Regione Azienda Sanitaria Locale n. 2 Lanciano

RASSEGNA STAMPA Lunedì 9 gennaio 2017

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Lunedì, 9 gennaio 2017 VASTO

Castiglione Messer Marino: porte chiuse da due metri di neve Schiavi, pochi viveri Il gelo segna meno 12 di Paola Calvano w SCHIAVI D'ABRUZZO Il termometro segna meno 5 gradi. Ma durante la notte è sceso a meno 12. La morsa del gelo attanaglia l'Alto Vastese ricoperto da una coltre di neve che in alcuni punti supera abbondantemente i 5 metri. Uscendo da casa si fa fatica a respirare. Il gelo brucia il viso e le labbra. Cappello e sciarpe, i soccorritori sono al lavoro da ore. Diverse le frazioni isolate a Schiavi d'Abruzzo (1.172 slm) e Castiglione Messer Marino. Da quattro giorni decine di famiglie non hanno la possibilità di rifornirsi di viveri. Isolati i 70 immigrati del centro d'accoglienza. «Finalmente sabato sera le turbine hanno liberato la Trignina, unica strada di collegamento fra la vallata e i piccoli comuni montani», dice il sindaco di Schiavi, Luciano Piluso. Lasciata la Trignina e imboccata la strada che risale la collina per raggiungere il paese le difficoltà di moltiplicano. Raggiungere Schiavi è un'impresa. La visibilità è ridotta al minimo. Ai lati della strada due muri di neve. Intorno il silenzio interrotto solo dal rumore di qualche trattore o pala meccanica. Un paesaggio irreale. Eppure a Schiavi ci sono 850 abitanti . Ciascuno di loro fa quello che può. «Prima possibile dobbiamo cercare di raggiungere le frazioni per portare aiuta a tutti», dice il sindaco. «Per 3 giorni con la Trignina bloccata siamo rimasti isolati. Ora possiamo respirare e soprattutto aiutare chi è in difficoltà». I malati sono stati trasferiti per tempo all'ospedale Caracciolo di Agnone per evitare tragedie. Fortunatamente non ci gravidanze al termine né parti imminenti. «Siamo riusciti a soccorrere quasi tutti gli anziani. Ora dobbiamo dare una mano anche ai 70 immigrati rimasti isolati», chiude Piluso. Sulla strada che da Schiavi porta a Castiglione Messer Marino la foschia e il nevischio annullano la visibilità. Le contrade sono isolate. «Le famiglie sono arrabbiate con il ma noi stiamo facendo davvero il possibile con i mezzi a disposizione», dice il sindaco di Castiglione, Emilio Di Lizia. Qui, come a , molte famiglie hanno dovuto scavare tunnel nella neve per uscire da casa. Anche davanti al portone del sindaco la coltre nevosa supera il metro e mezzo di altezza. Vicino all'ufficio postale e lungo la strada che conduce in municipio, ruspe e trattori hanno tolto parte della neve trasferendo i cumuli sui lati. Le strade del centro storico sono praticabili a piedi ma bisogna fare attenzione al ghiaccio. Il Comune ha creato corridoi di transito nella zona di via Forno e Colle Chiavaro ma le difficoltà sono tante. La situazione è migliore nella parte bassa del paese. «Siamo abbandonati a noi stessi», hanno protestato diverse famiglie. La strada che collega Castiglione a Schiavi é percorribile solo con mezzi adatti. «Perché le turbine della Provincia sono arrivate così in ritardo?», chiedono le famiglie. Dal cielo, con i fiocchi, nevicano polemiche. Lungo le strade del paese i cittadini, armati di pale e buona volontà, cercano di fare quel che possono. «Di certo nessuno può fare miracoli e questa foschia ci rema contro, senza contare il gelo che arriva nel pomeriggio», dice ancora il sindaco Di Lizia. I Comuni dell'Alto Vastese hanno avvertito la prefettura. Sperano solo di avere presto un incontro con la Provincia per evitare, in caso di altre nevicate, i pensati disagi vissuti in tutti questi giorni.

Lunedì, 9 gennaio 2017 CHIETI

Il gelo fa esplodere i tubi: in Largo San Gaetano una fontana d’acqua Di Gregorio diventa il Robocop dello spazzaneve. L’Ateneo oggi è chiuso Le lame di ghiaccio sono il vero pericolo di Edoardo Raimondi wCHIETI Pericolo stalattiti: sono vere e proprie lame di ghiaccio sorte lungo cornicioni e grondaie. Se questi spuntoni si dovessero staccare potrebbero cadere sulla testa di qualcuno. Rischiando di uccidere. Mentre il gelo fa esplodere i tubi: in via Vitocolonna (Largo San Gaetano) c’è una fontana che spruzza acqua. Sul posto, ieri sera, è accorso Gabriele Romano, del servizio acquedotto. Quattro le famiglie interessate. E' arrivato il quinto giorno di emergenza neve. I volontari del Centro Operativo Comunale di Protezione civile con il reparto del 118 continuano ad assistere senza sosta i cittadini. Questa mattina in programma l’accompagnamento in ospedale di due pazienti bloccati dalla neve, uno a Levante e uno a Filippone, per effettuare sedute di chemioterapia. Oggi, poi, anche l’università resterà chiusa: «Si comunica che, alla luce delle attuali condizioni meteo e di viabilità generale lunedì 9 gennaio sarà riaperta solo la sede di . Le strutture di Chieti, invece, rimarranno chiuse. Pertanto le attività, sia didattiche che amministrative, saranno sospese». Così si legge da ieri sul sito della D'Annunzio. La direzione generale d'Ateneo ci ripensa, e decide all’ultimora. IL GRANDE DI GREGORIO. E' l'instancabile addetto comunale che da quattro giorni si alza alle 5 del mattino e fino alle 2 di notte continua senza tregua a spazzare la neve, a bordo del mezzo del Comune. Ieri mattina, poco dopo le 11.30, si ferma di fronte alla piazza di San Francesco Caracciolo al Tricalle. Sullo spazzaneve c'è solo lui. Dopo pochi minuti riparte alla volta di strada Mucci, in zona San Martino. In quelle aree le strade stanno ghiacciando: «Sono ripassato a pulire più volte. Però adesso qui serve il sale, si stanno formando delle lastre di ghiaccio» dice Di Gregorio mentre prosegue sulla via. Il viaggio continua verso strada Belvedere, anche lì la neve è ghiacciata. Poi via Strada Storta, per ripulire anche quella. Zone periferiche, dove solo il 50enne Di Gregorio riesce ad arrivare per pulire. Con quel mezzo sembra che riesca a danzare, mentre il suo telefono non smette di squillare per via delle numerose segnalazioni di interventi urgenti. Al terzo giorno di incessante lavoro, l'addetto comunale è diventato un tutt'uno con il suo fedele spazzaneve. Tra la mattina e il primo pomeriggio di ieri è intervenuto anche in via Fonte Cruciani, via Verlengia, via D'Angelo, via Tomei, via Petroni, via Fosso Paradiso, su strada La Torre, in via Degli Ernici, in via Dei Sabini, a Colle San Paolo e in via Dell'Acquedotto. RACCOLTA RIFIUTI. E oggi finalmente gli operatori di Formula Ambiente «effettueranno regolarmente il ritiro della differenziata. Ci potrebbe essere qualche disservizio nelle strade non ancora raggiungibili a causa della neve» fa sapere il sindaco Umberto Di Primio. CADONO RAMI. A causa della neve un ramo di un pino in via Ricci ieri si è spezzato ed è caduto sopra una vettura parcheggiata lungo la via. Mentre In zona Levante, sabato notte, un albero è crollato nel parco De Curtis in via Cilea. Si sta riattivando il servizio idrico in via Dei e a Colle Marcone, come nella parte alta della città. Ma nel frattempo le tubature si sono ghiacciate. E l'acqua che ritorna a scorrere, con l'aumento di pressione, ha provocato in alcuni casi la rottura dei contatori. Accade proprio in via Dei Frentani e in zona Colle Marcone, in via De Lollis, via Dei Lucani, strada Dei Fiori, via Cutelli, strada Lucci, in zona villa Pini e in alcune vie del centro storico. SALE GRATIS. A disposizione della città, in ogni caso, c'è ancora la montagna di sale che è stata scaricata dietro al Tribunale in piazza San Giustino. Lì, sempre ieri mattina, diversi cittadini sono andati a ricaricare le scorte. Le ulteriori nevicate previste e il formarsi di lastre di ghiaccio non rassicurano e aumenta la necessità di liberare vicoli e strade residenziali. Muniti di pale e di secchi, tante le persone che si stanno recando al deposito e a monitorare anche lì la situazione ci sono costantemente il sindaco insieme all'assessore Raffaele Di Felice. ALTRI COMUNI. A Torrevecchia sta tornando l'acqua. Il Comune è rimasto a secco per due giorni di fila. E anche lì i contatori di diverse abitazioni stanno scoppiando. A è tornata la corrente elettrica, dopo che per almeno 48 ore il 70 per cento dei residenti è rimasto al freddo e al buio. Lunedì, 9 gennaio 2017 REGIONE Maltempo in Abruzzo

Fabbriche chiuse per bene e gelo. Disagi sulle strade delle vacanze Oggi si fermano nel Chietino Sevel, Honda e Hydro. Centinaia di abitazioni senz’acqua. Proteste nell’Alto Sandro: impianti di sci aperti ma Statale 17 vietata. Prevista neve fino a mercoledì di Roberto Raschiatore wPESCARA Neve e ghiaccio fermano anche il motore industriale dell’Abruzzo: oggi restano chiusi gli stabilimenti di Sevel, Honda e Hydro e la maggior parte delle aziende della Val di Sangro. La Sevel del gruppo Fiat, interessata da un forte pendolarismo, ha deciso lo stop produttivo per il primo turno, dalle 5.45 alle 13.45. Soltanto in mattinata si deciderà se proseguire lo stop sugli altri due turni. Sempre oggi il Comitato esecutivo aziendale della fabbrica del Ducato si riunisce per decidere le modalità del recupero produttivo di venerdì scorso, turno C, interessato da un improvviso blackout elettrico. Alla Honda, invece, ferie forzate: oggi doveva riprendere l’attività dopo la pausa natalizia, iniziata il 23 dicembre scorso. FIGURACCE COI TURISTI. Non va meglio per l’economia del turismo, dove i problemi sono ben altri. Se il mare d’estate è sporco, in inverno si chiudono le strade. E l’Abruzzo non ci fa una bella figura. La Statale 17 da Sulmona a Roccaraso ha riaperto solo ieri alle 18, dopo tre giorni di stop al traffico. Stop prolungato anche ieri mattina, con uno splendido sole e con gli impianti di risalita del bacino sciistico più importante del Centro sud aperti. La decisione dell’Anas di tenere ancora chiusa la Statale 17 ha provocato disagi e proteste, da parte dei villeggianti, degli operatori turistici e dei sindaci. Federturismo ha fortemente criticato le scelte dell’Anas parlando di grave danno al sistema economico. In mattinata cento automobilisti che dovevano tornare a casa, dopo lunghe proteste, sono stati “scortati” da spazzaneve e polizia. TIR LIBERATI. Da ieri Polstrada e Anas sono al lavoro per liberare la Trignina, che collega il Molise all’Abruzzo, dai mezzi pesanti bloccati da giovedì a causa della neve e del ghiaccio. Trentacinque camion sono stati liberati. Per altri 15 mezzi si attende l’arrivo degli autotrasportatori alloggiati negli hotel di Isernia e alcuni rientrati a casa. Ieri è stato deciso di chiudere anche il passo di Forca d’Acero, a San Donato Valcomino (Frosinone), sulla strada 509 che collega la Ciociaria con l’Abruzzo. CADE DA 10 METRI. Dramma a Lanciano a causa della neve. Un 43enne è scivolato ed è precipitato da un’altezza di circa dieci metri mentre tentava di pulire il terrazzo della propria abitazione. A.C. si trova ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale di Pescara. CASE SENZ’ACQUA. A Pescara, Teramo e Chieti centinaia di abitazioni sono senz’acqua. Tubature e contatori sono stati spaccati dal gelo. A Teramo l’acquedotto del Ruzzo è stato costretto a mobilitare tutti i propri tecnici anche nel fine settimana dell’Epifania. La situazione acqua non tornerà alla normalità prima di qualche giorno, viste le dimensioni del problema. AIUTI AI SENZATETTO. A Pescara la mareggiata ha causato danni alle imbarcazioni. Sempre nel capoluogo adriatico sono stati 160 i senzatetto ospitati in hotel e dormitorio. L’assessore Antonella Allegrino ha invitato i cittadini a segnalare eventuali emergenze. Anche ad Avezzano, dove il termometro è sceso fino a -12°, diocesi e Caritas si sono mobilitate per aiutare i clochard. PAESI ISOLATI E POCHI VIVERI. Nell’Alto Vastese ci sono diverse frazioni isolate, a Schiavi d’Abruzzo e Castiglione Messer Marino. Da 4 giorni decine di famiglie non hanno viveri. Isolati anche i 70 immigrati del centro d'accoglienza. Irragiungibile anche . Oggi scuole chiuse in numerosi comuni dell’Abruzzo. Niente lezioni a Pescara e in molti comuni del Chietino. Scuole chiuse anche in 17 centri del Teramano. Sempre oggi lezioni sospese a Sulmona, Pratola Peligna, Prezza, Castel di Sangro, Roccaraso. Rivisondoli ha deciso di chiudere gli istituti scolastici fino a giovedì. COSA DICE IL METEO. Le previsioni meteorologiche non preannunciano niente di buono. Secondo gli esperti, infatti, prosegue la discesa di masse d’aria gelida che coinvolgono il medio versante adriatico provocando ancora qualche nevicata fin sulla costa abruzzese, a più riprese almeno fino a mercoledì. Maggiormente coinvolti saranno le località a ridosso di Marsica, Gran Sasso e Maiella, ma ci saranno nuove occasioni per fiocchi fin sui litorali pescaresi. Continuerà a fare molto freddo a tutte le quote. Venerdì, 6 gennaio 2017 REGIONE

Meningite, «nessun aumento dei casi nelle Asl abruzzesi» `L’assessore Paolucci: «La Regione sta valutando l’ipotesi di anticipo del nuovo piano di vaccinazione» LA PSICOSI L’AQUILA «Allo stato attuale secondo i rilevamenti dell’Istituto superiore di sanità non vi è alcun aumento di casi di meningite in Abruzzo. Appena 4 nel 2015 e 3 i casi rilevati nel 2016. Tuttavia, per dare risposte ai cittadini, in un momento tra l’altro in cui si è fatta largo una preoccupazione sociale, la Regione sta valutando l’ipotesi di anticipare gli effetti del nuovo piano nazionale di vaccinazione». Così l’assessore alla sanità dell’Abruzzo Silvio Paolucci, dopo gli ultimi casi di meningite, non contagiosa, in regione (un anziano ricoverato a Sulmona il 28 dicembre scorso; una donna l’altro ieri nell’ospedale di Avezzano). Paolucci lancia messaggi tesi ad attenuare «la psicosi sociale. «I casi ‐ dice ‐ sono stati totalmente ignorati dai media negli ultimi due anni. Resta fermo l’invito alla vaccinazione, dopo aver consultato il medico e i centri di vaccinazione». In particolare, in queste ore il Servizio della prevenzione e tutela sanitaria del Dipartimento regionale per la Salute e il Welfare sta riflettendo sulla predisposizione di un provvedimento che consenta a tutti cittadini rientranti nelle categorie su elencate di ricevere, a carico del Ssn, il vaccino contro il meningococco più adatto alla propria fascia di età e di rischio. È in corso il reperimento dei vari tipi di vaccino.

Meningite non contagiosa: rientra l'allarme AVEZZANO E' tranquillizzante il referto consegnato dal laboratorio analisi dell'ospedale civile di Avezzano: è affetta da una forma rara ma non contagiosa di meningite la donna rovetana di 50 anni ricoverata da ieri nella struttura sanitaria cittadina. Il tipo di meningite dalla quale è stata colpita la paziente, si evince sempre dallo stesso referto, è la Listeria monocytogenes un ceppo raro ma che non reca elementi di contagio. Non c' è dunque rischio di trasmissione della malattia alle altre persone venute a contatto con la donna, le condizioni della quale sono molto gravi: è in prognosi riservata ed è stata trattata fino a tarda ora con terapia antibiotica. La cronistoria della vicenda: ieri, attorno alle 13, all'arrivo in ospedale, la paziente è stata immediatamente assistita e poi ricoverata nel reparto dove si trova attualmente. Sempre ieri, a scopo precauzionale, in attesa dei risultati delle analisi di laboratorio (che sono state comunicate ieri mattina attorno alle 10,30) che erano necessarie per conoscere la forma della patologia, le persone venute a contatto con la donna sono state sottoposte a profilassi. Detta cronistoria ieri è stata tenuta riservata sebbene assolutamente conforme al dettato delle leggi correnti sull'informazione, forse a danno dei cittadini che hanno vissuto ore di ansia e che hanno tempestato i giornali per le notizie. Il manager Asl dovrebbe studiarsi i termini della vicenda evitando la remota possibilità che l'ospedale di Avezzano sia considerato una struttura di paese. E non lo è: questo alla luce dei tecnicismi e dei ritmi palesati dal laboratorio coordinato dal Primario Umberto Occhiuzzi (qui le informazioni vengono fornite in tempo reale su internet) che a tempo di record ha poi reso noti i risultati. Continua intanto a registrare un modesto, ma costante progresso il paziente di 84 anni colpito da una forma non contagiosa di meningite (pneumococcica), ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Sulmona dal 28 dicembre scorso. Lo comunica la Asl evidenziando che «l'uomo le cui condizioni sono sempre gravi a causa dell'infezione, non è più intubato, respira in modo autonomo ed è cosciente». La prognosi, tuttavia, resta riservata e i medici si mantengono assai cauti sull'evoluzione delle condizioni di salute. Nel reparto di anestesia e rianimazione l'uomo continua ad essere assistito con procedure e terapie necessarie. Pino Veri

Lunedì, 9 gennaio 2017 AVEZZANO

Niente posti in rianimazione ad Avezzano e L’Aquila: signora trasferita a Chieti Grave la donna con la meningite AVEZZANO Si sono aggravate le condizioni di salute della casalinga di Morino colpita da una rara forma di meningite non contagiosa. Alle ore 16.30 di ieri la 53enne è stata trasferita nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Chieti. La donna si trovava ricoverata ad Avezzano da mercoledì scorso, nel reparto di malattie infettive diretto dal dottor Maurizio Cipollone. Il trasferimento nell’ospedale civile di Chieti si è reso necessario in seguito all’aggravarsi delle condizioni della paziente, precipitate durante la notte, e per la mancanza di posti letto nelle rianimazioni di Avezzano, L’Aquila e altri ospedali vicini interpellati. La donna è stata portata a Chieti in eliambulanza. I familiari continuano a seguire con trepidazione l’evolversi del quadro clinico. Nelle ore immediatamente successive alla scoperta della meningite, a scopo precauzionale, sia il marito che i due figli della casalinga erano stati sottoposti a una profilassi antibiotica. Il tipo di meningite da cui è stata colpita può essere contratta consumando carne, pollame, pesce e prodotti caseari freschi contaminati, oppure consumando alimenti contaminati conservati o confezionati in condizioni igieniche precarie e verdure contaminate dalla terra o dal letame usato come fertilizzante. Stando al racconto di alcuni familiari, la donna potrebbe aver consumato della carne non adeguatamente cotta. Ora si confida nelle nuove terapie.

Lunedì, 9 gennaio 2017 AVEZZANO

Meningite: la donna colpita s’aggrava, trasferita a Chieti AVEZZANO Disastro sanità nella Marsica: alle ore 16 e 30 di ieri è stata trasferita alla rianimazione dell’ospedale di Chieti la donna ricoverata da mercoledì scorso a malattie infettive del presidio di Avezzano, per aver contratto una forma di meningite non contagiosa. «Il trasferimento a Chieti si è reso necessario in seguito all’aggravarsi delle condizioni della paziente e per la mancanza di posti letto nelle rianimazioni di Avezzano, L’Aquila e altri ospedali vicini interpellati. La donna è stata portata a Chieti in eliambulanza». E intanto partono denunce, proteste e ricorsi al Tar. Una storia sul vaccino antimeningite scuote anche un altro nosocomio.Ma procediamo con ordine: sulle condizioni dell’ospedale Umberto I di Tagliacozzo (foto) è stato presentato un ricorso al Tar Abruzzo. Lo comunica la presidente del Comitato pro‐ospedale avvocato Rita Tabacco, precisando che «la spoliazione che è stata operata nei confronti di questo nosocomio ed i tagli dei cosiddetti piccoli ospedali, voluti dalla politica che ha predisposto scelte sanitarie che penalizzano la gente, non possono essere accettati poiché gli ospedali sono di vitale importanza per la popolazione tutta, non solo di Tagliacozzo e frazioni,ma di tutta la Marsica. Dette scelte – chiosa la Tabacco – puniscono i più importanti settori della vita, puniscono la salute che la nostra Costituzione tutela e difende nella democrazia». Il collegio difensivo che ha presentato ricorso al Tar, è composto dagli avvocati: Paolo Novella, Giovanni Marcangeli, Lina Ramezzi, Franco Novella e la stessa Tabacco. Il Comitato a difesa dell’Ospedale di Tagliacozzo è sempre attento e, naturalmente, non gli sono sfuggite le situazioni di disagio che si sono create in questi giorni, per gli utenti che si sono presentati al Distretto sanitario di base per il vaccino contro il virus meningococco che genera la meningite di diversi tipi. Ci sono stati momenti di incomprensione tanto che poi, a quanto è dato di sapere, il personale addetto alla somministrazione del vaccino (medico e paramedico), forse per lo stress, è finito al Pronto soccorso ed è stata depositata una denuncia presso la locale caserma dei carabinieri. Nello Maiolini

Sabato, 7 gennaio 2017 CHIETI

Chieti, da lunedì il reparto creato dal compianto dottor Andrea Zezza sarà diretto da Nicolai: nessun disagio per i malati, tutto funziona come prima

Addio al Centro calcolosi Accorpato all’Urologia di Matteo Del Nobile wCHIETI Da lunedì prossimo il Centro calcolosi urinaria, eccellenza dell’ospedale Santissima Annunziata di Chieti, perderà la sua autonomia e sarà accorpato a Urologia. Alla base della decisione ci sono ragioni riconducibili alla carenza di personale. Il centro di calcolosi era stato creato dal compianto dottor Andrea Zezza, recentemente scomparso. Da un paio di anni, dopo l’inizio della malattia di Zezza, prestavano servizio nel reparto il dottor Michele Nicolai e un altro medico a cui non è stato, da dicembre, rinnovato il contratto. Il centro, prima unità semplice che poi è passato a dipartimentale e quindi a reparto vero e proprio, è specializzato nella diagnosi e terapia della calcolosi urinaria: ureterolitotrissia laser e balistica, ureterorenoscopia rigida e flessibile, nefrolitotrissia percutanea; Day surgery e ricovero ordinario. In un anno erano centocinquanta gli interventi chirurgici di calcolosi oltre alle altre attività ambulatoriali (Litotrissia extracorporea, visita specialistica per calcolosi, Day Service, Day Hospital). È l’unico centro ad avere un litotritore fisso, cosa che ha portato a una mobilità attiva del 50%, cioè i pazienti arrivano da altre Asl e da fuori Regione. Numeri che con il personale in dotazione non potevano più essere mantenuti; si era arrivati al punto che non era quasi più possibile fare la normale turnazione di ferie e di rispettare, lavorando il personale con raggi gamma, il “riposo” obbligato per legge. «Alcuni pensano» afferma il dirigente medico Nicolai «che Chieti perda un’eccellenza con l’accorpamento del Centro Calcolosi Urinaria alla Urologia. In realtà Chieti guadagna l’eccellenza di un’Urologia come poche in Italia e direi anche in Europa. La calcolosi (litotrissia extracorporea ed endourologia dell’alta via urinaria) sarà una delle branchie fondamentali dove tutti gli urologi della Asl svolgeranno la loro professionalità». Che cosa cambierà da lunedì? Niente, si spera. Con il rientro in Urologia saranno i sei urologi del reparto a turno, a interessarsi anche delle patologie legate alla calcolosi. «È una questione anche culturale» aggiunge Nicolai «perché non è plausibile che ci sia una così spinta specializzazione e che un urologo s’interessi solo di calcolosi». Il reparto fu fondato, come detto, da Andrea Zezza. In occasione della sua morte, così l'ha ricordato su “il Centro”, il collega e amico Nicolai: «Avevo 27 anni quando l’ho conosciuto. Lui ne aveva 36. È stato il mio maestro. Seguì il mio lavoro di tesi sulla calcolosi». Nicolai con Zezza condivise, dapprima da giovane allievo, una cooperazione comune: «Specialmente negli ultimi quattro anni abbiamo lavorato insieme nel Centro calcolosi urinaria della Asl di Lanciano Vasto Chieti, di cui Andrea era il responsabile. Sino a dare vita, più di tre anni fa, alla relativa unità operativa specifica, la prima in Abruzzo».

Domenica, 8 gennaio 2017 CHIETI

L’intervista Il piano di Genovesi che salva i bimbi malati di tumore di Titti Del Greco CHIETI L’associazione “Il Tratturo, una strada per la vita” a sostegno delle attività del reparto di Radioterapia oncologica dell’ospedale clinicizzato di Chieti. E anche la rassegna Teate Winter Festival si è mobilitata per raccogliere fondi e aiutare il reparto ma l’ultimo spettacolo in programma oggi al Supercinema è stato spostato a causa della neve e e sarà recuperato a breve. «Abbiamo accolto questa proposta con grande entusiasmo», dice il primario Domenico Genovesi, «soprattutto perché si punta alla creazione di una unità di Radioterapia a Chieti per i bambini affetti da cancro». Dottor Genovesi, in cosa consiste il Progetto Bimbo? «Il Progetto Bimbo, sostenuto dalla onlus Il Tratturo, si pone come obiettivo principale quello di offrire ai bambini meno fortunati, affetti da neoplasie solide, di non migrare fuori dalla nostra regione per effettuare le cure. Difatti, solo pochi centri e quasi tutti nel Nord Italia, sono attrezzati per una Radioterapia pediatrica». E a Chieti? «La Radioterapia oncologica è una disciplina cresciuta moltissimo negli ultimi vent’anni in termini di efficacia ma anche di complessità e il mondo dei bambini è caratterizzato da peculiarità molto delicate per possibili effetti collaterali che possono influenzare lo sviluppo del bambino e pertanto è necessaria una formazione altamente specialistica. Per questo, da circa un anno, un team del reparto di Radioterapia di Chieti frequenta, supportata dalla onlus, una settimana al mese l’unità di Radioterapia pediatrica dell’Istituto nazionale tumori di Milano, centro di eccellenza pediatrico e centro di riferimento nazionale e internazionale. Questa collaborazione, che proseguirà nei mesi a venire, ha portato a trattare i primi pazienti pediatrici a Chieti in collaborazione con l’Oncoematologia pediatrica di Pescara e la Clinica pediatrica di Chieti». Spesso i familiari dei pazienti devono sopportare anche il disagio di spostarsi per lunghi periodi lontano da casa: come siete organizzati a Chieti? «Una delle peculiarità del trattamento radioterapico è la durata continuativa nel tempo per un periodo medio di 5 settimane, tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Ciò costituisce il principale disagio per chi deve migrare fuori regione con inevitabili immaginabili ricadute per tutto il nucleo familiare. La onlus Il Tratturo si è mossa stipulando, con il contributo del sindaco Umberto Di Primio, del rettore dell’università di Chieti-Pescara Carmine Di Ilio e sotto la spinta inesauribile del presidente della onlus Mario Di Nisio, una convenzione con il Campus X, Student housing all’interno dell’ateneo in modo da consentire, laddove ce ne fosse bisogno per difficili distanze logistiche territoriali, ospitalità ai piccoli pazienti e ai loro familiari». Cosa significa “tumore solido”, dato che il progetto Bimbo si riferisce solo a questa forma tumorale? «Si tratta di masse tumorali compatte di tessuto che crescono differenziandosi dal tumore liquido o dei tessuti emolinfopoietici come le leucemie e i linfomi. I principali tumori solidi nei bambini sono rappresentati da tumori cerebrali come medulloblastoma, ependimoma e astrocitomi, tumori ossei come il sarcoma di Ewing e tumori dei tessuti molli come il rabdomiosarcoma». Qual è lo standard di mortalità e quale l’indice di riuscita della cura? «Se curati bene, in ambito multidisciplinare, i risultati sono molto buoni con un indice di sopravvivenza a 5 anni che va dal 65 all’82% in base soprattutto allo stato di avanzamento con cui si scoprono alla diagnosi. Sottolineo la necessità di un ambito multidisciplinare che coinvolge, oltre alla Radioterapia nell’ambito di protocolli di terapie combinate chemio-radioterapiche, l’Oncologia pediatrica, la Chirurgia pediatrica, la Neurochirurgia, la Diagnostica per immagini e tante altre discipline come ad esempio l’Anestesia fondamentale per la sedazione dei più piccini durante le sedute di radioterapia». Come direttore della Radioterapia oncologica, è soddisfatto dei risultati di questa iniziativa di solidarietà? «Esprimo a nome del reparto e della onlus i sentimenti più profondi di gratitudine perché abbiamo bisogno sia che la città di Chieti “senta” e faccia suo questo progetto particolarmente caratterizzante per i suoi connotati di eccellenza sia per la necessaria divulgazione sul territorio. A questo proposito, un ulteriore obiettivo della onlus è iniziare una capillare opera di diffusione sulla popolazione della nostra regione e soprattutto con i medici pediatri di base. C’è ancora molto da fare ma siamo a buon punto e siamo lusingati di tanta attenzione che manifestazioni popolari di questo tipo sono in grado di dare e ciò rappresenta un’ulteriore carica di entusiasmo e motivazione».

Domenica, 8 gennaio 2017 L’AQUILA

Mamma ha le doglie in casa, nascita guidata dagli operatori che danno istruzioni per telefono

Il “pilotaggio” dell’evento è stato necessario in quanto l’ambulanza, pur partita subito, non sarebbe stata in grado di arrivare in tempo utile per assistere la donna di Giampiero Giancarli wL’AQUILA Il travaglio, lo spavento e la paura di non farcela, ma poi arriva il lieto fine. Una festa dell’Epifania particolare per una famiglia aquilana e per gli operatori del 118, i quali, con la loro abilità e esperienza, hanno guidato a distanza la nascita di un bambino venuto alla luce improvvisamente durante la notte nella casa dove ora sventola il fiocco azzurro. Il tutto per la gioia del padre (che ha eseguito con freddezza le direttive dei medici) e della madre (che ora sta bene) nonostante lo stress. IL SOCCORSO. Il travaglio e le contrazioni ci sono state alle 2 del mattino del 6 gennaio e il padre del piccolo null’altro ha potuto fare se non avvertire gli addetti del 118, i quali si sono trovati a fronteggiare un’emergenza davvero inusuale. All’Aquila, a memoria d’uomo, un episodio del genere non era mai successo. Ma altrettanto inusuale è stato il ruolo del padre del piccolo Tommaso, che mettendo la parte ogni preoccupazione, si è improvvisato ostetrico con successo. Non poteva essere diversamente visto che la distanza tra il San Salvatore e l’abitazione della famiglia aquilana non permetteva all’ambulanza (pur partita immediatamente) di arrivare in tempo utile. I medici, per quanto possibile, hanno istruito il genitore a distanza e lui è riuscito con freddezza a compiere quei movimenti lenti, conosciuti solo in teoria perché appresi poco prima in diretta, che hanno reso radiosa una giornata che poteva avere anche altri esiti vista la singolarità dell’evento. Ma va anche detto che dare consigli medici a chi si trova a casa in difficoltà e non è subito raggiungibile è pane quotidiano per gli addetti del servizio del 118. Probabile che il giovane padre, adeguatamente catechizzato, abbia anche seguito la prassi per la quale il bambino appena nato viene fatto piangere con un buffetto, per espellere il muco e liberare le vie aeree permettendogli di respirare meglio e di entrare nella nuova realtà. Il resto lo hanno fatto la natura e il destino che non hanno frapposto altri intoppi oltre a quelli che erano stati brillantemente superati con tanta fatica. Non ultimo il fatto che la strada era lievemente ghiacciata e l’ambulanza non ha potuto sfrecciare a tutta velocità verso l’abitazione per comprensibili ragioni di prudenza. IN OSPEDALE. Una volta arrivati all’ospedale San Salvatore il neonato è stato trasferito al pronto soccorso pediatrico per gli accertamenti e per scongiurare qualsiasi patologia che sarebbe potuta insorgere data l’insolita modalità di venire al mondo. Accurati controlli sono stati fatti anche alla mamma e hanno dato risposte favorevoli. E il papà del piccolo ha avuto modo, per quanto possibile, di rilassarsi e godere di quel momento dopo quel’esperienza unica e, a dir poco, snervante. Attualmente la madre e il piccolo sono in ospedale da dove presto saranno dimessi per tornare in quella casa dove il piccolo è nato, proprio come accadeva tanti anni fa quando venire alla luce (ma con l’ostetrica) nella propria abitazione era prassi corrente. IL PADRE RASSICURA. «Intorno alle 2 di questa notte è arrivato Tommaso», ha scritto il padre su Facebook dopo il lieto evento. «Sfortunatamente il parto è stato un poco complicato, praticamente è uscito dentro casa, corsa in ambulanza tra ghiaccio e neve, adesso il piccolo è ricoverato in Neonatologia per accertamenti anche perché è arrivato con la temperatura corporea molto bassa. Speriamo bene, io sto morendo. È proprio vero che gli amici si vedono nel momento del bisogno e oggi ho scoperto di averne proprio tanti che anche con una semplice parola, un semplice simbolo mi sono stati vicino in un momento un po delicato. Vi ringrazio tutti dicendovi anche che mamma e figlio stanno bene, ancora grazie».

Venerdì, 6 gennaio 2017 TERAMO

Tra legge 104 e assenze per malattia è difficile organizzare i turni nei vari servizi ospedalieri

Asl, in permesso un dipendente su tre TERAMO La Asl è un luogo dove ci si ammala. Quello che sembra un'ovvietà in realtà non lo è se si considera che ad ammalarsi sono gli operatori sanitari e i loro parenti. Quanto accaduto in questi giorni è emblematico di quanto pesi la salute cagionevole sulla grave carenza di personale che affligge la Asl e che limita di molto l'operatività di interi settori. Su 8 infermieri assunti a tempo indeterminato attingendo a una graduatoria di mobilità da altre Asl il 1° gennaio ben tre non prenderanno servizio. Due infatti, dopo aver completato la pratica di trasferimento da altra Asl e firmato il relativo contratto hanno dichiarato di essere in stato interessante, e uno è in malattia e lascia intendere che prolungherà il certificato di altri 9 mesi. Nessuna delle due ha dichiarato prima dell'assunzione di essere incinta per cui i costi se li deve accollare la Asl di Teramo, in quanto nel pubblico l'Inps non interviene. Se l'avessero dichiarato se li sarebbe accollati l'amministrazione di provenienza. «In effetti tra permessi in base alla legge 104, certificati di inidoneità e prescrizioni varie, oltre a maternità e malattie di vario tipo gli infermieri assenti oppure esonerati dai turni superano il 30%», conferma Roberto Fagnano, direttore generale della Asl. Che fa notare anche come, fra gli infermieri assunti con contratto a tempo determinato o con contratti interinali tramite l'agenzia Etjca le percentuali delle assenze siano molto minori. Il problema in effetti è comune a tante altre Asl d'Abruzzo: lo stesso assessore regionale alla sanità Silvio Paolucci ha recentemente dichiarato che «quel 10% di ore di assenza al giorno negli ospedali pubblici è davvero troppo: il tasso di assenza per la legge 104 e per le prescrizioni è cinque volte che nel privato». Per ritornare alle percentuali della Asl di Teramo si può dire che tre-quattro infermieri su 10 usufruiscono di una delle diverse tipologie di assenze previste dalla legge. Basti pensare che solamente per la legge 104 sono circa 700 i dipendenti (su circa 3.300) che usufruiscono di permessi. In alcuni casi in gergo si parla di 208: infatti chi assiste due parenti disabili può prendersi il doppio di giorni di assenza. Il permesso può essere replicato se ci si occupa di altri parenti o affini fino al terzo grado invalidi. I vertici della Asl si trovano stretti in una morsa. Da una parte l'esorbitante numero di dipendenti che si assentano, dall'altra l'impossibilità a fare assunzioni a tempo determinato per sostituire il personale a tempo indeterminato che si assenta. La Asl ha superato il tetto di spesa per i contratti a tempo determinato e non può più farne. «Quando manca il personale che fa i turni la situazione diventa drammatica», spiega Fagnano, «per questo è un problema mantenere i servizi sulle 24 ore, che richiedono il triplo di personale, se va bene». Emblematico quanto accaduto in questi giorni con gli otto infermieri. A febbraio ne saranno assunti altri 12 e a marzo un'altra ventina. «Non sappiamo che cosa accadrà, speriamo bene», commenta laconico il direttore generale.(a.f.)

Venerdì, 6 gennaio 2017 VAL DI SANGRO

Atessa, il comitato civico per l’ospedale boccia i politici «Il Pd di Atessa, il Movimento per Atessa Unita e LiberAtessa sull'ospedale tacciano o facciano un mea culpa». Lo dice il comitato in difesa del territorio che sulla salvaguardia del San Camillo ha messo in atto diverse iniziative. «Da oggi» fanno sapere «dichiariamo chiuse le nostre attività sulla questione dell'ospedale atessano». Dallo scorso 31 dicembre il San Camillo non può essere più definito come tale essendo stato riconvertito in ospedale di Comunità con annesso Ppi, punto di primo intervento e attività residenziali e semiresidenziali per anziani non autosufficienti e malattie cronico degenerative. «Pd, Mau e LiberAtessa non hanno saputo difendere il nostro ospedale» afferma Debora Fioriti, portavoce del comitato «lo stato attuale è il risultato di un processo di spoliazione che si è avuto negli ultimi anni e che ha visto le forze politiche atessane incapaci di fermare questo processo». Il comitato spontaneo in più di due anni attività ha raccolto 7mila firme tra i cittadini, organizzato cinque manifestazioni a L'Aquila, Pescara e Atessa. «Noi abbiamo il diritto di parlare e rivolgiamo un appello alle tre forze politiche». Al Pd e al Movimento per Atessa Unita (che fa capo a Giulio Borrelli) il comitato chiede «di impegnarsi tramite il presidente della V Commissione Sanità e consigliere regionale, Mario Olivieri, i consiglieri regionali referenti e i dirigenti regionali dei partiti a presentare una legge regionale che possa riaprire l'ospedale di Atessa. Nello stesso tempo, si consiglia agli stessi di non presentare liste alle prossime elezioni amministrative di Atessa e avvisare circa il possibile boicottaggio delle prossime elezioni regionali, se non riapriranno il presidio ospedaliero atessano». A LiberAtessa, che fa capo al sindaco Nicola Cicchitti «di dimostrare il coraggio, che hanno avuto altri sindaci di Italia a cui hanno chiuso un ospedale, di dimettersi unitamente ai consiglieri comunali tutti per protesta. Il comitato spontaneo è disponibile a consegnare le firme raccolte e farsi rappresentare da chi compirà atti concreti in una delle direzioni richieste». (m.d.n.)

Lunedì, 9 gennaio 2017

Ospedale Pescara. Geriatria al collasso: situazione che si trascina da mesi

La causa è la mancanza di personale causato dal taglio delle spese

9 Gennaio 2017 alle 10:41 PESCARA. Le conseguenze dei tagli lineari per tentare di raggiungere il pareggio di bilancio cominciano a far sentire gli effetti nefasti di certe scelte. A parte il mancato raggiungimento dell’obiettivo finanziario (i debiti sono aumentati a dismisura nonostante l’uscita dal commissariamento), i tagli effettuati sui servizi non fanno che generare disservizi e problemi all’utenza. In una parola viene meno il diritto alle cure effettuate in condizioni di emergenza continua e disagi per il personale costretto a turni massacranti e ad una mole di lavoro che di per sè non può garantire il massimo del risultato. Accade soprattutto all’ospedale di Pescara, l’ospedale che raccoglie ora anche le utenze degli altri nosocomi del circondario falcidiati dai tagli. Reparti particolarmente a rischio sovraffollamento sono quelli di neonatologia per effetto dei punti nascita tagliati e geriatria che deve raccogliere anche i pazienti in arrivo da tutta la val Pescara da Popoli in giù. Da alcuni giorni, per esempio, nel reparto di geriatria ci sono due sole infermiere in servizio, con una sola Operatrice socio-sanitaria e un solo medico, quest’ultimo costretto a coprire tre reparti, con decine di letti nei corridoi. La segnalazione è arrivata alla Associazione ‘Pescara – Mi piace’ dai familiari di alcuni ricoverati che sono esterrefatti per le condizioni in cui il personale tutto, seppur in maniera esemplare, è comunque costretto a lavorare. Nei prossimi giorni l’associazione informa che organizzerà una visita nella struttura, anche per capire se l’emergenza sia determinata effettivamente solo dalla straordinarietà del periodo, visto che molti sostengono che in realtà l’emergenza sia diventata anch’essa routine. «Le prime segnalazioni ci erano arrivate già lo scorso 31 dicembre – ha ricordato Foschi -, quando alcuni cittadini, che si erano ritrovati con un padre o un nonno ricoverato in Geriatria, hanno denunciato il sovraffollamento della struttura, con pazienti, affetti anche da bronchiti o polmoniti, costretti per giorni interi nei corridoi per l’assenza di un letto, dunque chiaramente una situazione di fortuna intollerabile per chi sta male e si ritrova esposto a correnti e batteri. Abbiamo pensato che forse, la data del Capodanno, unitamente al primo picco dell’epidemia influenzale, potesse aver determinato una situazione di straordinaria emergenza e abbiamo atteso, sperando che tornasse la calma. Oggi però la situazione, se possibile, sembra addirittura peggiorata: quando molti familiari si sono recati nel reparto di Geriatria sud, al sesto piano dell’ospedale civile, per far visita ai propri congiunti malati, hanno trovato una condizione di precarietà insostenibile. Nel turno 7-14 le infermiere in servizio erano solamente due per un reparto saturo sino al soffitto, con letti raddoppiati nelle camerate e barelle di fortuna parcheggiate lungo i corridoi, dove a garantire la dignità minima dei ricoverati sono solo dei divisori mobili. Peggio ancora per il servizio non-sanitario: una sola la unità Oss, Operatrice socio-assistenziale, addetta all’intero reparto, ovvero al cambio lenzuola e al cambio igienico di tutti gli anziani allettati, operazione iniziata alle 7 e dopo quattro ore la povera lavoratrice non era neanche riuscita a terminare il passaggio in tutte le camere, che già alcuni pazienti avevano bisogno del secondo cambio, al quale, ovviamente, hanno fatto fronte i parenti dei ricoverati, facendosi dare pannoloni e materiale per la prima igiene». Per l’epifania poi un solo medico ha dovuto coprire tutte e tre le sezioni di geriatria. Protestano anche i consiglieri di centrodestra di Popoli, Mario Lattanzio e Vanessa Combattelli per i disagi derivanti dal taglio dei reparti del locale nosocomio. «L'emergenza neve», ha detto la giovane Combattelli, «di questi giorni ci ricorda l'importanza di avere un presidio ospedaliero nel territorio, per un cittadino della alta Val Pescara e della Valle Peligna l'Ospedale di Popoli rappresenta tutt'ora un punto di riferimento per far fronte a qualsiasi emergenza che richiede un intervento rapido. Nessun politico (come il Presidente D'Alfonso) sembra comprendere l'importanza che possa avere per i nostri cittadini, io e il consigliere Mario Lattanzio abbiamo più volte ribadito il problema denunciando questa assurda negligenza. E' inaccettabile che si faccia finta di nulla senza badare alle vere necessità degli abitanti di questo territorio, ciò che sta accadendo nelle ultime ore ha portato la città di Pescara nel caos, come può un qualsiasi cittadino (appartenente al bacino di utenze dell'Ospedale di Popoli) in caso di grave emergenza arrivare in un tempo rapido all'Ospedale di Pescara? In caso di grave emergenza, è essenziale che ci sia un intervento rapido, nelle condizioni attuali, ad esempio, risulterebbe impossibile. La nostra guerra continua, noi sosteniamo che l'Ospedale di Popoli non debba essere oppresso, la sua chiusura determinerebbe la morte di un territorio già troppe volte umiliato e mortificato».

Venerdì, 6 gennaio 2017 LANCIANO

L’azienda Tua svela il nuovo progetto che sfrutta il tracciato del treno Sangritana, già pronti i primi fondi per realizzarlo Ecco il tram che attraverserà Lanciano di Daria De Laurentiis wLANCIANO È pronta a salire sul tram la città dei miracoli, del commercio e delle fiere. Merito di un progetto, in cantiere dal 2012, che punta a ripristinare il «binario della storia», ovvero il tracciato del treno Sangritana che taglia la città a metà. Tutto è partito da un semplice calcolo: costa di più dismettere l'intera linea ferroviaria che posare su quelle rotaie un tram. Inizialmente, si parlava di tram-treno, una sorta di serpentone di ferro e rotaie che avrebbe coperto 21 chilometri tra , Lanciano, San Vito, e . Il progetto è stato però rimodulato e calato alla sola realtà di Lanciano, sia per ottimizzazione dei costi che per efficienza della linea, dati i flussi di passeggeri, le opere da completare e le fermate da predisporre. Il tratto da percorrere, dal quartiere Santa Rita a quello di Marcianese, esattamente alle due periferie estreme della città, conta un totale di 5,26 chilometri. A studiare la fattibilità dell’idea è la società unica dei trasporti regionali Tua che è già pronta al grande salto. C'è uno studio preliminare e si è già riusciti a firmare un contratto applicativo del valore di 3 milioni di euro sfruttando un accordo quadro con la Salcef, società leader nel campo delle costruzioni ferroviarie. I soldi, che arrivano da un accordo di programma Stato-Regione, sono già disponibili. La collaborazione con la Salcef prevede la redazione di un progetto esecutivo e la realizzazione dell'opera che potrebbe essere portata a termine nel giro di massimo due anni con interventi ai sottosistemi, di armamento e trazione elettrica del convoglio. Il modello del tram è ancora da definire, ma si tratterà sicuramente di un tram leggero, del genere che si usa ad esempio nelle grandi città europee, che prevede una conduzione a vista e che quindi permetterebbe di gestire gli incroci senza particolari dispositivi come i passaggi a livello che comporterebbero l'interruzione del traffico cittadino. È questa una delle caratteristiche principali del nuovo mezzo di trasporto: non si creano disagi al traffico. «Abbiamo ipotizzato un programma di servizio di due tram che si incrociano a cadenza di circa un quarto d'ora», spiega l'ingegnere Gianni Di Vito, consigliere delegato alla ferrovia del cda di Tua, «ma di certo va concordato con il Comune di Lanciano l'intero piano della mobilità cittadina, tenendo conto ad esempio del trasporto urbano su gomma e delle piste ciclabili esistenti. Noi facciamo la spina dorsale sfruttando un’infrastruttura esistente che è la linea ferroviaria, per creare un percorso di scorrimento veloce in città. Il Comune può decidere il resto dello scheletro». «L'effetto del tram leggero in città è moltiplicatore», afferma l'ingegnere di Tua, Florindo Fedele, «perché può completare l'offerta su gomma, evitando di sovraccaricare di smog il centro, ma allo stesso tempo fornendo un servizio che tocca i maggiori punti di interesse cittadini». Tra questi ci sono l'ospedale Renzetti, i centri commerciali, il centro città, lo stadio Biondi, il quartiere Santa Rita (che da solo conterebbe 4 fermate), la stazione ferroviaria di via Bergamo e, non ultime, le scuole con un bacino di utenza potenziale di quasi 4.300 studenti degli istituti superiori.

Domenica, 8 gennaio 2017 REGIONE

Nomine in Regione Cantone boccia il presidente di Tua L’Autorità Anticorruzione: Luciano D’Amico incompatibile con l’incarico. Il rettore: lavoro gratis per spirito di servizio di Ilaria Proietti wPESCARA Quando si dice un inizio d'anno col botto. Il rettore dell'Università di Teramo, Luciano D'Amico ha avuto una brutta sorpresa di compleanno. Non ha fatto in tempo a spegnere le candeline che l'Anac di Raffaele Cantone, il 4 gennaio, gli ha notificato un atto che nulla lascia all'immaginazione: il suo incarico alla presidenza della Società unica abruzzese di trasporto pubblico (Tua Spa) è incompatibile con il suo ruolo in Ateneo. E ora rischia addirittura di perdere il posto all'Università dove è professore di Economia aziendale, sempre che il ministero non prenda posizione in suo favore. Ma l’interessato è tranquillo. Cosa è infatti accaduto? Che qualcuno ha presentato un esposto lo scorso febbraio all’Autorità anticorruzione per denunciare il doppio incarico ricoperto da D'Amico che è professore a tempo pieno e anche presidente dell'azienda dei trasporti regionale fin dal 2014 quando ancora si chiamava Arpa Spa. «Sono sereno: ho rinunciato ad ogni compenso previsto per la presidenza della Tua. E non ho voluto neppure i rimborsi spese. Quindi è incontrovertibile che io abbia accettato questo incarico, che mi è stato offerto dal presidente della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso, per mero spirito di servizio: serviva risanare l'azienda pubblica, che era in estrema difficoltà, e ho dato la mia disponibilità. Del resto come è noto insegno economia aziendale, mica chimica. In quel caso potrei anche capire...», dice al Centro il rettore di Teramo D'Amico. Che ora è in attesa che sul caso si pronunci il Miur. Perché adesso il responsabile anticorruzione dell'ateneo abruzzese dovrà mettersi in contatto con Roma. Aggiunge D’Amico: «Spero bene che il ministero vorrà ascoltarmi. Dirò esattamente le stesse cose che avrei detto a Cantone se avessi saputo che i suoi uffici stavano lavorando da mesi al mio caso: e cioè che l'azienda in questione è una società in house e in quanto tale è una diramazione dell'amministrazione regionale. E che se pure ha una veste giuridica di natura privatistica non ha scopo di lucro. E poi aggiungerò anche che non lo faccio per soldo visto che ho rinunciato ai 60 mila euro più rimborsi che mi sarebbero spettati in quanto presidente dell'azienda». Tanto basta, a detta del rettore dell’università di Teramo,per smontare le accuse contenute nella denuncia su cui si è pronunciata l'Anac. Che richiamando la normativa che disciplina il regime delle incompatibilità degli incarichi (e cioè una legge del 1980 e la più recente legge Giannini) ha stabilito che l'incarico era inconferibile fin dal principio per divieto assoluto dei professori all'esercizio del commercio, dell'industria e di alcun'altra professione, sempre che non si mettano in aspettativa. Accettare la carica di presidente di società a partecipazione pubblica è infatti contrario e pregiudizievole al perseguimento dell'interesse pubblico espresso dalla programmazione didattica e dall'attività di docenza universitaria. La sanzione prevista per i casi di violazione delle previsioni è la diffida che di per sé è un fatto già stigmatizzante per un cattedratico. Ma non è tutto. Perché nel caso in cui venisse ignorata, dopo la diffida è prevista addirittura la decadenza dal ruolo di professore. E sarebbe davvero una situazione paradossale. Perché ad autorizzare D'Amico è stato lo stesso Ateneo. Circostanza irrilevante per gli uffici di Cantone: in presenza di un divieto assoluto, infatti quella autorizzazione non vale. Ma c'è di più perché siccome sarebbero state violati i doveri di servizio previsto a carico del docente sarebbe pure configurabile un inadempimento nei confronti dell'Amministrazione, con conseguente danno rapportabile alla retribuzione percepita. Sul caso D'Amico insomma non dovrà pronunciarsi solo il ministero dell'Università (guidato da Valeria Fedeli) e il collegio di disciplina dell'Ateneo per gli eventuali risvolti disciplinari. Ma pure la Corte dei Conti. «Sono fiducioso: i magistrati contabili hanno già archiviato il caso appena qualche mese fa. E poi quanto al danno che avrei arrecato non vorrei insistere: ho già detto che ho rinunciato a qualunque forma di retribuzione. E che la società è pubblica e non ha scopi di lucro: sono convinto dunque che il ministero non mi manderà alcuna diffida. E anche che il parere dell'Anac sarebbe stato diverso se le questioni fossero state prospettate in un maniera corretta. Quel che mi colpisce, semmai», conclude D’Amico, «è l'animosità nei miei confronti di chi si è fatto carico di questa segnalazione a Cantone. Non temo questi accertamenti che spero si possano compiere al più presto: massima trasparenza, non ho proprio nulla da nascondere».

Lunedì, 9 gennaio 2017 VASTO

San Salvo verso il voto Magnacca tenta il bis. Argirò resta l’incognita

Già partita la corsa a sindaco. Il centrosinistra punta alla coalizione allargata lascia il Pd: «Chi ha votato no al referendum, deve andare via» La sorpresa Menna L’ex assessore della giunta Marchese vuole tornare in campo dopo una pausa di sette anni e mezzo: la politica è una passione di Anna Bontempo Due candidature certe e tante incognite. È partita con largo anticipo la corsa allo scranno più alto di Palazzo di città occupato dal 2012 da Tiziana Magnacca, esponente del centrodestra che con il 58,60% dei consensi riuscì a conquistare l’ex roccaforte rossa sbaragliando Domenico Di Stefano, il candidato sindaco di San Salvo democratica. In vista dell’importante appuntamento si intensificano gli incontri e le “prove di dialogo” nel centrosinistra, le cui laceranti divisioni decretarono la sconfitta della coalizione alle amministrative di 5 anni fa. MAGNACCA TENTA IL BIS. Forte del consenso popolare e convinta di aver bene operato insieme alla sua giunta, la sindaca ha deciso di tentare il bis. Ha ufficializzato la sua ricandidatura poco prima della fine dell'anno, a margine della tradizionale conferenza stampa. «Ci avviamo con serenità alle elezioni», aveva detto in quella occasione, «la città quattro anni fa si è dimostrata matura eleggendo un sindaco donna e giovane. Non credo si farà abbindolare dagli incantatori di serpenti». L’OUTSIDER MENNA. Un mese e mezzo prima del fatidico annuncio era stato Osvaldo Menna, 65 anni, commerciante, già assessore comunale nella giunta dell’ex sindaco Gabriele Marchese, a bruciare tutti sui tempi facendo tappezzare la città con i suoi manifesti. A sostenere la sua candidatura sono due liste civiche: San Salvo lavora e San Salvo évviva. «La mia grande passione è la politica», spiega Menna, «la vivo intensamente, anche se la mia esperienza diretta si limita a sette anni e mezzo di amministrazione comunale e provinciale». INCOGNITA ARGIRÒ. Fin qui le candidature certe, ma tante sono le incognite, soprattutto nel centrosinistra che, dopo la bruciante sconfitta del 2012, sta tentando non solo di riunire la coalizione, ma di allargarla anche ad altre forze politiche cercando di far leva sugli scontenti del centrodestra. È il caso di Nicola Argirò, ex assessore provinciale ed ex consigliere regionale nelle file di Forza Italia. Da mesi l’esponente politico ha preso le distanze dalla maggioranza di centrodestra, da cui si è dissociato in più di una occasione votando in aula in maniera diversa dalla compagine. Sembra che Argirò voglia dare vita ad una lista civica di centro che potrebbe trovare ospitalità nello schieramento opposto, quello guidato dal Pd. PROVE DI DIALOGO NEL PD. Ed è proprio nella coalizione di centrosinistra che si gioca la partita più importante, dopo la debacle del 2012 determinata soprattutto dalle divisioni interne. «Vogliamo dare vita ad un nuovo centrosinistra allargato anche a forze politiche di centro», spiega Gennaro Luciano, segretario cittadino del Partito democratico, «ci sono già stati diversi incontri e se tutto andrà per il verso giusto dovremmo trovare la quadra tra una ventina di giorni. Se non ci riusciremo, vorrà dire che riconsegneremo il Comune a Tiziana Magnacca. Io spero che vengano messi da parte i personalismi e si possa ripartire con una coalizione il più possibile ampia ed allargata. Se faremo le primarie per la scelta del candidato sindaco? Io preferirei di no, mi piacerebbe subito puntare su un candidato unitario per lanciare un importante segnale alla città, ma se non sarà possibile non porremo veti», chiosa Luciano, «la nostra unica condizione è che chi si candida alle primarie e perde dovrà essere presente in lista. Non deve succedere quello che è accaduto a Vasto». DIMISSIONI MONTEFERRANTE. Il Pd perde un esponente storico. Agostino Monteferrante, fondatore del Comitato San Salvo Adesso (che riunisce i renziani) e membro dell’assemblea nazionale, ha lasciato il partito di cui è stato anche segretario cittadino. «Ho riconsegnato la tessera subito dopo il referendum del 4 dicembre», si limita a dire, «sono dell’avviso che, se si vota no, non si può restare nel partito». Monteferrante ha ricoperto l’incarico di assessore comunale nella giunta dell’ex sindaco Marchese. Lunedì, 9 gennaio 2017 ATTUALITA’

La previdenza E’ corsa alle nuove pensioni. Patronati sotto pressione

Anticipo, usuranti, opzione donna. Non è facile orientarsi tra le norme della Legge di Bilancio E chi ha già l’assegno corre il rischio di restituire da febbraio lo 0,1% di inflazione programmata Il governo ha introdotto o rinnovato misure studiate per rendere più flessibile l’uscita dal lavoro anticipando i limiti della Fornero

MILANO Tanti italiani pensano che i contributi versati non basteranno a rendere la propria pensione serena e per questi molti (il 26%) pensano di trasferirsi all’estero, soprattutto in Spagna. O ha rilevato il Monitor Allianz Global Assistance, attraverso una ricerca condotta in collaborazione con l’istituto di ricerca Nextplora. Un italiano su tre, nella fascia d’età tra 25 e 64 anni, associa infatti il proprio periodo post lavorativo ad un momento in cui dovrà affrontare delle difficoltà economiche: è significativo come questa diffusa percezione negativa si riduca poi notevolmente tra gli intervistati con oltre 65 anni (solo il 16%). Ed è anche per questo che 26% delle persone tra i 25 e i 64 anni lascerebbe l’Italia, per vivere la pensione in un Paese straniero. Anche in questo caso, la media è il risultato di dati che variano molto tra le fasce d’età: il 27% tra i 25-34 anni, il 24% tra 35-44 anni, il 32% tra i 45-54 anni, per scendere poi al 18% tra i 55-64 anni. Lo stacco generazionale diventa nuovamente importante con gli over 65enni, tra i quali solo il 12% pensa di trasferirsi fuori dall’Italia. Le motivazioni di questa scelta sarebbero innanzitutto economiche: il 58% si trasferirebbe in un Paese con un costo della vita inferiore e il 26% andrebbe in cerca di una meta dove il sistema di tassazione è meno oppressivo rispetto all’Italia. L’insoddisfazione degli italiani coinvolge anche la sfera dei servizi offerti al cittadino, tra cui sanità e trasporti, visto che ben il 21% vorrebbe andarsene laddove i pensionati vengono supportati maggiormente e con servizi migliori. Vi sono poi anche motivazioni personali: ben il 23% gradirebbe un clima migliore e il 19% vorrebbe fare un’esperienza nuova nella propria vita. In questi casi, la Spagna risulta essere la meta più ambita (27%), seguita dall’Est Europa che riscontra il 18% delle preferenze e dai Caraibi con il 15%. Proprio i viaggi risultano essere in cima ai pensieri da futuri pensionati: il 40% nella fascia 25-64 anni dichiara di voler approfittare della pensione per scoprire e conoscere il mondo, viaggiando in sicurezza grazie ad un’assicurazione nel 58% dei casi. Questa propensione al viaggio cala al 27% tra gli over 65, mentre rimane pressochè immutata la percentuale di coloro che stipulerebbero una polizza (57%).PESCARA Anticipo di Pensione, opzione donna, quattordicesima, usuranti, cumulo: sono tante le novità sulle pensioni contenute nella legge di Bilancio 2017 varato dal governo. Interventi impegnativi da affrontare per chi deve decidere se restare o no al lavoro. Per questo dall’inizio dell’anno negli uffici dei patronati sono amentate le richieste di chiarimento. E il 30 gennaio prossimo, a Pescara - la sede è ancora da stabilire - Cgil, Cisl e Uil terrano un incontro pubblico in cui verranno illustrate le principali novità della nuova previdenza. Spiega Roberto Campo, segretario regionale della Uil: «Dapprima sono stati gli esodati a chiedere spiegazioni, preoccupati dell’eventualità che non venisse portata a termine la sanatoria, poi invece approvata dalla legge di Stabilità. Per quanto riguarda invece l’Ape social», continua Campo, riferendosi alla possibilità dell’anticipo pensionistico riservato alle persone in difficoltà, come disoccupati senza ammortizzatori sociali, disabili, lavoratori con disabili a carico e persone che svolgono delle attività gravose, «come prospettiva la si sta cominciando a valutare adesso. Al momento, però, non tutti ne sono consapevoli. Comunque», precisa il sindacalista, «possiamo dire che su queste novità ci sarà molta attenzione, quest’anno, perché avremo un indebolimento degli ammortizzatori storici, come la cassa integrazione in deroga, ridotta ai minimi termini. Quindi, il grande problema che si apre è se il governo, su quest’aspetto, vorrà inserire delle deroghe anche per le aree di crisi semplici, così come già previsto per le aree di crisi complesse». Anche nella Cgil è aumentato il lavoro allo sportello: «Da noi», dice il segretario regionale Carmine Ranieri, «tante domande stanno arrivando da quelli che svolgono lavori usuranti e dai lavoratori precoci.Soprattutto gli edìli che lavorano nei cantieri e che dovrebbero avere la possibilità di uscire a 60 anni, un’età nella quale non è possibile più lavorare in condizioni così difficili». Le domande, al sindacato, tuttavia arrivano su diversi aspetti della riforma. «Ci chiedono», prosegue Ranieri, «delle possibilità inerenti alle ricongiunzioni gratuite, visto che prima bisognava pagare per unificare i contributi versati in diverse casse previdenziali. Inoltre chiarificazioni ci giungono, tra le altre, per conoscere le novità sulle pensioni basse e sulle esenzioni relative a chi percepisce fino a 8.125 euro annui». Tra chi è già in pensione C’è invece il tema legato alla restituzione allo Stato da febbraio dello 0,1% dell'importo ricevuto nel 2015. Ovvero la differenza tra l'inflazione programmata e quella effettiva su cui è stato calcolato l'adeguamento al costo della vita delle pensioni. La norma non c’è ma esiste il rischio che venga emanata, secondo lo Spi, il sindacato pensionati della Cgil. Infatti nel decreto Milleproroghe di fine anno, fa notare lo Spo, non c’è stato l'intervento con cui si doveva risolvere la questione. In questo modo tutte le pensioni avranno una perdita di valore. Nel caso di una pensione al minimo la perdita sarà di 6,50 euro all'anno e di 13 euro per una da 1.000 euro. «Cifre» precisa il sindacato, «che possono sembrare di poco conto ma che incidono in particolare sulle pensioni basse». Lo scorso anno il governo intervenne rimandando questa restituzione a quando l'economia fosse effettivamente in ripresa neutralizzandone così gli effetti negativi. Anche quest'anno il governo si era reso disponibile ad intraprendere la stessa strada ma per ora non lo ha fatto. Vito De Luca

Guida facile alle principali novità

A riposo 3 anni e 7 mesi prima Anticipo con mutuo taglio fino al 20% La cosiddetta Ape, l’anticipo di pensione con garanzia finanziaria, decorrerà dal 1° maggio 2017 in via sperimentale fino al 31 dicembre 2018. Si tratta di un prestito corrisposto a quote mensili per 12 mensilità fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia. La restituzione avviene a partire dalla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, con rate mensili per 20 anni. Il prestito è coperto da una polizza assicurativa, per cui se il pensionato mure prima dei 20 anni, gli eredi non devono pagare la somma restante. Ha diritto a richiedere l’Ape chi ha almeno 63 anni; chi matura il diritto a una pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi, purché abbia minimo 20 anni di contributi; i soggetti la cui pensione, al netto della rata di ammortamento dell’Ape, sia pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo previsto nell’assicurazione generale obbligatoria. La durata minima dell’Ape è di sei mesi, cioè non si può richiedere se si è a meno d sei mesi dalla pensione reale. Non può ottenere l’Ape chi è già titolare di un trattamento pensionistico diretto. Nella domanda il soggetto indica il finanziatore cui richiedere l’Ape e la compagnia assicurativa per la copertura del rischio di premorienza. I finanziatori e le imprese assicurative sono scelti tra quelli che aderiscono agli accordi-quadro da stipularsi, a seguito dell’entrata in vigore di un successivo decreto. Il prestto parte entro 30 giorni dal contratto di finanziamento. L’Inps trattiene, a partire dalla prima pensione mensile, l’importo della rata per il rimborso del finanziamento e lo riversa all’istituto. Conviene l’Ape? Il costo in corrispondenza del massimo anticipo (cioè chi anticipa di 3 anni e 7 mesi) potrà raggiungere circa il 20% della pensione. Quindi è essenziale farsi qualche calcolo.

Soggetti deboli e disoccupati Con Ape social assegno senza costi L’Ape sociale parte in via sperimentale dal 1 maggio fino al 31 dicembre 2018. E’ a favore di soggetti in determinate condizioni: disoccupati per licenziamento (anche collettivo dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale che abbianoconcluso la prestazioneper la disoccupazione da almeno 3 mesi e almeno 30 anni di contributi); che assistono da almeno 6 mesi coniuge o parente di primo grado convivente con handicap grave (con almeno 30 anni di contributi); che hanno una riduzione della capacità lavorativa almeno del 74% (con almeno 30 anni di contributi); dipendenti che svolgono attività lavorative «gravose» da almeno 6 anni (occorrono almeno 36 anni di contributi). L’indennità è pari alla rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione e non può superare i 1.500 euro mensili. Il beneficiario dell’Ape sociale decade dal diritto nel caso raggiunga i requisiti per il pensionamento anticipato. L’indennità è compatibile Per i lavoratori pubblici e per il personale degli enti pubblici di ricerca, che cessano l’attività lavorativa e richiedono l’Ape sociale, i termini di pagamento delle indennità di fine servizio decorrono al compimento dell’età prevista ai sensi della riforma Fornero delle pensioni. L’Ape social non avrà alcun riflesso sull'importo pensionistico futuro in quanto l'operazione sarà a totale carico dello stato (e non del lavoratore come accadrà con l'Ape volontario). L’indennità non sarà compatibile con i trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria (si pensi, in particolare alla Naspi), nè con l'Asdi, nonchè dell'indennizzo per la cessazione dell'attività commerciale. L'indennità potrà essere cumulata con redditi da lavoro dipendente o parasubordinato nei limiti di 8.000 euro annui (4.800 per gli autonomi). con 41 anni di contribuzione Precoci a riposo senza limite di età Dal 1° maggio alcune particolari categorie di lavoratori precoci (quelli che hanno cominciato a versare prima dei 18 anni) potranno accedere alla pensione anticipata con 41 anni di contribuzione (2132 settimane contributive) a prescindere dall'età anagrafica. Ne potranno fare parte i lavoratori dipendenti, anche del pubblico impiego, i lavoratori iscritti alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995, che hanno almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il raggiungimento del diciannovesimo anno di età e che si riconoscono in uno dei seguenti profili: sono disoccupati per cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di conciliazione obbligatoria, hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi; assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità; hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento; sono lavoratori dipendenti compresi nelle professioni che svolgono, al momento del pensionamento, da almeno sei anni in via continuativa attività lavorative usuranti per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo. Le condizioni devono essere rispettate entrambe e quindi, ciò significa che chi è stato impiegato in attività gravosa, usurante, risulta disoccupato, invalido o assista il familiare disabile ma non ha svolto almeno 12 mesi di attività lavorativa prima del 19° anno di età resta tagliato fuori da beneficio allargata la platea dei destinatari Quattordicesima più alta del 30% Viene aumentato del 30% l’importo della quattordicesima mensilità pensionistica per chi già la riceve, inoltre gli importi standard, che variano da 336 a 504 euro in base all’anzianità contributiva vengono pagati anche a chi ha un reddito superiore a 1,5 volte il trattamento minimo pensionistico e non superiore a due volte, si tratta di circa 1,2 milioni di persone. Nello specifico coloro che possono vantare un reddito inferiore a 9.786,86 euro lordi (1,5 volte il trattamento minimo Inps) cioè una pensione non superiore a circa 750 euro al mese otterranno un incremento del bonus di circa il 30% rispetto alle somme corrisposte sino allo scorso anno: si passerà rispettivamente a 437 euro dai 336 attuali per chi può vantare fino a 15 anni di contributi (18 anni gli autonomi); a 546 euro dai 420 euro attuali per i lavoratori che vantano da 15 a 25 anni di contribuzione (da 18 anni a 28 anni gli autonomi) e a 655 euro dagli attuali 504 euro per i lavoratori con più di 25 anni di contribuzione (più di 28 anni gli autonomi). Con l’ultima legge di Stabilità è stata innalzata la soglia di reddito che consente di non pagare l’Irpef. Per i pensionati di età inferiore a 75 anni la soglia è salita a 7.750 euro annui (fino allo scorso anno era di 7.500). La detrazione è passata da 1.725 a 1.783 euro e, in ogni caso, non può essere inferiore a 690 euro. Nel caso di pensionati di età pari o superiore a 75 anni la soglia è salita da 7.750 a 8.000 euro mentre la detrazione è passata da 1.783 a 1.880 con un minimo di 713 euro. L’innalzamento della soglia per la quattordicesima potrebbe far venire meno anche le addizionali regionali e comunali considerato che queste non sono dovute se non è dovuta l’imposta principale. Domenica, 8 gennaio 2017 PRIMO PIANO

` Pensioni, via alla svolta ma non per tutti Operative le novità della legge di bilancio su no tax area e tutela degli esodati, per altre bisognerà attendere maggio. `Nel caso dell’Ape un decreto di Palazzo Chigi dovrà sciogliere i nodi su tassi d’interesse, polizze assicurative, importi e platee

OMA Molte novità, solo in parte operative da subito, e alcuni nodi che il governo dovrà sciogliere nelle prossime settimane: per la previdenza la legge di bilancio entrata in vigore all’inizio dell’anno rappresenta con tutta probabilità la più significativa revisione delle regole dopo la riforma Fornero. Se è vero che l’impianto di quel provvedimento non viene smantellato dalle nuove norme, è anche evidente che le deroghe inserite sono particolarmente significative sia per il loro numero sia per il fatto che non guardano più solo al passato per correggere effetti eccessivi della legge del 2011 ma puntano a costruire forme di flessibilità strutturali, pur se limitate, per una serie di categorie. GLI STRUMENTI Lo strumento di cui si è più parlato è naturalmente proprio l’Ape, l’anticipo pensionistico che dovrebbe debuttare da maggio nella sua duplice veste di prestito per coloro che desiderano anticipare il momento dell’uscita del lavoro e di indennità (fino a un massimo di 1.500 euro mensili) per particolari categorie (disoccupati senza più diritto ad ammortizzatori, disabili con invalidità pari ad almeno il 74 per cento, lavoratori che assistono il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave). L’impianto di massima dei nuovi strumenti, a cui si aggiunge poi anche uno specifico Ape da attuare in caso di accordi aziendali, è stato definito nella legge di bilancio sulla base degli accordi raggiunti con i sindacati ma molti aspetti critici, dall’importo minimo e massimo dell’Ape volontaria alla definizione definitiva delle platee coinvolte in quella sociale devono essere definite con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) che dovrebbe vedere la luce entro il prossimo 2 marzo. Subito dopo dovranno essere conclusi gli accordi‐quadro con il settore bancario e assicurativo, interessati in quanto rispettivamente per l’erogazione del presto e la sottoscrizione della polizza che scatterà nel caso in cui il pensionato muoia prima di aver restituito, in 20 anni, il prestito: tassi di interesse e premi assicurativi sono aspetti altrettanto delicati. Gli interessati all’Ape dunque dovranno attendere un altro po’, ma nelle prossime settimane dovrebbero partire le prime iniziative informative. Coincide con la platea dell’Ape sociale quella degli interessati ad un’altra novità, la riduzione a 41 anni di anzianità del requisito per l’uscita anticipata a vantaggio di chi ha iniziato a lavorare presto (precoci): anche in questo caso occorrerà attendere maggio per l’operatività. Devono invece presentare la propria domanda tassativamente entro il prossimo primo marzo (l’Inps ha già aggiornato le proprie procedure) i potenziali coinvolti nell’ottava salvaguardia dei cosiddetti esodati, coloro che hanno dovuto rinviare la pensione per effetto della riforma Fornero: il nuovo (e almeno nelle intenzioni ultimo) lasciapassare per uscire con le regole ante‐2012 riguarderà un massimo di 27 mila persone, in larga parte lavoratori collocati in mobilità o che hanno scelto di versare contributi volontari dopo l’interruzione del rapporto di lavoro. Potranno presentare la propria domanda di pensione anche le lavoratrici dipendenti ed autonome “ripescate” per l’uscita con il contributivo pieno: sono essenzialmente quelle nate tra ottobre e dicembre del 1958 (o del 1957 se autonome) che hanno maturato entro fine 2015 i 35 anni di anzianità: per loro però la pensione scatterà effettivamente tra giugno e agosto (dipendenti) e tra dicembre e febbraio 2018 (autonome) per effetto del vecchio regime delle “finestre”. LA RIDUZIONE IRPEF È immediatamente utilizzabile ‐ anche se sul tema è atteso un decreto ministeriale ‐ una delle novità a favore dei soggetti impegnati in lavori usuranti così come definiti dal decreto legislativo 67 del 2011 (notturni, addetti alla “catena”, conducenti di veicoli pesanti, categorie comunque diverse da quelle delineate per l’Ape sociale): queste persone, che maturano la pensione con le regole ante‐Fornero (quota 97) non dovranno più attendere proprio le “finestre”, che comportavano un’attesa di dodici mesi. Sono operative anche le novità della legge di bilancio che riguardano coloro che già sono in pensione: dalla riduzione dell’Irpef per chi ha meno di 75 anni, all’incremento della quattordicesima, che però verrà pagata a luglio. Luca Cifoni

Ape / Anticipo “sociale” con limiti di spesa

La complessa normativa dell’Ape (anticipo pensionistico) si rivolge sia a coloro che a partire dai 63 anni di età desiderano volontariamente anticipare l’uscita (ai quali sarà riconosciuto un trattamento anticipato sotto forma di prestito la cui restituzione andrà poi a ridurre la pensione definitiva) sia coloro che si trovano in una situazione di bisogno, che percepiranno invece come Ape sociale ‐ per lo stesso periodo provvisorio ‐ un’indennità fino ad un massimo di 1.500 euro mensili. In questo secondo caso però l’erogazione è prevista nei limiti di determinati importi di spesa annuale: di conseguenza le domande saranno monitorate e in caso di necessità il beneficio sarà riconosciuto con criteri di priorità, dunque non a tutti.

Usuranti / Per i lavori pesanti niente più “finestre” La nozione di “lavori usuranti” era stata definita nel 2011, ancora prima della legge Fornero: la riforma ha poi stabilito che gli interessati (essenzialmente quelli impegnati in attività comeminiere e fonderie, lavoratori notturni, addetti alla “linea catena” e autisti di mezzi pesanti) possano andare in pensione con le regole precedenti ed in particolare “quota 97”. Ora la legge di bilancio 2017 cancella per questi lavoratori il regime delle finestre, che comprendeva un’ulteriore attesa di dodicimesi, e a beneficio degli stessi soggetti azzera in via sperimentale a partire dal 2019 l’adeguamento all’aspettativa di vita (e dunque l’allungamento) dei requisiti di età e di contribuzione. Inoltre viene attenuato il requisito temporale richiesto, ovvero il periodo nel quale devono essere state esercitate le attività usuranti.

Opzione donna / Uscita per le nate alla fine del 1958 La cosiddetta “opzione donna” consiste nella possibilità per le lavoratrici di accedere alla vecchia pensione di anzianità con 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 se autonome). Si tratta in realtà di una sperimentazione che avrebbe dovuto concludersi con le pensioni maturate nel 2015: la norma inserita nella legge di bilancio “ripesca” le lavoratrici che conseguivano il requisito di età nell’ultimo trimestre di quell’anno, dunque le nate nell’ultimo trimestre del 1958 (o 1957). Per loro però il diritto si perfeziona a 57 (o 58) anni e settemesi, quindi retroattivamente a partire da maggio 2016. Per l’uscita effettiva però le interessate dovranno comunque attendere altri dodicimesi se dipendenti o 18 se autonome. In cambio del significativo anticipo i relativi trattamenti saranno più bassi in quanto calcolati per intero con il sistema contributivo.

Precoci / Sconto di 1‐2 anni, stop penalizzazioni Con la legge di bilancio il governo ha voluto attenuare la severità della riforma Fornero anche nei confronti di una particolare categoria quella dei “precoci”, coloro che hanno iniziato a lavorare molto presto. Per disoccupati senza ammortizzatori, disabili o soggetti impegnati in lavori gravosi (la stessa platea dell’Ape social) il requisito contributivo per la pensione anticipata scende a 41 anni dagli attuali 42 e 10mesi (uno in meno per le donne): lo sconto dunque si avvicina a uno‐due anni. Inoltre è definitivamente abolita la penalizzazione che sarebbe scattata dal 2018 sull’importo della pensione di chi matura la pensione anticipata senza aver compiuto 62 anni di età: un taglio che avrebbe tipicamente colpito coloro che hanno iniziato a versare contributi in giovane età.

Sabato, 7 gennaio 2017 PRIMO PIANO

Statali Gli scatti di carriera stabiliti nei contratti Nella trattativa con il governo l’ipotesi di intervenire anche sulle promozioni `Giro di vite sui permessi sindacali a pagare saranno solo le sigle minori

LE MISURE ROMA Scatti di carriera stabiliti dalla contrattazione e non dai concorsi e stretta su permessi e distacchi sindacali. E a pagare, dopo il dimezzamento dei comparti, saranno le sigle sindacali più piccole. Ecco il quadro che va delineandosi in vista della riapertura della trattativa governo‐sindacati sugli statali, che ha al centro delle discussioni il rinnovo del contratto fermo da 7 anni e sbloccato da una sentenza della Consulta. La prima tappa del negoziato è fissata per martedì 10 gennaio, quando sindacati e Aran, l’Agenzia che rappresenta Palazzo Chigi al tavolo di confronto, si ritroveranno faccia a faccia. Nel menù in programma la prossima settimana la ricerca di una intesa sulle prerogative sindacali (permessi e distacchi), da ricalibrare in base alla nuova mappa del pubblico impiego, passato da 11 a 4 comparti. IL PERCORSO Fonti governative impegnate sul dossier garantiscono che non sono previsti tagli aggiuntivi rispetto a quelli realizzati ma si dovrà discutere di un differente meccanismo di distribuzione delle ore, in base alla nuova geografia della Pubblica amministrazione, con rischio di perdere qualcosa solo per le sigle sindacali che attualmente sonomeno rappresentative. Sul piatto però c’è anche l’attuazione di un passaggio del decreto Madia del 2014 (lo stesso che ha determinato la sforbiciata), sulle «forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali». Insomma l’operazione promette di non essere puramente contabile.Nelle prime settimane si discuterà, sulla base dell’accordo quadro firmato il 30 novembre scorso, di come affidare più spazio alla contrattazione e meno alla legge cancellando di fatto i principi della riforma Brunetta. Ad esempio c’è da rimettere mano alle pagelle che dividono il pubblico impiego in tre fasce (l’ultima, pari al 25% del totale dei dipendenti, non prende premi). Anche l’organizzazione e gli orari di lavoro non sarebbero più esclusiva competenza del dirigente. E poi, soprattutto, circola l’ipotesi di riportare a livello di contrattazione le cosiddette progressioni verticali, di carriera, che la legge Brunetta aveva disciplinato in modo differente, prevedendo il salto in avanti solo attraverso concorso, seppure con una riserva di posti per gli interni, non superiore al 50% dei posti in bando. Oggi infatti i passaggi ammessi senza selezione sono solo a livello orizzontale, ovvero nell’ambito della stessa categoria (alla fine si tratta solo di incrementi retributivi). I sindacati puntano a rivedere quante più parti possibili della legge Brunetta, sicché nel mirino sono finiti anche i passaggi di carriera, con l’obiettivo di riportare la materia nell’alveo della contrattazione. Dopo aver risolto la questione degli avanzamenti di carriera e di permessi e distacchi sindacali, le parti dovranno risolvere la partita più importante: il contratto. Sul piatto ci sono 5 miliardi da utilizzare nell’arco del triennio che va dal 2016 al 2018: ebbene, di questi per il momento sono 3,3 miliardi mentre sono previsti 85 euro di aumento medio mensile sui contratti di primo livello per 3,3 milioni di lavoratori. BUSTA PAGA Ma come muoversi? La sola certezza, al momento, è che il governo si è impegnato a fare in modo che gli aumenti non influiscano sugli 80 euro in busta paga, cancellando il bonus a quanti, con la crescita del salario, superino quota 26 mila euro di reddito. In attesa degli incontri, i sindacati puntano i loro paletti. «L’accordo del 30 novembre prevede procedure e tempi: dopo l’approvazione della legge di Bilancio e l’insediamento del nuovo governo occorre darne attuazione», dice il responsabile dei settori pubblici della Cgil, Michele Gentile. «Mi auguro che arrivi per metà mese una convocazione da parte della ministra Madia per fare il punto sul Testo Unico del lavoro pubblico», sottolinea il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo. Sulla stessa linea si pone il segretario confederale della Confsal Unsa, Massimo Battaglia, secondo cui «ci sono le condizioni politiche per andare avanti, mi aspetto a breve un summit al ministero». Michele Di Branco

Venerdì, 6 gennaio 2017 PRIMO PIANO

Le famiglie Il potere d’acquisto torna a crescere pressione fiscale giù ` Nel 3° trimestre 2016 il reddito reale è salito dell’1,8% su base annua Il peso dei tributi scende al 40,8% soprattutto per i minori incassi Iva

ISTAT ROMA Il fisco che allenta la presa sui portafogli contribuisce a far salire il potere d’acquisto degli italiani. Ma nonostante questo le famiglie, forse spaventate da anni di recessione economica e dal timore di perdere il lavoro, non si fidano di effettuare investimenti importanti come, ad esempio, l’acquisto di una casa e conservano un atteggiamento piuttosto prudente. Tutte le contraddizioni di un Paese che, anche se confortato da qualche buon segnale, fatica a riemergere dalla crisi nei dati Istat del terzo trimestre 2016. LE CIFRE I numeri indicano un aumento della propensione al risparmio delle famiglie consumatrici del 9,3%, in crescita dello 0,6% rispetto al terzo trimestre del 2015. Su base congiunturale, si registra invece una lievissima flessione (‐0,1%) ma questo, chiariscono gli analisti, deriva da una crescita dei consumi finali di poco superiore a quella del reddito disponibile delle famiglie consumatrici (0,3% e 0,2% rispettivamente). Tornando al potere d’acquisto delle famiglie l’Istat rileva un aumento nel terzo trimestre rispetto al precedente dello 0,1%. In termini tendenziali, invece, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato dell’1,9% e il deflatore implicito dei consumi delle famiglie dello 0,1%, determinando una crescita del potere di acquisto, cioè il reddito reale, dell’1,8%. Ma questa relativa ricchezza aggiuntiva, per il momento, non si traduce nella voglia di spendere: il tasso di investimento delle famiglie consumatrici (definito come rapporto tra investimenti fissi lordi delle famiglie consumatrici, che comprendono esclusivamente gli acquisti di abitazioni, e reddito disponibile lordo) nel terzo trimestre 2016 è stato pari al 5,9%, risultando invariato rispetto tanto al trimestre precedente che al corrispondente trimestre del 2015. In termini congiunturali si registra una lieve flessione degli investimenti fissi lordi (‐0,2%) a fronte del contenuto aumento del reddito disponibile lordo. Incoraggiante la ripresa dei flussi economici aziendali. I profitti delle società non finanziarie nel terzo trimestre 2016 hanno raggiunto il 41,7%, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre del 2015 e stabile rispetto al trimestre precedente. Gli investimenti fissi lordi delle società non finanziarie hanno segnato una crescita del 2,2% in termini congiunturali. Sul fronte dei conti pubblici una buona notizia è il calo, nel terzo trimestre, della pressione fiscale: l’Istat fa sapere che è stata pari al 40,8%, segnando una riduzione di 0,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’istituto non ha fornito dettagli sulla ragione di questo fenomeno ma fonti che hanno lavorato sulle statistiche indicano in una riduzione del flusso delle entrate Iva, segno di un affanno dei consumi, un elemento determinante. Sempre sul fronte dei fondamentali di finanza pubblica, l’Istat osserva che il rapporto tra il deficit e il Pil nel terzo trimestre è stato pari al 2,1%, in lieve peggioramento (+0,1 punti percentuali) rispetto allo stesso trimestre del 2015. Guardando il dato cumulato dei primi tre trimestri, l’indebitamento netto si è attestato al 2,3% del Pil, in calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (era al 2,6%). I numeri dell’Istat hanno fanno esultare la maggioranza, dal Pd ad Area Popolare, sempre più convinti che siano le riforme a cominciare a dare frutti evidenti, ma non convincono fino in fondo le associazioni dei consumatori. Secondo Adusbef e Federconsumatori, infatti, l’incremento del reddito reale e del potere d’acquisto «viene vanificato dall’attuale contesto socioeconomico» e in particolare dal livello «allarmante» della disoccupazione che, secondo le associazioni, abbatterebbe il reddito reale di oltre 400 euro a famiglia. Michele Di Branco

Lunedì, 9 gennaio 2017 PRIMO PIANO

Il referendum / Jobs Act

Consulta, i dubbi sull’ammissibilità

`Mercoledì il giudizio della Corte sui 3 quesiti promossi dal sindacato Crescono le obiezioni sul carattere «manipolativo» della consultazione

ROMA La partita tra la squadra di Giuliano Amato, pronta a bocciare un referendum “manipolativo”, e quella di Silvana Sciarra, la relatrice che vorrebbe dichiarare ammissibile la consultazione popolare sull’abolizione del Jobs Act, si gioca sul filo. L’AGO DELLA BILANCIA E se i dubbi crescono tra i quattordici giudici costituzionali, chiamati dopodomani a una decisione che cambierebbe lo scenario politico del Paese, di fatto, la vaga propensione per l’inammissibilità potrebbe essere ribaltata all’ultimo momento e la differenza, alla fine, potrebbe determinarla proprio il voto del presidente Paolo Grossi, come è avvenuto nell’aprile 2015, quando la Corte, a sorpresa, bocciò il prelievo governativo sulle pensioni, con il voto doppio dell’allora presidente Alessandro Criscuolo. La battaglia, allora, fu vinta dalla docente di Diritto del Lavoro allieva di Gino Giugni che, anche in quel caso, vestiva il ruolo di relatore e vedeva Amato sul fronte opposto. Per gli altri due quesiti referendari, quello relativo a voucher e l’altro sugli appalti, proposti dalla Cgil, l’ammissibilità sembra scontata, ma è sull’articolo 18 che si gioca la partita più importante. QUESITO MANIPOLATIVO Per l’avvocatura dello Stato, che si è costituita in giudizio in extremis per conto del governo, il quesito referendario non si limita ad abrogare una legge. Il fatto che estenda il diritto alle tutele e al reintegro anche alle aziende con meno di quindici dipendenti, circostanza non contemplata neppure dallo Statuto dei lavoratori del ‘70, rappresenterebbe un elemento manipolativo e dunque propositivo. Per questo il referendum sarebbe inammissibile: non punterebbe ad abrogare la legge del governo Renzi ma, di fatto, conterrebbe una modifica legislativa di competenza del parlamento. ESTENSIONE DEI DIRITTI Chi invece sostiene l’ammissibilità del referendum sostiene l’omogeneità e l’unitarietà del quesito. La questione di fatto, riguarderebbe l’estensione di una garanzia reale già vigente per quanti siano stati assunti prima del 2013, abrogando una disparità tra i cittadini. Una tesi supportata da un’altra sentenza della Consulta emessa, sulla stessa materia, nel 2003. In quell’occasione fu ammesso un quesito referendario che estendeva la garanzia reale (il risarcimento e il reintegro per licenziamento illegittimo) a tutti i lavoratori, anche quando fossero stati gli unici dipendenti di un’azienda. Il referendum poi non raggiunse il quorum. Ma il precedente è importante. La sentenza del 2003 si chiudeva rilevando che la domanda rivolta agli elettori si presentava «omogenea» e aveva «una matrice razionalmente unitaria assicurata dall’obiettivo comune di estendere l’ambito di operatività reale in settori nei quali attualmente non opera» e proponeva «al corpo elettorale un’alternativa netta». ELEZIONI ANTICIPATE La decisione della Consulta cambierebbe radicalmente lo scenario politico: se il referendum sul Jobs Act fosse dichiarato ammissibile, gli elettori sarebbero chiamati alle urne tra il 15 aprile e il 15 giugno. E l’ex governo Renzi rischierebbe una nuova bocciatura del proprio operato. Il solo modo per evitare la consultazione sarebbe quello di anticipare le elezioni politiche, con lo slittamento di un anno del voto referendario. L’ex presidente del Consiglio e segretario del Pd,Matteo Renzi, finora, è l’unico ad essersi dichiarato chiaramente favorevole alle elezioni anticipate. Il timore di una bocciatura popolare sul Jobs Act potrebbe essere una ulteriore spinta nella direzione voluta dall’ex premier e assicurare elezioni a primavera inoltrata. LA LEGGE ELETTORALE Ma la pronuncia sul Jobs Act non è l’unica ad agitare la maggioranza di governo. È attesa un’altra decisione che, di certo, avrà influenze sullo scenario politico. Il prossimo 24 gennaio è attesa la sentenza della Consulta su alcuni ricorsi contro l’Italicum. Dal turno di ballottaggio e l’opzione del candidato capolista eletto in più collegi, al quesito del Tribunale di Genova, che sottopone alla Corte questioni relative all’assegnazione del premio di maggioranza al primo turno, poi una questione concernente il meccanismo del recupero proporzionale dei voti nella Regione Trentino‐Alto Adige. La bocciatura sembra quasi scontata, ma la sentenza della Corte potrebbe dare al Parlamento indicazioni preziose per garantire la coerenza dei sistemi elettorali di Camera e Senato, e quindi la governabilità. Come è già accaduto nel 2014, quando la Consulta ha bocciato il Porcellum. Del resto un’indicazione in questa direzione è arrivata anche da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Valentina Errante

Domenica, 8 gennaio 2017 PRIMO PIANO

Il sondaggio Che 2017 sarà? Nella rilevazione Swg‐Messaggero, il profondo malessere degli italiani Ma c’è voglia di riforme e di ripartire verso un nuovo contratto sociale

LA RADIOGRAFIA ROMA Sarà l’anno del bilico il 2017. Quello da cui si può cadere o di qua, nell’abisso di una crisi non solo economica ma sempre di più anche emotiva, o di là: verso una nuova speranza. La radiografia scattata da Swg sugli italiani appena entrati nel nuovo anno presenta dati preoccupanti ‐ esempio: rispetto alla società in cui viviamo il senso di delusione è dilagante: pari al 7,9 su una scala da 1 a 10 ‐ ma risultano forti la voglia di combattere, il desiderio di cambiare, la non apatia, la speranza che si possa creare una idea e una identità per l’Italia di domani. Sergio Risso, direttore scientifico di Swg, sulla base delle analisi riassume così lo stato della situazione e quello che potrebbe accadere: «La popolazione del nostro Paese è alla ricerca di una ricetta per uscire dalle attuali secche. La sfida è quella di un nuovo contratto sociale e intergenerazionale in grado di smuovere la nazione dalle fondamenta». RIPARTENZA Ecco, rimettersi in gioco coinvolgendo tutte le energie, tutte le generazioni, tutti gli strati sociali, tutte le forze politiche, l’intero sistema‐Paese in una alleanza di destino, in quella grande condivisione per le sorti della patria che, nei momenti difficili, è sempre scattata in questo Paese e lo ha salvato o migliorato. Accadrà anche questa volta? E’ ancora presto per rispondere, ma i tempi di reazione e di ripartenza devono attivarsi subito ‐ già da questo inizio 2017 ‐ perché la crescita dei delusi (quasi all’8), dei preoccupati (7,8 sulla scala da 1 a 10), degli arrabbiati (7,6), di chi si sente ingannato (7,5), dei rassegnati (6,5) costituisce un campanello d’allarme che suona fortissimo e la campana suona per tutti. Occorre che i desiderosi di impegnarsi per cambiare (6,6), i combattivi (6,5), gli speranzosi (5,3) e i fiduciosi (4,9) trascinino tutti gli altri in una trasformazione del proprio mood e in un coinvolgimento proficuo per ridare chance a se stessi e alla comunità in cui vivono. Sempre sulla scala da 1 a 10, i più fiduciosi sono gli elettori del Pd (6,3), i meno fiduciosi sono gli elettori del Movimento Cinque Stelle (4,4), e in mezzo ci sono i votanti di Forza Italia (5,4). I grillini svettano nella classifica dei delusi, dei preoccupati, degli arrabbiati e degli ingannati ma sono anche quelli che, più dei dem e dei berlusconiani, si sentono combattivi. L’immagine proposta da Risso è questa: «L’Italia è come un enorme sasso in bilico su una punta acuminata. La pietra può rotolare verso una direzione di chiusura e di abbraccio delle posizioni difensive e populiste, oppure può scendere dalla parte opposta. Verso proposte di cambiamento riformatore, in cui innovazione ed equità marciano di pari passo». O la va o la spacca, detta maccheronicamente? Il contratto sociale, o patto sociale, che potrebbe delinearsi contro le preoccupazioni galoppanti ‐ la stragrande maggioranza degli interpellati da Swg vede al momento come rischio per il futuro un Paese con grandi ingiustizie sociali, precarizzato, povero, con troppi stranieri, con poca identità e poca sicurezza ‐ deve affondare le sue radici nelle scelte «di equità e di armonia sociale», e rispondere alle attese di rivalsa del ceto medio in difficoltà, di quello decaduto e di quelli più bassi. IL MALESSERE Ma la politica saprà essere all’altezza della sfida? Se non avrà la forza di esserlo, i dati che adesso vediamo in questa indagine saranno destinati a peggiorare ancora. E già al momento non lasciano tranquilli affatto: quelli che provano in questa fase emozioni negative, come il disgusto, la rabbia, la tristezza, la paura, sono infinitamente di più dei pochissimi che si sentono fiduciosi e sereni. I principali fattori di malessere, secondo il campione interpellato, sono i corruttori, ma anche i poteri forti, l’euro, il populismo, l’Europa, i sindacati. E la frattura sociale più sentita non è quella ricchi‐poveri, ma onesti‐furbi. E l’onestà, più della salute, della famiglia, della libertà, della sicurezza, è il valore designato come più importante per il 2017. LA MORALE Il moloch da abbattere è quella sensazione che fa parlare così la maggioranza (62 per cento) degli interpellati: «In Italia tutte le idee di riforma sono destinate a cadere nel vuoto». Per fortuna, il 38 per cento non la pensa così e crede viceversa che il Paese sia riformabile. Ma bisogna provarci sul serio. «Il 2017 ‐ conclude Risso ‐ può essere un anno programmatico. Un periodo in cui le forze politiche rielaborano la propria proposta per il Paese e definiscono, sull’altezza di questa sfida, l’identità del proprio gruppo dirigente. Lasciando i lidi del presentismo, del botta e risposta, dei prescelti perché fedeli, per mettere in campo risposte politiche alte, persone capaci, pensieri lunghi e lungimiranti sul valore della comunanza e della crescita per tutti e non solo per pochi». La morale del discorso? Classe dirigente cercasi. Mario Ajello

Domenica, 8 gennaio 2017 PRIMO PIANO

Quattro anni dopo la maturità quasi la metà non trova lavoro Allarme Istat: nel 2015 aveva un impiego solo il 45,9% dei ragazzi diplomati nel 2011 `Chi sbaglia la scelta della scuola superiore corre il rischio di vanificare anni di studio

IL FOCUS ROMA Il diploma? Rischia di trasformarsi in un flop. E’ così per quasi un ragazzo su 3 che, dopo 4 anni dalla maturità, resta ancora in attesa di un lavoro. E allora, con le iscrizioni scolastiche al via, per famiglie e ragazzi è il momento di chiarirsi le idee. Proprio per non commettere errori e buttare via l’occasione di scegliere pensando a costruirsi un futuro. Da lunedì 16 gennaio i ragazzi che il prossimo anno dovranno frequentare le classi prime della materna, delle elementari, delle medie o della scuola superiore potranno fare domanda di iscrizione indicando l’istituto scelto. Un momento delicato che segna, di fatto, il futuro degli studenti soprattutto per coloro che andranno alle superiori. E non poco. Le scuole sono infatti impegnate da settimane nell’orientamento, sia da parte dei docenti che stanno preparando i ragazzi a cambiare scuola, sia da parte degli istituti che accoglieranno gli studenti il prossimo anno. L’obiettivo è quello di evitare la strada sbagliata. Dai dati Istat raccolti nell’Annuario 2016, emerge infatti che nel 2015 lavorava solo il 45,9% dei ragazzi diplomati nel 2011. Meno di uno su due, a 4 anni dalla maturità. Nello specifico, si tratta del 50,1% degli uomini e del 41,6% delle donne, per i ragazzi quindi risulta più semplice trovare un impiego. Osservando invece il titolo di studio, emerge che ha un impiego il 63% dei diplomati degli istituti professionali e il 58,5% dei diplomati negli istituti tecnici. Nei licei la percentuale si abbassa notevolmente e arriva al 26,1% degli occupati, anche perché il percorso prosegue nella maggior parte dei casi all’università. Tutti gli altri sono suddivisi tra chi studia e chi invece è ancora in cerca del lavoro giusto. IL FALLIMENTO C’è poi anche chi, dopo 4 anni dal diploma di scuola superiore, non è impegnato nello studio, non ha un lavoro e neanche non lo cerca: i cosiddetti neet, not in education, employment or training, che ad oggi coprono il 3,4% dei ragazzi diplomati nel 2011. Si tratta di circa 17mila ragazzi fermi, usciti quindi dal circuito dell’istruzione e, ancora prima di iniziare, anche dalla forza lavoro. Ben 17mila persone il cui diploma, al momento, non sembra aver aiutato in alcun settore, per le quali la scelta dell’indirizzo di studio si è rivelata un fallimento totale. I dati Istat evidenziano poi come i due gruppi maggiori racchiudono rispettivamente i ragazzi che sono impegnati solo nello studio e quelli che sono impegnati solo nel lavoro. Rilevando, di fatto, anche la difficoltà nel riuscire a studiare e lavorare contemporaneamente. Nel 2015 quindi, a quattro anni dalla maturità, il 31,3% è concentrato solo nello studio: si tratta di quasi un ragazzo su 3 diviso tra corsi di laurea e corsi post‐diploma. Il 23,4% invece è impegnato esclusivamente nel lavoro. Per coloro che lavorano c’è anche una categoria a parte, che copre il 9,3% dei diplomati nel 2011, che nel 2015 ha un impiego ma ne cerca un altro. Probabilmente non si tratta di un lavoro con cui vivere. A questi si aggiunge, nella ricerca di un impiego, un 14% che non studia né lavora ma che sta comunque cercando un’occupazione seria. Di fatto in Italia quasi uno studente su 3, esattamente il 26,7% dei ragazzi con il diploma nel cassetto da 4 anni, non lavora né studia. L’APPEAL Anche l’università ha perso appeal rispetto al 2014: nel passaggio dalla scuola superiore all’università infatti, con le immatricolazioni per l’anno accademico 2014‐2015, si è registrato un calo dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Così come è emerso un calo generale degli studenti: nel 2014‐2015 gli studenti nelle scuole italiane erano 8.885.802, ben 34.426 in meno rispetto al 2013‐2014. Un calo che interessa soprattutto le classi dei bambini più piccoli, ad esclusione delle scuole superiori. Nel dettaglio infatti le scuole dell’infanzia hanno avuto 26.845 bambini in meno rispetto all’anno precedente, le primarie 6.575 in meno e le secondarie di primo grado 22.03 in meno. Le scuole secondarie di secondo grado hanno avuto invece 21.031 iscritti in più ma, inevitabilmente, il numero è destinato a scendere. Lorena Loiacono

Domenica, 8 gennaio 2017 REGIONE

L’ABRUZZO IN CAMMINO

Da al Piano della Casa Fra le valli di Santo Spirito, Macchialunga e le Mandrelle di GIUSI PITARI La valle che sale da Fara San Martino al Monte Amaro è un lungo susseguirsi di splendide ricchezze. La prima è il paese di Fara, famoso per i pastifici e forse meno per la sua magnifica posizione tra mare e Majella, per le limpide acque e la sua gente accogliente e aperta. I faresi amano la montagna e insegnano a rispettarla: non c’è neanche un abitante di Fara che non sia salito sul Monte Amaro percorrendo la Valle di Santo Spirito, di Macchialunga e Cannella. Si tratta di un percorso lungo con un dislivello molto impegnativo, ben 2400m. E da Fara ce ne andiamo sul Piano della Casa, un altopiano grandioso che sembra uscito da una favola. L’accesso al sentiero che entra nella Valle di Santo Spirito si trova tra due altissime pareti rocciose distanti tra di loro solo un paio di metri: questo particolare e suggestivo ingresso nasconde una delle gole più belle, più varie e interessanti che la natura abbia potuto ideare. Anche nelle estati più torride in quello stretto corridoio si viene accarezzati da soffi di aria fresca che profuma delle acque profonde che sembra aver sfiorato. E ci si ritrova nel magnifico ingresso di questa maestosa casa, con il Monastero di San Martino in Valle. Il sentiero si snoda poi tra prati fioriti e profumatissimi fino a estate inoltrata o ricoperti di una coltre bianca immacolata d’inverno e, dopo un'ora e mezza di cammino, tra pareti rocciose altissime, colori indescrivibili e caverne si è a Bocca dei Valloni (1055m), preceduta dalla fonte delle Vatarelle dove ci si può rifornire di ottima acqua. Ora inizia la bellissima faggeta della Valle di Macchialunga: il tappeto di foglie di faggio ammorbidisce il cammino che dolcemente porta fuori dal bosco, poi vi rientra e la valle si allarga su radure tempestate di tinte arcobaleno e cespugli rari. Guardandosi attorno sembra di trovarsi nel castello di Madre Natura dominato dalla splendida Cima dell’Altare. Si abbandona il sentiero che porta alla Val Cannella e si sale a destra, si sfiora la grotta dei Porci (ottimo ricovero in caso di necessità) e con un ultimo sforzo si arriva sul Piano della Casa, 1788 m, 3ore e 30 da Fara San Martino. Un immenso prato verde senza confini che sembra uscito dalle fiabe più belle: ci si sdraia e si gode della vista del Monte Sant’Angelo a nord, 2669m, dell’immensa Acquaviva ad est, 2727 m e seconda elevazione del massiccio, che con un ripido brecciaio arriva ad accarezzare una fittissima mugheta. A questo punto gli occhi si chiudono e si comincia a sognare, cullati dai fili d’erba pettinati da una brezza che sembra marina: e laggiù c’è proprio il mare. Se la prima domenica di agosto vi siete prenotati per la festa del Cai di Fara, vi ritroverete su questo paradiso assieme a tutti i faresi festosi e gusterete i pasti preparati al momento. Il Club Alpino di Fara San Martino è uno dei più solidamente ancorati alla Montagna Madre e organizza ogni anno appuntamenti immancabili. Nella stagione tardo-primaverile ed estiva si può incontrare il pastore del Piano della Casa che in quel periodo abita allo stazzo di Fonte Gelata, con le sue capre: è sempre felice di vedere gente, conosce tutto, i sentieri più nascosti, i più bei panorami e le storie più fantastiche. Se si arriva al suo stazzo si può ammirare una delle valli più selvagge del massiccio: le Mandrelle. È ora di tornare al paese, a parlare di Majella in piazza con gli anziani, i cui occhi sembrano di acqua cristallina e le rughe sono dolci come le vallate della Montagna Madre. Piano della Casa non è un posto da visitare: è casa nostra.