MATTARTE nasce come bottega MATTARTE gave birth to its acti- d’arte nel 1896. Negli anni ‘50, Gio- vity as an art shop in 1896. In the vanni Matta, sensibile ai cambiamen- ‘50s Giovanni Matta expanded the ti del mercato, sviluppa ulteriormente company making it sensitive to mar- l’azienda, fondando la Mattarte Casa ket changes and to the increasing d’Aste. L’Antiquariato ha sempre demands of customers, founding the rappresentato una passione di Fami- Mattarte Auction House. Antiques glia e oggi, tramite Pinuccia Matta e has always been a passion of the Fa- Raffaello Lucchese, perito ed esperto mily and today, it has been passed on d’Arte del Tribunale di Torino, l’atti- the fourth generation with Pinuccia vità arriva alla quarta generazione. Matta and Raffaello Lucchese, ap- praiser and art expert of the court of .

GALLERIA MATTA ANTICHITA’ Eposizione e Vendite: via Torino n°12 - 10038 Verolengo (TORINO) tel.+39.011.9149177 - +39.347.8620735 www.mattarte.it - [email protected]

Giovanni Fattori (Livorno 1825 - Firenze 1908)

Il trapelo olio su tavoletta / oil on wood cm.14,5x19

Firmato in basso a destra / Signed lower right

Provenienza/Provenance: Collezione Gilberto Petrelli, Firenze; Collezione Lu-Cas (Luciano Cassuto, Livorno); Walter Fattori (nipote di Giovanni Fattori) (1930-2015).

Bibliografia/Literature: L.Coletti-T.Spini, Collezione Ottaviano Venier, Ed. della Rotonda, Bergamo 1957, pg.58, tav.56

Attestato di archiviazione dell’Istituto Matteucci n.415652 del 12 agosto 2016

Valerio Castello (Genova 1624 - 1659)

Baccanale / Bacchanalian Olio su tela / oil on canvans cm.35x99

L’inedito dipinto è opera tipica del Maestro, iniziatore della grande stagione barocca ge- novese, da datarsi intorno alla metà degli anni ‘50, come confermato dal Prof. Camillo Manzitti che, nel suo studio sul dipinto lo definisce “...certamente tra i più complessi e articolati del genere...”. Esso è un vero capolavoro: attraverso una pennellata densa e pastosa, infatti, con effervescente esubaranza colorista è riuscito, nella tela in esame, a dare vivacità e ritmo compositivo alla scena. I vari puttini si alternano in un valzer che rievocano in ogni pennellata i suoi prototipi figurativi. Il ritmo della scena, accentuato dalla forma della tela, è reso incalzante attraverso vorticosi avvitamenti delle figure dei puttini che sembrano quasi evocare un minuetto.

This unpublished painting is a typical work of Valerio Castello, initiator of the great Ge- noese Baroque season. The painting has to be dated in the mid-50s, as confirmed by Prof. Camillo Manzitti that, in his study on this painting write “... surely among the more complex, and articolate of this genre ... “. It is a masterpiece: through a brushstroke thick and pasty, in fact, with effervescent esubaranza colorist is able, to give vivacity and com- positional rhythm to the scene. Various putti are alternate in a waltz which evoke in every brushstroke his figurative prototypes. The rhythm of the scene, accentuated by the shape of the canvas, is made urgent by swirling twists of the figures of putti that seem to evoke a minuet.

Bibliografia di riferimento: Valerio Castello, Torino 2004. Camillo Manzitti.

Antonio Travi detto il Sestri (Sestri Ponenete 16341609 - Genova 1665)

Il ritrovamento della coppa di Giuseppe nel sacco di Beniamino” / The discovery of the cup of Joseph in the sack of Benjamin Olio su tela / oil on canvans cm.94x148

Opera di altissima qualità ed autografo “in toto” del Maestro Antonio Travi. Avanzerei l’ipotesi di una datazione a cavallo degli anni ‘40 del Seicento. L’opera si presenta con una materia molto smaltata con riferimenti lampanti sia a Giovan Battista Castiglione detto “Il Grechetto”, sia a Sinibaldo Scorza che a Cornelis de Wael. Per quanto riguarda la scena rappresentata questa, anche se ci mostra un fatto biblico, deve essere stata pensata dal Maestro quale una vera e propria “Vanitas”. I personaggi, infatti, parlano intorno a una preziosa coppa, ma vengono quasi annullati, messi in con- trapposizione al trascorrere del tempo sottolineato dalle rovine che giganteggiano dietro di loro.

Work of high quality and fully autographed by Antonio Travi. It raises the possibility of a dating at the turn of the 40s .The picture shows a subject very glazed with references both to Giovan Battista Castiglioni said “Il Grechetto”, both Sinibaldo Scorza that Cornelis de Wael. As for the scene represented this, even though he shows us a Biblical fact, it must have been designed by the Master as a real “Vanitas”. The characters talk around a pre- cious cup, but are almost canceled, placed in opposition to the passage time out from the ruins that towering behind them.

Pubblicato su / Published on: Antonio Travi e la pittura di paesaggio a Genova nel ‘600. Gianluca Zanelli, Ed.Sagep - pg.45 fig.52

Cesare Dandini (Firenze 1596 - 1657)

Allegoria della Giustizia - Ritratto Allegorico della Granduchessa Vittoria della Rovere Allegory of Justice - Portrait of Grand Duchess Vittoria della Rovere Olio su tela / oil on canvans cm.99x80

La posizione di primo piano rivestita dal Dandini tra i pittori operanti a Firenze alla metà del Seicento è testimoniata, oltre che dalle fonti antiche, dai resoconti dell’ormai cele- bre processo Galli Tassi del 1656, nel quale fu effettuata una sorta di sondaggio d’opinione per stabilire chi fossero le figure di rilievo nei vari settori artistici. Il primato nel campo della pittura spettò incondizionatamente a Cesare Dandini. L’opera da noi presentata è un affascinante olio su tela raffigurante Vittoria della Rovere moglie del Granduca Ferdinando II in una elegantissima “Allegoria della Giustizia”, pro- babilmente quindi commissionata direttamente dalla Famiglia Granducale, collocabile alla metà degli anni trenta del 1600, nel momento di massimo culmine del suo “cursus” pittorico, nel passaggio all’interno del percorso artistico dandiniano dalla fase “bronzea” a quella “lunare”. L’opera ricca di fascino e di erudite formule interpretative, si pone per gli effetti lucidi brillanti, per il notevole uso di lapislazzulo, per la splendida resa esecutiva e per l’eccellente definizione cromatica tra i raggiungimenti più alti di Cesare Dandini, il quale in quest’opera fonde in modo magistrale non solo le tendenze naturalistiche tosca- ne d’impronta caravaggesca e ricordi neo-bronziniani ma anche i languori della lezione furiniana e reniana.

Dandini’s first level position among painters working in Florence in the middle of the 17th century is attested not only in ancient sources, but also by the statements of the by now noted Galli Tassi trial of 1656, in which a sort of opinion poll was carried out to estabilish the prominent position figures in the various artistic fields. The primacy in painting field was entitled unconditionally to Cesare Dandini. The work presented by us is a charming oil on canvas depicting Vittoria della Rovere, wife of Grand Duke Ferdinand II in a very elegant “Allegory of Justice”, probably commissio- ned directly by the Grand Ducal Family, that can be placed in the mid-thirties of 1600, at the peak height of his pictorial “Cursus”, that is in the inside landscape period of the dan- dinian artistic career, from the “bronze” fase to the “moon” one. The work is rich in appeal and erudite interpretative formulas, and for its magnificent execution, and its excellent chromatic definition, and its the considerable use of lapis lazuli, this canvans is one of the highest artistic achievements of Cesare Dandini, who in this work blends masterful- ly not only the trends of the Tuscan countryside impression Caravaggio and memories neo-bronziniani but also the sensual languor of Furini and Guido Reni.

Bibliografia: Giovanni Martinelli da Montevarchi pittore in Firenze” Ed. aSKa pg.73 fig.35 “Studi sulla pittura e scultura del ‘600 e ‘700 a Firenze” Ed. Polistampa, S.Bellesi pgg.16-19

Francesco Botti (Firenze 1640 - 1711)

Venere e Marte / Mars and Venus Olio su tela / oil on canvans cm.107,5x81

Il dipinto in esame raffigurante Venere e Marte risulta essere tra le opere migliori del nostro Maestro. Venere vestita di sontuosi abiti dai raffinati tessuti serici, impreziositi da gemme incastonate in oro, porge rose a Marte e Cupido. L’opera testimonia l’alta qualità raggiunta da Botti da mettere in relazione con la Santa Caterina della Collezione Luz- zetti, la Veronica di Ubicazione sconosciuta e la Sofonisba del Museo Civico di Monte- pulciano, anche se nella nostra raggiunge una più complessa ed articolata composizione. Un’opera molto simile, ma di qualità, a nostro parere, assai più bassa è conservata a Pa- lazzo della Camera di Montecitorio, Roma, proveniente dalle Gallerie di Firenze.

The present painting depicting Venus and Mars is amongst the best works of Francesco Botti. Venus dressed in sumptuous garments of fine silk cloth, with gold mounted gems, handing roses to Mars and Cupid. The work demonstrates the high quality achieved by Francesco Botti. The work have to be linked with St. Catherine of Luzzetti Collection, Veronica, unknown location, and Sofonisba of the Civic Museum of Montepulciano, al- though in our Botti reaches a best and more complex composition. A similar work, but of lower quality, in our opinion,is stored at the Palace of Montecitorio, , coming from the Gallerie of Florence.

Bibl. di rif.: Catalogo dei Pittori Fiorentini del ‘600, Sandro Bellesi, pg.95-97; Simone Pignoni, Francesca Baldassari, pg.189 n.17.

Maestro di Fontanarosa (Giuseppe di Guido?) (Attivo a Napoli nella prima metà del XVII secolo)

San Luca / St. Luke Olio su tela / oil on canvans cm.172x126

Il dipinto era nella collezione privata del pittore Arturo Chelini (1877-1942), con una comprensibile attribuzione a Battistello Caracciolo, da cui oggi si svincola un impor- tante corpus di dipinti che sono stati assegnati appunto al Maestro di Fontanarosa. La fortunata convenzione onomatopeica data da Raffaello Causa, anche se per un diverso ed eterogeneo gruppo di opere, deriva dalla prima e più significativa opera assegnatagli raffigurante una “Ultima Cena”, conservata nella parrocchiale di San Nicola, appunto a Fontanarosa in provincia di Avellino. Si deve poi a Ferdinando Bologna una riorganiz- zazione delle opere che hanno tutte una forte personalità di indirizzo parabattistelliana, e molto probabilmente da riconoscere nel “Joseph Guido di Napoli” (Nicola Spinosa) che nel 1632 veniva incaricato del completamento dell’intempiatura di San Gregorio Armeno ed in particolare della tavola lasciata incompiuta da Teodoro d’Errico detto Tanzio da Varallo, raffigurante una “Assunzione”. Il nostro dipinto raffigura un imponente San Luca a figura intera nell’atto di preparare i colori per dipingere la prima immagine mariana conosciuta dalla Cristianità. La veste è dipinta di un rosso cinabrio acceso mentre le mani e il volto quasi in penombra sono di un colore plumbeo. La gamba e in particolare il piede destro, di evidente invenzione caravaggesca, rompono la scena coinvolgendo lo spettatore al punto da sentirsi di fronte al discepolo.

The painting was in the private collection of the painter Arturo Chelini (1877-1942), with an understandable attribution to Battistello Caracciolo, which today have been assigned to the Master of Fontanarosa. The successful convention onomatopoeic given by Raffaello Causa, although for a different and heterogeneous group of works, is derived from the first and most significant work assigned depicting a “Last Supper”, preserved in the parish of St. Nicholas, just in Fontanarosa in the province of Avellino. Ferdinando Bologna reorga- nizated the works that all have a strong personality parabattistelliana address, and most probably noted in “Joseph Guido di Napoli” (Nicola Spinosa) who in 1632 was appointed to complete the painting left unfinished by Theodore d’Errico said Tanzio Varallo, in San Gregorio Armeno, depicting an “Assumption”. Our painting depicts an imposing San Luca full length in the act of preparing colours to paint the first picture Marian known by Christianity. The robe is painted with a lit red cinabrio while the hands and the face are almost twilight of a very dark color. The leg and in particular the right foot, an obvious Caravaggio’s invention, break the scene involving the viewer to the point of feeling in front of the disciple.

Alessandro Salucci e Jan Miel (Firenze 1590 – Roma post 1657) – (Beveren-Waes 1599 – Torino 1663)

Capriccio architettonico con la Statua dell’Ercole Farnese, Giulio Cesare e viandanti Fantastic scenery with harbour, ruins and wayfarers Olio su tela / oil on canvans cm.147x221

Il dipinto è stato ricondotto da Emilio Negro e riconfermato recentemente dal Prof. Gian- carlo Sestieri, alla documentata collaborazione, tra il fiammingo Jan Miel e il pittore di origine fiorentina , specialista nella realizzazione di architetture dipin- te. L’importante tela, di ragguardevoli dimensioni, raffigura in primo piano una sceno- grafica selva di arcate e colonnati, parzialmente in rovina, al cui interno si trovano alcune sculture classiche, riconoscibili in Ercole e in Giulio Cesare. Sullo sfondo è rappresentato un porto dominato dalla mole di una architettura di fantasia – Emilio Negro ha però notato il ricordo della facciata interna di Villa Medici a Roma – che nella sua esecuzione, immersa in un suggestivo controluce nella luce mattutina, appare influenzato dalle cele- bri invenzioni di . Il Prof. Sestieri lo ha giudicato quale “rilevante esem- pio” della collaborazione fra questi due importanti pittori, paragonando la tela in esame a quella della collezione Gerini di Firenze, o la grandiosa “Veduta portuale”, entrambe da lui pubblicate (2015, op.cit.III, nn.10b e 16 pgg.225 e 232). L’insieme architettonico e paesaggistico, riconducibile al Salucci, è vivacizzato da “sapide figure” di uomini e ani- mali eseguite dal Miel, che secondo Negro potrebbe essersi ritratto sulle scale intento a disegnare. Da notare infine la figura a destra che nel suo gesto scurrile denuncia la perdita dei valori dell’epoca.

The painting was led by Emilio Negro and recently confirmed by Prof. Giancarlo Sestieri, the documented collaboration between Flemish Jan Miel and Alessandro Salucci, painter of Florence origins who specialized in the painted architectures. This important and quite large painting features a scenic multitudes of arches and colonnades, partially in ruin, in the foreground; inside them we find a number of classic sculptures, recognizable in Hercules and Julius Caesar. A harbour is visible in the background - Emilio Negro has however observed parallels with the internal façade of the Villa Medici in Rome - of whi- ch rendition, bathed in a fascinating bachlight by the first rays of the morning sun, seems ispired by Claude Lorrain’s famous inventions. Prof. Sestieri has judged as “outstanding example” of cooperation between these two important painters, likened this painting to that of the Gerini’s Collection, Florence, and the great “Harbor view”, both published by him. The combination of the architectures and landscape, due to Salucci, is enlivened by “appealing figures” of men and animals painted by Miel, who may, according to Negro, be portrayed on the stairs, busy drawing. Worth noting, the right figure in his scurrilous gesture denounces the loss of values of the time.

Bibliografia/litterature: Catalogo della Mostra Tornabuoni

Antonio Maria Marini (Venezia 1668 - 1725)

“Battaglie” / “Battles” Olio su tela / oil on canvans cm.43x93

Queste due superbe battaglie di cavallerie sono un inedito significativo esempio del ricer- cato pittore Antonio Maria Marini. A lungo confuso con Marco Ricci, le sue opere, grazie a ben due monografie all’attivo (L.Muti e D. De Sarno Prignano / Silvia Proni), sono oggi abbastanza riconoscibili mo- strandoci una cifra stilistica alquanto originale e moderna per l’epoca, paragonabile alle opere del Magnasco e del Peruzzini, e come rilevato dal Morassi, non mancò di influen- zare anche il grande Francesco Guardi. Le pennellate larghe che possiamo vedere bene nelle opere da noi presentate, e il ductus pittorico rapido, sciolto, ma anche filamentoso e i tocchi luministici e le vivide macchiette cromatiche in lontananza ci offre un saliente saggio di alta qualità del Maestro veneziano. Il Prof. Sestieri le ha giudicate “tra le opere più significative di Antonio Maria Marini” (comunicazione scritta) e la dott.ssa Proni, che qui si ringrazia, dopo aver visionato dal vivo i dipinti, ha confermato trattasi di opere di alta qualità del pittore, da confrontarsi con le opere conservate al Museo di Padova, ripromettendosi di pubblicarle in un suo prossimo scritto.

These two superb battles of cavalry are an unpublished and fine example of the painter Antonio Maria Marini. Long confused with Marco Ricci, his works, thanks to two monographs (L.Muti and D. De Sarno Prignani / Silvia Proni), are now quite recognizable and show us an original and modern style for its time, comparable to the works of Magnasco and Peruzzini, and as noted by Morassi, he didn’t fail to affect also the Great Francesco Guardi. The broad strokes that we can see clearly in these works presented by us, and the pictorial ductus fast, loose, but also filamentous and touches luministic and vivid colour specks in the distance, gives us an important essay of the Venetian Master’s top quality. Prof. Sestieri has judged these to be “among the most significant works by Antonio Maria Marini” (written communication) and Dr. Proni, that here we would like to thank, after viewing the paintings, confirmed the high-quality works, to be compared with the works preserved in the Museum of Padua, promising to publish them in his next wrote.

Salvatore Candido (Operante a Napoli tra il 1823 e il 1869)

“Veduda del Golfo di Napoli da Mergellina” / “View of the bay of Naples from Mer- gellina” Olio su tela / oil on canvans cm.43x93

Firmato in basso / Signed lower left “Salv. Candido Pinxit 1833”.

Salvatore Candido è una tra le firme più ricercate dal mercato antiquatoriale, ma la sua identità costituisce ancora ad oggi, uno degli interrogativi irrisolti della pittura napole- tana dell’Ottocento. Non si conoscono documenti che possano illuminarci sulla sua bio- grafia, il suo nome non compare negli elenchi degli allievi del Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, eppure molte opere firmate e datate ci restituiscono l’immagine di un pittore raffinatissimo, che opera a Napoli tra il 1823 e il 1869. Si è pensato, dunque, che Salvatore Candido sia lo pseudonimo di uno dei protagonisti della Scuola di Posillipo e si è proposto di identificarlo con Salvatore Fergola o con Giacinto Gigante. Ma un autorevole studioso napoletano, Renato Ruotolo, ritiene che Salvatore Candido sia realmente esistito e possa essere un figlio o un nipote di Francesco Saverio Candido, pregevole ritrattista che operò alla fine del Settecento alla corte di Ferdinando IV e Maria Carolina. L’incertezza dei dati biografici non ha influito sulle quotazioni dell’artista, anzi l’enigma delle sue origini e della sua formazione costituisce uno speciale motivo d’interesse e di studio per quanti amano la pittura napoletana dell’Ottocento. (Fonte: Marco di Mauro)

Salvatore Candido is one of the most sought-after signatures in the antique market, but his identity is still to day, one of the unresolved questions of Neapolitan painting of the ni- neteenth century. There are no known documents that can enlighten us on his biography. His name does not appear in the lists of the students of the Royal Institute of Fine Arts in Naples, yet many signed and dated works give us the image of a refined painter, working in Naples between 1823 and 1869. It is thought, therefore, that Salvatore Candido is the pseudonym of one of the protagonists of the School of Posillipo and it was proposed to identify with Salvatore Fergola or Giacinto Gigante. But an influential Neapolitan scho- lar, Renato Ruotolo, believes that Salvatore Candido really existed and could be a son or a nephew of Francesco Saverio Candido, fine portrait painter who worked at the end of the eighteenth century at the court of Ferdinand IV and Maria Carolina. The uncertainty of biographical data did not affect the prices of the artist, even the riddle of its origins and its formation is a special reason of interest and study for those who love Neapolitan paintings of the nineteenth century. (Source: Marco di Mauro)

Coppia di candelieri Luigi XVI in argento. Genova, seconda metà del ‘700.

Fusto sbalzato a decoro fogliaceo con alla base decoro alla greca.

Punzoni: Torretta e datario (1)783?

Bibl. di rif.: L’Argenteria Genovese del ‘700. Boggero e Simonetti. (pg.174,177) Galleria di Palazzo Spinola. “Per allumare”. Argenti per la luce del Settecento genovese.

A pair of 18th italian silver candlesticks. Genova (1)783?. GALLERIA MATTA ANTICHITA’ Eposizione e Vendite: via Torino n°12 - 10038 Verolengo (TORINO) tel.+39.011.9149177 - +39.347.8620735 www.mattarte.it - [email protected]