti conservati in tutti gli archivi europei e americani, fin nei più minuti particolari. Per l’Italia, ricchissima è sia la documentazione ufficiale sia quella privata, dei singoli italiani che si trovarono a partecipare alla guerra nelle vesti più disparate, come militari o civili (diplomatici, ministri, dirigenti e funzionari della RSI e dei governi Badoglio e Bonomi, etc.) o partigiani: pensiamo ai numerosissimi diari, memoriali ed epistolari scritti dai capi e gregari partigiani, a quelli redatti dai combattenti “dell’altra parte”, ai ricordi degli ebrei tornati reduci dai campi di concentramento, agli scritti degli internati militari nei campi di prigionia tedeschi, agli scritti dei semplici civili che assistettero alle vicende belliche e al passaggio dei vari eserciti che si inseguivano nella penisola. Abbiamo introdotto volutamente il quinto numero dei “Quaderni del Liceo Orazio” con questa premessa storica, perché riserviamo ai nostri lettori una sorpresa: proprio la nostra pubblicazione ospita un docu- mento inedito della seconda guerra mondiale. Dopo settanta anni da quelle vicende belliche vede, infatti, la luce sulle pagine dei “Quaderni” un taccuino che trascrisse un militare italiano prigioniero in Germania,

5 nei mesi dal settembre 1943 al luglio 1945. Il taccuino di Serafino Clementi, questo il nome del prigioniero, non era mai stato pubblicato prima e grazie alla cortese disponibilità di una Collega, la Prof.ssa Simonetta Clementi, alla quale voglio qui esprimere tutta la mia gratitudine, ho potuto averlo in lettura. Sui “Quaderni del Liceo Orazio” figura dunque un contributo (a cui peraltro non temiamo di attribuire valore storico) che proviene proprio dalla nostra scuola, perché la Prof.ssa Clementi, che è la figlia dell’Au- tore del taccuino che qui si pubblica, è anche Collega e docente di lingua e letteratura inglese. Devo confessare che sulle prime credevo fosse una semplice divagazione estiva dopo le fatiche dell’esame di maturità. Invece, sfogliando quelle paginette scritte a lapis con grafia minuta ma chiara, mi sono reso via via conto dell’importanza di questo scritto, sia dal punto di vista storico, come documento della deportazione dei militari italiani in Germania dopo l’8 settembre, sia da quello più squisitamente umano e morale. Il taccuino di Serafino Clementi merita dunque la particolare attenzione dei lettori. Ognuno, del resto, comprenderà quanto sia importante la dimensione memorialistica per rappresentare nella loro interezza e comprendere pie- namente i fatti storici: anche le annotazioni di un giovane sottufficiale italiano, gettato dall’irresponsabile insipienza di allora governava l’Italia nella folle avventura della guerra e nella terribile, disumana espe- rienza della prigionia in un lager, sono fonte preziosa (in questo caso fonte di prima mano) per ricostruire attraverso i più minuti particolari un’epoca storica, contrassegnata da eventi tanto sanguinosi quanto scon- volgenti. Pubblicare diari, memoriali, scritti di persone che testimoniano direttamente o indirettamente un evento storico significa non soltanto arricchire le conoscenze di tutti su quel dato evento, ma anche contribuire a che la Storia nella “guerra illustre contro il Tempo”, per usare la famosa metafora manzoniana, non sia sopraffatta. Proprio mentre la generazione che fu chiamata a combattere negli anni dal 1940 al 1945 va ormai per legge di natura scomparendo, è necessario conservare la memoria dei fatti che essa può ancora offrirci. Rivolgiamo perciò un appello a Colleghi e studenti della nostra scuola e, oltre, a tutti i lettori dei “Quaderni”: se possedete scritti di vostri familiari contenenti ricordi e testimonianze relative al periodo della seconda guerra mon-

6 diale, fateceli pervenire. Li esamineremo e se li riterremo interessanti verranno senz’altro pubblicati sulle pagine dei “Quaderni”. Per quanto riguarda questo quinto numero, che esce nel corrente anno scolastico 2014-2015, esso comprende le due consuete parti, la “Sezione docenti” e la “Sezione didattica” con le collaborazioni degli studenti. Nella “Sezione docenti” compaiono i seguenti lavori: il progetto “Radio Isolabella”: giovani e anziani in onda, della Prof.ssa Anna Paola Bottoni, con una nota di commento degli studenti Nicolò Dionisi e Emma Trentini (classe 5a H); il mio Una voce dal lager: il taccuino di Serafino Clementi (1943-1945), a cui ho accennato prima; la prima parte del contributo del Prof. Pierangelo Crucitti, Biodiversità, Liste Rosse e Citizen Science (la seconda parte, con la bibliografia e la sitografia, apparirà sul prossimo numero dei “Quaderni”);1 il saggio di letture poetiche L’arte di perdere della Prof.ssa Anna Maria Robustelli, già docente di lingua e letteratura inglese nella nostra scuola; l’intervento del Prof. Amito Vacchiano, Crisi del liceo classico o crisi della cultura classica in Italia? (Per una nuova Res publica litterarum). La “Sezione didattica (collaborazioni degli studenti)” comprende i seguenti lavori: la relazione del Prof. Stefano De Stefano L’Orazio alle Olimpiadi di Filosofia, con gli elaborati degli alunni selezionati nella fase d’Istituto della XXII edizione delle Olimpiadi di Filosofia; la relazione Happy Orazio del Prof. Marco Pescetelli, che illustra le fasi di lavorazione dell’ormai celebre videoclip da lui realizzato per la scuola; la consueta Miscellanea di matematica, curata dal Prof. Maurizio Castellan. In chiusura Riprogrammiamo il software, un contributo del Prof. Roberto Cetera, docente di religione.

1 Ricordiamo che il Prof. Pierangelo Crucitti, docente nella nostra scuola dall’anno scolastico 2014-2015, è impegnato in una assidua attività di ricerca e convegnistica di livello internazionale. Il Prof. Crucitti ha al suo attivo numerosissime pubbli- cazioni scientifiche ed è il presidente della Società Romana di Scienze Naturali, ente di ricerca pura fondato nel 1967 (con sede in via Fratelli Maristi 43, 00137 Roma; tel-fax +39 06 41400494 – [email protected]) ed uno dei 36 Istituti che collaborano al progetto internazionale FAUNA EUROPAEA (coordinato dal Museo Zoologico dell’Università di Amsterdam, dal Museo Zoologico dell’Università di Copenaghen, dal Museo di Storia Naturale di Parigi). La sede dell’istituzione è dotata di una biblioteca di 15.000 volumi, inclusa una miscellanea di 20.000 estratti, due laboratori e due magazzini, nonché di collezioni naturalistiche (Mineralogica, Paleontologica, Zoologica) restaurate ed inventariate.

7 Ci congediamo ringraziando tutti coloro che hanno contribuito all’uscita di questo quinto numero dei “Quaderni” e il nostro Dirigente Scolastico Prof. Massimo Bonciolini, che non ha fatto mancare il suo sostegno. E raccomandiamo il volume alla bene- volenza dei lettori, che vorranno perdonare gli eventuali errori e imprecisioni e, magari, conservare questo numero.

Roma, 4 marzo 2015 Mario Carini

8 Sezione docenti

9 10

ANNA PAOLA BOTTONI

“Radio Isolabella”: giovani e anziani in onda

Il giorno 14 gennaio 2015, nella sede del Centro Sociale Anziani via Isola Bella 7, è stata presentata ufficialmente, alla presenza delle autorità del Municipio III, “Radio Isolabella”, la nuova radio in versione WEB a cui sono chiamati a collaborare gli studenti del Liceo Orazio e gli anziani del Centro Sociale. Alla presentazione della nuova radio sono stati invitati il Dirigente Scolastico del Liceo Orazio Prof. Massimo Bonciolini e il presidente del Centro Sociale Anziani Sig. Marco Timarco. Di seguito trascriviamo il progetto da cui è nata questa radio, opera della Prof.ssa Anna Paola Bottoni. Il progetto è stato presentato ed approvato dal Collegio dei Docenti, nel mese di settembre 2014.

Breve presentazione del progetto “Radio Isolabella”

Il presente progetto, nato dalla collaborazione di due realtà territoriali fortemente connotative del nostro quartiere, il Centro Anziani e la sede succursale del Liceo Orazio di via Isola Bella, due strutture limitrofe e contigue di uno stesso edificio, pur nella diversità delle sedi, intende estendere al territorio un’esperienza, maturata all’interno delle proprie mura, concreta e partecipata, di dialogo intergenerazionale: la creazione, da parte di un gruppo di anziani e di un gruppo di giovani studenti, di una stazione radio, realizzata utilizzando un sito web, “Radio Isolabella”. Si è voluto dare al progetto una dimensione concreta e soprattutto operativa, partendo dalla possibilità privilegiata e sicuramente rara, di far lavorare fianco a fianco giovani e anziani, sfruttando la stretta vicinanza delle due strutture. Se per favorire la comunicazione e la cooperazione fra le due fasce d'età, rappresentate nell’immaginario collettivo come antitetiche e per

11 antonomasia agli antipodi, sono state realizzate, negli ultimi tempi, a livello nazionale e territoriale, iniziative e incontri aperti ad entrambi i gruppi, in una cornice di attività (conferenze, dibattiti, gruppi di lettura etc.) finalizzate alla sensibilizzazione dell’attenzione pubblica su un problema così vivo quale il rapporto intergenerazionale, il presente progetto, al contrario, nasce “dall’interno”, dai suoi stessi componenti che, data la vicinanza e la collaborazione tra le due strutture, possono, senza particolari sforzi organizzativi, lavorare insieme, aprendosi ulteriormente ai problemi e alla domanda del territorio.

Perché “Radio Isolabella”: le ragioni di una scelta

Il progetto, avviato nel mese di maggio 2014 come sondaggio, sotto forma di intervista, sulla descrizione e individuazione dei momenti connotativi di una giornata tipo di uno studente e di un anziano, ha prodotto interessanti risultati che sono stati illustrati e posti a confronto, attraverso la presentazione di un power point, curato dagli studenti della sede di via Isola Bella e presentato al Centro Sociale Anziani, nel mese di giugno 2014, alla presenza delle autorità del Municipio III. Se la sveglia segna per tutti l’inizio di una nuova giornata, le lancette dell’orologio scandiscono, poi, situazioni diverse, vissute con modalità e sensibilità differenti (basti pensare alla paura e al peso che, per i compiti e le interrogazioni, la scuola ha nella vita di uno studente). Si è immaginato, data la vicinanza delle due strutture, che fosse la strada, via Isola Bella, percorsa tutti i giorni dai nostri intervistati, a raccontarne il vissuto, nella semplicità del quotidiano, e a svelarne desideri e aspirazioni. Via Isola Bella è diventata, dunque, non solo la testimone silenziosa ma la colonna sonora, con voci e colori, di giornate vissute in modo diverso dai nostri protagonisti, appartenenti a differenti fasce d’età ma accomunati dal desiderio di comunicare, parlare, raccontare, sentirsi compresi, trovare veri amici, persone su cui contare. Via Isola Bella, da spazio aggregante inteso in senso metaforico, ha assunto così una connotazione concreta, diventando una vera e propria “radio”, che non parla di giovani e/o di anziani e neppure parla agli anziani e/o ai giovani ma è fatta da giovani e anziani che parlano fra di

12 loro, confrontandosi su temi, proposte e attività, nello stile di una vera e propria trasmissione radiofonica. Si è scelto di chiamare il progetto “Radio Isolabella” (anche se la struttura ha la connotazione, almeno in questa parte iniziale del progetto, di un sito web che raccoglie interviste, la realizzazione di un originale radiofonico, rubriche etc.) perché la radio accompagna da generazioni, le nostre generazioni, ed è compagna indispensabile delle giornate di giovani e soprattutto di anziani. La scelta di “Radio Isolabella” trova, inoltre, le sue ragioni nel fatto che due realtà, quelle più emblematiche, sotto il profilo generazionale, una scuola e un centro anziani, hanno scelto di comunicare fra di loro, impegnandosi in un progetto concreto: la progettazione e la realiz- zazione della stessa radio. Finalità ultima non è solo quella di rendere concreta e fattiva la collaborazione fra le due generazioni, in uno scambio reciproco di esperienze e punti di vista, indispensabile nell’ideazione e nella realiz- zazione di una stazione radio, trasmessa in web. Questa nostra nuova radio non vuole limitarsi a raccontare delle sue due componenti, essa intende anche aprirsi, interloquire e comunicare con le realtà del nostro territorio. Giovani e anziani, dunque, insieme, a dialogare fra loro e, poi, insieme a dialogare con il territorio. Se il primo passo è quello di rendere non solo possibile ma concreto e operativo il dialogo fra le due generazioni, finalità ultima è l’attenzione al territorio, fosse pure solo a qualche isolato di distanza. Giovani e anziani imparando ad ascoltarsi, scopriranno o ritroveranno la dimensione sociale del vivere attivamente e in modo partecipativo le realtà di una piccola comunità locale, come quella del quartiere. La scoperta della dimensione sociale da vivere insieme non è altro che la scoperta del vivere, partendo proprio dalla realtà di quartiere, in modo associativo, superando le frontiere generazionali.

Finalità e obiettivi

• Incontro intergenerazionale: dialogo, confronto di esperienze fra anziani del centro e giovani studenti.

13

• Implementazione della dimensione comunicativa fra le due generazioni attraverso la realizzazione di un progetto comune: “Radio Isola Bella”. • Apertura alla “dimensione sociale”, intesa come l’attenzione ai problemi della realtà del nostro quartiere, in “modo asso- ciativo”, ossia la sinergia dell’intervento della componente giovanile e di quella degli anziani. • Riscoperta della realtà sindacale quale polo referenziale del vivere la “dimensione associativa” del vivere in modo parte- cipato e sinergico, da parte di anziani e di giovani le realtà del nostro territorio.

Ideazione e struttura del progetto

Per quanto riguarda l’aspetto tecnico della struttura della radio, realizzata in web, si forniscono alcune indicazioni di massima. La radio si configura come un sito web, all’interno del quale sono proposte numerose rubriche, che si aprono come link o collegamenti già strutturati, e video che riproducono interviste, letture, ascolti di brevi originali radiofonici. Si forniscono, di seguito, alcune rubriche che il sito potrebbe contenere: • Il diario di Carla: lettura di brani tratti dal diario della ex vicepresidentessa del centro Anziani, che fu studentessa del Liceo Orazio, nell’anno scolastico 1959-1960, anno dell’aper- tura della sede di via Savinio. Il documento è emblematico dello stretto e profondo rapporto che intercorre fra il Centro Anziani e il Liceo Orazio, rapporto reso significativo dalla scrittura di una ex-studentessa del liceo che i nostri giovani stanno frequentando, la quale è stata anche vicepresidentessa del Centro Anziani con cui i ragazzi collaborano. In con- siderazione, dunque, della valenza, fortemente connotativa per il progetto, del diario si è pensato di idearne e realizzarne una trasposizione radiofonica, registrata sul sito “You Tube” e poi inserita nel sito web.

14

• Un cuore a due voci: consigli, indicazioni e suggerimenti da parte della psicologa del Centro Anziani e della psicologa della scuola soprattutto sulle problematiche di tipo relazionale. • Nonno raccontami una storia: le più belle fiabe inventate dai nonni, assieme ai racconti e agli aneddoti che i giovani ricordano, a proposito dei loro anni. • Che bolle in pentola: fatti e problemi della vita del quartiere presentati dalla voce di un esperto delle problematiche del territorio. • Un coro a tre voci: discussione su un fatto di cronaca o su un problema di carattere sociale, commentato da un anziano e da un giovane studente, in un dibattito moderato da un esperto. • La lanterna del lettore: le pagine più belle dei romanzieri del Novecento o dei contemporanei, annotate da un giovane stu- dente e da un anziano. • Amico scrittore: curiosità e aneddoti sulla vita di scrittori famosi. • Dalla pagina allo schermo: rassegna di celebri trasposizioni cinematografiche o televisive da originali letterari. • Le interviste impossibili: simulazioni di interviste ad autori e personaggi anche di altre epoche, condotte sul criterio della verosimiglianza. • La rubrica del lettore: rubrica in cui compaiono giudizi, recensioni su libri letti, consigli di lettura per possibili acquisti. • Scambio e presto: sezione dedicata allo scambio e prestito di libri e altri oggetti. • L’angolo di noi scrittori: in cui sono pubblicati brevi racconti e poesie scritte dagli anziani e/o dai giovani. • Il menù degli scrittori: raccolta di ricette desunte da alcuni capolavori della letteratura europea. • Mangiamo al cinema: raccolta di ricette desunte dai capolavori del cinema. • La colonna sonora della mia vita: selezione delle colonne sonore con cui accompagnare i momenti più significativi della giornata (scelte dai giovani e dagli anziani).

15

• Sotto il segno della scrittura: presentazione, per ogni segno zodiacale, di uno scrittore famoso, nato sotto quel segno, e delle sue qualità che rispondono alle caratteristiche di tale segno. • Una poesia per te: lettura e commento di testi di poeti famosi, scelti dall’antichità greca e latina all’età contemporanea, su temi universali, quali l’amore, il tempo, il dolore, etc. • Una canzone per te: ascolto e commento delle canzoni più amate da giovani e anziani, come simbolo di epoche e gene- razioni diverse che si confrontano in una gara ideale.

Il progetto è a costo zero per la scuola e potrà eventualmente godere di finanziamenti di Enti istituzionali (come la Provincia). Per le attività del referente (organizzazione del lavoro, predisposizione del palinsesto delle rubriche, realizzazione dei contenuti) non si richiede alcun com- penso. La realizzazione del progetto prevede la collaborazione degli studenti della sede di via Isola Bella e degli iscritti al Centro Sociale Anziani. I tempi di realizzazione potranno estendersi a tutto l’anno scolastico 2014-2015.

Osservazioni conclusive

Il presente progetto ha cercato di rispondere a due esigenze: coniugare l’apertura al territorio, intesa come dialogo con realtà sociali limitrofe, quali il Centro Anziani, l’attenzione al rapporto intergenerazionale, quale aspetto sociale emergente dei nostri giorni, e l’approfondimento delle proprie esperienze personali, didattiche e formative degli alunni attraverso la modalità dello story-telling, un’opportunità di narrare per narrarsi. La radio in versione web si propone di rileggere esperienze didattiche, quali la costruzione di una sceneggiatura, di un’intervista, di un racconto o di una poesia in chiave progettuale e comunicativa. L’obiettivo primario è la riscoperta di modelli alternativi di comun- icazione di quei processi culturali che costruiscono in classe quoti- dianamente le competenze per una cittadinanza attiva. Il quartiere diventa così un testo da leggere, da osservare, da vivere insieme a compagni più esperti, in un confronto dialettico fra due

16 generazioni, vicine anagraficamente ma distanti per esperienze e problematiche. La radio accomuna giovani e anziani non solo nell’ascolto della musica (anche se non mancheranno programmi che confronteranno i gusti musicali dei giovani e degli anziani come un fatto di costume o che leggeranno come poesie i testi più famosi e belli dei cantautori del nostro secolo) ma soprattutto perché vuole raccontare, condividere con altri esperienze di lettura, scrittura, riflessione, osservazione. Oggi accanto agli e-book stanno diffondendosi nuovamente gli audiolibri non solo per la pigrizia che accompagna spesso i lettori ma per il ritrovato piacere di sentirsi narrare una storia, non disgiunto dal desiderio di narrare e raccontare a sua volta. Lo story-telling quale strumento didattico vuole riportare dal mondo virtuale e problematico del social network e di Facebook, ad una comunicazione costruita su una lettura del reale autentica, responsabile, condivisa, a cominciare dagli anziani del Centro, una comunicazione che così intesa aiuta a scoprire e a maturare il giovane nel confronto e nel dialogo, in altri termini lo apre alla cultura nel senso più ampio del termine. La “Radio Isolabella” vuole avere qualcosa di diverso nelle finalità, rispetto alle altre radio web che sono state realizzate in numerose scuole: vuole favorire nei ragazzi la comunicazione e nello stesso tempo la collaborazione con la realtà degli anziani, superando il cancello limi- trofo della scuola e gettando un ponte tra le due generazioni. Attraverso la collaborazione intergenerazionale “Radio Isolabella” vuole creare, dunque, occasioni di condivisione di esperienze e di dialogo tra due realtà che oggi, purtroppo, tendono a essere irrimediabilmente distanti.

Partecipazione di Radio Isolabella al Festival delle Generazioni (Roma, 27 febbraio 2015, Auditorium via Rieti)

Il 27 febbraio si è svolto a Roma, nell’ambito del Festival delle Generazioni, tenuto presso l’Auditorium di via Rieti 13, un convegno organizzato dall’Università La Sapienza, Dipartimento di Comuni- cazione e Ricerca Sociale. Il convegno, promosso da Social Radio Lab, con la partecipazione delle emittenti radio più importanti a livello

17 nazionale, è stato dedicato all’analisi della complessa fenomenologia delle radio in web. L’evento, organizzato come tavola rotonda, ha visto la partecipazione di esperti del mondo della comunicazione e di sociologi di ambito universitario, come il prof. Marco Stancati, che hanno passato in rassegna gli aspetti più significativi delle radio in web, come le fasce di ascolto, individuando la tipologia degli ascoltatori in relazione alle trasmissioni scelte e alle fasce orarie. Il volto più recente della radio ripropone una delle caratteristiche peculiari del mezzo. La possibilità di interazione diretta fra radio e ascoltatori, infatti, è fortemente connotativa della radio: i più anziani ricorderanno trasmissioni come “Chiamate Roma 3131”, oppure i giochi a premi, i quiz e gli indovinelli di trasmissioni come “Il Gambero”, in cui erano previste le telefonate degli ascoltatori. Queste e altre trasmis- sioni radiofoniche offrivano, appunto, la possibilità di telefonare per rispondere ai quiz in diretta o per chiedere e dedicare la canzone preferita da ascoltare. Social Radio Lab, come la maggior parte delle radio in web, consente all’ascoltatore di oggi, tramite Twitter, Facebook e altre piattaforme informatiche, di essere sempre presente, di partecipare, di lasciarsi coin- volgere e dire la sua. Emerge, così, la fisionomia della radio come quella di uno spazio condiviso e da condividere. A questo riguardo sono state, in quell’occasione, presentate alcune esperienze di giovani radio web esordienti e fra queste uno spazio è stato riservato anche a Radio Isolabella, soprattutto per la sua idea innovativa di essere gestita da due componenti, giovani e anziani che trascorrono le loro giornate in due strutture limitrofe: una scuola e un centro anziani. Ampio spazio è stato attribuito al fenomeno mediatico del momento, Radio Immaginaria, la radio gestita “solo” da adolescenti dagli 11 ai 17 anni, una radio che è stata presente anche al Festival di Sanremo. All’incontro del Festival delle Generazioni hanno partecipato due stu- denti del nostro Liceo, Nicolò Dionisi ed Emma Trentini (classe 5a H), che sono impegnati, dallo scorso anno, in Radio Isolabella. Riportiamo di seguito le opinioni degli alunni sulla loro esperienza di collaborazione con gli anziani e soprattutto le impressioni maturate dalla partecipazione al convegno.

18

Una Radio Immaginaria per ragazzi “immaginati” di Nicolò Dionisi e Emma Trentini (classe 5a H)

Ci presentiamo: siamo due studenti ginnasiali del Liceo Orazio, sede di via Isola Bella. Dallo scorso anno partecipiamo al progetto di Radio Isolabella, progetto realizzato dalla nostra insegnante Prof.ssa Anna Paola Bottoni in collaborazione con il vicino Centro Sociale Anziani. Venerdì 27 febbraio noi di Radio Isolabella abbiamo partecipato al meeting del Festival delle Generazioni per presentare il nostro progetto alla tavola rotonda di Social Radio Lab. Il progetto di Radio Isolabella, come abbiamo spiegato durante la conferenza, significa essenzialmente portare avanti una radio con la collaborazione di ragazzi adolescenti del Liceo Classico Orazio e di persone anziane che arricchiscono i contenuti della stessa con varie rubriche. Personalmente, siamo rimasti piuttosto perplessi per l’ampio spazio che è stato dato durante il convegno a Radio Immaginaria, una radio presentata come il fenomeno mediatico del 2015, in grado di raggiungere tutti gli adolescenti perché fatta dagli adolescenti, dagli 11 ai 17 anni. Adolescenti che rifiutano rigorosamente la presenza degli adulti nel gestire la loro radio. Abbiamo per la verità trovato un po’ ridicola la presentazione di Radio Immaginaria, che, nel raccontare la propria attività attraverso alcuni ragazzi che la rappresentavano all’Auditorium il 27 febbraio, ha affermato di essere il frutto del lavoro di soli ragazzi. È davvero evidente come non sia così. A parte la straordinaria dotazione di mezzi di cui dispongono (sala registrazione e strumentazione degna di una potente stazione radio, con ricchi sponsor), Radio Immaginaria ci è sembrata soprattutto una grande operazione di marketing. Questi ragazzi ci sembrano essere in realtà dei “ragazzi immaginari” o, meglio, “immaginati”, ossia costruiti, “iconizzati”, guidati e agevolati da adulti esperti del mondo della comunicazione. Abbiamo trovato che queste persone non hanno nulla a che vedere con questo Festival delle generazioni, che vorrebbe essere un festival intergenerazionale, perché nella loro Radio Immaginaria si trova sola- mente una generazione, quella dei giovani, come protagonista unica. E poi c’è da dire che di Radio Immaginaria, se non l’avessimo conosciuta

19 quel giorno, nemmeno avremmo immaginato l’esistenza. Il nostro non vuole essere un intervento polemico, ma troppo spesso gli adulti, proprio quelli che dicono di lasciare spazio assoluto alla nostra libertà, ci costringono in un recinto ristretto di adolescenti ribelli ed egocentrici che rivendicano, come dichiarano i ragazzi di Radio Immaginaria, il loro spazio esclusivo. Noi di Radio Isolabella, invece, il nostro spazio vogliamo imparare a condividerlo con gli anziani, che sono i nostri vicini più prossimi. A parte questo, noi ragazzi siamo entusiasti del nostro lavoro e continueremo a fare la nostra parte per arricchire i contenuti di Radio Isolabella.

20

MARIO CARINI

Una voce dal lager: il taccuino di Serafino Clementi (1943-1945)

Dedico questo lavoro alla memoria di Serafino Clementi e di tutti gli Internati Militari Italiani che, nei campi di prigionia nazisti e a prezzo di indicibili sofferenze, hanno testimoniato i valori della fedeltà alla Patria e della dignità dell'uomo.

Mario Carini

Introduzione

1) Una testimonianza inedita sui campi di prigionia in Germania: il taccuino di Serafino Clementi. Il testo inedito che, grazie alla encomiabile disponibilità della Collega prof.ssa Simonetta Clementi, vede oggi la luce sulle pagine dei “Quaderni” è un documento, umano e insieme storico, di grande interesse, poiché rappresenta una testimo- nianza di prima mano, possiamo dire de visu, della prigionia dei militari italiani in Germania, negli anni dal 1943 al 1945. Il suo Autore è un giovane, che fu, al tempo dei fatti narrati, ventiduenne sottotenente di fanteria, di stanza nel settembre 1943 a Patrasso. Serafino Clementi, questo il suo nome, si trovò, da un giorno all’altro, improvvisamente e inaspettatamente travolto dal turbine di vicende drammatiche e ango- sciose seguite alla proclamazione dell'armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943. Egli, infatti, come tanti suoi coetanei sotto le armi,

21 dovette subire la cattura da parte dei tedeschi, l’estenuante viaggio su uno stipato carro bestiame in Germania e la permanenza in vari lager del Centro Europa per lunghi mesi, dal settembre 1943 al maggio 1945. Questa difficile, drammatica esperienza è documentata dal taccuino scritto da Serafino Clementi, che qui si pubblica per la prima volta. Ma chi era Serafino Clementi? Queste le scarne notizie biografiche che la cortesia degli eredi ci ha fornito. Nato a Falerone (a quei tempi provincia di Ascoli, oggi di Fermo) l’8 dicembre 1921, Serafino Cle- menti militò nei reparti del regio esercito italiano di stanza in Grecia; dopo l’8 settembre fu catturato dai tedeschi e deportato nei campi di prigionia di Luckenwalde (Germania), Tarnopol (Ucraina), Siedlce (Po- lonia), Sandbostel (Germania). L’11 gennaio 1945 fu trasferito, come la- voratore coatto, da Sandbostel a Rutting, in Baviera. Liberato il 9 mag- gio 1945, con l’arrivo degli inglesi a Rutting, poté ritornare in patria dalla Germania soltanto nella tarda estate del 1945. Dopo la guerra, por- tò a termine gli studi di giurisprudenza laureandosi il 29 giugno 1949. Esercitò a Macerata la professione di avvocato civilista (l’iscrizione all’Albo è del 9 agosto 1952), guadagnando pubblica stima e notorietà. Fece parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ininterrottamente dal 1974 al 1989, ricoprendo negli ultimi dieci anni la carica di tesoriere. Si è spento il 27 giugno 1990. Prima di esaminare il contenuto del taccuino di Serafino Clementi, taccuino rimasto a tutt’oggi inedito, preferiamo ricordare il contesto politico e militare che fa da sfondo ai fatti narrati dall’Autore. Il contesto è costituito dai mesi intercorsi tra l’estate del 1943 e la primavera del 1945, che per molte nazioni, fra cui l’Italia, rappre- sentarono il periodo più cupo e drammatico della seconda guerra mondiale.

2) La situazione dei militari italiani dopo l’otto settembre. I fatti in cui si inquadra la vicenda umana e bellica di Serafino Clementi rappresentano uno dei periodi più cupi e angosciosi della storia del no- stro Paese, gettato dalla dittatura fascista nella tempesta della seconda guerra mondiale. Alla metà del 1943 la situazione delle parti in conflitto appariva ormai ben chiara: le forze degli Alleati stavano vincendo su tutti i fronti europei, a est e a ovest, e le decisive sconfitte di El Alamein in Africa (ottobre 1942) e di Stalingrado in Russia (gennaio 1943)

22 avevano mostrato l’intrinseca debolezza di Germania e Italia e avviato gli eventi bellici verso l’inevitabile sconfitta finale delle forze dell’Asse. La perdita della Libia e della Tunisia, la conquista della apparen- temente inespugnabile roccaforte di Pantelleria e l’invasione della Sicilia il 10 luglio, che aveva portato la guerra direttamente sul suolo dell’Italia, avevano fatto precipitare il regime fascista in una profonda crisi. Frutto della quale fu, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, la drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo, che vide Mussolini messo in minoranza e sostanzialmente sfiduciato dai suoi stessi gerarchi (tra cui anche Galeazzo Ciano, il genero del Duce) e portò alle dimissioni e all’arresto del capo del fascismo a Villa Savoia, dopo un altrettanto drammatico incontro di Mussolini con il re Vittorio Emanuele III. Il nuovo primo ministro, il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, mentre da un lato rassicurava i tedeschi sulla prosecuzione dell’alleanza e della guerra al loro fianco, dall’altro intavolava trattative segrete con gli Alleati per permettere l’uscita dalla guerra dell'Italia, ormai allo stremo delle forze. Si arriva così alla firma dell’armistizio “corto” a Cassibile, in Sicilia, il 3 settembre e all’annuncio ufficiale dell'armistizio l’8 settembre.1

1 Sull’armistizio dell’8 settembre la pubblicistica è ormai amplissima. Ci limitiamo a citare: Ruggero Zangrandi, 1943: 25 Luglio – 8 Settembre, Feltrinelli, Milano 1964; a cura di Mario Cervi, L’8 settembre (collana “I documenti terribili”, n. 11), Mondadori, Milano 1973; Ettore Musco, La verità sull’8 settembre 1943, Garzanti, Milano 1976 (I ed. 1965); Silvio Bertoldi, Settembre 1943: il significato di una data, in “Storia Illustrata”, n. 310, settembre 1983, pp. 24-30; Filippo Stefani, 8 Settembre 1943. Gli armistizi dell’Italia, Marzorati Editore, Milano 1991; Gaetano Afeltra, I 45 giorni che sconvolsero l’Italia, Rizzoli, Milano 1993; Renzo De Felice, Mussolini l’alleato, vol. II La guerra civile 1943-1945, Einaudi, Torino 1997 (cap. La catastrofe nazionale dell’8 settembre, pp. 72-101); Silvio Bertoldi, Apocalisse italiana, Rizzoli, Milano 1998; Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, Il Mulino, Bologna 2003, nuova ed. ampliata (I ed. 1993); Marco Patricelli, Settembre 1943. I giorni della vergogna, Laterza, Roma-Bari 2009; Gianni Oliva, L’Italia del silenzio, Mondadori, Milano 2013. Il famoso saggio di Ernesto Galli Della Loggia, La morte della patria (Laterza, Roma-Bari 1996), imputa all’8 settembre la mancanza, ancor oggi, a suo giudizio, evidente, di una salda coscienza nazionale degli italiani. Assai interessante il saggio di Paolo Emilio Petrillo, Lacerazione / Der Riss, La Lepre Edizioni, Roma 2014, che studia le reazioni psicologiche dei tedeschi all’annuncio dell’armistizio, quali fattori di pregiudizi verso il nostro Paese che sopravvivono ancora oggi e condizionano l’unità europea.

23

Subito si scatena, immediata e rabbiosa, la reazione di Hitler, che accusa gli italiani di tradimento: le truppe tedesche, forti di 17 divisioni perfet- tamente equipaggiate e organizzate, fatte affluire dal Brennero durante il governo Badoglio, hanno buon gioco nel debellare l’esercito italiano, numericamente più forte ma povero di mezzi e soprattutto privo di ordini e direttive, giacché il re, Badoglio e lo Stato Maggiore, preoc- cupati di sottrarsi alla cattura, erano fuggiti a e di lì a Brindisi. Mentre le truppe italiane, o quello che ne rimane, resistono eroicamente ai tedeschi (come a Porta San Paolo, a Roma) e sono catturate o massacrate (come la divisione “Acqui” a Cefalonia), Hitler annuncia al mondo la liberazione del Duce. Mussolini, liberato il 12 settembre dalla prigione del Gran Sasso, viene portato in Germania e a Rastenburg incontra il Führer, accettando di dar vita alla Repubblica Sociale Ita- liana, stato vassallo dei tedeschi. Nel frattempo i soldati italiani, quelli che non hanno fatto in tempo a fuggire o non sono passati nelle file dei partigiani, vengono catturati dai tedeschi e tradotti in Germania sui carri bestiame. La dissoluzione dello stato italiano per le vicende armistiziali fruttò ai tedeschi un bottino enorme in mezzi e, soprattutto, uomini, destinati a diventare i nuovi schiavi del Terzo Reich. A seguito del totale collasso delle nostre strutture militari, i tedeschi poterono mettere le mani sulle riserve di viveri e armamenti accumulati nei magazzini italiani e soprat- tutto sulla quasi totalità delle 80 divisioni costituenti il Regio Esercito e dislocate dentro e fuori i confini nazionali. Ben 810.000 militari italiani furono catturati e deportati in Germania sui carri bestiame, ove, al termine di lunghi viaggi in cui avevano dovuto sopportare le peggiori privazioni materiali, vennero rinchiusi nei campi appositamente prede- stinati per soldati e ufficiali, a Sandbostel, Fallingbostel, Dortmund, Luckenwalde, Altenburg, Wietzendorf, Dora etc. Si noti che ai soldati catturati i tedeschi non riconobbero lo status di prigionieri di guerra, bensì quello, appositamente istituito, di Internati Militari Italiani (in tedesco Italienische Militär Internierten, IMI). La conseguenza era che questi nuovi IMI erano, in virtù del loro status speciale, sottratti alle garanzie e ai controlli assegnati alla Croce Rossa Internazionale dalla convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929 e furono, letteralmente, di- menticati da chi avrebbe potuto o dovuto far qualcosa per loro. Torturati dalla fame, dalle privazioni e dalle terribili malattie che mietevano

24 vittime per le disastrose condizioni igieniche dei campi (come le ricorrenti epidemie di tifo petecchiale, di malaria e di T.B.C.), soggetti alle infami vessazioni degli sgherri tedeschi, i prigionieri non poterono ricevere i pacchi-viveri della Croce Rossa Italiana né di quella Inter- nazionale (che avrebbe potuto mandare aiuti, ma le autorità fasciste pretesero ad un dato momento dalla Croce Rossa Internazionale che si togliessero tutte le etichette dai pacchi perché provenienti dai Paesi nemici, ottenendone un rifiuto). Dalla RSI, per opera del suo ambascia- tore a Berlino Anfuso, giunse qualche spedizione di viveri, ma si trattò di cibarie avariate; pressoché nulla giunse dal Regno del Sud, mentre il Vaticano poté inviare pacchi di viveri e medicinali grazie agli sforzi del Nunzio Apostolico in Germania, Mons. Cesare Orsenigo.2 Quale fu, dunque, la sorte di questi nostri connazionali, incolpevoli vittime di chi li aveva mandati, con tanta irresponsabile faciloneria, allo sbaraglio sul fronte africano, russo e albanese, e poi anche di chi, stipu- lando l’armistizio con gli Alleati, si era preoccupato soltanto della pro- pria salvezza personale, “dimenticandosi” di soldati e ufficiali e get- tandoli, per l’assoluta mancanza delle necessarie disposizioni difensive, nelle mani dell’ex alleato germanico, fremente di rabbia per il “tra- dimento”? Va tenuto presente che alle sofferenze morali e materiali patite dagli IMI (la lontananza dalla patria e dai propri familiari, la fame, i pidocchi, le malattie, l’assoluta incertezza del domani, il lavoro coatto, le durissime punizioni ad ogni minima mancanza) si aggiungeva anche la pressione psicologica dei fiduciari fascisti che visitavano i campi esortando con ogni mezzo gli internati ad aderire alla repubblica di Salò e a riprendere il posto di combattimento a fianco dell’odiato “camerata” germanico. Ma i nostri militari, nella grandissima maggioranza, non cedettero alle lusinghe dei fascisti repubblichini e, sia perché memori del giuramento prestato al re sia perché consapevoli che in Italia avreb- bero dovuto combattere contro i loro fratelli partigiani, rifiutarono l'ade- sione alla RSI, rinunciando così agli indubbi e immediati vantaggi (pri- mo dei quali il rimpatrio immediato) che questa comportava. La fedeltà al re e alla patria oppressa e il disgusto di farsi complici dei loro stessi aguzzini costituirono un impegno morale che sorresse gli animi

2 Vd. al riguardo Prof. Don Luigi Pasa, Tappe di un calvario. Memorie della prigionia, Editrice S.A.T., Vicenza 1947, pp. 99-109.

25 incessantemente torturati dei prigionieri, nella coscienza che le loro personali sofferenze costituivano la prima, e ancor oggi poco conosciuta rispetto alla più nota epopea resistenziale, forma di riscatto della nazio- ne. Come ha scritto in un volume rievocativo Giovanni Rossi, presidente della Federazione provinciale ANEI di Firenze, “Privati della libertà e del cibo, costretti a sopportare fatiche, umiliazioni e offese, i prigionieri italiani avevano una sola rivalsa, quella morale: il rifiuto di combattere e di lavorare per i tedeschi, nonostante l'inasprimento delle condizioni di vita, costituì motivo di orgoglio e divenne fenomeno di massa. Per questa via gli internati affermarono la loro dignità di uomini e contri- buirono, in uno dei periodi più cupi e dolorosi della nostra storia, al riscatto della patria.”3 Le cifre accertate dagli storici confermano il quasi univoco “no” che si levò dai campi di prigionia verso gli emissari fascisti, mandati dal Duce a tentare di convincere i riluttanti prigionieri. Degli 810.000 militari italiani catturati, 94.000 scelsero, subito dopo la cattura, di arruolarsi nell'esercito della RSI o nelle SS italiane, come combattenti (14.000) o ausiliari (80.000). Dopo l’internamento altri 103.000 optarono per la RSI, come combattenti o ausiliari. Quindi scel- sero di rimanere in prigionia, fedeli al re e alla patria, 613.000 militari italiani. Di questi poterono sopravvivere 495.000, trasformati in lavo- ratori “civili” dopo gli accordi intervenuti tra Hitler e Mussolini il 20 luglio 1944. Le vittime dei tedeschi erano state dunque 80.000 (51.000 morti di stenti e torture nei campi di prigionia a cui si assommano altri 29.000 militari, periti durante gli scontri con i tedeschi o fucilati dopo l’8 settembre).4

3 Giovanni Rossi, premessa a Associazione Nazionale Ex Internati, Resistenza senz'armi. Un capitolo di storia italiana (1943-1945) dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, Le Monnier, Firenze 1984, p. V. 4 Prendiamo queste cifre dal testo leggibile in Internet: SCUOLA PER LA PACE della Provincia di Lucca, Il coraggio del no. Storie e memoria degli internati militari italiani, 27 gennaio 2012, quaderno speciale in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Lucca (all'indirizzo: www.storiaxxisecolo.it/internati/internati.htm). Vd. anche Giovannino Guareschi, Il Grande Diario. Giovannino cronista del Lager 1943-1945, Rizzoli, Milano 2011 rist., p. 57. Un recente e documentato studio di Gabriele Hammermann fissa però il numero dei militari italiani deceduti durante la prigionia in Germania a 20.000- 30.000 unità (vd. Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, trad. di Enzo Morandi, Il Mulino, Bologna 2004, p. 379).

26

Ma quali erano le condizioni dei nostri militari nei lager nazisti? Dopo poche settimane di detenzione i prigionieri perdevano il loro aspetto di persone normali: la denutrizione, le gravi fatiche a cui erano sottoposti, le durissime punizioni corporali, le crudeltà fisiche e psico- logiche inflitte dai sadici guardiani li trasformavano in tremebondi relitti che quasi non avevano più nulla di umano e a volte neppure conser- vavano la ragione. Valgano, su tutte le descrizioni, le parole del tenente cappellano don Luigi Tabarelli, che assistette gli IMI rinchiusi nel campo di Dortmund, dal dicembre 1943 al marzo 1944: “Ho già detto che sembravano scheletri. Tragiche visioni paurose, corpi scheletriti, occhiaie incavate, visi raggrinziti e grinzosi con capigliature da ven- tenni. I più camminavano come ubriachi e molti per muoversi dovevano reggersi di qua e di là. Alle domande loro rivolte gridavano inebetiti e alle volte non sapevano connettere le risposte. Cercavano affanno- samente, quando uno moriva, qualche straccio addosso ai cadaveri, e si riusciva con difficoltà a tenerli lontani. Muti, cascanti, sfiniti, occhi incavati e facce paurosamente gonfie, sempre in cerca di qualcosa da mangiare: bisognava stare attenti alle spazzature, perché si trovavano sempre individui pronti a frugare e divorare bucce e porcherie con quali conseguenze è facile immaginare.”5 Abbiamo poi, a conferma delle parole di don Tabarelli, una testi- monianza insospettabile: quella del medico fascista e delegato per la Germania della CRI, il prof. Giorgio Alberto Chiurco. Egli, in una sua relazione sui campi di Sandbostel e di Wietzendorf visitati il 25 marzo 1945, scriveva di condizioni di salute dei prigionieri disastrose, di uffi- ciali “istupiditi dalla fame”, che oltre a presentare alle gambe e al viso le tumefazioni caratteristiche degli edemi, avevano in parte perduto perfino l'uso della parola. Altri avevano perso fino a 30 chili di peso e il maggior numero di essi dava “l’impressione di scheletri viventi”.6 Assai poco però volle o poté fare il Chiurco per alleviare almeno in parte le terribili condizioni dei nostri prigionieri in Germania.7

5 Dalla prima relazione del tenente cappellano don Luigi Tabarelli, citata in GUA- RESCHI 2011 rist., pp. 181-182. 6 Riferiamo testualmente dal memoriale del prigioniero Antonio Zupo (in ZUPO 2011, p. 99). 7 La merce che il Chiurco, come delegato della Croce Rossa Italiana e rappre- sentante della RSI, riuscì a inviare al campo di Wietzendorf (spedizione del 29

27

3) L’esperienza di Serafino Clementi nei lager nazisti. All’indomani dell’8 settembre 1943, ossia dell’armistizio con gli Alleati, Serafino Clementi, giovane sottotenente del Regio Esercito di stanza a Patrasso (era nato a Falerone l’8 dicembre 1921), fu uno dei tantissimi militari italiani lasciati, in patria e fuori, nello sbando più completo dall’irre- sponsabile comportamento del re Vittorio Emanuele III, del capo del go- verno, Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, e dello Stato Maggiore. Catturato dai tedeschi assieme a tutti i suoi compagni di reparto, costret- to a partire in treno da Atene il 20 settembre con la falsa promessa di un “onorevole rimpatrio”, Serafino Clementi giunse al lager per ufficiali di Sandbostel in Germania, vicino Amburgo, il 20 marzo 1944, al termine di una lunghissima ed estenuante peregrinazione ferroviaria, che lo portò a transitare per i campi di Luckenwalde, a sud di Berlino (arrivo il 2 ottobre 1943), Tarnopol in Ucraina (arrivo il 17 ottobre 1943) e Siedlce in Polonia (arrivo il 30 dicembre 1943). A Sandbostel, lo stesso campo in cui fu rinchiuso lo scrittore e umo- rista Giovannino Guareschi, Serafino Clementi rimase fino all’11 gen- naio 1945, quando, dovendo assumere obbligatoriamente la nuova qua- lifica di lavoratore civile (a seguito degli accordi di luglio 1944, inter- corsi tra Mussolini e Hitler), fu trasferito a Rutting, in Baviera, presso un’azienda agricola tedesca, ove venne impiegato come semplice lavo- rante. In questa fattoria rimase fino alla liberazione, avvenuta il 9 maggio 1945, con l’arrivo dei contingenti inglesi. Poi venne riunito con gli altri prigionieri italiani e trasferito a Neustadt, per essere rimpatriato nella tarda estate del 1945. Questa la succinta storia di Serafino Clementi: una storia assai simile a quella dei seicentomila militari italiani rimasti internati in Germania, una storia collettiva fatta di umiliazioni, patimenti, sofferenze inflitte fino al limite dell’umana sopportazione, ma anche di tanti atti di generosità a difesa della propria dignità e del proprio onore di soldati fedeli al giuramento fatto al re. Dell’esperienza di Serafino Clementi, marzo 1945), per un totale di 185,50 chilogrammi di viveri (riso, salumi, pasta, zucchero, marmellata, formaggio, etc.), da dividersi tra circa 4000 internati, giunse avariata e in gran parte inutilizzabile (la lettera di accompagnamento della spe- dizione, con le considerazioni di Guareschi, è riprodotta in Giovannino Guareschi, Il Grande Diario, cit., pp. 90-91).

28 un’esperienza che comunque si concluse felicemente con il ritorno in Italia e l’agognato abbraccio ai propri cari, rimane ampia testimonianza in un taccuino, che egli vergò giorno dopo giorno, nei lunghi mesi della prigionia. È questo taccuino lo scritto che oggi vede la luce dopo settanta anni dai fatti accaduti, e che abbiamo, ce lo si lasci dire, il piacere e l’onore di pubblicare in queste pagine. Premettiamo anzitutto che il taccuino di Serafino Clementi non era stato destinato dall’Autore alla lettura di persone diverse dai propri familiari. Esso fu scritto per fissare momenti dell’esperienza di pri- gioniero in Germania, come una sorta di “diario intimo”, e forse prov- visorio, senza eccessive preoccupazioni formali (anche se la forma comunque è curata e scorrevole, e il contenuto è in massima parte comprensibile). Il manoscritto è, però, un memoriale sui generis. Il let- tore non vi troverà narrazioni più o meno ampie di episodi della prigionia né descrizioni dettagliate di personaggi e situazioni vissute. Si tratta, piuttosto, di una raccolta, in una cinquantina di pagine di piccolo formato, di annotazioni, brevi frasi che sovente si riducono a semplici parole, intercalate da trattini e puntini di sospensione. A queste brevi frasi, a queste parole Clementi volle consegnare ciò che vide e udì nel tempo della prigionia, durante la deportazione in treno e la detenzione nei vari campi. Ma queste brevi frasi, queste parole ci suggeriscono molto della esperienza umana di Serafino Clementi, anche se non ci dicono tutto quello che egli vide e provò durante quei lunghi e tor- mentati mesi. Come accostarsi dunque alla lettura del taccuino di Serafino Clementi? A nostro giudizio, queste parole, che scorrono nelle paginette del taccuino rapide una dopo l’altra, possono in fondo leggersi come tante didascalie a immagini e istantanee dei più significativi momenti della prigionia, che Clementi aveva riposto e conservato nel segreto della sua memoria. Le immagini a cui rimandano queste parole ci dicono moltissimo dell’uomo, un giovane di ventidue anni mandato a combattere in una guerra criminale e catastrofica, e della sua esperienza di prigionia. Anzitutto, ci rivelano i suoi pensieri, le sue emozioni e sensazioni: stati d’animo che ondeggiano, all’inizio, tra la gioia della cessata guerra (la fallace speranza dell’armistizio), l’assurda illusione di un facile e onorevole rientro in patria scortati dai tedeschi (gli alleati traditi!),

29 la sorpresa del disarmo e del trasferimento forzato in una tradotta blindata (più spesso un carro bestiame) per una misteriosa e lontana meta che non era l’agognata Italia, il tormento della peregrinazione nei campi dell’Europa occupata dai nazisti, la delusione e la dispe- razione della forzata prigionia, l’ansia di adattarsi a un mondo chiuso e “totale”, ferocemente e ottusamente repressivo e annichilente, e la ricerca, anch’essa disperata, di risorse interiori e di regole utili per sopravvivere. Tutti questi momenti sono registrati nel taccuino di Clementi, come fasi di un “processo” esistenziale dall’esito incertissimo e comune a centinaia di migliaia di prigionieri italiani, dopo l’8 settembre. Questo processo, inesorabilmente guidato da un potere sopraffattore e tota- lizzante, quello nazista, si apriva con l’intimazione del disarmo e della resa, concomitante a una totale e caotica dissoluzione dell’esercito italiano per l’assenza di ordini e capi, continuava con la cattura dei militari italiani e con l’estenuante viaggio entro carri bestiame fino al campo di destinazione, si prolungava con la permanenza per mesi in condizioni assolutamente precarie e con l’“offerta” del lavoro coatto, che rappresentava “l’espressione massima del potere esercitato dalla pratica totalizzante”,8 e si concludeva infine, per coloro che riuscivano ad arrivarvi superstiti ma comunque fiaccati nel corpo e nello spirito da una esperienza che incideva fortemente sull’esistenza, con la libe- razione. Tutti questi momenti sono scrupolosamente registrati e affidati alle parole, nel taccuino di Serafino Clementi. Un diario di parole, quindi, una “voce scritta” dal lager con l’inchiostro del dolore: ma ogni parola possiede una sua inaspettata, potremmo dire persino prodigiosa, forza evocativa che fa rivivere al lettore l’esperienza di Serafino Clementi, dal “di dentro”, attraverso l’annotazione dei suoi pensieri e stati d’animo, e dall’esterno, mediante la descrizione di ciò che il Clementi vide e udì durante il viaggio e nei mesi di prigionia. Attraverso le pagine del taccuino Serafino Clementi apre il suo animo al lettore di oggi: possiamo così comprendere quale groviglio di sentimenti in lotta vi albergasse. Sentimenti e stati d’animo che certi frangenti rendevano

8 Citiamo da Emilio Gardini, Storie dall’internamento, in Deportati e internati. Racconti biografici di abruzzesi, molisani, lombardi e veneti, nei campi nazisti, a cura di Emilio Gardini, Mediascape – Edizioni ANRP, Roma 2010, p. 28, a cui ri- mandiamo per lo studio degli effetti psicologici della prigionia sui militari italiani.

30 inaspettatamente e ingenuamente positivi: leggiamo così dei “lieti ricordi” che si affacciano alla mente del prigioniero nel trasferimento in autocarro da Patrasso ad Atene (annotazione del 19 settembre 1943, carta 4v), della “grande gioia” provata per la partenza annunciata dal campo di Siedlce in Polonia (annotazione del 16 marzo 1944, carta 11v), della “fiducia e serenità” provate nell’aprile del 1944, nonostante l’assenza di notizie da casa e il mancato arrivo di pacchi viveri a lui destinati (annotazioni dei “primi aprile”, carta 13v, e del 29 aprile 1944, carta 14r), del generale miglioramento delle condizioni fisiche registrato in coincidenza con i progressi delle forze alleate (annotazione del 3 giugno 1944, carta 14v: il giorno dopo Roma sarebbe stata liberata, e il Clementi scrive al 3 giugno che gli angloamericani sono nei pressi di Roma). Il che mostra, fra l’altro, quanto le vittorie alleate potessero incidere sulla psiche dei prigionieri. Al 19 novembre 1944 (carta 22v) il “morale generale” di Clementi (e probabilmente degli altri prigionieri) è “alquanto più alto”: la “nuova offensiva” dei russi in Ungheria e degli Alleati intorno a Forlì, Faenza, Ravenna, lascia sperare “qualcosa”. Il lavoro coatto porta una svolta nelle condizioni del prigioniero: dopo l'impiego nella fattoria della signora Westphalen (Clementi vi arriva il 12 gennaio 1945, carta 27r) le condizioni del prigioniero, ora addetto ai lavori agricoli, registrano un netto miglioramento. Clementi può qui godere di un vitto certamente migliore e delle cure della padrona di casa, proprietaria di una azienda agricola a Rutting in Baviera. Giacché la zona non è toccata dalla guerra, l’ambiente e il clima più tranquilli agevolano “il rifiorire del suo corpo” (così scrive al 18 febbraio 1945, carta 27v). Inoltre egli gode di un regime di semilibertà, al punto che, col permesso di Frau Westphalen, può fare qualche passeggiata nelle zone limitrofe e frequentare uomini e donne stranieri, presumibilmente prigionieri anch’essi, con cui ha uno scambio di idee sulla situazione bellica (annotazione del 17 febbraio 1945, carte 27r e 27v). Fino al giorno dell’agognata liberazione, il “gran giorno”, che per Clementi coincide con l’ingresso degli inglesi a Rutting (annotazione del 4 maggio 1945, carta 30r). Alla gioia si unisce nell’ormai ex prigio- niero la malcelata ammirazione per gli inglesi vincitori, che gli “sembrano proprio leoni” (annotazione del 12 maggio 1945, carta 30r). Quindi l’at- tesa per la partenza da Rutting, promessa da un capitano inglese entro due giorni (dal 12 maggio), attesa che in modo snervante si protrae fino al

31

25 maggio. Il giorno dopo Clementi arriva a Neustadt, e qui inizia l’ultima fase della sua odissea in Germania. Quelle che abbiamo riferito sono le annotazioni dei sentimenti positivi provati dal Clementi: ma quei momenti di relativa serenità furono, in venti mesi di prigionia, troppo pochi e subissati da cupi stati d’animo, dalla continua incertezza per il futuro, dallo sconforto, dall’angoscia, dalla disperazione. Questo era il ricorrente stato d’animo del Nostro, conseguenza anche delle malattie e dei disagi subiti durante la detenzione e sfociati per volontà degli aguzzini in vere e proprie torture che misero a dura prova il fisico e il morale del prigioniero. Va sempre ricordato che volontà dei nazisti era trasformare questa massa di prigionieri, considerati traditori della causa dell’Asse, in schiavi senza volontà e senza spirito, da sfruttare fino allo sfinimento e in ogni modo possibile per la produzione bellica e le esigenze economiche della Germania. La minima infrazione, non già la ribellione, ai regolamenti e agli ordini (peraltro impossibili, spesso, da comprendere per la non conoscenza del tedesco) comportava punizioni durissime, comminate a suon di frustate, percosse, calci, torture, l’incarceramento senza cibo e sovente la morte. Il viaggio, già prima della prigionia, è un duro banco di prova per la tenuta fisica del nostro prigioniero. Già a bordo della tradotta che lo porta a Salonicco assieme agli altri commilitoni ormai prigionieri dei tedeschi, Serafino Clementi accusa malesseri (al 23 settembre 1943, carta5v) e, partito da Atene, “febbre e delirio” durante il transito in Bul- garia (dal 24 al 25 settembre, carta 5v). Arrivato il 17 ottobre a Tarnopol, in Ucraina, per il clima gelido lamenta dolori muscolari (al 12 dicembre 1943, carta 10r); a Siedlce e a Sandbostel Clementi deve patire il clima rigidissimo, la neve e il gelo, pernottando in baracche che non sono per niente riscaldate, mentre la temperatura all’esterno scende fino ai quin- dici gradi sotto zero (annotazione del 16 dicembre 1944, carta 25r).9 L’estate del 1944, nel nord della Germania (il prigioniero è a Sand- bostel), è caratterizzata da freddo e pioggia, e il clima costringe il Nostro a vestire il cappotto, “ancora buono” al 12 luglio 1944 (carta 16v). Alla

9 Ai prigionieri, annota Clementi, veniva data la dose giornaliera (e nemmeno tutti i giorni) di 80 grammi di carbone a testa e il cappotto non bastava a difendersi dal freddo intensissimo (annotazione del 16 dicembre 1944, carta 25r).

32 fine dell’estate compaiono le avvisaglie del male che perseguiterà il Clementi per lunghi mesi: la malaria. Dopo il “malessere febbrile” registrato dal prigioniero all’1 settembre 1944 (carta 18v) scoppia improvvisa la febbre malarica, che tocca i 42 gradi il 3 settembre, in coincidenza col manifestarsi di una epidemia di tifo petecchiale: forse portato da prigionieri russi, il tifo obbliga i tedeschi a mettere in quaran- tena il campo (al 4 settembre, carta 18v). Il pericolo del tifo, grazie all’isolamento del campo, viene presto debellato, mentre continuano nel Nostro gli attacchi di febbre malarica (al 15 e 17 settembre 1944, carta 19r). La cura di chinino gli dà la guarigione ma lo lascia fisicamente prostrato (periodo dal 23 al 27 ottobre 1944, carta 21v). Continuano saltuariamente gli attacchi febbrili, a cui si aggiungono dolori reumatici e un ascesso dentario al 17 novembre 1944 (carta 22r): in tali con- dizioni, Serafino Clementi deve affrontare il rigidissimo inverno del ’44, in una baracca senza riscaldamento e senza avere acqua sufficiente per curare la propria igiene (acqua che doveva essere prelevata da una apposita pompa sita all’esterno dell’alloggiamento). A tutto ciò si aggiunge un notevole peggioramento del già insufficiente vitto, consistente nel solito miscuglio di rape e patate (così nota l’8 dicembre 1944, carta 24r).10 Il prigioniero, spossato dalla febbre ricorrente e tormentato dalla fame e dal gelo, deve inoltre dormire in un posto-letto (i letti erano a castello, a tre posti) senza pagliericcio, con le tavole di legno ricoperte di muffa per l’umidità (annotazione del 2 gennaio 1945, carta 26r). Finché non sopravviene, come una sorta di liberazione da quella sorta di Cocito infernale, la chiamata al lavoro coatto e la par- tenza, l’11 gennaio 1945, per la destinazione di Rutting. Quali fossero i pensieri prevalenti di Serafino Clementi in quei fran- genti, quali sentimenti agitassero il suo animo fin dai primi momenti di prigionia, non sarà difficile immaginare. L’Autore ce ne ha lasciato ampia traccia sulle pagine del taccuino. Tristezza, sconforto, solitudine, incertezza e paura tormentano il suo animo e si ripercuotono nei sogni notturni. Sogni che talvolta assumono le fattezze degli incubi, come quello annotato al 19 aprile 1945 (carta 28v), indicativo del terrore inconscio di aver perso, lacerata da una esperienza così straniante, la

10 La sbobba era talmente disgustosa che il Clementi la chiama “il beverone dei maiali” (così al 28 dicembre 1944, carta 25v).

33 propria identità: il reduce, in sogno, torna a casa, ma la madre non sa più riconoscerlo. La prima forte reazione emotiva che possiamo riscontrare nel tac- cuino è la commozione, forse mista a rabbia, provata alla consegna delle armi ai tedeschi (annotazione dell’11 settembre 1943, carta 3v), poi è un continuo susseguirsi di dubbi, pensieri tristi e cupi, timori per lui e i suoi cari, accresciuti di giorno in giorno dalla mancanza di notizie da casa. La triste sensazione di una “odissea finale”, che l’Autore annota al 28 agosto 1944 (carta 18v), è seguita dal crollo psicologico (“umore e morale in condizioni disastrose”, annota al 23 settembre, carta 19v), che fa esplodere la sua angoscia in un muto grido di dolore (“Che sofferenza! Non ne posso più!”, scrive al 30 settembre 1944, carta 20v). Soprattutto nel periodo che precede e segue il Natale, i pensieri si incu- piscono ancor più: lo tormenta l’ansiosa e vana attesa di notizie da casa, l’assillante pensiero della sorte toccata ai suoi cari, poi anche questo pensiero svanisce sommerso dalle innumerevoli sofferenze quotidiane, dalla fame e dal freddo (“La fame, il freddo ci hanno del tutto storditi, resi addirittura incoscienti… non siamo più uomini, ma bestie stolide”, annota al 28 dicembre 1944, carta 25v). “Bestie stolide”, ossia schiavi senza volontà né dignità: è la degradata, disumana condizione dei prigionieri a cui era finalizzato tutto l’universo concentrazionario creato dai nazisti. Quindi, paradossalmente provvidenziale, arriva per Serafino Clementi il trasferimento all’11 gennaio 1945, come lavoratore coatto, al lavoro civile e la partenza verso un’altra ignota destinazione, che è la cittadina di Rutting in Baviera. Qui, altri mesi in compagnia di pensieri angosciosi, di assillante nostalgia della casa e dei propri cari, anche se le condizioni di vita migliorano sensibilmente: Serafino pensa di non trovare più i suoi genitori “il giorno che il destino gli concederà la fortuna di far ritorno a casa”, e a questa idea “gli par di impazzire” (così scrive al 15 aprile 1945, carta 28v). Uno sconfortante pessimismo gli serra l’animo, ancora, al 26 aprile 1945 (carta 29r), quando il conflitto è ormai praticamente risolto a favore degli angloamericani e dei russi: il Nostro è attanagliato da molteplici timori, che la guerra non finisca, che i suoi non stiano in buona salute o non siano più vivi, e il suo tormento esplode in un muto grido di protesta a un Dio che sembra indifferente o addirittura assente, come il Dio di Elie Wiesel ne La notte (“Perché, perché mio Dio, tanta angoscia?!?”).

34

Sconforto e cupo pessimismo, dunque, accompagnarono Serafino Clementi nei lunghi mesi di lontananza dall’Italia, praticamente fino al rientro in patria, avvenuto nella tarda estate del 1945. Né potevano valere a lenire, almeno in parte, la sofferenza sua e dei suoi compagni di prigionia i pochi gesti di solidarietà che, durante il trasferimento in Germania, soprattutto alle fermate delle stazioni ungheresi e polacche, dovette ricevere dai civili. “Saluto della popolazione ai prigionieri in partenza da Patrasso” (carta 4v), “Il ragazzo del pane e la sentinella te- desca” (carta 5r), “Gentilezze serbe a Katouicz: il vecchio dei sei pani” (carta 6r), “Manifestazioni ungheresi e i piccoli omaggi” (carta 6r), “Alla stazione il pane del bambino polacco” (carta 12v): dietro ognuna di queste brevi annotazioni s’indovina un gesto di solidarietà, un pane, un uovo, un frutto, una bottiglia d’acqua passati furtivamente al prigioniero, sfuggendo alla occhiuta e feroce guardianìa dei tedeschi. È l’umanità che affiora e affratella tutti gli uomini, soprattutto nei mo- menti del dolore comune, smentendo almeno in parte il detto dell’homo homini lupus, che sembra essere l’univoca tristissima condizione degli uomini in guerra. Anche il conforto dell’amicizia dovette sostenere non poco l’animo del Nostro: ricorrono nel taccuino i nomi di Orazio, Ignazio, Totò, Santucci e altri, come fidati amici con cui sopportare la devastante esperienza di internati e addirittura trovare assieme insperati momenti di svago (come la partita a scopone, incredibilmente organiz- zata nel vagone della tradotta stipato di prigionieri, il 28 settembre 1943, carta 6v). Ma le annotazioni di Serafino Clementi non registrano soltanto i suoi stati d’animo. L’Autore mostra una particolare sensibilità nel rappre- sentare in poche parole uno schizzo, un quadretto, un paesaggio, dise- gnandone i profili e i colori, con un vero gusto per il cromatismo: ap- paiono susseguirsi davanti ai suoi (e ai nostri occhi), nel rapido scorrere dal finestrino (ma sarebbe più giusto dire feritoia) del vagone blindato, la campagna ungherese con i prati ondulati e le mucche bianche a mac- chie di caffè-latte (carta 6r), le cittadine ungheresi di Szombately con le sue guglie, e Nagyuseck con il laghetto e le papere (carta 6v), il paesag- gio dell’Inn, il bel corso del fiume, la “stupenda conca”, il castello sopra la pineta (carta 7r), la campagna polacca, “una candida coltre dagli strappi scuri” (carta 10v). Ma scesi dal treno, dopo il rasserenante pae- saggio bucolico, ancora incontaminato dalle distruzioni della guerra,

35 ecco pararsi ai prigionieri l’orribile, plumbea e marcida realtà del campo di prigionia di Siedlce, l’abbrutimento, la sporcizia, la miseria delle sue baracche (carta 11r), e poi la bolgia delle baracche di Sandbostel, con i posti-letto simili a loculi mortuari (carta 13v). Nelle pagine del taccuino trovano spazio, soprattutto a partire dal giugno del 1944 (carta 15r), anche i commenti ai fatti più eclatanti della guerra, di cui Clementi, grazie a Radio Londra, può seguire tempestiva- mente gli sviluppi, registrando le fasi delle vittoriose avanzate degli Al- leati a est e a ovest (da notare che egli scrive sistematicamente, a propo- sito delle località liberate dagli Alleati, che sono state “occupate”: ciò probabilmente al fine di non far sospettare dei suoi reali sentimenti anti- nazisti, nel caso in cui il taccuino fosse caduto nelle mani dei tedeschi). Dal giugno del 1944, periodo che corrisponde alla carta 15r, i pensieri di Serafino Clementi si fanno via via più chiari e articolati, e conse- guentemente le frasi più ampie e armoniose. Diminuiscono vistosamente i puntini di sospensione, tanto frequenti nella prima parte del taccuino (quella precedente al giugno 1944), aumentano invece i punti escla- mativi, a sottolineare la reazione di stupore e, diremmo, d’incredulità di fronte alle vittorie alleate, ossia a notizie che potevano apparire ed erano, per quegli internati esclusi dalla realtà del mondo esterno e forza- tamente separati dai loro affetti e dalla patria, mirabolanti e fantastiche. E intanto Clementi annota anche gli episodi all’interno del campo, due dei quali suscitano la sua “vivissima indignazione”: la morte del capi- tano Antonio Thun von Hohenstein, un autentico martire dell’italianità (al 7 aprile 1944, carta 14r), e quella del tenente Vincenzo Romeo (al 28 agosto 1944, carta 18v), entrambi proditoriamente assassinati da senti- nelle tedesche. A proposito dei tedeschi, quali furono i sentimenti di Serafino Cle- menti nei loro riguardi? Possiamo ben dire che Serafino Clementi non ebbe alcuna simpatia per i nazisti né fu uno degli “optanti” per la RSI. Egli era un internato militare italiano, che visse per parecchi mesi nei campi di prigionia, senza cedere alla propaganda dei fascisti che perio- dicamente giravano per gli stessi campi, sperando di reclutare, o meglio adescare, gli internati (è noto che pochissimi dei prigionieri aderirono alla RSI): da Sandbostel Clementi uscì l’11 gennaio 1945 non per sua volontà ma perché costretto al lavoro coatto, secondo gli accordi stabiliti tra Mussolini e Hitler nel luglio del 1944. Vi era, infatti, l’ordine dell’al-

36 to comando tedesco di costringere comunque al lavoro coatto tutti i militari italiani prigionieri. Essi, in caso di rifiuto, sarebbero stati sotto- posti a pene durissime (come la deportazione nel campo di Wietzendorf e in altri campi di punizione), alla prigionia, alla diminuzione o cessa- zione dell’acqua e del cibo, con un irrimediabile e letale deperimento organico. Del resto, se Clementi avesse avuto simpatie per la RSI si sarebbe arruolato nelle milizie fasciste o sarebbe uscito dal campo assai prima del gennaio 1945, rimpatriando in Italia. Ma certe sue osser- vazioni e i ritratti, vaghi ma alquanto espliciti, che Clementi ci ha la- sciato dei tedeschi sono inequivocabili al riguardo: il sergente prussiano (carta 8v), l’odioso capitano Pinkel (un autentico criminale di guerra, chiamato l’Hauptmann o Buldogg, carta 13v), “il tacchino” (carta 13v), “Rigoletto”, “bomba” (un grasso ufficiale tedesco), “cornutello” (carta 12r), il sergente di ferro (carta 11r), l’interprete “civetta” del campo di Tarnopol (carta 9v), appaiono come gli esemplari esecutori dello spietato apparato poliziesco preposto al funzionamento dell’istituzione “totale”, ossia dei lager. E poi anche per Clementi i tedeschi sono i “crucchi”, ossia i nemici storici degli italiani (“crucchi” li chiama al 24 luglio 1944, carta 16v, e al 2 ottobre 1944, carta 20v), anche per lui le ultime disperate iniziative di Hitler, come la costituzione del Volkssturm (la milizia popolare comprendente gli uomini dai 16 ai 60 anni) e la fanatica determinazione di combattere fino all’ultimo uomo “per ottenere una pace giusta”, sono segno di “follia o criminalità” (annotazione del 22 ottobre 1944, carta 21v). Le annotazioni del taccuino di Serafino Clementi, quelle più chiaramente leggibili e comprensibili, si concludono virtualmente con l’arrivo a Neustadt, il 26 maggio 1945. Dopo l’arrivo dell’ex prigioniero in questa città, nulla possiamo più dire. Le parole sibilline relative al soggiorno a Neustadt (consegnate alla carta “d’incerta sede”, che abbiamo posto alla fine della trascrizione), allusive di persone e situa- zioni non esplicitate, potrebbero rischiare di indurci a formulare dedu- zioni affrettate e perciò superficiali ed erronee. Sembra comunque di capire che Serafino Clementi ebbe a provare una forte delusione umana, ancorché professionale, dal suo diretto superiore, il capitano Monello. Forse questo capitano Monello si era reso responsabile di malversazioni o di traffici illeciti di viveri o di altro ancora? Non possiamo dire nulla su ciò, ma il comportamento del capitano Monello (nomina sunt omina,

37 ci vien fatto di dire) dovette urtare la coscienza giusta e retta di Serafino Clementi, il suo connaturato senso del dovere. Cosa possiamo dire in conclusione di queste righe introduttive? A nostro giudizio, anche Serafino Clementi fu un “uomo che disse no”, come Giampaolo Pansa intitola la sua introduzione al Grande Diario di Giovannino Guareschi.11 Pur se egli non fu irriducibilmente antinazista, al punto da pagare il suo rifiuto del lavoro coatto con l’internamento nel terribile campo di punizione di Wietzendorf (come avvenne al padre di don Camillo e Peppone), certamente non fu uno di quegli “optanti” che, seguendo la loro coscienza o piuttosto cedendo ai pressanti inviti dei propagandisti fascisti e anche, in taluni casi, delle loro stesse famiglie, aderirono alla Repubblica Sociale Italiana e poterono rientrare assai prima degli altri “non optanti” in Italia. Serafino Clementi, invece, visse per intero la sua esperienza di internato nei campi di Ucraina, Polonia e Germania, sperimentando le stesse privazioni fisiche e morali che subirono i suoi compagni di prigionia (e forse maggiori, giacché non riceveva notizie né pacchi da casa), e dovendo alla fine, stremato dalle ormai insopportabili sofferenze, accettare comunque l’impiego forzato come uomo di fatica in una fattoria tedesca. Si potrebbe forse pensare che Serafino Clementi appartenga a quel gruppo di “optanti”, i quali, non sopportando più il peggioramento delle condizioni del campo, preferirono cedere alle pressioni tedesche e scelsero il lavoro civile, nel periodo tra il settembre 1944 e il 24 gennaio 1945?12 Non è così. Serafino Clementi, lo ripetiamo, non poté scegliere nulla, perché fu co- stretto al lavoro coatto prima dai patimenti subiti e poi dalla minaccia di ulteriori, terribili sofferenze che avrebbero definitivamente compromes- so il suo fisico già duramente provato.

11 Il quale ebbe in comune con l’Autore di questo taccuino l’esperienza di inter- namento al campo di Sandbostel, presso Hannover. Sulla prigionia di Giovannino Guareschi in Germania, vd. Paolo Nello, La «resistenza clandestina». Guareschi e gli internati militari italiani dopo l’8 settembre, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 6, novembre-dicembre 2001, pp. 147-158. 12 Secondo la distinzione degli optanti seguita da Franco Di Giorgi (ripresa dalla relazione del ten. Col. Pietro Testa, comandante dei prigionieri italiani a Wietzen- dorf), in Resistenza come spiritualità eccezionale, introd. a Ten. Col. Pietro Testa, Wietzendorf.Rapporto sul campo 83, p. 20, testo leggibile on line all’indirizzo: www.storiaxxisecolo.it/internati/Wietzendorf.pdf

38

Perché presentare oggi, a distanza di settanta anni dalle vicende narrate, questo taccuino sulle pagine dei nostri “Quaderni”? Non sol- tanto perché esso è certamente un ulteriore documento che si aggiunge all’ampia memorialistica dei militari reduci dalla prigionia in Germania e prova, ove ve ne fosse ancora bisogno, la disumana crudeltà degli aguzzini nazisti; ma perché rappresenta la testimonianza di un giovane ventiduenne che seppe passare attraverso la tragedia della guerra e di una prigionia bestialmente feroce e infamante (per chi la volle e per chi la realizzò), senza abdicare alla propria dignità di uomo e al proprio onore di soldato. Consegniamo perciò alla lettura e alla memoria di tutti, con nostra soddisfazione e, ci si consenta, orgoglio, queste pagine sot- tratte all’oblio, perché sono pagine, a nostro giudizio, di alto valore umano e civile. E vorremmo che soprattutto i giovani studenti, con la guida dei loro insegnanti di storia, potessero leggere il taccuino di Sera- fino Clementi e farne oggetto di riflessione, almeno per essere coscienti di quanti sacrifici e drammi sia costato aver reso il nostro Paese libero, indipendente e democratico. La nuova Italia che rinacque dalle ceneri della dittatura fascista e dalle immani distruzioni patite nella seconda guerra mondiale fu costruita anche grazie al sacrificio degli internati militari italiani nei lager nazisti, tra i quali era Serafino Clementi. Un’ultima osservazione, si spera non banale. Dopo l'impiego (forzato) nella fattoria della sig.ra Westphalen, a Rutting, le condizioni di Serafino Clementi registrarono un netto miglioramento. Egli poté godere di un vitto certamente migliore ed ebbe anche modo di conoscere alcune ragazze, probabilmente ex prigioniere anch’esse. A dispetto di quanto forse si potrebbe pensare ad una superficiale lettura del taccuino, quello trascorso a Rutting non fu, però, il tempo degli idilli. La guerra, con le immani distruzioni, lutti e sofferenze che aveva inflitto a tutti i popoli d'Europa, pur ormai conclusa non sempre permetteva romantiche distra- zioni, tra i giovani di nazionalità diverse. Chi si trovava in Germania nel maggio 1945, senza essere tedesco, vi era perché era stato deportato o apparteneva agli eserciti vittoriosi. E, se era stato lì deportato, aveva moltissimo da recriminare nei confronti degli “ospiti”, militari o civili che fossero. I tedeschi, d’altra parte, si erano chiusi in un loro rancoroso e rassegnato silenzio, gonfio d'ira sia nei riguardi dei vincitori, respon- sabili dei bombardamenti terroristici su città e luoghi d’arte della Germania (basti pensare alla sorte di Dresda o di Colonia, ad esempio),

39 sia, ancor più, nei riguardi degli italiani, gli ex alleati che, fino all’8 settembre 1943, avevano soltanto creato problemi alla Wehrmacht e poi quel giorno avevano tradito vergognosamente (dal loro punto di vista) l’alleanza dell’Asse. A differenza di quelle italiane, nessuna città tedesca festeggiò le truppe anglo-americane che entravano a bordo degli impo- nenti carri armati (la cioccolata e i chewing-gum che i soldati offrivano non sempre vennero accettati dai civili tedeschi).

4) Criteri di trascrizione. Il taccuino di Serafino Clementi è un libriccino senza copertina, con fogli a quadretti, dalle dimensioni di cm. 14,5 x 10. È scritto a penna dalla carta 1r alla carta 14r, poi a matita. La grafia è minuta, ma chiara e in massima parte leggibile. La trascrizione è in generale conservativa. L’Autore adopera in grande quantità i puntini di sospensione e il trattino. Abbiamo rispettato in massima parte la punteggiatura e le parentesi tonde e quadre, usate anch’esse copiosamente. Abbiamo invece eliminato le difformità grafi- che del tipo Warsavia/Varsavia, adottando per i nomi delle località un’unica trascrizione, quella oggi consueta, e dando in nota la lezione originale. I puntini di sospensione che spessissimo sono usati dall’Au- tore rivestono, a nostro giudizio, un valore simbolico, stando a signi- ficare le incertezze, le angosce che attanagliavano giorno per giorno l’animo del deportato assieme all’impossibilità di avere tempestive notizie dei propri cari in patria e di verificare la ridda di dicerie e voci che si inseguivano per il campo. Alle parentesi quadre, che appaiono in certa misura nel testo e che abbiamo voluto conservare, l’Autore affida i propri commenti personali, le riflessioni e gli stati d’animo, spesso dolorosi, vissuti nei giorni di prigionia. Per i criteri di trascrizione abbiamo utilizzato in parte il sistema di segni di Ombretta Frau e Cristina Gragnani impiegato per la trascrizione del taccuino di Harvard di Luigi Pirandello.13 Le sigle di ambito militare, che compaiono nel testo, sono state sciolte in note a piè di pagina. Sono stati pertanto utilizzati i seguenti segni: [c. 1r] [carta 1 recto] [c. 1v] [carta 1 verso]

13 In Luigi Pirandello, Taccuino di Harvard, a cura di Ombretta Frau e Cristina Gragnani, Fabbri Editori, su lic. Mondadori, Milano 2004, pp. CLIII-CLIV.

40 testo in corsivo nomi di località, parole e date sottolineate dall’Autore del taccuino cancellatura leggibile testo] testo testo emendato] testo originale parole non scritte dall’Autore ma inserite dal curatore per una migliore comprensione del testo >testo< parole a carattere più piccolo aggiunte dall’Autore nell’interlinea superiore o inferiore [testo] parole inserite dall’Autore tra parentesi quadre (testo) parole inserite dall’Autore tra parentesi tonde (testo?) parole d’incerta lettura (...) testo illeggibile (ndc) nota del curatore Siamo consapevoli di quanto la nostra trascrizione in più punti sia purtroppo imprecisa e necessiti di una accurata revisione. Altri potrà certamente fare meglio di noi. Tuttavia confidiamo che essa possa in qualche modo tornare utile all’intelligenza di molta parte dei fatti citati dall’Autore, e speriamo che possa costituire una prima tappa per ulteriori precisazioni, ricerche e approfondimenti su persone, fatti e circostanze ricordate nel taccuino.

5) Memoriali e altri testi utilizzati nel commento. Abbiamo cercato di chiarire, nel nostro lavoro, determinate situazioni ed episodi a cui allude l'Autore, non sempre perspicui e facilmente comprensibili, con un breve commento. In esso riportiamo anche, prendendoli a confronto, episodi e situazioni narrate in altri memoriali, scritti da chi condivise con Serafino Clementi l’esperienza della detenzione nei campi nazisti per i militari italiani. Abbiamo pertanto voluto riscontrare le notizie, specialmente quelle relative al corso della guerra sui fronti occidentale e orientale, fornite dal Clementi nel suo taccuino con quelle che compaiono nei diari scritti da altri militari internati a Sandbostel e in altri campi (Wietzendorf, Dortmund, etc.). Fra questi abbiamo tenuto presente in particolare il Grande Diario di Giovannino Guareschi che contiene le annotazioni dello scrittore dal luglio 1943 al settembre 1945. Nelle note di commento al testo trascritto dal taccuino di Serafino Clementi, le abbreviazioni che compaiono rimandano alle seguenti opere: BALESTRA-RIVA 2007 = Istituto Storico dei lager nazisti “V. E.

41

Giuntella” - Cesena, Dalle perplessità dell'8 settembre alla Resistenza, a cura di Maurizio Balestra e Claudio Riva, Stilgraf, Cesena 2007 BECHELLONI 2009 = Deportati e internati. Racconti biografici di siciliani nei campi nazisti, a cura di Barbara Bechelloni, Mediascape – Edizioni ANRP, Roma 2009 BEDESCHI 1990 = Prigionia: c’ero anch’io, a cura di Giulio Bedeschi, vol. I, Mursia, Milano 1990 CALLAIOLI 2008 = Storie di guerra e di prigionia. Raccontate dai reduci della II Guerra Mondiale della Val di Pesa, a cura di Silvano Callaioli, Edizioni Polistampa, Firenze 2008 CANTALUPPI 1995 = Gaetano Cantaluppi, Flossenbürg. Ricordi di un generale deportato, Mursia, Milano 1995 CAROCCI 1995 = Giampiero Carocci, Il campo degli ufficiali, Giunti, Firenze 1995 (I ed. 1954) CAVALLO CONVERSANO 2013 = Lina Cavallo Conversano, Un soldato italiano – Storia di un Internato del Terzo Reich, Sulla rotta del sole – Giordano Editore, Manduria 2013 D'AMBROSIO 2007 = Giordano Bruno D'Ambrosio, Il coraggio e la fortuna, Edizioni LiberEtà, Roma 2007 DIETRICH 2007 = Alessandro Dietrich, Baracche. Appunti di prigionia 1944-1945, Sironi Editore, Milano 2007 GARDINI 2010 = Deportati e internati. Racconti biografici di abruzzesi, molisani, lombardi e veneti, nei campi nazisti, a cura di Emilio Gardini, Mediascape – Edizioni ANRP, Roma 2010 GUARESCHI 199118 = Giovannino Guareschi, Diario clandestino 1943-1945, Rizzoli, Milano 199118 (I ed. 1949) GUARESCHI 2011 rist. = Giovannino Guareschi, Il Grande Diario. Giovannino cronista del Lager 1943-1945, Rizzoli, Milano 2011 rist. LESCHI 2010 = L'8 settembre 1943 e i volti della Resistenza, dai Diari di Marino Colombis, Lino Felician, Giorgio Pugi, Virgilio Covacci, a cura e con un saggio di Vittorio Leschi, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2010 DON PASA 1947 = Prof. Don Luigi Pasa, Tappe di un calvario. Memorie della prigionia, Editrice S.A.T., Vicenza 1947 PIASENTI 1977 = Paride Piasenti, Il lungo inverno dei Lager, A.N.E.I., Roma 1977

42

RAVAGLIOLI 2000 = Armando Ravaglioli, Continuammo a dire no, Edizioni di Roma Centro Storico, Roma 2000 RESISTENZA SENZ'ARMI 1984 = Associazione Nazionale Ex Internati, Resistenza senz’armi. Un capitolo di storia italiana (1943- 1945) dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, Le Monnier, Firenze 1984 ZUPO 2011 = Antonio e Giuseppe Zupo, Storia di IMI.Diario Ricettario Nostalgia e Ricordi di un Prigioniero Internato Militare Italiano – I.M.I. – in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, Herald Editore, Roma 2011

6) Bibliografia e sitografia sommaria. Per una prima informazione sul contesto storico-politico, sulle condizioni dell’esercito italiano dopo l’armistizio e sugli internati militari italiani consigliamo la lettura dei seguenti testi:

Odoardo Ascari, Gli irriducibili del lager, in “Nuova Storia Contem- poranea”, n. 4, luglio-agosto 2002, testo leggibile nel sito “Miradouro.it”, all'indirizzo: www.miradouro.it/print/801

Mario Avagliano – Marco Palmieri, Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945, Einaudi, Torino 2009 Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. X La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza. 1939-1945, Feltrinelli, Milano 2014 (I ed. 1984)

Giorgio Chiesura, In Germania la paura, in “Storia Illustrata”, n. 187, giugno 1973, pp. 96-103

Paolo Desana, La via del Lager. Scelta di scritti inediti sull’“inter- namento” e la “deportazione” a cura e con annotazioni di Claudio Sommaruga, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, Ugo Boccassi Editore, Alessandria 1994

Alessandro Ferioli, Guida allo studio degli Internati Militari Italiani nei lager del Terzo Reich, testo leggibile nel sito dell’Istituto Paritario Giacomo Leopardi di Bologna, all’indirizzo: http://itcleopardi.scuolaer.it

43

Luca Gorgolini, La memoria della guerra: l’esperienza degli internati militari italiani (Imi), testo leggibile nel sito “resistenzaitaliana.it – Il portale della guerra di Liberazione”, all'indirizzo: www.storiaxxisecolo.it/internati/internati3.htm Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, trad. di Enzo Morandi, Il Mulino, Bologna 2004

Istituto Storico della Resistenza di Cesena-Forlì, ANPI-FIAP-FIVL, Il ritorno dai lager, a cura di Pietro Vaenti, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», Cesena 1996

Albino Lazzaro, La deportazione dei militari nei Lager, in Aa. Vv., “La tradotta arriva”. Le Forze armate nella Resistenza e nella liberazione del Veneto, Tipolitografia Editrice Bettinelli, Verona 1978, pp. 61-78

Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia, Mondadori, Milano 1994

Guido Levi, La deportazione politica e militare: il caso italiano, testo leggibile on line all’indirizzo: www.scpol.unige.it/news/seminari/levi_deportazione.pdf

Alessandro Natta, L’altra resistenza, Einaudi, Torino 1997 (I ed. 1955), testo leggibile on line all'indirizzo: www.memoteca.it/upload/dl/E-Book/1%5C%27altra_resistenza.pdf

Gianni Oliva, I vinti e i liberati, Mondadori, Milano 2000 rist. (I ed. 1998), pp. 466-474

Gustavo Ottolenghi, La mappa dell’inferno. Tutti i luoghi di detenzione nazisti 1933-1945, SugarCo Edizioni, Milano 1993

Marco Palmieri – Mario Avagliano, Breve storia dell’internamento militare italiano in Germania, in “La parte della memoria”, n. 1, 2008, testo leggibile on line all'indirizzo: www.anrp.it/edizioni/porte_memoria/2008_01/pag_35_palmieri_avagliano.pdf Arrigo Petacco – Giancarlo Mazzuca, La Resistenza tricolore, Mondadori, Milano 2010, pp. 125-159

Giuseppe Piccolotto, Documentario della malvagità, testo leggibile on line all’indirizzo:

44

http://digilander.libero.it/scuolaacolori/intercultura/materiali/piccolotto.htm Ernesto Ragionieri, L’Italia nella seconda guerra mondiale, in Storia d’Italia, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, vol. XII Dall’Italia fascista all’Italia repubblicana, Einaudi, ed. spec. per Il Sole 24 Ore, Milano 2005, pp. 2275-2392

Claudio Sommaruga, Una storia “affossata”, Quaderno-Dossier N. 3, Archivio “IMI”, 2005, testo leggibile nel sito “Schiavi di Hitler – Museo virtuale della deportazione”, all'indirizzo: www.schiavidihitler.it/Pagine/saggi-sommaruga.html

Ten. Col. Pietro Testa, Wietzendorf. Rapporto sul Campo 83, testo leggibile on line all'indirizzo: www.storiaxxisecolo.it/internati/Wietzendorf.pdf (il testo è anche in Giovannino Guareschi, Il Grande Diario. Giovannino cronista del Lager 1943-1945, Rizzoli, Milano 2011 rist., pp. 114-129)

Leo Valiani, Forze armate e resistenza, in “Nuova Antologia”, fasc. 2153, gennaio-marzo 1985, pp. 71-77

Luciano Zani, Il vuoto della memoria: i militari italiani internati in Germania, da La seconda guerra mondiale e la sua memoria, a cura di Piero Craveri e Gaetano Quagliariello, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2006, testo leggibile on line all'indirizzo: www.sociologia.uniroma1.it/users/zani/VuotoDellaMemoria.doc

“Zwangsarbeit 1939-1945 – Erinnerungen und Geschichte”, sito curato dai ricercatori della Freie Universität di Berlino contenente interviste (in lingua italiana) a ex internati militari italiani, all'indirizzo: www.zwangsarbeit-archiv.de.

45 pag.46_2ORAZIO2011-2012.qxd 09/03/15 08:14 Pagina 46

Prima della trascrizione del taccuino di Serafino Clementi, ci è gradito riportare uno scritto di una erede dell’Autore, la Prof.ssa Simonetta Clementi, che ricorda la figura paterna.

Un cesto di ciliegie di Simonetta Clementi

“Se mi offrissero di tornare ai miei vent’anni, pur sapendo all’inizio che ce l’avrei fatta, non accetterei”. Mio padre non avrebbe voluto rivivere la sua giovinezza perché, da settembre 1943 a maggio 1945, è stato prigioniero dei tedeschi in un campo di concentramento per ufficiali italiani. Quasi due anni impressi nei suoi ricordi, a volte condivisi in un aneddoto raccontato a cena, più spesso protagonisti di notti inquiete. L’uomo, il marito, il padre raccontavano il ragazzo ventenne che aveva visto i suoi commilitoni morire e i suoi superiori perdere dignità e speranza. Aveva avuto freddo, paura e soprattutto fame: tanta, continua, ossessiva. Contro tutto questo, il suo desiderio evocava un’imma gine: un cesto pieno di ciliegie.

46 Taccuino del Lager (1943-1945) di Serafino Clementi

(Trascrizione e commento di Mario Carini)

[c. 1r] (scrittura capovolta) Clementi Serafino

1500 180 175

1855

345 55

[c. 1v] (bianca)

[c. 2r] 8.9.43 Patrasso. – Ore 16,30: rientro in sede. L’accoglienza della caserma: la posta. Pulizia. “La libera uscita è sospesa”. (Diceria). Verso il comando. Incontri: “dicevano”. All’ufficio personale. Visita ai colleghi. – Ore 19,45. Ordini “si dice”. A mensa. Si consumano i resti. Buonumore. Non si ascolta la radio. – Ore 20,30: spari, allarme… sparatoria intensa… “forse!” Si crede che… Non si esce dalla mensa… Bussano alla porta… il s. ten.14 Vasta: “La radio ha annunciato…”15 – Ore 21. La sparatoria diminuisce d’intensità. Si va al comando… Primi

14 s. ten. = sottotenente. 15 È l'annuncio dell'armistizio, letto alla radio dal maresciallo Badoglio, dalla sede dell'E.I.A.R., l'8 settembre alle ore 19,42.

47 episodi: il soldato del Q. G.16 e il marinaio. Stati d’animo… Al magazzino V. E.17 il gen. Torresan,18 il gen. (ted. Foelni?)19 (ore 22,15) – Notte calma… I Tedeschi in movimento. I fatti al cinema militare… La dislocazione dei reparti, italiani e tedeschi, nella città.

[c. 2v] 9.9.43 – Risveglio tranquillo. Ore 8,30: per le vie della città scorrazzano le autoblindo20 tedesche: dimostrazioni!!! Verso la caserma… L’allarme dei greci… L’incontro col conducente. In caserma: constatazioni… Il s. ten. tedesco dal viso butterato… le armi accantonate… Cosa si fa? Ordini e contrordini. Disposizioni… I soldati dell’autocentro…: lo spettacolo. I miei soldati raccontano. A mensa: calma. Si dice: l’onorevole rimpatrio. Il materiale della C. C. R.21 se ne va… L'atteggiamento dei miei soldati. “La libera uscita è sospesa”… Ore 20: arriva il ten. Krust – disposizioni.

[c. 3r] 10.9.43 – Ritornano i telefoni… I buoi e le pecore prendono il volo… Ore 19 – L’ufficiale tedesco: 10 moschetti tornano alla base… La C. C. R. monta ancora la guardia. La C. C. R. mangia bene…

[c. 3v]

16 Q. G. = Quartier Generale. 17 V. E. = Vestiario Esercito. 18 Il gen. Rodolfo Torresan, comandante della 29a Divisione Fanteria “Piemonte” di stanza a Patrasso. Fu insignito di Medaglia d’Argento al V. M. per il suo valoroso comportamento durante la prigionia in Germania. 19 Potrebbe trattarsi del gen. Helmuth Felmy, comandante del LXVIII Corpo d'Ar- mata Tedesco, di stanza a Vityna, nel Peloponneso centrale. La parola Foelni po- trebbe essere una forma fonetica italianizzata, per Felmy. 20 autoblindo] autoblinde 21 C. C. R. = Compagnia Comando Reggimentale o Centro Confezioni e Recuperi? Questo centro era preposto al recupero dei ritagli di stoffa, avanzati dal taglio delle pezze per produrre i vari capi di vestiario, allo scopo di realizzare le parti del cor- redo in stoffa di piccolo formato.

48

11.9.43 – La guardia tedesca di nuovo alla porta… Telefonata mattutina del col. Osti – (Buoi, pecore, carrette, ecc.)… La spedizione punitiva… Un bue e ½ tornano a casa… L’ottimo vitto pei miei soldati. Ore 9: si gioca a pallavolo… Ore 10. Bisogna smettere… Al comando: in cerca di Totò… Da Orazio. Il II° Btg.22 va in carrozza… al comando… arrivano i Tedeschi e il col. Osti. L’ultimatum…23 ...... Corsa in auto. La caserma: l’annuncio alla truppa… Sentimenti e atteggiamenti – (La votazione…) A mensa si discute… pensieri… decisioni… Al carreggio… In caserma. L’incontro: “Vi porteranno in Polonia!!!” – In attesa della decisione: il “no” della C. C. R. – Arriva Totò: la decisione… Commozione… Si apre il ripostiglio… Preparativi… Zaino e cassetta. L’uff.24 butterato… L’addio alla mia pistola – (La fondina).25 Liquidazione… I greci… A casa di Totò: il traffico, la messaggera… La C. C. R. è pronta a partire. Ore 19: arriva l’ordine di partenza… Si preparano i bagagli… l’addio di Marati… Sull’autocarro… Al II° Btg. commossi saluti – (La bandiera). All’albergo. La società dei quattro.

[c. 4r]

22 Btg = Battaglione. 23 Di resa ai tedeschi e consegna delle armi. V’è da dire che spesso fu la volontà degli alti ufficiali a persuadere i soldati, pur desiderosi di combattere, ad arrendersi, illudendosi e illudendo i loro sottoposti con la promessa di un rapido rimpatrio, come ricorda nel suo diario l’allora sergente Rolando Bertoni, che il 12 settembre si trovava a Orasac in Croazia (in BALESTRA-RIVA 2007, pp. 46-47): “Il risveglio del giorno 12 è abbastanza brusco: sei tedeschi con le mitraglie circondano l’ac- campamento, uno ci intima la consegna delle armi. Urliamo di voler combattere, ma il generale dà l’ordine di consegnare le armi. “Perché – dice – i tedeschi non si fidano di lasciarci armati. Il rimpatrio, però, è sicuro, state tranquilli!” 24 uff. = ufficiale. 25 Evidentemente l'Autore aveva dovuto cedere la fondina con la pistola ai tedeschi, al momento del disarmo. L’addio alla pistola riflette i sentimenti che provarono il sergente Rolando Bertoni e, direi, tutti i militari italiani costretti a separarsi dalle loro armi (in BALESTRA-RIVA 2007, p. 47): “Bacio la mia pistola prima di but- tarla nel mucchio. Come siamo avviliti!”

49

12.9.43 – Ore 9: adunata al Majestic: la sig.na (Francopulos?) … Non si mangia… 12.9 – 18.9 – Gli otto giorni d’albergo… Il vitto, l’atteggiamento della popolazione – l’osservatorio – il traffico – rivista… La “libera uscita”: visita ai miei soldati… La mia penna stilografica – L’orologio… gli attendenti – le valigie26 di Totò… e quelle di Orazio… Le dicerie… il giornale tedesco – Il discorso di Mussolini.27 (14.9)… Le libere uscite… il ten. Von Kleist… le autoblindo… le sedute spiritiche28… la società si allarga. Pensieri, opinioni – la “carusa” di

26 valigie] valige 27 È il famoso discorso del Duce rivolto agli italiani da Radio Monaco il 18 settembre, dopo la prigionia del Gran Sasso (“Camicie nere, italiani e italiane, dopo un lungo silenzio ecco che nuovamente vi giunge la mia voce...”). Il tono dimesso e triste, ben lungi dalla consueta, reboante ed enfatica oratoria del Duce, indussero molti a sospettare che non Mussolini, ma un altro parlasse al suo posto. Si veda la testimonianza del tenente e futuro storico Giampiero Carocci, detenuto nel campo di Mülberg, in Sassonia (CAROCCI 1995, p. 54): “Una sera ci fecero riunire nello spiazzato centrale del campo, per ascoltare alla radio un discorso di Mussolini. «Andiamo a sentire il puzzone», disse Cox. L'idea che Mussolini avrebbe parlato, che presto avremmo riudito la sua voce, faceva uno strano effetto; come se il periodo dal 25 luglio all'8 settembre non fosse stato che un sogno, e che adesso ci si risvegliasse, e che tutto fosse come prima del 25 luglio. Nel mezzo del piazzale era stato sistemato un altoparlante e noi formammo un grande quadrato intorno. Tutti eravamo eccitati. «Macché, non è Mussolini!», dicevano molti. Invece era proprio la sua voce, e debbo confessare che mi procurò quasi un senso di nostalgia, perché quando ero solito udire quella voce non avevo fame. «Però», fece Cox, «che bella voce aveva!» Il “discorso del ritorno”, come estremo tentativo di rivitalizzare il fascismo, è analizzato in Silvio Bertoldi, Salò, Rizzoli, Milano 19763 , pp. 14-18. Il testo del discorso del Duce si legge in Arrigo Petacco, Storia del fascismo, vol. V, Armando Curcio Editore, pp. 1780-1781. 28 Non era infrequente che, per svago o per curiosità o per cavarne auspici favorevoli fra tanta disperazione e incertezza sul domani, i soldati passassero il tempo organiz- zando sedute spiritiche, anche nel campo di prigionia. Ce ne informa Giovannino Guareschi nel suo Grande Diario, dal campo di Czestochowa: nelle sedute serali del 1°, 4 e 5 ottobre 1943 vennero evocati rispettivamente gli spiriti di un defunto olandese, di un napoletano morto in un bombardamento, di un ex prefetto fascista (GUARESCHI 2011 rist., pp. 237-239). Tutti gli evocati attribuirono la vittoria finale, alternativamente, agli Alleati e ai tedeschi. A sedute del genere avrà parte- cipato anche il Clementi?

50

Ignazio. Si parte… Quando? Per dove? Dicono… Le “agenzie di informazione”! Considerazioni degli avvenimenti. La febbre e l’intestino… Diceria: “I Tedeschi se ne andranno…”

[c. 4v] 19.9.43 – In partenza… Sull’autocarro… alla stazione. I carri bestiame: 45 + i bagagli…29 Totò salva la situazione. Nel carro della scorta: piccole provviste… Saluti – il maresciallo Scuderi… Ore 10: addio Patrasso: saluto della popolazione… Verso villa Pasqua: lieti ricordi… La fabbrica del ghiaccio… I capisaldi… Bosaitika30… Bion… Agion… Diakoftò31… Lungo il canale di Corinto… ricordi… (La donna greca)… Xilocastro32… Corinto… in stazione il treno da Argos: italiani e tedeschi… Sul canale… L’autocolonna… Megara… Salamina… Ore 22. Atene: alla R.U.F.33 … Allarme aereo… All’albergo della luna!!!

[c. 5r] 20.9.43 – Risveglio… L’autoparco… I venditori greci… Il ragazzo del pane e la sentinella tedesca. L’incolonnamento… Per le vie di Atene… Sotto l’Acropoli… Le foto di Orazio e Ignazio. Nei pressi dello stadio… Viale Erode Attico. Via Sofia. Verso la caserma dei Granatieri… La sete: greci e tedeschi… Alle casermette: caos… la mia brandina… Si rivede la C.C.R. … Preparativi di partenza…

29 Il numero è quello dei prigionieri stipati nel carro. 30 Oggi Bozaitika, villaggio a nord di Patrasso. Questa e le località seguenti sono ubicate lungo l’autostrada che va da Patrasso ad Atene. 31 Oggi Diakoptò, villaggio costiero a est di Patrasso. 32 Odierna Xylocastro, paese costiero alla periferia del Peloponneso, a est di Patrasso. 33 R.U.F.: azienda tedesca produttrice di automobili, fondata nel 1923. Ad Atene doveva avere una sede, evidentemente adattata a deposito degli automezzi dell’eser- cito tedesco.

51

La società diminuisce di numero… Alla stazione. Il problema dei bagagli… In tassì… Acquisti… Al caffè… Alla R.U.F.34 Piccole provviste… Sui carri del carbone… Il vagone di IIIa classe. Saluti: le ragazze dal vestito amaranto. Ore 18,10: la tradotta si muove… il cap. Moschetto. Dove si andrà? La società dei sette. Prima notte di treno…

[c. 5v] 21.9-22.9 – Paesaggio… Grecia sporca… considerazioni… le cornacchie. Lamia… il ponte… L’episodio: Greci e Italiani. Italiani e Tedeschi. Dicerie… L’andirivieni delle dicerie. Traffici. Come funziona la società… Le tradotte tedesche: “altro che andarsene”!!! 23.9 – Verso Salonicco. Trafficanti… Cambi… Le mille (“leva”?). Malessere. Gli ospiti del vagone: il cap. Sorrentino… il ten. Grillo; il “marinaio” e i colletti: la cucina dei tre. Scambi cogli Albanesi: colletti, camice, mutande. I viveri restano a terra. 24-25.9 – Bulgaria: i soldati bulgari (notizie). Skoplje:35 la “sbobbetta”. Febbre e delirio. Rifornimenti: viveri – marmellata – grasso d’oca. La mia malattia: il dott. Rinaldi.

[c. 6r] 26.9 – Bulgaria… Serbia… Gentilezze serbe a Katouicz:36 il vecchio dei sei pani. Scambi: uova e susine.37

34 R.U.F.] Ruf 35 Capitale della Macedonia, dopo la seconda guerra mondiale denominata Skopje. 36 Non pensiamo trattarsi della città di Katowice in Slesia (Polonia), giacché si indica chiaramente che il convoglio sta ancora attraversando la Serbia. 37 Ai deportati italiani durante il viaggio in Germania i tedeschi davano pochissimo da mangiare o addirittura nulla, sicché la necessità di calmare la fame imponeva di

52

Ore 22,40: a Belgrado; il caffè: un pane in 40. La marmellata. Dicerie… Inviti tedeschi… Totò dorme all’aperto: addio teli da tenda. La mia salute migliora. Dove si va? Come si dorme sul vagone: il cap. Nigro e il cap. Perricone. 27.9 – Alba grigia… La lunga galleria. Il Danubio e… Strauss. Si entra in Ungheria. Perché? Dicerie… Újvidéck.38 La cittadina… stabilimenti, villette, campi di calcio… la stazione… le bionde ungheresi… il saluto a casa… Manifestazioni ungheresi e i piccoli omaggi: le due studentesse… La campagna ubertosa. Terra grassa, nera: i prati ondulati: le mucche bianche a macchie di caffè-latte – le oche… i mucchi di fieno e di granturco… i pesanti cavalli… pianura e pianura… poche case… Le belle stazioncine: le eleganti locomotive (alte, slanciate, dagli ottoni lucenti). Sui carri coi miei soldati – spuntini; biscotti, uova…

[c. 6v] 28.9 – Nella pioggia, noia. Pensieri… desideri… riflessioni… Kaposvar.39 Il Ten. di vascello va in carrozza. Quando la notte discende: canzoni, stornelli, poesie… acquistare viveri alle stazioni dai civili, con scambi assolutamente onerosi per i prigionieri e gravi rischi per entrambi. Ricorda questi frangenti l'artigliere Cosimino Cavallo, destinato al campo di Wietzendorf, nel suo memoriale (CAVALLO CON- VERSANO 2013, pp. 18-19): “Per i viveri si andò avanti con quello che avevamo: i tedeschi non ci dettero mai nulla per tutto il viaggio, se non qualche pagnotta di pane ogni due giorni e un bidone d'acqua. La situazione divenne sempre più critica, tutte le scorte erano esaurite e dopo un paio di giorni eravamo alla fame: di nascosto dei tedeschi riuscivamo a fare qualche scambio con i civili quando, nel lungo trasferimento a cui eravamo sottoposti, il nostro treno, trovandosi ormai nel territorio del Reich, non aveva più alcuna precedenza e così stazionava su binari morti per giornate intere. Essi ci offrivano pane in cambio di tutto, prendevano tutto, anche oggetti personali e capi di vestiario, in cambio di cibo.” 38 Újvidéck] Uivideck Nome ungherese della cittadina serba di Novi Sad. 39 Kaposvar, città a sud-ovest dell'Ungheria. Fino a Ágfalva il treno transita per l'Ungheria.

53

Il cap. Perricone si produce. Le partite a scopone. Chiappa-Perricone contro me e Totò [il chinino!]. Come si prepara la cena tra i binari. 29.9 – Nebbia… nebbia… pioggerella… Verso il confine austriaco… Szombately: il cavalcavia sulla stazione… il paesaggio… l’architettura degli edifici… le guglie. Acsàd: le casette vicino ai binari [nel giardino: rose e api. Strano!] A 80 km. da Vienna: Nagyuseck. (La cittadina nascosta tra il verde… la villa solitaria, il laghetto e le papere). I costumi degli abitanti: scialli variopinti e stivali. Sopron Deli U.P.: gli edifici: alti, slanciati; i campanili, le guglie e i bitorzoli. Ágfalva40 – ultima stazione ungherese. Lopersbach – prima (stazione) austriaca. Matesburg: addio cinturone (ore 18). Falso allarme. Wiener Nord ore 22: slitta – esercitazioni di d.C.A.41

[c. 7r] 30.9. Nella notte (ore 2,15: “la piccola prova” e la valigia del marinaio)… Alba: il paesaggio cambia… Ipotesi, assicurazioni, speranze… Amstetten… S.Peter Seitestetten… S.Valentin… Il ponte sull’Inn… Enns… Kleinmünchen.42 Ore 11: Linz: pane e salame… Si riparte: a destra o a sinistra? Illusione… A Wels: ore 14: addio speranze… Verso nord… la campagna… Prati, pali di fieno… case linde… giardinetti, la radio… Boschi. Neumarkt, Paedau, Oka. Quante città industriali! Ore 17: ci si affianca all’Inn: il bel corso del fiume, verdognolo, limaccioso; la stupenda conca, le sponde, il castello sulla pineta.

40 Ágfalva] Agfalva Paese dell’Ungheria nord-occidentale. 41 d.C.A. = addestramento alla difesa contraerea. 42 Kleinmünchen] Kleinmunchen Sobborgo di Linz.

54

Passavia: il caffè. In stazione: la popolazione civile, le tradotte tedesche, la musica… Nella notte: a Ratisbona.

[c. 7v] 1.10. – Sempre più verso nord-ovest… Le montagne dei pini… Nebbia e freddo… boschi… il cane lupo dei Granatieri. Ore 10: un po’ di sole: Hof – Pane e strutto – la birra della ferroviera: i prigionieri angloamericani. Plauen: bei palazzi, vie ampie alberate. Reichsbach: pappa e caffè. Werdau… Crimmitschau43… Città industriali nascoste tra il verde… scali ferroviari, ciminiere, stabilimenti; carbone e corrente elettrica… Ore 20,40: Lipsia.

[c. 8r] 2.10 – Si scende a Luckenwalde:44 ore 8. In stazione. Verso il campo… Il campo tra i boschi e i prati… [I tedeschi si addestrano]. Ore 10,53: Si entra al campo. Bagagli… baracca… coperte… gamelline e cucchiai… castelli… il rancio: patate con buccia e miglio, pane e salame… Gli ufficiali del 3° ftr.45 morti nel disastro di Neayskalom.46 Gli otto giorni di Luckenwalde – il campo: baracche e tende – i suoi ospiti – il capitano archeologo… – il maresciallo e il sergente… la prima

43 Crimmitschau] Grimmitschau Città della Sassonia, in Germania. 44 A Luckenwalde, località a sud di Berlino, vi era un campo di smistamento per i prigionieri italiani. 45 ftr = fanteria. 46 Neayskalom] Escalon Ricorda il cappellano di Sandbostel don Luigi Pasa, nel suo memoriale, il disastro ferroviario alla stazione ungherese di Neayskalom, ove un treno viaggiatori aveva investito un convoglio di militari italiani deportati (appartenenti al 3° Rgt. Fanteria “Piemonte”), provenienti dall'isola di Zante in Grecia, provocando 14 vittime e numerosi feriti tra gli italiani. Don Pasa celebrò il 15 novembre 1943 una messa solenne in memoria delle vittime (DON PASA 1947, p. 63).

55 rivista… la seconda rivista, l’immatricolazione… il bagno47… i viveri… la vita nella baracca 12 A… le messe della domenica… gli Indiani e la pallavolo… I continui arrivi… Le dicerie [3.10 – Ore 14,30: i48 Francesi annunciano l’occupazione di Pescara, lo sbarco a Trieste, ecc.] I soldati da Ancona… Gli allarmi aerei… I catturati di Tarvisio: il delinquente doppio… Come funziona la società dei 12: [Sorrentino, Perricone, Nigro, Brambilla, Chiappa, Pappalardo, Grillo, Rinaldi, Menna, Zambianchi, io e Vittorio]. Come funziona la società: le cenette: patate, grasso d’oca, acciughe… i traffici del cap. Perricone.49 Le mie mansioni di sguattero… – Fuoco all’aperto… Fame… Deportazione…

47 Tra le prime operazioni a cui erano sottoposti i prigionieri all'arrivo al campo e poi periodicamente vi era la doccia, sempre prevista dai tedeschi in ossequio a meticolose (ma solo all'apparenza) norme igieniche. Ovviamente anch'essa si risol- veva in un ulteriore tormento per gli internati, come ricorda l'artigliere Cosimino Cavallo, prigioniero nello Stalag VI D di Dortmund (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 37): “Una volta la settimana era d'obbligo una doccia, che non migliorava granché la nostra situazione igienica, in quanto non avevamo la possibilità di cam- biare né il vestiario né la nostra biancheria intima, per cui, specialmente nei mesi invernali, questo era per me un altro modo per essere sottoposti ad un'ennesima angheria. Il bagno, che in casa è uno dei momenti più piacevoli e rilassanti, lì al campo si mutava in un supplizio. In attesa del turno, si doveva stare in piedi e nudi in un gelido stanzino, poi si andava sotto la doccia con l'acqua appena appena tiepida e poi bisognava asciugarsi in un secondo stanzone ancora più gelido, saltellando per vincere il freddo, mentre indossavamo i vestiti. Si usciva sfiniti.” 48 i] I 49 Tra i prigionieri italiani fiorivano commerci di ogni genere. Anche in una situazione così triste, che avrebbe richiesto da parte di ognuno doti di umanità e soli- darietà per sopravvivere e aiutare a sopravvivere nell'inferno concentrazionario crea- to dai nazisti, non mancava chi approfittava dell'estremo bisogno altrui per speculare bassamente, come denuncia il sottotenente Antonio Zupo, deportato a Siedlce, Sand- bostel e Wietzendorf (ZUPO 2011, p. 31): “Ho potuto constatare nei vari campi come il 90% degli ufficiali italiani siano ben forniti di soldi, lucro indegno di speculazioni fatte nella regione balcanica. Molti parlano di invio di pacchi a casa, di pelli, oggetti vari, tonno all'olio, pasta, riso, marmellate, liquori, acquistati (dicono loro) alle sussistenze militari. Ed i soldati soffrivano la fame! Uno si vanta d'avere regalato alla moglie una cinta formata da 25 sterline, frutto di mercato nero! Tutti hanno rubato, hanno speculato ed ora i soldati, che hanno sofferto e che conoscono il mal fatto degli ufficiali, ci trattano da pari a pari. Ma quello che più fa pena è l'egoismo d'ognuno. Tutto è commerciabile. Se si ha bisogno di un bottone non si riesce ad ottenerlo, da un collega, se non in cambio di qualche altra cosa.

56

Partenza lunedì 10: dove si va? A Deblin?50

[c. 8v] 11.10.43 – Sveglia ore 5 – pappina >viveri< – controllo e rivista. Lo stratagemma dei bagagli… Verso la stazione… I cinque carri bestiame… – Il sergente prussiano… e le belve in gabbia. Ore 14,30: partenza… Intemborg… Wittemberg: la stoffa della C. R.51 – Gabinetto a comando.52 Terribile notte. 12.10.43. – Sveglia e appello: il prussiano e il cap. Sorrentino. Kohlfurt: sbobba53… Porte chiuse: 5 ore.

Guai ad avere bisogno! Nel campo entrano pure delle pagnotte, farina, burro o altro. Trascrivo i prezzi indegni a cui possono sobbarcarsi quelli che hanno soldi e che sono aumentati del doppio del prezzo di acquisto presso i soldati tedeschi. Una pagnotta di un kg. e ½ circa, £. 1.000, un kg. di burro £. 3.000, un kg. di farina £. 1.000, un pacchetto di tabacco £. 200, un mazzetto di cartine £. 100.” 50 Deblin, località della Polonia. 51 C. R. = Croce Rossa. 52 Tra i non lievi disagi del viaggio sui carri bestiame, per i deportati vi era il problema di ovviare ai propri bisogni, e ciò dava occasione di ulteriori angherie ai custodi tedeschi. Ricorda l'umiliante esperienza il signor Claudio S., ex internato militare, in una intervista registrata sul sito “Zwangsarbeit 1939-1945 – Erinne- rungen und Geschichte” (all'indirizzo: www.zwangsarbeit-archiv.de.): “Allora, ci caricano sul treno e ci portano via. Arriviamo in Germania e capiamo tutto, qual era il nostro futuro. Ebbene, dovevamo fare i nostri bisogni, i bisogni si facevano a comando. Quindi, tutti giù in piena stazione, tutti giù a comando a calarsi le brache col sedere rivolto alla popolazione tedesca. E i bambini, questi ragazzini biondi, ci tiravano i sassi e ci dicevano «Scheisse (trad. “merda”), Badoglio!». E noi avevamo tre minuti per fare tutte le nostre cose.” Un viaggio penosissimo è quello che dovette sopportare il generale Gaetano Cantaluppi, deportato con altri quattrocento italiani a Flossenbürg dal campo di concentramento di Bolzano, nel gennaio 1945: stipati in settanta prigionieri per vagone, ricevettero in 96 ore di viaggio 300 grammi di pane, 20 di marmellata, una zuppetta di carote essiccate e un quinto di litro d’acqua a persona (CANTALUPPI 1995, p. 23). Vd. anche BECHELLONI 2009, pp. 74-75. Altre testimonianze sui maltrattamenti patiti dai militari prigionieri nei treni diretti in Germania, sono raccolte in GARDINI 2010, pp. 48-53. 53 Scarsissimo era il cibo dato ai prigionieri, durante il lungo viaggio in treno, dai sorveglianti tedeschi, sicché la fame e la sete per tutti era un lancinante tormento. Così ricorda il soldato Cosimino Cavallo (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 19): “A Monaco ci dettero, unica volta durante il viaggio (che durò quindici giorni, nda), una specie di zuppa, un mezzo litro di acqua in cui avevano sciolto della

57

13.10.43 – Ore 1,20: Glogau: sbobba… e caffè… Ore 8: Lissa… Paesaggio: pianura piatta… prati, boschetti… campi di barbabietole, cavoli, rape… cavalli e carri, fattorie, pagliai, oche, strade dritte, alberate; campanili… pochi segni di vita…

[c. 9r] 14.10.43 – Ore 1,20: Litzmannstadt: il posto di ristoro: sbobba e caffè… Ore 11,30: Koluski… Tomassow… il fiume Pelica. Kauskie: la villa presso la stazione… Ore 21: Kanina.54 X: La sbobba all’aperto >viveri< … Il treno fantasma … 15.10.43 – Ore 13,30: partenza da Kanina. Ore 17,15 Przemysl55… Discussioni sulle vie… di scampo. Il com.te Martini e il col. Chiappetti. 16.10. – Fame56… Senza viveri… Promesse… Starachowice.57 La campagna: terra nera: rape, cavoli, barbabietole, carri; bambini, vecchi; donne nei campi: i costumi pesanti a vivaci colori… farina di piselli: immangiabile!” E, per quanto riguarda il vitto del campo, la “sbobba”: “E quando, finalmente, arrivava il tuo turno, speravi che il mestolo venis- se spinto in fondo al pentolone e potesse pescare qualcosa di più denso; la minestra era una sbobba di rape da foraggio tagliate a listarelle, amare e disgustose, a volte accompagnata da piselli secchi con i vermi, oppure, altre volte, ci bollivano delle ossa; mentre il pane, se così si poteva chiamare, era fatto con farina di segale con l'aggiunta di una certa percentuale di segatura di pioppo ed era quasi sempre am- muffito. A volte ci davano delle patate gelate, immangiabili, mentre la domenica c'e- rano cinque fettine di salame di cavallo e un cucchiaio di ricotta con la marmellata di barbabietole.” (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 30) 54 Kanina, attualmente comune della Repubblica Ceca, nella regione della Boemia centrale. 55 Località polacca al confine con l'Ucraina. 56 L'inestinguibile fame, perenne tormentosa compagna dei prigionieri assieme al freddo, alle malattie e alle cimici, così è ricordata dal soldato Cosimino Cavallo (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 31): “Ricordo ancora quella fame, una fame sorda, sempre presente, ossessiva, profonda come la disperazione che avevamo nel cuore, una fame così insopportabile che credevi d'impazzire e allora, nel campo, uscivi di notte dalla baracca, anche se era assolutamente proibito, approfittando soprattutto durante i bombardamenti, per andare a rubare fra i rifiuti delle cucine: la fame era più forte di tutte le paure!” Ove si osserva che i rifugi antiaerei, durante i sempre più frequenti bombardamenti dei campi ad opera dell'aviazione alleata,

58

Nebbia… corvi… Casine >linde< e capanne, i piccoli villaggi, i tetti inclinati. X: mercato, fonderia, slitte… X: le patate in stazione: i polacchi… Ore 17: X: il treno viaggiatori e i panini della sig.na: le mele… Si mangian patate crude… Ore 22: la sbobba dei russi e i viveri…

[c. 9v] 17.10 – Ore 7: Leopoli… La stazione sud; tracce di bombe… Ore 14,50: Tarnopol.58 I polacchi della stazione: cosa ne pensano di Russi e Tedeschi… Ore 16,30: si scende: il sergente… di ferro. Al campo: l’interprete “civetta”… La notte. 19.10. Sveglia, pappetta, rivista… Sotterfugi. Addio libri… La società si sfascia… Alla baracca N° 4. Il campo 328. Blocchi e baracche… Viveri… alloggi… Stufe e freddo… Adunate… Commerci: episodi… Rape e patate: episodi… Il com.te italiano: “il mulo!”… La “zia Eulalia”59… il sergente, gli interpreti, il tenente… “Bolscevist!”… Episodi… La giornata degli… internati… I giornali… i bollettini… Ottimisti e pessimisti. Previsioni, scommesse, “sedute”60… La morte del T. col.61 Fioroni. Il gruppo artiglieria. 24.10. – Arriva l’Armata dell’amore62… erano riservati ai civili e ai soldati tedeschi, mentre i prigionieri italiani dovevano restare rinchiusi nelle baracche, a rischio altissimo della vita. 57 Starachowice] Starachowieke Città della Polonia meridionale. 58 In Ucraina. 59 Questo doveva essere il nomignolo affibbiato a un ufficiale tedesco del campo di Tarnopol. “Zia Eulalia” è citato, tra i “vigilanti contatori” del lager di Tarnopol, da Armando Ravaglioli, che visse lì la sua esperienza da internato militare, nel suo diario: vd. RAVAGLIOLI 2000, p. 93. 60 Le sedute spiritiche. 61 T. col. = Tenente colonnello. 62 L’Armata dell’amore o “Armata s’agapò” (gr. “ti amo”) era chiamato dalla propa- ganda inglese l’esercito italiano di stanza in Grecia, alludendo alla eccessiva “fraternizzazione” fra i militari e le donne greche. Molte di quelle voci sulle assidue e allegre frequentazioni di ragazze greche, da parte dei nostri soldati, erano però in- ventate e diffuse ad arte per screditare gli italiani. Vd. in proposito le considerazioni

59

[c. 10r] 17.12 “Il colpo di naia”. 9.11.: Prima cartolina a casa. 28.11.: lettera . 2.12: bollettino . 4.12: cartolina . 8.12: lettera. La novena e la festa dell’Immacolata. 24.12: cartolina… 10.12. Voci di immediata partenza… Miglioramenti vitto… In attesa del Natale… Venerdì e sabato: annuncio e preparativi di partenza. Vigilia: vera vigilia… La notte di Natale… La messa notturna… Il Natale: il grande… rancio… Ore 17: spari e… fuga… Gli spettacoli alla 6a baracca: “Va pensiero…!” Tarnopol – clima. (Gelo, nebbia, vento). Dolori muscolari. Fame… Timori.

[c. 10v] 27.12.43 – Sveglia, preparativi, viveri. Ore 10,10: lo scivolone e gli scivoloni63… Sotto il ponte… Nei carri. Ore 16,30: Addio Tarnopol… La notte. La forza dell’abitudine… Ore 22,30: a Lemberg. La campagna polacca: una candida coltre dagli strappi scuri. Donne polacche al lavoro. di Armando Ravaglioli (RAVAGLIOLI 2000, p. 45). Ricorda una sua avventura sentimentale con una piacente signora greca Giordano Bruno D’Ambrosio, capo- ralmaggiore di stanza a Kalamata nel 1942 (D’AMBROSIO 2007, pp. 100-101). Ambientato ad Atene e ispirato dalle vicende dei soldati e delle donne greche, è il romanzo di Ugo Pirro, Le soldatesse, Feltrinelli, Milano 19606. 63 Il terreno gelato, coperto d'inverno da uno strato di ghiaccio, riusciva par- ticolarmente insidioso. Leggiamo al riguardo Cosimino Cavallo (CAVALLO CON- VERSANO 2013, p. 35): “Dopo le nevicate, seguite dalle piogge, il suolo si tra- sformava in una superficie scivolosa e infida: diventava una vera e propria acro- bazia doverci camminare sopra, soprattutto nel compiere il tragitto per portare il rancio in camerata! Scivolare o, peggio ancora, cadere, significava rovesciare la preziosa sbobba. Difendersi da questo freddo non fu possibile per tutti!”

60

28.12.43 – Rava Ruska64… Cholm65… A 15 km. da Lublino: i mongoli intorno al fuoco. Ore 12,30: a Lublino. La campagna polacca: piatta, bianca, uniforme. La vita nel carro: l’episodio del pane (Ten. Leardi). Traffici… La notte… Grovigli di membra… Bisogni notturni… La forza delle facoltà di adattamento. I miei… servizi notturni; il… movimento sulla mia testa…66

[c. 11r] 29.12.43 – Ore 13,45: Zladi. Ore 14: Deblin:67 Niente sbobba e… fame più grande. “Don Rafael” e il sig. Del Core… 30.12.43. – Ore 8: arrivo a Siedlce.68 Controlli e constatazioni: i cinque fuggitivi. Scivoloni69… Verso il campo: “Stammlager70 344”. Bufera di neve; anticamera; freddo e fame. Alla baracca 29: notte tremenda.

64 Località al confine tra Ucraina e Polonia. 65 Cittadina in Polonia, al confine con la Russia. 66 Per i prigionieri rinchiusi in treno, al buio, era sommamente disagevole fare i propri bisogni all’interno dell’affollato vagone. Lo stesso accadeva nelle baracche dei campi, che erano malamente illuminate: si riusciva ad uscire la notte, per recarsi alle latrine che erano situate all'esterno, ma calpestandosi spesso l'un l'altro. Questo è il ricordo del sottoten. Giorgio Pugi, internato nel campo di Gross-Hesepe presso Münster, nel suo diario alla data del 10 febbraio 1945 (in LESCHI 2010, p. 350): “Ancora niente pagliericcio, né letto, né luce, e così via... La sera a nanna come i polli, e la notte i dirimpettai (piedi contro piedi) ti passeggiano sulla pancia, testa ecc... per andare al gabinetto.” 67 Su Deblin riportiamo la vivida descrizione di don Pasa, che rende bene la minac- ciosa maestosità della fortezza (DON PASA 1947, p. 39): “Sulla Vistola, a Deblin, sorge una grande, cupa fortezza, fatta costruire dagli Zar. Data anche la sua posizione strategica, nel 1879 trovarono posto in essa circa 100.000 uomini; i tedeschi, durante l'attuale guerra, l'adibirono a campo di concentramento. Enorme era il cortile interno, diviso, al nostro arrivo, in compartimenti stagni da reticolati. Blocchi si chiamavano tali compartimenti, e in essi si avvicendavano migliaia di prigionieri russi e italiani. La chiesa, al centro, aveva l'intonaco crivellato di colpi d'arma da fuoco. Pio XI, quando era Nunzio a Varsavia, spesso ivi celebrò la S. Messa.” 68 Località in Polonia, sede di un campo di prigionia. 69 L'inverno del '43-'44 fu assai rigido, con temperature che scendevano assai sotto lo zero. Oltre al gelo, anche il terreno innevato e ghiacciato costituiva un pericolo

61

31.12.43. – Alla baracca 24: prime impressioni. Le bestiali adunate.71 A – 12. per i prigionieri. Ne ha memoria il soldato Cosimino Cavallo, internato a Dortmund (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 35): “La temperatura, molto spesso, scen- deva di quindici / venti gradi sotto zero, il fiato che ci usciva col respiro cristal- lizzava intorno alla bocca e alle narici, e la pipì gelava prima di cadere in terra. Dopo le nevicate, seguite dalle piogge, il suolo si trasformava in una superficie sci- volosa e infida: diventava una vera e propria acrobazia doverci camminare sopra, soprattutto nel compiere il tragitto per portare il rancio in camerata! Scivolare o, peggio, cadere, significava rovesciare la preziosa sbobba. Difendersi da questo freddo non fu possibile per tutti!” 70 “Stammlager”: il “campo padre”, da cui dipendevano i campi minori. Lo Stammlager, abbr. Stalag, era riservato ai soldati, l'Oflager, abbr. Oflag (Offiziers- lager), agli ufficiali italiani. 71 Per procedere all'appello del campo, che veniva tenuto all'aperto sotto qualsiasi clima, i soldati dovevano uscire immediatamente dalle baracche e disporsi in file di cinque. Giacché i conti non sempre tornavano, l'appello veniva spesso ripetuto, tra- sformandosi in un ulteriore supplizio. Così ricorda gli appelli nel campo di Dortmund il soldato Cosimino Cavallo (CAVALLO CONVERSANO 2013, pp. 26- 27): “... si doveva stare in piedi, all'aperto e a lungo, a volte anche un'ora o due, fra gli urlacci degli addetti alla conta, con la paura di vedersi appioppare una botta col calcio del fucile o una manganellata sulla faccia, senza cedere alla fame o allo sfini- mento, con qualsiasi tempo, sotto la pioggia o in mezzo alla neve, con parecchi gradi sotto zero, gelando. In più, non di rado, a moltiplicare la nostra sofferenza, i tedeschi esigevano formalismi assurdi come quello di toglierci il berretto o la misera coperta di dosso durante l'Appellplatz, oppure il divieto assoluto di alzare lo sguardo, ci ordinavano di stare sempre con la testa bassa e guai a guardarli negli occhi, altrimenti bastonate o un colpo di calcio di fucile.” Il generale Gaetano Can- taluppi ricorda nel suo memoriale di Flossenbürg i feroci mezzi usati dalle SS per assicurare agli appelli degli internati, che avvenivano alle primissime ore dell’alba, rapidità ed efficienza (CANTALUPPI 1995, pp. 39-40): “La sveglia è alle ore 4,30. Il personale tedesco si scaglia sui dormienti e con urla e colpi di scudiscio li strappa dal sonno. Gran confusione. Tutti balzano dai castelli e tentano di vestirsi. «Rauss, los, antreten!» Cosa succede? Nessuno ci ha detto come deve avvenire tale operazione e solo le botte, mezzo potente di convincimento, donano qualche luce su ciò che si deve fare. Raccattiamo le nostre poche cose e usciamo all’aperto, seguendo l’esempio di quelli che, a botte ed a spintoni, sono stati cacciati prima di noi nel cortile antistante la baracca. E lì, con 20 gradi sotto zero, si tenta la vestizione. Nell’urgenza di uscire e con la scarsa luce che vi è nel blocco, sospinti, urtati dai compagni, negli angusti corridoi, molti non han trovato le scarpe, o hanno perduto la giubba o sono senza pantaloni. Ma ciò non ha importanza: il blocco deve essere vuoto in dieci minuti e se qualcuno si prende un accidente per il freddo

62

Nelle baracche: abbrutimento, sporcizia, miseria… 2.2.44 – Brutti sogni… 6.1.44 – Ritorna “il sergente di ferro”. Angherie. 12.1.44 – Gli arrivi da Lero72… racconti.

[c. 11v] 15.1.44 – La foto… Spossatezza… Processo di Verona.73 17-18-20.1.44 – Malessere… Febbre… a letto… 22.1.44 – Febbre a 40. 23.1.44 – Lo sbarco a Nettuno.74

atroce, ciò non interessa ai tedeschi. Come resistono sulla neve gelata a piedi nudi quelli che non hanno fatto in tempo a raccattare le loro scarpe?” 72 L'eroica difesa dell'isola di Lero, caposaldo italiano nel Mar Egeo, durata ben tre mesi (dal settembre al novembre 1943), fu uno degli episodi più importanti della disperata resistenza delle superstiti truppe italiane alle soverchianti forze tedesche, fuori d'Italia. Gli italiani dovettero cedere, dopo 52 giorni di strenua lotta, anche perché mancò l'appoggio, pur promesso, delle forze angloamericane. I due coman- danti delle isole di Lero e di Rodi, ammiragli Mascherpa e Campioni, catturati dopo la resa delle truppe, vennero fucilati dai repubblichini il 24 maggio 1944. Sulla difesa di Lero vd.: Leonetto Amadei, Accadde a Lero, in RESISTENZA SENZ'ARMI 1984, pp. 162-169; Arrigo Petacco, Storia del fascismo, vol. V, cit., pp. 1735-1737; Mario Lombardo, Non vi crediamo viva l’Italia!, in “Storia Illu- strata”, n. 192, novembre 1973, pp. 32-38. 73 È il famoso processo che fu celebrato a Verona, dall’8 all’11 gennaio 1944, contro Ciano (genero di Mussolini, avendo sposato sua figlia Edda), Cianetti, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi, tutti ex membri del Gran Consiglio del Fascismo responsabili di aver votato a favore dell’ordine del giorno Grandi. Il processo, un “aborto giuridico” (così lo storico Silvio Bertoldi) concluso dalle condanne a morte degli imputati (a parte Tullio Cianetti, che venne condannato a trent’anni di carcere), fu una vendetta voluta dai nazisti e dai fascisti più fanatici contro coloro che erano stati ritenuti complici del re Vittorio Emanuele III e causa del crollo del regime. Il processo di Verona fu molto pubblicizzato in Germania dalla propaganda nazista e ritenuto dagli stessi nazisti banco di prova della fedeltà della RSI al patto dell’Asse. Sul processo di Verona: Silvio Bertoldi, Salò, cit., pp. 143-171. 74 Il 22 gennaio 1944 36.000 uomini e 3.000 veicoli della VI Armata americana sbarcarono sul litorale tra Anzio e Nettuno (operazione Shingle), costituendo alcune teste di ponte. L’avanzata venne però contenuta dalle divisioni Panzer Grenadieren tedesche, dislocate ivi dal feldmaresciallo Kesselring. Sullo sbarco di Anzio vd. G. A. Shepperd, La campagna d’Italia 1943-1945, trad. di Carlo Emanuele Gallotti,

63

23-30.1.44 – Fiacchite… morale… (Cattivo!) 24.1.<44> – Prossimo sgombero. 16.3.44 – La grande gioia. 17.3.<44> – Partenza… Lettere a casa. 2.1.44 – Cartolina. 7.1.44 – Bollettino. 12.1.44 – Cartolina. 15.1.<44> – Lettera. 31.1.<44> – . 15.2.<44> – . 28.2.44 – Lettera e bollettino. 12.2.<44> – Cartolina. 14.3.<44> – Bollettino a Genova. 15.3.<44> – Lettera.

[c. 12r] Il “lager 366”. Sistemazione. Il Comando Italiano e quello Tedesco (Rigoletto, “Bomba”, “cornutello”).75 Visite di generali.76 Adunate… Russi (Mongoli) e Polacchi. Mercato nero. Viveri… Problema acqua. Atteggiamento soldati… Bollettini tedeschi. Ottimismi. Le fughe… Episodi… (Furterelli…).77 Conferenze e riviste… Il caso Lo Cicero. I soldati di Piusk. Casi di edemi…

Garzanti, Milano 1975, rist., pp. 243-272. Da notare la tempestività dell’infor- mazione ricevuta, evidentemente via radio, dall’Autore. 75 Rigoletto, “Bomba”, “cornutello”: nomignoli affibbiati a ufficiali tedeschi. Rigo- letto è citato anche nel diario di Armando Ravaglioli, internato a Tarnopol, in Ucrai- na (RAVAGLIOLI 2000, p. 93). 76 I generali fascisti venuti nel campo a sollecitare l’adesione degli internati alla RSI. 77 Tra i prigionieri, spesso, veniva a mancare la più elementare forma di solidarietà e i furti nelle baracche erano all'ordine del giorno, come testimonia Cosimino Cavallo, prigioniero nel campo di Meppen: “I furti diventarono una consuetudine e comin- ciammo a diffidare l'uno dell'altro. Durante la notte mettevamo scarpe e indumenti sotto la testa come cuscino e, sotto le ascelle, custodivamo la nostra personale riserva di cibo, come pane o piccole quantità di zucchero; durante il sonno tutto poteva essere trafugato e durante il giorno non lasciavamo nulla nella baracca, ci portavamo tutto dietro dentro una sacchetta.” (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 31)

64

Minacce: senza scarpe in viaggio: il cap. Fischer. Le lettere dall’Italia: voci di rimpatrio… Dicerie… Sogni… Illusioni… La baracca 24. Fenomeno mani gelate. La sbobba infernale e quella al permanganato.78 Timore non della fame, ma della salute… 45 pulsazioni al minuto. 57 Kg. di79 peso. L’aiuto di… Poggi.

[c. 12v] 16.3.44 – Finta partenza. La grande gioia. 17.3.<44> – Partenza… Anticamera… rivista… Angherie: le “lucchesine”. Alla stazione il pane del bambino polacco. 2a rivista… le cinture. Nei carri. Dove si va? – Rassegnazione completa… (Considerazioni!). 18.3.44 – Ore 6,30: si parte. Addio Siedlce: auguri. Ore 9: a Varsavia 80… Stazione Est. Tracce della guerra. Il ponte sulla Vistola… Vaporetti… Visioni… La galleria metropolitana. L’imponente scalo ferroviario. Varsavia81 Ovest… Plonje82… Bednazy… Ziehly… Campagna polacca… piatta a perdita d’occhio, boschi e poche culture… Stormi di corvi. Foschia e neve… Ore 14: Kutno. Sbobba: viveri… Conin

[c. 13r] Domenica 19.3.44. La sorpresa: Cocchi e Bellini in fuga. La… faccia dei Tedeschi… Timori… Perquisizioni… Episodi… Addio diario.83

78 Allusione probabile al permanganato di potassio, che veniva usato come disinfettante. Alessandro Dietrich, tenente dei Bersaglieri prigioniero a Dachau e a Wietzendorf, ricorda in modo assai colorito che alla sbobba venivano talvolta mischiati purganti, con effetti tanto fastidiosi quanto debilitanti (DIETRICH 2007, p. 81): “Avvertirono che avrebbero mischiato la purga alla sbobba: ragioni profilat- tiche! Qui, quello che va più stitico va sedici volte al giorno! C'è un giro di diarrea che ci porta via tutti quanti... Uno ha cominciato ad urlare ed a imprecare perché diceva che non voleva la purga!... «Non mi piace... non l'ho mai presa neppure quando ero bambino!»” 79 di] Di 80 Varsavia] Warsavia 81 Varsavia] Warsavia 82 Questa e le seguenti sono località polacche.

65

Neubentchen. Itinerario… Per dove? Koppen… Sot… le campane (S. Giuseppe). Schwiebus84… Topper. Il paesaggio cambia… Collinette, boschi… L’Oder… Ore 11,40: a Francoforte sull’Oder… Ore 13,45: Erkner:85 coventrizzazione!!86 Campeggi sfollati… Ore 15 – 16,30. Attraverso i sobborghi di Berlino… I bombardamenti.87 Aspetti della città: le facce dei cittadini. Ore 18,30: Viveri… Abort88… Timori svaniti.

[c. 13v]

83 Possibile riferimento a un diario su cui l’Autore avrebbe scritto annotazioni più ampie, ricavandole dagli scarni appunti del taccuino. Questo diario sarebbe stato sequestrato dalle guardie tedesche durante un perquisizione e perciò sarebbe andato perduto. 84 Schwiebus ] Schwibus Schwiebus, nome tedesco della cittadina polacca di Świebodzin. 85 Erkner ] Erkener. Erkner, quartiere di Berlino raso al suolo dai bombardamenti alleati. 86 Da Coventry, cittadina inglese che nella notte del 14 novembre 1940 fu bombar- data e rasa al suolo da 449 aerei tedeschi (le vittime furono 550, migliaia i feriti). Da allora il termine “coventrizzare” significò “radere al suolo”. 87 Tra il novembre 1943 e il marzo 1944 gli Alleati scatenarono una serie di violente offensive aeree su Berlino, ma nel corso delle 35 incursioni ben 1047 bombardieri andarono perduti. Su questa fase della guerra vd. Giorgio Bonacina, Ecatombe su Berlino, in “Storia Illustrata”, n. 265, dicembre 1979, pp. 100-108. Quando Berlino fu vista dal Clementi, ben visibili erano i segni dell’ultima incursione, quella del 15- 16 febbraio 1944, nel corso della quale erano state sganciate 2685 tonnellate di bombe. 88 “Gabinetto”, in tedesco. Era il grido che alle stazioni si levava dai vagoni carichi di prigionieri, per chiedere alle sentinelle di poter soddisfare i propri bisogni all’esterno. Ma i vagoni restavano chiusi. Così ricorda la penosa esperienza il tenente e futuro illustre storico Giampiero Carocci, sul treno che lo portava in Ger- mania (CAROCCI 1995, p. 48: “Ogni tanto, alle fermate, ci attaccavamo alla griglia e gridavamo:«Abort! Abort!». Qualche volta le sentinelle venivano ad aprirci. Avevamo due minuti di tempo per lasciarci scivolare fuori dal vagone e fare i nostri bisogni accovacciati sulla scarpata. Quando il treno si rimetteva in moto si vedeva una lunga teoria di merde allineate accanto al binario. E sempre lo stesso paesaggio passava davanti ai nostri occhi: colline ondulate dolcemente, ogni tanto degli alberi isolati, oppure a macchie o a filare, delle donne che lavoravano la terra.”

66

20.3.44 – Dove andiamo?... Il paesaggio cambia… Boschi, prati, collinette… Rotemburg… Ore 9: a Bremerwörde89… Verso il campo: 14 km – la marcia… l’anticamera… ritiro bagagli90... Prima notte91… 21.3.44. Continua l’anticamera… 22.3.44. Disinfestazione!!!!!!!92 (Metodi dei russi… Vasche e… pennelli…) Vestizione… Bottini all’aperto… attesa… Vento e neve… Alla 29… Il “lager X B”.93 Baracche: bolgia… canili, loculi mortuarii!!!!94

89 Bremerwörde] Bremerwörder 90 Così l'Autore registra il suo arrivo al lager di Sandbostel, a 14 km. da Bremerwörde. Vi resterà fino all'11 gennaio 1945. 91 La prima notte passata a Sandbostel. 92 La penosa e umiliante operazione della disinfestazione viene così ricordata da Cosimino Cavallo, anch'egli prigioniero a Sandbostel (CAVALLO CONVERSANO 2011, p. 25): “Qui (nella camera della disinfestazione, nda) ci fecero spogliare e, dopo una doccia di massa con acqua fredda, ci rasarono i capelli e nelle parti inti- me perché eravamo infestati dai pidocchi; come ultima operazione, comparve un prigioniero russo – ben presto mi resi conto che i russi erano adoperati a svolgere i servizi di più infimo ordine, anche se ciò consentiva loro di avere facile accesso in tutti i settori del campo –, un omone che lo divertiva molto imbrattarci il basso ventre e il fondo schiena con un grosso pennello intriso di un liquido giallo. Poi ci dettero un ricambio di vestiti – avevamo addosso ancora la divisa estiva con la quale eravamo stati catturati – che avevano IMI stampigliato sulla schiena.” Ana- loghe annotazioni anche nel diario di Giordano Bruno D’Ambrosio, prigioniero in un campo presso Leobersdorf (D’AMBROSIO 2007, p. 152): “Ci fecero entrare in una camera e ci ordinarono di spogliarci completamente nudi per essere rasati a zero su tutto il corpo; la rasatura fu eseguita da prigionieri russi i quali si diver- tivano un mondo a raparci a zig-zag con delle macchinette rasatrici che ci davano pizzicate dolorosissime specialmente nelle parti basse.” 93 Citiamo dai ricordi di don Luigi Pasa, che fu cappellano a Sandbostel dal settembre 1943 al marzo 1945: “Lo Stalag X B, giace in una grande brughiera di Sandbostel, piccolo abitato fra Amburgo e Brema. Una quindicina di torrette in le- gno, quasi rassomiglianti a quelle dei pozzi di petrolio, con le sentinelle pronte a sparare se uno sgarra minimamente, segna all'intorno il perimetro del campo, deli- mitato da una serie di reticolati.” (DON PASA 1947, pp. 30-31) Più poetica la de- scrizione di Bruno Betta, in Il Lager (in PIASENTI 1977, p. 87), che nota la malin- conica bellezza del paesaggio: “A Sandbostel, presso Bremervörde, il Lager X B era in una landa ora fiorita d’erica ora lucida e desolata, triste. Gli stornelli in

67

Vita nelle baracche!!! Sbobbe e viveri95… Adunate. Pacchi… e stufe.

primavera a stormi si posavano azzurri e ciarlieri sui reticolati e svolazzavano qua e là. E sul far dell'estate passavano al largo le famiglie dei caprioli: avanti il maschio, e dietro la femmina col piccolo ancora picchiettato di bianco. D'autunno s'alzava la nebbia, piano piano, dal suolo, bianchissima, e crescendo, sommergeva lentamente, ovunque, le figure dei prigionieri, lambendo prima i piedi, giungendo poi a mezzo busto, lasciando emergere solo la testa, ingoiando infine anche questa. C'era un gruppetto d'alberi là, verso est, presso due case dal tetto rosso: era un punto che guardavamo spesso, come il centro d'attrazione del quadro. Era carico di emozioni e di sentimenti. E c'era anche una stradicciola nella landa. Vi passava qualche pastore col gregge, qualche donna in bicicletta. Simboli della vita che continuava. Stagliati all'orizzonte, al mattino, spiccavano i traini umani dei russi, trascinanti i carri botte dello sgombero fognature... “Volga, Volga!...” sembrava di sentir cantare, quasi rivivendo un vecchio spettacolo cinematografico ambientato in Siberia.” 94 A Sandbostel, Stalag 10 B, le baracche non avevano all'interno né tavoli né panche, ma solo tavolacci di legno a tre piani con cunicoli da sei giacigli per scom- parto. I reclusi dovevano mangiare seduti per terra (testimonianza di Leonetto Amadei, Io capobaracca, in RESISTENZA SENZ'ARMI 1984, pp. 219-220). Ricor- da in proposito don Luigi Pasa: “Nella mia baracca (la 19b, ndc) i «castelli» erano a tre posti; nelle baracche 25, 27, 29 (quella a cui era stato assegnato Serafino Clementi, ndc) si stava ancor peggio perché chi voleva distendersi, o dormire, doveva ficcarsi entro certi scomparti, chiamati subito «conigliere», che facevano assomigliare l'intera baracca al colombario del cimitero. Se noi eravamo in 250, nelle baracche suddette gli alloggiati salivano a quasi 300.” (DON PASA 1947, p.85). 95 Ricorda l'allora capitano Leonetto Amadei, internato anch'egli a Sandbostel (nella baracca 27) e, dopo la liberazione, destinato a diventare deputato al Parlamento e poi Presidente Emerito della Corte Costituzionale, che la distribuzione dei viveri era fonte spesso di aspri e violenti litigi tra gli stessi compagni di prigionia. Come “capobaracca” (e dunque responsabile di fronte ai tedeschi di quanto avveniva tra i prigionieri assegnati alla sua baracca), l'Amadei doveva interporre i suoi buoni uffici per pacificare gli animi incolleriti dalla fame e dalle privazioni. Citiamone i ricordi, tratti da: Leonetto Amadei, Io capobaracca, in RESISTENZA SENZ'ARMI 1984, p. 221: “Quotidiano si manifestava il litigio durante la distribuzione dei viveri che avveniva una volta al giorno. In un primo tempo, per ripartire le razioni fra i dieci gruppi di 30 prigionieri che avevo formato; poi per quando le stesse razioni venivano divise fra i membri del gruppo. Bastavano pochi grammi di pane che sembrava favorissero l'uno a scapito dell'altro o la differenza in più o in meno di una porzioncina di zucchero per alimentare una contesa che qualche volta non era

68

1) L’Hauptmann: il buldogg.96 2) Gandhi, ossia… la morte in vacanza!97 3) Il papavero… – I sottufficiali.98 4) Il tacchino… Vecchi amici che si ritrovano. (Piccione, Nigro, Cavaliere, Perricone, ecc.) Fine marzo. Ottimismi: i Russi in Romania. Primi aprile: la grande fiacchite – ma serenità e fiducia. 29.4. La fucilata contro il s. ten. Tamvakopulos.99 I morti di tubercolosi.

soltanto verbale. Era compito del «capo-baracca» intervenire e, con l'autorità che era riuscito ad accumulare, ricomporre la questione.” 96 Hauptmann: “capitano” in tedesco. Bulldog o “capitano Bau Bau” era sopran- nominato il comandante tedesco del campo, Pinkel, noto per la sua beffarda crudeltà verso i prigionieri, in specie italiani. Guareschi lo ricorda più volte nel suo Grande Diario (GUARESCHI 2011 rist., p. 381) e ne menziona la dura punizione che patì dai soldati russi (p. 519). Vd. anche DON PASA 1947, p. 85, sulla disciplina che re- gnava a Sandbostel: “La disciplina, più che ferrea, era inumana. Il cap.no Pinghel (ossia Pinkel, ndc) verrà sempre ricordato per la sua crudeltà verso di noi.” Anche il sottotenente Antonio Zupo, arrivato a Sandbostel, dovette subito sperimentare la spietata durezza del capitano Pinkel (ZUPO 2011, p. 33: “Subito dopo (l'ingresso al campo, dopo una marcia di 12 km. dalla stazione di arrivo, ndc) adunata. Si è alla fine delle forze: per cui l'adunata, col freddo intenso e col vento che spira, completa l'opera e metà degli ufficiali cadono svenuti a terra e debbono essere ricondotti in baracca; ma il comandante del campo poco se ne cura e continua a tenerci all'a- perto schiamazzando, rimproverando e sbraitando perché magari non stiamo bene sull'attenti e non siamo bene allineati.” 97 Si tratta probabilmente di un compagno di prigionia che la fame aveva reso più scheletrito degli altri. 98 Il “papavero” e il “tacchino” erano probabilmente sottufficiali tedeschi. 99 Il s.ten. Rinaldo Tamvakopoulos, italiano di origine greca, venne ferito grave- mente alla testa da una sentinella. La pallottola gli trapassò il capo da parte a parte. Portato all'ospedale del campo, vi stette per molti giorni tra la vita e la morte, ma riuscì miracolosamente a riprendersi. Il fatto avvenne il 28 marzo, verso le ore 19,45 (vd. DON PASA 1947, pp. 127-128). Riferiamo la testimonianza di Lucio De Santis, che fu testimone oculare del fatto (in GARDINI 2010, p. 62): “… c’era un ufficiale… di origine greca ma vissuto in Italia che poi fu arruolato e fatto prigio- niero con noi. Stava alla finestra, non so che cosa gli cadde, allora anziché di fare il giro scavalcò la finestra, una sentinella che stava lì sparò, lo prese qui alla tem-

69

26.3 – Lettera e bollettino a casa.

[c. 14r] 7.4.44. L’uccisione del cap.100 Thun101 (Principe di Hohenstein,102 cav. di Malta…). pia… bene… questo si è salvato perché la pallottola fece un tragitto molto strano, che non toccò nessun organo vitale della testa, fu salvo!” 100 cap. = capitano 101 Thun] Thunn 102 Hohenstein] Hoestheim La morte del capitano Thun a Sandbostel è ricordata anche nel Grande Diario di Guareschi (p. 355) alla medesima data, venerdì 7 aprile 1944 (“Questa notte è stato ucciso il capitano Thun. Un minuto di raccoglimento”) e in ZUPO 2011, p. 34. Il conte e cavaliere di Malta Antonio Thun von Hohenstein, appartenente ad una nobi- lissima famiglia trentina, ufficiale prigioniero a Sandbostel, rifiutò di arruolarsi nella Wehrmacht, preferendo mantenere la cittadinanza italiana, e probabilmente per questo motivo fu proditoriamente assassinato da una sentinella tedesca. Notizie più dettagliate sulla sua morte si leggono nella raccolta poetica di un ex deportato, Gino Bertolini, Liriche dell’esilio, Unione Tipografica Editrice Ferrari, Occella e C., Ales- sandria 19463, alla p. 43, che riportiamo di seguito: “Fu grave motivo di dolore per tutti i deportati italiani il doversi spesso privare di oggetti cari, miracolosamente sfuggiti all’attenta rapina delle continue perquisizioni, per vincere la fame con cui si cercava di piegare la loro resistenza morale. Spesso gli stessi militari tedeschi offrivano pane per strappare agli italiani anche le fedi nuziali. Il capitano Thun che parlava correntemente la lingua tedesca, pressato da una sentinella, le aveva consegnato un prezioso di un compagno che languiva di fame, per averne in cambio viveri. Nella notte dal Venerdì al Sabato Santo (7-8 aprile 1944), a richiesta della sentinella stessa, alle tre del mattino, il capitano Thun si recò al reticolato per ritirare quanto pattuito. Cadde innanzi al reticolato per due colpi di fucile. Solo dopo qualche ora fu concesso ai compagni di raccogliere e trasportare il Conte di Hohenstein, ormai deceduto. Antonio Thun era caro a tutto il campo per lo sdegnoso rifiuto con cui aveva respinto le pressioni tedesche perché egli, di origine austriaca, entrasse nell’esercito nazista. La sua forza morale si diffondeva sugli altri attraverso il sereno sorriso, che gli illuminava sempre il volto, specialmente quando parlava della madre e confidava ai più intimi il suo orgoglio per le parole di incitamento e di approvazione che Ella gli aveva scritto sapendo della irremo- vibilità del figlio. A lungo nel Campo rimase l’impressione che il delitto avesse un movente politico.” Si noti che anche il Bertolini, così come il Clementi, allude a un “movente politico” dell’assassinio. All’eroico capitano Thun Gino Bertolini volle dedicare una delle sue liriche, intitolata La Croce di Malta, che trascriviamo di seguito (da Liriche dall’esilio, cit., pp. 22-23):

70

Gino Bertolini LA CROCE DI MALTA In morte di Thun di Hohenstein Il fiero tuo sguardo ricordo, Conte di Hohenstein, e l’orecchio ancor m’accarezza la voce ne la qual s’addolciva l’aspra straniera favella, allorché ne le grigie mattine sferzava il nevischio i volti smagriti e l’acqua fangosa inzuppava le scarpe gualcite.

Il nordico vento piagava le mani ne l’attesa snervante che il calcol sublime volgesse al suo fine e tu sorridevi a vincer la sofferenza, a render più saldo nello spirito nostro l’onor di soldato pel quale sdegnoso lusinghe e minacce avevi più volte respinto.

Ti videro l’ultima sera nella penombra del rustico tempio raccolto in preghiera, ti videro a l’alba protender le mani nel vuoto due volte colpito nel dorso.

Era il tempo di Pasqua e t’ucciser brutali… sol nel tuo sangue t’imposer la morte senza che mano pietosa chinasse le palpebre su gli occhi sperduti a sognare le balze trentine.

Sudario agognato

71

11.4.44 – I funerali: il carro delle patate.103 [Delitto politico??!!] Fine aprile, primi maggio: vento104, freddo, burrasche. 1.5.44 – La visita della “Commissione…!!”105 2.5.44 – La fucilata contro il barattolo del sale. Gli “alti e bassi” di Santucci. Le notizie… La radio sul campo. L’azione di comando del com.te106 Brignole107… Trattamento tedesco e atteggiamento della C.R.I. Pacchi e stufa: i direttori di… macchina.

ti fu il tricolore… confuse il pallor del tuo volto la candida croce di Malta.

Sandbostel (Hannover), Pasqua 1944.

103 Su quel carro la salma del cap. Thun venne portata al cimitero. Antonio Thun è registrato tra i militari italiani deceduti e sepolti nel campo di Sandbostel in DON PASA 1947, p. 226. 104 vento] Vento 105 Si tratta della commissione di ufficiali aderenti alla RSI, che compivano il solito giro di propaganda nei campi. Allo stesso giorno, il 1° maggio 1944, Guareschi nel suo diario si chiede se sia morale o no accettare sigarette da questa commissione di ufficiali fascisti (GUARESCHI 2011 rist., p. 366). 106 com.te = comandante. 107 Il tenente di vascello Giuseppe Brignole, medaglia d'oro al valor militare, era il comandante responsabile dei prigionieri italiani del campo di Sandbostel. Fedele al giuramento prestato al re, non aderì alla R.S.I. e per due volte rifiutò il rientro gra- tuito in Italia (vd. GUARESCHI 2011 rist., p. 389). Commossi elogi del com.te Bri- gnole sono in DON PASA 1947, pp. 87-90, e in ZUPO 2011, p. 110, il cui testo riportiamo parzialmente: “...quando i fascisti seppero che fra i “traditori bado- gliani” vi era quella statura di eroe, gli offrirono di rimpatriare subito, e senza firmare nessuna dichiarazione di collaborazione con il nazifascismo. Lui, che aveva accettato il compito di comandante dei nostri militari a SandBostel, per due volte rispose no, affermando che il suo posto era lì, tra i suoi compagni prigionieri. Durante la prigionia anche i tedeschi ne avevano un timore reverenziale; ed egli si adoperò, rischiando di continuo la vita a favore dei circa 7.000 internati, nel tenere alti il morale e la dignità dei militari italiani, impegnandosi personalmente nell'at- tività di resistenza ai ricatti dei nazifascisti, e riuscendo tra l'altro a salvare una delle mitiche radio costruite in gran segreto dai prigionieri, la famosa “Caterina”. Lo racconta lui stesso in un articolo pubblicato nel 1973...”. I ricordi di prigionia del com.te Brignole sono in PIASENTI 1977, pp. 368-370. Vd. anche: Alessandro Ferioli, Giuseppe Brignole: un comandante italiano nei campi di prigionia, testo leggibile nel sito dell’Istituto Paritario Giacomo Leopardi di Bologna, all’indirizzo: http://itcleopardi.scuolaer.it

72

Atteggiamenti uff.108 in S.P.E.109 Furti in baracca. Concerti e conferenze.110 Le sbobbe di rape secche e di crauti.111 La ricotta, il formaggio, ecc. Gli ammalati e l’infermeria. (Niente medicinali; foschi pensieri). 4.4. – Bollettino a casa. 20.4. Lettera . 24.4 e bollettino a casa. 28.4 – Cartolina agli zii. 29.4. Lettera a casa. Prima settimana di maggio: freddo e pioggia. Niente posta nei pacchi, poche e incerte notizie, ma sempre grande fiducia e serenità. 8.5.44 – Lettera a casa. Bollettino a Imola. 12.5.44. Lettera a Gino. 11.4.44 – Ore 14: Nella zona passano stormi di aerei angloamericani.

[c. 14v] 10.5.44 – Il sogno. Tristezza. Ore 19: brutti112 pensieri.

108 uff. = ufficiali. 109 S.P.E. = Servizio Permanente Effettivo. Erano così denominati, ossia in S. P. E., gli ufficiali di complemento. 110 Don Luigi Pasa ricorda molto attivi a Sandbostel nell'organizzare concerti e cori dei prigionieri gli ufficiali e compositori Pietro Maggioli ed Enrico Cagna Cabiati (DON PASA 1947, pp. 91-96). Per lenire le sofferenze spirituali e giovare alla formazione culturale dei singoli venivano altresì tenute conferenze su argomenti di carattere storico, filosofico-morale, letterario, venivano organizzati corsi universitari di diritto, ingegneria, lettere, e perfino era permessa l'attività teatrale: le conferenze erano tenuti da quelli che sarebbero diventati insigni studiosi e intellettuali come il filosofo Enzo Paci, il latinista Ignazio Cazzaniga, i critici letterari Armando Rava- glioli e Carmelo Cappuccio. Sulla “regia università di Sandbostel” vd. GUA- RESCHI 199118, pp. 99-100. Venne poi creato il “giornale parlato”, in due versioni, “Orientamenti” e la “Campana” (il Guareschi collaborò attivamente al “giornale parlato” di Sandbostel con riflessioni e racconti, che confluirono nel suo Diario clandestino, pubblicato nel 1949): vd. in proposito Enrico Allorio, Giornale parlato, in PIASENTI 1977, pp. 147-151. 111 crauti] krauti 112 brutti] Brutti

73

14.5.44 – Bollettino Tedesco: “… I bombardamenti all’ovest preannun- ciano l’invasione!” Le notizie dal fronte italiano. 18.5.44 – Il bollettino annuncia una grande battaglia sul fronte italiano. La visita della C. R.113 italiana. Cartolina a casa. 21.5.44 – Lettera a Gaetano. Vento e freddo ancora. Media settimanale: 47 pulsazioni.114 22.5.44 – Dubbi e… tristezza. (Giorni di attesa spasmodica!) 27.5.44 – Arriva il 1° pacco. 28.5.44 – Continua violenta l’offensiva anglo-americana sul fronte italiano. I Tedeschi in ritirata. Lettera a casa. Cartolina a Marcello. Aumenta il numero dei casi di tubercolosi. La morte di Cretti.115 Pensieri!! “Si riuscirà a ‘tenere bene’ fino in fondo??!!” 30.5.44 – Ore 11,30: Intensissimo passaggio di aerei angloamericani. Comincia a sentirsi caldo. Voci di un prossimo trasferimento. 3.6.44 – Di nuovo e ancora maltempo: freddo, pioggia. Gli Anglo- americani nei pressi di Roma. Frosinone occupata. Calma all’est (si116 prevede prossima una grandiosa offensiva russa). Continuano inten- sissimi i bombardamenti terroristici. “Voci” di… trattative in atto!!! Miglioramento condizioni fisiche.

[c. 15r] 6.6.44 – Ore 15,45. L’annuncio dello sbarco all’ovest… – La “Gestapo”117 alla caccia della radio: perquisizioni infruttuose!!118

113 C. R. = Croce Rossa. 114 A 34 pulsazioni al minuto era scesa l'attività cardiaca del sottoten. Giorgio Pugi, prigioniero a Posen (dato registrato nel suo diario al 16 ottobre 1943, vd. LESCHI 2010, p. 333). 115 Si tratta del s.ten. Vittorio Cretti, deceduto all'ospedale di Sandbostel a maggio del 1944. 116 si] Si 117 Gestapo] Ghestapò Sigla di Geheime Staatspolizei (“Polizia segreta di Stato”, la temutissima polizia segreta tedesca creata da Hermann Goering, strumento di terrore del regime nazista. 118 Vi erano nei campi di prigionia alcune radio, ingegnosamente costruite dai pri- gionieri con mezzi di fortuna, mediante le quali si era puntualmente informati degli sviluppi della guerra. Ne descrive la “ricetta” Giovannino Guareschi nel suo Diario

74

7.6.44 – Anche il bollettino tedesco annuncia lo sbarco… 8.6.44 – Ricevo da casa una lettera del 23.4.44. Piove e fa freddo: ancora col cappotto. Il “bulldog” Pinkel fa fare ordine chiuso: persino il “tacchino” protesta!119 10.6.44 – In Italia gli Angloamericani avanzano rapidamente. Occu- pazione di Civitavecchia, Viterbo, Terni… All’Ovest, secondo Churchill, le operazioni di sbarco continuano favorevolmente. Tre colonne (inglese, americana, canadese) sono in movimento… [Grande fiducia che la “vada” veramente a pochi!!!120 Si spera essere a casa in tempo per spiccare dagli alberi qualche grappolo d’uva].

clandestino, alla data del 16 aprile 1945, da Wietzendorf: “Gli italiani sanno “arrangiarsi” meravigliosamente bene. E questa è la qualità negativa che più ci danneggia: ma allora risultava un fattore positivo perché, per esempio, gli ap- parecchi radio nascevano dal niente. Bastava una valvolina: il resto lo si faceva tutto in casa, compresa la cuffia e le pile, e il complesso stava comodamente dentro una gavetta e funzionava in tal modo che, quando ad esempio il signor Churchill ancora parlava, per le baracche giravano già i fogliettini con la prima porte del discorso tradotta in italiano” (GUARESCHI 199118, p. 208). Naturalmente la Ge- stapo era a conoscenza di queste radio clandestine nei campi, ma raramente riusciva a rinvenirle durante le perquisizioni. Serafino Clementi doveva ascoltare frequen- temente queste radio o riceverne le notizie trasmesse, giacché nei giorni successivi sono annotati diligentemente e puntualmente nel taccuino i progressi degli Alleati e dei russi nella loro avanzata, da sud, da ovest e da est, fino al cuore della Germania nazista. Sulle peripezie della più famosa di queste radio clandestine, la “Radio Caterina”, che seguì gli internati a Sandbostel e a Fallingbistel, vd. Carmelo Cappuccio, Storia di una radio clandestina, in PIASENTI 1977, pp. 157-172; Oliviero Olivero, Una radio chiamata «Caterina», in RESISTENZA SENZ'ARMI 1984, pp. 228-240; vd. anche DON PASA 1947, pp. 110-113 (capitolo Alla caccia delle nostre radio, ove si narra dei sotterfugi fortunosamente attuati dai nostri soldati per salvare la radio dalle grinfie dei nazisti). 119 All'8 giugno 1944 è registrata sul Grande Diario di Guareschi l'ennesima anghe- ria del famigerato capitano Pinkel (“Bau Bau (capitano Pinkel) s'inc… e ci fa mar- ciare («lavoratori. Un mese credete?» «Un mese e un giorno magari»)”, in GUA- RESCHI 2011 rist., p. 381). Il “tacchino” doveva essere un ufficiale tedesco, forse più umano degli altri. 120 Il significato dell'espressione, consueta tra i prigionieri come forma di auspicio di una rapida fine della guerra e delle proprie sofferenze, è chiarito da DON PASA 1947, p. 79: “Le sentinelle che ci portavano al bagno acquistavano e ci vendevano quanto potevano avere. Fra queste ricordo un vecchietto sulla sessantina che, nel venire a prenderci, ripeteva sempre in italiano: «La va a pochi!». Questa frase,

75

15.6.44 – Intenso passaggio di aerei. Ancora freddo, e ogni giorno pioggia. Si ha bisogno del cappotto. Santucci mi fa una “iniezione di fiducia” sul mio futuro e mi promette una copia delle sue “Dispense di agronomia generale”. 17.6.44 – Ogni giorno pioggia e ancora freddo… R. L.121 annuncia l’occupazione di Aquila, Orvieto, Grosseto… Continuano le favorevoli operazioni all’ovest… [Churchill presente sul teatro d’operazioni…].

[c. 15v] 18.6.44 – Ore 9: centinaia di bombardieri e caccia angloamericani sorvolano la zona.122 Lo spettacolo è impressionante e dura a lungo. “R. L.” annuncia l'occupazione di Teramo... I Tedeschi parlano dell'impiego della “nuova arma segreta”123... Ma intanto all'ovest gli Alleati consueta sulle nostre labbra a significare che in breve per i tedeschi la sarebbe finita, lui la diceva attribuendola a chissà quale significato. Noi, all'udirlo, ride- vamo, ed egli rideva, allora, più di noi.” Leggiamo anche in CAROCCI 1995, p. 60: “Tutti vivevamo con la speranza che la prigionia sarebbe finita molto presto. Quella guerra, che quando eravamo in Italia vedevamo lunghissima, ci sembrava ora che dovesse terminare da un giorno all'altro. Da quando eravamo prigionieri, cioè da quando eravamo privi di comunicazioni col mondo, eravamo pieni di notizie che parlavano di sconfitte catastrofiche dei tedeschi. «La va a pochi!» era il grido che risuonava continuamente nel campo. Quel “la va a pochi” era il nostro modo col- lettivo di difesa, così come ciascuno di noi ne aveva anche uno suo particolare.” 121 R. L. = Radio Londra. Radio Londra trasmetteva i programmi radiofonici della BBC destinati ai Paesi nemici o occupati dai nazisti. Grazie a Radio Londra migliaia di italiani, nel nostro Paese e all’estero, poterono conoscere le reali sorti della guer- ra, mascherate dalla propaganda nazifascista. Collaborarono a Radio Londra anche giornalisti e intellettuali italiani espatriati, come Umberto Calosso, Uberto Limen- tani, Nissim, Paolo e Piero Treves, e i famosi commentatori italo-inglesi colon- nello Stevens e Candidus (John Joseph Marus). Un’antologia di commenti trasmessi da Radio Londra è quella di Maura Piccialuti Caprioli, Radio Londra 1939-1945, Laterza, Roma-Bari 1979; vd. anche Elio Nissim, Qui Radio Londra, in “Storia Il- lustrata”, n. 248, luglio 1978, pp. 110-115. 122 Particolare confermato alla stessa data da GUARESCHI 2011 rist., p. 384: “Durante l'appello del mattino in cielo passa la risposta alla nuova macchina. Cac- cia a probabili... poi boati.” 123 Si tratta delle V 1 e delle V 2, i nuovissimi aereo-razzi imprendibili ai caccia al- leati, progettati rispettivamente dall'ingegnere Willi Fiedler e dallo scienziato tedesco e futuro padre dell'astronautica americana Wernher von Braun. Furono

76 continuano a sbarcare e la battaglia è sempre più violenta. Irritazione, nervosismo continuo e in crescendo. Tristezza profonda... Di nuovo debolezza… Lo “zio Giovannino” manda saluti da Brescia. 20.6.44 – Ore 9: stormi di aerei angloamericani attraversano per più di un'ora la zona...124 Ore 11: una densissima colonna di fumo oscura l'atmosfera [?!?!?!] Ore 21: Persiste ancora densissima, nel cielo di Amburgo, la gigantesca nube di fumo. 21.6.44 – “R. L.”: Perugia e Grosseto occupate... La penisola di Cotentin occupata... 22.6.44 – Si torna insistentemente a parlare della profezia di San Pietro di Bergamo: “la Madonna sarebbe apparsa a una giovinetta annunciando la fine della guerra entro il mese di luglio”.125 I Tedeschi ammettono i bombardamenti massicci su Amburgo, Brema, Hannover, etc.

queste le tanto propagandate “armi segrete”, con cui Hitler sperò troppo otti- misticamente di rovesciare le sorti della guerra. Nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1944 caddero le prime 95 V 1 su Londra (alle V 1, la “nuova arma segreta”, fa rife- rimento il diario di Clementi), nel settembre dello stesso anno cominciarono i lanci delle assai più micidiali V 2. Al 16 giugno 1944 vi è il riscontro dei lanci delle V 1 nel diario di Guareschi: “Un maggiore tedesco comunica ai suoi ufficiali e soldati che un grande attacco aereo tedesco sull'Inghilterra del Sud ha distrutto tutto, personale e materiale da sbarco. La nuova macchina è un razzo come la Berta ma senza canna.” (GUARESCHI 2011 rist., p. 384) Sulle armi segrete: Giorgio Bona- cina, Il silenzio delle V-1, in “Storia Illustrata”, n. 196, marzo 1974, pp. 84-90; secondo Luigi Romersa (Le armi segrete di Hitler, Mursia, Milano 2005) gli scienziati nazisti avrebbero realizzato e sperimentato nel 1944 un piccolo ordigno nucleare sull’isola di Rügen. 124 Riscontro, alla stessa data, del fatto, connesso al bombardamento di Amburgo, in GUARESCHI 2011 rist., p. 385: “Potente formazione angloamericana. Una nuvola apocalittica dalla parte di Amburgo. Come nuvole d'argento luccicando passano altissimi nel cielo azzurro e terso del mattino, o, trasparenti come pesci quando scivolano nell'acqua profonda, appaiono e scompaiono nell'aria.” 125 Allusione alle visioni della Madonna che ebbe la piccola Adelaide Roncalli presso Ghiaia di Bonate (Bergamo) nel maggio 1944. Su questa miracolosa ap- parizione, riscontro in GUARESCHI 2011 rist., p. 389 (nelle Note di fine mese): “Notizie della miracolosa apparizione vicino a Bergamo.”

77

23.6.44 – Ricevo da casa una lettera del 24.5. R. L.: occupazione di Fermo, Siena... Ore 21,30: mi viene annunciato un pacco.126 Grandi bombardamenti su Brema, Amburgo, Stettino, Hannover...

[c. 16r] 24.6.44 – Ore 13,20 – Aerei sorvolano la zona; un apparecchio precipita in fiamme e un pilota discende col paracadute. Le sentinelle tedesche sparano sugli internati usciti dalle baracche per vedere: tre ufficiali feriti. [Non c'era allarme aereo; gli ufficiali erano lontani dai reticolati, nello spazio permesso!] A uno dei feriti deve essere amputato il braccio destro.127

126 La fame e le dolorose privazioni portavano i prigionieri a sperare ardentemente nei pacchi viveri inviati dalle loro famiglie, segno concreto della conservazione, in terre lontane dalla patria e stante la enorme difficoltà delle comunicazioni, dei cari legami familiari. Sicché aver ricevuto o non aver ricevuto un pacco poteva riempire di gioia e conforto il prigioniero o, all'opposto, precipitarlo nella più cupa, rancorosa depressione. Leggiamo in proposito cosa scrive il Guareschi al 23 ottobre 1944 (GUARESCHI 2011 rist., p. 430): “Vicino a me mangiano grosse scodelle di riso, formaggio grana, galletta bianca. C'è chi fuma sigarette. Dio, che fame disperata, che voglia di masticare. Che voglia di fumare. C'è gente che ha ricevuto fino a settanta pacchi: gente neppure uno, gente pochissimi. Anche qui ci sono i ricchi e i poveri, quelli che hanno “gente in gamba” a casa. E c'è chi schiatta per troppo mangiare e io crepo di fame, come tanti altri. Almeno qui dovremmo essere tutti uguali.” I pacchi erano di regola perquisiti e scompigliati dal personale di guardia, come ricorda Alessandro Dietrich, detenuto a Wietzendorf (DIETRICH 2007, p. 122): “Quando t'arriva, vai a ritirare il pacco e il crucco ti sfascia tutto, ti rovescia tutto, ti confonde e ti macchia tutto: la conserva di pomodoro con lo zucchero, il pane seco col surrogato, un pezzo di lardo te lo avvolge nelle calze di lana... Camillo (il fratello del Dietrich, nda), l'altro giorno, masticò un quadratino di petrolio solido perché il crucco si convincesse che era zucchero! e quello ci ha cre- duto! Così abbiamo fatto il surrogato: però Camillo, in baracca, ancora sputava!...” 127 L’episodio è ricordato anche da Giovannino Guareschi nel suo diario da Sandbostel al 24 giugno 1944, con una variazione nel numero dei feriti e l’aggiunta della reazione delle sentinelle: “Passaggio sulle nuvole di una formazione. Coppola suona. Brusio: scende un paracadutista, l’apparecchio caduto brucia a est, lontano. Corrono. La torretta spara, quattro colpiti: due al braccio (uno perderà il braccio). Fuggono. Sentinelle sghignazzano… (Fulminea tragedia).” (GUARESCHI 2011 rist., p. 387)

78

25.6.44 – R. L. … e giornali tedeschi. Le Armate Russe [400 Divisioni] attaccano su un fronte di quasi 300 Km. Vitebsk occupata.128 La caduta di Cherbourg.129 Bombardamenti terroristici su Berlino…130 27.6.44 – Le “previsioni” e l’impegno del pranzo a cinque…! 30.6.44 – R. L. … Si combatte a sud di Caen… La lotta per Ancona. Due poderose colonne puntano su Minsk… 4.7.44 – . Minsk superata e occupata.131 Dicerie!!!! (L’esercito tedesco132 non combatterebbe). Lotta intorno a Caen. L’inquietudine, i timori e la realtà. In partenza per Wietzendorf133… insieme con Santucci. La foto dei miei genitori… [L’occhio del fatto…] 7.7.44 – La partenza sospesa…

[c. 16v] 12.7.44 – Pioggia e freddo; il cappotto è ancora buono!!! R. L.: la conquista di Caen.134 La grande offensiva all’ovest. All’est la valanga russa avanza irresistibilmente… Occupazione di Vilna…135

128 Guareschi ricorda l'assedio della città russa di Vitebsk al 24 giugno (GUARESCHI 2011 rist., p. 387). Le divisioni tedesche capitolarono a Vitebsk il 26 giugno 1944. 129 Cherbourg, città della penisola del Cotentin, fu in realtà conquistata dal VII Corpo d'Armata americano il 27 giugno 1944, con la presa dell'arsenale. 130 Su Berlino gli Alleati rovesciarono 44815 tonnellate di bombe, con una distru- zione di 2591 ettari di territorio metropolitano (il 33% dell’abitato). Vd., per un bilancio delle distruzioni causate dalle forze aeree alleate in Germania, Giorgio Bonacina, Le bombe dell’Apocalisse, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1973, pp. 112- 122. 131 Minsk fu liberata il 3 luglio 1944 dalle armate del 2° e 3° Fronte Bielorusso. La perdita di Minsk costò ai tedeschi, secondo una fonte sovietica, 400.000 morti e 158.000 prigionieri. 132 tedesco] Tedesco 133 Wietzendorf] Wizendorff 134 Caen fu liberata non prima del 18 luglio 1944 dalle truppe del 2° Corpo canadese. Clementi viene a sapere della liberazione di Caen prima del 18 luglio, come annota sul taccuino, ma in quei giorni la città era ancora in mano ai tedeschi. Se non si tratta di una confusione sulle date, si potrebbe arguire che Radio Londra anticipasse, per motivi di propaganda, i successi bellici che comunque erano destinati a verificarsi. Da notare anche che le notizie sull’andamento del fronte occidentale venivano risapute dai prigionieri prima di quelle del fronte orientale. 135 Vilna] Wilno

79

Verso la Prussia che viene sgombrata… In Italia: lotta intorno ad Ancona, Arezzo, Siena, ecc. Le speranze ingigantiscono!! Sogni: si mangia l’uva!!! 18.7.44 – I bagagli tornano in sede… Terremoto notturno. Attesa snervante. Siena evacuata. 21.7.44 – L’attentato a Hitler136… – Ovest: Occupazione di St.Lô137 e offensiva angloamericana. Est: Dopo la conquista di Kaunas e Grodno i Russi marciano verso la Prussia. La grande offensiva su tutto il fronte. Sud: Sgombero di Ancona, Livorno, Arezzo… I fantastici notiziari.138 22.7.44 – Il proclama di Hitler… Voci… 23.7.44 – Diceria: il lavoro obbligatorio139… 24.7.44 – Sorprese mattutine: i “crucchi” cambiano saluto!!!140 R. L. Le truppe d’Italia e dell’Est dissidenti. Disordini… L’attesa per l’arrivo del generale.141

Capitale della Lituania (più nota come Vilnius), liberata il 13 luglio 1944 dalle armate del 3° Fronte Bielorusso. 136 Riscontro dell'episodio, alla stessa data, anche in GUARESCHI 2011 rist., p. 396: “Dal giornale tedesco notizia dell'attentato ad Adolfo.” Il 20 luglio 1944 una bomba ad alto potenziale, collocata dal colonnello antinazista Claus von Stauf- fenberg, esplose nel quartier generale di Hitler a Rastenburg, distruggendo la sala in cui il Führer (che scampò all'attentato) era in riunione con il suo Stato Maggiore. Sull'attentato a Hitler: Giuseppe Mayda, Salta in aria la tana del lupo, in “Storia Illustrata”, n. 196, marzo 1974, pp. 116-123. 137 St.Lô] St.Lö. Cittadina della Bassa Normandia. 138 Si allude, forse, ad annunci di travolgenti vittorie degli Alleati e dei Russi o al tracollo della Germania, dopo la notizia (falsa) della fine di Hitler. La guerra però sarebbe durata in Europa ancora nove mesi. Anche nel diario di Guareschi si fa cenno, al 24 luglio 1944, di una “inflazione delle balle serali” (GUARESCHI 2011 rist., p. 396). 139 Riscontro, alla stessa data, con riferimento all'accordo tra Mussolini e Hitler per la trasformazione degli internati militari in lavoratori civili (da avviare al lavoro coatto nelle aziende e industrie tedesche), in GUARESCHI 2011 rist., p. 396: “Mussolini ha definito la posizione degli internati: o combattere o lavorare.” 140 I tedeschi, forse in omaggio alla contemporanea visita del Duce in Germania, usarono quel giorno il saluto romano. Così testimonia Guareschi al 24 luglio 1944: “I tedeschi da stamattina salutano romanamente.” (GUARESCHI 2011 rist., p. 396) 141 Si tratta di un generale fascista impegnato a convincere i prigionieri a optare per la RSI o per il lavoro civile nelle aziende tedesche. Riscontro in Guareschi (GUA- RESCHI 2011 rist., p. 396), a proposito di questa visita che fu molto sbrigativa, alle

80

26.7.44 – La richiesta delle liste e le… minacce.142 Voci di partenza… 28.7.44 – Lublino, Przemysl occupate. Investimento di Varsavia143 … – Partenza in vista… Per dove?144...

[c. 17r] Pericoli scongiurati...145 – Gli alleati sembrano attaccare decisamente… – I particolari dell’attentato…146 e voci sullo… stato di salute…147

date del 23 luglio (“Domani viene un generale: per il lavoro obbligatorio?”) e del 24 luglio 1944 (“Un generale fa una visita di corsa in sei minuti: tutti lo salutano.”). 142 Mussolini durante la visita a Hitler, in un promemoria del 20 luglio 1944 approvato dal Führer, propose di definire la posizione dei militari italiani prigionieri nei lager tedeschi, nel senso che avrebbero dovuto scegliere tra combattere in Italia nei ranghi della RSI o lavorare come civili in Germania. Era esclusa ogni ipotesi di rimpatrio in Italia, mentre i prigionieri avrebbero perso il loro status di militari e as- sunto quello di “lavoratori civili”, il che comportava l'obbligo di presentarsi ai locali Uffici di Collocamento per ottenere l'impiego (nelle aziende tedesche) e la tessera annonaria. Chi si rifiutava di prestare il servizio lavorativo “civile” poteva incorrere nel reato di accattonaggio ed essere condannato ai lavori forzati o inviato al campo di punizione di Wietzendorf (come fu per Guareschi). Spiega la nuova situazione dei prigionieri, sancita da una formale “apertura dei cancelli” del campo, Cosimino Ca- vallo nel suo memoriale (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 53): “Costretto, quindi, d'autorità alla “civilizzazione”, mi trovai obbligato a presentarmi presso un Ufficio di Collocamento per ottenere il lavoro e la tessera annonaria per poter man- giare, diversamente potevo incorrere nel reato di accattonaggio ed essere punito con la deportazione ai lavori forzati. Secondo contratto, sarei stato pagato 120 mar- chi al mese, ma con gli straordinari potevo arrivare anche a 180; il vitto era a mie spese, in quanto all'alloggio avrei continuato ad usufruire della baracca del campo. Da “libero lavoratore”, avevo diritto al riposo settimanale e, nel tempo libero, potevo circolare a non più di 2-3 Km nel circondario e la sera potevo rientrare non più tardi della mezzanotte.” Il Clementi qui fa evidentemente allusione alle liste, che avrebbero dovuto essere compilate, degli IMI optanti per la RSI e di quelli che avevano “liberamente” scelto il lavoro obbligatorio in Germania. 143 Varsavia] Warsavia 144 Riscontro, alla stessa data, in GUARESCHI 2011 rist., p. 398: “Liste dei partenti”. Al 31 luglio successivo il Guareschi registra la partenza di 450 internati per Wietzendorf (GUARESCHI 2011 rist., ibid.). 145 Il pericolo di essere mandato al campo di Wietzendorf, ove la detenzione era ben più dura che a Sandbostel, o al lavoro coatto in aziende e fattorie tedesche. 146 L’attentato a Hitler del 20 luglio 1944.

81

29.7.44 – “R. L.”. Voli di… disturbo… sulla zona. La Vistola superata (?). Conquista di Radom. Gli Angloamericani attaccano. Occupazione di Senigallia...148 1.8.44 – In attesa delle decisioni della Turchia… Tentativi di sfondamento riusciti in Francia… La lotta intorno a Firenze… 2.8.44 – La partenza del II° scaglione per il 4.8…Voci di altre… partenze… Sgombero del campo. In Normandia gli Alleati attaccano e, in diversi punti, riescono a penetrare… ____? Kaunas evacuata… Verso Riga… Investimento di Varsavia… Tentativi di oltrepassare la Vistola respinti (!?!?)… Stato di inquietudine. La “Voce della patria”:149 gli internati e il lavoro!! Le… riserve di pazienza… fortemente intaccate!! Quando, quando finisce?!... 4.8.44 – Il II° Scaglione parte per Wietzendorf.150 I Russi giunti al Baltico. Continua l’investimento di Varsavia...151 Varie teste di ponte sulla Vistola. Il confine prussiano152 oltrepassato… Successi sovietici nei Carpazi. In Normandia gli Alleati avanzano. Occupazione di Avranches e Rennes...153 [I più prevedono la soluzione in agosto…]

[c. 17v] 5.8.44 – Ore 11,45. Grosse formazioni di bombardieri angloamericani sorvolano la zona. Violenti duelli fra caccia: quattro aerei precipitano nei pressi del “lager”. Numerosi paracadute…

147 Così Guareschi al 28 luglio 1944: “Circola insistentemente la chiacchiera della scomparsa del baffetto (Hitler).” (GUARESCHI 2011 rist., p. 398) 148 Senigallia fu liberata il 4 agosto 1944. Alla data indicata dal Clementi (29 luglio) le truppe polacche del generale Anders stavano impegnando i tedeschi nello scontro. 149 La “Voce della Patria” era il settimanale che si stampava a Berlino (sede: Viktoriastrasse 20) ad opera di giornalisti italiani aderenti alla RSI; veniva diffuso gratuitamente nei campi di prigionia ma le notizie ivi pubblicate, frutto spesso di propaganda, suscitavano per lo più diffidenze e commenti ironici tra gli internati italiani (lo stesso Guareschi è al riguardo assai critico nel suo Grande Diario). 150 Wietzendorf] Wizendorff 151 Varsavia] Warsavia 152 prussiano] Prussiano 153 Riscontro, alla stessa data, in GUARESCHI 2011 rist., p. 401: “Euforia per Rennes.” Rennes fu liberata il 4 agosto 1944 dall'VIII Corpo d'Armata americano.

82

Ore 13: Centinaia e centinaia di aerei angloamericani continuano a sorvolare la zona: spettacolo impressionante. Ore 13,10: due caccia angloamericani volteggiano a lungo a bassissima quota sul campo… 6.8.44 – Dalle 11 alle 13,45 la zona è continuamente sorvolata da imponenti formazioni angloamericane… 8-9-10.8.44 [Il peso della prigionia mi diventa sempre più grave. Nervosismo ed inquietudine continua e in aumento. Brutti pensieri per i miei cari e per la mia sorte. Notti di veglia. Le rosee previsioni sembrano alquanto svanire.] – In Francia gli Angloamericani sembrano finalmente dilagare… La penisola di Bretagna invasa. Fronte Orientale: Varsavia circondata, si combatte per le vie della città… I Russi formano due teste di ponte sulla Vistola… Si prevede una grande battaglia in Prussia. In Italia: si combatte in Firenze. Dopo la rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con la Germania, si attende l’entrata in guerra della Turchia.

[c. 18r] 14.8.44 – Grande battaglia in corso all’ovest. All’est si attende la ripresa dell’offensiva russa.154 Occupazione di Firenze.155 Dal luglio. [– Grazie alla farina, alle patate e soprattutto ai pacchi di S… le condizioni fisiche sono notevolmente migliorate. Spesso però il morale lascia a desiderare… Tutte le previsioni sembrano errate: gli ottimismi si raffreddano, ché le cose sembrano andare ancor per le lunghe; si guarda non senza apprensione al veloce trascorrere dell’estate… Saremo ancora qui quest’inverno?!?] – Niente più notizie da casa; si crede che pacchi e pasta non giungeranno più…

154 Mentre a Varsavia i patrioti guidati dal generale Bór-Komorowski insorgevano, l’offensiva sovietica si era inspiegabilmente arrestata ai sobborghi di Praga. L’at- teggiamento di astensione dei sovietici, dovuto forse a ragioni politiche (il generale Bór-Komorowski avrebbe voluto instaurare un governo liberale a Varsavia), determinò, com’è noto, il fallimento dell’insurrezione, che si concluse il 2 ottobre 1944. I polacchi pagarono la coraggiosa rivolta contro i tedeschi con 250.000 vit- time. 155 Firenze fu liberata l’11 agosto 1944, ma i combattimenti durarono fino ai primi giorni di settembre.

83

15.8.44 – Ore 15,10: l’annuncio dello sbarco sulla Costa Azzurra. Cambio della guardia al comando italiano del campo: il cap.156 Brignole cede il posto al colonnello Angelini. [Malumori…!!!]157 24.8.44 – (R. L.). La Romania accetta l’armistizio… In Francia gli Angloamericani marciano molto bene… Parigi superata: forze tedesche158 accerchiate e in via di annientamento… Dal sud gli Alleati avanzano celermente: occupazione di Grenoble…159 Grande attività dei partigiani nella Savoia e in Italia. 27.8.44 – Situazione caotica in Romania.160 Romeni contro Tedeschi. 120.000 Tedeschi fuori combattimento. I Russi nella piana di Ploesti. Antonescu impiccato [?!?]. La Bulgaria

[c. 18v] ottiene l’armistizio e “interna” i Tedeschi… – Francia: Reims occupata:161 due colonne alleate verso la Sigfrido. 14 divisioni tedesche accerchiate a nord della Senna… Occupazione di Briançon… Gli Anglo-

156 cap. = capitano. 157 Anche Guareschi registra il fatto nel suo Grande Diario al martedì 15 agosto 1944, con un duro giudizio verso il comandante subentrante (p. 404: “Cambia il Comandante italiano: Brignole dimesso e al suo posto uno degli imbecilli ufficiali superiori arriva a inquinare il campo di Wietzendorf.”). 158 tedesche] Tedesche 159 Nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1944 le truppe alleate sbarcarono nella Francia Meridionale, sulla costa tra Tolone e Cannes (operazione “Anvil-Dragoon”), per avanzare da sud e realizzare il ricongiungimento con il fronte nord della Francia. Grenoble fu liberata il 22 agosto 1944 dalla 36° divisione del VI Corpo USA. 160 Il 23 agosto 1944 il dittatore filofascista romeno (Conducator) Ion Antonescu, sostenitore dell'alleanza con la Germania, fu deposto e arrestato. Al suo posto re Michele I nominò capo del governo il moderato Constantin Sanatescu e ordinò la cessazione delle ostilità contro l'Armata Rossa, accettando la resa incondizionata richiesta da Mosca. Il 25 agosto la Romania dichiarò guerra alla Germania. L’ex dittatore Antonescu, processato e condannato a morte per crimini di guerra, venne fucilato nella prigione di Jilava il 1° giugno 1946. Vd. Mario Lombardo, Il piccolo duce della Romania, in “Storia Illustrata”, n. 252, novembre 1978, pp. 114-121. 161 La 5a divisione americana del XX Corpo (III Armata USA, comandata dal famoso generale Patton) entrò a Reims il 29 agosto 1944. Clementi annota il fatto al 27 agosto: evidentemente Radio Londra aveva anticipato la liberazione, per motivi propagandistici.

84

Americani a 80 Km. da Torino… Misure ultradraconiane in Germania… Per quanto ancora? 28.8.44 – Ore 10,20: L’assassinio del Ten. Romeo – la vivissima indignazione162 …! –Notiziari163 e bollettini sensazionali: altro sbarco in

162 L’assassinio del tenente di artiglieria Vincenzo Romeo, calabrese di Siderno Marina, è puntualmente riportato anche da Guareschi (GUARESCHI 2011 rist., p. 408) alla data del 28 agosto 1944: “Alle ore 10,30 (è stato) ucciso il tenente Vin- cenzo Romeo, (dal)lo stesso che ha accoppato il russo sabato. Stava lavandosi, lo curava. La palla di rimbalzo sulle ossa (si è piantata) nella nostra baracca (89 B).” Riscontro anche in ZUPO 2011, p. 37, alla stessa data. Notizie più dettagliate, con una variazione sul giorno del fatto, le fornisce Gino Bertolini nelle note alle sue Liriche dall’esilio (p. 43): “Il 29 agosto 1944, nel campo di Sandbostel, alle ore 10,30 circa, il deportato Vincenzo Romeo lavava i suoi panni all’unica fontana. Cantava sereno nonostante le sofferenze tra le quali viveva da 15 mesi. Per strizzare i panni si era avvicinato al filo che precedeva il reticolato. Dalla torretta la senti- nella Neubauer, che già la mattina del 28 agosto aveva sparato sui prigionieri russi, lo uccideva con un colpo di fucile senza giustificazione alcuna. Il Romeo cadde riverso invocando la madre. La sentinella ebbe dai suoi un permesso speciale come premio”. Sul premio all’uccisore lapidarie parole anche in Guareschi, ibid. (“Un pre- mio a chi uccide. Se non colpisce (gli) arresti”). Anche al tenente Romeo il Bertolini dedica una poesia che riportiamo di seguito (da Liriche dall’esilio, p.17):

Gino Bertolini SENZA RITORNO In morte di Vincenzo Romeo Accanto al groviglio di filo spinato apriva cantando i cenci detersi al pallido sole, sognava una piccola casa fra i calabri monti sperduta.

D’un tratto uno schianto ed un grido: Mamma Mamma. Null’altro. il sangue copioso scorreva dal sommo del petto e l’acqua del vallo faceva vermiglia.

Muti d’orrore pel gelo di morte che il vuoto diuturno del cuore accresceva, vedemmo perdersi nella brughiera su traballante carro il cruciato compagno d’esilio.

85 vista?!? L’intensificata attività sulle coste dei Paesi Bassi… [Ritorna la “sensazione” di una “odissea” finale!!!] – Il fronte francese in sfacelo! “Il fronte rumeno non esiste più”!!! Forti perdite dei Tedeschi ovunque… I giornali tedeschi dicono che gli Alleati vogliono dare il colpo decisivo alla Germania in questo scorcio di estate. È opinione generale che entro l’autunno tutto sarà finito… 1.9.44 – Malessere febbrile… 2.9.44 – Senza febbre. 3.9.44 – Ritorna, con freddo, la febbre… [Malaria?] Il termometro segna 41-2!! Le cure di S… La Finlandia abbandona la lotta… 4.9.44 – Senza febbre…! Metz, Verdun, Nancy raggiunte… I Russi ai confini ungheresi e bulgari. Pesaro superata.164 Namur, Liegi, Bruxelles165 raggiunte. [Tifo petecchiale nel campo – contumacia166 – misure del com.do167 italiano… “Ci mancava anche questo”!!]

Or tu o Madre attendi, attenderai sempre dal limite del casolare il figlio che non ritorna. E s’io serri un dì tra le palme di mamma un volto di pianto di gioia rigato, Te pur vedrò calabra santa del dolore e bacerò le spine del tuo cuore. Sandbostel (Hannover), 29 agosto 1944. 163 Notiziari] Notiziarii 164 Pesaro venne liberata il 1° settembre 1944 dal II Corpo Polacco del generale Anders. 165 Riscontro della liberazione di Bruxelles, al 3 settembre 1944, in GUARESCHI 2011 rist., p. 412. 166 L'epidemia di tifo trova, come solito, riscontro in Guareschi, alla stessa data (GUARESCHI 2011 rist., ibid.): “Otto casi di tifo petecchiale? Grande impres- sione.” E poi, al successivo 5 settembre, è annotato l'isolamento del campo: “Siamo isolati: per molti giorni nessun tedesco entrerà in campo né nessuno o niente en- trerà o uscirà eccetto la morte, naturalmente. Poi si vedrà.” Notizie più dettagliate nel memoriale di don Luigi Pasa, anch'egli internato a Sandbostel (DON PASA 1947, p. 123): “Nel complesso, con tanta gente ivi riunita e proveniente da varie parti, epidemie gravissime non se n'ebbe. Avemmo sì il tifo petecchiale, ma, per grazia di Dio, fra g'italiani non si generalizzò. I primi casi si manifestarono il 4

86

5.9.44 – Gli Anglo-Americani entrano in

[c. 19r] Olanda a Breda…168 I Russi attaccano intorno a Varsavia… 6.9.44 – Gli Alleati sbarcano truppe (300.000) ad Anversa occupata – e si attestano sul Reno (?). Treviri e Aquisgrana sotto il fuoco delle loro artiglierie… Rimini e Cattolica superate? Inizio delle ostilità tra Bulgaria e Russia; e pace!! Le truppe tedesche si ritirano entro i confini nazionali… 10.9.44 – Il pericolo del tifo va scomparendo. Continua la contumacia. Gli Anglo-Americani e i Russi alle frontiere della Germania: impaziente attesa dell’attacco finale. (Esaurimento completo delle risorse di… pazienza… Si vegeta!!). 15.9.44 – Nuovo attacco di febbre. (Malaria.) 17.9.44 – Altro attacco di febbre… Il bollettino… inglese: Lo sbarco dell’armata aviotrasportata in Olanda.169 Attacco generale dalla Svizzera al mar del N.170 Stalin annuncia imminente l’offensiva che condurrà le Armate russe a Berlino…

[c. 19v]

settembre. I colpiti dovevano venire subito isolati. Dove, se non c'era posto?... Deci- demmo di trasferire nella cappella gli alloggiati della baracca 85, e, in questa, riunire gli infetti. I tedeschi, saputo del tifo, non si fecero più vedere in mezzo a noi, in modo che noi stessi dovemmo decidere, curare, insomma arrangiarci.” Il sottotenente Antonio Zupo annota i primi casi di tifo petecchiale al 6 agosto 1944 (ZUPO 2011, p.36): “Per il campo si sparge la voce che vi sono due casi di tifo petecchiale . I due ufficiali che sono colpiti da tale malattia si trovano all'ospedale.” 167 com.do = comando. 168 Il 5 settembre 1944 venne diffusa da Radio Londra la falsa notizia della libera- zione di Breda: cosa pressoché unica nella seconda guerra mondiale, i tedeschi e i loro alleati, le milizie filonaziste di Mussert, evacuarono la città senza praticamente combattere. 169 Annotazione dello sbarco aereo a Nimega alla data del 16 settembre 1944 in GUARESCHI 2011 rist., p. 416. Comincia l'operazione delle truppe alleate “Market Garden” per la conquista di Arnhem, distante 16 km. da Nimega, che però si risol- verà in un sostanziale fallimento. 170 N. = Nord.

87

18.9.44 – Il sogno del bambino e l’arrivo del pacco da… Imola! Il ciclo di cura di chinino171 e lo stordimento. 20.9.44 – Sempre in attesa spasmodica di grandi notizie. Giorni neri: pazienza completamente esaurita; sfiducia: le buone notizie sono fuochi di paglia. Nessuna notizia da casa; brutti pensieri… (“Non se ne può più…!!”) Rancio in peggioramento: le sbobbe a base di… acqua e polveri varie!!! Si incomincia a disperare di essere a casa per il Natale… 23.9.44 – Umore e morale in condizioni… disastrose…172 Si attende da tutti i fronti lo scatenarsi dell’avanzata… Dicerie; dissensi tra i capi nazisti; Goering dimissionario. 24.9.44 – I reparti aviotrasportati sembrano trovarsi in serie difficoltà: i tedeschi combattono con impeto fanatico e contrattaccano.173 La “contumacia” intanto volge al termine… [“Amene” considerazioni sulla vita nel lager: All’aperto: spazio libero per ognuno = m2 5 In baracca: = m2 0,57 : aria libera = m3 5,85 Acqua: 1 rubinetto ogni 25 persone

[c. 20r] Gabinetti: per ogni buco 77 persone! Spazio tra i posti-letto: m2 7,20 per 48 persone. Posti a sedere, a tavola, per 80 persone.] 25.9.44 – L’arrivo del convoglio da Oberlangen.174 21 ufficiali feriti in seguito a mitragliamento. Altri due casi di tifo in vista? Al fronte ovest

171 Per curare la malaria. 172 Le terribili privazioni fisiche e morali provavano così duramente i prigionieri da far perdere, talvolta, anche la ragione. Nota il Guareschi al 21 settembre 1944 il triste caso del capitano Montanari, improvvisamente uscito fuori di senno (GUA- RESCHI 2011 rist., p. 418): “Improvvisamente il capitano Montanari ha gettato per terra gli occhiali e la bacinella gridando: «Basta! Ha detto Dio che non servono più!». Poi è stato portato al manicomio.” 173 Annota Guareschi al 24 settembre 1944, “Smacco inglese ad Arnhem” (GUARESCHI 2011 rist., p. 419). La 1a divisione aviotrasportata inglese venne sopraffatta dai tedeschi e, a prezzo di gravissime perdite, dovette ripassare il Reno. 174 Oberlangen] Oberlaghen

88 continua violenta la lotta: ad Arnhem la situazione sembra essersi chiarita. Rinforzati da nuovi lanci, i reparti aviotrasportati tentano di riunirsi alla 2a Armata anglo-americana e si apprestano a passare in territorio tedesco. 28.9.44 – L’azione dei reparti aviotrasportati ad Arnhem sembra fallita. In compenso gli Anglo-Americani attaccano ovunque e ottengono successi specialmente nella zona di Aquisgrana. I Russi, sempre occupati a “rastrellare” i paesi Baltici, non si decidono ancora ad attaccare seriamente sul fronte centrale. In Italia dopo l’evacuazione di Rimini i Tedeschi contrastano seriamente agli Inglesi la via di Bologna. (Morale prevalentemente basso; in certi momenti sconforto e pessimismo.) Almeno finisse entro l’anno!!!

[c. 20v] 30.9.44 – La radio prende il volo…175 . . . . . [Tristezza, sconforto continuo. Lunghe ore della notte in veglia col pensiero rivolto a casa, ai miei cari. Immensa nostalgia della mia campagna… La vendemmia… Non ricordo quasi l’ambiente in cui sono nato e vissuto… tutto sembra enormemente lontano, come un sogno… Che sofferenza!]

Riscontro in GUARESCHI 2011 rist., p. 419, alla data del 24 settembre 1944, con lieve variazione del numero dei feriti: “Sono arrivati da Oberlang i millecinquecento ufficiali mitragliati a Brema dagli inglesi: venti feriti, due gravi”. Il campo di prigionia di Brema era stato oggetto di un bombardamento aereo della R.A.F. e i pri- gionieri superstiti erano stati evacuati. 175 Allusione, forse, al fatto che era stata trovata dai tedeschi la radio clandestina? Si noti che al 29 settembre 1944, ossia al giorno prima, il Guareschi, che era nello stesso campo di Serafino Clementi, annota nel suo Grande Diario (cit., alla p. 421): “A colpo sicuro la Gestapo alla (baracca) 67 di Gigi Lombardi. (Chi sarà la spia?) Storia della Caterina.” La Caterina era il nomignolo dato ai prigionieri a una radio clandestina, che non è però quella sequestrata al prigioniero Lombardi. Si tratta dello stesso episodio a cui allude nel suo taccuino Serafino Clementi? Va aggiunto che al sequestro della radio seguiva, per il malcapitato prigioniero, una punizione come tre mesi di carcere duro (come informa la relazione del ten. col. Pietro Testa, coman- dante italiano del campo di Wietzendorf, a proposito del tenente C.: vd. GUA- RESCHI 2011 rist., p. 126).

89

Non ne posso più! . . . . . 1.10.44 – La cresima di Santucci. Padrino.176 2.10.44 – Fine contumacia; riprendono gli appelli; facce nuove tra i “crucchi”! R. L.: Cesena e Imola raggiunte… I Russi sembrano decisi a liquidare le faccende nei Baltici… Sembra che anche gli Anglo-Americani attacchino… 6.10.44 – Il bollettino tedesco annuncia prossima una offensiva al- l’ovest. R. L.: i177 Russi a 80 Km. da Budapest, combattimenti sulla via di Belgrado. Attacco in forze nel settore di Cracovia. All’ovest: Violenti combattimenti nella zona di Aquisgrana: gli Anglo- Americani a 12 Km. da Colonia (?) e nei pressi di Bologna. – Vitto in notevole peggioramento: cavoli, crauti178 e… polveri179…! – Notevole già il freddo; nebbia e umidità. – Arrivano nel lager gli insorti di Varsavia…180

176 Nel campo vi erano regolari servizi liturgici, prestati da cappellani militari. Uno di questi era don Luigi Pasa. Le sofferenze e le privazioni avvicinarono alla Fede molti prigionieri, cosicché non rare erano le conversioni e la somministrazione dei Sacramenti ai convertiti. La cresima di sessanta ufficiali italiani, tra i quali dovette esservi anche il Santucci, è registrata in Guareschi alla medesima data, il 1° ottobre 1944, nel suo Grande Diario (p. 423). Di don Pasa circolavano nel campo sue foto- grafie, in cui appariva abbigliato con paramenti liturgici, che faceva passare per immagini di S. Cirillo o del Papa: esse erano vendute ai prigionieri russi in cambio di pane, zucchero e altri viveri (che il sacerdote distribuiva agli italiani). Vd. l’inserto fotografico in BEDESCHI 1990. 177 i] I 178 crauti] krauti 179 Si tratta di vegetali liofilizzati. 180 Si tratta dei patrioti polacchi superstiti dell'insurrezione di Varsavia, iniziata il 1° agosto e definitivamente soffocata dai tedeschi il 2 ottobre 1944 (oltre 250.000 polacchi vi persero la vita). L'insurrezione fallì anche perché le truppe sovietiche, non lontane dalla città, si astennero dal portare soccorso agli insorti (come recri- minano le prigioniere polacche citate da Guareschi, vd. oltre). Puntuale annotazione di Guareschi al 7 ottobre 1944 (GUARESCHI 2011 rist., p. 425): “I relitti dei nau- fragi bellici vengono a finire tutti nei Lager: i prigionieri polacchi di Varsavia (dell'armata d'insurrezione e dell'armata russa Berlinger) solo dal 22 settembre sono trattati come prigionieri, prima erano fucilati sul posto. Abbandonati dalla Russia: gioco spietato della Russia che si libera dei futuri difensori della Polonia

90

[c. 21r] [Morale sempre più basso… Rari gli sprazzi di serenità, di fiducia… Non riesco più a trovare in me alcuna energia, né motivi di conforto… Sento ogni giorno più irresistibile il desiderio, anzi il bisogno dei miei cari, della mia casa e la sofferenza, talvolta, ha quasi della dispera- zione…] 8.10.44 – Voci di un’offensiva in atto su tutti i fronti… I notiziari tedeschi181 la annunciano prossima… 12.10.44 – Notiziari e bollettini tedeschi danno notizia di una grande offensiva su tutti i fronti. Ovest: Sbarchi inglesi alle foci della Schelda; violenta lotta intorno ad Aquisgrana. Est: i Russi dilagano nella pianura ungherese: si combatte in Belgrado182 – avanzata sovietica in Prussia. Italia: lotta intorno a Bologna semidistrutta.183 – Giungono i viveri dell’Assistenza:184 gallette, latte, formaggini; la questione dell’assegnazione. 18.10.44 – Arrivano le donne polacche; loro comportamento: considerazioni!!!185 dopo averli fatti insorgere. Chiedono se optano contro la Russia. (…) I polacchi cantano. Quante cose dobbiamo imparare da loro: dignità, amore per l'indipenden- za e la libertà, solidarietà.” 181 tedeschi] Tedeschi 182 Belgrado verrà liberata completamente il 20 ottobre 1944 dalla 46a e dalla 57a armata sovietica del gen. Tolbuchin e dalle forze partigiane di Tito. 183 Per la durissima resistenza dei tedeschi, Bologna verrà liberata soltanto il 21 aprile 1945. Alla data del 12 ottobre 1944 le truppe alleate erano arrivate presso Cesena. Sulla liberazione di Bologna, a cui partecipò il Gruppo di Combattimento “Legnano”, formazione del ricostituito esercito italiano, vd.: Antonio Ricchezza, Quel giorno liberammo Bologna, in “Storia Illustrata”, n. 305, aprile 1983, pp. 100- 106. 184 Si tratta del Servizio Assistenza Italiana, un ufficio creato dalla RSI, dietro sollecitazione del suo ambasciatore a Berlino Anfuso, per l'invio di aiuti agli internati militari in Germania. Aiuti che giunsero in quantità assolutamente insuf- ficiente e saltuariamente. 185 Si tratta delle patriote polacche, le donne-soldato catturate durante l'insurrezione di Varsavia. Riscontro in GUARESCHI 2011 rist., p. 426: “Hanno portato qui cinquecento donne polacche che a Varsavia combattevano con funzioni di ufficiali: «Quei porci di russi che erano a cinque chilometri non ci hanno aiutate». L'ex

91

22.10.44 – Seria offensiva russa in Prussia Orientale e nella pianura ungherese. A conclusione dei colloqui di Mosca, Churchill annunzia una grandiosa offensiva generale per la fine del mese. Lotta intensa, all’ovest, intorno ad Aquisgrana distrutta e alle foci della Schelda. Il proclama di Hitler: mobilita-

[c. 21v] zione totale (dai 15 ai 60 anni); la costituzione intorno ai distretti delle “formazioni d’assalto del popolo…” – la decisione di combattere fino all’ultimo uomo “per ottenere una pace giusta…!!” Follia o crimina- lità?!? Notizie lager – Alimentazione in peggioramento: problema legna e acqua – i vani colloqui e le vane richieste del Colonnello186… Incomincia il freddo… Morale prevalentemente basso, nonostante i bollettini e notiziari tedeschi…187 Si pensa, non senza apprensione, all’inverno, alle restrizioni ogni giorno più sensibili, alla situazione ancora oscura… Non son tramontate però le speranze di una fine entro l’anno…!!! 23.10.44 – Un po’ di febbre. Ritorno di malaria? 25.10.44 – Attacco di febbre: di nuovo la malaria. 27.10.44 – Altro attacco di febbre… Spossatezza… 29.10.44 – Tabella-viveri in peggioramento; 150 gr. di rape in luogo di altrettanto di patate.188 Comincio a sentire seriamente il freddo: e

prigioniero di Sandbostel Nino Betta ne descrive il portamento fiero e indomito (Nino Betta, I polacchi, in PIASENTI 1977, p. 354): “E la stessa decisione (dei polacchi prigionieri, ndc) era nel passo delle loro donne – fatte prigioniere con le armi in mano – che volevano esser trattate da soldati, e camminavano militarmente, severe, con una fierezza indomita anche quando andavano a prendere il rancio.” Alcune di loro, prosegue il Betta, erano malate e incinte, e vennero aiutate dagli italiani (particolare confermato da GUARESCHI 2011 rist., p. 437, alla data del 16 novembre 1944). Probabilmente il Clementi voleva esprimere la sua ammirazione per il loro fiero e irreprensibile comportamento. 186 Si tratta del colonnello Angelini, subentrato al ten. di vascello Brignole, come comandante dei prigionieri italiani a Sandbostel. 187 tedeschi] Tedeschi 188 Riscontro al 28 ottobre 1944 in GUARESCHI 2011 rist., p. 431: “Diminuiscono le patate di centocinquanta grammi al giorno!”

92 l’inverno può dirsi non ancora iniziato. La situazione è più che mai preoccupante… Sento che, in tali condizioni, mi sarà ben difficile poter resistere… 9.11.44 – Gli Anglo-Americani alle foci della Schelda, i Russi a Budapest. Si attende sempre,

[c. 22r] con preoccupazione crescente, il grande attacco decisivo… Vento, pioggia, freddo… Giorni più che mai tristi… Tutte le speranze volgono al tramonto… 13.11.44 – Comincia ad arrivare posta da Roma, dagli Abruzzi, dalla Toscana… Da casa niente ancora… Potessi avere notizie almeno per Natale…!! – Il notiziario tedesco189 annuncia un grande attacco degli Americani nel settore di Metz. Ripresa di attività combattiva anche in Italia. Lotta violenta nei dintorni di Budapest. Ancora calma relativa in Prussia… 15.11.44 – Prima neve… Freddo notevole e forte umidità. I dolori reumatici, specie alle spalle, mi tormentano continuamente… Il pensiero è sempre rivolto ai miei cari, alla mia casa, cui, talvolta, temo di non poter mai far ritorno… 17.11.44 – Un ascesso dentario si aggiunge ai già numerosi… fastidi. 19.11.44 – Sei Armate Anglo-Americane, passate finalmente all’attacco, sembrano marciare decisamente verso il territorio tedesco:190 ciò è confermato in gran parte anche dai notiziari tedeschi. Buoni progressi dei Russi in Ungheria… Sempre calma in Prussia e vivace at-

[c. 22v] tività combattiva anche in Italia, intorno a Forlì, Faenza, Ravenna. – Morale generale alquanto più alto: si spera qualcosa dalla nuova offensiva!! 18.11.44 – Da 32 giorni non ci danno lo zucchero.191

189 tedesco] Tedesco 190 tedesco] Tedesco 191 Guareschi registra, alla stessa data di Clementi, una nuova distribuzione di zucchero dopo ventisette giorni (GUARESCHI 2011 rist., p. 437: “Dopo ventisette giorni ci danno lo zucchero.”). Lo scrittore parmense aveva registrato alla data del 4

93

Tabella viveri per la settimana 19-26.11.44

Verdura secca gr. 30 Lunedì: Zuppa Farina di segala gr. 15 Grassi gr. 10

Margarina gr. 25 Marmellata gr. 52 Zucchero gr. 25 Pane gr. 300 Patate gr. 400

Verdura secca gr. 15 Martedì: Zuppa Farina segala gr. 20 Polvere “Bratling”192 gr. 25 Carne gr. 20

Margarina gr. 25 Zucchero gr. 25 Formaggio gr. 20 Pane gr. 300 Patate gr. 400

novembre 1944 il quindicesimo giorno di cessazione della distribuzione di zucchero (GUARESCHI 2011 rist., p.434: “Da quindici giorni non ci danno più lo zucchero.”). Dunque, contando a ritroso i giorni, si arriva al 20 ottobre, secondo il calcolo di Guareschi. Contando a ritroso i trentadue giorni di astensione dalla distribuzione di zucchero indicati dal Clementi (che al Nostro viene ridato il 19 novembre, nella misura di 25 grammi giornalieri, come attesta la sua successiva tabella viveri) si arriva invece al 17 ottobre. Se i calcoli di entrambi non sono sba- gliati, si potrebbe supporre che vi fosse una ineguale distribuzione del vitto ai reclusi di Sandbostel. Certamente Clementi non doveva essere alloggiato nella stessa barac- ca di Guareschi. 192 Si trattava di un preparato di verdure liofilizzate.

94

Verdura secca gr. 30 Mercoledì: Zuppa Farina segala gr. 15 Grassi gr. 10

Salame gr. 45 Zucchero gr. 25 Pane 300 Patate 400

Orzo gr. 55 Giovedì: Zuppa Polvere “Bratling” gr. 25 Carne 20

[c. 23r] Marmellata gr. 52 Pane gr. 300 Zucchero gr. 25 Patate: 400 Margarina gr. 25

Crauti193 in salamoia gr. 250 Venerdì: Zuppa Farina segala 10 Grassi gr. 10

Sanguinaccio gr. 45 Margarina 25 Zucchero gr. 25 Pane gr. 300 Patate gr. 400

193 Crauti] Krauti

95

Rape fresche gr. 600 Sabato: Zuppa Grassi gr. 10

Marmellata gr. 52 Margarina gr. 25 Zucchero gr. 25 Pane gr. 300 Patate gr. 400

Orzo gr. 95 Domenica: Zuppa Carne gr. 20

Sanguinaccio gr. 45 Margarina gr. 25 Zucchero gr. 25 Pane gr. 300 Patate gr. 650

N. B.: Tutte le zuppe senza sale.194 La cucina ne è sprovvista. Ciò dura da quindici giorni.

23-24.11.44 – Attacco, non forte, di malaria.

[c. 23v] 25.11.44 – L’attacco degli Alleati (anche per ammissione dei Tedeschi) prosegue bene su tutto il fronte. (Sembra che in qualche punto sia stato raggiunto il Reno). 328.000 prigionieri fatti dalla IIIa Armata Americana, 112.000 dall’Armata Francese. Violenti combattimenti in Ungheria. Koenigsberg195 superata…? I Russi punterebbero su Danzica. [Si spera bene]. Pioggia, ma non molto freddo. Sempre in ansiosa attesa di notizie da casa.

194 Al 26 novembre 1944 Guareschi annota lo stesso particolare (GUARESCHI 2011 rist., p. 439: “Non c'è più sale.”). 195 Koenigsberg] Koenisberg

96

28.11.44 – Temperatura: -11. E del riscaldamento in baracca, non se ne parla neppure. La notte, per il freddo, non si riesce a dormire… 2.12.44 – L’offensiva degli Alleati sembra continuare con decisione… Notevole anche la pressione russa in Ungheria. – Voci di un prossimo totale sgombero del campo. I tedeschi respingono la lettera alla C.R.I.196 4.12.44 – I bollettini tedeschi197 ammettono successi degli Anglo- Americani nella zona di Aquisgrana (15 Km. di penetrazione), in Lorena e ai lati di Strasburgo. – Intensa attività dell’Aviazione Alleata su tutto il fronte e sulle retrovie tedesche, su gran parte del territorio germanico. – La lettera all’Ambasciata198 del colonnello Angiolini sulla penosa situazione del campo: le pessime condizioni di alloggiamento, di equipaggia-

[c. 24r] mento degli internati; alimentazione in peggioramento e addirittura insufficiente; il freddo e la mancanza di riscaldamento; nessun aiuto da parte degli organi di assistenza nazionali e internazionali; l’aiuto dei pacchi praticamente nullo.199 5.12.44 – Nevischio e freddo notevole… Fame crescente: si applica la tattica del “monopasto” e della “posizione orizzontale”!200

196 C.R.I. = Croce Rossa Italiana. 197 tedeschi] Tedeschi 198 All’ambasciata della RSI a Berlino, retta da Filippo Anfuso. 199 Per quanto riguarda il manchevole o irrisorio aiuto da parte degli organismi preposti, Guareschi annota alla data del 9 dicembre 1944 di aver ricevuto dal S.A.I. (Servizio Assistenza Internati militari italiani e civili, creato dalla RSI) soltanto una galletta e mezza. 200 Molti prigionieri, allorché la consuetudine degli appelli giornalieri cominciò a venir meno e quando le rigide regole dei campi furono allentate, restando il vitto scarsissimo, preferivano restare a letto per consumare meno calorie possibili. Così ci informa il tenente e futuro storico Giampiero Carocci, allora recluso nel campo di Hammerstein (CAROCCI 1995, pp. 90-91): “Ad Hammerstein, contrariamente agli altri campi non esisteva la consuetudine dell'appello giornaliero. Questa fu per noi una novità molto piacevole perché anziché essere costretti ad alzarci la mattina presto (l'appello avveniva generalmente alle sette o alle otto) ci consentiva di resta- re sotto le coperte fin quando ci pareva. Ne approfittavamo per restarvi fino alla distribuzione del rancio. Non che fosse una cosa oltremodo piacevole, ma era il mezzo migliore che avevamo per difenderci contro la fame. Infatti, stando sdraiati

97

8.12.44 – Secondo compleanno in prigionia. Nei confronti dello scorso anno, le mie condizioni fisiche, morali, di equipaggiamento, vitto, ambiente, non sono certo migliorate. Alimentazione sempre note- volmente insufficiente (e notevolmente inferiore a quella dell’estate scorsa).201 [Patate gr. 300 al giorno – cinque minestre a base di rape!]. La razione dà solo 1600 calorie, appena sufficienti per mantenere in vita. [Secondo i calcoli del maggiore medico del campo]. Freddo e umidità costante. Baracche senza riscaldamento. Posti-letto senza pagliericci; scarso, in genere, l’equipaggiamento. [Soffro costantemente il freddo: spesso la notte, per tal motivo, non riesco a dormire. Le mie forze, nei confronti dell’estate scorsa, sono assai diminuite].

[c. 24v] Muscoli e ossa… asciutti al massimo; 55 pulsazioni al minuto; continua il fenomeno delle “mani gelate” per difetti di circolazione; i dolori reumatici, specie alle spalle e alle gambe, sono cosa di ogni giorno. (I fino a quell'ora, lo stomaco rimaneva in uno stato di sonnolenza che impediva di avvertirne le contrazioni, e l'organismo reagiva meglio contro la debolezza in cui la denutrizione lo aveva fatto cadere. Anzi, molti, consumato il rancio, si sdraiavano nuovamente e trascorrevano così l'intera giornata in cuccetta. Facevano questo allo scopo di difendersi non soltanto contro la debolezza, ma anche contro il freddo.” Allo stesso espediente, come pratica comune tra i prigionieri, ricorse anche Lucio De Santis, prigioniero a Wietzendorf, Bremerwörde e Sandbostel (GARDINI 2010, p. 65): “… insomma facevamo quasi tutta la giornata distesi, perché per ogni cosa che facevamo ci voleva un certo sforzo e non avevamo più le forze per mancanza di cibo, e quindi stavamo sempre in orizzontale su pagliericci per terra.” 201 L’assidua, tormentosa compagnia della fame spinse molti prigionieri a fanta- sticare, in una sorta di paradossale passatempo (che rischiava di divenire esso stesso una tortura ulteriore), le più elaborate ricette di succulenti pietanze e specialità gastronomiche regionali. Non potendo mangiare a sufficienza, si ricordava, variando e inventando in una sorta di delirante gara della memoria, tutta una serie di squisi- tezze culinarie che faceva sospirare ancor più i prigionieri. Uno di questi repertori gastronomici, un testo davvero straordinario anche per le illustrazioni che lo accom- pagnano, opera di due ex internati militari del campo di Wietzendorf, è stato recentemente pubblicato dall’editore Cosmo Iannone: Fedele Carriero – Michele Morelli, Padelle, non gavette!, Cosmo Iannone Editore, Isernia 2011. Anche il memoriale del sottotenente Antonio Zupo contiene una raccolta di gustose ricette (ZUPO 2011, pp. 117-151).

98 pochi indumenti di lana che possiedo, cadono ormai a pezzi…). [All’alba dei miei ventiquattro anni, non mancano certo i motivi per non essere allegri!] Tabella-viveri dal 3 al 10.12.44 Pane – ogni giorno – gr. 300 Zucchero <– ogni giorno –> gr. 25 Margarina <– ogni giorno –> gr. 20 Patate <– ogni giorno –> gr. 300 (al venerdì gr. 250) Nella settimana: Sanguinaccio gr. 150 Marmellata gr. 125 Formaggio gr. 22 Rape fresche, crude, alla settimana gr. 700. Zuppa – Lunedì – Rape fresche gr. 600, grassi 10 gr. Martedì – Verdura secca gr. 15 farina di segala gr. 20 polvere Bratling gr. 25 Mercoledì – Rape fresche gr. 700, carne 20 gr. Giovedì – gr. 600, grassi 10 gr. Venerdì – gr. 800, Sabato – Orzo 20 gr, avena 30 gr. polvere Bratling 25 gr., grassi 10 gr. Domenica: idem, farina segala 30 gr., carne 28 gr.

[c. 25r] 10.12.44 – Altri 800 ufficiali in partenza per Wietzendorf202, prima del Natale. Ci saremo dentro?

202 Wietzendorf] Vizendorff Le condizioni del campo di Wietzendorf, una sorta di campo di punizione, autentico inferno per gli sventurati ufficiali italiani (che non godevano neppure della qualifica di prigionieri di guerra) sono state dettagliatamente descritte dal col. Pietro Testa, comandante del campo per il settore italiano, nella sua lettera-relazione, datata al 22 giugno 1945 e diretta al Comando Truppe Britanniche, e allegata al Grande Diario di Giovannino Guareschi. Riportiamo di seguito un passo (da GUARESCHI 2011 rist., pp. 114-117): “Il campo di concentramento era in origine abitato da prigio- nieri russi. Della vita che vi hanno condotto questi e del loro trattamento testimonia il cimitero russo sito a circa un chilometro e mezzo dal campo, lato nord, nel quale

99

– I notiziari, anche se buoni, non sono tali da far sperare in una rapida fine… [Totò prende la decisione…!!]

si trovano sepolte oltre sedicimila salme. Sgomberato dai russi probabilmente per le condizioni di inabitabilità, servì nell’autunno dell’anno 1943 allo smistamento dei prigionieri italiani che vi passarono in numero di molte decine di migliaia – anche generali vi alloggiarono per più giorni – a terra e senza alcuna sistemazione non di conforto, ma neanche strettamente umana. In seguito allo sgombero dei campi di Polonia nel gennaio del 1944 il campo fu destinato con la denominazione di Oflag 83 agli ufficiali italiani. Più di una descrizione delle baracche adibite ad alloggio, degli impianti sanitari e igienici, vale il fatto che due commissioni sanitarie germa- niche, presiedute da colonnelli medici, dichiararono il campo inabitabile. Nelle camerate buie e basse, costruite con blocchi di cemento, gli ufficiali vissero per quindici mesi in un affollamento da cinquanta a novanta ufficiali in ambiente di seicentotrenta metri quadri, che non permettevano neanche un avita normale. Spes- so da dieci a venti ufficiali per camerata hanno dovuto dormire sul pavimento in pietra senza neanche il pagliericcio,o sui tavoli. La paglia, per quelli che sono riusciti ad averla, non è stata mai cambiata. Dai tetti sconnessi, l'acqua cadeva sui tavoli e sui letti. Durante l'inverno, nell'interno delle baracche scendevano ghiac- cioli da venti a trenta centimetri circa, mentre qualsiasi riscaldamento veniva negato. Quattro distribuzioni di legna, in ragione di venti chili circa, in tutta la sta- gione, per camerata. Tutti i canali di scolo delle acque di rifiuto delle latrine scor- revano allo scoperto, ammorbando l'aria. Le latrine erano semplicemente indescri- vibili, tanto che costituiscono anche oggi la maggiore preoccupazione delle autorità britanniche che hanno preferito ordinare la costruzione di latrine campali. Il bagno veniva effettuato una volta al mese in un affollamento enorme, sei, otto e talvolta dieci per doccia e col sistema tedesco di urti, spinte, e di far tutto in un tempo assolutamente insufficiente. A tutte le richieste, pressioni, proteste, per migliora- menti, quando non veniva risposto semplicemente che «per gli ufficiali italiani era anche troppo», che «coi traditori» eccetera, si obiettava che la Germania era al quinto, sesto anno di guerra, che anche la popolazione civile tedesca... che si sarebbe fatto il possibile... la situazione penosa non cambiava. Solo nell'autunno- inverno 1944-45 furono ricoperte alcune delle canalizzazioni delle acque putride e furono costruite delle baracche rudimentali per lavanderia e lavatoi. Fino ad allora gli ufficiali dovevano attingere l'acqua per tutti gli usi alle poche fontane (una per mille ufficiali circa), fontane che erano spesso guaste e che comunque davano acqua non potabile, sicché si doveva ricorrere alla bollitura. Infine l'infermeria per una forza ufficiali che ha oscillato dai tre ai cinquemila con un massimo di seimila era del tutto inadeguata. La capacità di ricovero fu portata a cento. Nessun impianto termico, nessuna possibilità di intervento chirurgico, nessun mezzo di rapido sgombero per i casi d'urgenza, neppure medicinali esistevano, nemmeno i più comuni se non in misura irrisoria.”

100

14.12.44 – All’ovest gli Alleati continuano ad attaccare… I Russi procedono molto bene in Ungheria… L’attacco contro la Prussia, però, tarda a venire… In Grecia continuano i disordini… I segni di un certo antagonismo anglo-russo sono ormai più che evidenti… Morale… grigio… Quasi generale la rassegnazione per un periodo di almeno sei mesi… 16.12.44 – Notte terribile: freddo e vento intenso [-15°], impossibile dormire. Praticamente nullo il riscaldamento: 80 gr. di carbone a testa: nella settimana una sola distribuzione…!! Tabella viveri: come la settimana precedente. Nessuna notizia da casa, dall’Italia occupata203 nessuna conferma di aiuto con l’invio di pacchi… Inesistente l’assistenza da parte della Repubblica;204 impossibile quella di organi internazionali… – La decisione è ormai maturata: sento innanzi tutto che ho il “dovere” più che il “diritto” di fare tutto

[c. 25v] quanto mi è possibile, per poter tornare sano ai miei genitori… A tutte le eventuali conseguenze è sciocco ormai pensare!!205

203 Ossia dal Regno del Sud. 204 Si riferisce alla Repubblica Sociale Italiana. Un esempio emblematico: l'invio di viveri ai prigionieri italiani a Wietzendorf disposto il 29 marzo 1945 dal Delegato Generale della Croce Rossa Italiana per la Germania prof. G. A. Chiurco, rap- presentante della RSI, fu davvero esiguo (si inviarono, ad esempio, 3 kg. di zucchero per i quattromila IMI di Wietzendorf). Ma nulla proveniva dal Regno del Sud. 205 Sorge a questo punto la questione se Serafino Clementi sia stato un “optante”, ossia se abbia chiesto volontariamente di collaborare con i tedeschi. Noi pensiamo di no. Anzitutto, se avesse coltivato sentimenti fascisti, avrebbe chiesto assai prima di arruolarsi nell'esercito della RSI e sarebbe perciò rientrato ben presto in Italia. Poi, a seguito degli accordi Mussolini-Hitler del luglio 1944 sulla destinazione degli IMI in Germania, esisteva un ordine verbale (attestato dal ten. col. Pietro Testa, coman- dante dei prigionieri italiani del campo di Wietzendorf, nella sua lettera di protesta all'Oberkommando Wehrmacht del 10 febbraio 1945) che disponeva l'obbligo al lavoro per tutti gli ufficiali reclusi (tranne i generali, cappellani, sanitari e ufficiali di età superiore ai 60 anni) e il conseguente passaggio alla vita civile con perdita dei distintivi di grado e dei segni dell'uniforme. È evidente che il Clementi dovette ottemperare a quest'ordine e pertanto fu destinato al lavoro coatto. La lettera del ten. col. Pietro Testa è riprodotta, assieme ad altra documentazione del medesimo denunciante il pessimo trattamento dei prigionieri, in GUARESCHI 2011 rist.,

101

24.12.44 – Da tre giorni neve e forte gelo…206 Temperatura costantemente dai sette ai dodici sotto zero – niente riscaldamento in baracca – non basta neppure tenere sempre addosso il pastrano… notti terribili… 28.12.44 – Persiste il gelo e la bassa temperatura… Situazione insostenibile. [Il momento della “sbobba” = il “beverone” dei maiali. La fame, il freddo ci hanno del tutto storditi, resi addirittura incoscienti… Il pensiero della casa, dei propri cari lontani, il desiderio della libertà, scompaiono sommersi dalle innumerevoli sofferenze quotidiane… Non siamo più uomini, ma bestie stolide…]. – I Tedeschi continuano la loro controffensiva e penetrano profondamente nello schieramento degli Angloamericani…207 – Ancora un convoglio per l’inferno di Wietzendorf208 – un altro di S.P.E. per Norimberga. – Decesso di un ufficiale ferito dalla sentinella ai gabinetti. Particolare. Tabella-viveri della settimana 24-31.12.<44>. Pane: ogni giorno gr. 300 Patate: 280-300 : Il Venerdì gr. 230

pp. 84-86. Riferiamo anche la significativa testimonianza del soldato Giuseppe Piccolotto, prigioniero nell’estato 1944 nel campo di Hennigsdorf (Giuseppe Piccolotto, Documentario della malvagità, pp. 5-6, testo leggibile on line all’indi- rizzo citato in bibliografia), a proposito della coattività della chiamata al lavoro civile concordata tra Mussolini e Hitler: “Ma alle promesse seguirono le minacce, presi in massa ci obbligarono a firmare il contratto di lavoro; chi si rifiutava lo chiudevano nel rifugio senza mangiare finché non avesse cambiato idea.” 206 Riscontro del gelo decembrino, alla stessa data, anche in GUARESCHI 2011 rist., p. 444. 207 Era in atto in quei giorni la famosa controffensiva delle Ardenne, a cui Hitler aveva affidato le ultime speranze di vittoria. Vd. Chester Wilmot, La lotta per l’Europa, trad. di Bruno Maffi, Mondadori, Milano 1965, pp. 591-627; Emilio Faldella, Ardenne la rabbia di Hitler, in “Storia Illustrata”, n. 196, marzo 1974, pp. 124-128; Franco Fucci, La battaglia delle Ardenne, in Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mondiale.Una storia di uomini, vol. VII La fine della Germania, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano 1983 rist., pp. 2305-2324; Luca Poggiali, Il colpo di coda del Reich, in “Storia e Dossier”, n. 89, dicembre 1994, pp. 56-61. 208 Wietzendorf] Wizendorff

102

[c. 26r] Zucchero – ogni giorno gr. 25 Margarina: – il martedì gr. 25 Marmellata – la settimana gr. 150 Sanguinaccio – gr. 120 Rape fresche crude – gr. 700

Zuppa Domenica – 100 gr. orzo

Martedì – 37 gr. piselli – 50 gr. orzo – 40 gr. farina

Lunedì Mercoledì Rape fresche gr. 500-600 Giovedì grasso gr. 10 Sabato Venerdì – Crauti209 in salamoia gr. 230

30.12.44 – “Il dado è tratto”. “I tre”. 2.1.45 – Sempre neve, gelo e freddo intenso. Niente riscaldamento. Le tavole del mio posto-letto sono piene di muffa… Non vedo l’ora di esser fuori da quest’inferno… L’ “avventura”, poi, potrà dirsi veramente vissuta… 7-8.1.45 – Giorni terribili, tristezza e sconforto infiniti…210 Freddo e umidità. Sempre… miglioramenti nei viveri: da due settimane non vengono più date rape alla mano concesse una volta per sostituire le patate. Nella minestra: metà delle rape fresche

[c. 26v] vengono sostituite con rape in salamoia…

209 Crauti] Krauti 210 Analoga reazione psicologica in Guareschi proprio in quello stesso giorno (GUARESCHI 2011 rist., p. 450: “Morale generale bassissimo.”).

103

9.1.45 – Ore 19,10: “Lanci” viene ad annunziare di essere in partenza… E noi? Impaziente attesa; traffici… Ore 20,30: arriva la lista…211 Ci siamo…212 Corse nella notte… Notte agitata… 10.1.45 – Sveglia anticipata… Manovre al buio… Sorprese (oh…!!). Saluti. Al Vorlager…213 alla 4… 19 sera fuori “Oflag”!214 “Il gran rifiuto” del col. Angiolini...215

211 La lista dei prigionieri prescelti per il lavoro coatto. Quale fosse lo stato d'animo degli internati in questa circostanza, lo chiarisce bene Alessandro Dietrich, militare prigioniero a Dachau e Wietzendorf (DIETRICH 2007, p. 144): “Come due preti che recano il viatico, io e Camillo (il fratello, nda), siamo corsi di prima mattina, presto presto, al blocco 7, nella baracca di Giovacchino. Ci avevano avvertito ch'era stato precettato per il lavoro insieme ad un gruppo di poveracci. Quando ci inviano al lavoro d'autorità, non rimane che rassegnarsi. Taluni cercano di evadere dalla coercizione, facendosi sostituire da volontari, altri assumono atteggiamenti che, in ultima analisi, risultano sterili e pericolosi. La maggior parte subisce l'ordine. Anzi, in molti appare una esagerata ostentazione di sdegno per la «vigliaccata» sofferta, per mascherare un'intima adesione al corso ineluttabile delle cose. Dopo tutto riusciamo a salvare capra e cavoli: non siamo volontari ed usciamo egualmente da questo inferno. Ad ogni modo,il campo, da un pezzo in qua, è tutto un fermento, una ridda di controsensi e di fantasie.” 212 Anche il Clementi era compreso nella lista dei partenti dal campo di Sandbostel per il lavoro coatto. 213 Vorlager] forlager Il Vorlager o “precampo” era una costruzione (o gruppo di costruzioni) adiacente al campo, riservata al personale di custodia. Vi passavano i prigionieri per le perqui- sizioni e le immatricolazioni di rito. 214 “Oflag”] “oflag” “Oflag”, acronimo per “Offizier-Lager”, il lager riservato agli ufficiali. 215 Chiarisce la situazione il tenente e futuro giurista Roberto Socini Leydendecker, anch'egli internato a Sandbostel (in Roberto Socini Leydendecker, I cinquecento di Amburgo, in RESISTENZA SENZ'ARMI 1984, p. 386): “Nel gennaio 1945 il comando tedesco del campo di concentramento di Sandbostel, località vicina a Bre- mervörde press'a poco tra Brema e Amburgo nella Bassa Sassonia, dove eravamo trasferiti dal campo di Benjaminowo agli inizi della primavera dell'anno precedente, quando di fronte all'avanzata russa la Germania fu costretta ad evacuare i prigio- nieri dalla Polonia, fece sapere che occorrevano 500 ufficiali di età inferiore ai 32 anni per andare a lavorare nelle fabbriche. L'anziano del campo, colonnello di S. M. Angiolini, provvide subito ad inoltrare formale protesta per la violazione dell'art. 27 della Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, firmata a Ginevra il 27 luglio 1929, allora in vigore e di cui la Germania era parte con- traente, che al 1° comma così disponeva: «I belligeranti potranno impiegare come

104

11.1.45216 – Ore 6; coperte e gamellini... e risottino alla cipolla. Scoccianti riviste. I nervi di S. Ore 9: alla Kartei217… liquidazione... Nevica. Passeggiata a Bremerwörde.... Letizia in cuore. Ore 14: alla stazione... in treno. Cambio a Stade – i bagagli! Ore 18: ad Amburgo... andirivieni spossanti. Ore 19,40: per Lubecca. Ore 21,20: a Lubecca. Controlli, assegnazioni e di nuovo in treno: nervi... Brusco risveglio a Neustadt. La voce interna... e la decisa azione...!! “Lanci” e “Santi” : “imbranati”. Ore 24: al caffè della stazione: sbobbettina... in attesa dell'alba. – Ore 7: Giunge il primo... cliente. Sul chi vive... Allarmi. “Santi” e “Lanci” all'attacco... Successo... Mio

[c. 27r] disappunto per fortuna non giustificato... La sig.ra Westphalen218... accoglienza... I cinque. Ore 9,15 – In treno per Lenhausen.219 Da Lenhausen220 a Rutting.221 In casa… Frühstuck222 e pranzo… Bilancio prima giornata. Primi contatti con la “carretta”.

lavoratori i prigionieri di guerra validi, a seconda del loro grado e delle loro attitudini, fatta eccezione degli ufficiali ed assimilati».” 216 In questo giorno avviene la partenza di Serafino Clementi per il lavoro coatto: la nuova meta è Neustadt, e poi Lenhausen, quindi Rutting, in Baviera. Qui Clementi verrà impiegato nella fattoria della sig.ra Westphalen. Diciannove giorni dopo la partenza di Clementi, ossia il 30 gennaio 1945, ha termine anche la permanenza al campo di Sandbostel del tenente e futuro umorista Giovannino Guareschi, il padre di don Camillo. Essendosi rifiutati di lavorare come civili, alle due di notte, tra il gelo e la neve, Guareschi e altri italiani sono incolonnati e avviati in treno a Wietzendorf (GUARESCHI 2011 rist., p. 454). 217 La Kartei era una sorta di ufficio segreteria del lager. Vi venivano schedati tutti i prigionieri. 218 Westphalen] Westaffellen Il cognome della signora si evince dalla c. 46v del taccuino, ove è scritto il seguente indirizzo: W. Westphalen (Anita) - 24 Rütting - UB Lenshausen - Holstheim. 219 Lenhausen] Leushausen 220 Lenhausen] Leushausen 221 Rutting] Rüting Cittadina a sessanta chilometri (nord-est) da Monaco, in Baviera. 222 Frühstuck] Frustuck. Il termine significa “colazione”, in tedesco.

105

13.1.45 – Lavoro e mangiare… conseguenze… 14.1.45 – “Domenica in famiglia”. 15.1.45 – Mattinata lavorativa: pomeriggio a letto. 16-17-18.1.(45) – A letto: le gentili cure della sig.ra W.223 19.1.45 – Di nuovo in piedi, ma “scassatello”! 21-28.1.45 – Prima settimana di lavoro… Il “mist-raus”,224 la paglia e la leggenda sfatata; trebbiatura. 28.1-3.2.45 – 2a settimana lavorativa… 6.2.45 – “Boscaiolo”225

223 Ospite della famiglia Westphalen, il Clementi poté godere di un inaspettato miglioramento delle condizioni di vita. Non era, del resto, raro che i prigionieri italiani fossero apprezzati e, talvolta, quasi benvoluti per la loro operosità dalle famiglie tedesche presso cui dovevano lavorare, soprattutto negli ultimi mesi di guerra. Lo ricorda il soldato Cosimino Cavallo, avviato al lavoro coatto in una fattoria dal campo di Dortmund, nel suo memoriale (CAVALLO CONVERSANO 2013, pp. 62-63): “Con la presenza degli Inglesi i Tedeschi cambiarono comple- tamente atteggiamento nei confronti miei e di tutti gli Italiani in genere: avevano smesso del tutto quell'aria di sprezzante strafottenza e disprezzo, ora si rivolgevano a noi con un atteggiamento più civile, a volte quasi cordiale. Questo fatto, unito forse anche all'indispensabilità del mio lavoro alla fattoria, indusse la bauer-padro- na a preoccuparsi di approntarmi un letto in una bella cameretta, un letto comodo e caldo che mi dava l'illusione di essere come a casa mia; solo che lì non si usavano le lenzuola, ci si copriva direttamente con una coperta imbottita di piume e per lavarmi, finalmente, acqua calda a volontà. Anche i pasti, non li consumavo più da solo, buttato per terra; fu per me un'emozione incredibile vedere per la prima volta, dopo quasi due anni, una tavola, un piatto, una tendina colorata, e i piccoli quadri alle pareti: la testimonianza di una vita di tutti i giorni, che mi era sembrata, per tanto tempo, non più raggiungibile.” Gesti di solidarietà, quindi, vi furono anche da parte dei tedeschi verso gli italiani, come testimonia il Clementi nei riguardi della signora Westphalen. Da ricordare, ad esempio, il caso di un altro prigioniero, il soldato Renato Bagni, originario della Val di Pesa, che, costretto a lavorare in una fabbrica di bossoli da cannone sul Mar Baltico, presso Königsberg, trovò un ina- spettato aiuto in una ragazza tedesca: costei, che lavorava nella stessa fabbrica, per un anno interno rifornì di pane tutte le mattine l’italiano, aiutandolo a sopportare i morsi della fame (la sua vicenda è narrata in CALLAIOLI 2008, pp. 49-50). Ma potremmo dire che queste erano eccezioni: la realtà dei lavoratori coatti italiani in Germania fu assai più sconfortante, come attesta il racconto dell’alpino L. Zazzero, costretto a lavorare in una fabbrica di armi a Saarburcken (vd. BEDESCHI 1990, pp. 231-236). 224 Mist ted., “sterco”, raus ted., “fuori”: allusione probabile all'operazione della spalatura del letame.

106

7.2.45 – <“Boscaiolo”> 10.2.45 – <“Boscaiolo”> 12.2.45 – <“Boscaiolo”> 16.2.45 – <“Boscaiolo”> 17.2.45 – <“Boscaiolo”> [Conoscenze di Rutting:226 il lussemburghese e la Polacca; il Polacco; la russa di Witebsk. Francesi, Polac-

[c. 27v] chi, ecc.]. Riunioni internazionali. La situazione politico-militare: Francoforte, Stettino, Breslavia superate. [18.2.45 – Il governo tedesco a Monaco (?). I Russi a 75 Km. da Berlino. 110.000 prigionieri a Budapest. Il Reno superato in due punti dagli Anglo-Americani. Tutti gli Arbeiter227 pensano che tra due-tre mesi la storia sarà finita.] – Progressiva abitudine al lavoro… buone condizioni di salute: evidente rifiorire del mio corpo… discreto pure il morale… [I nervi di S… Talvolta egli mi dà l’impressione di non riuscire a durare fino in fondo.] 18-25.2.45 – La settimana della paglia. 25.2-3.3.45 – Legna e patate. 3.3.45 – “Preludio al mist-fahren!”228 6.3.45 – Primo “Stroien”.229 7.3.45 – Nach Kobel.230 “Quell’uom…!!” 7.3.45 – Ore 18,30: Si riscuote lo stipendio: 30 R.M. il mese.231

225 Altra mansione del sottotenente Clementi alla fattoria della signora Westphalen. 226 Rutting] Röuting 227 Arbeiter] arbeiter. Il termine Arbeiter significa “lavoratore”, in tedesco. Erano i militari italiani internati (IMI) e i prigionieri di altre nazionalità costretti al lavoro coatto in Germania. 228 Fahren ted., “portare”. 229 “Stroien”, probabile forma fonetica italianizzata del verbo ted. streuen, “spar- gere”. 230 Nach ted., “dopo” o “verso”; Kobel è inesistente nella lingua tedesca, forse la parola potrebbe essere in realtà il termine ted. Koben, “porcile”. 231 R.M. sta per Reichsmark, il marco tedesco, con cui veniva pagato lo stipendio ai lavoratori stranieri in Germania. Lo stipendio di Clementi era assai inferiore a quello percepito dal soldato Cosimino Cavallo, come questi ricorda a proposito del suo

107

8.3.45 – Sulla concimaia. Prova dei muscoli. 9.3.<45> – In pieno “mist…”. N.A. Colonia e Düsseldorf occupate. Bombardamenti continui su tutta la Germania. Grande battaglia tra l’Oder e Berlino.

[c. 28r] 19.3-25.3.<45> – Semina di grano, orzo, avena… Grande offensiva all’ovest. 26.3.<45> – Ancora semina. 30.3. <45> – Oltrepassato in gran forze il Reno, gli Alleati iniziano la vera e propria invasione della Germania. 1.4.45 – Pasqua. Passeggiata a Sievershagen. Nella taverna dei polacchi… Le diaboliche danze… Nella notte, marcia nel bosco sotto la pioggia. N.A. Gli Anglo-Americani avanzano velocemente in Turingia. “Nicht lange”, dicono gli Arbeiter232… [Che sia davvero questa la volta buona?...]. Quattro Armate Russe sarebbero penetrate dall’Ungheria in Austria… Ottimismo generale: “Al massimo zwei Monate233 noch…!”234 7.4.45 – Piccola influenza: a letto. N.A. Una colonna americana avrebbe già raggiunto e occupato Hannover; un’altra sarebbe nei pressi di Brema… Anche i Russi in offensiva…

contratto di “lavoratore civilizzato” (CAVALLO-CONVERSANO 2013, p. 53): “Costretto, quindi, d'autorità alla “civilizzazione”, mi trovai obbligato a presen- tarmi presso un Ufficio di Collocamento per ottenere il lavoro e la tessera annonaria per poter mangiare, diversamente potevo incorrere nel reato di accat- tonaggio ed essere punito con la deportazione ai lavori forzati. Secondo contratto, sarei stato pagato 120 marchi al mese, ma con gli straordinari potevo arrivare an- che a 180; il vitto era a mie spese, in quanto all'alloggio avrei continuato ad usufruire della baracca del campo. Da “libero lavoratore”, avevo diritto al riposo settimanale e, nel tempo libero, potevo circolare a non più di 2 – 3 Km nel circon- dario e la sera potevo rientrare non più tardi della mezzanotte.” 232 Arbeiter] arbeiter 233 Monate] monat 234 “Al massimo ancora due mesi…!”

108

Continuo tormentoso pensiero dei miei cari: dubbi e incertezze nei loro riguardi mi rendono più pesante questa vita… Ora però dovrebbe andarla veramente a pochi…!!! (Sogni di pace raggiunta e di ritorno a casa.)

[c. 28v] 9.4.45 – [Un ufficiale tedesco ci dà conferma della rapida avanzata degli Alleati.] 11.4.45 – N.A. Hannover occupata; lotta accanita in Brema. A 40 Km. da Amburgo (violenti e diversi bombardamenti notturni anche nei nostri lontani dintorni). 13.4.45 – La morte di Roosevelt.235 Gli Americani a Magdeburgo e a Luneburgo. Vienna occupata dai Russi.236 15.4.45 – Oltrepassata l’Elba a Magdeburgo, gli Americani sarebbero a soli 50 Km. da Berlino.237 [Mi tormenta sempre più il pensiero del babbo e della mamma lontani, e dei quali da quasi un anno non ho notizie. Penso talvolta con angoscia alla triste eventualità di non trovarli più il giorno che il destino mi concederà la fortuna di far ritorno a casa… A quest’idea mi par d’impazzire…] 16.4.45 – N. Raggiunta Wittemberga, gli Alleati starebbero per penetrare nel Meclemburgo.

235 Il presidente americano Franklin Delano Roosevelt morì improvvisamente nel tardo pomeriggio del 12 aprile 1945, nella sua villa di Warm Springs in Georgia. Naturalmente i bollettini e i giornali tedeschi, grazie al ministro della propaganda Goebbels, diedero ampia pubblicità al fatto, presentandolo come un auspicio di futura vittoria. Ma era un’ultima, disperata illusione. 236 Le truppe sovietiche comandate dai generali Tolbuchin e Malinovskij entrarono a Vienna il 13 aprile 1945. 237 I soldati della 1a armata americana si incontrarono con le truppe sovietiche presso Torgau, sul fiume Elba, il 25 aprile 1945. Oltre, per ordine del comandante in capo degli Alleati, gen. Eisenhower, non poterono andare: decisione gravida di con- seguenze, per i futuri assetti geopolitici del dopoguerra. Sulle ultime fasi dell’avan- zata angloamericana in Germania, vd. Raffaello Uboldi, La valanga alleata sulla Germania, in “Storia Illustrata”, n. 208, marzo 1975, pp. 37-42.

109

19.4.45 – (Triste sogno: la mamma, al mio ritorno a casa, non sa più riconoscermi.) N.A. Occupazione di Lipsia e di Sandbostel238 (20.000 prigionieri liberati). – [Tutto ormai lascia prevedere che

[c. 29r] la fine del grande conflitto, qualunque essa sia, è prossima… Ma non sarà forse l’ennesima illusione?!?! – (…Che dall’antagonismo anglo- russo non nasca qualche complicazione?!?)]. 22.4.45 – I giornali tedeschi239 confermano quasi interamente, le notizie avute nella settimana… N.A. I Russi combattono una grande battaglia nei dintorni di Berlino… Gli Alleati avrebbero occupato Harburg e, aggirata Amburgo, punterebbero su Lubecca… Hitler e il suo governo sarebbero nei nostri paraggi…240 ... [Si pensa, ogni giorno più intensamente, al grande momento della liberazione…] 26.4.45 – I Russi in Berlino e gli Anglo-Americani ad Amburgo241… Ai fini della nostra liberazione però, gli Alleati non sembra stiano facendo grandi progressi… [Talvolta ho il dubbio che la nostra “odissea” non termini in breve tempo e felicemente… Ma forse solo perché le tristi vicende vissute mi hanno reso alquanto scettico… Nei momenti di

238 Sandbostel] Sandboestel 239 tedeschi] Tedeschi 240 In effetti, prima della fine del conflitto si era diffusa la voce di una fuga di Hitler e dei gerarchi nazisti a sud della Germania (un piano di trasferimento in Baviera, chiamato “Operazione Serraglio”, era stato effettivamente preparato nei primi mesi del 1945). E anche dopo la fine della guerra, per molti mesi, varie persone testimoniarono di aver visto il Führer vivo nei luoghi più diversi. Secondo lo storico Hugh Trevor-Roper, incaricato, nel settembre 1945, dai servizi segreti alleati di far piena luce sulla fine di Hitler, una giornalista svizzera, tale Carmen Mory dichiarò alle autorità britanniche che Hitler era nascosto in una località delle Alpi Bavaresi, assieme a Eva Braun e ai parenti di lei. Si trattava, in questo come in altri casi, di un evidente depistaggio, frutto di mitomania: vd. Hugh Trevor-Roper, Gli ultimi giorni di Hitler, trad. di Celestino Terzi, Rizzoli, Milano 1999 (rist. VI ed. 1987), p. 13. 241 Sulla battaglia di Berlino, l’ultima battaglia sul fronte occidentale della seconda guerra mondiale, vd. Arrigo Petacco, Si stringe la morsa intorno a Berlino, in “Storia Illustrata”, n. 208, marzo 1975, pp. 85-92.

110 riposo la sera, prima che il sonno mi vinca, mi indugio a pensare quale potrà essere la mia vita

[c. 29v] futura, quando, se Dio vorrà, sarò tornato a casa… Penso sempre intensamente ai miei genitori e nei loro riguardi i dubbi più neri, il timore di non trovarli in buona salute, di non vederli forse mai più, mi tormentano sempre… Perché, perché mio Dio, tanta angoscia?!?...] 28.4.45 – (N.A.)242 Berlino quasi interamente occupata dai Russi. Anglo-Americani e Russi si sono incontrati in vari punti. La campagna d’Italia quasi al termine. Milano occupata: Mussolini ed altri gerarchi prigionieri degli Inglesi…243 – Hitler avrebbe chiesto agli Anglo- Americani la cessazione delle ostilità: l’armistizio (senza condizioni) non concesso perché analoga richiesta non è stata fatta anche alla Russia. I Russi oltre Stettino… Gli Americani a 50 Km. da Lubecca… Goering244 fuggito in Svezia…30.4.45 – (N.A.) Mussolini giustiziato dal

242 In carattere più piccolo nell’originale. 243 Mussolini in realtà venne catturato a Dongo il 27 aprile 1945 dagli uomini della 52a brigata “Garibaldi”, comandata da Pier Bellini delle Stelle (Pedro). La notizia della cattura di Mussolini giunse alla sede del Corpo Volontari della Libertà, a Milano, nel tardo pomeriggio del 27 aprile. Gli Americani ne reclamarono per radio la consegna e inviarono un loro uomo, il capitano Emilio Daddario dal generale Raffaele Cadorna, il capo militare del CVL. Anche Allen Dulles, capo del servizio segreto americano (OSS) in Italia, aveva organizzato con Salvatore Guastoni e Gio- vanni Dessy, agenti inviati dal Governo del Sud, la cattura di Mussolini perché fosse processato dagli Alleati (vd. Gian Franco Venè, La condanna di Mussolini, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1973, pp. 113-114). Inutilmente: il Duce venne catturato dai partigiani e fucilato il pomeriggio del giorno successivo, 28 aprile, davanti al can- cello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, dal colonnello “Valerio” (il parti- giano comunista Walter Audisio), in circostanze che a distanza di tanti anni atten- dono di essere chiarite. Sulla fine controversa del Duce e le versioni più accreditate: Paolo Monelli, Mussolini da Milano a Dongo, in “Storia Illustrata”, n. 89, aprile 1965, pp. 470-499; Luciano Garibaldi, I 4 giustizieri del Duce, in “Storia Illustrata”, n. 2, febbraio 1996, pp. 44-49; vd. anche, per i riferimenti al famoso e fantomatico carteggio Churchill-Mussolini, Fabio Andriola, Appuntamento sul lago, SugarCo Edizioni, Milano 1990. Quella annotata dal Clementi, ossia la consegna di Mussolini agli inglesi, è una falsa notizia che dovette circolare nelle ore precedenti l'esecuzione del Duce. 244 Goering] Göering

111 popolo a Milano245… Hitler gravemente ammalato o morto (?!?) – Gli Inglesi nei dintorni di Lubecca… 2.5.45 – La radio tedesca annuncia la morte di Hitler246… Doenitz247 nuovo

245 Le tragiche circostanze della morte del Duce e l'orribile oltraggio di piazzale Loreto non mancarono, quando vennero conosciuti, di impressionare gli internati italiani. Il rancore e l'odio, nutriti per il responsabile di tanti lutti e sofferenze, lascia- vano il posto alla commiserazione, come testimonia il soldato Cosimino Cavallo nel suo memoriale: “Il 9 maggio si seppe della misera fine di Mussolini, impiccato a Piazzale Loreto a Milano. Durante il ventennio, io avevo malvisto quell'uomo, dopo questi due ultimi anni l'avevo odiato, la sua fine così sommaria, miserabile e infelice però, lo aveva reso, come tanti di noi, un derelitto, e questo mi portava ad infram- mezzare nel mio animo l'odio con la pena per una morte così triste e meschina.” (CAVALLO CONVERSANO 2013, p.64) 246 Hitler si suicidò nel bunker della Cancelleria, a Berlino, il 30 aprile 1945, ma già prima dell'annuncio radio ufficiale, il 2 maggio, erano circolate tra i prigionieri, come attesta Clementi, voci sulla sua fine. A proposito delle opposte reazioni che la morte di Hitler ebbe a suscitare, riferiamo quello che osservò il prigioniero tenente Giampiero Carocci, che quel giorno si trovava nel villaggio di Pirna, presso l'Elba (in CAROCCI 1995, p. 167): “L'aria era umida, il cielo plumbeo, grigio e melan- conico. Le foglie degli alberi erano stillanti d'acqua. Per le strade incontravamo pochi tedeschi, che passavano frettolosi. Ad un tratto (stavamo giungendo alle prime case di Pirna) udii un grido in testa alla nostra colonna: «Il est mort!». Il grido, con la rapidità del fulmine, passava, ripetuto su tutte le bocche, di fila in fila ed arrivò ai primi degli italiani. Allora udii gridare:«È morto!». Poi sentii un gran picchio ed un vocìo confuso nelle orecchie. Era Cox (un compagno di prigionia del Carocci, ndc) che, dandomi con tutte le sue forze una manata sulle spalle, gridava: «Carò, è morto davvero!». Dapprima io non riuscivo a credere che la notizia fosse vera. Ma poi, alzando gli occhi, vidi che le case erano pavesate con le bandiere naziste a mezz'asta. Pendevano immobili, nell'aria grigia e umida. In una piazza erano stati issati su dei pennoni dei giganteschi stendardi con la croce uncinata. I muri erano cosparsi di scritte, vergate col carbone. Alcune dicevano «Heil Hitler», altre che lo spirito di Hitler sarebbe vissuto immortale nell'anima tedesca. Cox era indignato di non scorgere nessun segno di giubilo sulle facce chiuse dei passanti, che nascondevano ogni sentimento, sia di gioia che di dolore.” Sulla fine di Hitler vd. la famosa inchiesta di Hugh Trevor-Roper, Gli ultimi giorni di Hitler, cit. Sulle voci e le leggende alimentate dal “mito” della sopravvivenza di Hitler vd. Mario Carini, Mitologie sul nazismo, in “Miscellanea di Saggi e Ricerche”, Liceo Classico Orazio, n. 2, Roma 2006, pp. 39-48. 247 Doenitz] Doënitz

112

[c. 30r] Führer… Per tutto il pomeriggio, aerei inglesi sorvolano la nostra zona e mitragliano strade e villaggi vicini… Si sente continuamente, non lontano, tuonare il cannone… 3.5.45 – Ore 13. Si dice che gli Inglesi siano a Neustadt (a 20 Km. da noi). Domani potrebbero essere qui… È sogno o realtà?!?! 4.5.45 – Sulla prima casa di Rutting248 sventola la bandiera bianca: un altro episodio della nostra avventura si chiude… – Il gran giorno è giunto… 5-6-7.5.45 – In vana attesa di ordini e notizie… Passeggiate…!! 8.5.45 – La guerra in Europa finita ovunque… L’armistizio firmato a Reims…249 A Lenhausen250 si stabilisce un comando inglese… 9-10-11.5.45 – … “Mucche o leoni?” 12.5.45 – Sembrano proprio leoni… Un capitano inglese ci offre dei viveri e ci annuncia la partenza da Rutting251 entro due giorni… 13.5.45 – In attesa della partenza… 14.5.45 – Ancora a terra… Nervosismo… 15.5-20.5.45 – Settimana di passione… Passeggiata a Oldemburg…

[c. 30v] 23.5.45 – “Santi” e “Lanci” in missione a Neustadt. Novità… Si decide di partire… 24.5.45 – Nuovi accertamenti… 25.5.45 – Si parte… Il wagen e la… polizia. Pomeriggio movimentato… Arriva il pacchetto C. R.252 … Sistemazione… 26.5.45 – NEUSTADT. Giornata lavorativa… Spesa viveri… Il cap. Monello com.te253 dei prigionieri di guerra italiani in Neustadt… – La mia attività di ufficiale ai viveri… Gli spuntini di mezzanotte… Serate allegre… Le “francesine” e le altre…254 Il giovedì

248 Rutting] Rüting 249 A Reims, il 7 maggio 1945, nel Quartier Generale di Eisenhower il gen. Alfred Jodl sottoscrisse l'atto di resa incondizionata delle forze armate tedesche agli Alleati. 250 Lenhausen] Lenshausen 251 Rutting] Rüsting 252 Croce Rossa. 253 com.te = comandante.

113 e la domenica si balla… La… “barca” in pericolo… Rivoluzione?! La tempesta sembra placarsi… Le passeggiate… patetiche con… H…! – Le notizie circa il nostro rimpatrio… In complesso, sembra che in Italia a noi pensino alquanto poco… 22.6.45 – Pradella e i… duelli… 28.6.45 – Incontro di calcio con gli Inglesi (4-0). 5.7.45 – Giornata ultra-movimentata. La rivincita degli Inglesi (0-6). Vengono colleghi da Lubecca… Serata danzante… Pradella,

[c. 31r] ancora in cerca di duelli…!!! Raffanini e la danzichese… Notte in bianco… – “H…” se ne va!

[c. 31v] (bianca)

[c. 32r]

254 Nelle ultime settimane della guerra, quando ormai la prospettiva immediata della Germania era la capitolazione, e in quelle immediatamente successive alla sua conclusione, non fu difficile per alcuni nostri prigionieri intrecciare relazioni senti- mentali con donne tedesche. Il soldato Cosimino Cavallo ricorda nel suo memoriale una affettuosa amicizia che ebbe con una ragazza tedesca, tale Annelise (CA- VALLO CONVERSANO 2013, p. 65). Si tratta però di casi sporadici. Da parte degli italiani, anche quando divennero ex prigionieri, enorme era il risentimento se non l'odio verso i tedeschi per l'inumano ancorché ingiusto trattamento subito in pri- gionia; viceversa, da parte dei tedeschi non si perdonava agli ex alleati il tradimento dell'8 settembre, addebitando inoltre all'Italia la sconfitta della Germania. Cosimino Cavallo, del resto, illustra molto chiaramente i reali sentimenti nutriti da militari e civili tedeschi verso gli ex alleati prigionieri (CAVALLO CONVERSANO 2013, p. 27): “In effetti, c'era da parte dei soldati tedeschi, come anche della popolazione civile, nei nostri confronti un disprezzo tangibile, se non proprio odio, in quanto ci ritenevano dei voltagabbana. Ci chiamavano spregiativamente Badoglio-truppen – soldati di Badoglio; itaker – giramondo, vagabondi; Untermenschen – sottouomini, una via di mezzo tra porci e uomini la cui vita non aveva per loro alcuna impor- tanza; e comunque il loro modo di apostrofarci era: Verräter – Scheisse – traditore – merda.”

114

(bianca)

[c. 32v] (bianca; le carte 33-35 appaiono tagliate via)

[cc. 36r-43r] (bianche)

[cc. 43v-47r] (queste carte contengono una serie di indirizzi di persone italiane e straniere)

[cc. 47v-50v] (bianche; la carta 51 appare tagliata via)

[cc. 51r-57v] (bianche)

Carta d’incerta sede

[c. 1r] “Il soggiorno” di Neustadt. Cap. M.: “il fenomeno racconta-balle”!... il trono vacilla… la corsa ai ripari… quiete dopo la tempesta… Alla scoperta del (miglior?) amico… … La vergine viennese… e il (nostro?) Monello… La “cechetta” del municipio e i salti dalla finestra; “cavaliere”… per amor della Tabella viveri…: l’interprete giudea [col suo “joli garçon”!] Per non fare malignare il cap. … espone il cartello… [io però, potrei fare qualche aggiunta e variante…!!] M. ha promesso un diario dei fatti di Neustadt; sono molto curioso di leggerlo… Credo che anche lui sarebbe curioso di leggere quello che potrei scrivere io… Parlando di me e di (“Lena”?) egli dice a Sassi: “Non ti fidare di quei due…!” E a noi: “Vedete, figlioli, a che punto è arrivato…??”

115

[c. 1v] Ten. S. il factotum di Holme Pages… I vani attacchi alla… “debolezza” francese… Arriva Eddy [… “l’avventuriera”, dice Pell…]… Non ho ancora capito la parte recitata da lui nella faccenda della “barca in pericolo” [Meglio: neppure lui la capiva bene…] Della faccenda del magazzino fa ricadere la colpa su me… Anche lui, come il cap. ritiene me e gli altri alquanto (“offensivi…”?)!! Ma sbaglia di grosso… LA STANZA N° 3. 1) Massaro A. … “L’uomo dei puntini sugli i” ma dalla coda sempre di paglia… Grande polemista per amor… della polemica… I suoi rapporti con cap. M. e il doppio gioco… La bionda danese e la Marianna… 2) Scalia E. … Una bella sagoma… “Lo dico o non lo dico? Ma io so molte cose…” 3) Remondini R. … Un bel tipo… Ottimo attore… I duelli… alla pasta asciutta!

116

PIERANGELO CRUCITTI

Biodiversità, Liste Rosse e Citizen Science (Prima parte)

Introduzione

La diversità biologica è un bene primario, alla base della regolazione dei complessi cicli naturali del pianeta. La stabilità degli ecosistemi terrestri e marini dipende infatti dalla varietà delle specie presenti e dalle loro sottili interazioni. Ogni giorno spariscono nel mondo circa 100 specie biologiche. Molti habitat e biocenosi sono scomparsi, moltissimi sono a rischio di definitiva scomparsa a causa della pressione ormai insostenibile, diretta o indiretta, delle attività umane; e non abbiamo una Terra di riserva ! Le Liste Rosse, elenchi di specie, loro status e relative categorie di minaccia, costituiscono, in molti paesi europei, preziosi strumenti standard di informazione e consultazione da parte del natu- ralista, dell’amministratore pubblico e del referente politico. La biodi- versità in generale e la biodiversità in pericolo rappresentano com- ponenti della conoscenza naturalistica sempre più alla portata del cit- tadino comune. In questo settore, un filone di ricerche effettuate soprat- tutto sul campo ha come soggetti principali i “non specialisti”, estranei al mondo della ricerca formalmente organizzato e strutturato. La citizen science o “scienza dei cittadini” fornisce un supporto importante alla raccolta e sistematizzazione dei dati sulla biodiversità di un’area, legalmente tutelata o meno, contribuendo alla individuazione delle emergenze floristiche e faunistiche in essa presenti; superpredatori, specie monofaghe, specie rare e/o localizzate, specie aliene invasive e, soprattutto, specie a rischio di imminente scomparsa. Sebbene gli scienziati professionisti siano relativamente pochi, i cittadini sono tanti; la “massa” delle persone coinvolte nella raccolta dei dati risulta infine cospicua. Ci proponiamo di analizzare queste problematiche stabilendo quindi una connessione diretta tra le informazioni attualmente

117 disponibili sui valori della biodiversità a vari livelli (mondiale, europeo, nazionale, regionale) relativi al numero di specie presenti ed in pericolo ovvero inserite in Liste Rosse, all’unisono con la pianificazione e realizzazione di progetti di Citizen Science.

Prima parte

LA BIODIVERSITÀ NEL MONDO E IN ITALIA

Gli specialisti della biodiversità danno costantemente i numeri. E non in quanto persone prive di logica o, più semplicemente, del comune buon senso. Al contrario, questi studiosi sanno in genere molto bene come “pesare” la biodiversità ovvero esprimerne quegli aspetti quan- titativi che consentano di comprenderla nel modo più immediato. Fre- quentemente, i numeri della biodiversità si riferiscono alla ricchezza tassonomica di una determinata area, ad esempio quante specie vi risiedono più o meno stabilmente e in un dato momento. Molte persone, anche di notevole cultura, ritengono che il numero di specie attuali sinora descritto sia un dato definitivamente acquisito e stabile. Nulla di più lontano dal vero, al contrario alcuni tra i maggiori studiosi della biodiversità ritengono che la Terra sia, sotto questo aspetto, ancora largamente sconosciuta. Il livello delle nostre conoscenze varia peraltro in funzione del gruppo di organismi considerato (i procarioti sono praticamente sconosciuti rispetto agli eucarioti; molti non vertebrati sono relativamente poco conosciuti rispetto ai vertebrati globalmente considerati; su molti artropodi, ad esempio gli Aracnidi, permangono ancora vistose lacune conoscitive), degli ambienti (gli ecosistemi marini batiali sono praticamente sconosciuti rispetto agli ecosistemi della piattaforma continentale; le foreste pluviali sono meno conosciute delle foreste temperate), dell’area geografica (il nord del mondo, econo- micamente avanzato, è assai meglio conosciuto del sud, tecno- logicamente meno progredito). Persino sul numero complessivo di specie attuali sinora descritte esistono valutazioni discordanti; esclu- dendo i procarioti ed i virus, questo parametro oscilla tra 1.400.000 e 1.800.000, anche se il dato verificato ufficialmente dal Catalogue of Life (www.catalogueoflife.org) e dalla maggioranza degli specialisti sug- gerisce una forbice meno ampia, tra 1.450.000 e 1.500.000 di cui

118

1.200.000 Metazoi. Proiezioni basate su fattori ecologici (habitat esplorati e loro distribuzione, relazioni di tipo trofico) ammettono, per le specie attualmente esistenti sulla Terra (descritte più sconosciute), l’in- credibile range di 3,5 - 108 milioni. Numeri non proprio irragionevoli, se si considera che nel solo 2006 sono state “battezzate” 2057 nuove piante vascolari (assai meglio conosciute di molte non tracheofite e.g. briofite, licheni e alghe per non parlare dei funghi), che in Vietnam sono stati recentemente scoperti nuovi mammiferi di grande taglia, che il nu- mero di anuri (rane e rospi) del Madagascar è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni (e si tratta di centinaia di specie nuove per la Scienza), che ogni anno si aggiungono, in media, 18.000 nuove specie di piante e animali ovvero 49 al giorno o due ogni ora. Per il 2009, l’ultimo anno per il quale si dispone a tutt’oggi di un censimento esaustivo, il numero di specie nuove descritte risulta 19.232 di cui 9738 insetti (50,6%), 2184 piante vascolari (11,3%), 1487 ragni, acari e affini (7,7%); i mammiferi e gli uccelli sono rappresentati da “appena” 41 e 7 specie rispet- tivamente, dato peraltro sorprendente trattandosi di vertebrati spesso vis- tosi e intensamente studiati da lungo tempo. Nel complesso, ogni anno vengono descritte circa 16.000 nuove specie di Metazoi di cui 8000 nuove specie di Insetti tra i quali si contano 2500 Coleotteri (Wilson, 1992; Minelli, 2010; WWF-Italia e Società Italiana di Ecologia, 2013). Sono ancora profonde le nostre lacune sul numero complessivo di specie di ragni (Araneae), forse il doppio di quelle attualmente descritte, oltre 40.000. Nel corso di recenti campionamenti effettuati lungo i principali tributari del Rio delle Amazzoni in Brasile, sono stati accertati i seguenti fatti: 1-oltre il 70% di Araneae raccolti appartengono a morfospecie pro- babilmente nuove per la Scienza; 2-la percentuale degli individui catturati una sola volta è particolarmente elevata, superiore al 35% (Rego et al., 2009). Tutto ciò appare istruttivo in merito alla fragilità degli ecosistemi tropicali ed al livello di conoscenze sulla loro ricchezza di specie, conosciuta solo superficialmente. E si potrebbe continuare a lungo.

Effetti antropogenici sulla biodiversità

Tuttavia, date le condizioni del pianeta non è poi sorprendente con- statare come numerose specie recentemente descritte siano già prossime

119 alla definitiva scomparsa, in particolare se il loro habitat, di norma assai ristretto, è limitrofo ad aree soggette ad intensa deforestazione. Il caso degli Anfibi è paradigmatico e interessa regioni più o meno estese della Terra ancora insufficientemente esplorate ma spesso sottoposte ad inten- sa pressione antropica, ad esempio Vietnam, Sri Lanka, Madagascar e Colombia. Ne discende che, in linea di principio, molte specie scom- parse negli ultimi 200 anni non sono mai state descritte e resteranno per sempre del tutto sconosciute. La comunità scientifica definisce l’in- tervallo temporale predetto come Antropocene. Nel corso di questo periodo, insignificante alla scala dei tempi geologici, la Terra è stata intensamente modificata dalla pressione antropogenica con effetti cu- mulativi e spesso irreversibili su popolazioni, comunità ed ecosistemi. Le attività della specie umana hanno infatti determinato la radicale tra- sformazione dei suoli, la distruzione o alterazione degli habitat originari, la diffusione massiva di specie aliene invasive, il prelievo eccessivo di animali e piante; infine, la modificazione dell’atmosfera con produzione di gas serra ed in particolare di CO2. Il livello delle trasformazioni è tale che la capacità degli ecosistemi di sostenere le generazioni future non potrà essere ulteriormente garantita se i fattori di minaccia conti- nueranno ad agire con la stessa intensità. In particolare, gli habitat marini subiscono attualmente impatti non più sostenibili; inquinamenti massivi di materiale particolato organico, alterazioni degli ecosistemi, soprattutto delle scogliere coralline, caccia, pesca e prelievo di flora, attività estrattive, trasporti e urbanizzazione, specie invasive e proble- matiche. La “sesta estinzione” di massa dell’eone Fanerozoico è in atto ad ogni livello e interessa anche gli habitat più isolati; grotte profonde, abissi marini, cime elevate. La consapevolezza di essere prossimi ad una situazione di non ritorno, è stata recepita sin dal 1992 a Rio de Janeiro nell’ambito dei lavori della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo nel corso della quale è stata inoltre firmata la “Convenzione sulla diversità biologica” e adottata la definizione di sviluppo durevole; il futuro deve avere lo stesso valore del presente ai fini del sod- disfacimento dei bisogni del genere umano ovvero lo sviluppo attuale non deve mettere in pericolo la capacità della Terra di soddisfare le esigenze delle successive generazioni e, più in generale, la capacità di auto-rigenerazione dell’intera biosfera; lo sviluppo economico è, in

120 ultima analisi, inscindibile dalla protezione dell’ambiente (Ellis, 2007; Behringer, 2013; Kolbert, 2014).

Stato della biodiversità dell’Italia

L’attuale conformazione discontinua del territorio italiano è da ricondurre alle complesse vicende paleogeografiche e paleoclimatiche dell’area mediterranea. Il Mar Mediterraneo, il Mar Nero e le aree cir- costanti sono compresi fra tre continenti, Europa meridionale, Africa settentrionale e Asia occidentale. La formazione e la scomparsa del primitivo Oceano Tetide contestuale alle successive fasi orogenetiche, la formazione del Mediterraneo, l’interazione di placche litosferiche diver- se, la vasta emersione del Messiniano ed infine le glaciazioni pleisto- ceniche hanno svolto un ruolo preponderante nel modellamento del popolamento animale e vegetale dell’area. Più che un mare tra le terre, il Mediterraneo dovrebbe essere considerato un mare tra le montagne. L’Italia occupa l’area centrale di tale hot spot di biodiversità delimi- tando a sua volta, con la penisola e le isole, il Mar Tirreno, centro geo- metrico dell’intero bacino. I popolamenti animale e vegetale della peni- sola hanno quindi risentito di ondate di colonizzazione successive provenienti da occidente, da oriente e dalle aree a meridione; per non parlare del ruolo della catena alpina, barriera ma anche area di col- legamento con l’Europa centrale - molte componenti settentrionali ed orientali della nostra fauna sono appunto di origine centroeuropea. La varietà delle condizioni climatiche dell’Italia è riconducibile: a) al suo elevato gradiente altitudinale, dal livello del mare ai 4810 metri del Monte Bianco, la vetta più alta d’Europa; b) alla sua estensione lati- tudinale che ne determina il profondo incuneamento nell’Europa centrale e la vicinanza alle masse continentali africana ed eurasiatica; c) alla presenza di sistemi orografici orientati nel senso della latitudine e della longitudine. La classificazione fitoclimatica dell’Italia utilizza cinque livelli gerarchici. A seconda della prevalenza di influenze tro- picali o medio-europee è possibile assegnare una qualsiasi area del paese ad una delle due principali regioni bioclimatiche, la Regione Medi- terranea e la Regione Temperata (e relative fasce di transizione), la prima estesa essenzialmente su tutto il versante tirrenico e sul versante adriatico sino all’altezza di Pescara, la seconda localizzata nell’Italia set-

121 tentrionale, in tutto l’arco appenninico ed antiappenninico e nelle isole maggiori a quote medio-alte. Le regioni e sottoregioni Mediterranea, Mediterranea di Transizione, Temperata e Temperata di Transizione possono essere ulteriormente suddivise in 9 differenti bioclimi (tem- perato oceanico, temperato semicontinentale, temperato oceanico-semi- continentale, temperato subcontinentale, temperato semicontinentale- subcontinentale, temperato oceanico di transizione, temperato oceanico- semicontinentale di transizione, mediterraneo oceanico e mediterraneo oceanico di transizione), 28 classi e 83 varianti. L’eterogeneità am- bientale, determinata localmente da fattori di natura fisica, essen- zialmente clima e litologia, emerge dalla identificazione di 67 sistemi di paesaggio (inteso come porzione di un territorio le cui caratteristiche derivano dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro inter- relazioni). I principali tipi di paesaggio dell’Italia settentrionale inseriti quindi nella Regione Temperata sono rappresentati da pianure allu- vionali, recenti e antiche, e da rilievi arenaceo conglomeratici o gneis- sico-migmatitici. I paesaggi dell’Italia centro-meridionale sono rappre- sentati da ripiani carbonatici nella Regione Mediterranea; da rilievi prevalentemente arenaceo conglomeratici o in alternativa costituiti in toto o in parte da rocce marnose o calcaree nella Regione Temperata. Sicilia e Sardegna presentano situazioni assai diverse sebbene entrambe ricadano nella Regione Mediterranea: nella prima prevalgono infatti le colline inframontane, pedemontane o costiere argillose nonché i rilievi rappresentati prevalentemente da litotipi arenaceo-conglomeratici, argil- losi e argilloscistosi oltre che da rocce calcaree; nella seconda preval- gono rocce calcaree, vulcaniti acide e basiche oltre ad affioramenti co- stituiti da rocce cristalline. Infine, su 218 tipologie di habitat rap- presentative della variabilità ambientale dell’Europa comunitaria di cui 68 giudicati prioritari ai fini della conservazione, ben 124 di cui 27 prioritari, sono presenti in Italia. In un territorio che costituisce meno del 10% della superficie europea sono presenti oltre la metà degli habitat europei! Le macrocategorie previste dalla UE, tutte rappresentate sul territorio italiano, sono: habitat costieri e vegetazioni alofitiche; dune marittime e interne; habitat d’acqua dolce (suddivisi in acque stagnanti e acque correnti); lande e arbusteti temperati; macchie e boscaglie sclero- fille; formazioni erbose naturali e seminaturali; torbiere alte, torbiere basse e paludi basse; habitat rocciosi e grotte; foreste. Quest’ultimo

122 habitat include cinque tipologie; foreste dell’Europa temperata, foreste mediterranee caducifoglie e sclerofille, foreste di conifere sia delle montagne temperate e sia delle montagne mediterranee e macaro- nesiche. Il Bacino Mediterraneo, dalla complessa storia evolutiva che abbraccia l’intero Terziario, risulta suddiviso in dieci settori biogeo- grafici; Mare di Alborán, Algeria e Spagna meridionale, Mar Tirreno incluso il Mar Balearico, Golfo del Leone e Mar Ligure, Adriatico settentrionale, centrale e meridionale, Egeo settentrionale e meridionale (Ionio incluso) e infine il Mar di Levante a partire dal Golfo di Gabès. I mari italiani sono rappresentativi di ben 6 settori su 10, la Spagna di 3, gli altri stati di appena 1-2. L’eccezionale valenza ecologica del terri- torio italiano, ovvero l’enorme varietà geografica, climatica, geologica e pedologica, costituisce la base interpretativa della ricchezza biologica del paese (Blasi et al., 2005).

I numeri della biodiversità dell’Italia

Diversità vegetazionale e floristica. La consistenza del patrimonio forestale italiano è anzitutto testimoniata dai boschi e dalle foreste che occupano una estensione pari al 35% della superficie del paese con un tasso di espansione di circa lo 0,3% annuo. Si tratta di 14 differenti tipologie inclusi gli arbusteti e gli ambienti di macchia mediterranea con 86 diverse specie arboree forestali tra cui Abies nebrodensis e Salix pentandra, entrambe in pericolo di estinzione; almeno sette specie sono endemiche o subendemiche. La flora vascolare italiana comprensiva di Pteridofite, Gimnosperme, Angiosperme Dicotiledoni e Monocotiledoni consta di 7634 entità, di cui 6711 specie e 2125 sottospecie a loro volta riunite in 1267 generi e 196 famiglie. Se non sorprende più di tanto la numerosità delle Asteraceae o Compositae (margherite, cardi e affini) famiglia di piante dicotiledoni rappresentata da 1028 specie, sorprende il dato relativo alle Orchidaceae (le altrettanto note orchidee) famiglia di piante monocotiledoni da molti ritenuta esclusivamente tropicale, con 124 specie spontanee sinora descritte che diventano 189 con le sotto- specie. Complessivamente, le entità endemiche sono 1021 di cui 800 specie e 280 sottospecie, il 13,5%. Valori preoccupanti sono relativi alle specie a rischio di estinzione, quasi 500 (oltre il 7% dell’intera flora vascolare italiana) ed alle specie esotiche naturalizzate, gran parte delle

123 quali di origine americana, pari a 782 ovvero all’11,2% del totale (nel 1974 erano “appena” 527); si tratta di un “inquinamento floristico” senza precedenti. Le regioni che mostrano la maggiore ricchezza flori- stica presentano una elevata complessità ambientale; Piemonte 3521 specie, Toscana 3435, Friuli-Venezia Giulia 3335, Veneto 3295, Abruzzo 3232, Lazio 3228 e Lombardia 3220: Sicilia e Sardegna mo- strano valori molto alti di entità endemiche con 321 e 254 entità rispet- tivamente, seguite da Calabria con 205, Abruzzo con 177, Lazio con 164 e infine Basilicata con 159; le regioni dell’arco alpino sono molto ricche di entità subendemiche. Di tutte le nazioni europee, l’Italia è la più ricca di piante vascolari; la Spagna e la Francia, estese circa 1,7 e 1,8 volte l’Italia, ospitano 5200 e 5000 specie, rispettivamente. Ma anche raffron- tando la ricchezza italiana con quella di paesi assai più estesi ma grossolanamente compresi nella stessa fascia latitudinale, ad esempio Turchia con 9000 e Iran con 10.000 specie, appare significativo rilevare come il rapporto specie / area sia costantemente a favore del nostro paese. Analoghe considerazioni possono essere svolte per le Briofite ov- vero Muschi ed Epatiche. L’intera flora briologica europea risulta costituita da 1620 specie di cui 1084 muschi. La ricchezza del patri- monio briologico italiano è testimoniata dalla presenza di 1130 specie di cui 279 Epatiche e 851 Muschi ovvero 2/3 dell’intera rappresentanza del continente. Deve essere poi considerato come esemplificativo del livello incompleto delle conoscenze, il dato relativo all’incremento della flora muscinale d’Abruzzo che, in meno di 10 anni (1992 - 2000), è cresciuta di 76 specie grazie soprattutto alle campagne intensive di ricerca in al- cune località montane, soprattutto i Monti della Laga. Realmente incre- dibili sono poi i numeri relativi ai Funghi. Si consideri anzitutto il dato relativo alla micodiversità del mondo, comprensiva dei funghi propria- mente detti (Chytridiomycota, Zygomycota, Ascomycota e Basidio- mycota) e dei funghi anamorfici o Fungi Imperfecti, attualmente stimata in circa 80.000 specie, valutazione ritenuta poco aderente alla realtà, in- fatti si ammette una stima di tutte le specie fungine presenti sulla Terra compresa tra 1.500.000 e 2.300.000. Per l’Italia si suggerisce una stima teorica di oltre 300.000 specie, forse eccessiva; peraltro, i soli Basidio- mycetes del phylum Basidiomycota ammontano a 4296 specie ovvero a circa il 20% del totale mondiale, 20.391 specie. L’elenco delle specie di alghe d’acqua dolce è ancora incompleto; il numero di taxa specifici di

124

Desmidiacee (Chlorophyta) ammonta a 764, il numero complessivo di specie censite per i laghi italiani a oltre 1900. La flora bentonica delle coste italiane, costituita essenzialmente da Rhodophyta, Phaeophyta e Chlorophyta (le Spermatophyta sono rappresentate da poche specie pe- raltro localmente importanti, è sufficiente ricordare le estese praterie sommerse di Zostera e di Posidonia, attualmente in forte contrazione) consta di 924 taxa specifici e intraspecifici. L’elevata consistenza dell’e- lemento endemico mediterraneo testimonia l’eccezionale valore natura- listico dei mari italiani. Infine, i Licheni sono rappresentati da 2300- 2400 specie su circa 16.000 censite a livello mondiale (Blasi et al., 2005; Conti et al., 2005; Marconi et al., 2007; Scoppola e Blasi, 2005). Diversità faunistica. I phyla nei quali sono ripartiti gli animali terrestri e delle acque interne oltre che dei mari che delimitano la penisola e le isole (pressoché l’intero Mediterraneo centrale) sono almeno 31 (esclu- dendo i Protozoa, gruppo di unicellulari altamente eterogeneo suddiviso a sua volta in numerosi phyla) per complessive 55.656 specie al 2013. Quelli con numero di specie superiore al migliaio sono rispettivamente Platyhelminthes (1317 specie), Nematoda (1357), Mollusca (2141), Annelida (1149), Arthropoda (45.888) e infine Chordata (1419) - questi ultimi comprendono anche il subphylum Vertebrata. Le principali com- ponenti faunistiche includono entità alpino-himalaiane, legate pertanto alla regione alpina s.l. caratterizzata dalla presenza di ambienti glaciali, periglaciali, forestali e persino di habitat, relativamente ristretti, ricchi di specie termofile; alle componenti europea e boreale si associano per- tanto un piccolo numero di elementi mediterranei, sia occidentali sia orientali, che contribuiscono tuttavia alla diversificazione della fauna alpina. Le specie mediterranee sono: 1-di origine “orientale” ovvero balcanica ed egeica particolarmente ben rappresentate nelle faune dell’a- rea adriatica, in particolare Puglia e territori limitrofi; 2-di origine “meridionale” cioè africana, a sostegno dell’ipotesi di collegamenti terrestri relativamente recenti, di età quaternaria, tra Nord Africa, Sicilia e Sardegna seguiti da ondate di colonizzazione e da innumerevoli pro- cessi di speciazione allopatrica. Le specie tirreniche si sono evolute sulle terre emerse dell’area omonima; ne costituiscono esempio para- digmatico molti taxa dell’arcipelago toscano e soprattutto del massiccio sardo-corso; di quest’ultima area sono ben note le peculiarità, ad esempio l’assenza di vipere (Vipera sp. pl., 4 specie in Italia) e di rane

125

(Rana sp. pl. e Pelophylax sp. pl., 12 specie in Italia) e la presenza esclusiva di numerosi taxa, dagli insetti ai vertebrati. Infine, gli elementi alloctoni possono essere inquadrati in due gruppi: quelli antichi, di età fenicia o romana, ad esempio il daino Dama dama, il cervo nobile Cer- vus elaphus e il ghiro Glis glis; quelli recenti, imputabili ai traffici glo- balizzati che hanno contribuito alla introduzione di animali esotici, talvolta infestanti e problematici; zanzara tigre Aedes albopictus, nutria Myocastor coypus, testuggine acquatica americana dalle guance rosse Trachemys scripta e gambero rosso della Louisiana Procambarus clarkii, quest’ultimo altrimenti noto con l’inquietante appellativo di gambero killer. Alcune caratteristiche, comuni ai più pericolosi bio- invasori animali (molluschi, crostacei, pesci, mammiferi), rendono il gambero della Louisiana una specie potenzialmente tra le più dannose alla fauna autoctona, soprattutto in assenza di predatori naturali; gene- ralista ed opportunista, dotato della capacità di resistere a condizioni climatiche estreme, a precoce maturità sessuale, ciclo vitale polivoltino e produzione di un elevato numero di uova. Procambarus clarkii rap- presenta una delle minacce più serie per la batracofauna italiana, aggiun- gendosi alle numerose altre specie introdotte tra cui pesci salmonidi ed il fungo Batrachochytrium dendrobatidis agente etiologico della chitridio- micosi, infezione letale (Andreone, 2013). Più in generale, la xeno- diversità è oggi considerata la seconda causa di erosione della biodi- versità dopo la distruzione dell’habitat risultando in progressivo au- mento negli habitat d’acqua dolce, particolarmente vulnerabili alle bio- invasioni a causa dello stretto legame tra l’uomo e i corsi d’acqua (Ghe- rardi et al., 2010). Trascurando inoltre l’impatto del “global warming” che completa un quadro di vero e proprio “fuoco concentrico” di fattori impattanti sulle popolazioni di Anfibi, in crisi a livello mondiale (Crucitti, 2012). Per ritornare agli “autoctoni”, consideriamo alcuni casi paradigmatici della ricchezza del patrimonio faunistico italiano. I Coleotteri, con numerose specie vistose e pertanto assai apprezzati dai collezionisti, sono rappresentati, a livello mondiale, da circa 400.000 taxa di credibile validità specifica, il 20-25% del totale delle specie di Insetti globalmente riconosciute; secondo una arguta considerazione di un noto genetista, l’attività del Creatore testimonierebbe una spiccata predilezione per carabi, scarabei, longicorni, coccinelle e affini. Orbene, i Coleotteri d’Italia contano circa 12.300 specie ripartite tra 130 famiglie

126

(sulle oltre 200 riconosciute a livello mondiale) rappresentando quindi il 21,5% della fauna italiana ed il 40% di quella europea, valutata in 28.000-30.000 specie. I Lepidotteri (farfalle e falene) includono, con i cosiddetti “macrolepidotteri”, alcuni tra gli insetti più noti per diffusione e bellezza; questi ultimi costituiscono 9 superfamiglie delle 19 presenti in Italia, le rimanenti essendo costituite da “microlepidotteri” di piccole o piccolissime dimensioni per complessive 5127 specie ovvero i 2/3 della fauna europea. Alquanto eterogenee risultano le conoscenze sui Molluschi terrestri e dulcaquicoli, soprattutto Gasteropodi, circa 500 e 170 specie rispettivamente: emergono lacune su alcuni gruppi tasso- nomici problematici (famiglie, generi) costituiti da numerose specie estremamente simili; alcune aree risultano ancora insufficientemente esplorate; pertanto, le conoscenze complessive permangono inadeguate. Dato il presumibile incremento del livello delle conoscenze a breve scadenza, risulta ancor più significativo il rapporto con i numeri della biodiversità dei Molluschi non marini d’Europa; circa 2140 specie di cui 53 bivalvi e circa 2090 Gasteropodi (Welter-Schultes, 2012). Sulla su- perficie dell’Italia sono state censite il 31% delle specie sinora descritte per l’intera Europa. Focalizzando l’attenzione sulla sola fauna delle acque dolci, rappresentata da specie prevalentemente bentoniche, rile- viamo il seguente dato; oltre 3000 specie popolano l’ambiente reico, in particolare i fiumi dal crenal al potamal e gli ambienti lacustri oltre a nevai, ghiacciai e acque sotterranee. E si tratta di una impressionante congerie di organismi; dai Poriferi ai Mammiferi acquatici passando per Cnidari, Turbellari, Nematodi, Tardigradi, Gastrotrichi, Rotiferi, Iru- dinei, Oligocheti, i già menzionati Gasteropodi e Bivalvi, alcuni Ara- neidi, Nemertini e Policheti, numerosi Crostacei (gruppo ampiamente diversificato con circa 700 specie) ed Insetti (Efemerotteri, Odonati, Ple- cotteri, Eterotteri, Coleotteri, Tricotteri e Ditteri, quest’ultimo enorme per numero di specie, 6615 di cui 1750 nelle nostre acque interne, con apporto minimo di Megalotteri, Planipenni, Lepidotteri e Imenotteri, questi ultimi con una sola specie acquatica sulle 7526 che costituiscono la fauna italiana; infine, i vertebrati sono rappresentati da numerosi Pesci con molte specie di recente introduzione, oltre alla maggior parte degli Anfibi, alcuni Rettili, Uccelli acquatici e relativamente pochi Mammiferi tra i quali ricordiamo la lontra Lutra lutra, una delle specie più minacciate della fauna italiana sebbene in lieve espansione in alcune

127 aree della penisola, ad esempio il nord della Puglia. I pattern della distribuzione di specie presenti nelle diverse aree del territorio italiano quali emergono dall’analisi di 531.000 dati di distribuzione georeferen- ziati nei sistemi UTM ED50 e WGS84 e relativi a oltre 10.000 specie, terrestri e d’acqua dolce, denotano un marcato effetto penisola ovvero una progressiva diminuzione del numero di taxa secondo il gradiente N- S, valori elevati di rarità nelle isole, sull’arco alpino e nelle Prealpi centro-orientali, concentrazione delle specie endemiche sui rilievi alpini, appenninici e insulari, escluse le parti interne e più elevate delle Alpi e infine la particolare importanza assunta dalle grandi aree carsiche quali centri di endemismo (Ruffo e Stoch, 2005; cf. Minelli et al., 2002). Nei mari italiani sono presenti almeno 8342 specie attuali sinora descritte, rappresentative della maggioranza delle specie animali viventi nel Mediterraneo, valutate in oltre 12.000. Pur rappresentando appena lo 0,82% della superficie della Terra ricoperta dalle acque marine, il Mediterraneo ospita tra il 4% e il 18% di tutte le specie marine del mondo valutate in oltre 230.000. E la penisola italiana ha uno sviluppo costiero di oltre 8000 km ! Dei seguenti paradigmi: 1 - la diversità della fauna marina è molto grande a livello di tipi strutturali o phyla; oltre agli artropodi, cordati, anellidi, molluschi e “vermi” s.l. (platelminti, nematodi, nematomorfi, acantocefali) tipicamente terrestri, i rimanenti phyla sono pressoché esclusivi del biota marino; placozoi, mesozoi, ctenofori, nemertini, loriciferi, gastrotrichi, chinorinchi, gnatostomulidi, chetognati, briozoi, foronidei, brachiopodi, priapulidi, sipunculidi, echiuridi, emicordati e infine i cicliofori scoperti solo nel 1995; 2 - la diversità della fauna marina è di gran lunga inferiore per numero di specie alla diversità della fauna terrestre (soprattutto in conseguenza dell’assenza nell’ecosistema marino degli insetti, in particolare Coleotteri) – il secondo gode attualmente di minor credito. Si ritiene cioè che la diversità della fauna marina sia altrettanto elevata di quella delle terre emerse, le stime complessive variano da 500.000 a 10.000.000 di specie; l’origine del gap attuale consisterebbe soprattutto nella difficoltà di accesso e ricerca negli ambienti marini profondi o abissi. Anche il Mediterraneo batiale risulterebbe quindi relativamente poco conosciuto. Merita infine una breve riflessione il fenomeno della crescita recente del numero di specie della fauna d’Italia. Deve essere rilevato che, soprattutto nel caso di vertebrati, si tratta spesso di

128 popolazioni già note, distinte, a livello specifico o sottospecifico, sulla base di numerosi caratteri, morfologici e, talora pressoché esclusi- vamente, biochimici, ad esempio le numerose specie di Anfibi aggiunte alla nostra fauna negli ultimi 30 anni. Il caso del genere endemico Salamandrina considerato monotipico fino al 2005, attualmente rappresentato da due specie morfologicamente pressoché indistinguibili, S. perspicillata e S. terdigitata, risulta paradigmatico: inoltre, sempre tra i Caudati, la salamandra di Lanza Salamandra lanzai, le numerose specie di geotritoni sardi del genere Speleomantes nonché le due sotto- specie della salamandra alpina Salamandra atra aurorae e S. atra pasubiensis; tra gli Anuri, l’ululone appenninico Bombina pachypus, la raganella italiana Hyla intermedia e le varie specie del genere Bufotes ex Bufo viridis complex, il ben noto rospo smeraldino, e delle rane rosse e verdi generi Rana e Pelophylax rispettivamente. Accenniamo appena al fatto che ogni anno si aggiungono alla fauna nostrana molte decine di taxa nuovi appartenenti al phylum Arthropoda ed in particolare alla classe Insecta, ordini Coleoptera, Lepidoptera, Diptera e Hymenoptera. In tal caso si tratta di specie (o sottospecie) del tutto nuove per la Scienza o, in alternativa, note di altri paesi e rinvenute per la prima volta in territorio italiano. Ad esempio, la Checklist nazionale della fauna italiana edita tra il 1993 ed il 1995 indicava in appena 4 specie, ormai considerate puramente storiche, gli scorpioni (Scorpiones) italiani; Euscorpius carpathicus, E. flavicaudis, E. germanus ed infine E. italicus mentre a tutt’oggi sono 12 e non sono affatto escluse ulteriori novità nel breve periodo (G. Tropea, in verbis, 2013). La stessa Checklist citava circa 12.000 specie di Coleotteri presenti entro i confini del nostro paese ma già alla fine del 2002 ne venivano menzionate almeno 12.300 con un incremento del 2-3%; e quest’ultimo dato non è certo definitivo (Audisio et al., 2014). Per la Valle D’Aosta si ammetteva nel 1995 un numero di 20 specie di Odonati (libellule), valore che i successivi lavori ed in particolare una recentissima monografia hanno più che raddoppiato, 44 specie (Riservato et al., 2014). Per la Sardegna si ammetteva nel 1971 un numero di specie di Formiche pari a 57; nel 1995 tale numero era passato a 67, nel 2007 a 70 ed infine nel 2011 a 78; un incremento di 21 specie in 40 anni pari all’incirca ad una specie nuova per l’isola ogni due anni (Scupola e Poggi, 2014). Tra i mam- miferi ricordiamo il caso dello sciacallo dorato Canis aureus, specie

129 penetrata dalla Slovenia in territorio italiano all’inizio degli anni ’80 ove si è riprodotto inizialmente in varie zone della Provincia di Udine e successivamente di Treviso, ormai considerato un componente stabile della nostra fauna e attualmente in forte espansione in Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto con nuclei stabili in varie zone del Carso, delle Prealpi e della Provincia di Belluno (Lapini et al., 2014). Emerge dunque come prioritaria la necessità di un completamento delle conoscenze di base. Si consideri che di molte specie di invertebrati italiani non si conosce praticamente nulla dal punto di vista del ciclo biologico, del regime alimentare e, più in generale, dei rapporti con l’ambiente fisico e biotico, le informazioni disponibili sulle popolazioni extraitaliane non potendo essere applicate acriticamente alle nostre (Bla- si et al., 2005; Minelli et al., 2002; WWF-Italia e Società Italiana di Ecologia, 2013).

Il caso Lazio

Delle 230 ecoregioni prioritarie del pianeta (unità relativamente grandi di territorio rappresentate da habitat terrestri, marini e d’acqua dolce caratterizzate da un insieme di comunità naturali le quali condi- vidono peculiari condizioni, dinamiche e ambientali, all’unisono con specifiche comunità di organismi), l’Ecoregione Alpi e l’Ecoregione Mediterraneo Centrale interessano l’Italia. Il Lazio, esteso per appena 17.203 km2 dagli Appennini al Mar Tirreno, è integralmente incluso nella seconda. Il fatto, meramente accidentale, di essere cittadini di Roma ci consente di soffermarci brevemente sulla biodiversità di questi territori proponendo alla attenzione del lettore alcuni dati a conferma della loro elevata ricchezza di paesaggi, geositi, habitat e specie. Roma, in particolare, costituisce l’ecosistema urbano d’Europa più ricco di bio- diversità. In rapporto alla sua modesta estensione, l’Ecoregione Medi- terraneo Centrale evidenzia una notevole varietà paesaggistica. Nel Lazio riscontriamo il paesaggio della Tuscia, il paesaggio della Cam- pagna Romana, il paesaggio centro-appenninico ed infine il paesaggio del litorale tirrenico. Almeno 14 differenti classi bioclimatiche incluse nel fitoclima mediterraneo ed in quello temperato interessano il terri- torio della regione. Il territorio del Lazio, circa 1/20 della superficie na- zionale, è inoltre caratterizzato da un esteso reticolo fluviale facente

130 parte del distretto Tosco-Laziale costituito dai bacini del versante tir- renico, almeno 28 sistemi fluviali con percorso nel territorio regionale superiore a 20 km e con un massimo di 405 km nel caso del Fiume Tevere, più o meno altrettanti bacini lacustri a tipologia variabile (il Lago di Albano è il più profondo lago vulcanico d’Italia), lagune costiere, sistemi montuosi e rilievi collinari; le aree pianeggianti sono prevalentemente limitate alla fascia costiera e alle aree adiacenti i corsi d’acqua. La presenza di numerosi e complessi apparati vulcanici deve essere ricondotta alle fasi di assottigliamento crostale imputabili all’a- pertura del Mar Tirreno. L’orogenesi appenninica determina la struttu- razione della catena in un settore di piattaforma carbonatica permanente e in un settore di transizione tra piattaforma e bacino. All’assetto natu- rale del territorio si sovrappone un fitto reticolo di infrastrutture viarie e ferroviarie, porti, aeroporti e soprattutto l’edificato compatto dell’area urbana e periurbana della megalopoli di Roma in continua espansione; barriere più o meno importanti, in alcuni casi ostacoli insormontabili al libero spostamento delle specie animali, in particolare di quelle dotate di maggiore vagilità. L’ecosistema urbano di Roma presenta una notevole complessità strutturale conseguenza della sua posizione geografica e di una storia bimillenaria: due importanti sistemi fluviali con annessi affluenti, subaffluenti, vegetazione e boschetti ripari; ambienti rupestri- ruderali; estesi sistemi sotterranei allagati; laghetti e piccoli bacini; aree boscate e aperte a prato; agrosistemi (Bulgarini et al., 2006). La straordinaria geodiversità del Lazio è testimoniata da numerosi geositi di grande valore didattico e scientifico esemplificativi soprattutto di feno- menologie vulcaniche e carsiche; in quest’ultimo ambito, si inseriscono circa 1450 grotte sinora censite nel territorio della regione che ospitano popolamenti faunistici altamente specializzati, tra cui il sinkhole più profondo al mondo, il Pozzo del Merro nel Comune di Sant’Angelo Romano (Mecchia et al., 2003). Come abbiamo avuto occasione di rilevare, il Lazio si colloca, per ricchezza di specie della flora vascolare, al sesto posto tra le regioni italiane essendo peraltro distanziato dal Piemonte, al primo posto, da poco meno di 300 specie e dall’Abruzzo, al quinto posto, da appena 4 specie; e si tratta del 48% della biodiversità floristica d’Italia concentrata in appena il 6% del suo territorio. Sulle dimensioni del popolamento faunistico, sarà sufficiente rilevare come in molti gruppi animali il numero di specie di sicura presenza nella regione

131 sia frequentemente compreso tra il 35 ed il 50% dell’intero repertorio nazionale; così i Pesci delle acque interne, 37 specie su 65 italiane, gli Anfibi, 16 su 48, i Rettili, 22 su 55, i Mammiferi, 71 su poco più di 120; tra questi ultimi, ricordiamo i Chirotteri o pipistrelli (di cui si ignora spesso l’elevata diversità) con 24 specie sinora individuate sul territorio della regione di cui 19 nella città di Roma, su complessive 36 italiane (Bologna et al., 2000; Capizzi et al., 2012; Sarrocco et al., 2012). La checklist regionale degli Uccelli aggiornata al dicembre 2009 include 397 specie di cui 82 accidentali e 14 non più segnalate dal 1950; si tratta pur sempre di oltre 300 specie su circa 500 italiane (Brunelli e Fraticelli, 2010). I serpenti (Serpentes) annoverano non meno di 10 specie tra cui la Vipera dell’Orsini Vipera ursinii di grandissimo interesse zoogeo- grafico e conservazionistico, estremamente localizzata sul territorio del- la regione (Bologna et al., 2000). Per non parlare degli insetti; i soli Coleotteri della famiglia Carabidae, gruppo piuttosto ben conosciuto, sono 560 su 1368 specie dell’Italia, il 41% della diversità del paese (A. Vigna, in verbis, 2012); i rappresentanti della famiglia Buprestidae, i noti “coleotteri gioiello” assai apprezzati dai collezionisti per i loro sgargianti colori metallici, contano 203 specie italiane di cui 121 presenti nel Lazio, il 59,6% (M. Gigli, in verbis, 2015); ma anche 455 specie di Imenotteri Apoidei su 944 italiane (48,2%), 89 specie di Formiche su 229 (38,9%), 57 specie di Odonati (libellule) su 92 (61,9%). Emergono peraltro vistose lacune, ad esempio mancano a tutt’oggi checklist aggiornate degli Araneae e dei Mollusca terrestri e dulcaquicoli della regione. I numeri della biodiversità della città di Roma e della Provincia di Roma sono simili, in particolare se riferiti a gruppi di vertebrati (Amori et al., 2009; Bologna et al., 2003, 2007). L’inventario delle entità floristiche di Roma include circa 1400 specie se consideriamo, oltre ai risultati di ricerche più o meno recenti, anche le serie storiche rappresentate nei vecchi erbari; circa 1/6 dell’intera flora italiana. Appare poi sorprendente il dato relativo alla diversità dell’entomofauna: in un arco temporale compreso tra la prima metà dell’800 e la fine del secolo passato, sono state censite nel solo territorio di Roma delimitato dall’anello autostradale del Grande Raccordo Anulare, 5151 specie riferibili a 358 famiglie di 26 ordini, molte delle quali estinte o rappresentate da piccole popolazioni isolate (Zapparoli, 1997). Ci chiediamo a questo punto quali provvedimenti di tutela siano

132 stati attivati ai fini della protezione e valorizzazione della biodiversità del Lazio. Si tratta di interventi legislativi numerosi ed articolati, sebbene percepiti ancora in modo confuso dal pubblico dei non specialisti. In particolare, i valori della biodiversità sono rappresentati e tutelati dal sistema delle aree protette e della Rete Natura 2000. La REN costituisce un sistema europeo coordinato e coerente di aree tutelate e conservate dai Paesi membri della UE in quanto ospitano habitat e specie animali e vegetali indicate negli Allegati I e II della Direttiva Habitat (92/43/CEE) e nell’allegato I della Direttiva Uccelli (79/409/ CEE), recepite in Italia attraverso il DPR 357/97 (successivamente integrato e sostituito dal DPR 120/2003) e la legge 157/97, rispettiva- mente. L’applicazione della Direttiva Habitat è consistita nella desi- gnazione di 182 SIC (Siti di Importanza Comunitaria), l’applicazione della Direttiva Uccelli nella designazione di 42 ZPS (Zone di Protezione Speciale). Ad esse vanno aggiunte le altre aree a regime di tutela variabile: 3 Parchi Nazionali, Abruzzo, Lazio e Molise, Gran Sasso e Monti della Laga e infine Circeo, i primi due interregionali (il secondo a cavallo di Lazio, Marche e Abruzzo); 4 Riserve Naturali Statali, 2 Aree Naturali Marine Protette, 16 Parchi Naturali Regionali (tra cui quello dei Monti Simbruini, uno dei più estesi dell’Appennino Centrale), 30 Riserve Naturali Regionali e infine 23 Monumenti Naturali; per- tanto, oltre il 30% del territorio della regione risulta protetto a vario titolo (ARP Lazio, 2011). Infine, le aree naturali protette del Comune di Roma, gestite dall’Ente Regionale RomaNatura, sono 15 di cui 14 terrestri ed 1 marina. Logicamente, le diverse direttive ed in partico- lare la Direttiva Habitat impongono agli stati membri della UE il mo- nitoraggio periodico dello stato di conservazione di specie e habitat di interesse comunitario e la comunicazione dei risultati alla Commissione Europea.

(continua)

133

ANNA MARIA ROBUSTELLI

L’arte di perdere

A Franco

Una sola arte

L’arte di perdere non è difficile da imparare; così tante cose sembrano aspettare di essere perse, che perderle non è un disastro.

Ogni giorno perdi qualche cosa. Accetta l’ansia di chiavi perdute, di un’ora spesa male.

L’arte di perdere non è difficile da imparare; allora impara a perdere di più, a perdere più in fretta: luoghi e nomi e dov’è che avevi in mente di andare. Non sarà mai un disastro.

Ho perso l’orologio di mia madre. E guarda! l’ultima o la penultima di tre amate case ho perso.

L’arte di perdere non è difficile da imparare.

Ho perso due città belle. E, più vasti, i regni che possedevo, due fiumi, un continente.

Mi mancano, ma non è poi un disastro.

Anche perdere te (la voce giocosa, i gesti che amo) sarà la stessa cosa. È evidente

134 che l’arte di perdere s’impara fin troppo presto anche se pare (scrivilo!) un disastro.

Elizabeth Bishop

(versione di Gabriella Sica, dal suo libro Emily e le Altre. Con 56 poesie di Emily Dickinson, Cooper, Roma, 2010)1

Questa poesia di Elizabeth Bishop è giustamente famosa per la sua incomparabile bellezza. Il modo in cui la poeta calibra l’ansia e il dolore di perdere muovendosi da cose quasi insignificanti come le chiavi o un’ora spesa male a cose più importanti come la madre, due città, un continente e una persona molto amata. Il crescendo drammatico è contenuto dalla forma poetica chiusa scelta, la villanella, che con il ricorrere delle rime e del refrain custodisce l’angoscia della perdita, la racconta con l’ossessione delle ripetizioni, ma la governa, le impedisce di esondare e le dà una forma ineccepibile. Lo stesso effetto raggiun- gono il tono lieve, volutamente , quasi svampito (questa poesia sarebbe piaciuta a Calvino) e i frequenti colloquialismi.

Susan McCabe osserva come per lei “la scrittura sia un mezzo, non di superare, ma di venire a patti con la perdita.”2 Il poeta Ezra Pound ha

1 One Art

The art of losing isn’t hard to master;/so many things seem filled with the intent/to be lost that their loss is no disaster. //Lose something every day. Accept the fluster/of lost door keys, the hour badly spent./The art of losing isn’t hard to master.//Then practice losing farther, losing faster:/places, and names, and where it was you meant/to travel. None of these will bring disaster.//I lost my mother’s watch. And look! my last, or/next-to-last, of three loved houses went./The art of losing isn’t hard to master.//I lost two cities, lovely ones. And, vaster,/some realms I owned, two rivers, a continent./I miss them, but it wasn’t a disaster.// --Even losing you (the joking voice, a gesture/I love) I shan’t have lied. It’s evident/the art of losing’s not too hard to master/though it may look like (Write it!) like disaster.

2 E. Bishop ha perso il padre a 8 mesi di età. Dopo questa perdita la madre perse la ragione, fu mandata in un sanatorio e la bambina non la vide più. Elizabeth fu cresciuta dai nonni materni fino all’età di sei anni e andò poi a vivere coi nonni

135 sottolineato come la villanella riesca ad esprimere l’ossessione, in quanto i versi ripetuti testimoniano quello che tormenta la voce parlante.3

Reginald Shepherd 4 ha notato che “la poesia può essere letta come una metafora allargata:”One Art” è sia l’arte di perdere che l’arte di scrivere poesie” e riporta l’osservazione di Mutlu Blasing che nota come “il titolo [della poesia] ci dice che l’arte di scrivere e l’arte di perdere sono una cosa sola”.

Ho usato la poesia One Art di E. Bishop come esergo per arrivare a introdurre un’altra poeta che si è occupata dell’arte di perdere: Marie Howe.

Marie Howe ha scritto un libro sulla perdita, dal titolo molto bello What the Living Do (Quello che fanno i vivi) (1997). Come va interpretato questo titolo? I vivi dimenticano che “stanno per morire”, come suo fratello John la induce a riflettere? Il fratello era malato di Aids e sapeva che sarebbe morto di lì a poco. Ma allo stesso tempo questo titolo lascia trapelare altre possibilità: di che cosa sono capaci i vivi, le persone? Anche questa prospettiva inquietante è possibile, perché quando si parla della perdita di una persona cara, si è coinvolti in una miriade di ricordi e di relazioni che riguardano i rapporti tra i morti e i vivi e nei ricordi il male e il bene si riverberano e si rincorrono senza placarsi.

La morte di una persona cara ci pone davanti a un problema ineludibile, che è quello della nostra stessa morte. Morendo la persona che abbiamo amato si incammina per prima sul sentiero che prima o poi anche noi dovremo percorrere5. Questo è il modo primario che abbiamo paterni a Worcester. Infine andò ad abitare con una zia a Boston. Questa poesia fu scritta dopo la morte di Lota de Macedo Soares, sua compagna, nel 1967. 3 accessmylibrary.com/…/writing-loss-lo… 4 http://reginaldshepherd.blogspot.it2007/09/art-of-losing.html. 5 La poeta Mary Dorcey ha scritto un libro dal titolo significativo, Moving into the Space Cleared by our Mothers (Salmon Poetry, Galway, 1991), che mette in rilievo lo scambio di consegne che avviene tra i vivi e i morti.

136 di sperimentare la morte, di cominciare ad affrontare quello con cui non vorremmo mai avere a che fare. La perdita è dolorosa perché dobbiamo accettare di fare a meno di qualcuno molto amato, che era un grande punto di riferimento, perché collegato con importanti ricordi della nostra esistenza e con la formazione della nostra personalità.

In questo libro, in cui sono contenuti molti ricordi d’infanzia, la Howe schizza un primo ritratto del fratello bambino.

Il ragazzo

Mio fratello maggiore sta camminando sul marciapiede nella notte estiva della periferia:

T-shirt bianca, blue jeans – verso il campo alla fine della strada.

I ragazzi lo chiamavano il Covo delle Stampelle, un tratto di terreno non edificato, una fossa rigurgitante di erbacce, qualche vecchio mobile gettato laggiù,

e alcune stampelle di metallo tintinnanti tra gli alberi come scampanii del vento.

Sta fuggendo di casa perché nostro padre vuole tagliargli i capelli.

E tra altri due giorni mio padre mi convincerà ad andare da lui – tu sai dov’è – e a parlargli: Nessuna ritorsione. Lo promise. Un piccolo corteo di ragazzi in tutine mi accompagna, le loro voci come i primi pulcini a primavera.

E mio fratello cammina davanti a noi fino a casa, e mio padre gli rade a zero la testa, e mio fratello non parlerà a nessuno per tutto il mese

137 successivo, non una parola, nemmeno passami il latte, niente.

Quello che successe nella nostra casa insegnò ai miei fratelli ad andarsene, a camminare per un marciapiede senza voltarsi.

Io ero la ragazza. Quello che accadde mi insegnò a seguirlo, chiunque fosse, chiamandolo e richiamandolo.6

Qui si comincia a delineare l’atmosfera familiare in cui Marie e i suoi fratelli sono cresciuti. C’è qualcosa che non va in una famiglia dove il padre vuole rasare a zero la testa del proprio figlio, sapendo di fargli del male e dopo aver ingannevolmente promesso di non farlo. Il modo di raccontare della Howe è pittorico, visivo. Appare la figura del fratello mentre cammina su un marciapiede. Viene descritto il luogo

6 What the Living Do, W. W. Norton & Company, New York, 1999, p.15.

The Boy

My older brother is walking down the sidewalk into the suburban summer night:/white T-shirt, blue jeans – to the field at the end of the street.//Hangers Hideout the boys called it, an undeveloped plot, a pit overgrown/with weeds, some old furniture thrown down there,//and some metal hangers clinking in the trees like wind chimes./He’s running away from home because our father wants to cut his hair.//And in two more days our father will convince me to go to him – you know/where he is – and talk to him: No reprisals. He promised. A small parade of kids//in feet pajamas will accompany me, their voices like the first peepers in spring./And my brother will walk ahead of us home, and my father//will shave his head bald, and my brother will not speak to anyone the next/month, not a word, not pass the milk, nothing.//What happened in our house taught my brothers how to leave, how to walk/down a sidewalk without looking back.//I was the girl. What happened taught me to follow him, whoever he was, calling and calling his name.

138 dove sta andando, che è anche un luogo di ritrovo dei ragazzi del luogo e ha persino un nome: il Covo delle Stampelle, per la presenza di alcune stampelle di metallo che fanno rumore. Viene indicato perché il ragazzo sta “fuggendo” e la storia continua. Sarà convinto a tornare a casa con una falsa promessa. Il ritorno è una scena di gruppo con i ragazzi del quartiere in tutina. Alla fine l’insegnamento ricevuto, perché Marie Howe vuole raccontarci quello che ha imparato da suo fratello e dalla vita, affinché le sue esperienze non vadano sprecate.

Dopo questo episodio si salda un’amicizia tra loro due (I was the girl).La poesia narra con semplicità un’efferatezza (What the living do?), ma ne scaturisce anche un insegnamento, quello che unisce i fratelli in un patto che permette loro di non essere contaminati per sempre dal male che hanno subito. Trovo molto belli i versi finali: What happened taught me to follow him, whoever he was,/calling and calling his name, perché questo è esattamente quello che facciamo con le persone amate, le chiamiamo quando abbiamo bisogno.

Un’altra poesia è ancora più intensa e ci spiega come il rapporto tra i due fratelli sia diventato sempre più forte e si sia consolidato come un’enorme difesa contro il male che si riversava su di loro.

La soffitta

Lode a mio fratello maggiore, il diciasettenne, che viveva nella soffitta con me un principe esiliato divenuto duro nel suo confino, divenuto amaro, curvo sul suo compito serale, costruire la costruzione immaginaria sulla tavoletta da disegno che gli avevano dato a scuola. I suoi arnesi brillano fiochi sotto la lampada della scrivania. È duro come la matita che tiene in mano, tracciando la linea dritta lungo la riga.

139

Principe della torre, giovane principe, lode al ragazzo che ha voluto che il suo sangue si raffreddasse e il suo cuore rallentasse. Sta costruendo una struttura con così tante porte che ora alla fine tutto è calmo, tanto che quando nostro padre sale pesantemente le scale per la soffitta, dapprima non lo sente passare per la stretta entrata. Mio fratello sta ricostruendo la base. Solleva la plastica chiara di una pagina per guardare più da vicino il sistema idraulico,

– non sente quasi le molle del mio letto quando mio padre si siede – sta pensando a dove potrebbe andare la caldaia, perché dov’è ora non funziona. Non finché io non sbatto la porta alle spalle dell’uomo che inciampa di nuovo per le scale mio fratello alza lo sguardo da dove sta lavorando. So che gli fa male

alzarsi, bussare alla mia porta e entrare. E quando passa il braccio scarno intorno alle mie spalle tremanti, non so se lui sa che sta costruendo un mondo in cui io un giorno potrò amare un uomo – sta seduto lì senza dire niente.

Lodatelo.

So che quasi non riesce a toccarmi.7

7 What the Living Do, op. cit. pp. 28-29.

The Attic

Praise to my older brother, the seventeen-year-old boy, who lived/in the attic with me an exiled prince grown hard in his confinement,//bitter, bent to his evening task

140

Di nuovo, con uno stile scarno e quasi cinematografico, Marie Howe ci fa rivivere le scene di un passato doloroso, che vale la pena di ricordare solo per il fatto che il fratello aveva scelto di avere un comportamento del tutto diverso da quello nefasto del padre.

Il suo desidero di scrivere del fratello non si esaurisce nella rappresentazione del dolore. Da questo rapporto e da questa perdita la Howe ha rivoluzionato il suo modo di intendere la vita:

Dopo che John morì il mondo divenne molto chiaro – come se una finestra si fosse rotta – il mondo stesso divenne molto caro. Era il posto dove John aveva vissuto e finché io continuavo ad andare in giro potevo coglierne tracce. Ma più di questo, quando John morì io mi sentii come se fossi finalmente entrata nella comunità più vasta degli esseri umani. Ora conoscevo un dolore insopportabile ed ero come gli altri in questo mondo che l’avevano provato. Cominciai a capire che tutto quello che conoscevo e amavo sarebbe finito e io sarei finita. Sarei morta come mio fratello era morto e il mondo, la vera “essenza” di esso divenne e rimane molto prezioso per me, il vento, l’acqua che scorre, le voci. Penso che John lo sapesse già. Una notte all’ospedale, quando aveva molti dolori, gli chiesi come potesse sopportarli e lui disse, “Mi viene da un uomo più vecchio che riesco a sopportarne parte, lui è le mie braccia e la mia testa è una donna che è sola.”8

Significativa a questo proposito è la poesia The Last Time (L’ultima volta), in cui appare evidente che è il comportamento del fratello a building the imaginary building/on the drawing board they’d given him in school. His tools gleam//under the desk lamp. He is as hard as the pencil he holds,/drawing the line straight along the ruler.//Tower prince, young prince, praise to the boy/who has willed his blood to cool and his heart to slow. He’s building//a structure with so many doors it’s finally quiet,/so that when our father climbs heavily up the attic stairs, he doesn’t//at first hear him pass down the narrow hall. My brother is rebuilding/the foundation. He lifts the clear plastic of one page//to look more closely at the plumbing,/-he barely hears the springs of my bed when my father sits down- //he’s imagining where the boiler might go, because/where it is now isn’t working. Not until I’ve slammed the door behind//the man stumbling down the stairs again/does my brother look up from where he’s working. I know it hurts him//to rise, to knock on my door and come in. And when he draws his skinny arm/around my shaking shoulders//I don’t know if he knows he’s building a world where I can one day/love a man – he sits there without saying anything.//Praise him./I know he can hardly bear to touch me.

8 Marie Howe by Victoria Redel in http://bombmagazine.org/article/2015/

141 indurla a pensare di più alla sua vita, a sentirla più intensamente e a farla sua.

L’ultima volta

L’ultima volta che abbiamo pranzato insieme in un ristorante, con tovaglie bianche, si piegò in avanti e prese le mie due mani nelle sue e disse,

Morirò presto. Voglio che tu lo sappia.

E io ho detto, penso di saperlo.

E lui ha detto, Quello che mi stupisce è che tu non lo sai.

E io ho detto, lo so. E lui ha detto, Che cosa?

E io ho detto, so che morirai.

E lui ha detto, No, voglio dire non sai che tu morirai.9

Guardate in quest’altra poesia il modo di Marie Howe di registrare il post mortem:

Tarda mattinata

Stavo ancora con la mia camicia da notte bianca e James mi aveva tirato giù

9What the Living Do, op. cit. p.50.

The Last Time

The last time we had dinner together in a restaurant/with white tablecloths, he leaned forward//and took my two hands in his hands and said,/I’m going to die soon. I want you to know that.//And I said, I think I do know./And he said, What surprises me is that you don’t.//And I said, I do. And he said, What?/And I said, Know that you’re going to die.//And he said, No, I mean know that you are.

142 per farmi sedere sul suo grembo, e stavo guardando al di sopra della sua spalla attraverso l’atrio il soggiorno, e lui stava guardando al di sopra della mia spalla, gli alberi attraverso la finestra aperta, penso, e siamo rimasti seduti così per alcuni minuti, senza dire un bel niente, la mia guancia premuta leggermente contro la sua guancia, e mio fratello John era morto.

Improvvisamente vicino e distinto, tutto sembrava finito, come se il tempo fosse una stanza che potevo fissare lucidamente da una parte all’altra – quattro anni da quando gli avevo sollevato la mano dalle lenzuola sul letto e si era raffreddata nella mia mano.

Una leggera brezza attraverso la finestra aperta, la guancia calda di James, una lucentezza negli alberi scossi dal vento mentre ricordo, briciole e piatti sul tavolo, e una piccola bottiglia di latte e un vasetto aperto di marmellata di lamponi.10

10 What the Living Do, op. cit., p.63.

Late Morning

I was still in my white nightgown and James had drawn me down/to sit on his lap, and I was looking over his shoulder through the hall//into the living room, and he was looking over my shoulder, into the trees/through the open window I imagine,//and we sat like that for a few minutes, without saying much of anything,/my cheek pressed lightly//against his cheek, and my brother John was dead./Suddenly close and distinct, it seemed finished, as if time were a room//I could gaze clear across – four years since I’d lifted his hand from/the sheets on his bed and it cooled in my hand.//A little breeze through the open window, James’s warm

143

Ecco una bella descrizione della perdita che si manifesta negli oggetti che continuano ad essere (la camicia da notte, le briciole, i piatti, la bottiglia di latte, il vasetto di marmellata). E poi la direzione degli sguardi dei due protagonisti verso il soggiorno e verso il giardino, il silenzio prolungato del loro abbraccio. La consapevolezza che John era morto. Il ricordo che si insinua. Piccole folate che passano, fresco e caldo (la guancia di James).

L’ultima opera di Felix Mendelssohn Bartholdy fu il Requiem per Fanny (la sorella del musicista), quartetto op. 80 in fa minore. Bisogna sentirla per capire con quanta tenerezza i ricordi si possono insinuare e stemperare il dolore profondo in un amore che non trova più il suo riferimento. Anche qui si tratta di un fratello e di una sorella che si sono amati molto, tutti e due molto bravi nel loro mestiere, ma lui con una vita piena di impegni e di successi, lei appassionata ed esperta di musica che non si decide quasi mai a pubblicare le sue composizioni, perché all’epoca era considerato disdicevole per una donna farlo. Ci sono testi- monianze di musicisti (Schumann, Gounod) e scrittori (Goethe) di quel periodo che sono rimasti stupiti dalla bravura di Fanny. Fanny muore nel maggio 1847, Felix la seguirà il 4 novembre, dopo un periodo di grave depressione a causa della morte della sorella.

La poesia che dà il nome alla raccolta è una delle ultime e certamente una delle più intense.

What the Living Do

Johnny, il lavello della cucina è intasato da giorni, un qualche oggetto forse vi è caduto.

E il Drano11non funziona ma manda un cattivo odore e i piatti incrostati si sono ammucchiati cheek,/ a brightness in the windy trees as I remember, crumbs and dishes still//on the table, and a small glass bottle of milk and an open jar of raspberry jam.

11 Si tratta di un prodotto per pulire i tubi di scarico, fabbricato da S. C. Johnson & Sons.

144 in attesa dell’idraulico che non ho ancora chiamato. Questa è la quotidianità di cui parlammo.

È di nuovo inverno: il cielo è un azzurro profondo, ostinato e la luce del sole si riversa dalle finestre aperte del soggiorno perché il calore è troppo elevato qui dentro e non lo posso spegnere.

Da settimane ormai, guidando o facendo cadere una busta con la spesa per strada, e la busta si rompe, penso: Questo è quello che fanno i vivi. E ieri, affrettandomi su quelle piastrelle incerte nel marciapiedi di Cambridge, versandomi il caffè sul polso e la manica, ho pensato ancora, e ancora dopo, quando compravo una spazzola per i capelli: Ecco.

Parcheggiare. Chiudere la portiera sbattendola nel freddo. Quello che tu hai chiamato quella bramosia.

Quello a cui tu alla fine hai rinunciato. Vogliamo che venga la primavera e che l’inverno passi. Vogliamo una persona qualunque che chiami o non chiami, una lettera, un bacio – vogliamo sempre di più e poi ancora.

Ma ci sono momenti, quando cammino, in cui colgo uno sprazzo di me nel vetro della finestra, diciamo la vetrina del video store all’angolo e sono stretta da una tenerezza così profonda per i miei capelli che volano, il viso screpolato e il cappotto sbottonato che rimango senza parole:

Sto vivendo, Mi ricordo di te.12

12 What the Living Do, op. cit. pp.89-90.

145

Sempre ci sono riferimenti alla quotidianità nelle sue poesie e vi appare anche l’alternarsi delle stagioni, la natura. Schegge di vita quotidiana le ballano nella mente: la spesa, la busta che si rompe, sporcarsi con il caffè. Pensa alle parole del fratello, al suo desiderio di vita, quello a cui lui ha dovuto rinunciare. E chi resta spera che venga presto la primavera e che l’inverno passi e che si venga cercati da qualcuno (… we want more and more and then more of it) e poi il momento epifanico, il momento in cui si vede nello specchio di una vetrina e si sente viva così com’è, coi capelli al vento, la faccia screpolata, il cappotto sbottonato. Viene colpita dalla stranezza di questa percezione: lei c’è, vive, lui può essere solo ricordato. Non ci sono spiegazioni che ci placano, possiamo solo percepire la difficoltà nel capire questa realtà.

“La poesia possiede la conoscenza che siamo vivi e che sappiamo che stiamo per morire,” dice la Howe.

What the Living Do

Johnny, the kitchen sink has been clogged for days, some utensil probably fell down there./And the Drano won’t work but smells dangerous, and the crusty dishes have piled up//waiting for the plumber I still haven’t called. This is the everyday we spoke of./It’s winter again: the sky’s a deep headstrong blue, and the sunlight pours through//the open living room windows because the heat’s on too high in here, and I can’t turn it off./For weeks now, driving, or dropping a bag of groceries in the street, the bag breaking,//I’ve been thinking: This is what the living do. And yesterday, hurrying along those/ wobbly bricks in the Cambridge sidewalk, spilling my coffee down my wrist and sleeve,//I thought it again, and again later, when buying a hairbrush: This is it./Parking. Slamming the car door shut in the cold. What you called that yearning.//What you finally gave up. We want the spring to come and the winter to pass. We want/whoever to call or not call, a letter, a kiss – we want more and more and then more of it.//But there are moments, walking, when I catch a glimpse of myself in the window glass,/say, the window of the corner video store, and I’m gripped by a cherishing so deep//for my own blowing hair, chapped face, and unbuttoned coat that I’m speechless:/I am living, I remember you.

146

“L’aspetto più misterioso dell’essere vivi potrebbe essere quello – e la poesia lo sa.”13

Mark Doty ha detto di What the Living Do che “Marie Howe ha reinventato l’elegia come poesia per i vivi, una poesia di istruzioni e che ha parlato di come il dolore ci educa.”

Riflettere su questi temi ci insegna a vivere con più consapevolezza e serenità.

* * *

Penso che l’arte di perdere sia poco praticata oggi dalla società in cui viviamo. Un esempio lampante è che vogliamo sempre fotografare tutto per timore di perdere qualcosa, riempendoci poi di foto che non guar- deremo più dopo l’immediato. Non mi dilungo su questo, non sono neanche tanto informata su tutta il ventaglio di possibilità che si aprono per conservare anche ciò che non è di gran valore. Siamo succubi della tecnologia: chi la padroneggia, padroneggia il mondo. È strano notare che già all’inizio del diciannovesimo secolo c’era chi aveva capito la sottomissione a cui ci induce la tecnologia e ce ne metteva in guardia. Il filosofo scozzese Thomas Carlyle nel saggio Signs of the Times che lo stesso Raymond Williams dice “anche se noto agli studiosi, non è generalmente conosciuto come meriterebbe”14 ci mette in guardia sul fatto che:

Non soltanto l’esterno e il fisico è adesso guidato dalla macchina, ma anche l’interno e lo spirituale. … La stessa pratica regola non soltanto i nostri modi di agire, ma anche i nostri modi di pensare e sentire. Gli uomini sono diventati dei meccanismi nella testa e nel cuore, così come nelle mani. Hanno perso la fede negli

13 http://www.npr.org/2011/10/20/141502211/poet-marie-howe-on-what-the-living- do-a... 14 Raymond Williams, Cultura e Rivoluzione Industriale Inghilterra 1780-1950, Traduzione di Maria Teresa Grendi, Piccola Bibioteca Einaudi, Torino, 1968 (Culture and Society 1780-1950, Chatto & Windus, London, 1961).

147 sforzi individuali, e nelle forze naturali di qualsiasi genere. Non per la perfezione interiore, ma per combinazioni e ordinamenti esteriori, per istituzioni, costituzioni – per il meccanismo, di un genere o di un altro essi sperano e lottano, Tutti i loro sforzi, affetti, opinioni, si accentrano sul meccanismo e sono di carattere meccanico.

E più in là:

Questa venerazione per il più forte fisicamente si è diffusa nella letteratura. …Lodiamo un’opera non come “vera” ma come “forte”; la nostra più grande lode è che ci ha “colpito”…

Attraverso le “macchine” ci illudiamo di possedere un’onnipotenza che non abbiamo mai avuto, basta guardare le pubblicità delle auto. Vedere i limiti, e torniamo ad Elizabeth Bishop, che ce li ricordava con quel suo falso tono da bambina diligente, è saggezza e oltre tutto ci permette di abbracciare una visione di noi stessi più umana.

Tempo fa sono tornata a vedere i magnifici affreschi di Caravaggio a San Luigi dei Francesi a Roma e ho scritto questa poesia, che ha sempre a che vedere con la perdita:

La vocazione di Matteo

A San Luigi i turisti ingombrano le scale, il sagrato, l’atrio, le navate e si affollano coi loro clic, gli sguardi metallici sotto agli affreschi di Caravaggio, ignari dell’insieme.

Illuminati, risaltano i colori brillanti.

Infilandomi, ingombrando anch’io lo scarso spazio,

148 mi accingo a guardare le figure perfette del pittore che da secoli ci guardano dal tavolo, lasciate lì a consumare una cena mai finita, troppo intenti a guardare o a non guardare la scelta di Gesù.

Vorrei dire: Invece di trasferire i dipinti sui vostri smartphone, sostate e abitate questo silenzio coi vostri turbamenti, le domande disattese, la paura.

State perdendo un’occasione, quella che aveva predisposto per voi il pittore.

Sembrate preoccupati di imprimere quei volti, quelle cose altrove, forse per allontanarli da voi, per illudervi di dominare la realtà coi vostri aggeggi tecnologici?

Lasciate che le forme si posino nella memoria e si modifichino, che restino e spariscano.

È la vita coi suoi guadagni e le perdite.

Che sia così,

149 un ricordo di bellezza e di pensiero custodito da una chiesa di Roma.

Anna Maria Robustelli

150

AMITO VACCHIANO

Crisi del liceo classico o crisi della cultura classica in Italia? (Per una nuova Res publica litterarum)

Omnis lingua usu potius discitur quam praeceptis, id est, audiendo, legendo, relegendo, imitationem manu et lingua temptando quam creberrume.

Iohannes Amos Comenius, Ianua linguarum reserata, 1631.

Le fredde cifre parlano chiaro: i dati delle preiscrizioni per il prossimo anno scolastico 2015-16, a livello nazionale, fanno regi- strare un’ulteriore flessione nelle iscrizioni al liceo classico a favore degli altri licei e in particolare del liceo scientifico. Un dato incon- trovertibile, dunque, è sotto gli occhi di tutti: il liceo classico è in crisi, o almeno non riscuote più fra gli italiani quell’ascendente di cui aveva goduto in passato. È il segno che probabilmente anche qui da noi sta giungendo l’onda lunga della globalizzazione che da tempo ha causato negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi europei la progressiva estinzione della cultura classica. Appare dunque opportuno aprire una riflessione in merito e stimo- lare un dibattito che non può che trovare la sua giusta collocazione tra le pagine della nostra bella rivista, i Quaderni del Liceo Orazio. Va innanzi tutto premesso che le cause della crisi vengono da lon- tano, sono profonde e sono più di una. È necessario dunque comin- ciare ad analizzarle per proporre eventualmente qualche soluzione. Il mio quindi vuole essere solo un primo, modesto contributo in questa direzione, nella speranza (o forse dovrei dire nella presunzione?) che,

151 se si riesce ad individuare le cause del male, è possibile trovare anche le terapie idonee a contrastarlo. A mio avviso, in Italia il fascino della cultura classica ha resistito più a lungo che in altri paesi, probabilmente perché con la riforma Gentile il liceo classico aveva ricevuto uno statuto privilegiato che lo rendeva la palestra di formazione delle classi dirigenti1. Giovanni Gentile, infatti, spinto dalla convinzione che l’edu- cazione dovesse essere indirizzata agli uomini migliori, coloro che sarebbero andati a far parte della classe dirigente, realizzò una scuola rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico- umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo.

1 Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione dall’ottobre del 1922 al luglio del 1924, approfittando dei pieni poteri concessi al primo governo Mussolini, procedette in grande fretta ad approvare una serie di leggi che diedero vita ad una riforma complessiva del sistema scolastico italiano, passata alla storia come la “riforma Gentile”, che entrò in vigore il 6 maggio del 1923. Essa si ispirava alle linee pedagogiche e filosofiche da lui elaborate a partire dai primi anni del Nove- cento. La nuova riforma si poneva in continuità con la legge Casati del 1859 che continuava a reggere l’impalcatura della scuola italiana. Gentile volle sviluppare un’idea di scuola severa, selettiva, destinata solo alle élites e nel suo intento non si staccò molto dal sistema casatiano, ma lo rese più organico cercando di dare una base teoretica e filosofica a un sistema scolastico di cui la legge Casati aveva co- struito solo l’impalcatura. Con la riforma Gentile, l’obbligo scolastico era elevato a 14 anni d’età; tuttavia i bambini avrebbero frequentato solo per cinque anni una scuola unitaria, la scuola elementare, mentre negli anni successivi avrebbero dovuto compiere una scelta tra quattro possibilità: il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso al liceo classico o al liceo scientifico (per molti aspetti simile al liceo mo- derno); l’istituto tecnico triennale, seguito da quattro anni di istituto tecnico supe- riore; l’istituto magistrale di sette anni, destinato alle future maestre; la scuola complementare, al termine della quale non era possibile iscriversi ad alcun altra scuola. Si trattava di un sistema che riprendeva molti aspetti della vecchia legge Ca- sati, anche per quanto riguarda l’accesso alla università: solo i diplomati del liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte le facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbero stato possibile accedere alle sole facoltà tecnico-scientifiche. Agli altri diplomati era invece impedita l’iscrizione all’uni- versità. Anche la riforma Gentile, dunque, come la riforma Casati, considerava il ginnasio-liceo classico, con la sua formazione centrata sulle materie letterarie, “la” scuola superiore principale, rispetto alla quale tutte le altre non erano che inferiori e parziali imitazioni.

152

Quest’idea di scuola, tra l’altro, si sposava bene con l’obiettivo iniziale di Mussolini che aveva urgente bisogno di un programma sistematico nei confronti della scuola per formare quei quadri dirigenti di cui il fascismo era sprovvisto. Con indubbio senso d’op- portunismo politico infatti, Mussolini, da poco diventato presidente del consiglio, seppe cogliere il grande vantaggio che poteva derivare al suo governo, servendosi dell’ambiguità populistica del progetto di riforma liberal-idealistico-cattolico, che già al tempo della sua presentazione in Parlamento aveva definito come “tipicamente fa- scista”. Mussolini appoggiò una riforma, che lui definiva “la più fascista delle riforme”, che «avrebbe attuato una scrupolosa se- lezione degli individui migliori destinati a occupare i posti più importanti nella gerarchia sociale e politica»2. Dal dopoguerra ad oggi le riforme scolastiche che si sono via via succedute, pur partendo dall’impianto fondamentale della riforma Gentile, hanno un po’ alla volta scardinato lo statuto privilegiato di cui il liceo classico godeva. La riforma Gelmini, l’ultima in ordine di apparizione, con la sua idea “di licealità diffusa” ha inferto forse il colpo di grazia definitivo al “prestigio” del liceo classico. Ma è sicuro che le responsabilità dell’estinzione della cultura classica in Italia siano da addebitare esclusivamente alla politica? Non è forse troppo comodo e semplicistico scaricare tutte le colpe sui politici e sulle infelici riforme da loro concepite e prodotte in questi ultimi anni con il lodevole intento di “fare cassa” per lo Stato a spese della Scuola italiana? Intendiamoci, le colpe della politica sono enormi e non farebbe male anche al Governo Renzi e la sua “Buona Scuola” cominciare a fare un po’ di autocritica. La destrutturazione delle cattedre, ad esempio, e le varie riforme dell’Esame di Stato, prodotte dai governi precedenti, hanno procurato danni colossali, ma appare chiaro che la crisi della cultura classica in Italia ha radici ben più lontane e profonde. «Chi ha ucciso Omero?» Così, qualche anno fa, due studiosi a- mericani, Victor Davis Hanson e John Heath, hanno intitolato un loro

2 GIOVANNI GENOVESI, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma, Laterza, 1998, p. 139.

153 libro contenente un’appassionante requisitoria sulle cause e sulle responsabilità della progressiva estinzione della cultura classica negli Stati Uniti. A questo punto, anche qui in Italia, verrebbe da chiedersi: «Chi sta uccidendo Omero?». Siamo sicuri di non essere noi ad ucciderlo? In- tendo dire noi studiosi, professori e cultori dell’antico. Infatti, salvo rare eccezioni, siamo colpevoli di presentare troppo spesso ai giovani una classicità inaridita, scialba, sterilizzata di tutto il suo enorme potenziale formativo e vivificante. Se guardiamo al passato la cultura classica è stata riscoperta proprio qui in Italia da quello straordinario movimento che è passato alla storia col nome di humanismus, cioè l’Umanesimo. Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento alcuni uomini, dei quali quasi nessuno era un “insegnante” di professione, ma spes- so nella vita si occupavano di tutt’altro, cominciarono a setacciare i monasteri di tutta l’Italia e poi dell’Europa alla ricerca di manoscritti antichi. Cosa cercavano in quei testi polverosi e rosicchiati dai topi? Probabilmente con certezza non lo sapevano neppure loro, ma certo speravano di trovare qualcosa di bello, qualcosa che li mettesse in grado di superare i tempi cupi e barbarici in cui vivevano, la media aetas, quel periodo oscuro che li separava dal mondo antico. Al Medioevo essi contrapponevano un mondo da loro, a torto o a ra- gione, ritenuto “felice”, in cui erano vissuti i grandi autori classici: come potevano non essere definiti “felici” i tempi che avevano pro- dotto scrittori come Catone, Cicerone, Lucrezio, Catullo, Sallustio, Virgilio, Orazio, Seneca, ecc.? Gli humanistae venivano dalle cento città d’Italia, erano notai, esperti di diritto, uomini politici, diplo- matici, collaboratori di papi e cardinali, ecc., ma si gettarono con entusiasmo in un’impresa titanica, leggendo e rileggendo con trepi- dazione le opere degli antichi, non accontentandosi delle summae tanto care agli intellettuali del Medioevo, esultando quando trova- vano qualche opera che si considerava ormai scomparsa, scambiando con gioia informazioni con uomini che vivevano in altre città o in altre regioni italiane e che avevano la stessa passione per gli antichi. Tutti ricercavano negli autori dell’antichità fondamentalmente due

154 cose: gli exempla uirtutis e la perfezione formale. In una parola quella che loro chiamarono humanitas litterarum. A volte cono- scevano solo un po’ di latino, quello imbastardito e involgarito che usavano i dotti del Medioevo, ma speravano di migliorarlo attin- gendo agli integri fontes dei sommi autori che cercavano con lena instancabile. Percorrevano tutte le regioni italiane alla ricerca di qualche notizia o di testi inediti, poi quando erano certi che ormai in Italia non c’era più nulla da investigare, passavano alle altre nazioni. Capovolsero la concezione medievale della realtà e al teocentrismo del passato contrapposero una nuova visione antropocentrica. E così, mentre nel resto dell’Europa gli uomini continuavano a restare immersi nel “buio” del Medioevo, in Italia si apriva una stagione nuova, un’era di splendido rigoglio letterario ed artistico che gettò le fondamenta e diede le premesse a quel Rinascimento che cambierà il volto dell’Italia e dell’Europa, un’epoca di cui noi italiani giusta- mente andiamo orgogliosi, perché allora ci guadagnammo un prima- to che non abbiamo mai più avuto, ma che ancora oggi tutto il mondo ci invidia. Perché dunque oggi la “spinta propulsiva” dell’Umanesimo, sta rallentando, anzi, sembra che si stia quasi per esaurire? Perché noi operatori culturali in Italia non riusciamo più a trasmettere lo stesso entusiasmo e la passione per la cultura antica che animava i nostri antenati umanisti? Qui, a mio avviso, è il nocciolo della questione. Le cause sono diverse, ma tutte riconducibili alla stessa radice: abbiamo smesso di cercare nelle opere degli antichi le stesse cose che cercavano gli umanisti. Un aneddoto forse può rendere più chiaro il mio pensiero. Durante i miei studi universitari, frequentavo assiduamente le lezioni di letteratura greca del professor Luigi Enrico Rossi. Era un profes- sore straordinario: dotato di una cultura immensa, ma soprattutto, cosa assai rara, aveva il pregio di parlare chiaro e farsi capire da noi studenti, perciò pendevamo letteralmente dalle sue labbra. Un giorno, tra il serio e il faceto, come era sua abitudine, se ne uscì con una frase che si è scolpita nella mia mente: «Noi per tutta la settimana, dal lunedì al sabato, dobbiamo essere studiosi, seri e

155 rigorosi, dell’antichità classica, dobbiamo essere via via filologi, storici, archeologi, epigrafisti, antropologi, linguisti, ecc.: in una parola, scienziati; poi, la domenica, quando nessuno ci vede, pos- siamo anche rilassarci davanti alle opere degli antichi ed esclamare: “Che bello!”». Quelle parole, allora, furono per me “oro colato”, un insegnamento rimasto indelebile. Oggi, però, a distanza di anni, quelle stesse parole mi spingono ad una riflessione più meditata. Oggi scopro che erano figlie di una concezione dello studium dell’antichità assai diversa da quella propria degli umanisti. Il mio professore quasi si vergognava di dire “Che bello!” davanti alle ope- re degli antichi, mentre era orgoglioso della sua fredda scientia o per dirlo alla tedesca della sua Altertumswissenschaft. Un atteggiamento esattamente agli antipodi di quello degli umanisti, i quali, ricordia- molo, raramente erano “professori” di professione (mi sia concesso il bisticcio di parole): essi non si vergognavano della loro inscitia, anzi era proprio quella che li faceva muovere (questo ci ricorda Socrate che riteneva che il sapere di non sapere fosse il principio della vera sapienza), ma non si vergognavano neppure di considerarsi alunni degli antichi o “nani sulle spalle di giganti”. Come si è potuta for- mare, dunque, in Italia una concezione degli studi classici antitetica a quella degli umanisti? Il primo a proporre questa nuova visione non era stato certamente il mio professore e neanche i professori che lo avevano preceduto, perché tutti la pensavano come lui e anch’io per molto tempo ho avuto le medesime convinzioni (almeno finché qual- cuno non mi ha aperto gli occhi). La cosa mi incuriosiva e cominciai a raccogliere informazioni in merito. Alla fine del ’700 i tedeschi, usciti dalla barbarie grazie agli uma- nisti italiani, pensarono di poter camminare con le proprie gambe e fare a meno degli insegnamenti dei loro maestri italiani. L’Illu- minismo prima e il Romanticismo poi li convinsero che l’atteg- giamento degli umanisti verso gli autori classici era da ritenersi ormai superato, così come il classicismo alla maniera antica che a quell’epoca era coltivato quasi solo in Italia3. Si pensi, ad esempio,

3 Si definisce classicismo l’insieme dei caratteri stilistici e dei concetti teorici che, a partire dal Rinascimento, sono stati ricavati dall’antichità classica e rielaborati

156 alla polemica tra classicisti e romantici accesa in Italia da una celebre lettera aperta di madame de Staël. A quel punto qualcosa si ruppe: un po’ alla volta gli italiani si autoconvinsero che, rispetto alle più pro- gredite nazioni europee, erano rimasti indietro ed erano diventati quasi dei provinciali al loro confronto. Cominciarono a chiedersi se una delle cause del mancato raggiungimento dell’unità nazionale non andasse ricercata proprio nella loro arretratezza culturale. Gli italiani si convinsero anche che per colmare il divario con le altre nazioni più progredite dovevano assolutamente guardare alla cultura tedesca che allora forse appariva più solida e rassicurante rispetto a quella dei nostri cugini francesi. È indubbio che tutta la cultura italiana dell’Ot- tocento e del primo Novecento fu fortemente influenzata dalla cul- tura extraeuropea e da quella tedesca in particolare. Dopo l’Unità tutto il sistema educativo italiano, dall’Università alla Scuola Su- periore, fu ispirato al modello tedesco e plasmato “a sua immagine e somiglianza”. In particolare l’idealismo tedesco e lo storicismo lasciarono segni che ancora oggi sembrano indelebili. Ci siamo chiesti, ad esempio, perché mai l’insegnamento della storia deve es- sere legato a quello della filosofia e affidato ad un unico insegnante. Perché mai ancora oggi esistono corsi di laurea in storia e filosofia? Perché nelle nostre università statali non esistono cattedre di teologia, tanto che se qualcuno oggi desidera studiare questa disci- plina può farlo solo nelle università della Chiesa cattolica? E infine, perché oggi nelle nostre facoltà di lettere, pur fiorendo le cattedre di grammatica, non esistono cattedre di retorica o come si diceva un tempo di “eloquenza” antica greca e latina? La causa di tutto ciò va ricercata nel fatto che nell’Ottocento la Scuola statale italiana è stata modellata, a partire dall’Università, sulle omologhe istituzioni tedesche e, dal punto di vista della meto- dologia sulla Formale Bildung. In particolare, proprio lo studio delle lingue classiche in Italia ha subito i danni più rilevanti. Quanti dei nostri studenti dopo cinque formandone un canone proposto come modello supremo per ogni produzione artistica e letteraria. In senso più ampio può essere definito classicismo qualsiasi movimento che tenda a far rivivere lo “spazio letterario” dell’antichità.

157 anni di latino e greco al liceo classico saprebbero leggere compren- dere e apprezzare gli aspetti formali e contenutistici di un testo antico? E, onestamente, quanti di noi insegnanti saremmo in grado di fare altrettanto? Se frequentassimo un corso di inglese per cinque anni saremmo certo in grado di farci comprendere parlando e scrivendo in una decente prosa inglese. Oggi, invece, dopo cinque anni di latino e greco è considerato normale che studenti del liceo classico siano in grado solo di tradurre in italiano un testo di media lunghezza (una paginetta), naturalmente con l’aiuto indispensabile del vocabolario e la possibilità, tollerata, di fare qualche errore non grave. Per uno studente italiano sarebbe una difficoltà insormontabile esprimere un pensiero elementare in latino, figuriamoci poi in greco. Il metodo oggi più diffuso nella Scuola italiana nella didattica delle lingue classiche, nella communis opinio a torto ritenuto “il metodo tradizionale”, è al contrario d’introduzione piuttosto recente, e non risale oltre il secolo XIX, quando giunse anche in Italia la Formale Bildung tedesca. Questo metodo, dominante allora nella scuola tedesca, tendeva a considerare l’insegnamento delle lingue classiche come una “ginna- stica mentale”, per sviluppare nello studente la pazienza e la logica: qualità che poi avrebbero dovuto essere trasferite allo studio di altri campi del sapere e costituire così una “formazione di base” del carat- tere e delle attitudini al lavoro intellettuale. Che si imparasse o meno il latino (o il greco) era un dettaglio del tutto trascurabile. Quante volta abbiamo sentito la frase: “il latino insegna a ragionare”. Niente di più falso! È indubbio che “il rigore logico” (ammesso che si riesca a definirlo in maniera univoca) è assicurato meglio da altri canali. A seconda di come lo si definisca, ad esempio, può essere veicolato da uno studio più rigoroso e sistematico dell’italiano, oppure, se si vuole, dalla logica (che è parte fondamentale della filosofia), o dalla matematica, o anche da molti giochi (come gli scacchi, il master mind, ecc.). Questo metodo era figlio dell’erudizione tedesca dell’Ottocento e il cui iniziatore può essere ritenuto niente di meno che il grande

158

Friedrich August Wolf, il padre della filologia classica tedesca. Egli, infatti, per primo abbandonò la vecchia denominazione di studiosus philosophiae e preferì definirsi pomposamente studiosus philologiae. Sembra incredibile, ma ad essere conquistata per prima da questa “nuova erudizione tedesca” fu proprio l’Italia, la patria di Francesco Petrarca, Lorenzo Valla, Angelo Poliziano, ecc. Si potrebbe dire che avvenne una specie di Graecia capta ferum victorem cepit al con- trario! Gli italiani abbandonarono senza troppi rimpianti “il metodo degli umanisti”, un metodo che per secoli aveva consentito a gene- razioni di giovani, una volta appreso il latino in maniera attiva, di poter avvicinarsi con fiducia alle opere degli antichi e gustarne direttamente tutte le qualità di forma e di contenuto. Un metodo ammirato e fatto proprio, oltre che da tanti dotti italiani, anche da umanisti d’Oltralpe, come Erasmo, Melantone, ecc. La conoscenza “attiva” del latino e il suo utilizzo come mezzo comune (“una lingua che non è di nessuno eppure è di tutti”) consen- tiva agli umanisti non solo di sentirsi uniti fra loro in un’unica res publica litterarum, ma soprattutto di sentirsi vicini a coloro il quali, vissuti molti secoli prima di noi, come disse Francesco Petrarca, “con noi vivono, abitano, instaurano un dialogo che non avrà mai fine”. O forse pensiamo che Niccolò Machiavelli scherzasse nella Lettera a Francesco Vettori dicendo che la sera, quando si accingeva a leggere le opere degli antichi, si cambiava addirittura di abito? Il nostro errore oggi, a mio avviso, è l’aver confuso lo strumento con il fine, facendo dello strumento il fine dell’insegnamento e per- dendo di vista l’unico vero fine che giustifica la necessità di impa- dronirsi di questi strumenti. Noi moderni, ad esempio, spesso abbiamo trasformato lo studio della lingua un arido nozionismo grammaticale (imparare delle “re- gole” e poi riconoscerle in un testo). Chi può biasimare, dunque, i giovani di oggi che non si sentono più attratti da una disciplina insegnata in questo modo? E che ricordo avranno dei cinque anni trascorsi al liceo classico i malcapitati che lo hanno scelto? Io credo che il fine dell’insegnamento del liceo classico in gene- rale, e delle discipline classiche in particolare, vada dunque ripensato

159 e, a mio avviso, individuato nell’educazione al gusto del bello sia nella forma che nel contenuto, la kαλοκαγαθιά degli antichi Greci4. Non c’è nulla di male, infatti, nell’imitazione degli antichi, nel voler assimilare la bellezza formale delle loro opere e apprezzarne la humanitas. «I sapienti, fra tutte le virtù hanno chiamato una sola humanitas, traendone il nome da quello stesso di uomo, perché essa insegna ad amare e a prendersi cura di tutti gli uomini, passati, presenti e futuri, in un unico ideale di fratellanza». Sono parole di Marsilio Ficino, ma come potrebbero non essere fatte nostre? È dunque di fondamentale importanza nei primi due anni del liceo classico offrire agli allievi la possibilità di un approccio più piace- vole dello studio della grammatica (ars recte scribendi), con un me- todo induttivo piuttosto che deduttivo, per poi passare nel secondo biennio, una volta consolidate le conoscenze della lingua, alla lettura diretta degli autori classici, attraverso il recupero della retorica (ars bene loquendi), tanto vituperata in passato, per acquisire gli strumen- ti che questa disciplina offre per cogliere nei testi degli antichi quelle caratteristiche che li hanno resi immortali, cioè veri classici, opere che non finiscono mai di arricchire gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Infine, forti di questo formidabile bagaglio culturale, nell’ultimo anno del liceo passare a rielaborare, argomentare e ripro- durre in forme nuove, autonome e consapevoli, quanto appreso negli anni precedenti. Si ritornerebbe così a quell’ordo studiorum che gli antichi sintetizzarono nella splendida formula del “trivio”: gram- matica, retorica e dialettica. Oggi invece, nel liceo classico del “dopo-Gelmini”, viviamo una situazione drammatica e per certi versi grottesca. Specialmente gli insegnanti di lettere classiche che non si rassegnano a vedere gli

4 A questo proposito ritengo di importanza fondamentale l’introduzione dello studio della musica nel liceo classico e che quello dell’arte sia potenziato (ho scritto arte non storia dell’arte). Si ricordi che per gli antichi le artes liberales, cioè quelle che si addicevano ad un uomo libero erano il trivio (grammatica, retorica e dialettica) ed il quadrivio (musica, aritmetica, geometria e astronomia). Basti questo a far riflettere quanto sia ridicolo il nostro dibattito moderno sul conflitto fra le cosiddette “materie letterarie” e “materie scientifiche”.

160 studi classici ridotti ad una pallida imago di quelli che furono nei loro tempi migliori. È vero che i programmi sono fatti come sono fatti, è vero che non abbiamo più delle cattedre certe e non sappiamo più con sicurezza in quali classi insegneremo l’anno successivo. È vero che siamo stati praticamente espropriati del diritto di insegnare servendoci di libri adottati da noi, ma spesso dobbiamo adeguarci a scelte fatte da altri. È vero anche che l’attuale esame di stato penalizza le discipline classiche, ridotte ad una breve traduzione in italiano nella Seconda prova scritta, a qualche quesito semistrutturato nella Terza prova scritta, e al Colloquio orale, se c’è tempo, qualche frettolosa doman- da di storia letteraria. È vero anche, però, che molti di noi, docenti e cultori dell’antico, non ci rassegniamo, ci rendiamo conto che è necessario reagire, lottare con tutte le forze e con ogni mezzo, se non vogliamo assistere impotenti fra qualche anno al tramonto degli studi classici in Italia, attraverso una loro completa abolizione, magari nella prossima nuova “riforma”, naturalmente impostaci, preconfezionata dall’alto, in nome di una presunta “modernità”. A mio avviso perciò, dobbiamo fare un piccolo sforzo, lavorare un po’ di più, aggiornandoci e riflettendo su quanto nei nostri metodi è ormai obsoleto o addirittura figlio di concezioni lontane e antitetiche agli studia humanitatis, rinnovandoci profondamente, discutendo fra di noi, utilizzando la nostra rivista, rivitalizzando attivamente la vita intellettuale della nostra comunità scolastica, per sentici finalmente fratelli in una rinnovata res publica litterarum.

161

162

Sezione didattica (collaborazioni degli studenti)

163

164

STEFANO DE STEFANO

L’Orazio alle Olimpiadi di Filosofia

Anche nel 2014 il nostro Liceo ha partecipato alla XXII edizione delle “Olimpiadi di Filosofia”, organizzate dalla Società Filosofica Italiana (SFI) d’intesa con il Ministero dell’Istruzione. La manife- stazione è riservata agli studenti e alle studentesse frequentanti il triennio delle scuole secondarie di secondo grado. La prova consiste nella redazione di un saggio di argomento filosofico. Quest’anno gli studenti sono stati chiamati a presentare le loro posizioni in relazione al seguente orizzonte tematico: Abitanti del mondo tra identità e differenze. Nella nostra scuola, una commissione composta dai proff. De Stefano Stefano, Migliaccio Maria, Romani Antonella, d’intesa con tutto il Dipartimento di filosofia dell’Orazio, ha provveduto ad organizzare la prova scritta per la selezione regionale, quindi alla correzione degli elaborati e all’individuazione dei candidati dell’Orazio che avrebbero partecipato alle selezioni regionali per accedere alla gara nazionale. Prima di Natale 2013 la Commissione ha realizzato un incontro con gli studenti per prepararli alla programmazione e realizzazione di una dissertazione filosofica, con l’ausilio della presentazione, anche multi- mediale, di modelli argomentativi e procedure stilistiche all’uopo destinati. La gara d’Istituto si è svolta il 3 febbraio 2014, nei locali della sede centrale e ha visto la partecipazione di 42 iscritti. Gli elaborati selezionati sono stati: il saggio di Lorenzo Pizzoli della classe 3 liceo classico sez. B, per il canale internazionale; i saggi di Silvia Scavino della classe 1 liceo classico sez. C e Lavinia De Santis della classe 2 liceo classico sez. B, per il canale nazionale. Alla fase successiva della selezione nazionale ha partecipato, però, Adriana Coluccia della classe 2 liceo classico sez. L, essendo Silvia Scavino impossibilitata.

165

Nella prova svolta successivamente, all’Università RomaTre, per il canale internazionale e, dunque, in lingua inglese, lo studente Lorenzo Pizzoli si è classificato al quinto posto su circa 15 partecipanti a livello regionale. Riportiamo di seguito le tracce proposte nella selezione d’Istituto e i migliori quattro elaborati: XXII Olimpiade di Filosofia – fase d’Istituto. Tema di riflessione: Abitanti del mondo tra identità e differenze. Traccia 1 Gli uomini moderni sono più consapevoli della presenza e dell’importanza delle diverse culture e del loro diritto di esistere. Indubbiamente lo sviluppo poderoso delle comunicazioni ha accelerato il rapporto tra le culture, sia in forma di incontro che in quella di scontro. Da ciò, la odierna multiculturalità, condizione senz’altro nuova che, da un lato, presenta indiscutibili fattori di progresso ma, dall’altro, sollecita nuove sensibilità e nuove modalità di partecipazione. Traccia 2 Si afferma spesso che la discussione è possibile soltanto tra persone che hanno un linguaggio comune e condividono le stesse assunzioni di base. Credo che ciò sia erroneo. Tutto quel che si richiede è la dispo- nibilità ad apprendere dall’interlocutore, il che comprende il sincero desiderio di comprendere ciò che egli vuole dire.

PIZZOLI Lorenzo, classe 3B classico, 2013/2014

Traccia 1

Il mondo e la società contemporanea hanno assistito, e stanno assistendo, ad un progressivo allargamento dei confini, intesi non solo come delimitazioni di carattere territoriale, ma anche e soprattutto come demarcazioni culturali entro le quali si ascrivono la lingua, le usanze e i costumi dei popoli. L’espansione di tali limiti, favorita dalle rapide connessioni telematiche, ha parallelamente costituito uno spazio sempre più angusto per le singole realtà particolari, che si trovano così in una condizione di necessario confronto con realtà fino a prima sconosciute. Si pone, in questo senso, la questione del rapporto con l’altro, delle relative modalità e finalità, con lo scopo di valorizzare anche sistemi

166 culturali minoritari, che rischiano di soccombere di fronte a Paesi ben più grandi o presenti sulla scena internazionale, mastodontici “esportatori di cultura”. Ben lungi dall’essere una minaccia o uno “scendere a compromessi”, l’incontro con culture diverse è il principale mezzo con cui dar voce alla propria identità, senza sfociare, per- seguendo lo stesso fine, nel fanatismo o nell’intolleranza nazionalistica. La storia della filosofia e del pensiero occidentale sembrano, in questo senso, consapevoli di tale necessità. Muovendo ad esempio da una concezione dinamica dell’essere, che si articola secondo un andamento dialettico, anche al livello antropologico Hegel concepisce la cultura di un determinato popolo nelle sue più svariate manifestazioni, come espressione del grado di consapevolezza raggiunto dallo Spirito, che deve quindi avvalersi della sua storia pregressa secondo una continua linea evolutiva. La cultura si presenta, in questo senso, come “filia temporis”, come un processo accumulativo e dinamico che non può prescindere da ciò che è “altro da sé”. Se dunque “omnis deter- minatio est negatio”, la tesi è tale solo nel suo rapporto con l’antitesi, che essa riconosce nella misura del diverso (secondo schemi già illustrati da Platone nel “Parmenide”), e attraverso il quale essa acquista consapevolezza di sé. Traslando le tesi hegeliane in ambito antropologico, appare evidente come il rapporto con l’altro sia necessario fondamento della società: una necessità che è in primo luogo ontologica, poiché una singola auto- coscienza, come sostiene Hegel nella Fenomenologia dello Spirito (autocoscienza), acquista consapevolezza di se stessa tramite lo scontro con le altre autocoscienze, che la riconoscono come tale. Oltre a configurarsi come necessità individuale, l’apertura all’altro è indi- spensabile anche al livello duale/gnoseologico: già Socrate aveva individuato nel dialogo il metodo filosofico per eccellenza, necessario al raggiungimento dell’ ὀ µολογία. Con un progressivo allargamento di orizzonti, il rapporto con l’altro è elemento regolativo dell’ordine sociale, tanto che Hegel pone, nel diritto astratto, il contratto tra due sin- goli come momento obbligato del diritto stesso. Alla luce di ciò appare quanto mai evidente che, nelle sue diverse modalità e applicazioni, l’apertura al diverso, ad una nuova cultura, è formativa per lo sviluppo personale, interpersonale e globale. Una multiculturalità, questa, che si inserisce, secondo le tesi più recenti di

167

Zygmunt Bauman, in un’ottica di “glocalizzazione”, e che si articola su due livelli di consapevolezza, secondo l’assunto “think global, act local”. Da un lato vi è infatti la necessità di “agire” all’interno di una realtà ristretta, in quanto essa è il campo d’azione nel quale il singolo è calato. Dall’altro, vi è tuttavia la consapevolezza che il particolare ha ragion d’essere solo se in esso si coglie l’universale. Si determina così una situazione in cui il singolo è veramente “cosmopolita”, secondo la morale stoica, ma al tempo stesso è consapevole del fatto che la realtà particolare in cui opera è, come Epitteto la definisce con vocabolo di ascendenza euclidea, γωνία, angolo, nel senso più geometrico e rigoroso del termine: un elemento di estensione ridotta ma fondamento indi- spensabile alla costruzione del più ampio sistema, del più complesso “edificio globale”.

DE SANTIS Lavinia, classe 2B classico, 2013/2014

Traccia 2

La concezione protagorea dell’uomo come “misura di tutte le cose” esprime una visione relativistica del mondo che esclude a priori ogni affermazione valida da tutti i punti di vista. Essa mette in crisi il sogno dell’ “autochthonia”, l’idea tipicamente greca di essere gli unici legittimi abitanti di una certa terra e superiori, per questo, agli invasori. Ancora oggi è diffusa la tendenza a considerare l’appartenenza a un determinato territorio e la tradizione, come le presunte radici dalle quali far svi- luppare la storia culturale di un popolo. Sono proprio le radici a fondare l’identità? A me sembra arbitrario identificare un gruppo sociale me- diante rigidi schemi culturali. Al contrario, il pluralismo culturale mi sembra la via migliore da percorrere all’interno di una società aperta, che costruisce la propria identità attraverso la continua ridefinizione del proprio patrimonio culturale. L’identità, infatti, è il risultato di un pro- cesso in continuo cambiamento, che avviene grazie agli scambi tra le diverse culture. Un esempio opposto a questa visione è rappresentato dal modello tracciato da Platone nel “De Republica”: una società immutabile e perfetta, dove ognuno svolge il ruolo al quale è predestinato. In questa società chiusa gli individui non godono di alcuna libertà, identificati

168 totalmente nella posizione sociale che vi occupano. Affinché la libertà di ciascuno possa, invece, esprimersi liberamente, mi sembra più accet- tabile una visione antidogmatica del mondo. Nella cultura di oggi, grazie al “meticciamento”, quel processo di ibridazione culturale all’interno della società globale, sta nascendo un’identità aperta, non più legata alle appartenenze, ma fondata sulle differenze. Questo processo è causato dalla necessità, naturale per l’individuo, di entrare in contatto con l’altro. Il mondo non esiste se non come rappresentazione mentale dell’uomo: da ciò deriva la necessità di comunicare con gli altri, in quanto ciascuno è portatore di un frammento di verità. Tuttavia, per quanti scambi possano avvenire tra gli uomini, il mondo non potrà mai acquisire un aspetto unitario, tale da assorbire le infinite differenze tra gli esseri che ne fanno parte. Queste ultime sono il fondamento della realtà frammentata in cui viviamo e non si possono ridurre a fattore comune. In conclusione, il “faccia a faccia con l’altro”, così come è stato definito da Lévinas, è una comunicazione autentica che non può avere come fine l’assorbimento dell’altro a sé, ma il rispetto della sua identità.

SCAVINO Silvia, classe 1C classico, 2013/2014

Traccia 2

“Si afferma spesso che la discussione è possibile soltanto tra persone che hanno un linguaggio comune e condividono le stesse convinzioni di base”, citazione alquanto spinta e assolutistica. Per comprenderla bi- sogna prima concentrarsi su quale sia l’effettivo significato dei termini riportati. Facendo un primo riferimento alla terminologia, l’avverbio “spesso” già presuppone che questa è una concezione accettata da molti, ma nonostante questo rimane tale, una concezione, e non una verità. Concentrandosi invece sul viaggio da intraprendere attraverso la gnoseologia e l’ontologia dei termini proposti, a pretendere la nostra attenzione sono sicuramente le parole “discussione” e “linguaggio”. Con il primo termine si può intendere il confronto di opinioni, più o meno acceso, tra personalità, più o meno vicine, quindi la confidenza sarà condizionata dal legame che si frappone tra gli interlocutori; il grado di confidenza è anche, ovviamente, determinante per il

169 linguaggio, che sarà più o meno formale, più o meno contenuto. Come si può intuire dal seguente aggettivo, “comune”, il linguaggio non va semplicemente inteso a livello lessicale o formale, ma ci si deve concentrare sulla capacità propria di questo formidabile strumento: la possibilità inesauribile di confronto che è in grado di consegnarci. Prendiamo come chiave di lettura del pensiero citato proprio la parola “confronto”; con essa si riassumono anche i concetti di “diversità di pensiero”, “conoscenze”, “opinioni”, “disponibilità e apertura alla comprensione di realtà esterne” e, infine, ciò che forse è la causa, la forza motrice del pensiero umano: “il desiderio di migliorarsi attraverso la ricerca della verità”. Ma se avessimo tutti le stesse assunzioni di base, gli stessi retroterra, avremmo tutti le stesse opinioni, non ci sarebbe alcun confronto, poiché la verità sarebbe universalmente accettata. Non solo non ci sarebbe un confronto, ma non ci sarebbe nemmeno ciò che ne consegue, ovvero una discussione. Per quanto riguarda il livello formale della discussione è ovvio che urge la necessità di comprendere e farsi comprendere, così entra in gioco il linguaggio. Quello di parlare una stessa lingua non è certo un bisogno, come ci hanno testimoniato e continuano tuttora i vari migranti che comunicano a gesti con i nativi del Paese ospitante, bensì una comodità. Avendo sfatato anche questa convinzione, abbiamo dimostrato che “tutto quel che si richiede (per una discussione) è la disponibilità ad apprendere dall’interlocutore”.

COLUCCIA Adriana, classe 2L classico, 2013/2014

Traccia 2

È impossibile affermare che la discussione può avvenire se tutti coloro che ne prendono parte sono tra persone che condividono le stesse opinioni e che hanno qualcosa in comune. L’opinione di un qualsiasi individuo è uno dei tanti tratti che caratterizzano l’identità della stessa persona e che, dunque, la rende diversa dal resto del mondo. Una qualsiasi discussione non può aver luogo se tutti coloro che ne prendono parte condividono le stesse tesi: lo spirito critico individuale verrebbe sempre di più ad affievolirsi, fino a

170 scomparire, sfociando in un pensiero sterile e cadendo in un relativismo annichilente. Il bello di essere persona è quello di poter scegliere chi essere, come identificarsi, così da occupare ognuno un posto diverso nel mondo, in base all’identità che si decide di assumere, di analogia o differenza rispetto a quella degli altri. Quindi la discussione non può assolutamente avere luogo soltanto fra individui che hanno le stesse assunzioni di base; certamente si può essere d’accordo su un argomento, su una tesi; ma, se si esamina attentamente il significato del verbo “discutere”, esso presuppone un dialogo in cui si mettono a confronto i propri punti di vista con quelli dell’interlocutore in relazione all’oggetto della discussione. Dunque queste tesi non possono essere uguali, altrimenti la discussione non avverrebbe, non verrebbero prese in esame più conclusioni, non si potrebbe arrivare ad alcuna decisione finale che cerchi di coagulare tutte le diverse opinioni. Non c’è, quindi, alcuna discussione se non ci sono due o più parti, che cercano di contendersi la ragione. Come mai Epicuro ha sentito il bisogno di inserire nella teoria atomistica il “clinamen”? Senza dubbio perché voleva aprire uno spiraglio di libertà e di diversità alla monotonia e alla sterilità della teoria degli atomi, formulata da Democrito. L’elemento fondamentale della comunicazione è, oltre alla necessità di opinioni differenti, la disponibilità, da parte di chi ascolta, di apprendere dall’interlocutore e di voler comprendere con interesse che cosa egli abbia da dire. Nel caso della storia si sono potuti riscontrare vari episodi di un ascolto parziale, inflessibile ed intransigente nei confronti di idee divergenti. Questo tipo di ascolto venne adottato dalla Chiesa tra il XVI e il XVII secolo, ed è spontaneo riferirsi alla figura di Giordano Bruno, simbolo della libertà di pensiero, accusato come “eretico impenitente” per aver affermato la superiorità della filosofia sulla religione. Quindi una qualsiasi comunicazione può aver luogo tra chiunque. Questa conclusione è praticamente ovvia se si fa riferimento a Socrate, che predilesse il “dialogo” come forma migliore di confu- tazione tra persone appartenenti a qualsiasi classe. Oltre alla diversità di persone, quindi di opinioni, durante una discussione è fondamentale il rispetto dei pensieri altrui; senza che nessun interlocutore ritenga che il suo pensiero sia superiore, più

171 valente, rispetto a quello degli altri, e che non giudichi considerando più l’identità di chi l’ha detto rispetto al contenuto del formulato.

172

MARCO PESCETELLI

Happy Orazio

Dopo sei anni di tentativi, finalmente un videoclip prodotto dal laboratorio cinema del liceo Orazio! Basterebbe questa considerazione per definire ‘happy’ questa esperienza! Da quando ho iniziato ad insegnare, venticinque anni fa, ho sempre proposto un laboratorio cinema a scuola, considerando quest’arte un elemento caratteristico della nostra cultura e del nostro tempo. Eppure ancora oggi una persona è considerata ‘di cultura’ anche se, pur conoscendo Dante, Michelangelo e Mozart, non ha mai visto un film di Fellini, Ejzenštéjn o Kurosawa. Così il linguaggio cinematografico, e la cultura artistica ad esso collegata, rimane relegato lontano dai banchi di scuola e guardato con sussiego in contesti accademici. L’esposizione quotidiana e massiccia di fronte ad immagini che condizionano il nostro modo di pensare e di vivere, esigerebbe invece l’acquisizione di strumenti necessari alla decodifica dei messaggi audiovisivi: la cosiddetta ‘alfabetizzazione cinematografica’. In cosa consiste esattamente? Il cinema, come ogni arte, possiede un particolare linguaggio che deve essere appreso, se si vuole accedere alle opere, facendone un’esperienza vissuta. Quest’apprendimento non consiste tanto nell’ap- propriarsi di un vocabolario tecnico, quanto piuttosto nell’accogliere un’opera nella sua peculiarità per comprenderla appieno e, in ultima analisi, per esprimere un giudizio, non solo di gusto, ma consa- pevolmente critico. Le arti del Novecento hanno determinato forti influenze l’una nei confronti dell’altra, in un intreccio di interessi e riflessioni estetiche e culturali che hanno investito i maggiori intellettuali di questo secolo. Se andiamo indietro nella storia della cultura, risale forse ai tempi del filosofo greco Platone l’idea di creare, ai fini della suggestione politico- religiosa, delle ombre che sovrastassero un pubblico attonito. Con l’esempio degli uomini incatenati in una grotta, senza possibilità di

173 vedere la realtà, ma solo ombre proiettate sul fondo della caverna, Platone volle dimostrare con un esempio l’apparente contrasto tra la conoscenza sensibile, ovvero la realtà quale essa ci appare, e la conoscenza intellegibile, cioè quella che realmente è nella dinamicità del suo divenire. A distanza di più di duemila anni nel buio si consuma ancora quel magico evento: la grotta è diventata una comoda spaziosa sala cinematografica, le ombre hanno preso colore e vita, le immagini sono diventate film. Certo non tutto quel che è strutturato come messaggio visivo è film e non tutti i film sono opere d’arte: pensiamo alla quantità di immagini che la televisione trasmette ogni giorno tra pubblicità, sceneggiati, soap- opera, documentari, reportage giornalistici. Il cinema non è il solo quindi ad avvicinarci al modello del villaggio globale di Mc Luhan. In una società che si avvia a divenire cosmopolita, in cui l’immagine audiovisiva prende sempre più parte all’educazione scolastica (e non), intervenendo massicciamente sull’immaginario collettivo, non può sfuggire l’importanza di un’appropriazione di strumenti atti a deco- dificare tali messaggi. A rendere necessaria un’alfabetizzazione cinematografica è, inoltre, la possibilità ormai universalmente riconosciuta al film, di essere forma d’arte totale, in cui cioè confluiscono tutte le altre (architettura, musica, pittura, etc.). Ecco perché ho ritenuto necessario proporre ogni anno un laboratorio le cui finalità non si esauriscano in un mero approccio semiologico e/o tecnico ai mezzi audiovisivi, ma che abbia come obiettivo quello di stimolare negli studenti nuove capacità critiche e un discorso estetico maturo. Così il corso è stato suddiviso in due parti: una teorica ed una pratica, laboratoriale. Nella prima ho presentato una breve storia delle origini del cinema, fino ad arrivare alla produzione di un film: dalla fase letteraria a quella produttiva. Ho analizzato i processi psicofisiologici della visione (persistenza delle immagini sulla retina, regola del Linke, regola dei terzi, caratteristiche della visione saccadica, processi di identificazione e proiezione) per poi passare a definire lo specifico del linguaggio

174 cinematografico: l’inquadratura, la distanza e l’angolazione variabile, il montaggio1. Una volta che gli alunni hanno cominciato a distinguere la composizione delle inquadrature statiche (i piani e i campi) e in movimento (panoramica, carrellata, dolly, camera-car, louma, steady- cam, etc.), comprendendo il valore semantico di ognuna di esse, sono passato a illustrare le strutture narrative: il montaggio a priori (la sce- neggiatura e la struttura della ripresa), il montaggio a posteriori (quello realizzato in moviola, o al computer), il montaggio continuo e quello discontinuo. Infine sono passato a presentare gli elementi della colonna sonora, l’uso espressivo del colore, della scenografia, dei costumi. Ogni elemento dello specifico del linguaggio cinematografico è stato ‘fatto vedere’ attraverso la presentazione di scene e sequenze tratte da film celebri, classici e moderni, ma anche meno ‘titolati’ come i recenti film di animazione. Il gruppo degli studenti che ha seguito la prima parte teorica finalmente ha potuto cimentarsi con la realizzazione di un videoclip. Tra le varie idee proposte, alla fine è emersa quella di produrre un videoclip musicale che sfruttasse un brano popolarissimo di Pharrell Williams: Happy. Il soggetto è nato più dal desiderio di realizzare qualcosa di divertente che non da quello di creare una pubblicità del liceo. Alla fine però il connubio tra le due ‘anime’ del progetto è stato felice. Pur con scarse attrezzature (una telecamera MiniDVcam, di cui bisognava reperire le cassette ormai fuori commercio) i ragazzi del corso hanno partecipato in modo entusiastico alla realizzazione, recitando e trovando il fabbisogno scena (decine e decine di palloncini colorati, un costume da ‘Minerva’ e quelli del protagonista con Moon-Boot e casco, etc.), rimanendo a scuola ben oltre gli orari del corso e mostrandosi sempre disponibili per le esigenze di scena. La mancanza di attrezzatura mi ha visto alla fine chiedere una mano ad un montatore professionista che ha potuto aiutarmi nella realiz- zazione finale, e forse più importante: il montaggio. Pur avendo messo a disposizione della scuola il mio cavalletto professionale, un’altra

1 Béla Balàsz, Il film: evoluzione ed essenza di un’arte nuova, Torino, Einaudi, 2002.

175 telecamera DV-CAM, lampade e stativi, mancava infatti proprio questo elemento fondamentale del linguaggio cinematografico: il montaggio. Grazie all’aiuto di Riccardo Petrucci (regista e montatore) sono riuscito, dopo una settimana di lavoro matto e disperatissimo, a comple- tare il lavoro di taglio e cuci che il video ha comportato. Solo per fare un esempio concreto: avevamo girato circa quattro ore di materiale per un montato (il videoclip finale) di cinque minuti. C’è voluta un’intera settimana di luglio per venirne a capo. Il risultato finale è stato apprezzato: il protagonista, un ragazzo un po’ disadattato, indeciso se iscriversi o no presso il nostro liceo, viene accolto amichevolmente dagli studenti, rigorosamente in maglietta con logo; finisce così per superare le incertezze ed entrare in un ambiente coerente con le sue aspettative umane e di studio. Il video è stato visto due volte a scuola: in aula magna sia durante il collegio docenti di settembre, sia durante la notte del liceo classico a gennaio. L’auspicio è di poter replicare il successo dell’anno scorso e produrre un videoclip altrettanto divertente, con la speranza che il liceo si doti permanentemente dei mezzi di produzione adatti allo scopo.

176

MAURIZIO CASTELLAN

Miscellanea di matematica

Introduzione

La presente sezione è dedicata a quanto prodotto nel periodo 2013-2014 dagli studenti partecipanti al progetto lauree scientifiche. Lo scopo del progetto è guidare gli allievi nella ricerca di risultati matematici originali da raccogliere e illustrare in un articolo scientifico. Si percorrono così le diverse fasi del “lavoro” del matematico che partendo da congetture si dipana nella ricerca di giustificazioni rigorose mediante il metodo dimostrativo.

Dall’anno scolastico 2009-2010 tale attività avviene nell’ambito del progetto lauree scientifiche in collaborazione con l’Università di Tor Vergata (da questo anno subentra al prof. Franco Ghione come responsabile del progetto, la prof.ssa Francesca Tovena).

Gli articoli che seguono sono stati presentati dagli allievi durante la conferenza finale che si è tenuta nell’aula magna del Liceo il 31 maggio 2014 alla presenza della prof.ssa Francesca Tovena, e saranno prossimamente pubblicati sul sito del Centro interdipartimentale di ricerca e formazione permanente per l’insegnamento delle discipline scientifiche dell’Università di Tor Vergata: http://crf.uniroma2.it. In questa raccolta per motivi di spazio sono state omesse le dimostrazioni, per coloro che fossero interessati ai materiali prodotti in forma integrale, può consultare il su citato sito web o scrivermi all’indirizzo: [email protected].

Maurizio Castellan

177

______

UNA DIMOSTRAZIONE ALTERNATIVA PER IL PROBLEMA DELLA SCACCHIERA MUTILATA

Alessia Vastola (5C) Davide Canepa (5C) Eleonora Guerra (5H) Federico Corallo(5C) Fiamma Flavia Paolucci (5H) Giorgia Castellan (5C) Giovanni Maria Pasquarelli (5C) Luca Argiro’(5H) Lucrezia Germano(5H) Sara Matricardi(5H)

Abstract

Il problema di matematica ricreativa della “scacchiera mutilata” viene trattato in letteratura con un ben nota argomentazione che fa uso della colorazione delle caselle [1]. In questo lavoro si illustra una dimostrazione alternativa che utilizza procedure costruttive, mettendo in luce alcune proprietà delle tassellazioni tramite bimini

1.Introduzione

1.1 Il problema della scacchiera mutilata

Come è noto il problema di matematica ricreativa soprannominato ‘il problema della scacchiera mutilata’ nasce dalla domanda: “se si eliminano le due caselle bianche poste ai vertici di una scacchiera 8×8 è possibile ricoprire esattamente senza sovrapposizioni la superficie restante con 31 tessere del domino di dimensioni 1 e 2 volte il lato di una casella?”

178

La risposta è no e lo si può provare con il seguente ragionamento [1]. Si parte dalla considerazione ovvia che ogni tessera posta sulla scacchiera copre sempre una casella nera e una casella bianca; ne segue che dopo aver utilizzato le prime 30 tessere sono state coperte 30 caselle nere e 30 caselle bianche: restano scoperte due caselle entrambe di colore nero (e quindi non adiacenti) che l’ultima tesserina non potrà mai ricoprire! Con il medesimo ragionamento si prova che il problema non ha soluzione anche nel caso la scacchiera abbia un numero di righe e di colonne 2n×2n; vale cioè il seguente teorema.

Teorema della scacchiera mutilata Se si eliminano le due caselle bianche poste ai vertici di una scacchiera 2n×2n non è possibile ricoprire esattamente senza sovrapposizioni la superficie restante con tessere del domino di dimensioni 1 e 2 volte il lato di una casella.

In questo lavoro si illustrerà una dimostrazione alternativa di questo teorema che evita il ricorso alla colorazione, mettendo in luce alcune interessanti proprietà delle “tassellazioni con bimini”.

2. Tassellazioni con bimini

2.1 Bimino

Scelta una unità di misura, si dice “bimino” un rettangolo avente i lati di lunghezza 1 e 2.

179

Es: Analogamente diremo che un bimino è parallelo o perpendicolare ad un segmento se lo sono i suoi lati di lunghezza 2.

2.2 Tassellazione

Chiameremo “tassellazione” di un poligono P un suo ricoprimento di bimini ottenuta senza sovrapposizioni e senza uscire dal bordo di P. Diremo “tassellabile” ogni poligono che ammette una tassellazione

Due bimini si dicono “paralleli” se hanno i lati di lunghezza 2 paralleli

Due bimini si dicono “perpendicolari “ se hanno i lati di lunghezza 2 perpendicolari

2.3 Taglio

Si dice “taglio” di una tassellazione ogni spezzata che interseca i bimini solo lungo i loro bordi.

180

Osservazione: un taglio può contenere tratti del bordo del poligono tassellato

2.4 Graffetta

Si dicono “graffette” tutti i tagli che a meno di rotazioni o ribaltamenti hanno una forma ad “U”.

In ogni graffetta chiameremo “ali” i due segmenti iniziale e finale, e “base” il segmento intermedio .

Indicheremo con G(l,m,n) una graffetta di ali di lunghezza l e n e base di lunghezza m.

2.5 Graffetta pari

Si dice graffetta pari una graffetta G (l,m,n) tale che m sia pari e l = n = 1.

2.6 Graffetta dispari

Si dice graffetta dispari una graffetta G (l,m,n) tale che m sia dispari e l = 2, n = 1 o viceversa l = 1, n= 2.

181

2.7 Quadrato di supporto.

Ogni graffetta pari o dispari, determina un quadrato Q che ha come lato la base della graffetta. Chiameremo Q “quadrato di supporto” della graffetta.

3. Proprietà delle graffette

3.1 Lemma delle graffette pari

Data una tassellazione T e una graffetta pari G(1,2n,1) con quadrato di supporto interno al poligono tassellato, esiste sempre una tassellazione T’ tale che: • T e T’ coincidono al di fuori del quadrato di supporto; • I bimini che toccano la base della graffetta sono tutti paralleli ad essa

3.2 Osservazione

L’ipotesi che il quadrato di supporto sia interno al poligono tassellato è necessaria, come si vede banalmente nel seguente controesempio nel quale la graffetta pari corre lungo il bordo.

182

3.3 Lemma delle graffette dispari

Data una tassellazione T e una graffetta dispari G(1,2n+1,2) con quadrato di supporto interno al poligono tassellato, esiste sempre una tassellazione T’ tale che: • T e T’ coincidono al di fuori del supporto Q ; • I bimini che toccano la base la base della graffetta sono tutti paralleli ad essa eccetto un bimino perpendicolare che confina con l’ala di lunghezza 2.

3.4 Esempi di riposizionamento dei bimini

I due lemmi 3.1 e 3.2 sfruttano procedure “ricorsive” di riposizionamento dei bimini che illustriamo con due esempi nei quali abbiamo evidenziato i bimini che vanno riposizionati

Graffetta pari

183

Graffetta dispari

4. Teorema della scacchiera mutilata

Siamo ora in grado di dare una dimostrazione alternativa per il problema della scacchiera mutilata. La dimostrazione sarà fatta per induzione sulla dimensione della scacchiera. La chiave della dimostrazione sarà mostrare, tramite i lemmi

184

3.1 e 3.3, come, dall’esistenza di una tassellazione di una scacchiera mutilata di lato 2(n+1) si deduca l’esistenza di una tassellazione di una scacchiera mutilata di lato 2n.

4.1 Teorema

Per ogni n∈N con n ≥ 1 la scacchiera mutilata di lato 2n non è tassellabile

5. Conclusioni e problemi aperti.

Lo studio effettuato nel presente lavoro aveva lo scopo principale di trovare una dimostrazione “alternativa” per il problema della scacchiera mutilata. I risultati trovati lungo la strada hanno però messo in luce alcuni aspetti interessanti delle tassellazioni con bimini. In particolare abbiamo visto come sia possibile con procedure “ricorsive” riposizionare alcuni bimini senza alterare tutta la tassellazione, procedure che potrebbero essere studiate in maniera più approfondita. È possibile ad esempio provare un risultato più forte di quello stabilito nel lemma 3.1. Infatti si dimostra che in realtà i bimini da riposizionare sono tutti all’interno di una struttura piramidale a sua volta contenuta nel quadrato di supporto.

6. Bibliografia e sitografia

[1] Martin Gardner, Enigmi e giochi matematici, Vol. 1, Sansoni, Firenze 1972. [2] Martin Gardner , Dracula, Platone e Darwin, Giochi matematici e riflessioni sul mondo, Zanichelli 2010. [3] http://www.matefilia.it/scolerivolftp/lettori/aprile03/scacchiera_ mutilata.PDF

185

______

UN PROBLEMA DI CONVERGENZA DI TIPO COLLATZ

Alessandro Casini(2D) Amanda Piselli (2B) Chiara Cerocchi (2B) Elisabetta Avizzano (2B) Emanuele Di Caro (2B) Giorgio Ciccarella (2B) Ivan Colavita (2H) Nicoletta Capotorto (2B) Serena Nunziata (2B)

Abstract

Nel presente lavoro si studia una variante della successione di Collatz e si stabilisce un teorema di convergenza a 1. Si riesce inoltre a determinare per ogni n il numero di passi necessari per raggiungere il valore 1. Vengono studiati inizialmente i numeri che rappresentano potenze di 2 e i loro predecessori, poi, tramite la notazione binaria si ottiene un risultato che vale per tutti gli altri numeri naturali.

0.Introduzione: Il problema di Collatz

A partire da un numero naturale assegnato, m, che chiameremo seme, costruiamone un altro con la seguente regola:

Se m è pari dividiamolo per due, se invece è dispari moltiplichiamolo per tre e sommiamo uno.

Applicando ripetutamente la regola si ottiene una sequenza infinita di numeri. Partendo, per esempio, col numero m = 5, si ottiene 5, 16, 8, 4, 2, 1, …

186

Congettura di Collatz

Partendo da un qualsiasi numero naturale come seme la successione dei valori generati in questo modo arriva sempre, in un numero finito di passi, a uno. Partendo, per esempio, col numero m =6, la sequenza per arrivare a 1 prende 8 passi 6, 3, 10, 5, 16, 8, 4, 2, 1, con m=11 ci vogliono 14 passi, 11, 34, 17, 52, 26, 13, 40, 20, 10, 5, 16, 8, 4, 2, 1 e per m=27 ci vogliono ben 111 passi prima di arrivare ad 1, toccando numeri al di sopra di 9000. Lothar Collatz ha formulato questa congettura nel 1937 ma, da allora, nessuno è stato ancora in grado di dimostrarla o di fornire un controesempio, ovvero un numero naturale per il quale la successione non prende mai il valore uno. Nel caso in cui esistesse un numero n che non arriva mai ad 1, perché entra in un loop non contenente 1 o perché cresce senza limite, allora la congettura di Collatz risulterebbe falsa. La congettura, tramite l’utilizzo massiccio dei computer, è stata provata essere vera fino a 2.88×1018. Anche se questo numero è molto grande, non significa che la congettura sia vera. Ci sono state altre congetture che si sono dimostrate false solo per valori veramente grandi.

1.1 La funzione di Collatz

Consideriamo la seguente funzione: f: N →N , dove N={1,2,3,4,….}

 m  se mèpari  2 f(m) =  3m + 1 se mèdispari  1.2 Orbite e voli

• Dato m∈N indichiamo con O(m) e chiamiamo “orbita” di m la successione: O(m)=( a0 , a1 ,a2 ,a3 , …..)

definita ricorsivamente nel seguente modo: a0 = m

187

an+1 = f(an) Esempio:

O(3)= (3, 10, 5, 16, 8, 4, 2, 1,4, 2, 1,4, 2, 1,4, 2, 1,…. )

• Indichiamo con V(m) e chiamiamo “volo” di m, il più piccolo k tale che ak = 1 Il volo di m indica quante volte, al minimo, occorre applicare f ad m per ottenere 1.

Esempio: V(3) = 7

1.3 Grafo della funzione di Collatz

La funzione di Collatz può essere efficacemente rappresentata da un grafo orientato che ha N come insieme dei nodi e un arco orientato tra due numeri m e m’ , se f(m)=m’.

SONO RIPORTATI I NODI N CON V(N) ≤ 8 .

188

1.4 Congettura di Collatz (convergenza)

Per ogni m ∈ N, 1 ∈O(m) Cioè per ogni m ∈ N, applicando la funzione di Collatz un numero finito di volte, si ottiene sempre 1, o in maniera equivalente: per ogni m ∈ N V(m) è finito

2. La variante easy-Collatz

Argomento del presente lavoro è una variante “più trattabile” del problema di Collatz. Si parte anche in questo caso dalla definizione di una funzione : f: N →N per casi.

2.1 La funzione easy-Collatz

Consideriamo la seguente funzione: f: N →N , dove N={1,2,3,4,….}

 m  se mèpari  2 f(m) =   m + 1 se mèdispari  

Essendo il dominio N={1,2,3,4,….} , per ogni m ∈ N si ha f(m) >0 .

2.2 Orbite, voli, grafo

Indicheremo con O(m) l’orbita di m determinata dalla funzione easy- Collatz.

Esempio: O(28)=(28, 14, 7, 8, 4, 2, 1, 2, 1, 2, 1, …)

Come già visto per la funzione di Collatz (vedi 1.3) è possibile definire il grafo della funzione easy-Collatz

189

Nel grafo sottostante abbiamo evidenziato l’orbita di 28: O(28)=(28, 14, 7, 8, 4, 2, 1, 2, 1, 2, 1, …)

3. Convergenza

Proveremo che, a partire da ogni m, dopo un numero finito di passi si arriva sempre a 1, ovvero “la convergenza” della funzione easy-Collatz. Questo può essere formulato come già visto per la funzione di Collatz (vedi 1.4) in termini di orbite e di voli.

3.1 Lemma (“Doppio passo”)

Considerata per ogni m l’orbita O(m)=(a0, a1 ,a2 ,.. .), per ogni n= 0,1,2,. se an>2 allora an > an+2

3.2 Teorema (“Convergenza”) Per ogni m ∈ N, 1 ∈O(m)

4. Calcolo del volo

Dopo aver dimostrato la convergenza ci occuperemo ora del calcolo per ogni m del suo volo V(m)

190

4.1 Volo dei numeri della forma: 2n , 2n - 1 , 2n + 1

Le potenze del 2, i loro predecessori e i loro successivi giocano un ruolo importante nella successione easy -Collatz, come risulta dai seguenti risultati.

4.1 Notazione POT(2) = {2n n∈N} POT(2) − 1 = {2n − 1 n∈N} POT(2) + 1 = {2n + 1 n∈N}

4.2 Proposizione

• Per ogni m∈ POT (2) tale che m= 2n si ha: V(m) = n

• Per ogni m∈ POT (2) -1 tale che m= 2n - 1 si ha: V(m)= n+1

• Per ogni m∈ POT (2) + 1 tale che m= 2n + 1 si ha: V(m)= 2n+1

4.3 Volo di un generico numero m

Diamo infine per ogni generico m, un confine inferiore e uno superiore al suo volo V(m)

4.4 Proposizione

Per ogni m tale che 2n + 1 ≤ m ≤ 2n+1 si ha: n+1 ≤ V(m) ≤ 2n+1

4.5 Osservazione

Per ogni m esiste n tale che 2n + 1 ≤ m ≤ 2n+1; 2n + 1 è quindi il più grande elemento di POT (2) + 1 minore o uguale di m, e 2n+1 il più piccolo elemento di POT (2) maggiore o uguale di m.

191

4.6 Proposizione

Per ogni m tale che 2n + 1 ≤ m ≤ 2n+1 si ha: V(2n+1) ≤ V(m) ≤ V(2n + 1) Illustriamo la proposizione rappresentando nel diagramma cartesiano le orbite dei numeri 32 ∈ POT (2) , 17 ∈ POT (2) + 1 e 23 .

5. Volo tramite rappresentazione binaria

In questo ultimo paragrafo cercheremo di migliorare il risultato stabilito nella prop. 4.4. Vedremo come per ogni m è possibile calcolare in modo immediato il suo volo a partire dalla sua rappresentazione binaria.

5.1 Notazione:

Indicheremo con lettere maiuscole le stringhe di 0 e di 1

es.: A = 1001010010

mbin : espressione binaria del numero m

es.: 84bin = 1010100

mbin : numero delle cifre dell’espressione binaria di m

192

es.:

0INT ( mbin) : numero degli zeri interni in mbin

es.:

5.2 Proprietà della rappresentazione binaria

• ∀ m pari si ha: m bin = A0

n • ∀ m ∈ POT(2) tale che m= 2 si ha: m bin = 1000...0 123 n

• ∀ m dispari si ha: m bin = A1

n • ∀ m ∈ POT(2) - 1 tale che m= 2 - 1 si ha: m bin = 111...1 123 n n • ∀ m ∈ POT(2) + 1 tale che m= 2 +1 si ha: m bin= 1000...1 123 n  m  • ∀ m pari, se m bin = A0 allora   = A  2 bin

• ∀ m dispari , se m bin = A0111...1 allora (m+1)bin = A1000...0 123 123 n n

5.3 Teorema generale del volo

(i) ∀m∉POT(2) V(m) = mbin + 0INT (mbin ) + 1

(ii) ∀m ∈POT(2) V(m) = mbin − 1

193

Nota: si può in effetti dimostrare che il numero di zeri interni aumentato di 1 corrisponde al numero di applicazioni della seconda clausola della funzione easy-Collatz.

Il teorema 5.3 descrive in pratica un algoritmo che permette di determinarne il volo di m, a partire dalla sua rappresentazione in base 2, tramite un rapido esame delle cifre che la compongono. È stato così possibile implementare tale algoritmo in linguaggio C. (“Collatzator”)

6. Conclusioni

L’analisi condotta ha permesso di entrare, almeno a livello elementare, all’interno delle questioni poste dalla congettura di Collatz, introducendo la metodologia e gli strumenti per affrontarli. La forma particolarmente semplice della funzione easy-Collatz ha permesso di provare in maniera agevole un teorema di convergenza. Come visto, giocano un ruolo importante le potenze di 2 e i numeri ad esse contigui (cfr. 4.2). Non stupisce il fatto che la notazione binaria sia la forma migliore per la costruzione di algoritmi che permettano il controllo delle successioni di numeri che si generano (cfr. 5.2 e 5.3). La funzione easy-Collatz differisce da quella classica per la seconda clausola: easy- collatz collatz  m  m  se mèpari  se mèpari  2  2 f(m) =  f(m) =  m + 1 se mèdispari 3m + 1 se mèdispari   una differenza apparentemente “piccola “ che provoca però due sviluppi profondamente diversi, come si nota immediatamente confrontando i grafi delle due funzioni. Potrebbe avere interesse, a questo punto,

194

modificare ulteriormente la seconda clausola studiando altre varianti di tipo easy come ad esempio

 m  m  se mèpari  se m èpari  2  2 f(m) =  f(m) =  con k dispari 2m + 1 se mèdispari m + k se m è dispari  

valutando via via la “misura” dei comportamenti di tipo caotico che eventualmente si potrebbero generare.

Ci si chiede, infine, se lo studio della funzione di Collatz, così come accade per la funzione easy-Collatz, possa essere facilitato tramite l’uso di una opportuna rappresentazione in una base diversa da 10 (ad esempio la base 6).

8. Bibliografia e sitografia

Jean-Paul Delahaye, Giochi matematici, Ghisetti e Corvi http://utenti.quipo.it/base5/numeri/collaz.htm http://quantidiscienza.blogspot.it/2012/07/un-problema-molto- complesso-la.html http://www.jasondavies.com/collatz-graph/ http://it.wikipedia.org/wiki/Congettura_di_Collatz http://webmath2.unito.it/paginepersonali/romagnoli/saracco.pdf

195

GIOCHI A TASSELLI MOBILI

Federico Morodei (2C) Martino Wong (2C) Simone Castellan (2C)

Abstract

I giochi a tasselli mobili sono rompicapi nei quali, muovendo in modo opportuno delle tessere su un tavoliere, si deve ottenere una configurazione richiesta. Tali giochi ben si prestano a diventare oggetto di studio della matematica. Nel presente lavoro, a partire da un problema di una gara, si affrontano alcuni problemi applicati ad un particolare gioco a tasselli mobili e alle sue varianti.

0.Introduzione: un problema da una gara di matematica

GARA A SQUADRE 2013 UNIVERSITÀ BOCCONI MILANO

196

Nel problema proposto entrano in gioco diverse questioni che si muovono all’interno della teoria dei cosiddetti “giochi a tasselli mobili”.

1. Prerequisiti

1.1 Giochi a tasselli mobili

Sono chiamati giochi a tasselli mobili i giochi costituiti da una serie di blocchetti mobili che si possono far scorrere all'interno di una scatola attraverso spazi vuoti, senza poter superare i confini della scatola stessa, né essere sollevati dalla scatola o riposizionati.

Terminologia e notazione

Indichiamo con G un generico gioco a tasselli mobili. Chiamiamo “istanza” del gioco ogni disposizione dei tasselli nella scatola. Chiamiamo “collegabili” due istanze I1 e I2 per le quali esista una sequenza di mosse che fa passare da I1 a I2.

Dato un gioco G e due istanze I1 e I2 indichiamo con G

I1 ⇒ I2 una (singola) mossa che fa passare da I1 a I2 , e con G

I1 ⇒⇒ ... ⇒ I2 una sequenza di mosse che fa passare da I1 a I2.

1.2 Risolubilità e ottimizzazione

Le due questioni fondamentali nello studio di un gioco a tasselli mobili sono:

197

• Risolubilità: date due istanze I1 e I2 stabilire se sono collegabili;

• Ottimizzazione: date due istanze I1 e I2 collegabili, stabilire quali sono le sequenze di mosse che le collegano con il numero minimo di mosse.

Se tutte le istanze sono collegabili, il gioco si dirà “totalmente risolubile”.

1.3 Il gioco del 15

Il gioco a tasselli mobili più famoso è il Gioco del 15, formato da quindici blocchetti numerati dall'uno al quindici che possono scorrere in una scacchiera 4 x 4 grazie ad uno spazio vuoto avente le dimensioni di un blocchetto. Lo scopo originale del gioco è , partendo da una istanza qualsiasi, ottenere quella con i numeri disposti in ordine crescente e lo spazio vuoto in basso a destra. Sam Loyd (1841 –1911), famoso creatore di enigmi matematici, mise in palio la cifra di mille dollari come premio per chi fosse riuscito a risolvere il gioco partendo da una posizione identica a quella finale, ma con i numeri 14 e 15 scambiati. Un premio che nessuno mai avrebbe potuto reclamare poiché, come l'autore sapeva benissimo, tale istanza non è collegabile a quella finale [3]

1.4 Risolubilità e ottimizzazione del gioco del 15

Risolubilità • Le due istanze utilizzate nell’inganno di Loyd non sono collegabili, dunque il gioco del 15 non è totalmente risolubile.

Ottimizzazione • È stato provato che se due istanze I1 , I2 sono collegabili allora questo può avvenire in massimo 80 mosse [6]

198

1.5 Calcolo combinatorico

• Permutazioni

Data una n-pla (x1, x2, …, xn) , si dicono permutazioni di tale n-pla tutti i possibili riordinamenti dei suoi elementi

permutazioni semplici

Se in una n-pla (x1, x2, …, xn) gli elementi sono tutti distinti, le permutazioni si dicono semplici.

Il numero di permutazioni semplici di una n-pla (x1, x2, …, xn) è dato dalla formula n⋅(n − 1)⋅(n − 2)⋅K⋅ 3⋅2 ⋅1 = n! permutazioni con ripetizione Se in una n-pla (x1, x2, …, xn) alcuni elementi sono ripetuti le permutazioni si dicono con ripetizione.

Il numero di permutazioni con ripetizione di una n-pla (x1, x2, …, xn) con k1 elementi uguali a x1, k2 uguali a x2, … , kn uguali a xn, è dato dalla formula n!

k1!⋅ k2!⋅Kkn! trasposizioni

Data una n-pla (x1, x2, …, xn) , si dicono trasposizioni le permutazioni che scambiano di posto due elementi xj, xk lasciando al loro posto i restanti. Indicheremo la trasposizione degli elementi xj, xk con: xj ↔xk

• Teorema fondamentale delle permutazioni

Ogni permutazione una n-pla (x1, x2, …, xn) si può ottenere componendo un numero finito di trasposizioni.

199

1.6 Grafo di un gioco

Vediamo ora come è possibile analizzare lo sviluppo di un gioco attraverso l’introduzione di un grafo.

Definizione Si dice “grafo del gioco” un grafo (semplice) nel quale

• i nodi corrispondono alle istanze del gioco; • l’arco che collega due nodi I1 e I2 indica la mossa che fa passare dall’istanza I1 all’istanza I2

Un cammino che collega due nodi corrispondenti a I1 e I2 rappresenta dunque una sequenza di mosse che fa passare dall’istanza I1 all’istanza I2

1.7 Grafi, risolubilità e ottimizzazione

• Due istanze I1 e I2 sono collegabili se esiste nel grafo un cammino che ha come estremi i nodi corrispondenti a I1 e I2 • Un gioco è totalmente risolubile se ha un grafo connesso.

• Dati due istanze I1 e I2 il numero minimo di mosse necessario per passare da I1 e I2 coincide con la minima lunghezza dei cammini che hanno come estremi i nodi corrispondenti a I1 e I2.

Nota: Nel caso del gioco del 15, per quanto visto, il grafo non può essere connesso. Si dimostra in effetti che tale grafo ha due componenti connesse [3]

2. Giochi a tasselli mobili semplici

Prima di affrontare l’analisi del gioco iniziale, ci occuperemo di alcune varianti più semplici

200

2.1 Il gioco della ti (T)

• Scatola : 4 caselle collegate tra loro a forma di T • Tasselli: 2 (verde e celeste)

2.2 Numero delle istanze

Numerate le caselle della scatola, ogni istanza del gioco corrisponde ad una permutazione con ripetizione dei blocchetti C, V, e delle due caselle vuote indicate con B e B.

Per quanto visto in 1.5 il numero delle istanze vale:

4! = 12 2! 2.3 Grafo del gioco

Nel caso del gioco T il grafo del gioco è il seguente: Come si vede si tratta di un grafo ciclico.

201

2.4 Risolubilità e ottimizzazione

L’analisi del grafo del gioco ci permette di risolvere il problema della risolubilità. Infatti è sufficiente constatare che il grafo essendo ciclico è un grafo connesso, e quindi il gioco è totalmente risolubile. Per quanto riguarda l’ottimizzazione si osservi che scelte due istanze I1 e I2 i nodi corrispondenti individuano nel grafo ciclico due soli cammini aventi questi come estremi. La sequenza ottimale di mosse è dunque quella che corrisponde al più corto di questi due cammini.

2.5. La croce greca (CG) • Scatola : 5 caselle collegate tra loro a forma di croce greca • Tasselli: 3 (verde , celeste e arancione)

2.6 Numero delle istanze

Numerate le caselle della scatola, ogni istanza del gioco corrisponde ad una permutazione con ripetizione dei blocchetti R, C, V, e delle due caselle vuote indicate con B e B.

202

Per quanto visto in 1.5 il numero delle istanze vale: 5! = 60 2! 2.7 Grafo del gioco

Nel caso del gioco CG il grafo del gioco è il seguente:

Per semplificare la rappresentazione del grafo abbiamo sostituito con dei pallini blu alcune delle istanze: si tratta delle istante in cui i tre tasselli formano una L.

2.8 Sottografi del gioco

203

Osservando il grafo della croce greca si possono ritrovare al suo interno tre copie del grafo del gioco T precedentemente studiato. Tali sottografi sono quelli costituiti dalle istanze di gioco in cui non viene mosso uno dei tre tasselli.

2.9 Risolubilità

L’analisi del grafo del gioco ci permette di risolvere il problema della risolubilità. Infatti basta notare che il grafo è connesso, dunque Il gioco CG è totalmente risolubile.

2.10 Ottimizzazione

Il problema dell’ottimizzazione è più delicato, non possiamo infatti giovarci direttamente della struttura del grafo come è avvenuto per il gioco T. Per risolvere il problema si può utilizzare un algoritmo di ricerca dei cammini di minima lunghezza [2].

Tale algoritmo permette di associare, a partire da un nodo, un numero naturale n mediante la seguente procedura ricorsiva:

Algoritmo di ricerca dei cammini di minima lunghezza

I) Si assegna 0 al nodo di partenza P0. II) Si assegna n+1 a tutti nodi che sono collegati tramite un arco ad un nodo con valore assegnato n, a meno che non abbia già un numero assegnato.

È facile osservare che il numero associato ad un nodo P tramite l’algoritmo è la minima lunghezza dei cammini che lo collegano a quello di partenza P0. Dunque prese due istanze I1 e I2 per determinare il numero minimo di mosse per passare da I1 a I2 è sufficiente applicare l’algoritmo al nodo iniziale corrispondente a I1 e leggere il numero associato al nodo corrispondente a I2. Per individuare una sequenza di minimo numero di mosse si può a partire dal nodo finale I2 scegliere le istanze con valore via via decrescente, fino ad arrivare all’istanza iniziale con valore 0.

204

3 La doppia croce (DC)

Torniamo ora al problema iniziale nel quale si considera il seguente gioco a tasselli mobili:

Le caratteristiche del gioco sono:

• Scatola : 10 caselle collegate tra loro a forma di doppia croce • Tasselli: 6 (A, B, C, D, E, F)

3.1 Numero delle istanze: esplosione esponenziale.

Numerate le caselle della scatola, ogni istanza del gioco corrisponde ad una permutazione con ripetizione dei blocchetti A, B, C, D, E, F, e delle quattro caselle vuote indicate con V, V, V, V.

Per quanto visto in 1.5 il numero delle istanze vale: 10! = 151200 4!

3.2 Il grafo del gioco e i suoi sottografi.

Il grafo del gioco con i suoi 151200 nodi è enorme . Tuttavia si possono fare su di esso alcune considerazioni Partiamo da una delle due croci greche evidenziate nella figura seguente e

205 consideriamo un’istanza nella quale siano presenti, nella croce evidenziata, solo 3 tasselli. Se a partire da questa istanza i tre tasselli si spostano all’interno della croce e gli altri restano fissi, il gioco della doppia croce si riduce al gioco della croce greca. Il grafo della croce doppia ha dunque come sottografi diverse copie del grafo della croce greca. Se due istanze I1 e I2 hanno all’interno della stessa croce tre tasselli uguali e coincidono al di fuori della croce, indichiamo con: CG

I1 ⇒⇒ ... ⇒ I2 la sequenza di mosse che fa uso del sottografo della croce greca. Analogo fatto vale anche per la varie T contenute nella croce doppia.

3.3 Problema iniziale.

Nel problema iniziale

i tasselli “M” e “I” sono ripetuti due volte, quindi in tale caso le istanze si riducono a: 10! = 37800 2!2!4! Tale numero tuttavia non ci permette una semplice analisi del grafo del gioco al fine di determinare il numero minimo di mosse, come si è fatto per le versioni più semplici (vedi 2.4, 2.9 e 2.10).

3.4 Il problema della risolubilità della “doppia croce”

Rinunciando ad un’analisi del grafo, a favore di uno studio diretto del gioco, mostreremo che: se (x1, x2, x3, x4, x5, x6) e (y1, y2, y3, y4, y5, y6) sono due

206 permutazioni di (A,B,C,D,E,F) le due istanze seguenti sono collegabili:

3.5 Lemma: risolubilità delle trasposizioni

Sia (x1, x2, x3, x4, x5, x6) una 6-pla di (A,B,C,D,E,F) e (y1, y2, y3, y4, y5, y6) la 6-pla ottenuta tramite la trasposizione xj↔xk Allora esiste una sequenza di mosse tale che:

3.6 Proposizione: risolubilità delle permutazioni

Se (x1, x2, x3, x4, x5, x6) e (y1, y2, y3, y4, y5, y6) sono due permutazioni di (A,B,C,D,E,F) le due istanze seguenti sono collegabili:

4 Una variante: la doppia croce mutilata (DCM) Studiamo ora una variante della doppia croce. Le caratteristiche del gioco sono: • Scatola : 9 caselle collegate tra loro a forma di doppia croce mutilata • Tasselli: 6 (A, B, C, D, E, F)

207

Vedremo come l’eliminazione di una sola casella inciderà significativamente sulla risolubilità del gioco.

4.1 Numero delle istanze

Numerate le caselle della scatola, ogni istanza del gioco corrisponde ad una permutazione con ripetizione dei blocchetti A, B, C, D, E, F, e delle tre caselle vuote indicate con V, V, V. il numero delle istanze vale: 9! = 60480 3! 4.2 Grafo del gioco e sottografi

Anche in questo caso valgono le questioni già viste in 3.2. Osserviamo inoltre che il grafo del gioco DCM è un sottografo del grafo di DC.

4.3 Classificazione delle istanze

Al fine di studiare la risolubilità del gioco, utilizziamo la seguente classificazione delle istanze:

208

4.4 Lemma

Le istanze con il tassello A a sinistra sono collegabili solo ad istanze di tipo I, II, III e IV.

4.5 Proposizione

Nessuna istanza con il tassello A a sinistra può essere collegato ad una istanza con il tassello A a destra

4.6 Risolubilità

Per quanto appena stabilito nella prop. 4.5 il gioco DCM non è totalmente risolubile.

5. Conclusioni

I giochi a tasselli mobili si prestano ad essere studiati con raffinati strumenti matematici, rivelando in molti casi interessanti e curiose proprietà. La formalizzazione attraverso la teoria dei grafi si è rivelata utile perché è in grado di offrire una visione globale dei giochi, ma anche la descrizione della dinamica degli stessi si e dimostrata decisiva per risolvere alcune questioni. Tuttavia al crescere delle «dimensioni» del gioco (scatola, numero dei tasselli,…) i problemi diventano intrattabili anche in presenza di strategie risolutive. Rimangono aperti alcuni problemi, soprattutto quelli relativi alla ottimizzazione, alla lunga i più difficili da affrontare.

Per quanto riguarda il problema della risolubilità restano oggetto di studio alcune questioni:

• risolubilità completa del gioco DC (nella prop.3.6 ci si è occupati solo delle istanze con i tasselli nella riga centrale);

209

• determinare altre coppie di istanze non collegabili nel gioco DCM; • stabilire il numero delle componenti connesse del grafo del gioco DCM e una descrizione completa dell’irrisolubilità.

Nella dimostrazione dell’irrisolubilità del gioco del quindici [3] si applica uno schema dimostrativo che usa un “invariante strutturale”. Potrebbe avere interesse utilizzare un analogo schema per ottenere una dimostrazione alternativa al problema dell’irrisolubilità del gioco DCM. Chiudiamo infine con la risposta al quesito con il quale si è aperto il lavoro: il numero minimo di mosse è 26.

6. Bibliografia e sitografia

[1] O. Ore, I grafi e le loro applicazioni, Zanichelli [2] Peter Gritzmann , René Brandenberg, Alla ricerca della via più breve, Springer [3] Delucchi, Gaiffi, Pernazza, Giochi e percorsi matematici, Springer [4] www.mathesistorino.it/wordpress/wp- content/uploads/2012/10/q01.pdf [5] www.mat.unimi.it/users/turrini/present_mate_d_grafi.pdf [6] http://en.wikipedia.org/wiki/15_puzzle [7] http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/probegio/ GAMEMATH/Blocchetti/Blocchetti.htm

210

ROBERTO CETERA

Riprogrammiamo il software

Il professor Roberto Cetera, insegnante di religione all’Orazio, si occupa di disagio giovanile. Abbiamo chiesto a lui un breve contributo su un tema che assilla non poco famiglie e insegnanti: quello del ruolo della scuola nel contrasto alle forme del disagio dei giovani. Nella speranza che provochi l’apertura di un dibattito.

La scuola è divenuta un luogo di conflitto. Conflitto tra studenti, insegnanti e genitori: ciascuna categoria contro l’altra armata. Conflitto combattuto spesso con la peggiore delle armi: non l’invettiva ma l’incomunicabilità. Nei periodi più caldi degli anni ’70 il conflitto degli studenti era contro l’istituzione scolastica e non contro gli insegnanti e spesso le tre componenti erano in qualche modo perfino unite contro l’“istituzione”. Oggi ogni componente si chiude a qualsiasi rapporto dialettico nella supposizione autoreferenziale delle proprie convinzioni e senza alcuna volontà reale di ascoltarsi. La scuola come comunità raccolta intorno ad un progetto educativo non esiste più. Eppure a rilevarne l’immutata esigenza basterebbero i dati – spesso sottaciuti – sui livelli raggiunti dal disagio giovanile. Qualsiasi insegnante che ambisca ad essere anche un educatore dovrebbe riconsiderare, a proposito di disagio giovanile, le parole di Papa Francesco che lo scorso 13 marzo (dopo aver ricordato di essere stato lui stesso un insegnante) ci affidava: “Il dovere di un buon insegnante, a maggior ragione se cristiano, è quello di amare con maggiore intensità i suoi allievi più difficili, più deboli, più svantaggiati. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono bene educati, che merito avete? E ce ne sono alcuni che fanno perdere la pazienza, ma quelli dobbiamo amarli di più”. Le parole del Papa sono in effetti la misura del mio agire dentro la scuola: amare i ragazzi che sono affidati alla mia cura. Non riesco a concepire altro modo di essere insegnante che non quello basato sull’amore per i ragazzi e per il proprio lavoro. In particolare l’amore per i più svantaggiati. E di svantaggiati dentro la scuola ne incontro tanti, ogni giorno. Il livello di disagio psicologico che mi è occorso registrare tra gli studenti negli ultimi tempi è veramente alto e preoccupante. Molto più alto di quanto in genere il mondo degli adulti sia portato a credere. La diffusione enorme dell’uso di sostanze psicotrope è soltanto la rappresentazione più evidente di un disagio psicologico più profondo e diffuso. Sono saltati tutti i collanti sociali, le relazioni autentiche sono ridotte al minimo, c’è tra i giovani un grande difetto di riconoscimento identitario e di speranza. Soprattutto tre sono gli elementi che mi colpiscono nell’esperienza di ogni giorno: c’è innanzitutto un’incapacità totale di ascolto. I ragazzi lamentano

211

– a ragione – di non essere più ascoltati da nessuno, né a scuola né in famiglia, e ne conseguono una profonda solitudine esistenziale. In secondo luogo colpisce il deficit di autostima che li affligge: i ragazzi hanno grandissime difficoltà a rappresentarsi in termini positivi e a valorizzarsi. Così come hanno difficoltà a incontrare modelli adulti con cui identificarsi in positivo. Infine, last but not least, mi sembra che i nostri giovani abbiano smarrito la capacità di vivere e convivere con la loro sfera emozionale: hanno anestetizzato la loro dimensione emozionale, sia positiva che negativa, e soccombono con estrema fragilità alle sollecitazioni che la vita inevitabilmente gli propone. La proposta cosiddetta della “buona scuola”, e anche il dibattito che ne è seguito, hanno un limite incontrovertibile: si muovono su un piano che è essenzialmente quello dell’organizzazione della scuola (i fondi, l’edilizia scolastica, i concorsi, i precari, i presidi manager ecc.) ma glissano comple- tamente sul tema principale: quello dell’orizzonte di un progetto educativo. Non rispondono alla domanda basilare “cos’è la scuola”, o ancor più “a cosa serve la scuola”. Il problema non è – solo – l’hardware ma principalmente la riprogram- mazione di un software che oggi manca. In nome di un presunto pluralismo delle idee e di una neutralità “laica” della scuola si è finito col cancellare ogni idea, ogni valore. Senza comprendere che l’assenza di un progetto educativo è anch’essa un progetto, ancorché negativo. Occorre dunque rigenerare idee, e per farlo occorre ascoltarci reciprocamente e rompere lo steccato attuale di incomunicabilità tra le componenti della scuola. Occorrerebbe ad esempio un altro tipo di collaborazione tra famiglie e scuola. I genitori si rapportano alla scuola troppo spesso come i “sindacalisti” dei figli, e gli insegnanti troppo spesso, anche quando sono bravi insegnanti, non sono però altrettanto buoni educatori, cioè capaci di ascolto. Un buon insegnante trasmette conoscenze, un buon educatore trasmette se stesso. Credo anche che nel contesto attuale ci sia un’enfasi eccessiva sul momento della valutazione (che è l’unica cosa che sembra interessare unitariamente insegnanti, studenti e genitori) e pochissima attenzione invece allo sviluppo dei processi di educazione alla vita. Rimane sullo sfondo un problema più generale che è quello del sistema valoriale in cui viviamo. Se nelle famiglie, e nella società, insegniamo che è più importante essere furbi che intelligenti, che l’opportunismo è più importante della coerenza, che il successo riconosciuto dagli altri è più importante dell’intima soddisfazione della propria realizzazione, che l’utile è sempre più importante del bello, che l’avere è più importante dell’essere, che l’io è più importante del noi... non possiamo poi lamentarci dell’inconsistenza dei risultati formativi della scuola e del crescere di una sofferenza latente tra i giovani. Roberto Cetera – IRC

212