Storia. Piemonte Nicola Crepax
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Storia. Piemonte Nicola Crepax Giugno 2005 Testo per Storiaindustria.it 1 Ad esclusivo uso didattico. Gli altri diritti riservati. Storia. Piemonte 1. Prima dell’industrializzazione La Fiat viene fondata nel 1899, la Olivetti nel 1908: durante la belle époque l’economia piemontese si trasforma con l’irrompere di un sistema di grandi imprese impegnate in produzioni di nuovo tipo, come la moderna industria meccanica e quella elettrica. Anche le industrie di prodotti tradizionali come le stoffe di cotone e di lana o quelle alimentari mutano il proprio assetto diventando più grandi e complesse. Le città, intanto, cambiano volto: fabbriche e uffici; case operaie e tramway; biciclette e illuminazione elettrica. Questo sviluppo, che nell’arco di pochi anni pone l’economia piemontese alla testa dell’industrializzazione del paese, è l’esito di due diversi stimoli: da un lato, la nascita delle nuove imprese rappresenta una positiva reazione all’evoluzione economica e sociale in atto, nello stesso periodo, oltre le Alpi; dall’altro, si presenta come il frutto di un lunghissimo, secolare processo di modernizzazione delle strutture produttive regionali. Questo processo di lungo periodo si articola in due sequenze principali: l’ampia fase, tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo, in cui anche il Piemonte, pur non del tutto isolato, sconta il progressivo allontanamento della penisola dalle grandi correnti europee di sviluppo economico e sociale; una seconda fase ottocentesca, quando nel Regno di Sardegna, soprattutto durante il decennio cavouriano, e, in seguito, durante i primi anni dello stato unitario, iniziano a ripercuotersi le dinamiche innescate dalla rivoluzione industriale europea e si pongono le basi per l’industrializzazione dell’economia regionale; è l’avvio di un percorso accidentato e contraddittorio, che vede tra l’altro Torino perdere definitivamente il ruolo di capitale. Il progressivo superamento del sistema economico rinascimentale rappresenta per il Piemonte, rimasto ai margini del grande sviluppo manifatturiero avvenuto nel quadrilatero Milano-Venezia- Firenze-Genova, un fenomeno graduale durante il quale non si interrompono i rapporti internazionali a lungo coltivati dall’economia regionale e che anzi vede via via i diversi sistemi locali sviluppare capacità di adattamento nei confronti dello spostamento del centro dell’economia mondiale verso l’Europa nord-occidentale. Nella regione sub-alpina l’evoluzione dell’artigianato urbano porta a due fenomeni diversi, che definiscono gli assetti economici complementari delle aree urbane e di quelle rurali. Nelle città, e in particolare a Torino, i cui abitanti raddoppiano nel Seicento, superando la soglia di 40.000 a fine secolo e aumentano a ritmo ancora maggiore durante il settecento, crescono di numero le botteghe artigiane che rispondono alle necessità dei consumi urbani e il cui lavoro resta a lungo coordinato dalle potenti corporazioni cittadine: tessiture, sartorie, calzolerie, mulini, macelli, forni, falegnamerie, produttori di carrozze, lavoratori edili creano un tessuto di minuti e operosi opifici che animano l’economia urbana. In campagna si sviluppano invece le produzioni tessili, la voce più importante della produzione manifatturiera preindustriale: le tele di lino e canapa, gli ancora rari fustagni di cotone, le stoffe di lana sono destinati ai mercati locali e vanno sostituendo almeno in parte i manufatti importati. É però la produzione del preziosissimo filo di seta a caratterizzare l’espansione manifatturiera nelle campagne della regione fino ad improntarne l’intera economia perché fornisce un contributo assolutamente preponderante alle esportazioni del Regno. La straordinaria crescita della produzione del filo di seta si integra con il lavoro nei campi: ampie aree agricole, soprattutto nelle colline, trovano, in questa evoluzione, insperate occasioni di reddito aggiuntivo al lavoro agricolo, mentre l’aumento della domanda del semilavorato serico da parte delle tessiture europee (tra le quali emerge il polo lionese, collegato con le grandi corti europee e in particolare con Parigi) accompagna e sostiene la sempre più ampia diffusione dell’allevamento del baco; nel corso del Settecento quest’ultimo rappresenta, insieme alla coltivazione della vite, la differenziazione tipica per gli agricoltori piemontesi. Nelle colline una quota crescente degli abitanti delle campagne, senza abbandonare la comunità contadina di appartenenza, si trova impegnata periodicamente in opifici che, a intermittenza, come la luce delle lucciole, avviano il lavoro per alcuni mesi all’anno. Altri lavoratori agricoli, pur restando all’interno del proprio domicilio, entrano a far parte di organizzazioni complesse in cui la 2 Storia. Piemonte produzione manifatturiera viene frazionata in numerose lavorazioni specializzate. Le singole fasi sono coordinate da un mercante che si assume il rischio d’impresa e commissiona, dalla città, il lavoro in funzione degli andamenti del mercato. A partire dagli anni sessanta del Seicento vengono impiantati a Borgo Dora, a Porta Susa e poi a Racconigi e a Chieri, nel resto della provincia di Torino e nel Cuneese numerosi filatoi idraulici, per l’epoca enormi mulini integrati con il lavoro delle filande per la produzione di trame e organzini di seta. Nel Settecento sono 200.000 le famiglie di contadini che integrano il proprio reddito dedicandosi al faticoso allevamento dei bachi da seta, 60.000 bambine, ragazze e giovani donne lavorano per qualche mese all’anno nelle filande per trarre dai bozzoli il prezioso filo di seta, 25.000 donne e uomini lavorano tutto l’anno presso i filatoi idraulici per la produzione del filato ritorto, mentre 5.000 lavoratori sono impegnati, utilizzando quella piccola parte di filo che non viene esportato, in città: nelle tinture, nelle tessiture, nei laboratori per la produzione di calze e passamanerie. Nel corso del diciottesimo secolo il commercio di esportazione del filo di seta copre da solo i quattro quinti degli interi traffici in uscita dal Regno ed è controllato da grandi mercanti imprenditori: questi operano nel settore serico in sostanziale libertà dal sistema delle corporazioni. I mercanti imprenditori coniugano frequentemente il commercio, l’esercizio del credito e l’attività manifatturiera condotta secondo il sistema del putting out (delegando cioè singole fasi della produzione a lavoratori che operano presso il proprio domicilio rurale o riuniti in opifici). I patrimoni accumulati dai mercanti imprenditori del settore grandini questa fase sono tali da collocarli tra i cittadini più abbienti di Torino. Gli impieghi delle ricchezze derivate dal commercio della seta appaiono quelli tipici dell’aristocrazia finanziaria, costituiti per la gran parte da acquisti di tenute nelle aree più fertili della pianura e da investimenti immobiliari in città, che in questi anni, grazie anche alle fortune del commercio serico, si arricchisce di nuovi grandi palazzi. Dinamici operatori commerciali, i negozianti banchieri gestiscono in prima persona, fino a oltre la metà dell’Ottocento, le correnti di traffico con le principali piazze europee. L’attività dei grandi mercanti di seta costituisce allora un veicolo molto importante per il trasferimento delle conoscenze tecniche e delle informazioni commerciali dalle nazioni europee ad alto sviluppo all’Italia. Le imprese mercantili del settore rappresentano un fenomeno vasto e articolato che coinvolge rappresentanti, spedizionieri, commissionari e tutte quelle figure professionali indispensabili alla gestione delle grandi correnti commerciali a lunga distanza. 2. La transizione verso un mondo industriale Gli anni compresi tra la battaglia di Waterloo (1815) e la conclusione dei processi di unificazione nazionale in Italia e Germania (1871) rappresentano per l’Europa un’età percorsa da cambiamenti economici intensi e rapidi. In questo periodo l’industria diventa il principale fattore di sviluppo per le economie europee più dinamiche. A partire dalla rivoluzione industriale inglese, la diffusione del sistema di fabbrica segue però percorsi non uniformi, lasciando dietro di sé spazi vuoti, sperimentando arretramenti, crescite incomplete e viziate da limiti strutturali. Questi limiti evidenziano progressivamente le distanze tra i singoli stati e, al loro interno, tra le diverse regioni. Dalla fine del Settecento gli imprenditori inglesi avevano tracciato la via del nuovo sistema produttivo e organizzativo che, ponendo al centro la fabbrica dotata di forza motrice inanimata (ruote idrauliche e macchine a vapore), aveva sviluppato la meccanizzazione in alcune produzioni di base, in particolare stoffe e semilavorati di ferro come lamiere, lingotti e vergelle. Alla metà dell’Ottocento le principali tecnologie necessarie per avviare quei processi industriali e per la costruzione delle ferrovie sono, di fatto, a disposizione di tutti. Eppure pochi mostrano di possedere la capacità di seguire tempestivamente l’esempio inglese. Durante il periodo precedente l’unificazione, è rara in Piemonte la presenza di fabbriche costruite sul modello inglese: le poche iniziative avviate dagli imprenditori stranieri costituiscono momenti significativi nel lento processo di modernizzazione che attraversa l’economia locale. Nella prima 3 Storia. Piemonte metà dell’Ottocento detentori di abilità tecniche, giovani esponenti di famiglie industriali, commercianti, direttori di stabilimento si trasferiscono nella regione subalpina con spirito pionieristico, attratti da facilitazioni governative e dalla possibilità