Architettura Fortificata Nel Sud Sardegna (XII-XV Sec.) Cronotipologia Delle Strutture Murarie
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Università degli Studi di Cagliari DOTTORATO DI RICERCA TECNOLOGIE PER LA CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI E AMBIENTALI Ciclo XXVIII Architettura fortificata nel sud Sardegna (XII-XV sec.) Cronotipologia delle strutture murarie Presentata da Valentina Pintus Coordinatrice Dottorato prof.ssa Anna Maria Colavitti Tutor prof.ssa Caterina Giannattasio prof.ssa Silvana Maria Grillo Settore scientifico disciplinare ICAR 19 GEO 09 Esame finale anno accademico 2015 – 2016 Tesi discussa nella sessione d’esame marzo – aprile 2017 Architettura fortificata nel Sud Sardegna (XII-XV sec.). Cronotipologia delle strutture murarie Premessa Introduzione I | L’architettura difensiva come strumento per la datazione 1. Stato dell'arte in Sardegna 1.1 Studi sui castelli medievali 1.2 Studi sulle tecniche costruttive murarie 2. Metodologia di indagine 2.1 Fonti indirette e architetture a confronto 2.2 Casi studio. Rilievo e analisi 2.3 Tecniche costruttive murarie. Analisi e tipizzazione 2.4 Strumenti operativi. Il Database e il Gis II | Tipi, materiali e tecniche costruttive 1. I fatti storici come descrittori di forme e tipi 1.1 Il contesto storico 1.2 Tipi e forme dell’architettura fortificata 2. I luoghi rivelati. Materie e materiali 2.1 Il contesto geo-litologico 2.2 Lapidei naturali 2.3 Lapidei artificiali 3. Le tecniche costruttive murarie per la datazione 3.1 I tipi murari 3.2 Risultati cronotipologici Conclusioni III | Schede Bibliografia Premessa Perché studiare le tecniche costruttive murarie storiche? Qual è il contributo che si vuole offrire? L’indagine qui presentata sembra inserirsi nel filone di ricerca cosiddetta ‘pura’, seppure siano ormai assodate le ricadute operative derivanti da questo genere di studi nel campo del restauro e della conservazione. La conoscenza è una premessa indispensabile per giungere a proposte progettuali e scelte decisionali compatibili, e di certo una adeguata consapevolezza tecnica e culturale induce, quasi automaticamente, cautela e attenzione maggiori nelle proposte progettuali e nelle scelte decisionali. La storia del restauro mostra in modo evidente che, a partire dalla fine del XVIII secolo, la sensibilità dell’uomo verso le preesistenze cambia progressivamente. È impressionante notare, però, come ancora agli inizi del Novecento, ad esempio, si ritenga del tutto lecito demolire la facies barocca quando essa risulti stratificata su preesistenze - soprattutto se di origini medievali - giustificando la ricerca di presunte tracce più antiche, spesso senza successo. Tale prassi sembra oramai superata, per lo meno per quanto riguarda i palinsesti monumentali. Ben diverso, invece, è lo scenario se si guarda all’edilizia diffusa per la quale il possesso del bene determina la sensazione che si possa agire con totale arbitrarietà sulle strutture. Con assoluta libertà, infatti, si agisce sulle murature, sulle tinteggiature e sugli intonaci. Essi sono sacrificati, in genere, per esigenze funzionali come l’inserimento di impianti e tubazioni. In particolare per gli intonaci è ormai diffusa la prassi di demolirli per portare a vista le sottostanti murature, di qualunque materiale esse siano composte e con qualunque forma e tipo di tessitura siano apparecchiate. Si riscontra maggior rispetto per gli elementi decorativi ai quali si attribuisce con immediatezza un ‘valore’ - di bellezza, di antichità, di arte - o per quei sistemi costruttivi altrettanto facilmente identificabili come ‘antichi’ - ad esempio, le capriate lignee delle coperture o le travi dei solai, anch’esse in legno -. Ma se quel muro o quell’intonaco avessero una ben definita caratterizzazione tecnico-culturale, anche in termini cronologici, si perpetrerebbero comunque, e con la stessa impulsività, incontrollabili manomissioni e indiscriminate demolizioni? Forse sì. Forse, però, la consapevolezza di agire su un oggetto ‘di valore’, potrebbe indurre il fruitore - in qualità di proprietario - o l’operatore - progettista o maestranza - a maggiore attenzione e accuratezza già nella scelta inerente alla rifunzionalizzazione del manufatto su cui si deve agire. La definizione di funzioni compatibili, infatti, risulta determinante nella progettazione di un intervento capace di mediare efficacemente tra la necessità di adeguamenti alle nuove esigenze e la legittimazione del sacrificio di strutture storiche. Non di meno, la conoscenza delle peculiarità costruttive e tecnologiche su tali sistemi consente di definire soluzioni più appropriate e efficaci. Tali considerazioni hanno orientato la scelta verso una indagine sulle tecniche costruttive murarie storiche, in quanto seppure tale filone risulta ben avviato a livello nazionale, nel panorama culturale sardo è necessario ancora qualche sforzo perché ci si possa avvalere di strumenti davvero efficaci in termini di conoscenza e di metodiche operative. VIII Introduzione Nel panorama nazionale sono ormai sempre più numerose le esperienze che, spinte dalla volontà di conoscere, riconoscere, salvaguardare e tutelare i beni architettonici di cui il territorio italiano è ricco, arrivano a definire protocolli operativi specifici basati sulla comprensione storica, tecnica e materica delle componenti peculiari e in generale della cultura che le ha prodotte. Si mira, in particolare, a sensibilizzare la comunità verso un rispetto sempre maggiore per le preesistenze favorendo il riconoscimento di valori storici e culturali soprattutto dei centri antichi, i cui edifici sono ancora troppo spesso considerati ‘edilizia minore’, e per questo oggetto di indiscriminate trasformazioni e arbitrari stravolgimenti che determinano lo svilimento del luogo e la perdita della propria identità. In linea con tale orientamento, la ricerca in oggetto è avviata proprio in funzione della costruzione di un atlante cronotipologico delle tecniche costruttive murarie tradizionali. Essa verte, nello specifico, sullo studio delle tecniche costruttive murarie impiegate tra il XII e il XV secolo per l’edificazione del sistema difensivo. In generale, a livello regionale è evidente la mancanza di uno studio organico e sistematico volto alla redazione di uno strumento conoscitivo e divulgativo capace di contribuire significativamente alla sensibilizzazione anzidetta. Dall’accurata analisi della letteratura esistente si è riscontrata, però, una vivace attività di ricerca, fortemente incentivata in ambito accademico, orientata alla comprensione dell’edificato tradizionale locale. Il fenomeno edificatorio è ben studiato con diversi approcci e differenti livelli di approfondimento. Gli aspetti storici sono quelli maggiormente indagati, nonostante le numerose difficoltà legate alla carenza di materiale d’archivio relativo all’alto medioevo, che risulta invece ben più cospicuo per i periodi successivi. Ben strutturati e organici sono gli studi sulle chiese romaniche, emblema e orgoglio del medioevo architettonico sardo, come anche i principali sistemi fortificati del XV-XVI secolo, elementi imprescindibili nelle continue lotte per il controllo politico e militare dell’Isola. Più recentemente, si stanno conducendo studi sulle torri costiere e sui complessi religiosi, approfondendo anche gli aspetti inerenti alle tecniche costruttive. Gli studi sull’edilizia diffusa, invece, sono finora orientati prevalentemente all’analisi tipologica, alla conoscenza delle configurazioni originarie e alle dinamiche evolutive. Esistono, tra l’altro, importanti ricerche volte alla conoscenza delle tecniche costruttive tradizionali, seppure con obiettivi prevalentemente operativi. Lo studio preliminare sulle dinamiche che hanno influenzato l’evoluzione del fenomeno edificatorio sardo, dalle sue origini fino ai più recenti sviluppi legati alla rivoluzione industriale, ha orientato la ricerca, come già detto, verso lo studio dei manufatti che, tra il XII e il XV secolo, hanno composto il sistema difensivo. Castelli, torri, cinte murarie e borghi fortificati sono analizzati per areali geografici coincidenti con i territori degli storici Giudicati di Cagliari e Arborea. X La scelta del repertorio architettonico fortificato deriva da una serie di requisiti significativi. Come dimostrato da precedenti ricerche condotte a livello nazionale, infatti, le strutture fortificate rappresentano episodi particolarmente efficaci per i fini cronotipologici appena dichiarati. Molte di queste fabbriche, inoltre, hanno perso il loro ruolo funzionale da diversi secoli e, non di rado, si assiste alla loro progressiva ruderizzazione. Emerge chiaramente come proprio l’abbandono abbia preservato le strutture dalle trasformazioni derivanti da esigenze d’uso, garantendo la conservazione della forma e della materia originale. L’avanzato stato di degrado, come è ovvio, facilita la ricognizione puntuale delle tecniche costruttive, altrimenti scarsamente rilevabili soprattutto nella loro composizione interna. Va inoltre evidenziato che la distribuzione territoriale dei manufatti risulta omogenea sull’intero ambito investigato, il che consente di definire relazioni tra le tecniche impiegate e l’uso dei materiali autoctoni, la cui varietà litologica per il contesto regionale è nota, soprattutto nello specifico ambito delle discipline geologiche. La ricerca ha presentato da subito alcune criticità, la prima delle quali è stata la definizione concreta degli elementi da studiare. La letteratura specifica esistente, infatti, talvolta ha ripetuto, senza verificare, alcuni errori forse riconducibili a imprecise interpretazioni delle fonti storiche. In alcuni casi, ad esempio, si attribuisce lo stesso nome