Franco Minissi Restauro E Musealizzazione Dei Siti Archeologici in Sicilia

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Franco Minissi Restauro E Musealizzazione Dei Siti Archeologici in Sicilia UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II - FACOLTÀ DI ARCHITETTURA DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA E RESTAURO DOTTORATO IN CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI CICLO XXI COORDINATORE DEL CORSO: PROF. ARCH. STELLA CASIELLO FRANCO MINISSI RESTAURO E MUSEALIZZAZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI IN SICILIA Tutor: Prof. Arch. Franco Tomaselli Dottoranda: Arch. Alessandra Alagna Anni accademici 2006-2008 INDICE INTRODUZIONE p. 4 OBIETTIVI E METODO DELLA RICERCA p. 12 PARTE I INFLUENZE CULTURALI NELLA FORMAZIONE E NELL’OPERA DI FRANCO MINISSI L’attività dell’Istituto Centrale del Restauro e la sua influenza formativa p. 18 Influenza del pensiero di Brandi negli interventi di Franco Minissi p. 32 Rapporti con Carlo Ludovico Ragghianti e con Giulio Carlo Argan p. 52 Rapporti con Guglielmo De Angelis d’Ossat p. 66 La posizione di Franco Minissi sui temi della conservazione, del restauro p. 76 e della musealizzazione dei beni storico, artistici e ambientali PARTE II CONSERVAZIONE IN SITU E MUSEALIZZAZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI IN SICILIA Cenni sull’amministrazione del patrimonio storico, artistico e ambientale in Sicilia, p. 89 prima e dopo la Legge Regionale n. 80 del 1977 L’attività di Franco Minissi nell’ambito della musealizzazione p. 95 dei siti archeologici in Sicilia Realizzazioni e progetti (1950-1990) 1952-1953. p. 109 Opere di restauro, consolidamento e protezione delle Mura di Capo Soprano a Gela 1956-1967 p. 125 Protezione dei mosaici pavimentali della Villa romana del Casale di Piazza Armerina 1958-1961 p. 142 Quartiere ellenistico - romano di Agrigento: sistemazione della zona archeologica 1960-1963 p. 149 Protezione e reintegrazione dell’immagine del Teatro greco di Eraclea Minoa 1961-1963 p. 160 La Villa romana e le terme presso San Biagio Castroreale (Terme Vigliatore) 1961-1969 p. 165 Progetto di restauro e sistemazione della chiesa di San Nicolò Regale a Mazara del Vallo 1968-1970 p. 174 Creazione della cavea teatrale da sovrapporre al Comitium presso il Museo Archeologico di Agrigento 1974-1985 p. 183 Il Parco archeologico di Selinunte 1988 p. 195 Progetto di protezione e fruizione dell’area dei Tophet a Mothya Il restauro del proprio restauro. Le opere manutenzione eseguite da Franco Minissi p. 203 sui suoi precedenti interventi nella chiesa di San Nicolò Regale di Mazara del Vallo, nel Teatro greco di Eraclea Minoa e nella Villa del Casale di Piazza Armerina PARTE III L’OPERA DI FRANCO MINISSI NELLA STORIA DEL RESTAURO E LA SUA VALUTAZIONE STORIOGRAFICA NEL TEMPO Il contributo alla redazione della Carta Internazionale del Restauro di Venezia del 1964 p. 214 Il contributo al dibattito sul tema del restauro e musealizzazione dei siti archeologici p. 230 Rapporto sullo stato attuale delle opere di restauro archeologico in Sicilia p. 249 Riflessioni conclusive p. 266 Bibliografie p. 270 Appendici p. 280 Profilo biografico Elenco completo di tutte le opere ed i progetti Elenco completo delle opere e dei progetti realizzati in Sicilia (1952 – 1990) Pubblicazioni di Franco Minissi Monografie Saggi pubblicati nell’ambito di volumi Interventi presentati nell’ambito di convegni nazionali ed internazionali Saggi pubblicati su riviste specialistiche Appendice documentaria p. 305 Introduzione Nell’attuarsi dell’impegno conservativo su ciò che riconosciamo come monumento e quindi documento e risorsa culturale, il restauro possiede un’intrinseca nobiltà ed etica che lo rende attività ambita da molti ma che in realtà ben pochi hanno la capacità di realizzare correttamente, senza snaturarne gli obiettivi che consistono essenzialmente nella conservazione della complessità del testo architettonico. Infatti, assai più del ritrovamento cartaceo e documentario, la constatazione in corpore vili, hic et nunc della materia storica del manufatto architettonico resta l’unico atto che consente di spostare una datazione, di stabilire la cronologia delle fasi costruttive e di attribuire la paternità di un’opera. Nel dopoguerra in Italia la disciplina del restauro, ancora intrisa dall’idealismo crociano e basata sulle solide conquiste del cosiddetto “restauro scientifico” di matrice giovannoniana, muoveva i primi passi in un momento storico di grandi cambiamenti epocali. L’attività di restauro, che interessava i monumenti d’interesse collettivo su cui fondare la ricostruzione dell’identità nazionale, non poteva essere più frutto dell’arbitrio del singolo che agisce mediante ripristini di fantasia o anche fondati su ricerche storico-filologiche le quali comunque possono alterare i messaggi contenuti nel monumento. Infatti andava maturando ed affermandosi sempre maggiormente il concetto di patrimonio culturale da tramandare alle generazioni future, laddove già nel 1931 la Carta del Restauro di Atene per i monumenti storici affermava il valore didattico del monumento storico come elemento fondante per l’identificazione degli abitanti con i luoghi. Al Convegno dei Soprintendenti del 1938 viene progettata l’istituzione di un Gabinetto Centrale del Restauro quale organo tecnico del Ministero della Pubblica Istruzione, istituzione che avverrà l’anno successivo, grazie all’impegno del Ministro Giuseppe Bottai, di Carlo Giulio Argan e di Cesare Brandi. L’evento bellico, che provoca l’esigenza della più rapida protezione delle opere d’arte, interrompe per alcuni anni la maturazione culturale in corso e di fatto l’attività dell’Istituto inizia dal 1941. La ricostruzione post-bellica muove i primi passi a partire dal governo di Ferruccio Parri (21 giugno - 8 dicembre 1945) il quale chiama Carlo Ludovico Ragghianti come Sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione, con delega alle Belle Arti e spettacolo, con il compito della tutela, della salvaguardia e della ricostruzione e ricollocazione dei monumenti e delle opere d’arte danneggiate dalla guerra. Monumenti e opere d’arte delle città venivano considerati il punto di partenza per la ricostruzione dell’identità nazionale, all’indomani del vuoto lasciato dalla caduta del fascismo. Ragghianti convocò in quell’occasione esperti quali Roberto Calandra, Bruno Zevi, che era appena rientrato dall’America, Enrico Tedeschi e Franco Minissi, per cercare di riorganizzare l’amministrazione delle Belle Arti e di risolvere lo stato disastroso in cui si trovavano le opere storico-monumentali all’indomani del conflitto bellico. I problemi emergenti a quel tempo erano da un lato la ricostruzione dopo gli eventi distruttivi che avevano colpito i centri storici delle più importanti città e dall’altro la ricostruzione o la tutela, ma soprattutto la valorizzazione dei monumenti architettonici e delle opere d’arte che, nell’ambito della ricostruzione del Paese, venivano considerati portatori di quei valori culturali e morali che avrebbero dovuto educare la società. In questa prospettiva, i messaggi e i significati che si potevano leggere sulle “patrie memorie” dovevano quindi essere autentici e sinceri e grande era la responsabilità di chi si incaricava della loro conservazione e trasmissione alle generazioni future. La forte valenza didascalica che veniva individuata nel vasto patrimonio culturale, divenne premessa per rendere etica e quanto più possibile corretta e metodologicamente fondata ogni operazione di restauro e conservazione. Esigenza sentita anche in ambito internazionale, tanto che nel 1956 l’UNESCO promuove la Conferenza dell’Aja ed in quella circostanza viene introdotta la nozione di Bene Culturale il cui significato verrà successivamente chiarito dalla Commissione Franceschini nel 1967 quale “testimonianza materiale avente valore di civiltà”. Solo in un secondo tempo i monumenti, dalle opere d’arte all’architettura, sarebbero stati 4 considerati Beni Culturali costituenti risorse economiche in grado di produrre sviluppo e attirare flussi turistici. In Italia, nell’ambito del restauro e delle Belle Arti, l’imperativo morale nel dopoguerra era quello di andare contro ogni possibile ripristino in stile o filologico che, generando dei falsi, avrebbe potuto ingannare specialisti e non. Bisognava a tal fine contrastare ogni forma di empirismo, ricercando un metodo che fosse garanzia di efficacia e di fondatezza culturale e metodologica dei risultati raggiunti. La Carta Italiana del Restauro del 1931, scritta da Gustavo Giovannoni, non poteva più essere l’unico riferimento di fronte ai nuovi problemi della ricostruzione e della pubblica istruzione. Già nelle “Istruzioni per il restauro dei Monumenti” del 1938, l’Istituto Centrale del Restauro veniva considerato garante del metodo da utilizzare per la condotta dei restauri sul territorio Nazionale. Questo organo tecnico era a disposizione delle Soprintendenze regionali a cui forniva consulenze multidisciplinari e scientifiche, promuovendo la conoscenza e la divulgazione del metodo e dei risultati raggiunti. Altro problema che si presentava in quegli anni era l’esigenza di conservare, nel sito di appartenenza, sia i monumenti ridotti allo stato di rudere, sia i manufatti archeologici con i loro apparati decorativi che venivano progressivamente scoperti sul territorio nazionale a partire dalla fine degli anni Quaranta. Allo stesso tempo questo patrimonio doveva essere oggetto di cura e protezione dagli agenti atmosferici che, anche a causa dell’aumento dell’inquinamento provocato dall’industrializzazione dei processi produttivi, erano divenuti maggiormente aggressivi per la materia antica. Con queste riflessioni veniva avviato un processo che, nel corso della seconda metà del XX secolo, avrebbe portato dall’esigenza del restauro a quella della conservazione
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