EMANUELE MACALUSO, Figlio E Amico
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Pompeo nel ricordo del padre senatore Emanuele Macaluso Figlio e amico Pompeo Macaluso, prematuramente scomparso a 65 anni d’età il 22 giugno 2015, è figlio di Emanuele Macaluso, un importante dirigente del Partito Comunista Italiano. Nato a Caltanissetta nel 1924, Emanue- le Macaluso aderì al Partito comunista d’Italia, poi divenuto Partito comunista italiano (PCI) in giovanissi- ma età, negli anni del fascismo e della clandestinità. Nel dopoguerra diresse prima la sezione siciliana della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), il più grande sindacato italiano, e poi quella del PCI. Nel 1956 fu chiamato da Palmiro Togliatti nel comitato centrale, poi nella direzione e nella segreteria nazio- nali del partito. Fu per molte legislature parlamentare regionale e nazionale, e fra il 1982 e il 1986 diretto- re de “l’Unità”, organo ufficiale del Partito comunista. Egli è considerato, assieme a Giorgio Napolitano, uno degli esponenti di spicco della cosiddetta ala “migliorista” del PCI, vicina ai valori del socialismo europeo. Una mattina di ottobre dello scorso anno siamo andati a trovare il senatore Emanuele Macaluso nella sua casa di Roma per parlare dei suoi rapporti col figlio Pompeo, a cominciare dagli anni in cui, sull’onda del- la contestazione del ’68, ebbe luogo uno scontro, politico e generazionale, fra padre e figlio, che fu, ovviamen- te, anche uno scontro fra modi diversi di intendere la sinistra. Macaluso vive in un appartamento, stipato di libri, che dà su una piazza del quartiere romano Testaccio: “Qui, quando vedo dalla mia finestra, la domeni- ca, le famiglie andare a messa e i bambini giocare sul sagrato, mi sembra di essere tornato nella Caltanisset- ta della mia giovinezza”, ci dice. Virginio Pedroni Senatore Macaluso, nel suo libro Cinquant’anni nel del partito, perché ero stato chiamato ad aiutare Ber- PCI1) Lei ricorda che suo figlio Pompeo nel ’67 andò a linguer per la preparazione del decimo congresso del Cuba e al rientro accentuò la sua posizione critica nei PCI; poi assunsi io la responsabilità dell’organizzazio- confronti del riformismo e dunque del PCI. Nel suo li- ne, che prima era stata diretta da Berlinguer. Anche bro rievoca in particolare un’accesissima discussione di qui a Roma, dunque, Pompeo e suo fratello Antonio Pompeo con Giancarlo Pajetta, ma immagino che ne hanno conosciuto tanti dirigenti del partito. abbia avute anche con Lei. In quegli anni lo scontro fu Pompeo ha cominciato a frequentare, già da ragaz- sia politico, sia generazionale e fu a volte anche laceran- zo, la sezione comunista del quartiere dove abitavamo. te nelle famiglie coinvolte. Lei afferma che era difficile Ricordo che c’era un gruppo della Federazione giova- trovare un terreno di confronto tra queste due generazio- nile comunista e lui era attivo in questa sezione. Era un ni. È stato anche il vostro caso? gruppo diretto dalla figlia di Giuliano Pajetta, il fratel- lo di Giancarlo Pajetta. Quando siamo arrivati a Roma, Pompeo è nato nel 1950 a Palermo. Io ero segreta- Pompeo aveva solo 12 anni, ma poi, crescendo, ha fre- rio regionale della CGIL, allora, e Pompeo è dunque quentato la Federazione giovanile fino al 1967. cresciuto in un ambiente formato non solo dai suoi fa- Nel ’67, con un gruppo di questi ragazzi della Fe- miliari, ma anche dai miei compagni e amici che fre- derazione giovanile, andò a Cuba. C’erano quelle che quentavano la casa e che ha conosciuto: persone le- venivano chiamate “brigate di lavoro”, che andavano gate alla mia attività, in un clima di sinistra, in un con- ad aiutare la Repubblica cubana tagliando la canna da testo di grandi lotte sociali, lotte dei contadini e degli zucchero. Pompeo fece questa esperienza e tornò su operai. Sono stato a Palermo fino al 1962 perché, dopo posizioni più radicali. La frequentazione di nuovi ami- aver fatto il segretario regionale della CGIL, ho svol- ci, il confronto più ravvicinato con la situazione cuba- to anche la funzione di segretario regionale del Partito na, sotto assedio, tutto questo fece sì che fosse muta- comunista. Quindi il modo di crescere di questi ragaz- to il suo modo di concepire la vita politica. Egli cova- zi era abbastanza consono all’ambiente in cui viveva- va già una certa critica al modo di essere del PCI e al no. Nel 1962 mi sono trasferito a Roma, alla direzione suo modo di far politica. La radicalizzazione avvenne 4 anche sulla base di una critica al fatto che il PCI in Ita- allora voi volete che i consigli operai, che sono struttu- lia aveva scelto una via riformista, una via di transizio- re del sindacato, diventino dei Soviet? Qui in Italia non ne democratica al socialismo. è pensabile questa strada”. Proprio in quell’anno, il 1967, io tornai in Sicilia. Lì Io credo che gruppi di giovani furono molto conqui- c’erano state le elezioni regionali, nelle quali il PCI per- stati da questa critica radicale al Partito comunista e se due punti, passando dal 28% al 26%, mi pare. Allora Pompeo cominciò a frequentare questi compagni, que- vi era l’idea che anche solo per una piccola flessione sti gruppi che avevano questa linea radicale, a cui ade- qualcuno dovesse pagare. Toccò al segretario regio- rì. Fu il periodo in cui conobbe la sua futura moglie nale di allora, Pio La Torre, che mi era succeduto in Raffaella, che veniva dalla Svizzera; non era la sola che quella carica. Ci fu una consultazione, come avveniva veniva da fuori dell’Italia. È a questo punto che comin- allora: c’era una vita democratica nel PCI, anche se in cia un dissenso abbastanza radicale tra me e Pompeo. una forma diversa da quelle che avevano gli altri par- titi, perché era tutta interna. Venne fuori all’unanimità ch’io tornassi a fare il segretario regionale. Allora di- rigevo, nella segreteria nazionale del partito, la sezio- Ma in quegli anni la parola “rivoluzione” nel PCI che ne della stampa e propaganda, non più l’organizzazio- significato poteva avere? Da un lato c’era nel DNA del ne, prima con Togliatti e poi con il suo successore al- partito il riferimento storico ad una rivoluzione avvenu- la segreteria, Longo. E Longo mi chiese di tornare in ta, quella russa, per cui il rapporto con l’Unione Sovie- Sicilia. Io non ero molto convinto, perché tornare a fa- tica assumeva anche il significato di un richiamo identi- re una cosa che si è fatta non è mai una scelta giusta. tario e progettuale ad un’alternativa radicale alla socie- Inoltre, mi appassionava molto il lavoro che stavo fa- tà capitalista, ma nel contempo ci si muoveva all’inter- cendo nell’ambito della stampa, occupandomi del quo- no di un orizzonte riformista e democratico. tidiano di partito “l’Unità” e delle riviste, più ancora di quello che avevo svolto quando mi occupavo dell’orga- Berlinguer coniò una frase che ha fatto sempre tan- nizzazione. Comunque, allora non si usava mettere in to discutere: il PCI è un partito “rivoluzionario e con- discussione le decisioni e io tornai in Sicilia e trasferii servatore”. Togliatti già dal ’44, dopo essere tornato in nuovamente la famiglia da Roma a Palermo. A Paler- Italia, disse: “Non faremo come la Russia”. C’era il con- mo Pompeo frequentava il liceo Garibaldi ed era anco- vincimento – già allora – che il periodo delle rivoluzio- ra nella Federazione giovanile comunista; ricordo che ni armate, delle prese di potere attraverso le rivoluzio- ebbe alcuni scontri anche fisici con i fascisti. Non mi ni violente, in Europa fosse finito. Questo era il con- ricordo se lui o Antonio, suo fratello, furono anche fe- vincimento profondo. Da questo convincimento è sta- riti. Lì riprese a fare attività nel partito. ta impostata la via democratica al socialismo, mirante a Erano gli anni in cui anche nel PCI si era avviata costituire un blocco sociale, quello che poi Berlinguer una discussione sul maoismo. C’era anche una critica definì il “compromesso storico”, formato dalla sinistra, all’Unione Sovietica che veniva ad esempio dal grup- dalla classe operaia, dal PC, dal PSI, uniti con il mondo po che fondò poi la rivista “il manifesto” nel ’69. Mi ri- cattolico anti-capitalistico; un blocco che conducesse ferisco a personaggi come la Rossanda, Pintor, Natoli, una battaglia di riforme sociali e di lotte politiche e cul- ecc. Questi compagni cominciarono ad esercitare una turali che – tenendo conto che in Italia c’era una costi- critica al sistema sovietico più accentuata di quella che tuzione che consentiva questo modo di aggredire il si- faceva già il PCI, contrapponendogli, però, la rivolu- stema esistente – rendesse possibile la transizione ver- zione culturale cinese. Ci fu una polemica a cui parte- so il socialismo, superando il capitalismo. È la ragio- cipai anch’io, dicendo che non mi sembrava che la ri- ne per cui lo stesso Berlinguer, parlo dell’ultima fase voluzione culturale cinese, con i cartelli appesi al collo del PCI, anche quando prima allentò e poi praticamen- dei dirigenti che erano fatti sfilare per le piazze, mes- te ruppe i rapporti con l’Unione Sovietica, non aderì si alla gogna, fosse l’espressione di una critica demo- mai alla socialdemocrazia. Pur avendo dei rapporti con cratica. Ci fu dunque l’accendersi di una discussione Brandt, con Palme, con Mitterrand sui problemi inter- molto ideologica, che riguardava non solo e non tan- nazionali, sulle questioni attinenti al Terzo mondo, so- to la questione del giudizio sull’Unione Sovietica, ma prattutto dopo il bellissimo documento dell’Internazio- la stessa linea politica del PCI, accusato di un’eccessi- nale socialista di Brandt sul Terzo mondo, Berlinguer va accettazione dell’esistente.