PROGRAMMA UFFICIALE SETTIMANE MUSICALI DI STRESA

26 AGOSTO - 16 SETTEMBRE 1963

TEATRO DEL PALAZZO DEI CONGRESSI

SALONE DEGLI ARAZZI DI PALAZZO BORROMEO ALL'ISOLA BELLA L’ Orchestra della Scala

La consuetudine milanese, invalsa a mezzo il. Settecento, ed àuspice Giambattista Sanmartini, di regolari e frequenti concerti orchestrali nel cortile del Palazzo Sforzesco, se ebbe storico rilievo nella formazione della sinfonia, non mancò di influire anche sulla costituzione dell’or­ chestra destinata agli spettacoli lirici e coreografici della Scala: e invero, sin dall’inaugurazione del teatro — avvenuta nel 1778 con /’Europa Ri­ conosciuta di Salieri — l’orchestra scaligera presenta un organico di settanta elementi, cifra assai superiore allo standard teatrale dell’epoca. Gli statuti del 1802 e l’assunzione di uno stabile maestro al cembalo nella persona del Lavigna, maestro di Verdi, ne vanno poi progressi­ vamente migliorando l’efficienza, sì che nel 1830 l’inglese William Staf- ford può constatare come l’orchestra della Scala sia « migliore e più numerosa che in qualsiasi altra città italiana ».

Stabilizzatosi sugli ottanta elementi, l’organico viene elevato nel 18J5 a cento da Franco Faccio: il quale estende insieme l’attività dell’or­ chestra al settore sinfonico, allora pressoché sconosciuto in Italia. Al­ l’Esposizione Universale di Parigi (1878) la rinnovata orchestra della Scala incontra entusiastiche accoglienze; l’anno seguente si costituisce la Società Orchestrale della Scala, e le stagioni liriche avranno perma nenie complemento sinfonico. Applaudita nelle principali città d’Italia, ma ancora in Francia, in Gran Bretagna e in Svizzera, l’orchestra della Scala, nel quarantennio precedente la prima guerra mondiale, vedrà sul podio i pionieri Faccio, Mancinelli e Martucci, seguiti da Toscanini, Guarnieri, Serafin, Mascagni, Gui, Marinuzzi; ed ospiti stranieri innu­ meri, da Lamoureux a Nikisch, da Fri ed a Schuricht.

Costituitosi l’Ente Autonomo della Scala, è Arturo Toscanini a creare e ad animare la nuova orchestra, recandola a trionfale battesimo, fra il ’20 e il ’21, in tutta Italia e negli Stati Uniti d’America. Concluso nel ’29 l’aureo periodo toscaniniano, celebrati direttori italiani e stranieri si alternano tuttavia sul podio della Scala, la cui attività continua in altre sedi anche dopo la distruzione del teatro (agosto ’43). Doveva essere ancora Toscanini, giunto sulla soglia degli ottani’anni, a inau­ gurare la risorta Scala nel maggio del ’46. Da allora l’orchestra scali­ gera, nelle pause dell’intensa attività stagionale, offre il suo concorso a. spettacoli e a concerti in Italia e all’Estero: da Lucerna a Vienna, da Johannesburg a Edimburgo e a Bruxelles. L’Orchestra della Scala Nino Sanzogno Alexis Weissenberg

NINO SANZOGNO, nato a Venezia nel 1911, ha compiuto gli studi musicali al « Benedetto Marcello », diplomandosi in violino alla scuola di F. De Guarnieri, e in composizione a quella di Mezio Agostini; seguì quindi a Venezia le lezioni di alta composizione di Malipiero e a Bruxelles i corsi direttoriali di Scherchen. Nel ’37, ancor giovanissimo, era nominato direttore stabile del Teatro La Fenice, appena eretto in ente autonomo; nel dopoguerra assumeva a Milano la direzione dei Pomeriggi Musicali, e quindi dell’orchestra della RAM. Intensifi­ cando il suo lavoro alla Scala, inaugurava nel ’55 la Piccola Scala, partecipava alle applaudite tournées straniere dei complessi scaligeri: nell’autunno del ’62 era chiamato alla direzione stabile dell’orchestra della Scala. Il nome di Nino Sanzogno è legato a molte prime rappre­ sentazioni assolute — dal postumo Angelo di Fuoco di Prokofiev alla Fenice ai Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc alla Scala — e a innumerevoli prime italiane, da Lulù di Berg, a Cardillac di Hindemith, a Lady Macbeth di Shostakovich.

ALEXIS WEISSENBERG, nato a Sofia nel 1929, ha studiato pianoforte sotto la guida della madre, quindi del pianista e compositore Pantscho Wladigeroff. Dopo una prima tournée in Sud Africa, Israele ed Egitto, seguì i corsi di perfezionamento tenuti da Samaroff alla Juilliard School of Music di Nuova York. Nel ’57, vincitore del primo premio ai con­ corsi pianistici di Nuova York e di Filadelfia, debutti) al Carnegie Hall con la Filarmonica di Nuova York diretta da Szell, e a Filadelfia con quella orchestra sinfonica diretta da Ormandy. Dopo tre tournées nel­ l’America del Nord, si recò nell’America latina, e quindi in Europa; dal ’60 ha svolto un’intensa attività concertistica anche in Italia. Lunedì 26 agosto 1963 - Ore 21,15

TEATRO DEL PALAZZO DEI CONGRESSI

CONCERTO SINFONICO diretto da NINO SANZOGNO con il concorso del pianista ALEXIS WEISSENBERG

Giuseppe Verdi Quartetto in mi minore (in versione orchestrale) Allegro Andantino Prestissimo Scherzo Fuga

Sergei Rachmaninov Terzo Concerto per pianoforte e orchestra op. 30 Allegro ma non tanto Intermezzo Finale Solista : ALEXIS WEISSENBERG

Richard Wagner Idillio di Sigfrido

Modest Mussorgski Quadri di una esposizione, suite (versione strumentale di Maurice Ravel)

ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA DI MILANO La duplice ricorrenza dei centocinquant’anni dalla nascita di Giuseppe Verdi (Busseto, 1813 - Milano, 1901) e di Richard Wagner (Lipsia, 1813 - Venezia, 1883) è ricordata nel concerto di questa sera con due pagine accomunate dalla sorpresa che gli autori vollero con esse ri­ serbare a familiari e ad amici; e ancora dal. fatto che le due compo­ sizioni strumentali costituiscono un’eccezione nella produzione di Verdi e di Wagner, interamente consacratisi, seppure per vie diverse, al teatro musicale. Fu dopo la prima di Aida al San Carlo (1873) che Verdi convocò gli amici nel suo albergo napoletano accogliendoli con l’inat­ tesa esecuzione del Quartetto in mi minore, appena ultimato: una pagina che il maestro considerava di carattere strettamente privato, con­ cedendo poi quasi malvolentieri il suo assenso ad una pubblica esecuzione a Milano nel ’75. Il Quartetto — in cui Verdi s’è attenuto alla strut­ tura tipica dell’ultimo Mozart e di Schubert, non senza qualche spunto melodrammatico — viene presentato questa sera in inconsueta ver­ sione orchestrale: possibilità, del resto, ammessa e quasi caldeggiata da Verdi stesso quando, nel ’77, una proposta al riguardo gli giunse da Londra.

La gioia di Wagner per la nascita, di un figlio, cui aveva imposto il nome di Sigfrido, e la sua gratitudine per Cosima (e per lui e per te 10 dovevo ringraziare il cielo con un canto musicale...) sono all’origine de/Z’Idillio di Sigfrido, scritto da Wagner sui temi che concludono ap­ punto il terz’atto della seconda giornata della Tetralogia, e noti sotto 11 nome di. temi della pace, del sonno, di Sigfrido tesoro del mondo e della decisione d’amare. Nella sera di Natale del 1870 (non, come talora si ripete, per la nascita o il battesimo del figlio) una piccola orchestra nascosta nella villa di Tribschen, operosa dimora di Wagner sul lago dei Quattro Cantoni, eseguì per la prima volta /’Idillio, fra la commossa sorpresa di Cosima (le prove s’erano svolte in gran segreto all’Hotel du Lac di Lucerna). La preziosa partitura autografa è con­ servata oggi nel piccolo museo wagneriano istituito nella medesima villa di Tribschen.

Allievo al Conservatorio di Mosca di Siloti per il pianoforte, di Arenski e Tanejev per la composizione, Sergei Vassilievich Rachmaninov (One- ga, Novgorod, 1873 - Beverly Hills, California, 1943) non tardò ad af­ fermarsi come un pianista insigne, conteso fra le maggiori istituzioni d’Europa e d’America. Copiosa la sua produzione, che include tre opere liriche, poemi sinfonici, cantate e varia musica strumentale, ma sovratutto musiche pianistiche, tra cui quattro Concerti per pf. e or­ chestra. Il Terzo Concerto op. 30, venne scritto a Mosca nel 1909, alla vigilia della partenza del maestro per gli Stati Uniti d’America, ed ebbe in quello stesso anno la sua prima esecuzione a Nuova. York nella direzione di Walter Damrosch, e quindi di Gustav Mahler: impron­ tato a un lirismo di derivazione ciaikovskiana, esso appare di fisionomia sostanzialmente virtuosistica.

Nella sua breve vita, insidiata dall’alcoolismo, l’autodidatta Modesto Petrovic Mussorgski (Karewo, Pskow, 1839 - Pietroburgo, 1881) ebbe campo di imporsi come la maggior personalità del Gruppo dei Cinque, non solo con i capolavori di Boris Godunov e di Kovanchina, ma an­ cora attraverso le liriche per canto e pianoforte, e alcune pagine pia­ nistiche, fra le quali la Suite Quadri di Un’Esposizione, ispirata al musicista da una mostra postuma di disegni dell’architetto Hartmann, e illustrata nel suo intento programmatico da un’annotazione alla prima edizione. Dopo un’introduzione marcatamente ritmica, Promenade, che più volte ritorna nel corso della composizione, si svolge la serie dei dieci bozzetti musicali, corrispondenti ad altrettanti disegni di Hart­ mann: 1) Un piccolo Gnomo che cammina buffamente sulle gambette corte; 2) Un Vecchio castello medievale, dinanzi al quale un trovatore canta la sua canzone; 3) Una nidiata di bimbi e di bambinaie, fra giochi e litigi alle Tuileries; 4) Un carro polacco, denominato Bydlo, dalle enormi ruote; 5) Bozzetto per una scena del balletto « Trilby », evo­ cante un Ballo di pulcini nei loro gusci; 6) Dialogo fra due ebrei po­ lacchi, uno ricco e altero, l’altro povero e quèrulo: Samuel Goldenberg e Schmuyle; 7) Donne che litigano al Mercato di Limoges; 8) Autori­ tratto di Hartmann in visita alle Catacombe di Parigi: « l’interno dei teschi si illumina di un dolce chiarore »); 9) Un orologio avente la forma della dimora della strega Baba Yaga: una capanna su zampe di gallina; 10) La grande porta di Kiev, progettata da Hartmann nel­ l’antico e pesante stile russo dalla cupola a fungo. Scritti per il pia­ noforte, i Quadri di Un’Esposizione vennero trasferiti all’orchestra nel 1922 dalla mano prestigiosa di Maurice Ravel. Il Quartetto Végh

Il Quartetto Végh è stato fondato a Budapest nel 1940, su iniziativa del violinista Sandor Végh, formatosi alla scuola di Jenò Hubay e già allora noto per un’intensa attività concertistica in patria e all’estero. Dopo i primi concerti, tenuti in Ungheria, il Quartetto Végh — nono­ stante le avverse circostanze del conflitto mondiale — compì numerose tournées artistiche nei paesi d’Europa, conseguendo significative affer­ mazioni in Italia, Francia, Austria, Germania e Cecoslovacchia.

Ma la sua maggiore notorietà data dall’autunno del 1946, quando il Quartetto conseguì il primo premio, all’unanimità, ai concorsi di interpretazione musicale di Ginevra. Il Quartetto Végh, che ha oggi sede a Basilea, è presente nelle principali stagioni concertistiche d’Euro­ pa ed offre spesso il suo concorso ai maggiori festival musicali, da Sa­ lisburgo a Venezia, da Montreux all’Engadina. All’Isola Bella ha te­ nuto due applauditi concerti durante le Settimane Musicali dell’anno scorso; e appunto dal suggerimento di Sandor Végh è sorta l’iniziativa dell’attuale mostra stradivariana. Ai quattro componenti il comples­ so si aggiungono, per le esigenze dell’odierno programma, il violinista Jascha Veissi e la violoncellista Èva Czako. Mercoledì 28 agosto 1963 - Ore 21,30

SALONE DEGLI ARAZZI DI PALAZZO BORROMEO ALL’ISOLA BELLA

CONCERTO DEL QUARTETTO VÉGH ( in formazione di Quintetto e Sestetto ) SU STRUMENTI ORIGINALI STRADIVARI

Franz Schubert Quintetto in do maggiore, op. 163 Allegro ma non troppo Adagio Scherzo Allegretto

Johannes Brahms Sestetto in si bem. magg., op. 18 Allegro ma non troppo Andante ma moderato Scherzo Rondò. Poco allegretto e grazioso

Esecutori : SANDOR VÉGH (I. violino) SANDOR ZÖLDI (II. violino) GEORG JANZER (I. ) JASCHA VEISSI (II. viola) PAUL SZABO (I. violoncello) EVA CZAKO (II. violoncello) Accanto a quindici Quartetti per archi, Franz Schubert (Vienna, 1797 - Vienna, 1828) lasciò due Quintetti: quello con pianoforte — detto della trota, per le inserite variazioni sul tema dell’omonimo e famoso Lied schubertiano — e quello con due violoncelli, in do maggiore. Scritto nel 1828, ma èdito solo nel 1854, esso costituisce l’ultima parola, il canto del cigno di Franz Schubert — prematuramente scomparso po­ chi mesi più tardi — nel settore della musica strumentale. La dialet­ tica del contrasto anima questa pagina schubertiana, che sembra eva­ dere dal cerchio della musica da camera per spaziare verso gli oriz­ zonti della sinfonia: al carattere costruttivo e ottimistico del primo tempo, dello scherzo e del finale si contrappongono infatti la commossa elegìa dell’adagio — non lontano dal Quartetto in re min. scritto due anni prima e detto, per il ricorso a un altro Lied celebrato, La mor­ te e la fanciulla — e la solenne, meditativa gravità del trio che con­ clude lo scherzo: in cui alcuni biografi vollero individuare una sorta di Requiem intonato da Schubert, presago della sua prossima fine.

Nel 1857 il giovane (Amburgo, 1833 - Vienna, 1897) ebbe il suo primo incarico ufficiale: quello di musicista di corte presso il principe di Detmold, nella foresta di Teutoburg, con la qualifica di pianista, istruttore del coro e, più tardi, di direttore d’orchestra. Il suo lavoro a corte gli consentì una approfondita conoscenza dei mu­ sicisti classici, assai in onore a Detmold, da Haydn a Mozart a Beethoven: dei quali è appunto un’eco nel Sestetto per archi op. 18, scritto fra il ’59 e il ’60 (del ’64 sarà invece il secondo Sestetto). Ma, oltre al­ l’influsso degli insigni «viennesi», apportatore di costruttiva chiarezza e di equilibrate proporzioni, si profila nel Sestetto op. 18, la personalità tipica di Brahms nella pacata e vigile cantabilità; e insieme l’intenzione di rendersi accessibile anche agli ascoltatori non iniziati mediante la ripetuta, evidente enunciazione dei temi principali. L'Orchestra da camera Sandor Végh

L’orchestra da camera Sandor Végh è stata fondata nell’estate del 1961 a Zermatt, in occasione dei corsi di musica che annualmente vi si svol­ gono, avendo a docenti il violoncellista Pablo Casals, il pianista Karl Engel e il violinista Sandor Végh: tra gli allievi (svizzeri, tedeschi, francesi e americani) di Végh sono infatti stati scelti i componenti la nuova orchestra. Ancora nel '61, l’orchestra Sandor Végh suonò alla presenza di Pablo Casals e della regina Elisabetta del Belgio, e tenne successivamente una tournée di venticinque concerti in Germania e in Isvizzera. Casals, entusiasta dell’audizione, scritturò il complesso per il festival da lui organizzato a Prades, ove l’orchestra Sandor Végh tenne applauditi concerti l’estate del ’62 e ritornò quest’anno. L’attuale organico dell’orchestra Sandor Végh è il seguente: Violini primi: Ludwig Brandt Martha Marshall Michael Gaiser Jack Glatzer Violini secondi: Jean Paul Garot Ilse Matthieu Janine Dazzi Peter Marquardt Viole: Eberhard Krautheim Anneliese Druxes Gerhardt Voss Violoncelli : Klaus Heitz Donna Magendanz Contrabbasso : Wolfgang Stert Cembalo : Jörg Daehler Al concerto di questa sera prendono inoltre parte, in veste di solisti, i componenti del Quartetto Végh. Sabato 31 agosto 1963 - Ore 21,30

SALONE DEGLI ARAZZI DI PALAZZO BORROMEO ALL’ISOLA BELLA

CONCERTO dell’ORCHESTRA da CAMERA SANDOR VÉGH SU STRUMENTI ORIGINALI STRADIVARI

Antonio Vivaldi Concerto per tre violini e archi, in fa magg. Allegro Andante Allegro Solisti: SANDOR VÉGH, LUDWIG BRANDT JACK GLATZER

François Couperin Cinque pezzi da concerto per violoncello e archi Preludio

La Tromba Pianto Aria del diavolo Solista : PAUL SZÄBO

Georg P. Telemann Concerto per viola e archi, in sol magg. Largo Allegro Andante Presto Solista GEORG JANZER

J. S. Bach Concerto per due violini e archi, in re min. Vivace Largo ma non tanto Allegro Solisti : SANDOR VÉGH, SANDOR ZÖLDI

Wolfgang A. Mozart Divertimento in si bem. magg., K. 137 Andante Allegro molto Allegro assai

CLAVICEMBALO DI PROPRIETÀ DEL SIG. REINER SCHEUTZE DI HEIDELBERG (Venezia, 1677 - Vienna, 1741) accanto alla forma del Concerto grosso, di tradizione corelliana, e a quella, da lui instaurata, del Concerto solista, coltivò anche il tipo intermedio del Concerto multiplo, affidato a più strumenti solisti, pure chiamati a cimenti vir­ tuosistici, ma il cui discorso si inserisce con maggiore profondità nel tes­ suto orchestrale: tipico, a tale riguardo, insieme con i Concerti delle raccolte La Cetra e L’Estro Armonico, questo Concerto in fa magg., per tre violini, il cui manoscritto è custodito alla Biblioteca di Stato di Dresda. François Couperin (Parigi, 1668 - Parigi, 1733) detto le Grand, per di­ stinguerlo dai molti musicisti omonimi, fu il maggior esponente della scuola clavicembalistica francese. La forma della suite subisce in mano sua una radicale trasformazione: nel senso che, attenuato o scomparso l’originario carattere di danza, le varie parti della suite assumono un carattere liberamente descrittivo o allusivo, indicato dai sottotitoli stessi (Le rossignol en amour etc.), quasi ad anticipazione della mu­ sica a programma. La medesima predilezione ritorna nei Cinque pezzi per , una delle poche pagine di Couperin che non appartengono al campo cembalistico o a quello, coltivato per dovere di ufficio quale organista di St. Gervais, della musica sacra. (Magdeburgo, 1681 - Amburgo, 1767) fu com­ positore fecondissimo, specie di musica sacra, di cantate, di musiche d-i, circostanza, e autore anche di una quarantina di opere liriche, {¿imitata invece la sua produzione strumentale da camera, orientata s&vratutto sugli strumenti a tastiera: così che il Concerto per viola ri­ veste quasi il carattere di un’eccezione. La sua semplice e lineare strut­ tura rivela l’influsso degli italiani del tempo, dei quali Telemann era ammiratore ed amico (una sua raccolta di Fughette per cembalo è de­ dicata a Benedetto Marcello). Fu sovratutto negli anni del soggiorno alla corte di Köthen, protrattosi dal 1717 al 1723, che Johann Sebastian Bach (Eisenach, 1685 - Lipsia, 1750) per la liberalità di quel principe e per i non gravi impegni d’uf­ ficio potè dedicarsi alla musica strumentale. In quegli anni, domi­ nati dall’amorevole studio della musica italiana e dall’ammirazione per Vivaldi in particolare, Bach scrisse, tra l’altro, i sei Concerti Bran- demburghesi (1721), ponte di passaggio fra il tradizionale Concerto grosso italiano e la sinfonia, mentre tre Concerti per violini, e questo Concerto per due violini (1723) si uniformano alla struttura vivaldiana, anche riecheggiando la fisionomia stessa del prete rosso.

Accanto ai sessanta Divertimenti — sorta di suite in diversi tempi, per vari strumenti, spesso condizionata dalle usanze di corte — lasciati da Haydn, ventidue ne elenca il catalogo di Köchel all’attivo di (Salisburgo, 1756 - Vienna, 1791). Tre ne scrisse in breve volgere di tempo l’allora sedicenne salisburghese, nel 1772, alla vigilia di partire con il padre per il suo terzo viaggio in Italia; e con un organico di due violini, viola e contrabasso: fra questi il K. 137. Il Teatro del Palazzo dei Congressi Il Salone degli Arazzi di Palazzo Borromeo L'Orchestra Philharmonia di Londra

Fondata nell’immediato dopoguerra ad. iniziativa di Walter Legge, ¡’Orchestra Philharmonia di Londra tenne il suo primo concerto — con un programma interamente dedicato a Mozart e diretto da Sir Thomas Beecham — al Kinsway di Londra, il 25 ottobre 1945. Sul podio della Philharmonia si alternarono i maggiori direttori del con­ tinente, da Wilhelm Furtwangler, ad Herbert von Karajan, a Guido Cantelli; e l’orchestra ebbe pure a direttore Richard Strauss nel corso della sua ultima visita in Gran Bretagna, nel 1946. Sotto la guida di Herbert von Karajan ¡’Orchestra Philharmonia compì nel 1952 il suo primo viaggio all’estero, svolgendo sedici concerti nelle principali città della Francia, Belgio, Svizzera, Germania e Italia. Presente al secondo concerto della Philharmonia alla Scala, Arturo Toscanini — che aveva declinato ripetuti inviti di dirigere a Londra — espresse il desiderio di dirigere « questa meravigliosa orchestra ». I due concerti diretti da Toscanini, con programma brahmsiano, ebbero luogo al Royal Fe­ stival Hall, e il maestro, compiendo il suo ottantacinquesimo anno, disse a Walter Legge: la più grande gioia che ho provato fu alla prova della Seconda Sinfonia di Brahms con la vostra orchestra. Non dirigevo, ma facevo musica con altri musicisti... L’esito del primo viaggio europeo e il lusinghiero apprezzamento di Toscanini valsero a diffondere la famà dèli’Orchestra Philharmonia, che ebbe a compiere numerose altre tournée» in Europa, e negli Stati Uniti d’America, partecipando ai festival diLucerna, di Edimburgo e di Vienna, e arricchendo con le sue esecíízioni i repertori discografici. Nel 1959 ne era nominato direttore stabile a vita il maestro Otto Klemperer. L' Orchestra Philharmonia di Londra Carlo Maria Giulini

CARLO MARIA GIULINI, nato da famiglia veneta a Barletta nel 1914, ha compiuto gli studi al Conservatorio di S. Cecilia di Roma, diplomandosi in violino con Remy Principe e in composizione con Alessandro Bustini; successivamente seguì all* Accademia di Santa Ce­ cilia i corsi di perfezionamento in direzione d’orchestra, tenuti da Ber­ nardino Molinari. Dal 1946 al 1951 è stato direttore stabile alla R.A.I. di Milano, e nel triennio successivo ha diretto frequentemente alla Scala. Dal 1955 svolge una libera attività in Italia, Europa e Stati Uniti d’America, ed ha effettuato tournées in Canada, Giappone, India e Israele, partecipando pure ai maggiori festival europei; il suo nome figura spesso fra i guest conductors dell’orchestra Philharmonia, e con il complesso londinese Giulini diresse due concerti alla Scala nel giu­ gno dello scorso anno. Giovedì 5 settembre 1963 - Ore 21,15

TEATRO DEL PALAZZO DEI CONGRESSI

CONCERTO SINFONICO diretto da CARLO MARIA GIULINI

Gioacchino Rossini Guglielmo Teli, sinfonia

Franz Schubert Sinfonia n. 8, in si minore (Incompiuta) Allegro moderato Andante con moto

Johannes Brahms Sinfonia n. 4, in mi minore, op. 98 Allegro non troppo Andante moderato Allegro giocoso Allegro energico e passionato

ORCHESTRA PHILHARMONIA DI LONDRA Mentre le sinfonie teatrali di Gioacchino Rossini (Pesaro, 1792 - Pa­ rigi, 1868) sono in gran parte staccate dal contesto dello spartito, così da poter venire dislocate dall’una all’altra opera, seria o buffa, quella del Guglielmo Teli (Parigi, Opera, 3 agosto 1829} costituisce, all’uso romantico, una sorta di anticipato compendio del dramma musicale. Obbediente ad accurata ambientazione locale, condotta sullo studio delle melodie popolari svizzere, la sinfonia segue gli indirizzi della mu­ sica a programma nel susseguirsi delle quattro parti: l’alba, il tem­ porale, il ranz des vaches e il gioioso finale.

Fra le otto sinfonie pervenuteci, sulle nove scritte da Franz Schubert (Vienna, 1797 - Vienna, 1828), la popolarità maggiore arride all’Ot- tava, più nota come /’Incompiuta. Ed una ricca letteratura è fiorita intorno alle cause dell’incompiutezza della sinfonia (1822}, che alcuni attribuiscono a deliberato proposito dell’autore: egli avrebbe voluto uniformarsi alla struttura in due tempi di alcune Sonate di Beethoven, o ancora — secondo lo Schering — prospettare musicalmente, e con procedimenti ante-wagneriani di Leitmotiv, le fasi di un sogno in cui a Schubert sarebbe apparsa la madre amatissima. Più verisimilmente, secondo il Pritchard, la sinfonia era stata interamente composta, ma metà della partitura venne smarrita da Josef Hütterbrenner, che la stava recando al fratello Anseimo, un amico di Schubert dimorante a Graz. Come fece per altre musiche, l’autore non se ne curò, e /’Incom­ piuta rimase ignorata per oltre quarantanni: solo nel 1865 il di­ rettore d’orchestra Herbeck la scoperse, gelosamente custodita da Hütterbrenner, e la presentò all’entusiasta pubblico di Vienna. Esiste d’altronde un abbozzo del terzo tempo, lo Scherzo, scritto di pugno di Schubert.

Solo a quarantatre anni Johannes Brahms (Amburgo, 1833 - Vienna, 1897) già saldamente affermatosi, con il vaticinio di Schumann, nella musica da camera, licenziò la sua Prima Sinfonia: così che le quattro sinfonie lasciate dal musicista amburghese spaziano tutte nel periodo di nove anni, dal ’76 all’85. La Quarta Sinfonia, scritta nel rifugio sti­ llano di Mürzzuschlag nell’estate dell’85 venne diretta da Brahms stesso, avendo Hans von Bülow preparato l’orchestra, a Meiningen nell’autunno dello stesso anno. Il carattere austero e, per le consuetudini del tempo, quasi astruso, della Quarta Sinfonia, non le procurò agli inizi le calorose accoglienze che avevano salutato le altre tre sinfonie; ma entusiasta ne ri­ mase un giovane ventenne, Richard Strauss cui parve vedere nell’Andante un corteo funebre procedente in silenzio attraverso alture rischiarate dalla luna. Di rilievo particolarissimo l’ultimo tempo, in cui Brahms inserì nel tessuto della sinfonia, e conferendole l’impronta della sua personalità, l’antica forma della Ciaccona: una serie di trentun varia­ zioni su un medesimo e semplice tema, conclude infatti la Quarta Sin­ fonia conducendo l’ascoltatore nelle regioni ove l’uomo piega il gi­ nocchio davanti all’eterno (Kretzschmar}. Arthur Rubinstein

ARTHUR RUBINSTEIN c nato a Lodz (Polonia) nel 1886. Già a sei anni aveva suonato in pubblico nella città natale, a undici a Ber­ lino e in altre città tedesche, sotto la direzione di Joachim, a dodici a Varsavia con il suo futuro suocero Emil Mlynarsky. Dopo aver stu­ diato a Berlino con Rudolf Breithaupt, si incontrava sedicenne in Isvizzera con Ignace Jan Paderewski, che gli era prodigo di insegna­ menti e di consigli; ebbe inoltre lezioni di pianoforte e di composi­ zione da Eugen D’Albert, Teodoro Leschetzky, Roberto Kahn e Max Bruck. Durante la prima guerra mondiale tenne una lunga serie di concerti a beneficio della Croce Rossa insieme con i violinisti Eu- gène Ysaye e Jacques Thibaud, e il direttore d’orchestra Desiré Defauw; all’Augusteo di Roma conseguì nel 1926 il suo primo successo italiano. Arthur Rubinstein, che in gioventù si affidava senza pensiero alle sue mani prodigiose e alla sua innata sensibilità, affrontando concerti su concerti senza preparazione e asserendo essere inutile sprecare tempo a tener lucidi i denti del pianoforte, interruppe un giorno la sua attività e, divenuto improvvisamente consapevole di ogni nota sbagliata, per quattro interi anni si ritirò completamente dall’attività concertistica per consacrarsi allo studio. Venerdì 6 settembre 1963 - Ore 21,15

TEATRO DEL PALAZZO DEI CONGRESSI

CONCERTO DEL PIANISTA ARTHUR RUBINSTEIN

Ludwig vaa Beethoven Sonata op. 57, in fa minore (Appassionata) Allegro assai Andante con moto Allegro ma non troppo Presto

Robert Schumann Carnaval, op. 9

Frédéric Chopin Barcarola, op. 60 Due Studi Notturno in fa diesis Due Mazurke Polonaise, op. 53 Mentre (Bonn, 1770 - Vienna, 1827) volle sot­ tolineare di proprio pugno il carattere di alcuni suoi lavori con espli­ cite qualifiche (Eroica, Pastorale etc.), molto spesso analoghe e pitto­ resche denominazioni sono frutto della fantasia degli editori: così l’amburghese Cranz, nel dare alle stampe la Sonata op. 57, in fa min., le conferì il sottotitolo di Appassionata. Scritta fra il 1804 e il 1806, essa si inserisce fra /’Eroica, il Triplo Concerto e il Quarto Concerto per pf., ed è dedicata al Conte Francesco von Brunswick, fratello di Teresa, /’immortale amata di Beethoven. Scritta sullo schema sem­ plificato di forma-sonata nel primo tempo, di aria con variazioni nel secondo, quasi di studio nel terzo, /’Appassionata non presenta par­ ticolari riferimenti o intenzioni, ma una viva, fremente drammaticità; a chi lo interrogò in proposito, Beethoven laconicamente rispose: « Leg­ gete La Tempesta di Shakespeare ».

Dal nome della cittadina tedesca di Aesch, (Zwickau, 1810 - Endenich, 1856) trasse, secondo la notazione musicale alfabe­ tica, un tema di quattro note che costituirono l’elemento base di una serie di Scènes mignonnes sur 4 notes, note sotto il nome di Carnaval (1825). E’ una serie di venti successivi quadretti, di rapidi schizzi, con­ trassegnato ciascuno da un sottotitolo, come a definire le figure e le maschere danzanti dinanzi alla fantasia, del musicista in un’immaginaria notte di ballo. Ma, preoccupato che Carnaval fosse inteso come mu­ sica descrittiva o programmatica, Schumann stesso asserì che i sotto­ titoli vennero apposti in un secondo tempo, quando già la musica era nata: « musica — ad usare le parole di Schumann — che basta a se stessa, ed è per se stessa abbastanza parlante ». I sottotitoli (in francese nell’originale) sono Préambule, Pierrot, Arlequín, Valse noble, Eusebius, Florestan, Coquette, Sphinxes, Papillons, Lettres dansantes, Chiarina, Chopin, Estrella, Reconnaissance, Pantalón et Colombine, Valse Al­ lemande, Paganini, Aveu, Promenade, Marche des Davidsbüncller con­ tré les Philistins.

La produzione di Frédéric Chopin (Zelazowa-Wola, 1810 - Parigi, 1849), quasi interamente pianistica, salve rare e occasionali eccezioni, si in­ dirizza di preferenza, secondo i dettami, del Romanticismo e le predi­ lezioni dell’individuale poetica dell’autore, verso brevi forme libere e di fantasia, più raramente sottoponendosi l’autore ai vincoli formali della Sonata e del Concerto. Motivi di danza popolare liberamente tra­ sfigurati, anche con accenti di eroica volontà, come le Polonaises e le Mazurke; pagine fantastiche, di puro lirismo, come i Notturni, o la Barcarola; composizioni dalle intenzioni tecniche e dagli accenti vir­ tuosistici, ma a loro volta risolventisi in alta liricità: ecco alcuni ca­ pisaldi chopiniani. toccati dall’antologia breve presentata questa sera da Arthur Rubinstein. Il Trio Istomin - Sterri - Rose Il pianista Eugene Istomin, nato a Nuova York nel 1925, ha studiato con Karina Siloti e quindi con Rudolf Serkin e Miecio Horszowsky al Curtis Institute di Filadelfia; nel 1948 vinse il concorso giovanile del­ l’orchestra di Filadelfia e il premio Leventritt; nel 1950 fu invitato da Pablo Casals al Festival di Prades. Il violinista Isaac Stern, nato nel 1920 a Kriminiez (Russia), passò i primi anni a San Francisco, ove i genitori s’erano trasferiti nello stesso 1920. Non aveva ancora dieci anni quando il direttore Pierre Monteux 10 presente) al pubblico in un suo concerto; Stern suonò ancora a Los Angeles, Minneapolis e Chicago, ma il padre interruppe la sua precoce attività e gli fece continuare regolari studi a Nuova York, sotto la guida di Luis Persinger. Riapparve in pubblico nel 1940 al Carnegie Hall di Nuova York; nel ’48 ha suonato per la prima volta a Milano, e nel ’49 alla Scala, nel Concerto di Beethoven diretto da Paul Klecky. 11 violoncellista Léonard Rose, nato a Washington nel 1910, studiò nella Florida con Walter Grossman, e quindi dal ’24, a seguito della vincita di una borsa di studio, al Curtis Institute di Filadelfia con Felix Salmond. Nel ’38 venne chiamato a far parte dell’orchestra della N.B.C. diretta da Toscanini, e dal maestro stesso nominato « primo vio­ loncello assistente ». Entrò poi come solista nell’orchestra di Cleveland e nella Filarmonica di Nuova York, con la quale svolse la sua attività sino al Festival di Edimburgo del ’51. Ha inciso, tra l’altro, il Doppio Concerto di Brahms con Isaac Stern, nella direzione di Bruno Walter. Il Trio Istomin-Stern-Rose venne fondato nell’estate del 1961, in occa­ sione del Primo Festival Musicale d’Israele. Nel settembre dello stesso anno suonò a Londra, e successivamente in molte città degli Stati Uniti d’America; il suo debutto europeo è avvenuto nel luglio scorso al fe­ stival di Divonne-les-Bains, seguito da concerti ai festival di Aix-en- Provence, Mentone, Lucerna, Edimburgo. Con il concerto di questa sera il Trio si presenta per la prima volta al pubblico italiano. Giovedì 12 settembre 1963 - Ore 21,15

TEATRO DEL PALAZZO DEI CONGRESSI

CONCERTO DEL TRIO ISTOMIN - STERN - ROSE

Ludwig van Beethoven Trio in sol magg'., op. 1, n. 2 Adagio - Allegro vivace Largo con espressione Scherzo (Allegro) Finale (Presto)

Johannes Brahms Trio in do minore, op. 101 Allegro energico Presto non assai Andante grazioso Allegro molto

Franz Schubert Trio n. 1, in si bem. magg., op. 99 Allegro moderato Andante un poco mosso Scherzo (Allegro) Rondò (Allegro vivace)

Esecutori : EUGENE ISTOMIN (pianoforte) ISAAC STERN (violino) LEONARD ROSE (violoncello) Nell’estate del 1886 Johannes Brahms (Amburgo, 1883 - Vienna, 1897), a quel tempo direttore artistico della Societcì Musicale di Vienna, passò le vacanze a Hofstetten, sul lago di Thun. Operose vacanze, trascorse in vista dei ghiacciai dell’Oberland bernese: la maestosità di quel paesaggio sembra echeggiare negli accenti solenni delle musiche che al­ lora videro la luce, dal Doppio Concerto, alla Sonata in fa per violino, a questo Trio op. 101, dalla costruzione forte e concisa, animato nel finale da una rapsodica festosità. Nel dicembre dello stesso anno, fu Brahms medesimo a presentare il Trio al pubblico di Budapest, insieme con il violinista Jenö Hubay e il celtista David Popper.

Tra l’infanzia e i ventitré anni d’età, Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 - Vienna, 1827) pur senza ripetere la precocità di Mozart, scrisse numerose musiche; ma più tardi, nell’atto di conferire ai suoi lavori un numero progressivo di opus, incominciò con i tre Trii che egli con­ siderava come le sue prime musiche veramente significative, e che sono pertanto raccolti nell’op. I. Scritti nel 1793 e dedicati al principe l.ichnowsky, i Trii vennero eseguiti nel palazzo viennese di questi, alla presenza anche del vecchio Haydn, che ne rimase ammirato, pur sconsigliando Beethoven dal pubblicare il terzo Trio, in do minore. Esso appare invero solcato dai presagi della personalità beethoveniana, mentre i due precedenti aderiscono ancora a caratteri settecenteschi, e allo stile di Mozart e di Haydn in particolare.

Dopo un singolo tempo di Trio, scritto nell’adolescenza, Franz Schubert (Vienna, 1797 - Vienna, 1828) tornò alla forma del Trio con ­ forte solo negli ultimi anni della sua breve esistenza, tra la fine del 1826 e l’inizio del 1827, quando compose, a poca distanza di tempo, i due celebrati Trii contrassegnati dai numeri 99 e 100; essi vennero suggeriti a Schubert dall’ammirazione per il trio costituito dall’amico violinista Ignaz Schuppanzig con il pianista Boklet e il celtista Lincile. Il Trio op. 99 — contemporaneo ai due maggiori Quartetti schubertiani: quello in re minore, detto La morte e la fanciulla per le inserite va­ riazioni sul tema del Lied omonimo, e quello in sol maggiore —- è im­ prontato al tipico lirismo schubertiano, che sembra fedelmente tra­ durre in linguaggio strumentale, non senza, aspirazioni verso la sin­ fonia, la fervida vocalità dei Lieder: Robert Schumann ebbe a de­ finirlo amabile, fidente, virgineo... “ ,,

Il complesso strumentale de / Musici (formato da undici archi e pia­ noforte) si è costituito a Roma agli inizi del 1952, rivelandosi con un concerto aH’Accademia di Santa Cecilia. La rinomanza de I Musici non tardava a diffondersi in Italia e all’Estero, sì che il complesso può re­ gistrare una lunga collana di tournées svoltesi non solo in Europa, ma ancora negli Stati Uniti d’America, in Canadà, Messico, Venezuela, Colombia, Sud Africa e Congo Belga; ha partecipato inoltre ai mag­ giori festival internazionali, da Venezia ad Aix-en-Provence, dal Fe­ stival d’Olanda a Copenaghen, da Bordeaux a Edimburgo. I Musici hanno pure svolto un’intensa attività discografica, conseguendo nel 1956 il Grand Prix clu Disque con l’incisione delle Quattro Stagioni di Vivaldi. Violini : Felix Ayo Italo Colandrea Anna Maria Cotogni Walter Gallozzi Franco Tamponi Luciano Vicari Viole: Carmen Franco Cino Ghedin Violoncelli : Enzo Altobelli Mario Centurione Contrabasso : Lucio Buccarella Pianoforte (e cembalo): Maria Teresa Garatti Lunedì 16 settembre 1963 - Ore 21,15

TEATRO DEL PALAZZO DEI CONGRESSI

CONCERTO del COMPLESSO da CAMERA “/ MUSICI,,

G. F. Haendel Concerto grosso in la minore, op. 6, n. 4 Larghetto affettuoso Allegro Largo Allegro

Tomaso Albinoni Sonata in la maggiore, op. 2, n. 3 Grave Allegro Adagio Allegro

F. Geminiani - A. Corelli Concerto grosso ''La Follia,, Ventitré variazioni su un tema spagnolo

Antonio Vivaldi Concerto per violino, violoncello, archi e cembalo Allegro Andante Allegro molto Solisti : FELIX AYO - ENZO ALTOBELLI

Antonio Vivaldi Concerto grosso in re minore, op. 3, n. 11 Allegro Largo Allegro

Antonio Vivaldi Concerto per quattro violini, archi e cem­ balo, in si min., op. 3, n. 10 Allegro Largo Larghetto Allegro Solisti : FELIX AYO, WALTER GALLOZZI ANNA MARIA COTOGNI LUCIANO VICARI L’influsso della musica italiana, avvertibile nelle quaranta opere tea­ trali e nei trentatrè oratori di Georg Friedrich Haendel (Halle, 1685 - Londra, 1759) non manca di manifestarsi anche nella produzione stru­ mentale del maestro, e segnatamente nella forma, già consacrata da Go­ relli e da Vivaldi, del Concerto grosso, fondato sulla dialogante alter­ nanza di un piccolo gruppo di strumenti (Concertino) con la massa degli archi. Dopo i sei Concerti grossi dell’op. 3, scritti ad Hannover nel 1733, con l’inconsueta partecipazione di strumenti a fiato, Haendel pubblicò a Londra nel 1739 i dodici Concerti grossi dell’op. 6, la mag­ giore testimonianza dell’attività haendeliana nel campo strumentale.

Tomaso Albinoni (Venezia, 1671 - Venezia, 1750) che amò qualificarsi « musico di violino e dilettante veneto », è considerato come uno dei maggiori seguaci di Vivaldi, e le sue musiche vennero ammirate e stu­ diate dallo stesso Bach. Oltre ad alcune opere teatrali, lasciò una considerevole produzione strumentale, raccolta in nove gruppi; la Sonata in la è tratta dall’opera II, comprendente dodici Sonate e Con­ certi a cinque, dedicati al duca di Mantova, Monferrato e Carlovilla: Remo Giazotto, il maggior studioso contemporaneo di Albinoni, col­ loca l’op. II intorno al 1693.

La dodicesima ed ultima Sonata per violino dell’op. V di Arcangelo Gorelli (Fusignano di Romagna, 1653 - Roma, 1713) reca il titolo di Follìa, vocabolo che indicava una danza iberica, di ritmo ternario, grave e compassata, particolarmente adatto quale soggetto di varia­ zioni (al pari della Ciaccona e della Passacaglia); la Sonata (1700') di Gorelli consta infatti di una serie di ventitré variazioni. Più tardi Fran­ cesco Geminiani (Lucca, 1687 - Dublino, 1762), allievo di Corelli, svi­ luppò nella forma del Concerto grosso le dodici Sonate dell’op. V, inclusa la famosa Follìa.

La rivalutazione di Antonio Vivaldi (Venezia, 1677 - Vienna, 1741) do­ vuta al moderno umanesimo musicale, ebbe nell’ottocento a precursori il Wasiliewski, che illustrò i Concerti delle Quattro Stagioni (1869), e il von Waldersee, che particolarmente si diffuse (1883) sui Concerti trascritti da Bach durante il periodo di Weimar, e appartenenti alla raccolta de L’Estro Armonico, dedicata, al granduca Ferdinando III di Toscana; fu appunto alle trascrizioni di Bach che le musiche del- l’obliato prete rosso dovettero, per lungo tempo, la loro notorietà. Figurano nell’odierno programma il Concerto per quattro violini, che Bach trascrisse per quattro cembali, ed uno dei più noti Concerti grossi vivaldiani, quello in re minore, trasferito da Bach sull’organo, e già attribuito al figlio Friedmann Bach.