UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI L'uso Dellefonti Orali Nello
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View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk • UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI SCUOLA DI OOITORA TO IN SCIENZE DEl SISTEMI CULTURALI INDIRIZZO: TEORIE E STORIA DELLE LlNGUE E DEI LINGUAGGI CICLOXXlV L'uso delle fonti orali nello studio delle culture popolari: la transizione dal fascismo al Piano di Rimascita in Sardegna Tutors: Dottoranda: Raffaella Lucia Carboni Prof. Raffaele D'Agata Prof. Massimo Dell'Utri A mio padre 2 Indice Introduzione 1. La Sardegna durante la seconda guerra mondiale. Un piano di memoria singolare: specificità dell’Isola rispetto al contesto nazionale e meridionale. 1.1. Autoanalisi di un fallimento. La dicotomia tra partito e regime nella provincia di Sassari e la mancata “rivoluzione degli spiriti”. 1.2. Grande Guerra, combattentismo e nascita del Partito Sardo d’Azione. Il sardo-fascismo e la “rivoluzione isterilita”. 1.3. Le memorie della transizione dal fascismo alla rinascita democratica repubblicana in Sardegna. 1.4. Memorie dei bombardamenti alleati nel Nord-Ovest fra dimensione urbana e contesto rurale. 1.5. Dalle bombe alla pace. La via sarda all’armistizio e il dopoguerra anticipato. 2. La Sardegna nella prima età repubblicana. Persistenze e mutamenti. 2.1. Il secondo dopoguerra e gli “anni della ricostruzione”. 2.2. Dall’élite alla massa, fra partiti e associazionismo, memorie del contributo femminile alla trasformazione della società sarda: il caso dell’Unione Donne Italiane in Sardegna. 2.2.1. Un discorso preliminare: le fonti. 2.2.2. “Studiare e risolvere i problemi della vita femminile nel quadro della ricostruzione nazionale”. 2.2.3. 1951-1952: nasce l’Unione Donne Sarde. Bibliografia 3 Introduzione “[…] ancora una volta sono stupito dalla distanza che passa tra le memorie locali e la memoria nazionale. Mi viene da pensare che, se le eccezioni locali sono così numerose, probabilmente è la memoria nazionale ad essere qualcosa di surreale…” (Giovanni Contini)1 “Queste storie meridionali emergono oggi da un lungo oblio, cui sono state consegnate dalla inadeguatezza di noi storici, ma anche dalle rappresentazioni rigide, dalle interdizioni che hanno caratterizzato la mitologia nazionale. Esse non hanno trovato un linguaggio pubblico con cui esprimersi e sono rimaste racchiuse nelle memorie individuali, familiari, di comunità, oppure consegnate al silenzio”2 (Gabriella Gribaudi) Analizzando l’esperienza della seconda guerra mondiale in un territorio particolarmente significativo nel contesto nazionale, quale quello partenopeo e del fronte meridionale fra il 1940 e il 1944, Gabriella Gribaudi ci ricorda che: “Nessun evento storico, come la guerra, obbliga gli individui comuni a fare i conti con la «grande storia», e le guerre del Novecento lo hanno fatto in modo estremo”3, esaltando drammaticamente il nesso intercorrente fra processi internazionali e realtà locali4. Se i primi anni del conflitto trascorrono senza rilevare particolari differenze nel vissuto della popolazione italiana (eccetto una divaricazione negli atteggiamenti di larga parte dell’opinione pubblica meridionale e settentrionale di fronte all’entrata in guerra)5, il 1943 rappresenta 1 E-mail indirizzata a Raffaella L. Carboni il 3 luglio 2008 a commento del suo saggio: “Porto Torres nella formazione dell’Italia repubblicana: esperienza di una transizione nella memoria popolare”, in seguito pubblicato su “memoria/memorie. materiali di storia”, n. 4, Cierre, Verona, 2009. 2 Gabriella Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44, Bollati Boringhieri, Torino, 2005, p. 33. 3 Ivi, p. 11. 4 Gloria Chianese, “Quando uscimmo dai rifugi”. Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (1943- 1946), Carocci, Roma, 2006, p. 13. 5 Nella seconda metà degli anni Trenta il Sud acquista nelle politiche del regime un peso maggiore. La propaganda insiste sulla centralità del Mediterraneo e sulle positive ricadute economiche che i disegni espansionistici là indirizzati potranno innescare. L’entrata in conflitto viene quindi vissuta al Sud con un grande carico di aspettative, come prova greve ma necessaria per migliorare le precarie condizioni in cui versa larga parte della società civile. Sarà successivamente l’evoluzione del conflitto a conferire al vissuto degli italiani una tendenziale omogeneità (Massimo Legnani, Nord e Sud nella crisi del 1943, in Mezzogiorno 4 invece un vero e proprio spartiacque nell’esperienza dello stesso nel Mezzogiorno e nel resto della Penisola6. Considerando il caso sardo non si può fare a meno di avvertire l’inadeguatezza di una ricostruzione storica che non colga a sua volta fino in fondo i tratti di una marcata (vedremo in che senso) specificità: ulteriori risvolti di un anno chiave che, parafrasando Gloria Chianese, segnò “l’inizio di una congiuntura storica che per alcuni aspetti si declinò diversamente nel territorio isolano rispetto al resto del Mezzogiorno”7. Ma non solo. L’analisi di una stessa regione, quando non anche il focus su uno stesso territorio circoscritto, comunica ugualmente la necessità dell’adozione di uno spettro d’indagine ampio (ma allo stesso tempo sottile), capace di cogliere esperienze che possono definirsi sufficientemente comuni, come, ad esempio, la sofferenza per le privazioni materiali (e per la fame diffusa, soprattutto), ed elementi che sono invece propri di specifiche realtà, come l’incontro con gli “americani”, parte del patrimonio di memorie collettive essenzialmente urbane, ma non particolarmente integrato, a quanto finora pare, nelle memorie della vasta e tuttora da indagare geografia dei villaggi, di cui Banari vuole essere qui un esempio. L’accesso più sensato a questo nodo storiografico è parso allora quello che, fugando il rischio di fare della specificità una sorta di isolata e improbabile “oasi storiografica protetta” (cadendo di conseguenza in quella “miopia” degli studi locali di cui Raphael Samuel colse brillantemente l’intrinseca ambivalenza)8, sia invece capace di “riannodare le fila di un discorso unitario”9 nazionale e internazionale. Comprendere come la Sardegna abbia attraversato l’esperienza del secondo conflitto mondiale, significa infatti porsi il problema, non certo solo locale, di attivare una riflessione multidirezionale. In tal modo, come sostiene Benedetto Meloni “il lettore potrà vedere come anche studiando un paese, una comunità locale, la lente ravvicinata consente di mettere a fuoco 1943. La scelta, la lotta, la speranza, a cura di Gloria Chianese, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996, pp. 3-8). 6 Ibidem. 7 “Nel caso italiano, il 1943 – afferma Gloria Chianese – è un anno di cesura […] l’inizio di una congiuntura storica che si declinò diversamente nel Sud e nel Centro-Nord, mentre l’esperienza dei tre precedenti anni di guerra aveva accomunato l’intero paese” (ibidem). 8 “Nessun tema della storia è intrinsecamente «micro» o «macro», principale o marginale, grande o piccolo. Tutto dipende dal modo in cui è studiato. Lo studio locale può peccare di miopia, ma è anche possibile che l’eternità stia in un granello di sabbia” (Raphael Samuel, La storia della gente «comune», in Storia orale: vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne, a cura di Luisa Passerini, Rosenberg & Sellier, Torino, 1978, p. 105. 9 Mezzogiorno 1943, cit., 1996, p. XIV. 5 tematiche e problemi di carattere generale”10; “la conoscenza prodotta dagli storici – come afferma infatti Paul André Rosental – è relativa alla scelta di scala; moltiplicare gli angoli di approccio costituisce la risorsa più feconda per la storiografia”11. “Locale”, “globale”, “regione”, “comunità urbane”, “paesi”, “nazione”, “mondo”, “memorie individuali”, “memorie collettive” divengono allora delle categorie capaci di restituire a pieno il loro potenziale d’analisi se fatte dialogare armonicamente. In questo caso, soprattutto, l’indagine sull’esperienza del secondo conflitto mondiale nel territorio isolano non si esaurisce nello studio delle conseguenze delle operazioni militari internazionali legate alle iniziative delle forze dell’Asse e a quelle degli Alleati, ma conduce a guardare a queste come a uno degli osservatori più privilegiati per cogliere il legame che esse intrattengono con l’evoluzione del rapporto fra il regime e la società civile, le complicate fluttuazioni del consenso, e il finale collassamento del fronte interno nei primi mesi del 1943. Problematiche di tutt’altro che facile interpretazione, come hanno mostrato gli studi, ad esempio, di Simona Colarizi, o Massimo Legnani12, e più recentemente di Patrizia Dogliani13, che hanno messo in luce, fra l’altro, le pesanti carenze della storiografia italiana nel confronto con aree d’analisi complesse quali la rilevazione dello “spirito pubblico” e il vissuto della gente comune. Per quanto concerne il caso sardo, Simone Sechi rilevava in uno studio pubblicato nel 200014 che l’analisi delle basi di massa del fascismo e l’indagine sulle élite locali versava ancora in uno stato embrionale, i cui elementi non potevano fare altro che restituire un’immagine alquanto approssimativa dell’effettiva penetrazione del regime nella società sarda15. Da allora ad oggi, se 10 Benedetto Meloni, Ricerche locali. Comunità, economia, codici e regolazione sociale, CUEC, Cagliari, 1996, p. 7. 11 Paul-André Rosental, Costruire il “macro” attraverso il “micro”: Fredrik Barth e la microstoria, in Giochi di scala. La microstoria alla prova dell’esperienza, a cura di Jacques Revel, Viella, Roma, 2006, p. 148. 12 Cfr. A. Del Boca, M. Legnani, M.G. Rossi, Regime fascista. Storia e storiografia,