biblioteca di testi e studi / 876

psicologia Dedichiamo questo volume a Giorgio Blandino, recentemente scomparso, docente universitario e maestro di vita.

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore

Corso Vittorio Emanuele ii, 229 6 Roma telefono      fax     

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it Uno sguardo al cielo

Elaborare il lutto

A cura di Paola Bastianoni e Paolo Panizza

Carocci editore a edizione, ottobre 13 © copyright 13 by Carocci editore S.p.A., Roma

Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari

Finito di stampare nell’ottobre 13 ???????????????????????

isbn ---6983-5

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.  della legge  aprile , n. )

Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. Indice

Prefazione 7 di Paolo Panizza

Introduzione 10 di Paola Bastianoni

Parte prima

1. Lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto 15 di Paola Bastianoni e Chiara Baiamonte

2. L’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato 31 di Maria Giulia Nanni, Rosangela Caruso e Luigi Grassi

3. Il lutto impossibile: perdere un figlio 42 di Fiorella Monti

4. Rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia 51 di Marilena Moretti

5. Sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla 63 di Stefano Caracciolo

6. Morti improvvise e violente: il trauma della perdita 72 di Paola Bastianoni

7. L’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali: le conse- guenze disconosciute del pregiudizio omofobico 83 di Chiara Baiamonte

8. La morte non è uguale per tutti 101 di Stefania Guglielmi

 indice

Parte seconda

9. L’elaborazione del lutto nel cinema 113 di Giordano Pariti

10. «Con la terra che ho spostato per seppellire il tuo corpo ho costruito una collina da cui contemplo il mondo». Installa- zione artistica 139 di Giordano Pariti

Riferimenti bibliografici 141

Gli autori 154

 Prefazione di Paolo Panizza

Riuscire ad offrire ai cittadini una possibilità in più per superare un momento difficile quale può essere la perdita di una persona cara; realizzare un servizio sperimentale di consultazione psicoterapeutica per le persone che, nell’affron- tare un lutto, trovano difficoltà nella sua elaborazione. Questo è stato l’obiettivo dichiarato dal quale siamo partiti quando abbia- mo dato inizio al percorso che si è poi concretizzato nel progetto “Uno sguar- do al cielo”. Per amsef si è trattato inizialmente di valutare al proprio interno quali erano e sono le possibilità per essere di sostegno a chi si rivolge a noi in un momento particolare e complicato. I risultati di indagine sulla soddisfazione dei nostri clienti per il servizio che offriamo sono decisamente lusinghieri; ma questo per noi non era sufficiente. Da un confronto fra chi opera in amsef si è avvertita la necessità di andare oltre al “buono, ottimo servizio e rapporto” con i nostri clienti ed offrire inve- ce qualcosa di più. In accordo con Holding Ferrara Servizi, di cui amsef fa parte, si è deciso di sostenere con forza questa iniziativa. Parlare di responsabilità sociale d’im- presa con queste premesse è persino troppo semplice, ma è innegabile che l’impegno di amsef è decisamente rivolto (e non solo per questa esperienza) in tale direzione. Si è iniziato a pensare ad un servizio di assistenza per l’elaborazione del lutto. Ognuno fa il suo mestiere e quindi chi poteva svolgere questo compito erano persone con capacità e competenze adeguate. Ma come costituire un gruppo di professionisti che potesse confrontarsi, formarsi e costruire un per- corso attorno a questi obiettivi? Per questo ci siamo rivolti al Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Ferrara. Con la prof.ssa Paola Bastianoni e la dott.ssa Chiara Baiamonte abbiamo avviato un dialogo sul “come fare”, ma anche sul “cosa fare”. Si sa che quando un’idea si sviluppa assume sempre delle sfumature imprevedibili. E così si è passati dalla “semplice ricerca” di psicoterapeuti del territorio, con esperienze diverse sul lutto ma disponibili a condividere ed impegnarsi in questo percor-

 paolo panizza so, ad un progetto più esteso, a valenza culturale diffusa, avviando quindi nello stesso tempo un percorso di avvicinamento all’elaborazione del lutto ri- volto alla cittadinanza più ampia. Si sono progettati e preparati incontri pubblici, una mostra sul tema e un percorso di formazione/supervisione per i professionisti interessati a diventa- re punti di riferimento per i cittadini. Una sola nota per dire quanto del tema del lutto non si parli pubblicamen- te e di quanto invece ce ne sia bisogno. Il primo luogo che avevamo ipotizzato per svolgere gli incontri era stato individuato in una sala capiente, molto ca- piente per le nostre aspettative, una sessantina di posti a sedere. Dopo il primo e il secondo appuntamento, data la numerosa partecipazione, il “trasloco” in una sede più ampia si è reso obbligatorio. Una delle aule magne dell’Univer- sità, l’Aula Magna Drigo del Dipartimento di Studi umanistici, ha ospitato il ciclo completo di “Uno sguardo al cielo”. La collaborazione fra amsef e l’Università degli Studi di Ferrara alla fine ha prodotto un progetto che si è articolato in tre diversi momenti: a) attivazione di un ciclo di conversazioni sui temi relativi all’elaborazione del lutto tra psicologi/psicoterapeuti e cittadinanza. La finalità di questo ciclo di conversazioni è aiutare persone colpite di recente e/o nel passato da eventi dolorosi e drammatici come la morte di un congiunto, di un amico, di una persona significativa, o chi semplicemente vuole avvicinarsi al tema della mor- te, elaborare i propri vissuti legati a eventi drammatici ma naturali, ricorrenti e universali che accomunano tutti gli esseri umani; b) presentazione della mostra dell’artista Giordano Pariti “Con la terra che ho spostato per seppellire il tuo corpo ho costruito una collina da cui contemplo il mondo”; c) progettazione/attivazione/valutazione di un servizio sperimentale di assi- stenza al lutto per i clienti di amsef (e non solo) realizzato attraverso una rete di professionisti coordinati dalla prof.ssa Paola Bastianoni del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Ferrara che si è impegnata a promuove- re/monitorare e valutare un modello terapeutico breve di elaborazione al lutto, finanziato e sostenuto da amsef, nella sua fase di sperimentazione, verifica e implementazione. Nel corso dell’anno 2012-13 è stata realizzata una serie di incontri pubblici sull’elaborazione del lutto con proiezioni di film su tematiche legate al dolore per la perdita di un figlio, al trauma di un suicidio, alle morti violente sulle strade, alla specificità dell’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali, al trauma di un bambino che ha perso un genitore; è stata allestita alle Grotte del Boldini la mostra dell’artista Giordano Pariti; si è poi passati alla formazione degli psicoterapeuti e alla costruzione di un gruppo di esperti, infine alla for- mulazione di un modello di intervento breve di 12 incontri, il primo dei quali

 prefazione economicamente sostenuto da amsef. La sperimentazione di tale modello di intervento è partita il 1° giugno 2013 con l’offerta del primo colloquio gratuito per i clienti amsef, in realtà poi esteso ad altri cittadini non clienti. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo? Per i sistemi di valutazione sia oggettivi che soggettivi sarei tentato di dire di sì. Ma mai come in questo caso il raggiungimento completo dell’obiettivo assomiglia sempre più all’ di Eduardo Galeano: «Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allonta- na di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’uto- pia? Serve proprio a questo: a camminare». Anche il nostro è un cammino appena iniziato. Per compierlo serve una condivisione ampia, con una collaborazione tra le aziende del sistema funera- rio ferrarese, tra professionalità diverse che consenta, anche nel futuro, di ac- compagnare le persone colpite da un lutto attraverso tutte le fasi che caratte- rizzano tale processo, offrendo, a diverso titolo, aiuto e sostegno in un momen- to così difficile.

 Introduzione di Paola Bastianoni

Stride, nota acre, d’uccello lacerante quando vede il fondo del nido suo deserto, e i piccoli scomparsi. Quella uguale, come vede morta nudità ululò, pianse, maledisse, male parole con- tro i delinquenti autori del delitto. Poi di volo porta pugno di polvere bruciata, alza una brocca di metallo martellato, fa spiovere tre volte l’aspersione e così consacra il morto. Sofocle, Antigone, ii episodio

Il gesto di Antigone, eroina tragica con la sua scelta di seppellire il fratello – no- nostante l’editto del tiranno Creonte che stabiliva onori funebri per il corpo di Eteocle e l’abbandono di quello di Polinice, lasciato insepolto, ai cani e agli uc- celli, con il divieto di piangerlo –, è da sempre considerato, in letteratura, l’atto di ribellione per eccellenza; il gesto emblematico della contrapposizione tra le leggi umane e le leggi di ordine superiore (quelle divine, quelle dei legami affet- tivi, quelle che tutelano i diritti degli uomini); ma, non appena la figlia di Edipo sveste i panni dell’eroina, il suo diventa il gesto descrittivo di una sepoltura com- piuta da una donna in lutto al pari di quelle che, nell’antica Grecia, aprivano i cortei funebri. Antigone in ginocchio mima, allungando alternamente le braccia verso terra, il gesto di raccogliere polvere per riporla dentro la bocca; poi versa, con le mani dalla bocca, la polvere raccolta sul corpo di Polinice. È una azione in due tempi che si completa nella distanza: inizia nel dialogo con la sorella Ismene, in una schietta e rapida dichiarazione di intenti («Non l’abbandono», «Ammucchierò una tomba», «A lui laggiù darò una fossa») e si realizza, davanti al corpo inerte di Polinice, in movimenti delle braccia, delle mani, della testa che, all’immagina- zione del lettore che riesce a visualizzare la scena, o alla vista dello spettatore a teatro, appaiono tanto più ampi e marcati quanto più si accostano e si raffrontano con l’immobilità della morte. È il gesto fortemente connotato dalla possibilità di compiere un atto estremo di cura (in una traduzione, la guardia che arresta la donna in flagranza di reato riferisce di aver preso Antigone mentre «accudiva il morto») su un corpo oggetto di attenzioni sacre e che, pertanto, diventa sacro anch’esso, imponendo a sé e al mondo la necessità di non lasciare soli i morti finché rimangono alla vista dei viventi, concedendosi il tempo indispensabile al commiato. L’impresa è costruita sull’immagine dell’uccello che riempie il becco di cibo per ridistribuirlo ai suoi piccoli: è dunque cura materna, legata al nutri- mento. È come se Antigone nutrisse il corpo del morto Polinice del cibo che gli spetta: la terra. Terra nutrimento dei morti e sepoltura atto di nutrizione: restituisce al morto il cibo che è suo, la terra che serve a ricoprirlo, e ai viventi il proprio dolore, quello della madre che trova il nido vuoto e che non potrà più ripetere quel ritua- le di nutrimento.

 introduzione

Se l’uccello non torna a nutrire gli implumi, nessuno saprà che il nido è vuoto; in assenza di Antigone non c’è Polinice; dove non c’è sorella che piange non c’è il corpo consacrato di un fratello, ma un ammasso di carne freddo e putrescente. Ed è cosi infatti che la guardia, testimone scomodo ed emotivamente distaccato, de- scrive il corpo di Polinice, senza poter fare a meno però di memorizzare e di rac- contare tutta la sequenza della gestualità di Antigone; per lui cronaca di una de- nuncia, ma per chi osserva coinvolto, immagini evocative di un lutto, di una prima presa di contatto con il dolore e con la perdita, con una assenza che è ancora presenza: è morto il fratello di Antigone, non il traditore, non l’eroe mancato. Sono immagini evocative della solidarietà familiare e amicale che si attiva nelle comunità dove la morte è ancora una questione “pubblica”, dove il pubbli- co non è quello assetato di notizie, ma spettatore partecipe che sente, che osserva, che accompagna, che supporta anche molto tempo dopo l’evento luttuoso. Nello scenario della morte violenta Antigone entra e, nel gesto plateale del rito funebre, smuove esattamente la terra che le serve per non affossare né corpo né dolore, senza fare troppo rumore, e, nel silenzio rispettoso del proprio sentire e del pro- prio legame affettivo, espone la sua intimità che è solitudine con il morto. Dall’an- nuncio di un intento di sepoltura fino alla sua realizzazione concreta, concede uno spazio, anche mentale, alla separazione e, nel tempo che le occorre, nella pausa ritualizzata del lutto, trova il proprio modo di salutare per l’ultima volta. Eroi e uomini, dunque, accomunati dagli stessi eventi drammatici ma natura- li, ricorrenti e universali: tale consapevolezza facilita l’avvicinarsi al tema della morte e l’elaborazione dei vissuti ad essa legati. Non sempre il lutto, però, evolve secondo un iter fisiologico. Questo volume, che, come anticipato nella Prefazione, prende le mosse dal progetto “Uno sguardo al cielo – Percorso di avvicinamento all’elaborazione del lutto”, si pone come obiettivo l’analisi dell’evoluzione del processo del lutto, reazione naturale ad una perdita significativa, ma anche delle complicazioni che tale processo può presentare, soffermandosi sulle peculiarità caratterizzanti i diversi eventi luttuosi e traumatici che possono verificarsi nel corso della nostra esistenza. Il libro si compone di una Parte prima in cui diversi autori, con una profes- sionalità specifica sui traumi psicologici, sui lutti e sulle conseguenti problemati- che psicologiche e cliniche in bambini, adolescenti, adulti e coppie, affrontano alcune tematiche particolari inerenti l’elaborazione di lutti complicati; e di una Parte seconda in cui Giordano Pariti concede la parola al grande potenziale evo- cativo dell’arte nell’elaborazione del lutto: cinema e arte contemporanea. Il cap. 1, Lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto, di Paola Bastianoni e Chiara Baiamonte, è focalizzato sul lavoro del lutto e fornisce un approfondimento teorico sul processo di elaborazione del lutto normale che pre- vede una serie di tappe che dovrebbero permettere al soggetto di rinunciare gra- dualmente all’oggetto perduto, tornando ad investire gradualmente su altri og- getti e/o attività realmente disponibili; esso si sofferma inoltre sulle condizioni e gli aspetti (fattori di rischio) che intervengono nel complicare tale processo fino

 paola bastianoni a inibirlo, rendendo patologico un percorso che, nella normalità, consente all’in- dividuo di recuperare in un tempo definito le perfomance, la stima di sé e il be- nessere conosciuti e sperimentati prima della perdita. Nel cap. 2, L’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato, Lu- igi Grassi e le sue collaboratrici analizzano gli aspetti e i diversi fattori che influen- zano la preparazione al commiato e la successiva elaborazione della perdita nei familiari che affrontano il sostegno e le cure di un congiunto gravemente amma- lato o affetto da una lunga malattia, nella fase terminale della malattia e nella fase successiva alla perdita, soffermandosi sulle caratteristiche del lutto anticipatorio e del lutto complicato. Nella sua parte finale, il breve capitolo dedica un appro- fondimento alla disamina dei fattori di rischio per l’insorgenza di disturbi psico- sociali o psichiatrici nei familiari di pazienti affetti da cancro, riportando i risul- tati di ricerche recenti compiute sul tema. Nel cap. 3, Il lutto impossibile: perdere un figlio, Fiorella Monti affronta con delicata e rispettosa scientificità la più devastante tra le rotture traumatiche: la perdita di un figlio. Il capitolo si sofferma sulla conseguenza più imponente, a li- vello psicologico, determinata dalla morte di un figlio/a, definibile come una “disgregazione catastrofica” che comporta nel genitore la devitalizzazione dei processi di pensiero e del suo mondo emotivo. L’autrice con la metafora della “candela che si riaccende dopo il buio” introduce e approfondisce il tema della riorganizzazione della vita; della possibilità e della speranza cioè di riemergere da un dolore così intenso, strappando alla morte emotiva tutto ciò che è possibile, attraverso la condivisione e la vicinanza familiare e sociale, oltre al sostegno psi- cologico. Nel cap. 4, Rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia, Marilena Moret- ti effettua un’esaustiva rassegna della letteratura psicologica sul tema della riela- borazione della perdita di uno o di entrambi i genitori da parte dei figli che riman- gono orfani nell’infanzia, soffermandosi sull’impatto che tale evento traumatico ha sia sul figlio/a che sul genitore sopravvissuto. Adottando come frame teorico la teoria dell’attaccamento, l’autrice approfondisce la stretta interconnessione nell’infanzia tra processi di elaborazione del lutto e riorganizzazione dell’attacca- mento. Nel cap. 5, Sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla, Stefano Caracciolo affronta il tema della specificità dell’elaborazione del lutto nei fami- liari di persone suicide: il suicidio di un genitore, di un adolescente, di un coeta- neo, del coniuge, di un anziano. Focalizzando l’attenzione sulla complessità delle reazioni emotive conseguenti a tali eventi, viene descritto e discusso il percorso di sostegno e di aiuto che consente di dare voce al “dolore di cui non si parla”. Nel cap. 6, Morti improvvise e violente: il trauma della perdita, Paola Bastia- noni si sofferma sulle perdite affettive inattese, violente e a volta ingiustificabili, e sulle dinamiche psicologiche specifiche che comportano, nell’elaborazione del lutto, eventi che determinano per le persone colpite una perdita plurima e aggra- vata, portando una riflessione su come avviene l’elaborazione del lutto in queste

 introduzione situazioni e su come essa possa essere facilitata da una comunità accogliente e solidale e/o da professionisti chiamati a intervenire per le complicanze più signi- ficative. Chiara Baiamonte nel cap. 7, L’elaborazione del lutto nelle coppie omosessua- li: le conseguenze disconosciute del pregiudizio omofobico, affronta il tema – se- guendo il filo narrativo di alcuni testi e film – dell’aggravante specifica nei pro- cessi di elaborazione del lutto nelle persone che perdono un compagno/a dello stesso sesso, dovuta al pregiudizio omofobico che nega ai vedovi/e omosessuali quell’importante sostegno sociale e quel sentimento di accoglienza e condivisione che mitiga gli effetti più devastanti e immediati della perdita del proprio partner. La parte conclusiva è dedicata alla preparazione/formazione/sostegno da fornire a professionisti ed operatori sanitari che si occupano di lutto nella decostruzione dei propri pregiudizi omofobici, facilitando la messa in gioco di competenze tec- niche, empatia e coinvolgimento umano per ridurre movimenti difensivi, spesso inconsapevoli, che possono interferire con la condivisione autentica di affetti con le persone omosessuali in lutto. Conclude questa Parte prima del volume il cap. 8, La morte non è uguale per tutti, di Stefania Guglielmi che, riprendendo il tema della specificità dell’elabo- razione del lutto nelle coppie omosessuali, completa le considerazioni e le rifles- sioni psicologiche del capitolo precedente con un interessante e specifica revisio- ne degli effetti pregiudizievoli e discriminatori che una legislazione omofoba, come quella italiana, produce sulle persone omosessuali che perdono il proprio partner. Guglielmi denuncia il prioritario interesse del legislatore alla riconduzio- ne del patrimonio del defunto al sistema familistico designato dalle norme sul matrimonio e sulla filiazione, senza alcuna attenzione alla gravità della conseguen- te discriminazione tra persone eterosessuali e omosessuali, nonostante siano ugualmente coinvolte in un progetto di vita comune e/o familiare. La Parte seconda del volume, come si accennava, è dedicata all’elaborazione del lutto nel cinema e nell’arte. Giordano Pariti completa il percorso sull’elabo- razione del lutto con due interessanti lavori: una filmografia ragionata per temi sull’Elaborazione del lutto nel cinema (cap. 9) e la documentazione fotografica di una sua installazione artistica realizzata a Ferrara nel gennaio 2013 dal titolo Con la terra che ho spostato per seppellire il tuo corpo ho costruito una collina da cui contemplo il mondo (cap. 10). Il cinema come strumento per riflettere sull’evento luttuoso suggerisce nuove strategie di superamento del dolore legato alla morte e situa l’esperienza soggettiva nell’universale della vita dove le esistenze si incrocia- no, si riconoscono, si sovrappongono nel tentativo di reagire alla paralisi emotiva generata dalla scomparsa di una persona cara. Allo stesso modo, l’installazione artistica narra di un lutto privato, familiare che diviene destino comune e si con- fronta non con la perdita definitiva ma con la presenza dell’assenza, trasformando il vuoto della perdita nel pieno di una collina da dove ricominciare con un nuovo sguardo sul mondo che accetta l’abisso e compone nuovi percorsi di vita.



1 Lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto di Paola Bastianoni e Chiara Baiamonte

Io esisto ancora, tu non ci sei più, come parli di te o non ne parli, sono sempre minacciata dal pianto. Devo fare ricorso più volte nella giornata a una pacatezza alquanto più ragione- vole, rallento il ritmo, abbasso il tono della voce, economizzo gli aggettivi. La tua morte ha rarefatto l’atmosfera. Niente ha alcun potere sulla morte, luogo della sconfitta della parola, eppure abbiamo parlato per 40 anni io e te; adesso parlo solo io, tu non parli più, non c’è risposta, né un sorriso, niente. Lidia Ravera, Sorelle (1994)

1.1 Introduzione

Perché è ancora importante parlare del lutto nonostante l’ampia letteratura scientifica e divulgativa esistente? Perché è ancora utile ricordare la necessità dell’ascolto attivo, e non solo professionale, dovuto a chi vive un lutto? Sem- plicemente perché oggi, più che in altri periodi storici, la parola restituita al lutto riempie uno spazio vuoto: una solitudine angosciosa, un non detto che fa male, una modalità sbrigativa e imbarazzata di interrompere un dialogo con qualcuno che non si riesce a consolare, un silenzio che ci si è imposti per non disturbare gli altri, un pianto trattenuto per non interrompere la concentrazio- ne sulla produttività richiesta, un rifiuto ad un invito di amici per non appe- santirli con il proprio dolore, un ritiro in sé al riparo da quelle pratiche quoti- diane rievocative di una perdita che non si riesce ad accettare. In questo clima sufficientemente esteso da essere considerato prevalente nel panorama della vita urbana occidentale, il più grande ostacolo all’elabora- zione del lutto non è la morte in sé e neppure l’esperienza difficile del dolore, non è il lavoro psichico dell’elaborazione ma è il disconoscimento stesso della morte a partire da quelle regole sociali che governano la nostra quotidianità. Regole esplicite che restringono alla sepoltura e al disbrigo di pratiche buro- cratiche il tempo riconosciuto al lutto; regole implicite che rimandano ad un codice non formalizzato che impone discrezione e silenzio emotivo: non è concesso distrarsi dai propri doveri, dai propri impegni, dalle proprie respon- sabilità; la sola distrazione ammessa è distrarsi dai propri vissuti di perdita, dall’angoscia dell’assenza di chi era con noi e non c’è più; e chi non sta ai

 paola bastianoni / chiara baiamonte patti, chi non ce la fa in tempi veloci a riorganizzarsi e a ripristinare uno stile affettivo, comportamentale di vita simile al precedente viene segnalato come inadeguato/problematico/patologico. Le ragioni profonde dell’instaurarsi di questo atteggiamento culturale nel- la nostra epoca sono complesse e molto discusse in letteratura (Campione, 2003; Ariès, 1985; De Spelder, Strickland, 2001), ma ciò che in questo contesto ci interessa evidenziare sono le gravi conseguenze, in termini di sofferenza psichica e di esiti psicopatologici e/o psicosociali importanti, che derivano alla singola persona da questo atteggiamento generale e generalista di misco- noscimento e di minimizzazione del lavoro di elaborazione del lutto. La prima e più grave conseguenza per coloro che non sanno distrarsi dal lutto è l’isolamento. Le persone vicine a chi sta soffrendo per la perdita di una persona significativa fanno molta fatica a trovare uno spazio di accoglienza e l’imbarazzo, lo sguardo che si richiude in se stesso, la porta che si apre solo quando si è sicuri che l’altra sia appena stata chiusa sono le risposte più con- suete, più frequenti e meno colpevoli. Non ci sono pratiche educative che vengano trasmesse all’interno delle famiglie, nelle scuole, nel mondo del lavo- ro e/o del volontariato per aiutare chi vive un lutto importante e chi gli è vici- no. Le modalità più comuni e frequenti rimandano ad una minimizzazione dell’esperienza intensa, ambivalente e faticosa che sostanzia il lavoro psichico del lutto. In questo capitolo focalizzeremo l’attenzione sul lavoro del lutto e su qua- li siano le specificità riconoscibili nei diversi percorsi intrapresi dalle persone che affrontano questa esperienza nel corso della loro vita al fine di riflettere sulla complessità di un compito evolutivo comune a tutti noi, ma dalle varian- ti così articolate da richiedere una comprensione che possa facilitare empatia, riconoscimento e accoglienza affettiva di un dolore le cui espressioni sono sovente confuse con disinteresse, noncuranza o colpevole aggressività.

1.2 Il lavoro del lutto

La morte è inequivocabilmente un evento atteso, naturale, inevitabile, ma ciò di cui vogliamo occuparci in questo contesto non riguarda la natura biologica dell’evento in sé e neppure i suoi significati culturali e sociali, né gli eventi ri- tualizzati che trasversalmente alle epoche storiche e alle culture hanno orga- nizzato specifiche e condivise modalità collettive di interpretazione e di riela- borazione della morte, bensì le diverse modalità di portare a compimento questo comune e universale compito evolutivo che tutte le persone affrontano nel corso della vita.

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto

È esperienza condivisa la percezione che esista una profonda diversità sull’impatto che la morte ha sulle persone sopravvissute. Quando la perdita è significativa, come la morte di un genitore, di un figlio o del coniuge, la dimen- sione della morte si sente più vicina: non tanto nel tempo, quanto nel pensiero. Quando subiamo un lutto, perdendo una persona a noi cara, prendiamo co- scienza della morte, intesa come fase conclusiva del ciclo vitale, ma prendiamo coscienza anche dell’inevitabilità di una fine. È la fine di una vita, la nostra, quella trascorsa fino a quel momento assieme alla persona persa. La perdita di routine e di rituali quotidiani con i quali avevamo strutturato la nostra esisten- za: gestualità condivise, azioni ripetute e rassicuranti; sincronie, a volte diffici- li, ma attese; dialoghi esterni e interni; consapevolezza di sentire ed essere sentito/a. Con la morte dell’altro significativo si interrompe immediatamente la re- altà consolidata e consolatoria esterna ma non cessa il legame con chi non c’è più, semplicemente – o con grande difficoltà e ambivalenza – si trasforma. Cos’è il lutto, dunque, se non questo inevitabile, e a volte impossibile, compito di riorganizzazione interna in assenza fisica della persona significati- va? Cos’è il lutto se non la rivisitazione interna di sé e dell’altro, dei significati attribuiti a quella relazione e a tutte le relazioni significative della propria vita? Una risignificazione necessaria ma, a volte, talmente dolorosa da diventare impossibile. Il dolore interviene potentemente a inibire ogni processo di ac- cettazione della perdita, di riconoscimento e di elaborazione e il lutto rimane incistato in una negazione potente ma, a suo modo, protettiva, per riemergere nel tempo, a volte a distanza di anni o di decenni, con tutto il peso e la fatica di ciò che non si è potuto vedere, accettare, accogliere, rielaborare prima. Cos’è il lutto se non la capacità di comprendere la natura del legame con la persona persa, i significati attribuiti a quel legame, le emozioni a cui sono state ancorate definizioni di sé e dell’altro? Cos’è il lutto se non, in ultima analisi, sperimentare, attraverso la circostanza della perdita, la natura della nostra esistenza, della nostra struttura psicologica, della nostra identità, dei nostri limiti e delle nostre potenzialità? Lutto e identità sono un binomio ineludibile laddove obbligatoriamente, confrontandoci con la perdita, ci confrontiamo con la nostra più intima e ar- caica struttura psichica, con il Sé che si è strutturato tramite la relazione con l’altro significativo in un momento così precoce della nostra esistenza psichica, in cui il ricordo era affidato alle emozioni e alla percezione fisica che l’altro era in grado di restituirci tramite la cura destinata al nostro corpo. La perdita di un altro significativo nel corso della nostra esistenza rimanda a questo mondo psichico arcaico in cui la presenza e l’assenza fisica dell’altro segnavano i limi- ti stessi della nostra esistenza, del nostro benessere e del nostro malessere in assenza e/o in presenza dell’altro. Non c’è dubbio allora che il lutto per la

 paola bastianoni / chiara baiamonte perdita di una persona significativa rappresenti sempre nell’esperienza umana un fattore potenzialmente traumatico, poiché comporta uno sconvolgimento interno insito nella natura stessa della rottura di un legame con un oggetto significativo. La letteratura psicologica, fin dai suoi esordi, distingue l’esistenza di un lutto normale e di un lutto patologico (Freud, 1973; Lindermann, 1944; Kübler- Ross, 2001; Bowlby, 2000; Stroebe, 1987; Campione, 1990; Pringerson, 1995; Parkes, Weiss, 1983; Parkes, 1996; Bacqué, 1992, 1997; Fava Vizziello, Pasquato, 2010) sottolineando come la dimensione normale del lutto comporti comun- que un’intensa sofferenza psicologica e sintomi che, pur ricordando disturbi classificati come patologici, rimandano ad una normale evoluzione della rea- zione alla perdita. Tutti gli autori, pur nella specificità della descrizione e dell’interpretazione data al lavoro psichico del lutto, concordano sulla sua natura processuale che si snoda in fasi e tempi necessari ad accettare la perdi- ta e a riprendere interesse per la vita. Questo percorso prevede l’alternanza e/o la coesistenza di stati emotivi intensi e contrastanti la cui natura ambivalente ha la funzione di mantenere un equilibrio psichico atto a contrastare l’intensi- tà destabilizzante dei profondi ed intensi eventi stressogeni, sia interni che esterni, connessi all’esperienza della morte per raggiungere, nel tempo, un autentico contatto emotivo con il dolore della perdita subita, in modo tale da poterla affrontare, metabolizzare e superare. Il processo di elaborazione dovrebbe permettere al soggetto di rinunciare gradualmente all’oggetto perduto, tornando ad investire affettivamente su altri oggetti e/o attività realmente disponibili. Le teorizzazioni psicodinamiche sul lutto sono caratterizzate dal comune riconoscimento di un ruolo centrale attribuito al lavoro psichico innescato dall’evento luttuoso che si compie attraverso un confronto del sopravvissuto con immagini, pensieri, memorie e affetti legati alla persona perduta (Aprea, 2008). Tale processo svolge la funzione di evocare e dare rappresentazione alle violente e perturbanti emozioni sollecitate dalla perdita, di per sé indici- bili, favorendone così l’elaborazione, sia individuale che collettiva. Un lavoro psichico ben compiuto consente all’individuo di riuscire a confrontarsi con la realtà della morte, di analizzare la natura del legame con la persona perduta, di accettare il mutamento di vita generatosi in conseguenza della sua scompar- sa e consente di pervenire ad un adattamento alla nuova realtà riuscendo ad investire nuovamente con nuove spinte vitali. I meccanismi e le dinamiche psichiche considerate essenziali ed esplicative del lavoro psichico che accompagna il lutto variano a seconda degli autori e della prospettiva psicodinamica utilizzata. Nello specifico, le prime teorizzazioni si rifanno ai modelli depressivi che interpretano il cordoglio come una reazione emotiva alla perdita avente simi-

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto larità e possibili sovrapposizioni con i fenomeni psichici della depressione (Freud, 1973; Abraham, 1978; Fenichel, 1926), mentre nelle teorizzazioni più recenti il lavoro del lutto è considerato il risultato di un compito svolto dall’in- dividuo in stretta interdipendenza con l’ambiente, che risente, per il suo esito finale, delle dinamiche intercorrenti tra fattori/processi protettivi e a rischio a carico dell’ambiente e caratteristiche individuali di vulnerabilità e resilienza. Nello specifico, le due teorizzazioni a tutt’oggi più accreditate rimangono l’in- terpretazione del lutto fornita da Bowlby negli anni Settanta sulla base dei costrutti interpretativi elaborati nella teoria dell’attaccamento e il successivo modello dpm (Dual-process Model) che, sempre a partire dal frame teorico della teoria dell’attaccamento, interpreta il lavoro sul lutto come l’espressione di un funzionamento più o meno adeguato di opportune strategie di coping impiegate dalla persona in lutto a partire dal periodo immediatamente succes- sivo alla perdita (Worden, 1991). In accordo con i modelli teorici in auge negli anni Ottanta, il dpm integra la teoria dello stress cognitivo (Larazus, Folkman, 1984) alla teoria dell’attaccamento (Bowbly, 1980), postulando che la perdita di una figura di riferimento, rappresentando una fonte di stress importante, in- duce nella persona la necessità del superamento e dell’integrazione di due compiti fondamentali per l’elaborazione del lutto ed entrambi sottoposti a fonti stressogene imponenti: l’elaborazione della perdita, che implica un pro- cesso psichico focalizzato all’interno (coping loss-oriented) rivolto alla soluzio- ne di una triplicità di obiettivi indispensabili per l’elaborazione della perdita: accettazione della perdita; risignificazione della stessa sia in senso positivo che negativo; ricollocamento del legame con la persona morta nel ricordo che, ri- conoscendo l’assenza fisica, consente l’accesso del legame alla vita attuale. Infine vi è la riorganizzazione e il conseguente reinvestimento verso l’esterno realizzato attraverso opportune strategie (coping restoration-oriented) anch’es- se considerate come fonti addizionali di stress, ansia e sconvolgimento, perché conseguenze dirette dell’evento traumatico (occuparsi di attività che prima non venivano svolte, trasferimenti, ricerca di un lavoro o cambiamento di oc- cupazione come conseguenze strettamente dipendenti dalla morte e dal con- seguente cambiamento di staus, di risorse economiche, di tempo ecc.). Una componente centrale di questo modello è rappresentata da quello che viene definito oscillazione, ossia il processo dinamico, funzionale all’alternanza dell’investimento psichico sui compiti connessi sia alla perdita che alla riorga- nizzazione. Riportiamo ora l’attenzione sul processo del lutto. Elisabeth Kübler-Ross, negli anni Settanta, per prima ha individuato cinque fasi (negazione, ira, pat- teggiamento, depressione, accettazione) che sono considerate ricorrenti sia nelle persone che affrontano la comunicazione riguardante la propria futura morte, nel caso di malati oncologici ad esempio, sia in coloro che affrontano

 paola bastianoni / chiara baiamonte la perdita di una persona significativa. Nella stessa direzione descrittiva si muove Bowlby che nel 1979, definendo il lutto come una gamma molto ampia di processi psicologici consci ed inconsci instaurati dalla perdita di una perso- na amata, a prescindere dal risultato finale di tali processi, distingue quattro fasi (torpore o stordimento, struggimento, disperazione, accettazione e riorga- nizzazione) che mantengono aspetti di sovrapposizione con quelle descritte dalla Kübler-Ross. Più recentemente anche Campione (1990) è pervenuto ad una ridefinizione del processo di rielaborazione del lutto normale identifican- do cinque fasi successive: shock, negazione, rabbia e senso di colpa, accetta- zione e disperazione, risoluzione. Al di là delle differenze e delle ampie concordanze fra tali descrizioni processuali del personale lavoro sul lutto, ciò che ci preme sottolineare è che l’idea comune soggiacente a tali intenti descrittivi sia rintracciabile nella co- mune e condivisa opinione che vi sia una reazione umana normale alla perdita, che prevede un’iniziale resistenza all’accettazione di tale evento, accompagna- ta dalla sensazione di irrealtà e da una sorta di anestesia mentale che protegge dai correlati emotivi di una realizzazione troppo precoce dell’ineluttabilità dell’evento morte. A queste prime reazioni seguono manifestazioni anche vio- lente di dolore e disperazione e la sperimentazione di intensi sensi di colpa, tristezza e nostalgia profonde che indicano la presa di consapevolezza della realtà. Le dolorose emozioni negative possono durare a lungo, attraversare periodi in cui sembrano diminuire per poi essere nuovamente riattivate da eventi o da ricorrenze significative (anniversari, festività, compleanni) (Fava Vizziello, Pasquato, 2010). Il processo di elaborazione del lutto è dunque un vero e proprio lavoro psichico (Freud, 1973) che richiede tempo ed energie perché si possa transita- re dal dolore della perdita, e dalla conseguente depressione e disperazione, ad un’accettazione della perdita stessa: lasciare andare la persona perduta, man- tenerla con sé nel ricordo superando un dolore totalizzante per reinvestire nella vita presente (Kübler-Ross, 2001; Bowlby, 2000; Campione, 1990). Il lavoro sul lutto secondo Bowlby si snoda nelle seguenti quattro fasi, ciascuna caratterizzata da emozioni diverse. La fase 1 è connotata da dispera- zione acuta riconoscibile nelle ricorrenti manifestazioni di stordimento e pro- testa: immediato rifiuto e crisi di rabbia e di dolore; il tempo di durata varia da alcuni momenti ad alcuni giorni e può interessare periodicamente la perso- na per tutta la durata del processo di lutto. La fase 2 è connotata da intenso desiderio e ricerca della persona persa ed è caratterizzata da irrequietezza fisica e da preoccupazione eccessiva verso il defunto; può durare alcuni mesi o anche anni in forma attenuata. La fase 3 viene descritta come un periodo di disorga- nizzazione e di disperazione e la realtà della perdita inizia ad essere accettata; è dominata da un sentimento di irrealtà e di ritiro in se stessi con tratti ricono-

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto scibili di apatia e indifferenza associati a episodi di insonnia, di calo pondera- le e di perdita di interesse e di coinvolgimento. Il pensiero è dominato dai ri- cordi e dalla conseguente delusione derivata dall’assenza irrevocabile della persona perduta. La fase 4, infine, è caratterizzata dalla riorganizzazione, du- rante la quale gli aspetti acuti del dolore tendono a ridursi e si comincia ad avvertire un ritorno alla vita. La persona perduta viene ora ricordata con un senso di gioia, ma anche di tristezza, e la sua immagine viene interiorizzata. Queste quattro fasi non sono sempre distinguibili nettamente, ma nell’e- sperienza reale presentano aree di intersecazione e sovrapposizione secondo percorsi non lineari. La riorganizzazione conseguente al completamento del lavoro del lutto comporta, come abbiamo più volte ribadito, una rappresenta- zione aggiornata dell’immagine di sé, degli altri e del mondo, con un ritorno alle attività sociali esterne e alla possibilità di nuovi legami significativi. La fase di riorganizzazione è quella che Bowlby definisce la risoluzione psicologi- ca ottimale per superare l’evento doloroso. Tale processo implica due compiti: a) l’accettazione della perdita, il ritorno alle attività quotidiane e la formazione di nuovi legami affettivi significativi; b) il mantenimento del legame simbolico con la persona persa e la sua integrazione nell’attualità. Il lavoro del lutto nella fase di riorganizzazione risente dell’equilibrio tra i sottosistemi coinvolti nell’elaborazione della perdita: iperattivazione e deattivazione; con il primo si fa riferimento alla riattivazione ripetuta di ricordi concernenti la persona per- duta, la realizzazione che non tornerà piú, il desiderio di riottenere la sua vici- nanza e il suo amore. Questi aspetti permettono al soggetto in lutto di com- prendere il significato della perdita della relazione e al contempo di riorganiz- zare su un simbolico il legame di attaccamento. Quando questa forma di attivazione non è travolgente, paralizzante o disorganizzante, la persona in lutto è in grado di incorporare in maniera funzionale il passato nel presente, senza necessariamente eliminare importanti segmenti del legame di attacca- mento con la persona deceduta che hanno a che fare con la propria identità sociale e personale. Il sistema di deattivazione funziona in alternativa e a inte- grazione del precedente consentendo al soggetto pause, distacchi momentanei e inibendo i sentimenti e le emozioni più dolorose associate alla perdita grazie all’impiego non patologico di un gradiente ridotto dei meccanismi difensivi dell’evitamento e della negazione. Senza questo bilanciamento tra riattivazio- ne e deattivazione la persona in lutto non sarebbe in grado di considerare ed esperire tutti gli aspetti connessi alla nuova condizione e di trovare un nuovo significato e una nuova funzione alla figura di attaccamento perduta; rimanen- do bloccato in ricordi e sentimenti connessi alla perdita e nell’incapacità di attivare strategie adattative funzionali alle nuove circostanze di vita. L’oscilla- zione fra iperattivazione e deattivazione del sistema di attaccamento dipende dalla qualità della relazione di attaccamento con la persona deceduta, dalla

 paola bastianoni / chiara baiamonte qualità delle relazioni che la persona in lutto ha stabilito e stabilisce con gli altri significativi e dallo stile di attaccamento organizzato nel corso dello svi- luppo. Le persone in lutto che hanno uno stile di attaccamento sicuro tendono a richiamare alla memoria e a pensare alla persona perduta senza particolare difficoltà, riescono a esprimere con massima libertà i sentimenti provati (do- lore, rabbia, nostalgia), attivano strategie di coping funzionali ai vissuti emoti- vi e riescono ad adattarsi alla perdita e ad investire in nuove relazioni (Wayment, Vierthaler, 2002; Waskowic, Chartier, 2003). Le persone che hanno uno stile di attaccamento insicuro, e che hanno interiorizzato modelli di tipo insicuro ne- gativi di sé e degli altri, manifestano più difficoltà nell’elaborazione del lutto. In particolare, gli individui con uno stile ansioso (preoccupato/coinvolto) fa- ticano a mantenere un normale livello di autonomia e a portare a termine i compiti quotidiani individualmente, trovano discrete difficoltà a deattivare ed inibire il dolore, i pensieri e i ricordi legati alla persona deceduta; cosí facendo, il processo di oscillazione che prevede anche strategie di deattivazione risulta difficoltoso. Gli individui con attaccamento evitante, che di norma tendono a minimizzare pensieri e sentimenti relativi all’attaccamento e a distanziarsi co- gnitivamente dalla fonte di disagio, sono incapaci di esperire sentimenti, emo- zioni e ricordi del deceduto; così facendo, risulta difficoltoso creare ed attri- buire un significato alla perdita (Mikulincer, Shaver, 2007). In entrambi i casi, la prevalenza di una delle due strategie secondarie ostacola e complica il pro- cesso del lutto. Occorre ricordare infine, anche se sinteticamente, che gli apporti dati sia da Bowlby sia dai successivi studiosi dei processi di attaccamento hanno ulte- riormente chiarito come alcuni tipi di lutto si possano basare su specifici tipi di attaccamento. Il lutto inibito oppure negato sembrerebbe più frequente nelle persone con uno stile di attaccamento evitante/distanziante e che vivono l’espressione dei sentimenti come un segno di debolezza. Nell’infanzia hanno vissuto con i loro genitori una continua situazione di scoraggiamento dell’espressione delle emozioni e una non-risposta alla loro manifestazione. Inoltre, Bowlby ha sug- gerito che la carenza di sostegno e l’isolamento sociale possono contribuire alla negazione del lutto (Bowlby, 2000). Il lutto cronico, protratto nel tempo con frequenti aspetti depressivi, e la mancata risoluzione della perdita sembrerebbero invece correlati a uno stile di attaccamento ambivalente/preoccupato-coinvolto e maggiormente presenti in coloro che avevano sviluppato un legame di dipendenza con il defunto; Parkes (1988) li definisce come «personalità tendenti al lutto». La loro perso- nalità sembrerebbe essersi formata su una costante paura di perdita degli af- fetti, con una discontinuità delle cure oppure con un rifiuto da parte dei pa-

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto renti. In queste circostanze il bambino stenta ad arrivare a un’internalizzazio- ne degli oggetti buoni, e così la perdita occasionale di una persona significati- va risulta complicata dai ripetuti tentativi di trovare immagini interiori di og- getti buoni che non esistono. Infine, di particolare interesse è la trasmissione intergenerazionale del lut- to irrisolto che si manifesta con uno stile di attaccamento disorganizzato/diso- rientato collegato a un trauma non risolto da parte del genitore. La traccia luttuosa intergenerazionale, trasmessa principalmente da comportamenti spa- ventati/spaventanti della madre, sollecita nel bambino vissuti contrastanti, disorganizzati e angosciosi, e l’attaccamento disorganizzato. La traccia luttuo- sa intergenerazionale può dar luogo nel bambino, a scopo difensivo, anche a una forte esclusione dalla coscienza degli affetti e delle emozioni negative; si crea così una personalità che anche da adulta permane tendenzialmente vul- nerabile alle perdite e ai lutti (Liotti, 2007). In sintesi, secondo la teoria dell’attaccamento, che ha avuto il merito di sistematizzare la complessità e la ricchezza del rapporto dinamico tra intera- zioni e relazioni, analizzando la natura del legame che si struttura nell’espe- rienza diretta della cura e che, una volta interiorizzato, diventa struttura in- trapsichica, le differenti reazioni umane di fronte alla separazione/perdita della persona significativa dipendono dai modelli relazionali interiorizzati nel corso dell’esperienza precoce. Se l’individuo ha sperimentato nell’infanzia un attaccamento sicuro, cioè ha potuto fare affidamento sulla costanza di un’in- terazione reciproca con adulti capaci di sintonizzarsi sui suoi bisogni emotivi e sulle sue richieste – adulti capaci di offrire una regolazione emozionale equi- librata, vigilanza e conforto nei momenti di disagio/sofferenza, reagendo con sensibilità responsiva al bisogno di contatto e di intimità dei loro piccoli, con- tenendo le loro emozioni negative di paura e sconforto (Keller, Volker, Zach, 1997) –, nel momento della grande e irreversibile separazione dall’oggetto amato che determina la morte risponderà al dolore della perdita con la moda- lità processuale in quattro fasi sopra descritta e considerata prototipica dell’e- voluzione normale del lutto (torpore o stordimento iniziale, struggimento, disperazione e, infine, accettazione e riorganizzazione). L’intensità emotiva, il tempo necessario alla transizione da una fase all’altra e l’eventuale prolungar- si di una fase rispetto ad un’altra dipenderanno dall’interdipendenza tra il modello operativo interiorizzato e altre variabili, sia di tipo individuale che relazionali e di contesto – l’età dell’individuo, le sue capacità emotive e cogni- tive nell’elaborazione della perdita, le sue capacità di coping, la natura e la qualità del legame con il defunto, le caratteristiche della perdita, l’elaborazio- ne anticipatoria del distacco, le conseguenze traumatiche di una morte im- provvisa, la rilevanza delle reti amicali e supportive, le condizioni attuali di vita e i cambiamenti improvvisi conseguenti alla morte –, in sintesi da una

 paola bastianoni / chiara baiamonte costellazione di variabili strettamente interconnesse e rilevanti per la compren- sione di come si evolva nel tempo il percorso sequenziale di elaborazione dell’assenza fisica della persona perduta ampiamente studiato e verificato dai clinici e dai ricercatori. Le modalità che abbiamo descritto non esauriscono le possibilità di rispo- sta all’evento lutto da parte degli individui. Laddove l’individuo che affronta la perdita ha interiorizzato, ad esempio, un modello di tipo insicuro distan- ziante che si è strutturato sulla necessità di escludere difensivamente il dolore provocato precocemente dalla carente responsività degli adulti significativi, sarà prevalente una reazione emotiva al lutto connotata da una minimizzazio- ne della sofferenza. L’individuo apparirà equilibrato, all’altezza della situazio- ne e dei suoi compiti concreti e, con ogni probabilità, non manifesterà le rea- zioni attese nelle sequenze descrittive del modello di elaborazione del lutto bowlbiano, ma non per questo il suo processo psichico di elaborazione potrà essere considerato complicato né necessariamente ci saranno imponenti rimo- zioni o una fissazione nella prima fase di torpore/stordimento (Bowlby) o ne- gazione (Kübler-Ross); semplicemente, la persona reagirà alla perdita come ha sempre fatto nel corso della sua vita a partire dalle primissime risposte date alle brevi separazioni dalle figure significative: esclusione difensiva del dolore più profondo, focalizzazione sulle attività e sulle modalità esplorative piuttosto che di attaccamento/relazionali ma sempre mantenendo integro l’esame di realtà, la complessità affettiva e la consapevolezza di sé e degli altri. Così come la persona che arriva ad una perdita significativa avendo interiorizzato un mo- dello di tipo preoccupato-coinvolto manifesterà un atteggiamento più iroso nei confronti di chi lo ha lasciato, sintonizzandosi su quella rabbia infantile che si imponeva nei suoi vissuti relazionali precoci nei confronti di un adulto non prevedibile nelle modalità di sintonizzazione e di cura, e quindi incapace di sostenere il bambino nell’acquisizione del compito primario della sicurezza. Come allora, l’oggetto relazionale perduto avrà una carica affettiva ambivalen- te: dolore e rabbia che daranno risposte specifiche all’elaborazione del lutto assolutamente congruenti alla qualità del legame instaurato con la figura persa, alla natura dell’investimento affettivo e alle modalità di rappresentazione e interiorizzazione dei costrutti relativi all’altro, a sé e alla relazione.

1.3 Lutti complicati/traumatici/patologici

Secondo l’Associazione italiana psichiatri, con la definizione generica di lutto “complicato” o “patologico” vengono indicate diverse condizioni, alcune re- lative ad alterazioni del fisiologico processo di lutto, altre a complicanze psi-

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto chiatriche o mediche conseguenti al decesso di una persona cara. Secondo la definizione del dsm iv il lutto, inteso come reazione alla perdita di un caro, può presentarsi con i sintomi tipici di una depressione maggiore caratterizzata da bassa stima di sé e desideri suicidari. La persistenza di questi sintomi oltre i sei mesi dalla perdita indica un rischio elevato di disturbi sociali, psicologici e medici (Prigerson et al., 1995). Secondo Parker e Weiss (1983), la diagnosi del lutto patologico avviene alla presenza dei seguenti fattori: depressione e tristezza che durano più di 24 mesi; fase di stordimento protratta a più di 2-3 settimane; negazione e senti- menti di colpa intensi per più di 6 mesi; senso sproporzionato di colpa che può essere delirante; cambiamenti bruschi del comportamento; idealizzazione del- la persona morta dopo una brutta relazione; abuso di sostanze, insonnia e fo- bie diverse; idee persistenti di suicidio (voler stare con la persona morta); sindrome di stress post-traumatico. A differenza del lutto normale, il lutto complicato non è un processo limitato che inizia con una fase di shock, conti- nua con una fase di disturbo somatico e psicologico acuto e di ritiro sociale, termina con l’accettazione della perdita ed il recupero delle potenzialità pre- cedenti il lutto. Il lutto complicato implica, al contrario, l’incapacità di recu- perare le performance e il benessere conosciuti prima della perdita (Bacqué, 1992, 1997). Bacqué opera una interessante distinzione all’interno della catego- ria dei lutti complicati classificandoli in funzione di criteri quantitativi e qua- litativi. Nel primo caso l’aspetto patologico è definito in senso temporale e rimanda a situazioni in cui il processo di elaborazione fatica ad iniziare o non raggiunge mai la conclusione. L’autore descrive tre tipologie di lutto compli- cato: il lutto differito, il lutto cronico e il lutto inibito. Il lutto differito si carat- terizza per una persistenza nel tempo del diniego iniziale della morte e per l’assenza di reazioni tangibili per la perdita che possono arrivare fino a com- portamenti deliranti, situazione che generalmente evolve in una depressione scatenata in seguito ad un’elaborazione personale o ad un avvenimento brusco che costringe ad un improvviso confronto con la realtà; il lutto cronico è carat- terizzato da un prolungamento senza fine del lutto spesso provocato da senti- menti di ambivalenza o da una relazione di intensa dipendenza con il defunto; il lutto inibito è descritto come una forma di lutto differito in cui le difese sono molto meno efficaci dal momento che si manifestano nel corpo piuttosto che nel comportamento, tipologia che appare frequentemente nei bambini e nelle persone con difficoltà nell’espressione delle emozioni. Dal punto di vista qua- litativo Bacqué (1992, 1997) si riferisce a categorie psichiatriche, identificando nel lutto la causa di una fragilità psichica: in presenza di tratti di personalità preesistenti, può sfociare in un disturbo mentale grave anche in persone che non avevano manifestato disturbi mentali prima della perdita. Il tipo di lutto patologico deriverebbe quindi dalla struttura di personalità del soggetto, dan-

 paola bastianoni / chiara baiamonte do origine principalmente a lutti isterici o ossessivi, meno frequentemente a lutti di tipo psicotico, maniacale o melanconico. Il lutto isterico appare caratterizzato dal meccanismo fondamentale dell’i- dentificazione con lo scomparso che porta a manifestare inconsciamente i sin- tomi del decesso o ad imitare gli atteggiamenti fisici o comportamentali del defunto. Sono frequenti i sintomi che interessano la vista, in cui l’analogia è con il desiderio inconscio di non vedere la realtà, così come la dispnea, la tosse psicogena o l’afonia appaiono legate al rifiuto di parlare o all’onnipresen- za della parola del defunto. Il lutto ossessivo riprende le caratteristiche di per- sonalità dell’ossessivo, principalmente la rigidità, l’aggressività e la critica, portando il soggetto a vivere la morte dell’altro come un attacco a sé, in cui il rimprovero di abbandono mosso al defunto è vissuto come troppo colpevoliz- zante e si trasforma in desiderio di morire. Sono frequenti le immagini menta- li ricorrenti che corrispondono a scene particolari, significative del conflitto. L’attività mentale risulta pertanto deviata: non corrisponde all’elaborazione del lutto ma ad una lotta contro pensieri dolorosi. Il lutto maniacale è raro e si caratterizza per la sua brevità e l’inversione di umore che ne consegue. Il soggetto passa quindi da uno stato di sovraeccita- zione psichica e fisica, caratterizzata da profusione di idee, da una forma di delirio verbale impregnato di megalomania, dal rifiuto di riconoscere l’impor- tanza della perdita fino alla melanconia ed al rischio di condotte suicidarie. Il lutto melanconico costituisce, quindi, una forma aggravata della depressione per il lutto. Le idee di colpevolezza e il disprezzo di sé si prolungano rispetto al lutto normale ma, soprattutto, portano a ricoprire se stessi di insulti e rim- proveri fino ad auspicare il proprio annientamento. Bacqué (1992, 1997) ritiene che in questa forma di lutto potenti elementi narcisistici rimangano attaccati all’oggetto perduto con il quale il soggetto perde una parte del proprio Sé. Nello specifico, verrebbero perduti gli elementi positivi interiorizzati nel cor- so dello sviluppo psichico a partire dalle imagines genitoriali e, dal momento che gli aspetti negativi sono invece mantenuti, si intensificherebbe di conse- guenza il desiderio di sparire. A queste tipologie Colusso (2012) aggiunge il lutto eccedente che si riferisce a quella tipologia di lutto in cui si combinano una perdita di grande rilievo, ma sempre nel range della normalità degli eventi, e una limitazione spesso contin- gente delle risorse personali e relazionali per fronteggiarlo. Il concetto di lutto eccedente serve a risolvere i dubbi e i pregiudizi delle persone e degli opera- tori che hanno un paradigma di pensiero per cui il lutto si supera da soli, e chi ha bisogno di aiuto è un debole oppure ha un lutto patologico. La definizione di lutto eccedente mette insieme due condizioni che da sole sono normali e fa emergere come sia solo la loro unione a ostacolare l’elaborazione di persone e famiglie normali.

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto

Nel lutto complicato ci sono fattori estranei al lutto che sottraggono tempo ed energia al processo di elaborazione. Alcuni di questi fattori possono essere: la presenza di un cordoglio anticipatorio per un’altra persona cara ammalata; la contemporaneità di più lutti; le difficoltà economiche che impongono la ricerca di un lavoro, il cambio di abitazione, la chiusura di esercizi commer- ciali; i problemi di salute impegnativi come ricoveri, esami, cure continuative; le relazioni disturbate tra i sopravvissuti con difficoltà di comunicazione, con- flitti anche gravi e l’impossibilità totale di accedere e condividere a riti fami- liari consolatori; problemi legati all’asse ereditario o simili, attriti per il fune- rale, la sepoltura ecc; l’accudimento di chi rimane, soprattutto se è affetto da disabilità, demenza o se rimangono figli piccoli da includere nel proprio nu- cleo familiare costrigendolo ad una forte riorganizzazione emotiva e struttura- le; i cambiamenti di vita che impongono nuovi orizzonti di senso; la presenza di conflitti irrisolti quali l’accanimento terapeutico o la recriminazione di aver mancato il congedo per l’incapacità del familiare di affrontare il tema o per la negazione del morente della propria condizione o per l’imposizione di altri parenti. Sono stati identificati diversi fattori di rischio per lo sviluppo di un lutto complicato o patologico, caratteristiche che non hanno una relazione diretta con la difficoltà ad elaborare una perdita, ma che possono ostacolare una riso- luzione positiva del lutto e predisporre a forme patologiche. 1. Tipo di morte: – causata dal sopravvissuto (per esempio, incidente automobilistico); – morte improvvisa o inattesa, dolorosa o terrifica; – quando c’è mutilazione del cadavere o la morte è causata da omicidio- suicidio; – età del morto: molto peggio è quando si tratta di bambini o di adolescenti. 2. Caratteristica della relazione: il modello di solito va da una relazione pas- sionale ad una relazione cane-gatto, ma contraddistinte entrambe da una sim- biosi (“né con te né senza di te posso vivere”). 3. Età, sesso e circostanze socio-economiche del superstite. 4. Caratteristiche del superstite: persone che hanno tendenza a stabilire rap- porti ansiosi o ambivalenti con le persone amate e bassa autostima. Quando c’è troppa aggressività legata alla morte o quando rimangono da soli con figli con disabilità. 5. Reti familiari e sociali: quando i superstiti non hanno famiglia o scarsa relazione con la famiglia di origine, o allontanamento dalle reti familiari o so- ciali, mancanza di lavoro o figli piccoli con reddito basso.

 paola bastianoni / chiara baiamonte

1.4 Terapia del lutto

Verrà estesamente descritto, nei prossimi capitoli, che quando si affronta la morte di un oggetto parentale, filiale, coniugale o comunque significativo, il dolore psichico che ne deriva si avvicina alla «disintegrazione» che si ha pen- sando alla propria morte, che porta la mente «al limite della follia» (Cancrini, 2002). Poiché da questi oggetti dipende la vita affettiva, a volte anche quella fisica, e senz’altro quella psichica, la perdita diventa assoluta e la ferita irrepa- rabile, senza consolazione. In questo “posto vuoto” sta l’essenza del lutto: l’Io resta segnato per sem- pre, perché per sempre rimarrà questo posto nella mente. Per questi lutti si genera un movimento psichico dissociativo che assomi- glia al processo di dissociazione che si genera negli eventi traumatici in genere e che crea, incistato nella mente come avviene per il trauma, un luogo del lutto – una “stanza” interna – che ha gradi diversi di rappresentabilità, memoria, consapevolezza, narratività (a seconda del tipo di lutto e delle sue circostanze, della fragilità o della resilienza personale ecc.). I luoghi del lutto non sono tutti uguali: agli estremi di questa gradazione psichica ci sono, da una parte, stanze “vuote”, dove alberga un dolore psichi- co di tipo persecutorio e dove i processi psichici sono quelli propri del trauma; dall’altra, stanze “della memoria”, dove alberga il lutto e il dolore depressivo. E se differenti sono le stanze, diversa è, almeno in parte, anche la funzione terapeutica che può essere di sostegno psicologico nella elaborazione psichica del lutto. Quando la perdita avviene così precocemente da segnare un’assenza pri- maria, la crescita psichica ne viene drammaticamente condizionata: il lutto delle origini interferisce con le possibilità di “soggettivizzazione” (Ferruta, 2007) – come, ad esempio, nei casi di bambini adottati o che perdono i geni- tori nei primi tempi della vita, la cui sofferenza si ripresenta in modo attuale nel momento in cui diventano genitori a loro volta. La mente umana non riesce a tollerare l’assenza dell’oggetto: l’oggetto assente, identificato con le parti di sé più rabbiose, viene avvertito come og- getto cattivo e persecutorio, che attivamente e sadicamente abbandona. Il lut- to diviene allora un forte agente traumatico, e la stanza del lutto una cripta – luogo psichico dissociato dove l’immagine genitoriale resta presente nel mon- do interno ma come oggetto morto persecutorio (Abraham, Torok, 1993). I vissuti di odio di cui si carica la stanza minano la fiducia e la possibilità di ricorrere a relazioni interne con oggetti buoni, divenendo il più grande impedimento alla possibilità di elaborare il lutto: il dolore mentale viene rin- chiuso in un luogo psichico per non essere sentito e ricordato, tramite un’ope-

 . lutto, perdita e trauma: il processo di elaborazione del lutto razione difensiva di negazione della memoria, ma se sollecitato da eventi inter- ni ed esterni torna a riattivarsi “improvvisamente” . In diversa maniera altre perdite, per quanto terribili, generano un dolore depressivo in cui, se da una parte conservare attivi i ricordi sostiene il dolore stesso, la memoria, dall’altra, interviene a lenirlo. Dentro la mente, accanto ai processi elaborativi, in uno spazio psichico parallelo resta una stanza dove si ritrova la persona perduta, oggetto interno buono, pur ritrovando, presente e attuale, anche il dolore della sua perdita. Il ricongiungimento con l’oggetto d’amore perduto rappresenta tuttavia un bisogno che permette di superare anche il dolore di affrontare il ricordo. L’aiuto psicoterapeutico diventa un sostegno che per alcune persone può essere necessario per entrare in queste “stanze”, nelle quali il terapeuta entra in punta di piedi, con disposizione mentale – professionale, ma prima ancora personale – alla permeabilità e all’accoglienza di proiezioni e vissuti quasi in- tollerabili, nel riconoscimento e accettazione del limite (Caligiani, Lapi, Pra- tesi, 2008). I fatti della morte sono incancellabili, ma il loro senso non è fissato una volta per tutte ed è possibile lavorare su di esso, per il presente e per il futuro: il senso di colpa rispetto al passato può essere appesantito o alleggerito attra- verso una rivisitazione dello sguardo del futuro sull’apprensione del passato (Ferruta, 2007), ma indicando una via utile anche per il lavoro individuale. Quando la perdita è trauma che colpisce la memoria e annulla la possibi- lità di rappresentazione – come nelle stanze “vuote” – il lavoro terapeutico è rivolto a tradurre il trauma in pensieri e parole, a stabilire il collegamento, interrotto, tra ricordo e dolore psichico, tra passato e futuro, ad aiutare ad attraversare il lutto nella recuperata fiducia della relazione terapeutica (Mucci, 2008; Cellentani, 2008). Ma anche nelle stanze “della memoria” gli interventi veramente consola- tori sono l’affiancare, il condividere, il ricordare insieme trovando le parole per narrare la morte e il dolore. Sostenere il mantenimento nella mente di una relazione buona con l’oggetto libera dalla conflittualità più accesa ma elabora- bile, colma di ricordi anche teneri e rappresentabili. Il controtransfert per il terapeuta è a sua volta doloroso, ed è poco possi- bile ricorrere a strumenti quali l’interpretazione, quanto necessario invece valorizzare quelli che derivano dall’osservazione partecipe e dalla condivisione empatica. Lavorare a lungo e spesso con questo tipo di situazioni dolorose e trauma- tiche mette a nudo i nodi traumatici del terapeuta stesso, lo lascia vulnerabile ed esposto sia ai pericoli narcisistici del ruolo di “salvatore” sia a quelli dell’an- goscia esistenziale. La sensazione di angoscia esistenziale viene descritta nei terapeuti che lavorano a contatto con aree traumatiche molto potenti (come

 paola bastianoni / chiara baiamonte gli abusi infantili, le stragi): angoscia profonda che può giungere fino ad espe- rienze dissociative, di depersonalizzazione, di derealizzazione. È più che mai importante che il terapeuta sia capace non solo di attraver- sare i propri stati d’animo legati alla perdita e alla disgregazione e di sentire che il dolore che esprimono questi pazienti non gli è del tutto estraneo e sco- nosciuto, ma anche di continuare a pensare che il dolore può trovare un luogo nel quotidiano ed essere utilizzato come mezzo di comunicazione con l’altro (Ferruta, 2007).

 2 L’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato di Maria Giulia Nanni, Rosangela Caruso e Luigi Grassi

Questa è una strana esperienza di immobilità. I giorni passa- no un granello dopo l’altro misurati da una clessidra di sabbia paziente, sono talmente lenti che si perdono sul calendario [...] o forse il tempo non passa, siamo noi che passiamo attra- verso il tempo... mentre tu esisti in questa condizione di larva in bozzolo. [...] Queste pagine non hanno un destinatario, Paula non po- trà mai leggerle... [...] sono il vuoto, sono tutto ciò che esiste, sono Paula e sono anche me stessa, sono nulla e tutto il resto in questa vita e in altre vite, immortale. Isabel Allende, Paula (1995)

2.1 Introduzione

Le parole di Isabel Allende (1995) nell’accompagnamento della propria figlia, Paula, affetta da porfiria e in uno stato di coma che la porterà alla morte, rap- presentano un toccante esempio della sofferenza dei familiari che assistono un congiunto nella fase finale della vita. L’impatto che ha sulla sua famiglia tale fase di accompagnamento e la successiva perdita del proprio caro costituisce un’area estremamente specifica ed importante sia della medicina palliativa sia della psichiatria collegata all’oncologia e alle cure palliative (Grassi, Riba, 2012), e per questo molto studiata (Kissane, Bloch, 1994; Hudson et al., 2004). Di fatto, la fase avanzata e di fine vita di un proprio congiunto comporta, nella famiglia, reazioni emozionali di elevata intensità (note, nelle varie acce- zioni, come lutto anticipatorio o lutto preparatorio o fase anticipata del lutto) che sono strettamente e inestricabilmente connesse con le risposte successive alla perdita del proprio caro (lutto e cordoglio in senso stretto) (Grassi, 2007). Ecco perché il lutto, con le sue implicazioni, può essere compreso solo se rappresentato come un continuum tra reazione che anticipa e reazione che segue la perdita (Leis et al., 1997) In entrambe queste delicate fasi, la famiglia è sottoposta a un pesante ca- rico emozionale, legato non unicamente all’affrontare la perdita, imminente, prima, definitiva, poi, ma alle conseguenze globali di tale perdita sul funziona-

 maria giulia nanni / rosangela caruso / luigi grassi mento familiare, sui ruoli e sulle relazioni interpersonali all’interno della fami- glia stessa. È evidente come nell’ambito delle cure palliative, in cui la presa in cura del paziente in senso olistico rappresenta uno dei punti cardine dell’assistenza, di fondamentale importanza divenga l’attenzione ai bisogni della famiglia del paziente, durante le diverse fasi della malattia e nel periodo del lutto (McCle- ment, Woodgate, 1998). L’obiettivo che ci si pone dunque è di riassumere ciò che è emerso nella letteratura di questi anni, compresi i risultati delle ricerche più recenti, relati- vamente all’accompagnamento al lutto e alla fase successiva. Può accadere peraltro che il lutto non evolva secondo una traiettoria fisio- logica, ma che compaiano conseguenze negative sulla salute fisica e psichica del familiare che ha subito la perdita. È nata per questo la necessità di un ap- proccio che colga in maniera precisa l’evoluzione del processo del lutto, al fine di individuare sintomi precoci in tempi brevi e permettere l’attuazione di un trattamento mirato e adeguato. In tale contesto, altrettanto importante diviene l’identificazione e lo studio dei fattori di rischio correlati allo sviluppo dei quadri di lutto complicato, viste le importanti implicazioni che un loro rico- noscimento potrebbe avere sul versante preventivo.

2.2 Il lutto anticipatorio e i fattori che possono influenzare le reazioni della famiglia nella fase terminale della malattia

Con il termine di “lutto anticipatorio” sono indicate le esperienze psicologiche ed emozionali che precedono il lutto e che rappresentano la condizione che permette al familiare di confrontarsi con l’imminente morte del proprio caro e di prepararsi all’evento traumatico, facilitando il processo di adattamento successivo alla perdita (Fulton, Gottesman, 1981). Tuttavia il concetto di lutto anticipatorio non deve essere pensato come una fase del lutto, poiché di fatto la perdita non è ancora avvenuta. Su tali basi, alcuni autori tendono a confer- mare l’esistenza di una fase di lutto anticipatorio, mentre altri tendono a rifiu- tare questo concetto, considerando un continuum la reazione che precede e segue la perdita, e altri ancora tendono a criticare la semplificazione con cui il lutto anticipatorio viene definito, chiamando in causa l’elevato numero di va- riabili coinvolte e che devono essere necessariamente tenute in considerazione (Rando, 1988; Sweeting, Gilhooly, 1990; Evans, 1994; Clukey, 2008). In ogni caso, le reazioni psicologiche della famiglia possono essere carat- terizzate da un’intensificazione dell’attaccamento, una marcata tendenza a non allontanarsi dal proprio caro, uno stile iperprotettivo, accompagnate da

 2. l’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato sentimenti di abbandono, ansia, perdita di speranza ed impotenza. Più nello specifico, frequente è la situazione in cui il familiare manifesta sentimenti di intensa paura per il timore di non sentirsi competente riguardo alla attuazione di procedure tecniche, di non essere in grado di affrontare i momenti critici o il momento del trapasso. Sentimenti di colpa possono presentarsi come rea- zione al pensiero di non essere stati o di non essere sufficientemente presenti nella condizione di maggior bisogno, oppure di aver commesso qualche erro- re, o di aver provato rabbia verso il proprio congiunto, o di aver desiderato, in maniera “egoistica”, che “tutto finisse in tempi rapidi”, o di non riuscire a reggere un ruolo a cui non si è abituati (ad es., gli effetti collaterali delle terapie, il vomito, il sangue). Sentimenti di tristezza, legati alla perdita, graduale e inesorabile, della propria identità familiare si associano a sentimenti di vuoto e di inutilità. Altrettanto frequente è la rabbia, indirizzata verso persone o si- tuazioni e proiettata in senso impersonale all’esterno. Reazioni indicanti mec- canismi di minimizzazione o negazione possono essere presenti come modali- tà per difendersi dall’angoscia e proteggersi da quanto non si vorrebbe che avvenisse. La valutazione di tali emozioni facilita la comprensione dei comportamen- ti che i familiari possono mettere in atto, quali il richiedere ripetutamente il ricovero del proprio congiunto o, una volta che il ricovero avviene, l’insistere che questo prosegua per un tempo indefinito, oppure, ancora, il negare la re- altà della morte, trattando il congiunto come se fosse sempre quello di un tempo o come se l’attuale situazione non fosse drammatica. Nell’assistenza in hospice così come nell’assistenza domiciliare, è assolu- tamente importante che i familiari (o il familiare “chiave”) possano esprimere queste emozioni e le proprie difficoltà all’avvicinarsi della morte del loro caro. Viene in genere riportato come proprio la risposta a tali bisogni emotivi sia carente da parte dell’équipe di assistenza domiciliare, mentre la risposta ai bisogni pratici e sanitari in senso stretto sia in genere soddisfacente (Zaider, Kissane, 2009). L’esplorazione dei bisogni della famiglia durante la fase termi- nale diventa quindi estremamente importante in funzione della imminenza della perdita. Alcune ricerche hanno concluso che un senso di pace interiore riportato dal paziente morente è associato ad una migliore salute fisica e psi- chica dei care-givers a sei mesi dalla perdita (Ray et al., 2006). Al contrario, l’adozione da parte della famiglia di strategie di coping negative durante la fase terminale tende a produrre un aumento del carico percepito, una peggio- re qualità della vita e, dopo la morte del congiunto, un aumento della preva- lenza di depressione clinica e di disturbi d’ansia (Pearce, Singer, Prigerson, 2006). Ricevere chiare informazioni ed essere ascoltati attivamente o suppor- tati dallo staff di cure palliative rappresenta un elemento utile per la famiglia nell’affrontare la perdita. Dumont e Kissane (2009) hanno sottolineato l’im-

 maria giulia nanni / rosangela caruso / luigi grassi portanza che questo possa avvenire tramite incontri tra lo staff medico e la famiglia; Milberg et al. (2005) hanno proposto interventi supportivi di gruppo, in cui i familiari possano trovare risposte alle proprie domande, sperimentare un senso di coesione ed esprimere le emozioni connesse alla perdita imminen- te. Anche il trovare significato nel prendersi cura del proprio congiunto che si avvicina alla morte ha mostrato conseguenze positive per il familiare nel lungo termine (Enyert, Burman, 1999). Diversi sono i fattori che possono influire sul distress psicosociale della famiglia durante la fase terminale di malattia: – fattori correlati al paziente. Una fonte di marcata sofferenza per la famiglia è l’assistere al deterioramento e alla perdita dell’autonomia del proprio caro, che può sperimentare sintomi fisici (dolore) e psicologici o psichiatrici (paura, rabbia, depressione, ansia, delirium, deterioramento cognitivo, sofferenza esi- stenziale e spirituale); – fattori correlati alla famiglia. La qualità delle relazioni interpersonali all’in- terno della famiglia, il livello di comunicazione tra i suoi membri, la capacità di adattamento al cambiamento dei ruoli, possibili conflitti intra-familiari, esaurimento fisico o problemi di salute fisica, fattori esistenziali, mancanza di supporto sociale, problematiche economiche, nonché variabili di tipo cultura- le rappresentano tutti elementi che intervengono nell’incrementare il distress della famiglia; – fattori correlati alla relazione famiglia-staff sanitario. Attualmente la fami- glia delle persone al termine della vita, grazie alla diffusione delle cure palliati- ve, viene chiamata a svolgere un ruolo sempre più attivo nella cura e nel pro- gramma assistenziale. Il risultato è tuttavia l’aumento del carico emotivo e fisi- co che deve sopportare e la nascita di un conflitto tra il suo ruolo di care-giver e quello di care-recipient. Ciò può divenire una fonte di stress significativa per la famiglia, che l’équipe medica e gli operatori devono tenere sempre in consi- derazione. Dall’altro lato, anche lo staff deve confrontarsi ripetutamente con la morte e con le continue richieste del paziente e della famiglia, con la possi- bile insorgenza di conflitti tra i membri del team o tra questi e l’organizzazione sanitaria, con ripercussioni sulla famiglia e l’aumento dello stress emotivo.

2.3 Morbilità psicosociale nella famiglia e fattori che influenzano le reazioni della famiglia nel periodo che anticipa la morte

In alcune circostanze il lutto anticipatorio può non assumere una connotazio- ne fisiologica e il familiare può manifestare sintomi di disagio psichico o psi- cosociale, come nel caso del “lutto prematuro”, con conseguente complicazio-

 2. l’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato ne del processo di elaborazione del lutto dopo la perdita. Nel noto Melbourne Family Grief Study condotto in Australia da Kissane et al. (1996a, 1996b), indi- catori di sofferenza psicosociale (ansia clinica, fobia, disturbo ossessivo-com- pulsivo) sono stati evidenziati nel 25-35% dei familiari, mentre altri dati hanno riportato sintomi di tipo psicosomatico, ansia e insonnia nel 48% del campio- ne. Questi dati relativi alla morbilità psichiatrica nella famiglia di pazienti ter- minali hanno trovato conferma nella letteratura più recente (Dumont et al., 2006; Buss et al., 2007). In maniera intuibile, ma significativa sul piano delle implicazioni cliniche, è stato rilevato come i disturbi psichici presentati dai pazienti in fase terminale e dai loro familiari siano interdipendenti e si influen- zino a vicenda attraverso un effetto di “contagio emozionale”. È quindi chiaro che nel contesto delle cure palliative e di qualunque am- bito sanitario in cui ci si prende cura delle persone alla fine della vita, un’at- tenzione particolare sia estesa alla famiglia, attraverso una valutazione accura- ta e un monitoraggio continuo delle modalità di funzionamento della famiglia, prima e dopo la morte del paziente (Rolland, 1990; Wellisch, 2009). Diversi sono gli elementi che lo staff deve tenere in considerazione, speci- ficamente: il numero dei membri familiari coinvolti nel processo assistenziale e i loro rispettivi ruoli; la capacità della famiglia di mantenere una sua stabilità interna di fronte ad eventi stressanti; il legame tra i suoi membri, nonché tra la famiglia e la comunità. Kissane et al. (1994) hanno valutato il funzionamento di un gruppo di 102 famiglie inserite in un programma di cure palliative, ba- sandosi su parametri quali la coesione familiare, i livelli di conflittualità e la capacità di espressione di pensieri e sentimenti. Hanno così individuato cin- que possibili tipologie di famiglie: quella supportiva (alto livello di intimità tra i membri, capacità di manifestare sentimenti e darsi supporto reciproco), quel- la risolutrice dei conflitti (i membri affrontano il conflitto presente e lo risol- vono grazie ad alti livelli di coesione familiare e ad una moderata espressività), quella ostile (alto livello di conflittualità, basse coesione ed espressività), quel- la muta/scontrosa (livello moderato di conflittualità, scarse coesione ed espres- sività, ad alto livello di morbilità psicosociale, in particolare per depressione), quella ordinaria (livello intermedio di conflittualità, coesione ed espressività, così come di morbilità psicosociale, per cui necessita di un’attenzione da par- te del clinico). Il riconoscimento di pattern disfunzionali della famiglia permette allo staff sanitario di proporre interventi supportativi ed educativi, psichiatrici quando occorre, sempre più precoci e mirati. Kissane e Bloch (2002) hanno sviluppato un intervento psicoterapico breve per il lutto centrato sulla famiglia – Family Focused Grief Therapy (ffgt) –, con l’obiettivo di ridurre lo stress e il rischio di morbilità nelle famiglie che mostravano un funzionamento disfunzionale. Esso si è dimostrato utile nel ridurre l’incidenza di depressione, con evidenti

 maria giulia nanni / rosangela caruso / luigi grassi benefici specialmente per le famiglie con tipologia scontrosa e ordinaria, du- rante la fase del lutto anticipatorio ma anche nel periodo che seguiva la perdi- ta. Un innovativo intervento psicoterapico è rappresentato dalla Dignity The- rapy, elaborata e proposta da Chochinov in Canada (Chochinov, 2012). L’inter- vento ha l’obiettivo di ridurre il distress psicosociale ed esistenziale nei pazien- ti affetti da cancro in fase terminale, e ha dimostrato una significativa influen- za positiva anche sui membri delle loro famiglie.

2.4 Il lutto

La morte del proprio caro segna l’inizio della fase del lutto, un processo fisio- logico che ha le finalità di condurre la persona all’accettazione graduale della realtà della perdita, all’adattamento ai cambiamenti che essa ha determinato e alla riorganizzazione dei propri modelli interiori. Per quanto riguarda le modalità espressive con cui il lutto fisiologico si manifesta, sono state descritte da diversi autori possibili risposte a livello emo- zionale (ad es., tristezza, paura, rabbia, colpa, ansia), ideativo (ad es., pensieri ricorrenti sulla morte del proprio caro), cognitivo e percettivo (ad es., confu- sione, calo di concentrazione, vedere il proprio caro defunto o sentirne la vo- ce), comportamentale (ad es., disturbi del sonno e dell’appetito, inattività o iperattività, modifica delle proprie abitudini) e somatico (ad es., senso di vuo- to allo stomaco, dispnea, astenia, dolore e tensione muscolare) (Zeitlin, 2001) (tab. 2.1). Il lutto possiede poi anche una sua espressione sociale, che tiene conto di variabili religiose e culturali (Morris, Bloch, 2012). La comparsa dei segni e dei sintomi suddetti avviene in modo naturale attraverso una traiettoria che tende a non essere lineare ma a variare da perso- na a persona, in genere concettualizzata come una successione di stadi o fasi. Nel tempo, vari autori hanno proposto diversi modelli teorici per meglio com- prendere il processo del lutto, segnalando la presenza di stadi o fasi del lutto (Parkes, 1998) (tab. 2.2). Negli ultimi anni si è andata delineando la concezione di un’evoluzione del lutto come una serie di passaggi fluidi o stati più che di stadi ben definiti, suggerendo una tendenza alla risoluzione graduale dei sin- tomi nel tempo e ad una contestuale crescita dell’accettazione della morte nel periodo che segue la perdita (Maciejewski et al., 2007). Senza volere psicologizzare o medicalizzare il lutto, quale reazione umana e fisiologica, è importante che le figure professionali sanitarie vengano forma- te affinché siano in grado di sostenere al meglio le persone che stanno vivendo questa esperienza dopo la morte di un proprio caro. Ciò, all’interno di uno stile di umanizzazione della medicina e delle cure palliative in particolare, ha

 2. l’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato lo scopo di garantire il senso di una presenza e di una continuità delle cure, nonché di facilitare il lavoro di monitoraggio del processo del lutto. Su queste basi, sono state proposte Linee guida pratiche per le cure di fine vita (End-of- Life Care Consensus Panel) (Casarett et al., 2001), finalizzate anche a porre in essere precocemente trattamenti specifici, quando necessario.

tabella 2.1 I sintomi presenti nel processo del lutto

Livello emozionale – Shock e stordimento – Angoscia e paura – Rabbia – Solitudine – Tristezza – Disperazione – Colpa – Solitudine – Apatia

Livello cognitivo – Difficoltà di concentrazione – Disorientamento – Lievi stati confusionali – Illusioni sensoriali (talvolta simil-allucinazioni, quali la sensazione netta di sentire la voce del proprio caro o di vederlo accanto) – Idee di suicidio transitorie – Pensieri ricorrenti relativi al proprio caro e alle circostanze della sua morte

Livello comportamentale – Pianto – Iperattività e ricerca del proprio caro – Disturbi del sonno – Disturbi del comportamento alimentare – Ritiro dall’ambiente circostante – Incapacità a condurre le proprie attività – Visitare luoghi, conservare o portare con sé oggetti che ricordano il proprio caro – Dipendenza dagli altri

Livello somatico – Debolezza e perdita d’energia – Dolori muscolari – Sintomi somatici generali (cefalea, tachicardia, vertigini, dolori addominali) – Alterazioni transitorie dell’attività neuroendocrina (aumento del cortisolo) e immuni- taria (diminuzione della risposta linfocitaria T, B e NK cellulare) Fonte: Grassi et al., 2013 (mod.).

 maria giulia nanni / rosangela caruso / luigi grassi

tabella 2.2 I modelli del lutto fisiologico

Gli stadi del lutto (Kübler-Ross, 1969) Negazione Shock e stordimento per la morte, ricerca nel proprio ambiente di rumori o presenze del proprio caro Patteggiamento Sperare nel ritorno del proprio caro, fare promesse affinché questo possa accadere Rabbia Frustrazione, rabbia verso il destino, il mondo, gli altri Depressione Profonda tristezza e dolore per la realtà e l’irrimedia- bilità della morte Accettazione Riorganizzazione e ritorno alla vita conservando i ricordi, senza che questo determini un dolore insop- portabile

Le fasi del lutto (Parkes, 1998) Stordimento Shock, negazione, sentimenti di irrealtà, che durano ore o giorni Ricerca Intensa ricerca del congiunto, pianto, ansia da sepa- razione, rabbia e irritabilità, autoaccuse, perdita di autostima e del senso di sicurezza Disorganizzazione e disperazione Apatia, disperazione, isolamento e ritiro dalla vita sociale, senso di mutilazione Riorganizzazione e guarigione Graduale ritorno alla vita, ricomparsa di interessi e del desiderio di pianificazione del proprio futuro

Gli obiettivi del lavoro del lutto (Worden, 2009) Accettazione della realtà Confrontarsi con la realtà della perdita e superare la della perdita normale tendenza a negare l’evento della morte Elaborazione del dolore del lutto Sperimentare il dolore e i sentimenti di depressione, isolamento, vuoto legati alla perdita del proprio caro Adattamento ad una realtà Sviluppare nuove capacità per adattarsi ai nuovi ruo- nella quale il proprio congiunto li, al nuovo senso di sé e del mondo non c’è più Dare nuovo spazio al proprio Trovare un luogo nella propria vita interiore dove il caro e proseguire nel proprio proprio caro è presente, pensarlo con un senso di percorso di vita tristezza, ma non più con sentimenti di disperazione intollerabili

Fonte: Grassi et al., 2013 (mod.).

 2. l’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato

2.5 Il lutto complicato

Nel corso degli ultimi cinquant’anni l’esperienza clinica, da un lato, e le nume- rose ricerche condotte in questo senso, dall’altro, hanno confermato che nel 15-25% dei casi il lutto non evolve secondo un processo naturale e fisiologico, ma può complicarsi in varia maniera. Nonostante tale dato, il “lutto complica- to” non è stato per lungo tempo riconosciuto come entità clinica specifica. Il Diagnostic Statistical Manual for Mental Disorders (dsm), nelle varie edizioni, ha dedicato un breve paragrafo al lutto, inserendolo nel capitolo Altre condi- zioni che meritano attenzione clinica. Dalla sua lettura risulta evidente che la classificazione tende ad identificare il lutto complicato con il disordine depres- sivo. In letteratura troviamo al contrario numerose ricerche i cui risultati sup- portano l’idea che l’episodio depressivo maggiore e il lutto complicato in real- tà non siano entità psicopatologiche sovrapponibili, bensì quadri ben distinti tra loro (Zhang et al., 2006). In realtà, le condizioni cliniche che necessitano di attenzione sono assai diversificate, venendo identificate almeno quattro forme principali di lutto patologico: il lutto cronico, il lutto ritardato, il lutto inibito e il lutto ipertrofico (Skinner Cook, Dworkin, 1992; Worden, 2009). Altri au- tori (Jacobs, 1993; Parkes, 1998) suggeriscono una classificazione in tre forme: il lutto traumatico, il lutto cronico e il lutto conflittuale. Altri autori infine hanno proposto di separare le forme di lutto che tendono ad aggravare o fa- vorire l’insorgenza di condizioni psichiatriche (ad esempio la depressione maggiore e i disturbi d’ansia) da più specifiche complicazioni del lutto, come il lutto assente, quello inibito, l’ipertrofico, il prolungato e il cronico (Zisook et al., 2009; Shear et al., 2011). Nella più recente concettualizzazione di Prigerson et al. (2008), partendo dal concetto che la morte di una persona cara è un evento estremamente trau- matico per chi vive la perdita, gli autori hanno proposto i criteri diagnostici del lutto complicato, definito inizialmente come traumatico quindi più recen- temente come prolungato. Sintomi dissociativi (rifiuto, incredulità, rabbia, shock, intorpidimento, senso frammentato di sicurezza e controllo), nonché sintomi riconducibili allo stress da separazione (preoccupazione marcata lega- ta al pensiero del defunto, desiderio angosciante che egli torni in vita, senso marcato di solitudine dopo la perdita) rappresentano gli elementi centrali di tale condizione. Il recente dsm5 (apa, 2013) ha molto recepito i dati della lette- ratura, in particolare quanto emerso dagli studi condotti da Prigerson e dal suo gruppo, inserendo all’interno dei diversi disordini lo specifico quadro clinico di disturbo secondario al lutto.

 maria giulia nanni / rosangela caruso / luigi grassi

2.6 Fattori di rischio del lutto complicato

Un aspetto importante correlato al tema del lutto complicato è l’identificazio- ne dei fattori di rischio. Nonostante l’evidenza di conseguenze negative mar- cate sulla salute fisica e psichica di chi va incontro a una complicazione del processo del lutto, non si trova in letteratura un numero elevato di studi sui fattori predittivi di lutto complicato. I fattori che più frequentemente sono stati correlati dai diversi autori all’evoluzione in senso patologico del lutto sono riportati in tab. 2.3. Affrontando il tema dei fattori di rischio, è indispensabile sicuramente il lavoro di Kissane, in Australia, relativo alla tipizzazione familiare e agli inter- venti centrati sulla famiglia (Kissane, Bloch 2002). Dati interessanti derivano

tabella 2.3 Fattori di rischio per il lutto complicato

Variabili relative alla storia della famiglia – Storia di disfunzione familiare – Storia di perdite multiple – Precedenti lutti complicati in seguito a perdite – Precedenti disturbi psichiatrici in membri della famiglia (o nella figura significativa) (ad es., disturbi depressivi, disturbo da uso di sostanze)

Variabili relative alla personalità del care-giver – Scarsa autostima – Tendenza alla repressione delle emozioni – Tendenza a iperattività neurovegetativa (somatizzazioni) piuttosto che elaborazione psicologica di fronte allo stress

Variabili relazionali – Relazione ambivalente col congiunto scomparso – Relazione di dipendenza dal congiunto scomparso – Relazione conflittuale col congiunto scomparso

Variabili relative alla circostanza della perdita – Morte improvvisa e imprevedibile – Età giovane del congiunto scomparso (ad es., figlio in età giovanile, coniuge in età giovanile) – Tipologia della morte (ad es., suicidio, stigmatizzazione della malattia) – Vissuto di colpa rispetto alla morte

Variabili relative al contesto sociale – Scarso supporto sociale – Rinforzo dato da vantaggi secondari Fonte: Grassi et al., 2013 (mod.).

 2. l’accompagnamento dei familiari al lutto e il lutto complicato da altre indagini che hanno segnalato come avversità accadute durante l’infan- zia (storie di abuso o morte di un genitore) erano in grado di predire il lutto traumatico, mentre altre tipologie di eventi traumatici vissuti sempre nell’in- fanzia (eventi traumatici non luttuosi o morte di un bambino) risultavano si- gnificativamente associati al disturbo post-traumatico da stress.

2.7 Conclusioni

I differenti aspetti dei problemi che emergono in una famiglia che ha un pro- prio congiunto affetto da cancro, sia durante la fase terminale della malattia (lutto anticipatorio) sia dopo la morte, rivestono un ruolo estremamente im- portante nell’ambito dei programmi di medicina palliativa, ma anche di medi- cina generale e di psichiatria. Il carico fisico ed emotivo supportato dai familiari può associarsi infatti a un livello di distress psicologico e sociale di marcata entità e alla comparsa, dopo la perdita, di quadri di complicazione del processo del lutto. In questa review sono stati indicati i risultati ottenuti dai principali studi della letteratu- ra sul tema dei fattori di rischio per disturbi psicosociali o psichiatrici dei fa- miliari di pazienti affetti da cancro, durante gli ultimi mesi di vita del proprio caro e dopo la sua morte. Da questa disamina emerge la necessità che in maniera regolare vengano applicate linee-guida per l’applicazione di strumenti di valutazione dei fami- liari che hanno subito la perdita di un proprio caro. L’adozione di un approc- cio longitudinale da parte delle figure sanitarie, che indaghi i fattori maggior- mente implicati nella complicazione del percorso del lutto e che sappia coglie- re in maniera precisa l’evoluzione del processo del lutto, ha utili ripercussioni sia sul versante preventivo che clinico dell’assistenza dei familiari. Ciò com- porta lo sviluppo di programmi di intervento preventivi e, nel caso di una evoluzione in senso psicopatologico del lutto, l’attuazione di specifici inter- venti psicoterapici, che in ambito clinico hanno dimostrato una loro efficacia.

 3 Il lutto impossibile: perdere un figlio di Fiorella Monti

Il mio cuore diventò d’un tratto silenzioso come un teatro deserto con le luci spente Tagore

3.1 Introduzione

La genitorialità, come processo psichico attraverso il quale un uomo e una donna diventano genitori, si fonda su una dimensione temporale e spaziale che contiene la rappresentazione di un figlio e di sé come madre e padre, rappre- sentazione in continua costruzione e ricostruzione, che tiene conto del presen- te, della progettualità, ma che si riallaccia, in una modalità dinamica e trasfor- mativa, ad aree intra ed interpsichiche più antiche, connesse all’immagine dei propri genitori, al ricordo del rapporto con loro. È un equilibrio complesso, sempre da ristabilire, fra diversi tipi di investimento narcisistico e strutturante il Sé e l’Altro, come individuo, come coppia, come ruolo materno e paterno, in un intreccio tra generazioni precedenti e future. La funzione genitoriale, intesa quindi come la capacità psicologica di pren- dersi cura di sé e dei figli (Winnicott, 1970), permette, fin dal concepimento, la costruzione di una struttura-ambiente che ha il compito di garantire la so- pravvivenza del nucleo-figlio, di favorirne la crescita e di tutelarne la vita e nello stesso tempo di tenere viva la propria identità genitoriale.

Noi – scrive Ogden (1999, p. 11) – sottovalutiamo la pressione generata dalla cono- scenza (largamente inconscia) da parte dell’analista di aver implicitamente promesso (come fa quasi ogni genitore) ciò che in realtà non è possibile garantire: rimanere vivo abbastanza a lungo per consentire all’analizzando (o al figlio) di recuperare/ creare una propria mente capace di generare un luogo separato in cui vivere, un luo- go esterno, e tuttavia mai completamente separato dallo spazio mentale condiviso in cui è cresciuto.

Questa continuità, pur nella discontinuità delle storie personali e sociali, vie- ne data per scontata, prevista e prevedibile, e garantisce un’attribuzione di senso alla vita di ogni individuo e di ogni comunità. I legami affettivi, fonda- menta dei meccanismi intersoggettivi e dei meccanismi di mentalizzazione,

 3. il lutto impossibile: perdere un figlio sono soggetti a continue trasformazioni e spesso a rotture traumatiche, fra le quali la più devastante è la perdita di un figlio. In qualsiasi periodo della vita, tale esperienza costituisce un trauma: è una ferita insanabile che lacera la mente del genitore e la sua stessa identità parentale, è «un morire dal dolore che sconquassa l’apparato percettivo-mentale» (Cancrini, 2002, p. 129), por- tando a una massiccia disregolazione del sistema psicobiologico. Il corpo e la mente che avevano dato la vita non sono stati in grado di proteggerla: è il collasso dirompente delle proprie aspettative e credenze, è la perdita della prevedibilità del mondo esterno e simultaneamente di quello interno, è un insulto al pensiero, che si perde nella disperazione. Se gli eventi reali urtano in modo così catastrofico contro l’organizzazione mentale, anche il sistema difensivo si terremota, trascinando con sé, nel «buco nero del trauma», ogni possibilità di assimilare e trasformare la realtà. (Van der Kolk, McFarlane, Weisaeth, 2004). La progettualità, di conseguenza, si blocca in un «Mar Morto della memo- ria» (Tank, Hopfield, 1987, cit. in Van der Kolk, McFarlane, Weisaeth, 2004, p. 19), aprendo la strada a una sfiducia generale in ogni cosa, nella protezione degli oggetti della realtà esterna e di quelli del proprio mondo interno: tale collasso porta con sé conseguenze negative a lungo termine, intrise di doloro- si sensi di colpa per essere sopravvissuti e spesso vissute in una solitudine ag- ghiacciante. La morte di un figlio è uno scuotimento catastrofico che afferra e scardina. È un’inversione di tempo e di senso:

La solitudine davanti alla morte dell’amato è la solitudine che sarà mia quando morirò anch’io, e sarà viva e sola come lo sono stata al momento in cui venivo al mondo [...]. Come lui. Che però ha compiuto il passo estremo prima di me, ha raggiunto tutti co- loro che mi hanno preceduta, è entrato in un segreto che ancora non conosco. E ora, nella morte, mi è antenato (Comba, 2001, pp. 317-8).

Anche lo scenario delle rappresentazioni interne si devitalizza: «L’intensità del dolore per la perdita reale di una persona amata è fortemente acuita, secondo me, dalle fantasie inconsce di colui che soffre il lutto di aver perduto anche i propri oggetti interni buoni» (Klein, 1978, p. 336).

. La parola trauma, che deriva dal greco, significa “perforare”, “danneggiare”, “lede- re”, “rovinare”, e contiene un duplice riferimento: a una ferita lacerante e a uno shock vio- lento sull’organismo. Sul piano psichico è un «evento della vita del soggetto che è caratte- rizzato dalla sua intensità, dall’incapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente, dalla viva agitazione e dagli effetti patogeni durevoli che esso provoca nell’organizzazione psichi- ca» (Laplanche, Pontalis, 1993, p. 655).

 fiorella monti

3.2 Perdere un figlio: la disgregazione catastrofica

In un racconto, Storia fittizia di persone mai esistite, dello scrittore Meir Shalev (2000), il duca Wilhelm rimase ucciso durante un incidente di caccia all’età di cinque anni. Da allora il bambino morto dominò sui due genitori vivi. La ma- dre orbata comprò per una somma spropositata la Pietà del Giannini, da ap- pendere in camera del figlio morto. Per ore e ore restava rannicchiata dentro il suo lettino a guardare tristemente il corpo senza vita del crocifisso e attinge- re forza dalla figura maestosa della madre, meglio nota fra gli studiosi d’arte con l’appellativo di “Madonna robusta”, dal momento che la Vergine del Giannini si presenta come una donna corpulenta e di spalle larghe, con picco- li seni a punta da ragazza e delle braccia lunghe e muscolose. Il padre sprangò con chiavistelli il padiglione di caccia dei Gessler, ne sigillò le porte e trovò rifugio in due attività notoriamente confacenti all’animo maschile: la ricerca e il collezionismo. Si mise così a raccogliere massime, fare incetta di miniature e micrografie, oltre che a studiare la comparsa delle stigmate nelle donne catto- liche. Oggigiorno è famoso come colui che per primo scrisse di Louise Lateau, la sarta francese che sanguinava dalle nocche delle mani ogni venerdì. Il fra- tello gemello, il duca Anton, andava dalla madre pregandola di alzarsi dal letto del bambino morto, dove lei si rannicchiava, e le portava confezioni di marzapane di Lubecca, il suo dolce preferito, ma invano. La madre chiamò un ritrattista di bambini, che dipinse centinaia di pargoli. Ma nessuno era il suo. Allora un fotografo riprese il volto della madre mentre parlava del figlio, fece i necessari ritocchi e produsse così un ritratto dalla somiglianza sorprendente. Gli anni passarono. Padre e madre si trincerarono ciascuno dietro il proprio dolore, mentre Anton, da amabile bambino si trasformò in un adolescente viziato e insofferente. Aveva da sempre la sensazione che il fratello morto lo tenesse per il tallone. Una giovane paziente, Anna, che aveva perso il fratello, si chiedeva perché tutti pensavano che lei dovesse occuparsi dell’insostenibile dolore dei genitori e nessuno pensava al suo. La madre, anche dopo anni, le chiedeva di portare i fiori ricevuti per il suo compleanno alla tomba del fratello. La ragazza, anni più tardi, litigando con la madre le diceva: «Guardami, mi vedi?». E pensava che se fosse morta lei, al posto del fratello, sarebbe stato molto meglio. La madre e il padre, schiacciati dal dolore, trascinavano la loro esistenza nelle commemorazioni del figlio perduto e in corpi sempre più sofferenti; la figlia, schiacciata dalla mortifera stagnazione familiare, aveva perso il senso del suo valore, della sua autenticità. Le sue parole in sedute diventavano una barriera sensoriale di torpore, di non vita. I suoi fiori non celebravano più una nascita, ma ricordavano una morte, quella del fratello e la sua.

 3. il lutto impossibile: perdere un figlio

Le madri di Anton e di Anna erano diventate così simili ai loro figli per- duti, così completamente occupate dal ricordo stravolgente della perdita, che i figli sopravvissuti non riuscivano in alcun modo a consolarle, si sentivano in colpa e pensavano di non valere più niente: se Anton cercava inutilmente di liberarsi dalla stretta del “morto”, Anna, altrettanto inutilmente, rimaneva congelata nel suo dolore sordo e inascoltato.

Ogni forma di psicopatologia può essere concepita come espressione di una forma di autolimitazione inconscia della capacità di percepire la propria presenza viva come esseri umani. La limitazione della capacità di essere vivo può manifestarsi in moltepli- ci forme: nel restringimento della gamma e della profondità dei sentimenti, del pensie- ro e delle sensazioni corporee, nella restrizione della vita onirica e fantastica, nel senso di irrealtà delle relazioni con se stessi e con gli altri, oppure nella compromissione della capacità di giocare, di immaginare e di usare simboli verbali e non verbali per creare/rappresentare la propria esistenza. Noi non solo accettiamo, ma abbracciamo queste e altre limitazioni della nostra capacità di essere vivi quando la prospettiva di esistere più pienamente come esseri umani sembra implicare una forma di dolore psichico che temiamo di non poter tollerare (Ogden, 1999, p. 16).

Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore e gli ordina di spezzarsi W. Shakespeare, Macbeth, atto iv, scena iii

Se il trauma ha provocato una lacerazione così profonda da far “morire” i pro- cessi di pensiero, una difesa estrema può essere il delirio, come “rammendo” della rottura tra l’Io e il mondo esterno (Freud, 1977), ma, in quanto “toppa” nata da una fantasia onnipotente, porta al fallimento nei rapporti con la realtà.

Una donna che aveva sempre incontrato difficoltà nell’accettare le richieste della real- tà apprese della morte del più giovane dei suoi cinque figli che si trovava all’estero. Non fu in grado di affrontare questo fatto angoscioso. Si convinse che il figlio era vivo e di essere vittima di un complotto della polizia perché lei non scoprisse in quale ospe- dale il ragazzo era stato ricoverato. A mano mano la toppa arrivò a compromettere del tutto il suo funzionamento. La donna non riuscì più a mantenere i rapporti con gli altri figli, che erano anche loro estremamente sconvolti, non solo per la morte del fratello, ma anche per la perdita della madre. Il timore di un crollo, per il quale, nel tempo, avrebbe potuto ricevere aiuto, era stato sostituito da un esaurimento funziona- le molto più grave e non curabile, nel quale ogni sorta di aiuto veniva rifiutato, dal momento che accettare aiuto avrebbe significato riconoscere la natura illusoria della sua convinzione che il figlio fosse ancora vivo (Garland, 2001, p. 10).

Il “buco nero del trauma”, in questo caso, è diventato un nucleo incapsulato, un’area muta, incistata nel delirio e perciò vietata all’accesso del pensiero. In

 fiorella monti modo meno drammatico, quando il dolore è intollerabile, la mente perde in parte la sua capacità simbolica: il sopravvissuto è shockato e confuso, forse non è in grado di mettere dentro quello che è accaduto. Può diventare taciturno e chiuso, oppure compulsivamente loquace e attivo, ma in entrambi i casi il suo funzionamento normale è in uno stato di disintegra- zione e non è in grado di pensare o comportarsi in modo coerente (ivi, p. 120).

La morte di un figlio, quindi, disgrega in modo catastrofico gli schemi mentali personali e familiari: il mondo emotivo è pervaso da tristezza, solitudine de- strutturante e insensata, ottundimento emotivo o rabbia, senso di colpa; le aree vitali, prima colorate da piacere, come il sonno, il cibo, la sessualità, vengono depauperate e devitalizzate; l’affaticamento cronico e la depressione congelano apparentemente la sofferenza. Le emozioni dolorose, tuttavia, scorrono nel sot- tosuolo e irrompono all’improvviso, senza poter essere mentalizzate e fronteg- giate, con flashback, incubi, aumento delle malattie fisiche, iperreattività.

3.3 Riorganizzare la speranza dopo la perdita di un figlio

La terapeuta incontra la signora Giulia con urgenza per una condizione di grave turbamento in seguito al trauma subito per la morte improvvisa del figlio a causa di un incidente stradale. La signora è inappetente da varie settimane, ha un sonno ridotto e trascorre le sue giornate sdraiata sul divano fissando il soffitto. I primi incontri sono pervasi da un dolore agghiacciante che trasforma la morte del figlio in una sorta di gorgo che la può inghiottire. Giulia afferma insistentemente: «Non voglio più vivere, mi è stato tolto tutto». La terapeuta delicatamente ricorda che c’è anche una figlia e lei risponde: «Con lei non ho mai avuto un buon rapporto, poi voglio tenerla lontana da me adesso, non posso contagiarla con il mio star male». Dopo diversi mesi affiora qualche riconoscimento della realtà che la cir- conda come: «Oggi è una bella giornata, ma io sto malissimo, per me il tempo si è fermato». L’arrivo delle piogge autunnali amplifica le angosce della signora che afferma, piangendo: «Non posso pensare a mio figlio là sotto l’acqua, tut- to bagnato, mi dicono che non si bagna, ma io non ci credo, lui sente». La te- rapeuta segnala che è il suo sentire di madre che le suggerisce le sensazioni del figlio, che è il suo dolore intollerabile a negare la perdita, anche se lei sa che egli non può sentire il freddo della pioggia. Poi, con tutto il tatto possibile, la invita ad una distinzione fra lei e il figlio morto e fra lei e la realtà esterna. In un percorso terapeutico accidentato, fra sollievi di qualche giorno e ricadute

 3. il lutto impossibile: perdere un figlio in una angoscia avvolgente, trascorre il primo anno di lutto. Il corpo di Giulia ricomincia lentamente ad avere ritmi di sonno e veglia più regolari, a non ri- svegliarsi più alle quattro esatte, ora in cui era stata avvisata dell’incidente oc- corso al figlio. La signora ricomincia a ritrovare nei cibi sapori perduti, dimen- ticati, comincia a riprendere cura di sé. La commistione profonda fra corpo e mente, come se il dolore non potesse circolare, come se angoscia e dolore producessero un masso che schiaccia il corpo, si attenua lasciando affiorare isole di luce, di vitalità. Il lungo tempo di elaborazione del lutto è stato, così, anche un lungo tempo di attesa per permettere il riaffiorare di un po’ di fiducia come investimento libidico su di sé e sulla realtà esterna, familiare e sociale. Più avanti, in terapia, riflettendo insieme sulla sua modalità annichilente di funzionamento mentale, dopo la perdita del figlio, è stato possibile ricostru- ire la sua biografia emotiva accedendo anche ai suoi ricordi di bambina carichi di intensi conflitti con la madre e di sentimenti amorosi verso il padre, che poi aveva avuto un rapporto speciale con il nipote. Era potuta così riandare con il pensiero a un padre amorevole e amato, che aveva trasmesso tale vitalità anche al nipote; la temporalità congelata nel lutto aveva ripreso il suo cammino e il filo spezzato della progettualità si è riannodato a poco a poco: «La morte era diventata un sentimento, e non era più un fatto» (Ogden, 1999, p. 23), quindi si poteva dolorosamente sentire senza rimanere annichiliti rispetto a un even- to così impensabile. Come è possibile allora riorganizzare la speranza, cioè svolgere la funzione genitoriale in situazioni di traumi cumulativi e di lutto, quando il mondo, esterno ed interno, s’impoverisce e si svuota? È una solitudine che porta a un penosissimo senso di vuoto e di inutilità della vita: è necessario allora attraver- sare l’angoscia del vuoto, tollerare il silenzio degli affetti, ma avvolti e sorretti da un contenitore sociale e, quando possibile, da un contenitore terapeutico.

La speranza del conforto dà coraggio nella sofferenza Marcel Proust

In una favola di Andersen (1970), una madre, perso il suo bambino, rincorre la Morte in mezzo a indicibili sofferenze attraverso il buio muto e impassibile della Notte, attraverso il groviglio di rovi ghiacciati, cedendo con il pianto i suoi occhi al lago che divide il mondo dei vivi da quello dei morti, scambiando i suoi neri capelli con quelli bianchi della vecchia becchina della grande serra della Morte, e alla fine reclina rassegnata il capo sul seno perché, strappando i fiori, per contrastare la Morte, avrebbe ucciso un altro bambino e resa infe- lice come lei un’altra madre. Questa è la Storia di una madre, così è il titolo

 fiorella monti della fiaba, che attraverso un lungo viaggio nel dolore riesce a pensare alla vita di un altro bambino, riesce a pensare alla vita. Perché le favole, i miti, i dipinti, le sculture ci parlano della vita e della morte attraverso la madre? Perché è la Madre che piange ai piedi della croce e dopo diventa la dolorosa Pietà? Perché è il codice materno che permette il sentire ed è il codice paterno che permette il pensare: ma nel nostro essere vivi, svolgendo una funzione genitoriale, siamo madre e padre (Fornari, 1985). Come fare allora per riorganizzare la speranza nelle persone e nelle istitu- zioni che si occupano del lutto ovvero del rischio della morte psichica? Cosa fare per ripartire con un’apertura a qualcosa di vivo?

Per riportare la speranza alle sue sorgenti più profonde è necessario un moto affettivo, un’accensione d’anima capace di mobilitare la fiducia di base, che fa parte della nostra dotazione vitale [...] riorganizzare la speranza significa, in un certo senso, sapere rimet- tere in moto l’esperienza originaria in cui la nostra fiducia è stata confermata (ivi, p. 13).

E allora nel trauma della malattia e della morte occorre «permettere la ripresa della vita senza oltraggio alla memoria» (Comba, 2001), come meglio detto in un dialogo tra bambini di scuola per l’infanzia riportato da un giornale: «C’è un modo per non morire mai: se nasce una femmina che fa una femmina e dopo quella fa una femmina». Per passare attraverso il lutto delle perdite rea- li e simboliche, la morte psichica o fisica di un figlio, occorre, tuttavia, essere aiutati a contenere e metabolizzare l’ingorgo emozionale che paralizza lo spa- zio mentale. Ci vuole quindi un luogo dove esprimere e condividere emozioni, lacrime, speranze, sollievo: il dolore come la gioia possono così essere pensati.

Quando si è progressivamente ristabilita una maggiore sicurezza nel mondo interiore, cosa che consente ai sentimenti e agli oggetti interni una maggiore vitalità, i processi creativi possono reinstaurarsi e torna la speranza. [...] colui che è in lutto è favorito nel ripristino dell’armonia del suo mondo interiore, e in una più rapida riduzione delle sue paure e del suo sconforto, se si trova vicino persone che ama e che condividono il suo cordoglio e se è in grado di accettarne la solidarietà (Klein, 1940, pp. 343, 345).

Lo spazio tra la nascita e la morte può essere lungo o breve: l’essere genitori vivi è fare tutto il possibile perché quello spazio valga la pena di essere vissuto.

Bisogna focalizzare l’attenzione – scrive Bion (1983, pp. 120-1) – sul problema, c’è qual- che scintilla lì sulla quale si potrebbe soffiare fino a che diventi una fiamma in modo che la persona possa vivere quella vita che ancora ha, possa usare quel capitale che ha in banca? Quanto capitale vitale ha questa persona? E potrebbe essere aiutato ad usare quel capitale a buon fine? [...] Sia che il paziente sia all’inizio della vita, alla na- scita, sia che si trovi all’altra estremità dello spettro, alla morte, egli può sentire la presenza di un oggetto amichevole o apportatore di salute.

 3. il lutto impossibile: perdere un figlio

Essere genitori vivi dei propri e degli altri bambini, questo è lo sforzo, per essere aiutati a pensare, a fare spazio alle angosce di morte, all’intensa e dolo- rosa sollecitazione emozionale con cui ci si scontra continuamente: ci deve essere cioè una sorta di alimentazione reciproca, che permetta di ripristinare, senza negare la perdita, equilibrio e speranza.

[Tustin] amava raccontare la storia di una donna che aveva subito una grave perdita personale ed era quindi caduta in una scura e profonda depressione. Questa donna si era chiusa in casa e non voleva vedere nessuno. Nonostante ciò tutti i suoi amici veni- vano e portavano candele per rischiarare la notte, per riscaldarla e per fare sapere alla loro dolente amica che loro non avevano rinunciato alla speranza, così alla fine la donna in lutto uscì alla luce che gli amici avevano portato per lei (Monti, 1999, p. 18).

In un’intervista del 1986 lei dice:

Ascolto sempre il programma religioso al mattino e una volta c’era questa donna che raccontava di una sua amica che era entrata in una profonda depressione, disse che era entrata in un “castello di ghiaccio”, lontana da tutti. Così i suoi amici decisero che le avrebbero scritto tutti i giorni, anche se lei non rispose mai a nessuna delle lettere, e poi cominciò ad uscire dalla depressione. Una delle sue amiche scrisse in seguito que- sta storia: «Ci fu una persona una volta che entrò in un castello di ghiaccio, ma tutti i suoi amici andarono al castello e vi accesero dei fuochi intorno, ogni giorno, e così il ghiaccio cominciò a sciogliersi» (Tustin cit. in Monti, 1999, p. 49).

Le storie, molto simili fra loro, mettono in evidenza la necessità naturale e ovvia, in situazioni altamente traumatiche, di un ambiente supportivo in modo continuo e amorevole. Frances Tustin, che non aveva figli, avendone persi due – uno morto dopo la nascita e l’altro in gravidanza –, era stata aiutata a sentire e piano piano a tollerare “tutto il dolore” incistato dentro dopo la morte del suo bambino dall’amore di suo marito, dalla sua analisi («non volevo provare tutto il dolore che sapevo essere lì da qualche parte e non a caso fu la morte del mio bambino a portarmi davvero in analisi. C’era molto dolore che non mi ero mai permes- sa di provare, ma che sapevo dovevo affrontare, anche se non ne avevo proprio voglia»; ivi, p. 42) e dalla sua passione per la comprensione degli stati mentali primitivi, e perciò “senza parole”, e per il lavoro con la “muta” sofferenza dei bambini autistici. L’obiettivo della condivisione e vicinanza familiare e sociale e dell’aiuto psicologico, partecipe e affettuoso, è quello di «mantenere un pensiero viven- te, una comunicazione vivace con se stessi e le persone attorno. Pensare per

. Frances Tustin (1913-1994), membro onorario della Società psicoanalitica inglese e del Centro psicoanalitico di , si è occupata a lungo della psicopatologia autistica.

 fiorella monti vivere meglio. [...] strappare le emozioni al congelamento. Strappare alla mor- te emotiva tutto quello che si può» (Vallino, 1998, p. 34). Nel film giapponese Departures (2008) si narra di un giovane ex violoncel- lista che, dopo aver perso il lavoro, torna nel suo paese di origine e trova lavo- ro come tanatoesteta, cioè come preparatore di morti che egli lava, veste, pro- fuma, trucca in una forma semplice e sacrale di elaborazione del lutto, secon- do la tradizione ancora praticata nella provincia giapponese. Nel film, delicato ed intenso, le parole sono poche e sono sostituite da gesti soffusi e avvolgenti, da sguardi rispettosi e caldi, da atmosfere e da mu- siche che avvicinano chi guarda, il familiare, lo spettatore, ai corpi morti e inespressivi e li rendono vivi restituendoli alla loro bellezza, alla loro forma. C’è un tempo che sembra eterno per poter sostare accanto alla persona cara morta, che non fa più paura, che non deve essere subito tolta alla vista, ma che lascia in dono a chi rimane la bellezza della sua immagine, l’armonia vivida delle sue forme.

La bellezza della vita avuta è forse, a volte, più forte della morte. Il ricordo, la memo- ria sono in questo senso quelle straordinarie fonti di vita che i Greci consideravano delle divinità. E allora il meminisse horret si trasforma in un amor di cognoscere che spinge alla vita. La memoria ci permette di dare valore anche a quello che non c’è più, che è nel passato, ma che comunque c’è stato (Cancrini, 2002, p. 125).

Ci si può, quindi, avvicinare al corpo non più vivo, si può piangere il proprio dolore, si possono esprimere i propri sensi di colpa in uno spazio-tempo con- diviso e vivibile: nonostante tutto non si è soli e la morte non è brutta, perché c’è chi si occupa di lei e rende la caducità bella e luminosa. I gesti amorosi e delicatissimi, gli sguardi dolorosamente rispettosi e dolci del giovane violon- cellista, ora tanatoesteta, restituiscono ai familiari i suoni “vivi” dei ricordi, che così possono essere tenuti “in grembo” e nascere, riacquistando voce, attra- verso lacrime e parole, non più murate nel buio del dolore. «Il chiarimento sull’origine dell’angoscia dei bambini lo devo a un ma- schietto di tre anni che una volta sentii dire alla zia in una camera al buio: “Zia, parla con me, ho paura del buio”. La zia allora gli rispose: “Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso”. “Non fa nulla – ribatté il bambino – se qualcuno parla c’è più luce”» (Freud, 1970, p. 529, nota 1).

Se c’è un tempo per il dolore, c’è un tempo per la vita Tonia Cancrini

 4 Rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia di Marilena Moretti

Non piangere – ti dicevo –, è vero, me ne andrò prima di te, ma quando non ci sarò più ci sarò ancora, vivrò nella tua me- moria con i bei ricordi: vedrai gli alberi, l’orto, il giardino e ti verranno in mente tutti i bei momenti passati insieme. La stes- sa cosa ti succederà se ti siederai sulla mia poltrona, o quando farai la torta che ti ho insegnato a fare oggi, e mi vedrai davan- ti a te con il naso sporco di cioccolato... e sorriderai! Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore

4.1 Introduzione

La perdita di una figura di attaccamento è un evento devastante che innesca un’angoscia intensa e pervasiva: l’individuo non è in grado di immaginare la possibilità di riottenere un senso di sicurezza, supporto, protezione e amore senza la disponibilità della figura di attaccamento perduta (per un approfon- dimento si rimanda alle teorie esposte nel cap. 1, per una trattazione estesa al volume di Stroebe et al., 2008). In età evolutiva, la comprensione e l’adattamento alla perdita sono proces- si complessi, non fattibili in forma autonoma da un bambino fino al raggiun- gimento della preadolescenza. I compiti richiesti si possono riassumere, forse in maniera semplicistica, in due punti: a) accettazione della realtà e manteni- mento di un legame simbolico con la persona perduta; b) graduale investimen- to sul mondo esterno e in nuove relazioni. Questi due processi spesso vengono rivisti e reinterpretati a distanza di anni, a seguito dell’acquisizione di compe- tenze evolutive.

4.2 Rottura del legame: la perdita di un genitore nell’infanzia e nella prima fanciullezza

Quando si rompe un legame di attaccamento, quale quello tra genitore e figlio, il bambino/ragazzino perde una figura di riferimento e con essa i parametri di

 marilena moretti lettura ed interpretazione di sé e dell’altro, così come la sensazione di essere/ vivere in uno spazio stabile e sicuro. Il minore subisce una sorta di “esplosione di emozioni” caratterizzata da affetti non elaborabili autonomamente e in tem- pi brevi; per tali ragioni ha la necessità di un altro adulto di riferimento suffi- cientemente accessibile per ricevere una guida ed un aiuto concreto ed affet- tivo. Nei casi di morte di un genitore nell’infanzia o nell’adolescenza è spesso impossibile stabilire il confine tra il sentimento di dolore e di sofferenza e l’i- nizio del trauma. Questi fenomeni non hanno un’unica causa e la comprensio- ne dipende da una serie di circostanze esterne ed interne. Le circostanze esterne includono: – il modo in cui avviene la perdita del genitore (morte improvvisa, attesa). A questi bambini non è stata data la possibilità di dire addio, di esprimere tutte le cose che avrebbero voluto dire, né al genitore di lasciare un messaggio per il bambino. È un’interruzione brusca e dolorosa. È importante per gli adulti rendersi conto che può essere devastante non poter salutare, non avere la possibilità di separarsi gradualmente, in modo che il distacco sia un processo condiviso. La morte traumatica, inattesa, è senz’altro un fattore di rischio per l’elaborazione del lutto, perché il bambino e il genitore sopravvissuto si trova- no improvvisamente soli nell’affrontare una serie di problematiche di ordine pratico e concreto (gestione della routine quotidiana), di ordine affettivo, di ordine economico-finanziario. Questo capovolgimento avviene in forma inat- tesa e spesso stravolge i progetti familiari (casa, rete familiare ecc.) che spesso devono essere ridimensionati e ripensati; – le informazioni che il bambino ha a disposizione rispetto all’evento. Proteg- gere un bambino dalla verità che il genitore sta morendo significa privarlo del tempo che gli rimane per accomiatarsi da lui, per salutarsi. Spesso, con l’inten- to di proteggere il bambino dal dolore, il genitore non comunica al bambino l’accaduto, oppure lo comunica per sommi capi, frettolosamente, senza dedi- care tempo alla comprensione sommaria che il bambino può avere. Oppure può capitare che il bambino venga a conoscenza dell’evento luttuoso senten- done parlare in casa o dal genitore al telefono. Mentre il genitore può essere presente al momento della morte, così come venire a conoscenza dei dettagli precisi relativi all’evento, il bambino, nella maggior parte dei casi, è interamen- te dipendente dalle informazioni e dalle decisioni che l’adulto prende per lui. Il piccolo, avendo meno strumenti dell’adulto per la comprensione degli aspetti relativi alla vita e alla morte, tende ad effettuare false inferenze dalle informazioni che riceve, fraintendendo il significato degli eventi che osserva e dei commenti che ascolta. Per il bambino risulta necessario sapere e compren- dere, per quanto gli è possibile, l’accaduto, non solo ai fini di elaborazione del lutto, ma soprattutto perché queste informazioni gli permettono di venire a

 4. rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia conoscenza della realtà, in maniera graduale e coerente, senza reticenze e “non detti” sui quali spesso può costruirsi fantasie terrificanti. Una comunicazione semplice, seppur molto faticosa per il genitore sopravvissuto, permette di co- noscere eventuali preoccupazioni e angosce del bambino. Nella maggior parte dei casi, quando la comprensione dell’evento risulta fallimentare per il piccolo (assenza di reazioni, “come se niente fosse”), la ra- gione va ricercata non tanto nel bambino, quanto piuttosto nella quantità e qualità di informazioni a sua disposizione; infatti, l’inadeguatezza (scarsità, contraddittorietà) delle informazioni fornite dal genitore, l’impossibilità di trovare un significato all’evento e l’assenza di uno spazio di discussione impe- discono al bambino di cogliere la natura e l’entità dell’evento accaduto. Le circostante interne includono lo stato di sviluppo del bambino (0-5 anni, età di latenza, adolescenza), le sue capacità cognitive e le risorse emotive, la tipologia di legame instaurata con il deceduto. In linea generale, per quanto ci si sforzi di “etichettare” le reazioni dei bambini o si tenti di studiare le fasi di elaborazione del lutto per comprendere meglio come aiutare i bambini, risulta sempre molto complesso cercare la “normalità”, o inquadrare un decorso standard che ci dia indicazioni precise. Quello che è possibile fare è forse individuare una serie di reazioni che spesso possono manifestarsi, anche se dobbiamo tenere presente che esse si differen- ziano per intensità e durata a seconda del particolare rapporto che legava quel genitore a quello specifico bambino. Altri fattori, di tipo contestuale, possono influire sul bambino come le caratteristiche del genitore sopravvissuto e il funzionamento familiare. In en- trambi i casi, se la storia individuale e familiare pregressa al trauma era segna- ta da ulteriori traumi e/o storie di patologia, oppure era contraddistinta da altri importanti elementi di vulnerabilità (patologie del bambino, patologie del genitore, povertà economica, traumi pregressi, storia conflittuale), il processo di superamento del lutto può essere alterato dalla presenza di questi elementi. La comprensione del concetto di morte, le manifestazioni conseguenti al- la perdita e la disponibilità di alcuni meccanismi di coping funzionali al supe- ramento dell’evento doloroso sono aspetti connessi alle capacità evolutive del bambino che variano in corrispondenza degli stadi evolutivi (capacità cogniti- ve, psicosociali e di coping). Spesso, bambini piccoli in età prescolare non hanno le capacità lessicali per descrivere le loro emozioni o per chiedere quello che accade. Il più delle volte comunicano in altri modi, attraverso il comportamento o la simbolizza- zione; ad esempio, la regressione a livelli di funzionamento pregressi o agiti è un modo che il bambino adotta per comunicare e per richiedere attenzione. Allo stesso modo, il senso di dolore ed isolamento dopo la perdita del genito- re può essere espresso nel gioco e nelle modalità con cui si rapporta ai pari.

 marilena moretti

Queste manifestazioni comportamentali sono indizi importanti che forniscono informazioni sullo stato emotivo del bambino e servono come utili strumenti di valutazione per comprendere le strategie di coping del bambino. I meccanismi di difesa più frequentemente utilizzati dai bambini sono la regressione, la repressione, la negazione e lo spostamento. A partire dall’età scolare, il bambino diviene capace di descrivere le proprie emozioni, verbaliz- zare i suoi bisogni e ricercare supporto ed aiuto. Prima di raggiungere questo livello di sviluppo, il bambino spesso riflette la tipologia di coping e lo stile comunicativo adottato dall’adulto che si prende cura di lui (Bowlby, 1980). Diversi autori sostengono che i bambini piccoli non possono tollerare lun- ghi periodi di dolore intenso; perciò, come forma di protezione verso di sé, oscillano tra sentimenti dolorosi orientati verso la perdita e l’impegno in nuo- ve attività. Questo processo di oscillazione fra sentimenti di dolore e momen- ti di interessamento verso l’ambiente circostante è parte del normale processo di elaborazione del lutto.

4.3 Variabili che influenzano l’esito/le conseguenze nel bambino

Una parte della letteratura considerata nel lavoro di Stroebe e colleghi (2007) sostiene che alcuni bambini, a seguito di una perdita, non manifestano neces- sariamente sintomatologia, a testimonianza del fatto che esiste una serie di fattori resilienti che rendono il bambino meno vulnerabile e quindi capace di “gestire” la perdita; secondo questi ricercatori, infatti, l’evento doloroso viene studiato prendendo in considerazione una serie di variabili (di moderazione e mediazione) che influenzano il processo di elaborazione della perdita. Pertanto, studiare le conseguenze di una perdita precoce significa consi- derare una prospettiva multidimensionale che esamina le variabili individuali e familiari.

4.3.1. variabili di moderazione (dowdney, 2000) a) Morte e circostanze di morte – Omicidio o suicidio. Il suicidio o l’omicidio di un genitore sono eventi relativamente rari e le ricerche sistematiche in questo settore sono scarse; in- fatti alcuni studi utilizzano questo aspetto come criterio di esclusione dalla ricerca (Fristad et al., 1993; Sanchez et al., 1994). I dati disponibili indicano che la perdita traumatica ed improvvisa del genitore è associata a particolari forme di disturbo nel bambino. Black e Harris-Hendriks (1992) documentano la pre- senza di sintomatologia post-traumatica da stress (ptsd) nei bambini che, ac-

 4. rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia colti dai servizi psichiatrici, assistono alla morte del genitore per omicidio. Solo uno studio sistematico è stato condotto sulla causa di morte per suicidio (Pfeffer et al., 1997). Gli autori hanno studiato 16 famiglie con bambini dai 5 ai 14 anni, nelle quali un genitore o un fratello/sorella si era suicidato recente- mente (1-3 anni). I risultati testimoniano che nel 63% delle famiglie i bambini mostrano sintomi internalizzanti (ansia, depressione ecc.) e nel 37% mostrano sintomatologia di stress post-traumatico (da moderata a severa). Nel 25% del- le famiglie, almeno un bambino mostra sintomatologia depressiva e post-trau- matica. Nessun bambino, invece, ha riportato livelli clinici di depressione in assenza di sintomatologia post-traumatica. Questi dati sottolineano il legame forte tra perdita traumatica e l’insorgenza di ptsd e sintomi internalizzanti. Il suicidio e l’omicidio complicano il processo di comprensione ed elaborazione del lutto del bambino, perché spesso associati ad immagini e ricordi traumati- ci. – Morte attesa o improvvisa. Si crede che quando la morte di un familiare è attesa, il lutto anticipato può facilitare l’adattamento alla perdita negli adulti, anche se tale relazione non è lineare (Raphael, 1996). Poco è conosciuto degli effetti che una morte attesa può avere sul bambino; tale aspetto è stato consi- derato nella letteratura che studia le famiglie con malati terminali. Siegel e colleghi (1992) riportano che i bambini (7-17 anni) con un genitore malato terminale mostrano livelli più alti di ansia e depressione rispetto al gruppo di controllo; tuttavia a distanza di 7-12 mesi dalla morte del genitore, tali diffe- renze non sono riportate come significative. Altri studi che valutano gli effetti fra morte attesa ed improvvisa si differenziano nella definizione stessa del ter- mine. Alcuni si riferiscono al concetto di “morte attesa” quando i familiari sono a conoscenza delle condizioni di salute gravi del caro da un minimo di un giorno ad un massimo di due settimane. Altri studi, invece, hanno basato la loro distinzione sulla causa di morte, distinguendo malattia terminale da attacco cardiaco. Indipendentemente dalla definizione, ad oggi non sono an- cora chiare eventuali associazioni fra morte attesa o improvvisa e la comparsa di un particolare tipo di disturbo in età evolutiva (Dowdney et al., 1999). b) Perdita della madre o del padre L’adattamento del bambino alla perdita dipende da quale dei due genitori muore? La letteratura più datata indica una sorta di interazione fra il sesso del bambino e quello del genitore deceduto, quale possibile moderatore utile per valutare le conseguenze sul bambino; tuttavia dati epidemiologici riferiti alla morte di un genitore nell’infanzia indicano che i padri muoiono due volte più frequentemente delle madri. Di conseguenza i ricercatori incontrano proba- bilmente più madri che padri. In aggiunta, i padri sopravvissuti tendono ad essere meno disposti a partecipare a ricerche nella quali si cerca di offrire loro un aiuto (Gersten et al., 1991). Questo sbilanciamento rende difficile riuscire

 marilena moretti ad esaminare gli effetti che il sesso del deceduto può avere, in particolare quando si considerano campioni di ridotta numerosità. Van Eerdewegh e col- leghi (1982) hanno riscontrato un’associazione fra la morte del padre e l’insor- genza di depressione severa nei bambini maschi. Dati questi fattori, non è sorprendente che non ci siano associazioni signi- ficative fra il sesso del deceduto e l’insorgenza di disturbi psichiatrici, soma- tizzazioni e funzionamento psico-sociale nel bambino (Sanchez et al., 1994). c) Età e sesso del bambino Età e sesso del bambino sono aspetti che influenzano l’insorgenza e il tipo di psicopatologia. Relativamente all’età, è risaputo che la morte del genitore ha un impatto differente a seconda dello sviluppo del bambino. Ad esempio, la perdita della madre ha un effetto diverso nella routine di un bambino in età prescolare che in un adolescente. Inoltre, anche lo sviluppo emotivo e quello cognitivo del bambino, come spiegato precedentemente, influenzano la comprensione e la modalità di risposta all’evento. Numerosi studi di casi clinici hanno illustrato una forte variabilità nelle risposte emotive e cognitive di bambini in età pre- scolare e di adolescenti: ansia da separazione, paura del buio, enuresi, difficol- tà di separazione, oppure reazioni di irritabilità ed impazienza; altri studi ri- portano la presenza di sintomatologia depressiva, senso di colpa, ritiro e disfo- ria, sintomi somatici (Raphael, 1996; Van Eerdewegh, 1982). Le ragioni di questa variabilità vanno ricercate nella distribuzione per età all’interno del campione e fra i diversi gruppi oggetto di studio. Ad esempio, alcuni studi con ridotta numerosità rappresentano un range di età molto vasto, per cui risulta difficile fare i confronti all’interno del gruppo (Silverman, Worden, 1992). Al- tri includono bambini al di sotto degli 8 anni incapaci di completare un self- report, misura standardizzata di confronto (Gersten et al., 1991). Così, gli effet- ti specifici che la perdita di un genitore ha sulla salute del bambino, in rappor- to all’età, rimangono ancora inesplorati. Relativamente al sesso del bambino i risultati sono più consistenti. I maschi esibiscono più comportamenti aggressivi e acting-out delle femmine (Dowdney et al., 1999); queste ultime, invece, manifestano una maggior presenza di distur- bi internalizzanti, sintomatologia depressiva, disturbi del sonno e problemati- che legate all’enuresi (Gersten et al., 1991; Van Eerdewegh et al., 1985). d) Difficoltà fisiche e mentali pregresse – Nel bambino. Il livello di disturbo è certamente più alto se includiamo i bambini che, precedentemente all’evento luttuoso, hanno mostrato delle dif- ficoltà. Negli studi in cui è stata posta attenzione alla storia clinica del bambi- no (disturbi psicologici e/o psichiatrici), la vulnerabilità del bambino nel pe- riodo successivo alla perdita, così come i disturbi, sono più evidenti. Ad esem- pio, Weller e colleghi (1991) riportano che i bambini con disturbi psichiatrici

 4. rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia

(non trattati) pregressi all’evento mostrano una maggior presenza di sintoma- tologia depressiva del campione rappresentato da bambini in lutto senza storia clinica pregressa. Altri studi, tuttavia, non supportano tali risultati (Gersten et al., 1991; Silverman, Worden, 1992). – Nel genitore sopravvissuto. Pochi studi hanno analizzato l’impatto che una pregressa storia clinica del genitore sopravvissuto può avere sul funzionamen- to del bambino; quelli presenti hanno riscontrato associazioni fra la presenza di sintomatologia depressiva nel genitore pregressa all’evento e l’insorgenza di sintomatologia depressiva nel bambino a seguito della perdita. I risultati testi- moniano come la presenza di depressione severa nei bambini è più probabil- mente associata alla presenza della medesima sintomatologia nel genitore sia prima che dopo il lutto (Van Eerdewegh et al., 1982, 1985).

4.3.2. variabili di mediazione (dowdney, 2000) a) Difficoltà fisiche e/o mentali del genitore nel periodo successivo alla perdita – È noto che la perdita del partner è associata ad alti livelli di sintomatologia nell’adulto sopravvissuto nel periodo successivo alla perdita, le madri riporta- no livelli maggiori di depressione e problemi relativi alla salute psichica, rispet- to ai padri (Dowdney et al., 1999). Il bambino, a seguito della perdita, ha a che fare con il proprio dolore e con quello del genitore sopravvissuto. Associazio- ni chiare sono emerse in letteratura fra la salute mentale del genitore e l’esito del bambino. Ad esempio, gli studi sulla depressione materna indicano che il bambino con madre depressa mostra una presenza significativamente maggio- re di problemi emotivi e comportamentali (Dowdney, Coyne, 1990). Il disagio psicologico del genitore è un significativo predittore di una serie di sintomi nel bambino, come ad esempio disturbo post-traumatico, depressione e ansia (Pfeffer et al., 1997). Evidenze empiriche testimoniano come la salute psichica del genitore sopravvissuto nel periodo successivo alla perdita rappresenti un importante fattore di mediazione capace di influenzare il processo di elabora- zione del lutto nel bambino. b) Fattori familiari – Processo del lutto. Le modalità con cui le famiglie affrontano i rituali rela- tivi alla perdita (funerale ecc.) e il modo in cui i bambini sono coinvolti, varia- no in base ad una serie di fattori che dipendono da aspetti etnici e culturali. Un aspetto che esemplifica il coinvolgimento del bambino nel processo fami- liare del lutto è rappresentato dalla partecipazione al funerale. La letteratura in ambito clinico suggerisce che la presenza del bambino al funerale facilita la comprensione e il processo di elaborazione del lutto nel piccolo (Raphael, 1982). Testare questa ipotesi a livello empirico risulta piuttosto difficile, dal momento che i dati indicano che la maggior parte dei bambini in età scolare

 marilena moretti partecipa al funerale del genitore (Silverman, Worden, 1992). Ciononostante, Weller e colleghi (1991), nel loro studio riguardante la presenza dei bambini (6-12 anni) al funerale, non hanno trovato associazione significativa fra la pre- senza del minore alla celebrazione e la presenza di sintomatologia psichiatrica nei due mesi successivi. – Funzionamento familiare e cure genitoriali. I resoconti teorici e clinici sugli effetti che la morte di un genitore ha sul funzionamento familiare focalizzano l’attenzione sull’organizzazione familiare pregressa e successiva all’evento, in termini di coesione, comunicazione e differenziazione dei ruoli. Ad alto rischio sono considerati quei bambini la cui storia familiare, pregressa al trauma, era caratterizzata da conflitti coniugali, separazione e divorzio. Il rischio di distur- bo rimane elevato quando il bambino è altamente coinvolto nella relazione con il genitore deceduto e scarsamente con il genitore sopravvissuto, e quando la famiglia è meno coesa. Masten e colleghi (2004) hanno identificato nella qua- lità delle cure genitoriali una risorsa fondamentale che promuove la resilienza nel bambino. Altri studi hanno mostrato che gli esiti positivi (in termini di resilienza), a seguito di una perdita precoce, sono predetti dall’apporto affet- tivo e dal calore del care-giver così come dalla coerenza nella disciplina (Lin et al., 2004; Raveis, Siegel, Karus, 1999). A livello più ampio, il parenting positivo, inteso come calore e affetto del care-giver e come coerenza nella disciplina, è stato considerato un importante fattore di protezione per i bambini colpiti da una perdita; lo studio di Haine e colleghi (2006) ha individuato che il parenting positivo è una sorta di fattore protettivo “compensatorio”, perché esercita un effetto benefico sulla salute psichica del bambino, indipendentemente dagli effetti degli eventi negativi. Sandler e colleghi (1992, 2003) sostengono che la coesione familiare e la presenza consistente di eventi familiari positivi contri- buiscono alla positività degli esiti, in termini di resilienza, nel bambino. c) Altre potenziali variabili di mediazione La perdita di un genitore è spesso succeduta da una serie di eventi: a) la modificazione (talvolta drastica) della routine domestica potrebbe implicare il coinvolgimento di un’altra figura adulta capace di prendersi cura del bambino; b) l’insorgenza di difficoltà finanziarie, a seguito della perdita del “capofami- glia”, potrebbe comportare la necessità di trasferimenti o cambiamenti di casa; tali variazioni implicano per il bambino e per la famiglia la perdita della rete di amicizie e sociale costruita nel corso del tempo (Pfeffer et al., 1997). Alcuni ricercatori hanno considerato la relazione fra perdita precoce di un genitore e ricadute sul funzionamento scolastico del bambino: alcune variazio- ni sono state rilevate in termini di minor attenzione, distraibilità e difficoltà di concentrazione (Dowdney et al., 1999). Worden e Silverman (1996) hanno dimostrato inoltre che una parte di bambini in lutto mostra tardivamente i segnali di disagio, solo a distanza di

 4. rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia tempo o in conseguenza di altri fattori stressanti e/o eventi di vita successivi alla perdita del genitore.

4.4 Conseguenze a breve e lungo termine

4.4.1. manifestazioni psicologiche a breve (2 anni successivi) e lungo termine

Le ricerche più datate, così come i resoconti clinici, hanno evidenziato gli effetti che la perdita precoce di un genitore può avere sull’adattamento psi- cologico del bambino. In molti di questi studi, la perdita viene vista come un grande evento traumatico che può mettere a rischio la salute psichica del bambino. È altresì chiaro che il bambino e l’adulto sopravvissuto sperimen- tano a seguito dell’evento traumatico un periodo di acuta e profonda crisi. Il bambino è a rischio di sviluppare una serie di sintomi che includono de- pressione, ansia, problemi di condotta, compromissione delle prestazioni scolastiche, ritiro sociale, sentimenti di insicurezza, vulnerabilità e scarso autocontrollo (Lutzke et al., 1997). Il numero dei fattori di rischio aumenta la vulnerabilità del bambino e aumenta la possibilità di sviluppare sintoma- tologia. Nel genitore sopravvissuto, alcuni studi hanno mostrato che la perdita del partner comporta un elevato disagio psicologico, in termini di dolore acuto, irrequietezza, irritabilità, problemi fisici e abuso di sostanze stupefacenti (Stroebe, Stroebe, Harisson, 1993). La depressione genitoriale è un fattore di rischio importante per l’insor- genza di problemi internalizzanti ed esternalizzanti nei bambini ed adolescen- ti (Langrock et al., 2002); evidenze empiriche testimoniano che i problemi relativi alla salute psichica del genitore sono associati a difficoltà nei bambini (Kalter et al., 2002). Altri studi si sono focalizzati sulla tipologia di cure che il genitore sopravvissuto fornisce al bambino. La scarsa qualità delle cure, così come la trascuratezza, sono due fattori di rischio per l’insorgenza di problemi psichici nel bambino. La perdita di un genitore implica una serie di esperienze stressanti “se- condarie” (trasferimenti, problemi economici, cambiamento della routine), associate il più delle volte a problemi e disagi nel bambino (Sandler et al., 1988). La morte in sé rappresenta quindi un singolo evento che innesca una serie di reazioni a catena; se l’ambiente e le condizioni pregresse e successive alla perdita sono stressanti e minacciose, il bambino vive in condizioni di

 marilena moretti forte vulnerabilità e disagio, trovandosi a rischio di sviluppare sintomatolo- gia. Nonostante la copiosa letteratura che elenca i fattori di rischio per il bam- bino, numerosi e recenti studi hanno iniziato ad esaminare i fattori di prote- zione che promuovono un coping adattivo e un positivo adattamento alla per- dita. Dal punto di vista del bambino, le risorse includono alta autostima, self- efficacy, espressione di sentimenti di comprensione verso i membri della fami- glia, capacità di mantenere un’idea di sé positiva a fronte di eventi negativi (Haine et al., 2003). Lin e colleghi (2004) hanno valutato i fattori di protezione, a livello individuale e familiare, in bambini che hanno perso un genitore. A livello individuale, il “bambino resiliente” percepisce gli eventi negativi come meno minacciosi per il suo benessere, rispetto al bambino vulnerabile. La re- silienza potrebbe implicare una serie di processi per cui i comportamenti di coping adattivo portano alla percezione di efficacia (del Sé) che, a loro volta, promuovono il benessere psicologico dell’individuo. A livello familiare, la re- silienza del bambino è predetta dall’apporto affettivo e dal calore del care-giver così come dalla coerenza nella disciplina. La considerabile inconsistenza di molti studi condotti circa il legame tra perdita precoce nell’infanzia e l’insorgenza di forme di psicopatologia in età adulta (depressione maggiore, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo fobico, attacco di panico e disturbo dell’alimentazione) ha indotto molti ricercatori a concludere che ci sono altri fattori che intervengono e in qualche modo in- fluenzano la relazione fra perdita precoce e psicopatologia. Come esplicitato precedentemente, ci sono numerose variabili che interagiscono in termini di moderazione e mediazione sull’impatto che la perdita può avere sullo sviluppo successivo. I ricercatori hanno enfatizzato il ruolo di moderazione giocato dal contesto e dall’ambiente familiare sulle conseguenze psicologiche a lungo ter- mine. Bowlby (1980) ed altri autori enfatizzano la necessità di studiare la rela- zione genitore-bambino nel periodo successivo alla perdita, quale fattore cri- tico per l’adattamento a lungo termine. Uno studio (Luecken, 2000), condotto su giovani adulti che hanno avuto esperienza di perdita precoce di un genito- re, dimostra che la presenza di una forte ed adeguata relazione tra bambino e genitore sopravvissuto comporta nel bambino minor presenza di sintomatolo- gia depressiva e nel genitore livelli più elevati di supporto sociale, rispetto al gruppo di controllo. In questo studio, quindi, la positiva relazione genitore- bambino svolge un ruolo di moderazione fra la perdita precoce e a) l’insorgen- za di sintomatologia, b) la percezione di supporto sociale. Questi risultati sug- geriscono che la gestione positiva di stress acuti nel corso dell’infanzia (pro- mossa da un’adeguata relazione genitore-figlio) può migliorare le capacità adattive nelle fasi di vita successive.

 4. rielaborare la perdita di un genitore nell’infanzia

4.4.2. manifestazioni fisiologiche

In contrasto con l’elevato numero di studi che ha esaminato gli esiti psicolo- gici a lungo termine associati ad una perdita precoce, solo recentemente sono stati intrapresi studi che considerano le potenziali conseguenze in termine di sviluppo del sistema fisiologico e di salute fisica. Recenti ricerche sui correla- ti fisiologici sottolineano l’importanza dell’ambiente psicosociale nel modula- re lo sviluppo del sistema corporeo implicato nella regolazione psicologica e biologica dell’organismo nel corso della vita. Evidenze empiriche suggerisco- no che l’esperienza precoce di perdita può esercitare effetti a lungo termine sull’organizzazione cognitiva, comportamentale, emotiva e fisiologica delle risposte allo stress nel corso della vita, influenzando l’insorgenza di possibili disturbi mentali e fisici associati allo stress (Brotman et al., 2003). Le risposte allo stress preparano l’organismo a rispondere alle situazioni di pericolo con un incremento del battito cardiaco, un’alterazione del sistema immunitario e l’inibizione di funzioni non essenziali per l’organismo (McEven, 2003; Repet- ti et al., 2002). Le risposte di stress coinvolgono una serie di sistemi, tra i quali l’asse ipotalamico-pituitario-adrenale (hpa) che regola la produzione e il rilascio del cortisolo, ormone glucocorticoide (comunemente chiamato “or- mone dello stress”), e l’asse simpatico-adrenomidollare (sam) che mobilita le risorse del corpo in condizioni di stress (ad es., incremento della pressione sanguigna). Recenti reviews sostengono che le esperienze precoci di vita eser- citano un’importante funzione di regolazione che influenza lo sviluppo del sistema di risposte fisiologiche allo stress (Nemeroff, 2004). Lo sviluppo del cervello avviene dal periodo perinatale fino in adolescenza e – all’interno di questa finestra temporale – può essere influenzato da una serie di fattori am- bientali (Rice, Barone, 2000). In particolare, le precoci esperienze con la figu- ra di riferimento possono avere un’influenza diretta ed effetti duraturi sullo sviluppo del sistema di risposte fisiologiche allo stress (Meaney, Brake, Grat- ton, 2002). Gli studi futuri andranno a considerare i fattori di mediazione e modera- zione che predicono vulnerabilità a lungo termine e resilienza in termine di salute fisica. Le teorie sugli stress cumulativi (ad es., Khan, 1963) suggeriscono che l’esperienza precoce di perdita può incrementare il rischio di sviluppare esiti negativi in termini di salute attraverso un’esposizione crescente agli stress successivi. Le teorie sulla resilienza cercano di individuare quei fattori che sono in grado di re-indirizzare il bambino verso percorsi di sviluppo “saluta- ri”, riducendone l’esposizione agli eventi stressanti ed improvvisi successivi. Ad esempio, un fattore di moderazione capace di influenzare l’impatto che la perdita precoce ha sul sistema fisiologico è rappresentato dalla relazione che il bambino ha con il genitore sopravvissuto. Nello studio di Luecken e Ap-

 marilena moretti pelhans (2006), la perdita precoce è associata ad un elevato livello di reattività del cortisolo in caso di stress solo nei casi in cui la relazione con il genitore sopravvissuto viene definita come scarsa; i ricercatori hanno individuato che la combinazione di perdite precoci e abusi era associata ad elevati livelli di cortisolo rispetto ai partecipanti che avevano esperito la perdita precoce, sen- za episodi di abuso. Gli studi sulle conseguenze a lungo termine della perdita sulla salute fisica sono decisamente recenti e, seppur con alcune limitazioni sul piano metodologico, sembrano andare nella direzione descritta da Rutter e colleghi (2004), i quali sottolineano la possibilità per i bambini di recuperare e ristabilirsi adeguatamente a seguito di un evento doloroso, prevenendo così conseguenze a lungo termine sulla salute.

 5 Sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla di Stefano Caracciolo

5.1 Premessa

Il suicidio è un tema scandaloso e paradossale, tanto da potersi definire in senso logico un’aporia (Motte, Rutten, 2001), ovvero una strada senza uscita. La sola menzione del termine, nella vita di tutti i giorni, è rara e sottoposta a censure di ogni genere, e quando avviene induce reazioni emotive diverse e contrastanti, di rifiuto e di angoscia fino all’orrore in certe circostanze (lo scandalo), di illuminazione e fascino in altri individui e in altri contesti (la ammirazione) (Shneidman, 1985). Dalla tragedia greca antica fino al moderno schermo del cinema – ambe- due, seppure con differenti caratteristiche, specchi non troppo deformanti delle vicende umane – la voglia di morire, indissolubilmente collegata a quella di vivere, viene rappresentata come elemento culturale e narrativo che riman- da ai livelli più profondi della disperazione e della ricerca del significato dell’u- mana esistenza. Ma nel salto dal pensiero al comportamento si realizzano elementi aggres- sivi che nelle loro conseguenze si riverberano su tutti i soggetti coinvolti, nel prima e nel dopo, in una prospettiva che viene definita del “post-ego” in quan- to coinvolge la visione futura del suicida nella prospettiva di quanto accadrà dopo la sua morte, come se potesse “magicamente” esserne spettatore (Wahl, 1957). E quale destino, dunque, per le sofferenze di chi resta? Questo è il focus principale delle riflessioni del presente lavoro, basato sull’ipotesi del potere salvifico della parola e dell’ascolto, quando essi prevalgono sul silenzio carico di sofferenza, evocato dalle parole della poetessa Sylvia Plath: «questo scuro soffitto senza stelle».

. «Not this troublous / wringing of hands, this dark / ceiling without a star» («Non questo tribolato / agitarsi di mani, questo scuro / soffitto senza stelle»: Sylvia Plath (1932- 1963) da Boy, 1963 (trad. mia), in Le Muse Inquietanti e altre poesie, Mondadori, Milano 1985.

 stefano caracciolo

5.2 Introduzione

Il suicidio è uno dei più rilevanti problemi di salute pubblica. Il fenomeno entra tra le prime dieci cause di morte nella popolazione generale ed è tra le tre cause principali di morte nelle persone tra i 15 e i 34 anni. Il tasso epidemio- logico di suicidio in Italia, in particolare, pur non essendo tra i più elevati nel mondo, supera largamente quello delle vittime di incidenti stradali. Dai rap- porti dell’Organizzazione mondiale della sanità si evince che dal 1950 al 1995 la percentuale di morti per suicidio è cresciuta globalmente del 60 per cento, e si stima che in tutto il mondo, nel solo anno 2002, siano morte 877 mila perso- ne per suicidio – vale a dire un suicidio ogni 40 secondi –, che corrisponde ad un tasso globale di mortalità pari a 16 suicidi ogni 100 mila persone. Tuttavia, se in media nel mondo ogni 40 secondi una persona si suicida, ogni 3 secondi qualcuno tenta di farlo. Il tentato suicidio si manifesta infatti con una frequen- za da 10 a 20 volte maggiore del suicidio stesso, anche se non esistono in tutto il mondo attendibili dati ufficiali che rappresentino la reale entità del fenome- no se non in misura largamente incompleta (who, 2012). La più accettata delle numerose definizioni di suicidio è quella formulata da Edwin Shneidman (1985): «atto umano di autoinfliggersi intenzionalmente la cessazione della vita». Altre categorie di comportamenti suicidari sono il tentativo di suicidio, definito come «un gesto diretto contro se stessi, con l’e- sito non fatale, per il quale c’è l’evidenza che la persona volesse in qualche modo uccidersi», il suicidio mancato, il parasuicidio e l’ideazione suicidaria, che comprende un ampio ventaglio di pensieri, da idee fugaci che la vita non valga la pena d’essere vissuta fino ad una precisa progettualità suicidaria. A tutt’oggi, nessuna teoria è in grado di spiegare compiutamente la genesi del suicidio, comportamento che racchiude ambiguità e motivazioni comples- se in cui sono compresi fattori psicologici, sociali, biologici, genetici, culturali e ambientali. L’incidenza epidemiologica dei comportamenti suicidari è certa- mente sottostimata, dato che nelle statistiche ufficiali molte morti sospette vengono registrate come “incidenti”. Secondo le previsioni dell’Organizzazio- ne mondiale della sanità, tenendo conto dell’invecchiamento della popolazio- ne e di altri fattori, se non si interviene con politiche adeguate entro il 2020 i suicidi nel mondo potrebbero aumentare a oltre un milione e mezzo per anno.

5.3 L’importanza di ciò che avviene prima di un suicidio

Il suicidio è il risultato finale di un processo lungamente concepito, ed è quin-

 5. sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla di generalmente preceduto, per un periodo di giorni, mesi o anni, da idee di suicidio o da un tentativo di suicidio; le persone che hanno tentato il suicidio senza riuscirci hanno un rischio notevolmente maggiore di morire di suicidio rispetto a chi non l’ha mai tentato, tanto più alto quanto più è recente l’episo- dio. Le comunicazioni verbali ed i comportamenti non verbali dei momenti immediatamente precedenti il suicidio devono essere sempre e comunque considerati come un segnale di importante sofferenza, alla stregua di un “grido d’aiuto” che deve essere ascoltato e a cui è necessario rispondere. Il suicidio infatti è l’ultimo atto di un processo assai prolungato nel tempo (Thompson, Dewa, Phare, 2012), il che apre prospettive interessanti per la sua prevenzione. Ma se molte sono state le attenzioni dedicate in campo di ricerca a ciò che avviene prima del suicidio, relativamente poco sviluppato è invece il tema della sofferenza delle persone che sopravvivono dopo il suicidio di una perso- na cara, spesso abbandonate al loro dolore.

5.4 L’importanza di ciò che avviene dopo un suicidio

Il lutto è un’esperienza emotiva, comportamentale e sociale con la quale ognu- no prima o poi può confrontarsi. Ma, come scrisse La Rochefoucauld, «né il sole né la morte si possono guardare fissamente». Possiamo definirlo come una reazione alla perdita di una persona cara, anche se una reazione simile vie- ne sperimentata anche da chi vive altri tipi di perdita, ad esempio di una posi- zione professionale, di un ruolo nel contesto sociale ecc. Il lutto è quindi un’e- sperienza personale che comporta delle reazioni e richiede delle strategie per essere affrontato (strategie di coping). Sono molti i fattori che possono influenzare la reazione ad una perdita, in particolare la repentinità con cui è avvenuta, la drammaticità dei fatti che l’hanno accompagnata, la profondità del rapporto che si aveva con la persona morta, alcuni tratti di personalità e il credo religioso e/o culturale del soggetto, la disponibilità di una rete relazionale di supporto alla quale fare riferimento. Che cosa succede nel lutto? Il passo finale del processo è il progressivo recupero del funzionamento normale, fino al ristabilimento di un benessere generale. Molti autori hanno descritto le fasi del lutto: Bowlby (1980) e, più di recen- te, Parkes (1996) hanno parlato di 4 fasi del lutto: lo shock-intorpidimento

. François de La Rochefoucauld (1613-1680), Riflessioni o sentenze e massime morali, 1678 (trad. it. di G. Bogliolo, Massime, Rizzoli, Milano 1982).

 stefano caracciolo iniziale, seguito da desiderio-ricerca dell’“oggetto” perduto, poi dalla dispera- zione e, infine, dalla fase della riorganizzazione (Mallon, 2008). Jacobs descrisse delle fasi simili alle precedenti (intorpidimento, incredu- lità, angoscia di separazione, depressione e recupero) che si verificano nei 6 mesi successivi alla morte. Quindi con l’evoluzione del processo del lutto la persona guadagna gradualmente una sorta di accettazione della morte. È sempre difficile affrontare la morte di una persona cara, ma questo è particolarmente vero quando la morte è improvvisa e violenta, come può es- sere nel caso di un suicidio. Molti autori, sulla base dei dati raccolti con i familiari di suicidi, affermano che il lutto per un suicidio è più difficile da affrontare, rispetto a quello dovu- to ad altri tipi di morte. Si è a lungo discusso nella letteratura sulla reale natu- ra di questa maggiore sofferenza. Gli studi principali condotti da Farberow e, in Olanda a Leiden, dal gruppo di Cleiren, Diekstra e Kerkhof (1994) sembra- no suggerire che il meccanismo tenda a strutturarsi non tanto sul “come” si reagisca quanto sul “chi” reagisca: le famiglie sopravvissute al suicidio eviden- ziano nel lutto la loro vulnerabilità. Si è visto ad esempio come nei genitori in lutto per un suicidio (ma anche per un incidente), la frequenza di una evolu- zione in “lutto complicato” è significativamente più elevata rispetto ai genito- ri i cui figli erano morti di malattia. Tuttavia, altri ricercatori non hanno trova- to differenze quantitative tra i due tipi di lutto, in particolare tra quello che segue un suicidio o altre morti improvvise e violente. Quindi, in estrema sin- tesi, nonostante il lutto in seguito ad un suicidio non differisca necessariamen- te da altri tipi di lutto quanto ad intensità, sembra assodato che si differenzi qualitativamente.

5.5 Le reazioni emotive dopo un suicidio

Dal momento che in un anno si contano circa un milione di suicidi nel mondo, si può calcolare che almeno sei milioni di persone ogni anno sperimentano un lutto legato ad un suicidio (Schneidman, 1969). Le reazioni emotive che caratterizzano i sopravvissuti al suicidio si concen- trano attorno a tre aree tematiche: 1. emozioni riguardanti il significato di una morte che va contro il naturale istinto di sopravvivenza; 2. sentimenti di colpa per aver omesso di capire e prevenire il suicidio; 3. sensazione di essere stati traditi o abbandonati dal defunto, con conse- guenti sentimenti di rabbia e disperazione. Secondo Clark e Goldney (2000) i temi del lutto comprendono numerosi

 5. sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla elementi, variamente rappresentati nei singoli individui, tanto che ogni reazio- ne di lutto è diversa dall’altra come le impronte digitali. Importanti e lungamente presenti sono innanzitutto i temi collegati allo shock della scoperta del corpo dell’individuo suicida, che si mantengono per anni vivi nella mente e nella memoria dei soggetti coinvolti, con immagini vi- sive, acustiche, olfattive che dolorosamente perseguitano i pensieri della veglia ed i contenuti mentali del sonno e dei sogni, similmente a quanto avviene in generale nei disturbi post-traumatici da stress. I temi di sollievo sono più frequenti quando il suicidio di un congiunto è l’ultimo episodio di una lunga serie di ricoveri, trattamenti e altri tentativi, per cui la fine della minaccia incombente e un possibile seppur doloroso ritorno alla normalità con la fine di una perdurante sofferenza del congiunto morto rappresentano un elemento comunque di alleggerimento del carico emotivo nella rassegnazione. Accanto al sollievo possono peraltro emergere, special- mente quando il suicidio era del tutto inatteso, reazioni di incredulità (“non è vero, non è possibile”) o di negazione del suicidio (“non è stato un suicidio”, “l’hanno costretto a farlo”, “è stato un incidente”), pensieri ed idee che hanno una funzione protettiva e difensiva, seppure fuorviante, rispetto alla rispetta- bilità propria o del suicida. Elementi di orrore possono caratterizzare i sopravvissuti a proposito dei metodi utilizzati, specie se cruenti, o della sofferenza dell’agonia suicidaria, mentre si evidenziano aspetti collegati alla vergogna nei confronti del gruppo sociale, di rabbia per sentirsi abbandonati o traditi dal suicida, ed elementi rivendicativi nei confronti di chi non è intervenuto in soccorso del suicida. Ma gli elementi prevalenti sono certamente quelli che ruotano intorno a tre grandi aree problematiche: il metodo del suicidio, le ragioni del suicidio ed il senso di colpa. Sul metodo (Come ha fatto?) la famiglia desidera spesso essere informata sul modo, sulle circostanze e sugli strumenti che il soggetto ha utilizzato per darsi la morte, informazioni che quasi sempre attengono agli aspetti legali e giudiziari e quindi vengono forniti da personale sanitario e della forza pubbli- ca. Sulle ragioni del suicidio (Perché lo ha fatto?) convergono gli eventi e le relazioni che possono avere condotto, determinandola, alla scelta suicidaria, legata a pressioni esterne o a desideri frustrati del suicida, nelle circostanze immediatamente precedenti l’atto, talvolta questioni ben chiare ed evidenti, talaltra assolutamente impreviste o del tutto sconosciute. E, infine, si osserva costantemente l’emergere di sentimenti di colpa, che di solito rappresentano il risultato consequenziale delle possibili risposte alla domanda: Perché?. Di frequente i familiari e gli amici si sentono coinvolti dalle dinamiche del suicidio per quello che hanno fatto e persino per quello che non hanno fatto: la classica posizione che si evidenzia è legata a tutte le

 stefano caracciolo frasi ipotetiche che questi soggetti pronunciano iniziando con l’espressione: Se solo... “Se solo gli avessi telefonato, se solo fossi passata un’ora prima, se solo l’avessi convinto ad uscire...”, e così via. Naturalmente, emerge qui una delle aporie più profonde: qualunque cosa si sia fatta o non si sia fatta viene in que- sti casi ricondotta alla catena sequenziale immaginata, ma non sempre realisti- ca e tanto meno vera, che avrebbe condotto il soggetto alla morte. Questa posizione appare pertanto del tutto inconscia, e solo parzialmente utile alla elaborazione del lutto, se non lascia spazio in breve ad una più matura reazio- ne depressiva di lutto melancolico in cui queste dinamiche di colpa vengono incorporate e lentamente elaborate, anche se mai del tutto superate. Si tratta infatti di sentimenti di colpa di segno persecutorio direttamente attivati dalla componente comunicativa e relazionale, anch’essa spesso incon- scia, connaturata con il gesto autodistruttivo che, comunque, lascia a chi resta una pesante eredità di vissuti affettivi. Come ci ricorda lo psicoanalista Franco Fornari (1967): «ogni suicida in qualche modo vuole gettare il proprio cadave- re sulle spalle di qualcuno».

5.6 Lo stigma e le dinamiche di disgregazione della famiglia

Il lutto per un suicidio è un processo che prevede profondi cambiamenti dei rapporti sociali delle persone coinvolte e che a sua volta è influenzato da tali rapporti. Innanzitutto l’intero sistema dei rapporti intrafamiliari, sotto l’im- pulso delle dinamiche emotive attivate dal suicidio, viene gravemente sconvol- to, e le differenti reazioni fra i diversi membri possono suscitare ex novo o mettere a nudo conflitti interpersonali talora insanabili. Ma se si osserva quan- to avviene al di fuori del cerchio familiare, si può facilmente notare che le re- azioni tendono a spostare il loro asse dal compianto e dalla comprensione verso quello della stigmatizzazione, ovvero della attribuzione all’evento di un marchio dispregiativo, basato su diverse forme di pregiudizio sociale (etico, religioso, politico), che tende a svilire le persone comunque coinvolte e a in- fluenzare negativamente il giudizio sociale su tutti gli interessati. Inoltre, no- nostante da secoli ormai il suicidio non venga considerato un comportamento criminale da nessun ordinamento giuridico, è tuttora molto diffusa e prevalente una tendenza a giudicare socialmente esecrabile l’atto suicidario e a vedere negativamente il gruppo familiare in cui l’evento si è verificato, come se fosse possibile attribuirne sempre una chiara e condivisa responsabilità a tutti i soggetti coinvolti. Il fenomeno dello stigma è spesso il principale responsabile dell’isolamento che si osserva nelle famiglie reduci dal suicidio di un congiun- to.

 5. sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla

Emergono dunque all’interno dei gruppi familiari e della comunità cui essi fanno riferimento alcune dinamiche caratteristiche del lutto in seguito al suicidio: 1. il dispiegarsi dei sensi di colpa; 2. il bisogno spesso incoercibile di mantenere il segreto sull’evento, in parti- colare verso i bambini della famiglia e verso le persone non conosciute intima- mente; 3. il desiderio di isolamento sociale. Se i sensi di colpa sono un elemento abbastanza condiviso con altri tipi di lutto, seppure collegati talvolta ad evidenti situazioni in cui i superstiti pote- vano effettivamente compiere o non compiere azioni che si sono poi rivelate decisive, il bisogno di segreto e l’isolamento, ambedue collegati principalmen- te alla vergogna e, quindi, a fenomeni di natura sociale come lo stigma, sono assolutamente specifici del suicidio e divengono quindi un terreno predispo- nente per una difficoltosa elaborazione del lutto.

5.7 Uscire dal lutto dopo un suicidio

Dopo un suicidio, le reazioni emotive che si strutturano nel lutto possono mantenersi con intensa sofferenza per parecchi anni (Clark, Goldney, 2000). I numerosi studi condotti hanno osservato il perdurare delle reazioni emotive per oltre tre anni, con particolare intensità per l’anniversario del suicidio e per altre date specifiche, come i compleanni, il Natale, il giorno della Festa della mamma o di San Valentino, e hanno dimostrato che l’evoluzione positiva non è costante né graduale, con possibili fasi di riesacerbazione o di ricomparsa in caso di altre perdite successive. Nella assistenza alle persone colpite, le prime fasi devono essere caratte- rizzate da un atteggiamento empatico, importante ma non di per sé sufficiente a garantire un intervento adeguato, che deve basarsi invece su tutti i fonda- mentali pilastri del rapporto medico-paziente (gentilezza, sincerità, empatia, competenza, efficacia, fiducia, alleanza) imperniati in questo caso specifico su tre elementi principali: 1. che sia possibile per il sopravvissuto apprendere tutta la verità possibile sull’accaduto, pur senza scendere in dettagli troppo crudeli, 2. che sia possibile per il sopravvissuto vedere il corpo o almeno poter stare accanto a ciò che rimane del cadavere coperto da un telo funebre, e 3. che sia possibile svolgere esequie funebri a cui il sopravvissuto possa partecipare. È stato dimostrato nelle ricerche che la mancanza di uno di questi tre elemen- ti può fare da pericoloso precursore per una cattiva elaborazione successiva del lutto.

 stefano caracciolo

Elenchiamo di seguito alcune delle possibili situazioni specifiche che si presentano e che meritano una speciale attenzione: 1. quando il suicida è un familiare di persona giovane, è proprio ai bambini e ai ragazzi, naturalmente, che va dedicata la maggior cura e attenzione per la elevata incidenza di sintomi e reazioni di tipo post-traumatico: astenia, distur- bi del sonno e della alimentazione, calo ponderale, ansia, tristezza e reazioni emotive abnormi, con possibile regressione dello sviluppo psicoaffettivo e di- sadattamento sociale; 2. quando il suicida è un genitore, la reazione dei figli è fortemente dipenden- te dall’età, anche se in generale si osservano comunemente reazioni di ansia iniziale, seguiti da colpa, vergogna e rabbia. Gli studi sembrano comunque suggerire che gli esiti del lutto dopo la perdita di un genitore per suicidio non sono differenti dagli esiti dopo la perdita per motivi di altra natura. È utile che i figli capiscano, in base all’età, quanto accaduto, con informazioni il più pos- sibile realistiche, e che si sentano il più possibile supportati dai membri super- stiti della famiglia senza censurare il termine “suicidio” o equivalenti se l’in- formazione è comprensibile in base all’età, il che facilita la espressione delle emozioni; 3. quando il suicida è un coetaneo di un adolescente, esistono rischi concreti che il coetaneo sopravvissuto sperimenti depressione e colpa, specie se il con- tatto con il ragazzo suicida era frequente e quotidiano (ad es., compagni di scuola o di sport) ed è stato molto vicino al giorno del suicidio. Sono docu- mentati in letteratura, seppure raramente, fenomeni di contagio – effetto Wer- ther – e possibili episodi cluster (a grappolo) di suicidi in gruppi giovanili. La possibilità di comunicazione e la sua qualità, con la possibilità di parlare dell’e- vento fra pari o all’interno del nucleo familiare, divengono in questo caso elementi essenziali per una buona elaborazione del lutto; 4. quando il suicida è un figlio adolescente, i genitori affrontano un periodo terribile di confrontazione con la propria inadeguatezza e si interrogano sulla incapacità di aver impedito il suicidio, spesso con conflitti coniugali o familia- ri che per lungo tempo li tormentano, evocando rabbia, risentimento, accuse reciproche, senso di colpa. Il processo è reso ancora più difficoltoso dal fatto che è molto frequente che gli adolescenti siano in conflitto con i genitori, e questo fatto, di per sé naturale, rende ancora più difficile accettare l’accaduto senza sentirsi almeno in parte responsabili del suicidio; 5. quando il suicida è il coniuge, una serie di elementi particolari legati alle dinamiche di coppia vanno rintracciati in quanto specifici fattori di rischio, come la presenza di dissidi coniugali, le possibili relazioni extra-coniugali, motivazioni economiche o finanziarie o altri motivi di disaccordo fra i coniugi che possano essersi tradotti in meccanismi favorenti il suicidio. Spesso invece, in presenza di un disturbo depressivo, il coniuge superstite ha vissuto una

 5. sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla lunga fase di cure, ricoveri, precedenti esperienze di tentativi di suicidio, e giunge stremato alla situazione di lutto; 6. quando il suicida è un anziano, la storia è spesso legata ad uno stato di isolamento, di vedovanza, talora di abbandono, in cui la soluzione suicidaria trova parenti, amici e vicini di casa increduli e attoniti di fronte all’evento. Anche in questo caso i sensi di colpa e di vergogna possono condurre facil- mente allo stigma e all’isolamento ulteriore, specie nel caso che il superstite sia il coniuge anziano.

5.8 Conclusioni

I milioni di persone, parenti o amici, che ogni anno devono affrontare il lutto susseguente al suicidio di una persona cara vengono troppo spesso lasciati soli, sono poco compresi ed aiutati dal supporto sociale e dall’intervento dei servizi sociosanitari. Si calcola che solo uno Stato su dieci, fra quelli che pos- siedono un Servizio sanitario nazionale, preveda programmi di intervento de- dicati ai sopravvissuti. L’Italia non è fra questi. Questo è il motivo principale per cui un lutto che si presenta già in partenza come più difficoltoso rispetto ad altri tipi di lutto ha esiti spesso più negativi in termini di sofferenza, di pa- tologie susseguenti, di perdita della qualità della vita, anche in funzione del perdurante atteggiamento sociale di stigma e di isolamento da parte della co- munità verso i sopravvissuti ad un suicidio. Rimane pertanto attualissima, a diversi decenni di distanza, l’affermazione di Edwin Shneidman che scrisse: «la migliore prevenzione [del suicidio] per i prossimi decenni e le prossime generazioni rimane l’intervento in fase preco- ce» (Shneidman, 1969, Prologue).

 6 Morti improvvise e violente: il trauma della perdita di Paola Bastianoni

Nel lutto il giudizio è annebbiato dagli affetti. Sigmund Freud

6.1 Introduzione

La perdita affettiva inattesa, violenta e a volte ingiustificabile perché dovuta a comportamenti prevedibilmente a rischio e lesivi da parte di terzi, quali la guida in stato d’ebbrezza, comporta dinamiche specifiche nell’elaborazione del lutto, così come la perdita conseguente a un evento calamitoso naturale o a un errore umano, come un terremoto, l’esplosione di una centrale nucleare, l’inabissarsi di una nave; eventi che determinano per le vittime una perdita plurima e aggravata: delle persone significative, dei punti di riferimento am- bientali, come avviene nei terremoti più intensi, di condizioni strutturali e strutturanti: lavoro, casa, progetti, denaro. Sono esperienze che avvengono in condizioni collettive e risentono dei tempi e delle modalità con cui avvengono i soccorsi; della comprensione e dell’accoglienza di chi aiuta; della rilevanza dell’impegno di solidarietà, di risanamento e di risarcimento con cui la società interviene; dell’oblio in cui si ricade dopo l’emergenza o della continuità dell’intervento di risanamento e di ristrutturazione e, infine, delle tematiche riguardanti i processi risarcitori: corrette attribuzioni o meno di responsabili- tà, adeguate pene, risarcimenti morali ed economici. Comprendere come av- viene l’elaborazione del lutto in queste situazioni e come essa può essere faci- litata, da una comunità accogliente e solidale e/o da professionisti chiamati a intervenire per le complicanze più significative, deve necessariamente non sottovalutare il peso di queste variabili nell’elaborazione personale del lutto, proprio perché le circostanze stesse della morte e le conseguenze nella vita dei sopravissuti possono diventare ostacoli importanti al corretto processo di la- voro del lutto che, ricordiamo, conduce l’individuo in modo processuale, ma raramente lineare, a una progressiva e piena consapevolezza, sia sul piano cognitivo sia su quello emotivo, della perdita subita e a una sua accettazione. Un lavoro, come è ampiamente ribadito in questo volume, che porta con sé una ristrutturazione anche della percezione di sé che possa tener conto, il più

 6. morti improvvise e violente: il trauma della perdita possibile, della perdita. Nel caso delle morti improvvise, per incidenti o cata- strofi, il riconoscimento autentico del dolore, che consente il compimento del lutto, trova il primo e più consistente ostacolo nell’accrescimento sistematico e costante della rabbia che, molto frequentemente, non riesce a sciogliersi nel tempo e si “incista” con effetti psicologici e fisici rilevanti.

6.2 Lo shock della perdita improvvisa e violenta

La prima grande differenza che la morte improvvisa di una persona cara de- termina nell’approccio al lutto di chi le sopravvive rispetto a chi accompagna alla morte un familiare da tempo ammalato è l’assenza del lavoro psichico sul distacco dalla persona significativa – lutto anticipatorio, cordoglio anticipato, commiato – con il quale si intende quella fase nel lavoro sul lutto che identifi- ca i vissuti di perdita antecedenti la morte stessa. Il cordoglio anticipato è un processo molto rilevante nella futura elaborazione della perdita ed è caratte- rizzato da uno stato di ambivalenza emotiva, sia nel senso dell’alternarsi di momenti di speranza a momenti di profonda angoscia per il futuro, sia nei confronti della persona che si sta perdendo in relazione, naturalmente, alla natura del legame affettivo stabilito con lei, all’età, alla natura della malattia e alle altre variabili di tipo individuale, relazionali e contestuali, che abbiamo descritto nei capitoli precedenti. Nel caso di una perdita improvvisa, al con- trario, non esiste un pensiero sulla possibilità della perdita, non esiste uno spazio interno dove riporre pensieri, timori, emozioni contrastanti, desideri, paure né un tempo per riflettere, immaginare, sostare nel dolore. La persona sopravvissuta si trova impreparata e attonita di fronte a un cambiamento im- provviso della propria prospettiva temporale: il futuro pensato, progettato, desiderato cessa di esistere, svanisce, come quella vita quotidiana rassicurante vissuta fino al momento della tragedia. Il cambiamento repentino non è né desiderato né atteso e comporta reazioni emotive importanti, quali la negazio- ne della realtà e/o il congelamento affettivo e l’iperattività. Reazioni che, nella fase traumatica iniziale, funzionano come necessari meccanismi difensivi per sopravvivere a un dolore troppo imponente per essere accettato, ma che de- vono cedere rapidamente il passo all’accettazione di quella realtà dolorosa e angosciante dalla cui negazione dipende il rischio di congelare il lavoro sul lutto agli stadi iniziali del processo. Quando il processo di elaborazione non viene inibito, al contrario, l’accet- tazione del dolore consentirà alla persona ferita di collocare mentalmente nel passato ciò che nella realtà non è più presente. Questo processo che procede in un tempo non lineare ma ricorsivo, caratterizzato da frequenti cadute e ri-

 paola bastianoni attivazioni del dolore provato con lenta rimarginazione delle ferite, comporta una profonda riorganizzazione del proprio mondo interno, delle immagini mentali relative a sé e all’oggetto perduto, che potrà essere conservato solo se progressivamente verrà trasformato in ricordo. Il passato infatti può non interferire negativamente con il processo di in- tegrazione di sé necessario all’attualità solo quando riesce a transitare nel ri- cordo. Il ricordo è il risultato equilibrato di una ristrutturazione affettiva e cognitiva che consente di ristabilire un nuovo equilibrio personale dopo la perdita. Nelle situazioni di morte improvvisa succede molto frequentemente che la persona non possa usufruire di risorse personali, relazionali e contestua- li in grado di contrastare gli effetti devastanti del contatto imprevisto e subita- neo con la morte inattesa. L’esperienza di lutto acuto può comportare un bloc- co totale delle manifestazioni del dolore (apatia, assenza, indifferenza totale, insensibilità agli stimoli, inclusi quelli primari) alle quali si affiancano manife- stazioni di grave intensità, quali dispnea e blocco di alcune funzioni vitali, spesso accompagnate da un rifiuto dell’igiene oltre che del nutrimento e delle cure. Un discorso a parte merita il commiato dal corpo che nei casi di morti improvvise e violente viene spesso impedito ai familiari, sia perché il corpo non è stato ancora rinvenuto, sia perché il suo stato non consente l’accesso alla vista dei cari. I rituali di saluto e di commiato hanno grande rilevanza nel lavoro sul lutto e facilitano l’accettazione della realtà e l’avvio del processo stesso di ela- borazione del lutto (Dubin, Sarnoff, 1986). A livello psicologico, la conseguen- za della mancanza di contatto con il corpo facilita il permanere dello stadio della negazione della morte stessa e del conseguente disorientamento/disorga- nizzazione psicologico che induce una sorta di “congelamento” volto a perpe- tuare la sensazione di perdita di controllo della realtà, la percezione di vivere in una dimensione alterata, in una situazione che non riesce ad accedere alla dimensione consolatoria del dolore, anche se straziante e crudele, della perdi- ta. Accanto a questi aspetti del vissuto individuale, va ricordato che la morte violenta è una morte necessariamente pubblica (Zuliani, 2007). Intorno alla salma si affolla una molteplicità di persone con ruoli e funzioni diverse e tutte direttamente interessate a quel corpo: dal necroscopo alle forze dell’ordine, dall’addetto alle celle mortuarie al medico interessato a possibili organi di trapianto, dai giornalisti ai curiosi. In queste circostanze i familiari perdono il diritto all’intimità, al contatto silenzioso in assenza di rumore, sono obbligati ad ottemperare al disbrigo di pratiche necessarie ma invadenti ed invasive. Accanto alla perdita affettiva, l’esposizione a una morte improvvisa e/o catastrofica comporta una seria minaccia al senso di sicurezza personale e alla

 6. morti improvvise e violente: il trauma della perdita stessa salute psicologica, in quanto costringe a confrontarsi con la non preve- dibilità e controllo sull’evento morte. In questo senso, ricorda Horowitz (2004), tali eventi mettono in crisi le convinzioni personali sul mondo, sulla natura della vita che non appare più dominata dalla ragione e dalla giustizia ma dal caos e dall’imprevedibilità, innescando vissuti di negazione o di forte ansia e depressione. Un’attenzione specifica merita la morte improvvisa dolosa dovuta a com- portamenti irresponsabili di terzi, quali gli incidenti stradali per guida perico- losa in stato di coscienza alterata, o per azioni superficiali in cui è mancata la necessaria e fondamentale valutazione prognostica del possibile danno, di cui è esemplificativo il tragico “inchino” della Concordia effettuato con irrespon- sabilità dal suo comandante Schettino nel 2012. In queste situazioni l’elaborazione del lutto incontra molteplici impedi- menti che vanno dallo stupore iniziale, all’impossibilità di accettare una realtà così ingiusta e disumana (perdere i propri cari e la propria vita a causa del comportamento superficiale, delittuoso e irresponsabile di un terzo), alla ne- cessità di essere risarciti con un processo e una pena che sia esemplare anche per terzi. L’impotenza nel doversi scontrare con la minimizzazione della colpa dei diretti responsabili e il vissuto di profonda ingiustizia che ciò comporta alimentano la rabbia e la sua difficile risoluzione. I familiari delle vittime della strada e delle stragi hanno necessità che lo Stato provveda a una riparazione del danno che ripristini almeno il piano della giustizia: il riconoscimento della colpa, l’attribuzione di una giusta pena, un corretto risarcimento. Inoltre, non vanno dimenticati i grandi dolori invisibili, quelli derivanti da perdite che non possono essere dichiarate ma vanno vissute nel silenzio. Ci riferiamo a tutte le storie d’amore vissute all’ombra, non dichiarate. Nelle morti improvvise, a queste persone viene a mancare ogni diritto di confidenza con la persona perduta. Raramente hanno accesso alla salma e ai rituali neces- sari per un corretto commiato. Al dolore della perdita si aggiungono la nega- zione del diritto al dolore e alla comunicazione dei propri vissuti, l’esclusione dalla condivisione con le altre persone vicine, il sentimento di colpa e di ver- gogna che inerisce il sé e la propria percezione di autostima. Un focus specifico, anche se necessariamente non esaustivo, necessita in questo contesto il lutto traumatico in età evolutiva per la scomparsa improv- visa e violenta di un genitore. Quando un bambino/a è testimone della morte violenta di un genitore deve fronteggiare la complessità di una elaborazione necessariamente traumatica che riguarda il processo di rielaborazione della perdita del genitore ucciso; processo che coinvolge il ricordo della persona perduta come confortante e supportiva, ma che, allo stesso tempo, necessita di incorporare nel ricordo del genitore le terribili circostanze della sua morte. I figli di genitori uccisi vivono il trauma dell’abbandono e della perdita del

 paola bastianoni genitore defunto ma anche dell’altro genitore se è autore del reato, in quanto spesso è incarcerato o può togliersi la vita. Più l’età del bambino è ridotta (sotto i cinque anni) più questi eventi minacciano la perdita del senso di sé e dell’integrità psicologica, in quanto in questo periodo della vita nei bambini la perdita è strettamente correlata allo shock e a profondi vissuti di sopraffazione dagli eventi che non possono essere controllati. A volte questi bambini mostra- no una tristezza sconfinata, piangono in maniera inconsolabile e sono alla con- tinua ricerca del genitore perduto; altre volte giocano come se niente fosse accaduto. Spesso sembrano semplicemente persi. L’elaborazione del lutto in questi casi è strettamente dipendente dall’elaborazione del trauma della mor- te violenta e della violenza che, normalmente, ha caratterizzato l’esperienza e il clima domestico antecedenti all’evento luttuoso. Sono stati messi a punto diversi programmi per facilitare un processo di elaborazione di un lutto così complesso che mettono al centro dell’intervento il lavoro sulla normalizzazione delle risposte al trauma, incoraggiando la di- stinzione tra rivivere e ricordare, aiutando a ricollocare in prospettiva l’espe- rienza traumatica e favorendo un ritorno a uno sviluppo normale, alla centra- lità di compiti evolutivi adeguati all’età, un coping adattivo e un investimento sulle attività presenti e sugli obiettivi futuri.

6.3 Il lutto come esperienza condivisa

La morte improvvisa di una persona cara determina diverse risposte emotive nelle persone che devono affrontare il lutto della perdita e, come è stato am- piamente discusso in questo volume, l’ampiezza e l’eterogeneità delle risposte dipende da una molteplicità di ragioni tra le quali emerge la natura del legame con la persona persa e il modello di relazione interiorizzato da ciascuna perso- na nel tempo precoce delle primissime interazioni primarie. Accanto a queste variabili relazionali e alla molteplicità delle caratteristiche individuali (fattori cognitivi, elementi affettivi, età) nell’ultimo decennio si è insistito molto sul costrutto di resilienza – capacità di reagire al trauma senza spezzarsi (Cyrulnik, 2002) – come variabile mediatrice per comprendere e predire il percorso psi- cologico personale conseguente all’esposizione a un evento traumatico, quale la morte. L’attenzione è posta principalmente sulla stretta interdipendenza tra resilienza e supporto sociale, o meglio tra resilienza e percezione soggettiva del supporto sociale ricevuto. In altre parole il processo di elaborazione del lutto improvviso sarà facilitato laddove il soggetto sentirà di poter contare su una rete sociale solida, consolidata e sufficientemente ampia. Il supporto sociale percepito facilita nel soggetto il superamento dell’isolamento e favorisce la

 6. morti improvvise e violente: il trauma della perdita comunicazione, la narrazione di sé, di ciò che è stato, di cosa si prova e del proprio sentire. Nelle situazioni di perdite collettive la stretta interdipendenza tra narrazione e supporto sociale è ancora più significativa e ampia. La condi- visione di una perdita collettiva induce narrazioni collettive e routine e rituali condivisi che assolvono ad un’importantissima funzione nell’avvio del proces- so di elaborazione del lutto, in quanto ne inibiscono la negazione. Come evi- denzia Calabria (2005), lo stesso rito del Milite ignoto che si sviluppò alla fine del primo conflitto mondiale ne è una buona esemplificazione. La possibilità di dare un corpo simbolico collettivo – il Milite ignoto – e rituali condivisi collettivamente, vissuti e realizzati assieme ad altre vedove/ orfani/madri senza figli, ha consentito di facilitare i processi di elaborazione di un lutto così complesso, quale quello in assenza di salma. De Martino (2000) sottolinea che il peso della mancanza del corpo nell’elaborazione del lutto potrebbe essere compreso alla luce dell’impossibilità di vivere il proprio pian- to rituale; un’assenza che acquista un significato che va al di là dell’esperienza soggettiva per trasformarsi in ferita collettiva. Ricordiamo che nell’elaborazio- ne del lutto la parola con cui viene comunicato un vissuto traumatico consen- te di comprenderlo e di assimilarlo impedendo i fenomeni di ruminazione, i sogni traumatici e altri disturbi del pensiero. Il confronto con terzi, siano essi professionisti o meno, e l’espressione narrativa, orale e scritta, di eventi trau- matici contrastano dunque gli effetti negativi dell’inibizione, consentendo l’ac- cettazione, la comprensione e la risignificazione dell’evento (Sbattella, Tetta- manzi, 2007).

6.4 Il risarcimento nei processi elaborativi del lutto

Nell’elaborazione di un lutto determinato da una morte improvvisa per inci- dente stradale o per stragi ad opera umana, hanno grande rilevanza i fattori legati alla ricerca della responsabilità, gli aspetti risarcitivi e, da ultimo, quelli connessi con la giustizia. La ricerca delle responsabilità è un meccanismo ri- conoscibile e centrale in ogni processo di elaborazione del lutto riguardante una morte violenta e improvvisa. Sovente contiene anche aspetti di auto-attri- buzione della colpa che innescano meccanismi distruttivi e vissuti devastanti di colpa per essere sopravvissuti. Tra gli interessantissimi film sul tema dell’e- laborazione del lutto segnalati dalla rassegna di Pariti nella parte finale di questo volume (cfr. cap. 9), vogliamo ricordare il dialogo tra i due coniugi in Rabbit Hole in merito alla prevedibilità del danno della morte del loro unico figlio. Il bambino muore in strada per rincorrere il cagnolino amato scappato dal cancello aperto dell’abitazione, mentre sopraggiunge una macchina con-

 paola bastianoni dotta da un ragazzo giovanissimo, che non ha una guida spericolata e non guida neppure in uno stato di alterazione della coscienza; semplicemente non riesce ad evitare lo scontro con quel piccolo che improvvisamente esce dal cancello e corre in strada dietro al proprio cagnolino appena scansato dalla vettura. È una morte accidentale, improvvisa, difficile da attribuire alla folle irresponsabilità di un guidatore ubriaco, o alla colpevole trascuratezza dei genitori. È un incidente che semplicemente è avvenuto. Sarebbe stata suffi- ciente una minima dilatazione temporale per impedirlo ma è successo, e non è stato colpa di nessuno. Il film si snoda in una trama psicologica che intercon- nette il lavoro sul lutto dei tre protagonisti: il giovane che non ha colpa, se non quella di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato; la madre e il pa- dre che vivono in solitudine il loro dramma per ritrovarsi ancora assieme alla fine del percorso che dalla rabbia, transitando per quella lunga sosta solitaria nel dolore, porta all’accettazione di ciò che è stato e alla riconciliazione con la vita. L’attribuzione di responsabilità della morte del bambino al giovane che lo ha investito non è possibile, perché ingiusta e impropria. Nel dialogo tra i due genitori emerge tutta la complessità dell’identificazione di un colpevole a cui attribuire la responsabilità dell’accaduto, per cercare un sollievo all’incedere dell’inevitabile senso di colpa: se il genitore avesse chiuso il cancello, il cane non sarebbe scappato e il bambino sarebbe ancora vivo. La necessità di riela- borare la perdita in assenza di un colpevole costituisce il fil rouge della narra- zione, così sapientemente realizzata da una sceneggiatura competente che mette in scena quello che, tra i lutti, è forse il più soggetto all’insorgenza di complicazioni patologiche. Se l’aspetto di auto-attribuzione di colpa non va minimizzato, in quanto rappresenta la più comune sostituzione del dolore provato con una impietosa auto-recriminazione verso il proprio comportamento che in realtà non si è configurato come lesivo, diverso è il problema della ricerca esterna del “col- pevole” (Zuliani, 2007), comportamento estremamente diffuso nelle morti accidentali. Questa ricerca ossessiva e compulsiva del colpevole rischia di far incentrare il registro psichico della persona in lutto unicamente sulla rabbia piuttosto che sul dolore, che sono due registri diversi e spesso conflittuali. Quando la morte in strada avviene in seguito a comportamenti lesivi e prevedibilmente rischiosi, la ricerca di una giusta pena per il colpevole e l’ot- tenimento di un processo e di una giusta sentenza è una tappa importante ed estremamente significativa per avviare il lavoro di elaborazione del lutto. Ma spesso accade che il colpevole non venga individuato e/o punito, e che la so- cietà perpetui e rinnovi il crimine con l’assenza di giustizia per una morte che diventa una “doppia morte”, come affermano molti familiari delle vittime sul- la strada. In coloro che hanno perso una persona cara in un incidente stradale

 6. morti improvvise e violente: il trauma della perdita o in una strage, un’importante parte del lavoro sul lutto riguarda proprio la necessità di dover accettare e convivere con una realtà che può non riconosce- re come colpevole il responsabile dell’evento che, di conseguenza, potrà non essere punito o non sarà punito abbastanza e potrà comunque tornare a vive- re “come se niente fosse”, mentre la propria vita ha subito uno tsunami che mai potrà essere sanato. Le vittime hanno necessità non solo di accettare questa terribile realtà, ma anche di mettere in campo risorse per fronteggiare un evento possibile e a volte molto frequente: reincontrare occasionalmente o regolarmente il respon- sabile dell’incidente o, come avviene in Rabbit Hole, programmare un incon- tro con lui ma solo se questo è funzionale a lenire il dolore devastante nel quale ci si sente di annegare. Il rapporto tra le vittime in lutto e chi ha commesso il danno determina uno spartiacque tra la direzione del percorso psicologico personale e quello della giustizia. Brunori e colleghi (2006) sottolineano come esista una profon- da differenza tra perdono e giustizia, in quanto i due processi si realizzano in contesti diversi. Nel privato si concede il perdono che consente a chi è in lutto di liberarsi dall’impotenza vissuta. Concedere il perdono come atto volontario (non su richiesta) e determinato ha un innegabile valore terapeutico. Il perdo- no è un processo attivo che restituisce alla persona l’assertività e la libertà dell’azione, consente di attribuire la colpa a chi ha commesso il crimine ma di differenziarsi evitando di subire ulteriori danni. La giustizia opera invece nel contesto pubblico ed ha la responsabilità di riconoscere alle vittime il risarcimento. Il tema del risarcimento del danno alle vittime di eventi drammatici e colposi rappresenta una materia complessa, sia in ambito medico legale che psicologico: implica diverse questioni che si in- trecciano con il dolore della perdita subita, tra le quali sicuramente risultano centrali le procedure per la definizione del danno psicologico e del danno biologico. Una vedova quarantenne, che aveva perso il marito a causa di un gravissi- mo incidente stradale dopo lo scontro con un guidatore ubriaco e recidivo, segnalava il dolore di doversi sottoporre alle perizie per la valutazione del danno psicologico e quanto esse fossero di per sé gravi riattivatori traumatici in un percorso così complesso e difficile quale l’elaborazione di un lutto com- plicato per un trauma ancora non risolto. Il supporto psicologico di un professionista si rende in questi casi di estre- ma utilità, in quanto può aiutare la persona congelata nel lutto ad allontanarsi progressivamente dal vissuto di impotenza che si rinvigorisce nella perdurante relazione simbolica instaurata con l’autore del reato, per darle la possibilità di riprendere possesso pieno del proprio destino. In questo senso, come sottoli- nea Zuliani (2007), nel sostenere psicologicamente una persona che affronta

 paola bastianoni un lutto con queste caratteristiche, è necessario però che i professionisti siano a loro volta sostenuti nel comprendere quali dinamiche psicologiche si metto- no in moto nelle persone che si aspettano un “risarcimento” dopo un lutto di una persona cara provocato con responsabilità da terzi. La rabbia, emozione preponderante, ma che potrà essere associata o se- guita da sintomi depressivi importanti, sarà strettamente correlata alle vicende giudiziare, e così il percorso psicologico delle persone. Il “proprio destino” sarà vissuto come strettamente legato a chi si ritiene responsabile della perdita subita e quindi delle proprie sofferenze, seguendone le sorti. Tale situazione può trasformarsi in una ulteriore trappola per chi ha già subito un lutto im- portante, e costituire un cortocircuito doloroso e senza fine: il rischio è di ri- manere in attesa rabbiosa durante tutti gli anni delle vicende giudiziarie. La riattivazione traumatica e la riedizione del proprio dolore avverrà ogni- qualvolta nelle udienze dei tribunali la vicenda sarà rinarrata, ed il dolore e la rabbia risignificheranno nuovamente la perdita subita; in questo circuito do- loroso la sofferenza si confonderà con la rabbia, così come il colpevole si con- fonderà con le istituzioni, e la persona si sentirà inascoltata dalle istituzione e non accolta nel proprio dolore, ritirandosi via via nel risentimento e avviando una chiusura al mondo che riattiverà nuovi vissuti depressivi, incistati e com- plicati. Quanto detto necessita, da parte di chi sostiene psicologicamente una per- sona che sta affrontando la rielaborazione di un lutto complicato, quale quel- lo di chi ha perso una persona cara in strada o a causa di stragi, l’identificazio- ne di strumenti di sostegno che consentano di pervenire ad un superamento dell’incistamento nella rabbia. L’esperienza canadese del “Victim Offender Reconciliation Program” na- to nel 1976, pur se limitata ad alcuni crimini, è significativa, così come lo è l’esperienza italiana delle “Case del conflitto”. In entrambe le situazioni ciò che si persegue è l’avvio di una mediazione tra vittima e responsabile: la vittima ha la possibilità di ricevere risposte sul perché il fatto è avvenuto e di condur- re un processo di risignificazione della perdita che, nel caso della morte, non potrà mai essere di risarcimento del danno subito; il colpevole ha la possibili- tà di rendersi conto delle conseguenze delle sue azioni e della sofferenza pro- vocata, e ciò sembra implicare la riduzione della recidiva del reato commesso. La mediazione non si sostituisce allo Stato e alle istituzioni che lo rappre- sentano ma lavora a un livello diverso, più profondo, operando un intervento sul piano conflittuale più interno delle persone coinvolte. L’obiettivo non è di ottenere un risarcimento meramente retributivo o riabilitativo, ma di rimette- re in moto, a livello emotivo, un processo dinamico che consenta di sostituire il risentimento con l’impegno attivo all’interno di un percorso che deve perve-

 6. morti improvvise e violente: il trauma della perdita nire ad un bilanciamento tra l’esigenza di concludere il percorso di elabora- zione del lutto e quella di ottenere un risarcimento del danno subito.

6.5 Il sostegno psicologico negli eventi luttuosi da catastrofe naturale

Negli eventi traumatici legati a catastrofi naturali, ad esempio un terremoto, è fondamentale che il lavoro psicologico sia orientato ad aiutare i superstiti a ritrovare una sorta di equilibrio e serenità che permetta loro di riprendere a vivere. Ciascuno deve essere aiutato a farlo prestando attenzione alla sua strut- tura psichica ed alle modalità più opportune per affrontare un evento così traumatico. Anche se durante l’evento queste persone non hanno subito la perdita di una persona cara, ognuno di loro ha necessità di rielaborare il trau- ma correlato alla discontinuità percepita con la vita precedente (tra un “pri- ma” ed un “dopo”), alla perdita di punti di riferimento, al cambiamento delle abitudini, alle modifiche della fisionomia del luogo in cui abitava: è per questo che tale evento rappresenta una esperienza comunque analoga a quella del lutto. Per molte di queste persone, infatti, la vita non sarà mai più uguale a quella di prima (Brunori, Gagliani, Gibin, 2006). Gli sforzi e le energie di tutti (istituzioni, volontari, operatori ecc.) saranno orientati in realtà a cercare di far sì che “tutto torni come prima”: un progetto di ricostruzione implica un ponte rappresentativo con il passato e con la pro- pria storia, ma proiettato nel futuro. Emergeranno senz’altro vissuti di rabbia di fronte alla scoperta delle re- sponsabilità delle ditte costruttrici, degli appalti, delle speculazioni edilizie, e delle incompetenze istituzionali; tuttavia, di fronte a catastrofi naturali, al di là delle negligenze umane, il vero aiuto psicologico che si può offrire alle perso- ne traumatizzate è proprio l’ascolto e la condivisione dei vissuti di impotenza (Cuzzolaro, Frighi, 1998; Cusin, 2010). L’imprevisto e ciò che sfugge al controllo ci mettono di fronte alla nostra vulnerabilità, all’impossibilità di controllare le nostre vite, all’imprevedibilità. Riuscire a sostenere le persone nel tollerare e convivere con questa parte della dimensione umana è una condizione necessaria perché il lutto, che in questi casi riguarda le persone amate rimaste uccise ma anche gli oggetti ed i luoghi di riferimento perduti o totalmente trasformati, non si incisti in vissuti di disperazione eccessiva o di rassegnazione esasperata (Giusti, Montanari, 2000). Il sostegno psicologico in queste situazioni sarà orientato a favorire pro- cessi di ricostruzione delle potenzialità psichiche (Lavanco, 2003), attingendo

 paola bastianoni alle risorse individuali e fornendo contenitori di significato condivisi per le esperienze dolorose affrontate: la funzione principale dello psicoterapeuta è quella di esserci, di ascoltare empaticamente, di condividere le esperienze. Vissuti di angoscia, panico, paura, crisi di pianto, insonnia sono manifesta- zioni molto naturali in queste circostanze (Sbattella, Tettamanzi, 2007; Sbat- tella, 2009); occorre un certo tempo perché il dolore e la paura possano essere attraversati, e questo tempo va rispettato. Lo psicologo in queste situazioni ha poco da dire ai superstiti, ma deve invece essere in grado di ascoltare autenti- camente le loro storie, affinché un po’ dell’orrore descritto possa essere dige- rito attraverso le parole, i racconti, le testimonianze; un dolore «ineliminabi- le», legato ad una «realtà vissuta insopportabile», va accompagnato, attraverso una lenta trasformazione simbolica che lo renda più sopportabile, tramite le parole e l’ascolto autentico (De Felici, Colannino, 2003). Le case, i muri, i tetti che si sgretolano sotto le catastrofi naturali creano, nell’apparato psichico, analoghe crepe e sfaldamenti che necessitano di pro- fessionisti formati a queste emergenze: se nei giorni immediatamente succes- sivi al disastro le vittime hanno potuto trovare un sostegno in professionisti e volontari dell’emergenza, nel periodo post-traumatico questo sostegno è an- cora più necessario (Castelli, Sbatella, 2003). Gli incubi e le angosce notturne e diurne possono infatti comparire con più insistenza in tempi successivi e perdurare nel tempo. Sigmund Freud (1977), occupandosi dopo la Prima guerra mondiale delle “nevrosi di guerra” e ascoltando i reduci di guerra austriaci, si meravigliò della ripetizione in queste persone di sogni e incubi traumatici che rivivevano gli orrori vissuti in guerra, scoprendo così questo meccanismo psichico para- dossale che non permette al nostro apparato psichico di disfarci rapidamente di impatti diretti con esperienze intollerabili.

 7 L’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali: le conseguenze disconosciute del pregiudizio omofobico di Chiara Baiamonte

Ma Thomas sta morendo. A venticinque anni. E lui, Leo, che ne ha solo quattro di più, si ritrova vedovo di un compagno che è come non avesse mai avuto; e, a proposito del quale, non esiste nemmeno una parola, in nessun vocabolario uma- no, che possa definire chi per lui è stato non un marito, non una moglie, non un amante, non solamente un compagno ma la parte essenziale di un nuovo e comune destino. Pier Vittorio Tondelli, Camere separate

7.1 Introduzione

I vissuti di sofferenza psicologica ed i processi di elaborazione del lutto nelle situazioni di perdita di un compagno o di una compagna sono eventi di vita “ineliminabili”, ovvero universalmente dolorosi, annoverati tra i fattori trau- matici nel corso della vita di ogni individuo, sia esso ad orientamento eteroses- suale o ad orientamento omosessuale. Si intende perciò che il dolore per la morte della persona amata non è certo un’esperienza ancorata alla dimensione dell’orientamento sessuale. È necessario però introdurre, in questa sede, un focus sulle coppie omo- sessuali; affrontare questa tematica complessa permette di focalizzare l’atten- zione, quando si parla di elaborazione del lutto da parte di un/una partner di una coppia, sulle difficoltà ulteriori ed aggiuntive incontrate in tali situazioni dalle coppie omosessuali, portandone alla luce gli aspetti disconosciuti, tema di cui poco si parla ma che richiede sicuramente alcuni approfondimenti. Il quesito che si pone, solo in apparenza ovvio, è cosa ci sia di differente nelle elaborazioni del lutto di coppie ad orientamento eterosessuale rispetto a quelle eterosessuali. Se il dolore per la perdita di un/una compagno/a costituisce senza dubbio un dolore “ineliminabile”, ma che necessita del processo di elaborazione del lutto per diventare “sopportabile” e “accettabile”, la morte di un partner in una coppia omosessuale è però caratterizzato da una aggravante specifica nei processi di elaborazione del lutto: il pregiudizio omofobico in molti casi nega

 chiara baiamonte ai vedovi/e omosessuali il sostegno sociale necessario per alleviare, tramite l’accoglienza dei vissuti dolorosi e il contenimento e la condivisione di affetti, i sentimenti più devastanti che accompagnano una perdita così significativa. Sostenere pertanto che la morte di una persona omosessuale non merita attenzione particolare costituisce una manifestazione del processo, correlato al perdurare di pregiudizi omofobici a livello socio-culturale, di cancellazione dell’identità omosessuale. Quello che in realtà caratterizza, con connotazioni purtroppo negative, le esperienze delle coppie omosessuali, è una serie di pregiudizi di origine omo- fobica che “giustificano” azioni di esclusione che, nel corso delle differenti fasi dolorose di elaborazione di una perdita, possono favorire una ulteriore ed inutile complicazione dello stato di dolore delle persone coinvolte. Il pregiu- dizio sociale aggiunge, al dolore della perdita, la negazione del diritto al dolo- re, alla comunicazione e condivisione dei propri vissuti, all’autenticità e legit- timazione della propria disperazione di fronte alla perdita di una compagno o di una compagna. L’omofobia infatti non è solo quello che l’etimologia della parola dice (da homòios, simile, e phòbos, fobia, paura e reazione fisiologica e psicologica spia- cevole), ma va definita in realtà come un concetto più complesso, che com- prende un sistema di credenze e stereotipi volto a mantenere giustificabile e plausibile la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Il termine “omofobia” (Weinberg, 1972) o, come suggeriscono successiva- mente Hudson e Ricketts (1980), “omonegatività”, indica cioè un’attitudine (dal disagio al disprezzo alla violenza esplicita) che, più o meno consapevol- mente, una persona sperimenta verso tutto ciò che ha a che fare con l’omoses- sualità. Si parla di “omonegatività sociale” se ci si riferisce a comportamenti perpetrati socialmente contro le persone gay e lesbiche; si parla invece di “omonegatività interiorizzata” in riferimento all’attitudine negativa che una persona omosessuale può sperimentare nei confronti della propria omosessua- lità. Negli avvenimenti “esterni”, più strutturali, che caratterizzano un lutto (come ad esempio l’accompagnamento al lutto, le forme di assistenza in ospe- dale, le informazioni attorno allo stato di salute, le decisioni rispetto alle tera- pie per un compagno o una compagna in gravi condizioni, il funerale, il suc- cessorio), che rappresentano eventi importanti per la persona coinvolta perché hanno a che fare con importanti rappresentazioni simboliche in tali momenti dolorosi (quali il commiato dalla persona amata, il riconoscimento sociale del proprio dolore e della propria perdita, il ricordo nel tempo della persona ama- ta), possono essere attuate, e compaiono quasi sempre in forme differenti, azioni di pregiudizio e di esclusione a matrice omofobica, sostenute dalle pras- si sociali, delle istituzioni, della legge.

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali

Ma anche i momenti più “interni”, processuali, personali ed individuali, che sono ancorati al mondo interno dell’individuo e che riguardano l’elabora- zione privata della perdita (i vari stadi psicologici e vissuti legati all’elaborazio- ne della morte di un/una partner e come ognuno li sperimenta, e li può con- dividere, nella propria esperienza dolorosa), che sono specifici per quella persona e correlati al legame con la persona deceduta, possono essere inibiti, bloccati o complicati da pregiudizi di natura omonegativa e stigmatizzante che impediscono alla persona di affrontare il dolore dovuto alla rielaborazione di un lutto e negano quell’empatia e quel sostegno sociale che rappresentano un fattore fondamentale nel mitigare i vissuti di sofferenza per la perdita di una persona amata. Il lutto per la persona amata fa risonanza con la relazione intima che si aveva con la persona deceduta ma anche, per le coppie omosessuali, con la legittimazione sociale del proprio dolore ed il riconoscimento della relazione della coppia, nella vita prima del lutto e dopo la morte di uno dei partner. Il focus delle riflessioni di questo capitolo è perciò incentrato sugli elemen- ti che caratterizzano nello specifico, da un punto di vista psicologico, le espe- rienze di lutto delle coppie omosessuali, sulle conseguenze di queste esperien- ze dolorose, e su come sostenere professionisti ed operatori sanitari che si occupano di lutto nella decostruzione dei propri pregiudizi omofobici, facili- tando la messa in gioco, in queste situazioni, di competenze tecniche, empatia e coinvolgimento umano e riducendo movimenti difensivi al coinvolgimento e meccanismi, spesso inconsapevoli, di rifiuto all’accoglienza empatica, corre- lati a interni pregiudizi omofobici, e che possono interferire con la condivisio- ne autentica di affetti in queste situazioni dolorose. Questi aspetti verranno approfonditi anche attraverso l’analisi di narrazio- ni e rappresentazioni tratte da alcuni testi e film che hanno affrontato, narrato e rappresentato queste esperienze nelle coppie omosessuali. Il tema del dolore legato ai pregiudizi omofobici va inoltre di pari passo con il tema dell’“assenza di diritti” a cui ancora le persone omosessuali sono sottoposte, i cui aspetti giuridici verranno trattati nello specifico nel cap. 8.

7.2 L’invisibilità della coppia omosessuale nella vita e nella morte

Il vissuto che più viene esperito e descritto da individui omosessuali che hanno affrontato l’esperienza di lutto per la morte di un compagno o di una compa- gna è quello dell’invisibilità, tema per altro che accompagna spesso tutto l’ar- co della vita di relazione delle coppie gay, lesbiche, bisessuali o transessuali. Lingiardi (2007) riporta le parole di un uomo omosessuale in una intervi-

 chiara baiamonte sta, apparsa su “la Repubblica”, che così descrive i propri vissuti emotivi alla morte in ospedale del proprio compagno, dopo 26 anni di vita assieme:

Il mio compagno stava morendo, ma io per legge ero invisibile. Ho provato che cosa vuol dire non esistere. Non potevo stare lì, non potevo essere informato. Mi hanno aiutato la sua famiglia ed alcuni medici. Per tutte le decisioni importanti successive alla morte servono le firme di quelli che per legge sono i familiari.

Esemplificative sono le pagine che lo scrittore Pier Vittorio Tondelli, nel suo bellissimo libro Camere Separate (1989), usa per descrivere l’esperienza di mor- te di un uomo che affronta il lutto, per malattia, del suo compagno. Il romanzo racconta la storia di Leo – uno scrittore omosessuale di trenta- due anni – che ha perduto due anni prima il suo compagno tedesco, Thomas. Da questo evento di perdita inizia la rievocazione da parte di Leo della loro storia d’amore e della fase di elaborazione del lutto, che lo porta ad affrontare faticosamente il senso della solitudine, tema indicato come centrale dallo stes- so Tondelli. Nel ripercorrere le vicende della loro storia, Leo ricorda l’incontro con Thomas, avvenuto a una festa a Parigi, l’inizio dell’amicizia e dell’amore. In questa prima parte della narrazione appare un altro tema fondamentale del romanzo, già strettamente ancorato al tema di cui ci stiamo occupando: il senso di esclusione sociale, per una coppia omosessuale, che comporta vivere l’amore omosessuale. Nella seconda parte viene narrato il “ritiro” di Leo durante l’elaborazione del lutto: Leo sente la necessità di viaggiare attraverso l’Europa del Nord, viaggio che lo porta a ricordare una vacanza in Germania con Thomas in cui aveva avuto per la prima volta consapevolezza di come qualsiasi tipo d’amore necessiti di un riconoscimento sociale e di una legittimazione proveniente dall’esterno. Il dolore per la morte del compagno porta successivamente Leo a ricordare un episodio dell’infanzia, quando con terrore era venuto a cono- scenza della persecuzione degli ebrei, e a riflettere su come l’amore rappresen- ti un’isola di pace nella quale salvarsi dall’orrore della storia. Anche la ricerca di una religione che non abbia paura “delle passioni e della forza dell’amore” viene sentita da Leo come qualcosa di irrinunciabile, una religione che non sia ricerca dell’assoluto, così come dovrebbe essere per l’amore, che per essere maturo deve essere vissuto con la coscienza della distanza tra gli amanti: le “camere separate”, appunto. L’ultima parte approfondisce il tema della distan- za nel rapporto amoroso, che per Leo esprime «un rapporto di contiguità, di appartenenza ma non di possesso». Il romanzo si conclude con la fine del ritiro di Leo verso il mondo: l’amico Rodolfo lo invita a elaborare definitivamente il lutto per ricominciare a vivere.

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali

Leo non può più rinunciare alla sua solitudine, sente però il bisogno di «for- marsi una famiglia, una strana famiglia senza donne né figli, ma i cui vincoli fra i componenti siano altrettanto forti e consapevoli: Rodolfo, Eugenio, Michael». La coscienza della propria identità, la consapevolezza di appartenere ad una cultura minoritaria e ai suoi rituali, la richiesta di una legittimazione dell’a- more omosessuale, lo scontro drammatico con chi tenta di contrastare questa legittimazione fanno di questo romanzo uno dei più importanti della narrativa omosessuale italiana. Il libro, chiaramente autobiografico, che preannuncia la morte prematura del suo autore a soli trentasei anni, risale al 1989, ma è stato più volte ripubbli- cato. Nel testo Leo ricorda e narra tutti gli eventi e le tappe della relazione amorosa con Thomas, in una sorta di narrazione privata, tramite il racconto del loro forte legame in vita, della propria elaborazione del lutto. Così descri- ve gli ultimi momenti che preannunciano la morte del compagno:

Il padre rientra. Leo capisce che deve andarsene. Thomas è restituito, nel momento finale, alla famiglia, alle stesse persone che l’hanno fatto nascere e che ora, con il cuo- re devastato dalla sofferenza, stanno cercando di aiutarlo a morire. Non c’è posto per lui in questa ricomposizione parentale. Lui non ha sposato Thomas, non ha avuto figli con lui, nessuno dei due porta per l’anagrafe il nome dell’altro e non c’è un solo regi- stro canonico sulla faccia della terra su cui siano vergate le firme dei testimoni della loro unione. [...] Leo sente allora l’interezza della propria vita abissalmente separata dai grandi accadimenti del vivere e del morire. Come se avesse sempre vissuto in una zona separata della società (Tondelli, 1989, p. 36).

Ma cosa rappresentano le “camere separate” nel libro di Tondelli? Sono le “camere separate” in cui Leo e Thomas vivono per distanza “di nascita” e “di abitazione”, ma simbolicamente rappresentano le camere sepa- rate in cui si sentono spesso relegati, costretti a rimanere “separati” per stigma sociale, non sentendosi legittimati a svelare la propria identità come coppia omosessuale, vivendo vite a volte parallele in una “zona separata della società”; sono infine le stanze separate dell’ospedale in cui Leo è costretto a lasciare il proprio compagno, sul letto di morte, perché la loro relazione non è riconosciuta dalla famiglia di Thomas. Il titolo di questo romanzo e alcuni toccanti passaggi narrativi sintetizzano tutti i temi centrali e cruciali che descrivono la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, riscontrabile anche nel momento del lutto, a cui devono far fronte le coppie dello stesso sesso, e le conseguenze per lo più di- sconosciute del pregiudizio omofobico nei confronti delle coppie omosessuali: – l’amore delle coppie omosessuali non legittimato dal contesto sociale, e relegato pregiudizievolmente ad una relazione sentimentale di serie b;

 chiara baiamonte

– la concezione eterosessista delle relazioni di coppia ed il modello eteroses- suale assunto come modello predominante nelle rappresentazioni sociali, fat- tori che mantengono e sostengono il pregiudizio omofobico nei confronti delle coppie omosessuali; – il ricorrere delle tematiche dell’invisibilità/visibilità, del non detto, del ce- lare o svelare la propria identità, che a volte caratterizzano le dinamiche rela- zionali delle coppie omosessuali inserite in contesti sociali omonegativi; – il tema dell’assenza di diritti e dell’importanza di un riconoscimento dei diritti civili alle coppie omosessuali, come quello del matrimonio, del ricono- scimento dei figli, del diritto successorio ecc.; tema urgente da un punto di vista giuridico, ma necessario soprattutto per promuovere e sostenere il benes- sere psicologico delle persone omosessuali.

7.3 L’omofobia nella perdita della persona amata: gli aspetti centrali del pregiudizio omofobico ed il modello del minority stress nel momento del lutto

Alcune scene del film A Single Man – esordio alla regia di Tom Ford, del 2009, e basato sull’omonimo romanzo di Christopher Isherwood, Un uomo solo (1964), – possono essere utili per descrivere il riverberarsi del pregiudizio omo- fobico attorno ad una relazione omosessuale, anche nei momenti del lutto di un/a compagno/a. In virtù dell’esistenza, nel titolo inglese (A Single Man), di un gioco di parole con il termine single nel senso di “celibe”, il titolo in italiano è tradotto in Un uomo solo. Ed è da questo, seppur insignificante, nodo linguistico che si può partire nella lettura del libro dell’inglese Christopher Isherwood ed anche nella visione del bel film di Ford, che tratta la difficile, e non riuscita, elaborazione della perdita del compagno da parte di un uomo omosessuale. Anche in questo caso il titolo riassume agli spettatori il nodo della storia: un uomo solo è l’uomo che ha perso il proprio compagno e che, non riuscen- do a farsene una ragione, progetta il proprio suicidio; l’uomo single è la con- dizione nella quale la società relega le coppie omosessuali dal punto di vista dei diritti, del riconoscimento sociale, ma anche delle inclusioni rappresenta- zionali nei concetti di famiglia nucleare tradizionale (intendendo per questa la famiglia costituita da uomo e donna, eterosessuali, con figli). Il film è ambientato nel 1962 e racconta l’ultimo giorno della vita di Geor- ge Falconer, un professore inglese omosessuale che insegna in California. George ha intenzione di suicidarsi alla fine di questa giornata, poiché incapa-

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali ce di sopportare oltre il dolore per la morte del suo compagno, Jim, avvenuta otto mesi prima per un incidente stradale, dopo sedici anni di convivenza. In una scena iniziale, il protagonista, rievocando alcuni momenti della vita amorosa con il proprio compagno, ricorda come in un flashback una frase a lui rivolta dal compagno: «Dici sempre che siamo invisibili...». Può essere utile partire da questa frase per riprendere il filo dei concetti precedentemente espressi: se il lutto ed il dolore sono uguali per tutti, cosa può aggiungere dolore al dolore? Diventa fondamentale considerare il nesso tra l’omofobia – intesa qui co- me la perpetuazione di pregiudizi e di azioni di esclusione omonegative, la negazione di diritti alle persone omosessuali – ed il minority stress. Il lutto di un familiare è considerato il primo e maggiore evento di stress e di sofferenza psicologica nella vita degli individui, e questo vale complessiva- mente ed in egual maniera per gli individui ad orientamento eterosessuale come per quelli ad orientamento omosessuale, con le dovute differenze indi- viduali e specifiche legate non certo all’orientamento sessuale bensì alle carat- teristiche psicologiche, assolutamente personali, che differenziano una perso- na dall’altra. Varie ricerche scientifiche (Brooks, 1981; D’Augelli, Patterson, 1996) sotto- lineano come far parte di una minoranza stigmatizzata rappresenti una fonte di stress duratura, poiché non riguarda uno specifico evento o un’area della vita ma la quotidianità e l’intero arco della vita degli individui facenti parte di una minoranza, in questo caso persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Lingiardi (2007, 2012) afferma come un numero crescente di studi indichi il pregiudizio e la discriminazione come fattori rilevanti di stress ed in partico- lare mostri come lo sviluppo e la storia psicologica delle persone omosessuali sia segnato da una dimensione di stress continuativo, macro e micro-trauma- tico, conseguente ad un ambiente ostile o indifferente, con episodi di stigma- tizzazione, esclusione e casi di violenza vera e propria (Lingiardi, Nardelli, 2007). Vari autori hanno pertanto descritto gli effetti provocati dal vivere in un contesto stigmatizzante, ricorrendo al modello psicologico utilizzato per con- cettualizzare lo stress (Graglia, 2009). Se la letteratura sullo stress ha focalizzato l’attenzione sugli eventi trauma- tici che irrompono nella vita delle persone (divorzio, perdita del lavoro ed altri fattori, tra cui uno dei primi è il lutto), per la popolazione omosessuale un fattore addizionale stressogeno rilevante è il fattore sociale: Brooks (1981) lo chiama minority stress, e al centro dell’esperienza di questo modello vi è l’in- congruenza tra cultura, bisogni ed esperienze del gruppo minoritario e le strut- ture sociali dominanti. Il modello del minority stress considera in sintesi non il prodotto di un

 chiara baiamonte singolo evento, ma l’esperienza continua di una società in cui il gruppo “do- minante” ha definito norme e valori di superiorità ed esclusione. Il fenomeno del minority stress (correlato cioè all’appartenere ad una mi- noranza) può essere descritto come un costrutto composto da tre dimensioni (Lingiardi, 2007, 2012): a) l’“omofobia interiorizzata”, la componente più “soggettiva”, che consiste in una interiorizzazione del pregiudizio sociale, per lo più inconsapevolmente, da parte degli stessi omosessuali, con conseguenti difficoltà a vivere la propria omosessualità; b) lo stigma percepito dell’“omofobia sociale”, con esperienze negative di tipo personale, come la diffidenza e le aspettative di rifiuto, la necessità di celarsi o rivelarsi in parte e non in tutti gli ambienti (stigma percepito dalle esclusioni omofobiche sociali); c) le esperienze negative vissute di discriminazione e violenza, la componen- te più “oggettiva” dello stigma, agito e caratterizzato da azioni di isolamento, discriminazioni e violenze. In una ricerca svolta su un campione di 741 soggetti omosessuali, Meyer (1995, 2003) ha mostrato una correlazione significativa tra le tre dimensioni del minority stress ed indicatori di disagio psicologico quali: sintomi depressivi, senso di colpa, pensieri suicidari, stati d’ansia, atteggiamenti di ritiro ecc. Que- sto risultato conferma l’ipotesi di un’influenza negativa e diretta del minority stress sulla salute psicologica delle persone gay e lesbiche: alti livelli di minori- ty stress possono raddoppiare o triplicare il rischio di disagio psicologico. L’ap- partenenza ad una identità minoritaria potrà: – innalzare il livello degli stress soggettivi; – intensificare o indebolire l’impatto degli stress in base a determinate carat- teristiche del rapporto tra identità minoritaria e complessiva dimensione per- sonale; – costituire a volte una risorsa (fattore però in buona parte correlato al rico- noscimento e al sostegno ambientali), in quanto capace di promuovere strate- gie di difesa e interazione più efficaci con la realtà. Una variabile che può influenzare l’intensità del minority stress è il coming out, il grado di visibilità del proprio orientamento omosessuale, spesso corre- lato al livello di omofobia interiorizzata. Tenere nascosta la propria identità espone a esperienze meno dirette di omofobia ma non permette di contare su esperienze di validazione esterna, di condivisione e riconoscimento; viceversa, non nascondere la propria omosses- sualità espone alla possibilità di attacchi omofobici, ma permette all’individuo di contare su una identità ed affettività più strutturate e riconosciute dal pro- prio contesto affettivo e sociale. Fingere di essere eterosessuali è molto costoso a livello emotivo, poiché il

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali concetto secondo il quale eterosessualità e omosessualità sono “fatti privati” rientra in realtà tra gli stereotipi omofobici: dire espressamente di essere gay, lesbiche, transessuali ed essere riconosciuti/e come tali significa non relegare all’inesistenza una parte profonda ed importante di sé. Ma come è possibile integrare il modello del minority stress con l’esperien- za del lutto? Immaginiamo un individuo che appartenga ad una minoranza, inserito in un ambiente con determinate caratteristiche: questa combinazione di soggetto e ambiente andrà a definire il profilo della sua identità. Dunque, chiunque può essere esposto a stress di natura generale, come ad esempio le perdita del la- voro, la perdita di un coniuge, di un familiare o di una persona cara. Le persone appartenenti ad una minoranza, in questo caso correlata all’o- rientamento sessuale, sono esposte a stress addizionali (oggettivi: esperienze esterne di pregiudizio, discriminazione, violenza; e soggettivi: esperienze più interne legate alla dimensione personale). L’appartenenza ad una identità mi- noritaria potrà innalzare il livello degli stress soggettivi (con conseguenti aspet- tative di rifiuto e di esclusione da parte degli altri individui e della società in genere) ed oggettivi (con azioni reali sperimentate di pregiudizio ed esclusione a matrice omofobica). Per le coppie omosessuali il lutto di un compagno o di una compagna si porta dietro, oltre il carico di dolore specifico legato alla perdita della persona amata e strettamente correlato alle risorse individuali di fronteggiamento del dolore, alla presenza di reti relazionali, alle svariate differenze specifiche e alle possibili complicanze come quelle dei lutti non elaborati o complicati, alcune componenti addizionali ma di non poca importanza, e che concorrono a com- plicare o perlomeno a “non facilitare” l’esperienza di dolore che la persona sta affrontando. Vediamo alcuni esempi, ricorrendo sempre al film di Tom Ford. In una brevissima e intensa scena, in cui George viene informato frettolo- samente dal fratello del suo compagno della morte di Jim, lo stesso fratello comunica a George, chiaramente sconvolto e intenzionato a partecipare al funerale del compagno, che «il funerale è riservato alla famiglia». In questa scena è rappresentata una azione di esclusione omofobica: l’esclusione del compagno del deceduto, ad opera dei familiari, dal rituale del funerale. Oggi tale azione di esclusione viene perpetrata con modalità a volte più “ambigue”, ma non per questo meno violente, come quella di parlare del compagno/a deceduto/a come dell’amico/a di turno. Il riacquistato potere della famiglia “biologica”, riunitasi nel momento topico del dolore, impedisce il commiato, il prolungamento romantico e vir- tuale “oltre la vita”, di quella che in vita è stata una “coppia invisibile”. Invi- sibile, o non-vista, agli occhi dell’Altro, però. In realtà una “famiglia degli af- fetti”, ma non riconosciuta socialmente.

 chiara baiamonte

È raro infatti, soprattutto per le coppie omosessuali anziane, che i parenti vogliano accettare nella cappella di famiglia un partner omosessuale; è anche frequente che un prete non voglia dare la benedizione pubblica al partner ufficiale di un omosessuale (con l’ovvia eccezione dell’illustre artista, del gran- de stilista, del ricco magnate). Ed è grande consuetudine che la famiglia voglia far passare sotto silenzio la relazione sentimentale di un congiunto. Dunque, per la comunità omosessuale anche la morte può essere spinosa come la vita, ma con un’aggravante: il momento finale è affidato agli altri ed anche il “diritto al dolore” può essere non concesso da parte di terzi. In una ricerca su “omosessuali e terza età” (Pietrantoni, Sommantico, Gra- glia, 2000) vengono riportate le parole di un uomo gay di 68 anni che racconta il suo lutto, descrivendo la sofferenza aggiuntiva che ha provato non vedendo riconosciuta da altri la sua relazione anche nel momento della morte del com- pagno:

Al funerale tutti i suoi parenti erano imbarazzati. Continuavano a tranquillizzarsi a vicenda e a dire che ero solo un amico, uno qualunque. Era come se i nostri 40 anni di convivenza fossero stati cancellati, se il nostro amore non avesse valore. Quando gli altri non capiscono il tuo dolore, non possono neanche alleviartelo. Oltre alla morte del mio compagno, dovevo sopportare questo silenzio (ivi, p. 37).

La cerimonia funebre rappresenta il rituale sociale di elaborazione del lutto, o meglio del commiato e del saluto finale al defunto, e sancisce a livello sociale l’inizio, per tutti quelli che hanno avuto una relazione con quella persona, di una vita “senza” quella persona. In realtà sappiamo che non è veramente così, e la celebrazione funebre av- viene appena all’inizio di quel processo dell’elaborazione del lutto psicologica- mente intesa, le cui fasi sono vissute da ogni persona in maniera differente; ma tra i fattori che influenzano la risoluzione di un lutto vi è sicuramente il livello di intimità che si aveva con la persona scomparsa, ma anche il riconoscimento sociale, familiare e relazionale percepito a livello comunitario di questa intimità, fattore quest’ultimo che svolge un ruolo rilevante nel sostenere le risorse indi- viduali durante il lutto, nel promuovere la condivisione di affetti tra le persone che rimangono, e nel favorire dunque una accoglienza empatica ed un conteni- mento emotivo tramite una rete affettiva, sociale e relazionale autentica. Tutto questo ha un enorme valore simbolico e svolge un funzione impor- tante nei momenti di intenso dolore psichico che affronta chi perde una per- sona amata. Ma se tutto questo è inibito, ostacolato, negato o ridotto nelle coppie omo- sessuali, il dolore psichico del lutto viene caricato di componenti psicologiche aggiuntive che, per alcune persone, possono essere fattori di rischio nel favo- rire la complicazione dei processi di elaborazione del lutto o nel limitare i

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali processi che naturalmente possono evolvere verso un maggiore e ritrovato benessere psicologico. È importante ancora sottolineare come alcune di queste riflessioni si cor- relino anche a problematiche psicosociali (Graglia, 2012) e riguardino in par- ticolare gli anziani omosessuali. In primo luogo, questi devono confrontarsi con un duplice pregiudizio: da una parte, la svalutazione dell’omosessualità, dall’altra la svalutazione dell’an- ziano in quanto tale. In secondo luogo, gli omosessuali (in particolare quelli anziani, mentre le ultime generazioni hanno mutato questa caratteristica, attraverso un aumento rilevante della filiazione all’interno della coppia omosessuale) hanno con meno probabilità discendenti biologici ed è quindi necessario per loro garantirsi un sostegno di ordine socio-emotivo alternativo, spesso tramite il partner o gli amici. In terzo luogo, vi sono svantaggi legati anche alla significatività dei proble- mi giuridici, ad esempio le difficoltà con l’eredità, l’esclusione appunto dal funerale del partner da parte dei parenti, la difficoltà ad esprimere l’affetto nei luoghi istituzionali ecc. Certamente l’accettazione della propria omosessualità è la conditio sine qua non per mitigare queste fonti di disagio associate all’età. Per quanto riguarda la tematica del lutto, le persone omosessuali che ades- so hanno oltre sessant’anni hanno vissuto in contesti storico-sociali molto se- veri. Hanno trascorso l’adolescenza durante il fascismo o la Seconda guerra mondiale, solo verso i quarant’anni hanno assistito alla nascita del movimento omosessuale italiano più organizzato, ma dopo aver visto nascere locali e asso- ciazioni gay hanno anche assistito alla morte di molti amici per aids. Gli an- ziani omosessuali, come gruppo, si sono dovuti scontrare con una molteplicità di stress psicosociali. La condizione delle persone omosessuali anziane è però particolarmente trascurata nella letteratura gerontologica. Il progressivo invecchiamento della popolazione deve invece spingere ad occuparsi di questo fenomeno e dei bi- sogni di salute ad esso connessi. In ambito nordeuropeo o angloamericano sono state realizzate alcune ri- cerche a largo raggio che gettano una luce su questa condizione fino ad ora assai poco indagata. La maggior parte degli studi tuttavia si focalizza sugli uomini gay (Lee, 1991; D’Augelli, Patterson, 1996) e l’esclusione delle lesbiche, secondo Deevey (1990), è il risultato di una triplice appartenenza minoritaria: l’età, il genere e l’orientamento sessuale. Questi studi rilevano comunque come il rapporto della popolazione omo- sessuale con i servizi socio-assistenziali sia ambivalente, in quanto caratteriz- zato dalla possibile incombenza di una discriminazione a matrice omofobica: la maggioranza dei soggetti racconta episodi di difficoltà o imbarazzo con il

 chiara baiamonte personale socio-sanitario, durante un ricovero o un’assistenza in ospedale o in una casa di riposo. Un ulteriore problema segnalato è quello dell’espressione dell’affetto alla persona amata nei luoghi di assistenza, resa difficile sia dalle autoinibizioni personali sia da atteggiamenti diffidenti di altri pazienti o del personale infermieristico, che giudicano inappropriato o “disdicevole” il loro comportamento pubblico. Le variabili psicosociali qui accennate contribuiscono a segnalare come l’appartenenza ad una minoranza per orientamento omosessuale sia fortemen- te correlata, durante tutto il ciclo di vita ma ancor più nella popolazione an- ziana omosessuale (popolazione in cui vi è un aumento di incidenza, per età, nel dover affrontare il lutto di un/una partner), all’aumentato rischio di incor- rere in pregiudizi di natura omonegativa e in episodi di esclusione omofobica in momenti cruciali di fronteggiamento del dolore.

7.4 Coppie omosessuali e pregiudizio omofobico

Le questioni legate all’(in)visibilità possono accompagnare una coppia gay o lesbica per tutta la vita, ed anche dopo la morte, complicando ogni momento cruciale della vita delle coppie omosessuali e, nel caso specifico del lutto, ri- proponendo anche nel momento del fronteggiamento del lutto questioni che riguardano piuttosto il pregiudizio omofobico e lo stigma sociale. Analizzando i vissuti delle coppie omosessuali, emerge come una coppia omosessuale non sappia mai quale reazione esterna aspettarsi attorno alla pro- pria relazione: può essere una risposta accogliente e neutrale, oppure inappro- priata, imprevedibilmente ostile o imbarazzata, punitiva o banalizzante (Lin- giardi, 2012). Questo è frutto del permanere di forti pregiudizi e stereotipi omofobici a livello sociale: sulla base del pregiudizio omofobico l’immagine della coppia sarà sempre ricondotta agli stereotipi di gay, di lesbica ed a quelli sulle coppie omosessuali, spostando in secondo piano le caratteristiche individuali. Per quanto oggi (Taurino, 2007) la complessità sociale imponga, a livello sia individuale che intersoggettivo, la messa in discussione e la destrutturazio- ne di visioni improntate ad una resistenza al cambiamento, è innegabile che la permanenza di un “modello eterosessista” faccia sì che continui a vigere nei confronti dell’omosessualità un insieme di atteggiamenti discriminatori che si manifestano nei differenti livelli della vita sociale e culturale. Molte sono le rappresentazioni relative alla dimensione omosessuale che si collocano sull’as- se semantico del negativo. Le realtà vissute dalle coppie omosessuali segnalano che il sistema di or-

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali ganizzazione socio-sessuale del genere fondato sul paradigma patriarcale/ete- rosessuale non è in grado di includere, se non nella forma della negazione e del controllo (Foucalt, 1978, 1985; Butler, 2006), realtà sessuali differenti; tali atteggiamenti discriminatori sono pertanto il risultato di processi culturali e sociali che legittimano una serie di identificazioni sociali “lecite” (uomo e don- na eterosessuali, mascolinità e femmilinità eterosessuali) ed estromettono dal discorso sociale le “identificazioni illecite”, quali quella di gay, lesbica, tran- sessuale, bisessuale. L’essere oggetto di discriminazione sociale implica una difficoltà che il si- stema-coppia deve regolare con un esterno rifiutante o temuto come tale. Di- chiarare la propria omosessualità, avere una relazione aperta, raggiungere la visibilità sociale in quanto soggetto e coppia omosessuale implica la gestione e l’accettazione di un confronto con un contesto sociale che produce continua- mente giudizi discriminatori e discriminanti. La difficoltà ad esperire la visibi- lità sociale può portare la coppia omosessuale a gestire con grande complessi- tà il confronto con un esterno che richiede continui adeguamenti e negozia- zioni; è infatti un esterno che esprime una profonda resistenza ed inadegua- tezza a recepire stili di vita che non corrispondono ai canoni condivisi delle realtà socialmente accettabili. Lo stress a cui la coppia omosessuale può andare incontro deriva da una profonda ambivalenza insita nel rapporto con il sociale stesso: da una parte la coppia rivendica il diritto di vivere la propria condizione relazionale (l’essere coppia) al di là dello sguardo approvante dell’Altro sociale; dall’altra vi è la negazione del proprio desiderio di riconoscimento (della necessità di sentirsi accettata e legittimata come coppia dall’Altro sociale) per non incappare nelle difficoltà descritte. Seguendo questo filo del discorso, vorrei riprendere nuovamente un’altra scena tratta dal film A Single Man: qui George si ritrova a condividere il pro- prio dolore per la morte del compagno con l’amica di sempre, Charlotte; ad un certo punto Charlotte gli rivolge, inaspettatamente, una domanda: «Non ti manca mai una relazione “vera”? [...] Quello che c’era tra te e Jim era meravi- glioso ma [...] non era in realtà il surrogato di qualcos’altro?». George reagisce arrabbiandosi moltissimo nel sentire proprio un’amica rivolgergli parole così disconfermanti sulla propria relazione di coppia, ma si trova suo malgrado costretto, nel momento doloroso della perdita di Jim, a “spiegarle” quanto la sua relazione fosse una relazione autentica di amore: «Jim non era il surrogato di niente [...]. Jim ed io stavamo assieme da sedici anni e se non fosse morto staremmo ancora assieme [...] che c’è di non vero in questo?». La coppia di George e Jim, anche dopo la morte di Jim, non è riconosciu- ta né legittimata da chi resta. Al dolore di George si aggiunge la negazione del suo diritto al dolore, attraverso meccanismi difensivi di negazione e di mini-

 chiara baiamonte mizzazione che Charlotte agisce nei confronti delle relazioni omosessuali, che annientano le possibilità empatiche e accoglienti di una relazione affettiva ami- cale nel mitigare la sofferenza di George per la perdita del compagno. Come avviene per l’omosessualità, infatti, vi sono da sempre moltissimi pregiudizi attorno alle coppie omosessuali: gli stereotipi ed i pregiudizi omo- fobici ritraggono le coppie gay e lesbiche come contro natura, come disfunzio- nali ed infelici, con relazioni non autentiche. Se gli studi sul minority stress possono dare l’impressione che esista una tale rete di difficoltà e minacce da rendere impossibile la felicità di una coppia omosessuale, la letteratura scientifica, anche attraverso la comparazione con le coppie eterosessuali, ha documentato invece come non ci siano differenze si- gnificative per quanto riguarda la soddisfazione di coppia, la durata del rap- porto, le modalità di far fronte ai conflitti ed ai contrasti, l’intimità fisica, la vicinanza affettiva ed emotiva, gli allontanamenti o i periodi di separazione provvisoria (Kurdek, 2006, 2009). Il mondo scientifico ha infatti ampliato il suo sguardo ponendo attenzione anche alle dinamiche relazionali delle coppie gay e lesbiche (Chiari, 2009). Se inizialmente i ricercatori affrontavano l’analisi della coppia omosessuale ricon- ducendola al modello eterosessuale (Perpleau, 1991), utilizzando cioè un anco- raggio al genere come elemento strutturante i rapporti, successivamente le ri- cerche si sono focalizzate sul confronto fra coppie gay, lesbiche ed eteroses- suali per individuarne similitudini e differenze (Kurdek, 2006, 2009). Se per molto tempo i termini “gay” e “lesbica” e quello di “famiglia” sono stati considerati escludentisi, da anni ormai si parla di famiglie omosessuali (Fruggeri, 1997; Fruggeri, Pietrantoni, 2002; Rigliano, 2001) facendo rientrare questo tipo di relazioni tra i diversi modi in cui si possono organizzare i rap- porti d’amore tra le persone (Borghi, Taurino, 2005). Gli studi hanno contribuito a confermare che, destrutturando i pregiudizi omofobici, il legame amoroso tra due persone dello stesso sesso rappresenta una semplice variante dei rapporti sentimentali, nel panorama delle relazioni eterosessuali, omosessuali, transessuali e bisessuali. Le coppie omosessuali presentano infatti dinamiche e cicli di vita e di re- lazione analoghi a quelli di qualsiasi relazione intima eterosessuale, dalla co- struzione iniziale del legame amoroso, alla condivisione di progettualità, alla gestione dei conflitti e alle difficoltà di coppia. Queste ricerche hanno contribuito a smentire pregiudizi piuttosto conso- lidati, ma ancora estremamente presenti nella mentalità comune, tra cui, ap- punto, quello della instabilità delle relazioni omosessuali, o lo stereotipo, che si àncora ai ruoli di genere, secondo cui in una coppia dello stesso sesso qualcuno/a ha un ruolo maschile e qualcuno/a un ruolo femminile. In realtà, e questo vale sia per le coppie eterosessuali che per quelle omo-

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali sessuali, in ciascuno vi è sempre piuttosto un intreccio di identificazioni ma- schili e femminili, di parti più evolute e di parti più indifferenziate, «che vanno a costituire la particolare alchimia dell’individuo» (Argentieri, 2010) e che co- stituiranno in coppia la specificità di quella diade amorosa, sia essa eteroses- suale o omosessuale. Un gran numero di gay e lesbiche vuole costruire delle relazioni stabili e durature (Perplau, Spalding, 2000), e spesso riesce in questo proposito. Diver- si ricercatori statunitensi (Kurdek, 1995, 2003; Perplau, Spalding, 2000) hanno rilevato che un consistente numero di coppie omosessuali conduce una rela- zione della durata più che decennale (Falkner, Garber, 2002; Morris, Balsam, Rothblum, 2002). Studi sistematici che hanno confrontato coppie gay, lesbiche ed eteroses- suali lungo le dimensioni legate alla soddisfazione del rapporto di coppia, prendendo in considerazione la durata della relazione, la qualità dell’intimità e l’amore dichiaratamente provato dai partner reciprocamente, hanno messo in luce elementi di somiglianza piuttosto che di differenza (Kurdek, 2003, 2006; Gottman et al., 2003). L’insieme dei dati confermano dunque che le coppie “omosessuali” si comportano in modo simile a quelle eterosessuali, in termini di soddisfazione, impegno reciproco, durata e stabilità del legame, andando a sfatare alcune radicate credenze e distogliendo l’attenzione dall’orientamento sessuale come fattore discriminante e minimizzante la relazione di coppia omosessuale. La differenza veramente eclatante tra una coppia omosessuale ed una cop- pia eterosessuale è che in molti paesi, tra cui l’Italia, la coppia omosessuale non vede ancora riconosciuti sul piano legale e sociale i propri diritti elementari, e questa enorme differenza contribuisce a sostenere il pregiudizio omofobico.

7.5 Sostenere la riduzione dei pregiudizi omofobici nei professionisti a contatto con il lutto

Il processo di depatologizzazione dell’omosessualità ha avuto inizio a metà del Novecento, ma è solo verso la fine del secolo che la comunità scientifica nel suo insieme inizia a guardare all’omosessualità come a una variante “normale e positiva” del comportamento sessuale. Molte sono state le conseguenze di questo cambiamento di paradigma. In particolare, lo spostamento del focus della ricerca dall’omosessualità all’omofobia, e la crescente attenzione al be- nessere psicofisico di quelle “minoranze non eterosessuali” che devono quoti- dianamente far fronte all’ostilità sociale, alla condanna religiosa e al mancato riconoscimento sociale e giuridico dei propri affetti e delle proprie famiglie.

 chiara baiamonte

Il concetto di minority stress ha permesso in questa sede una riflessione sulle implicazioni psicologiche della condizione di “cittadinanza incompleta” in cui vivono le persone gay e lesbiche e le coppie omosessuali, condizione che anche nel momento del lutto si evidenzia con atti di esclusione omofobica, che si ripercuotono sulle possibilità che un partner di una coppia omosessuale ha di affrontare più o meno adeguatamente l’elaborazione del lutto del proprio compagno, in assenza di un sostegno sociale percepito come accogliente e rassicurante. L’omofobia interiorizzata, lo stigma sociale percepito e le esperienze vissu- te di discriminazione e violenza, che costituiscono le dimensioni del minority stress, hanno riflessi sullo sviluppo psicologico e affettivo, sulla formazione del- la personalità, sulle relazioni personali e di coppia, tali che ne possono derivare condizioni di sofferenza psicologica quando gli eventi della vita, come quelli del fronteggiamento del lutto, richiedono che la persona disponga, oltre che di ri- sorse personali, di un contenimento sociale e di reti relazionali capaci di rico- noscere e accogliere il dolore derivante dalla perdita della persona amata. È possibile dunque affermare che il mancato riconoscimento di un legame affettivo produce un danno psicologico che si somma agli eventi di vita trauma- tici che compaiono nel corso dell’arco di vita, di cui la perdita di una persona cara è uno dei più dolorosi. Sono necessarie quindi alcune considerazioni (Lingiardi, 2007, 2012): – l’esperienza amorosa e la costruzione dei legami affettivi avvengono nel contesto delle relazioni sociali e nel territorio della storia e della cultura: il concetto di coppia e di famiglia non deve essere unico ed immodificabile e la società, così come la politica, necessita di un urgente adeguamento a riguardo; – come stabilito anche dalla American Psychological Association, il manca- to riconoscimento (simbolico, giuridico e pubblico) di un legame affettivo tra due persone libere che lo richiedono, e dunque il rifiuto a riconoscere la loro esistenza come nucleo sociale, può danneggiare il benessere psicologico, la vita di relazione e la salute psicologica; – l’implicita delegittimazione delle persone gay e lesbiche, che finiscono per trovarsi confinate in una “zona grigia”, a un livello di “cittadinanza minore”, favorisce la svalutazione, il disprezzo e la discriminazione da parte della socie- tà, ma anche, da parte degli stessi omosessuali, nei confronti di una parte di Sé. Da queste riflessioni emerge come sia urgente promuovere, a vari livelli, una cultura delle differenze inclusiva delle differenze di genere e di orienta- mento sessuale, capace di destrutturare e contrastare il pregiudizio omofobico. È necessario formare i professionisti (medici, psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, educatori e, in genere, gli operatori che a vari livelli si occupano dell’accompagnamento al lutto) ai temi dell’identità di genere e dell’orienta- mento sessuale, per poter offrire più innovativi criteri in grado di garantire la

 7. l’elaborazione del lutto nelle coppie omosessuali tutela dei diritti delle nuove soggettività di genere, attraverso il riconoscimen- to delle molteplici forme di espressione della affettività e della sessualità, che devono essere accolte, integrate nel sistema sessuale convenzionale, e tutelate dal punto di vista del riconoscimento di pari dignità e diritti. La necessità è quella di promuovere culturalmente un percorso di supera- mento degli stereotipi e dei pregiudizi legati alle coppie omosessuali e alle nuove forme di famiglia, per tutelare il benessere di queste soggettività, con- sentendo agli stessi professionisti la possibilità di affrontare, riflettere e supe- rare i propri stereotipi e pregiudizi interiorizzati, fornendo loro la chiave per poter avere accesso all’accoglienza, all’ascolto empatico e alla condivisione di esperienze con le persone omosessuali. Se il sostegno psicologico, o in generale di aiuto, a chi subisce un lutto si caratterizza, oltre che per l’acquisizione di competenze tecniche, per una de- licata capacità di entrare in risonanza affettiva ed emotiva con l’altro, di con- dividere e accogliere i vissuti dolorosi e accompagnare chi ha subito una per- dita così devastante a tollerarli, accettarli e trasformarli (Campione, 2003), è necessario quindi che un professionista possa rappresentare, per un partner di una coppia omosessuale, un altro non rifiutante e non giudicante, un altro che sia in grado di farsi carico di quella sofferenza in maniera autentica. Questo è possibile solo se vengono monitorati: a) i movimenti difensivi che riducono il coinvolgimento dei professionisti, e che possono interferire con la condivisio- ne autentica di affetti in queste situazioni dolorose, e b) i meccanismi, spesso inconsapevoli, di rifiuto all’accoglienza empatica dell’altro, correlati a interni pregiudizi omofobici. Se il sostegno all’elaborazione del lutto è prima di tutto un incontro umano, il tema dell’omosessualità pone in particolare evidenza la soggettività del professionista: i pazienti omosessuali rappresentano per il te- rapeuta, o per altre figure professionali a contatto con il lutto, l’“opportunità” di confrontarsi da vicino con i propri sentimenti omofilici, con l’attivazione automatica di pregiudizi e stereotipi attorno all’omosessualità ed alle coppie omosessuali, e con le teorie sull’omosessualità apprese durante gli anni della formazione ed a cui si fa riferimento in quel momento (Graglia, 2009). La formazione professionale sui temi dell’identità di genere e dell’orienta- mento sessuale si pone come obiettivo il superamento della tendenza ad eser- citare la relazione di aiuto sulla base dei propri pregiudizi, utilizzando un an- coraggio professionale a stereotipi interiorizzati, in particolare su tematiche di cui si hanno informazioni limitate, o correlate al senso comune, e conoscenze scientifiche ridotte, come quelle sull’orientamento sessuale, che difficilmente fanno parte dei programmi didattici dei corsi di laurea. Per questi motivi è necessario lavorare, attraverso interventi di formazio- ne/supervisione, per favorire l’interiorizzazione di nuovi criteri epistemologici e metodologici che giungano a una corretta interpretazione delle differenze di

 chiara baiamonte genere ed orientamento sessuale, riconoscendo la specificità di ciascuno; ed è necessario considerare le relazioni omosessuali attraverso un approccio men- tale che, destrutturando la dogmaticità di visioni pregiudizievoli e stigmatiz- zanti, porti a decostruire, rivedere, rielaborare, ridefinire i vecchi modelli at- traverso cui si può guardare alla famiglia, al genere, all’identità di genere, ai differenti orientamenti sessuali. Questo atteggiamento culturale presuppone l’interiorizzazione di un principio di differenza che riconosca e interpreti il valore della molteplicità (Taurino, Bastianoni, Baiamonte, 2011). Emerge l’importanza di prevedere, all’interno dei contesti sanitari, assi- stenziali, psicologici, percorsi formativi e di supervisione che mettano i profes- sionisti nelle condizioni di confrontarsi con uno terapeuta/clinico esperto su questioni di genere, per l’attivazione di un articolato processo di intervento che tenga conto sia della trasmissione di contenuti specifici riguardanti le te- matiche dell’omosessualità, ma anche e soprattutto della loro discussione, de- strutturazione, rielaborazione ed interiorizzazione (Taurino, 2005, 2008). Un aspetto rilevante è rappresentato dalla considerazione che per acquisi- re/interiorizzare i sistemi concettuali su identità di genere ed orientamento sessuale è necessario che il professionista stesso venga sostenuto a confrontar- si con i propri vissuti emotivo-affettivi ed etico-valoriali, con il proprio mondo interno, in modo da riconoscere, monitorare, gestire e/o sospendere possibili agiti collusivi o processi proiettivi nell’ambito di interventi professionali lega- ti agli aspetti inerenti le differenze e le coppie omosessuali. La formazione a cui si fa riferimento, assumendo una prospettiva clinico- psicodinamica, dovrebbe configurarsi come uno specifico setting in cui il lavo- ro con i professionisti possa far emergere i meccanismi difensivi inconsci, pri- mitivi ed espulsivi, sulla base dei quali carichi emotivi eventualmente ingestibi- li, derivanti da contenuti che hanno delle correlazioni dirette o indirette con le questioni della sessualità e della differenza stessa, finiscono con l’essere evacua- ti nella mente di qualcun altro (Freud, 1979), generando identificazioni proiet- tive, collusioni, reificazione proiettiva del proprio conflitto sull’altro, conver- sione del conflitto intrapsichico in conflitto interpersonale (Menzies, 1984). Il ruolo del terapeuta/formatore è quello di utilizzare la relazione di lavo- ro con i professionisti per fornire una possibilità di riconoscimento, interpre- tazione, lettura e monitoraggio dei processi dinamici legati ad attivazioni emotivo-affettive specifiche nei riguardi dell’omosessualità. Sapersi ascoltare, sapersi osservare, saper registrare e riconoscere, senza re- primere, le proprie emozioni, riconducendole ai contesti simbolici nei quali i si- gnificati della storia di ciascuno trovano radicamento e spiegazione, sono il con- tenuto di un importante lavoro su se stesso che il professionista dovrebbe svol- gere e che risulta “propedeutico” ad ogni processo di educazione alle differenze da utilizzare nel sostegno all’elaborazione del lutto con persone omosessuali.

 8 La morte non è uguale per tutti di Stefania Guglielmi

8.1 Premessa

Diffusa è la convinzione che non vi sia alcuna differenza tra le persone al mo- mento della morte: né per appartenenza sociale, né per cultura o per condizio- ne economica, né per eterosessualità o omosessualità. La morte è morte, si dice. Tale affermazione pare senza dubbio ineccepibile quanto alla persona che muore; tuttavia, altrettanto non lo è rispetto agli effetti giuridici che l’evento morte produce nel caso di morte di uno dei due partner in una coppia omo- sessuale, operando una discriminazione tra persone eterosessuali e persone omosessuali che va ben oltre l’apertura della successione, in quanto coinvolge l’intero progetto di vita della famiglia. L’intento del presente scritto è sviluppare una chiara consapevolezza sulla discriminazione in atto, per evitare che le discriminazioni “di diritto” possano tradursi, nel momento del lutto, in un ulteriore dolore inutile.

8.2 La morte, la nascita e il matrimonio: natura e diritto

Tutti gli ordinamenti giuridici attribuiscono alla nascita, al matrimonio e alla morte determinate conseguenze giuridiche, compiendo scelte politiche ben precise. Tale banale constatazione dovrebbe consentire di aprire la strada al cam- biamento: l’ordinamento giuridico dovrebbe saper tradurre in regole le richie- ste provenienti dai cittadini e dalle cittadine, i cambiamenti delle loro condi- zioni socio-culturali che sono, per definizione, in continuo movimento. D’altro canto, i governi ci inondano sistematicamente di leggi che preten- dono di regolamentare ogni singolo aspetto delle nostre esistenze, con un im-

 stefania guglielmi patto spesso assai significativo e tale da orientare i nostri progetti di vita; leggi che comportano veri e propri stravolgimenti delle discipline precedenti. Il cambiamento, dunque, è richiesto dagli uomini e dalle donne: cambiare le leggi si può. Nulla lo impedisce, eccetto la volontà dei governi. Pertanto, al fine di giustificare la chiusura che i governi che si sono succe- duti continuano a mantenere, viene invocata non una norma, non una legge, ma la presunta naturalità delle tensioni affettive e amorose delle persone, lad- dove la naturalità coincide con la eterosessualità. In tal modo, quelle che non sono altro che scelte operate consapevolmen- te dai governi vengono “spacciate” per necessità naturali, come se il diritto nulla potesse contro le richieste della natura! Oltretutto, la presunta alterità diritto/natura è stata ricondotta ad un presunto conflitto tra laici e cattolici. Tale conflitto – artatamente valorizzato – ha prodotto l’effetto di soffocare il dibattito scientifico e tecnico a tutto favore di un dibattito “di pancia”, nel quale chiunque, a seconda delle convenienze, può dire quello che vuole, senza trovare argini nel rispetto della libertà e della dignità altrui, solo trincerandosi dietro lo schermo delle proprie – ostentate – convinzioni religiose (che addi- rittura giustificherebbero la cosiddetta libertà di coscienza).

8.3 La giuridificazione della famiglia

8.3.1. il matrimonio

Matrimonio, nascita e morte sono tutti momenti riconducibili alla organizza- zione della nostra struttura giuridico-sociale su base parentale o familiare, ciò che è possibile attraverso un processo, durato secoli, di tendenziale coinciden- za tra famiglia e matrimonio, tanto che l’ambito delle relazioni giuridicamente protette finisce per coincidere con quelle che hanno la loro fonte nel matrimo- nio. Il matrimonio, in quanto istituto giuridico al quale afferiscono le relazioni giuridicamente protette, garantisce la giuridificazione della famiglia e ne defi- nisce i confini oltre i legami di sangue. La “parentela”, infatti, discende o dal vincolo di sangue (art. 74 c.c.: pa-

. Ciò vale per la morte e per tutto quello che rientra, da almeno un decennio a questa parte, nel cosiddetto “pacchetto laicità” e che ruota attorno alla nascita e al matrimonio (così il testamento biologico, l’eutanasia, l’interruzione di gravidanza, i “matrimoni gay”). . G. Ferrando, voce Matrimonio civile, in Digesto, 1994.

 8. la morte non è uguale per tutti rentela) o dal vincolo che si instaura per effetto del matrimonio (art. 78 c.c.: affinità). Altro non è dato. Cosicché, per intenderci, se un uomo e una donna sono sposati e dalla loro unione nascono due figli, genitori e figli sono tutti legati tra di loro da un rapporto di parentela che trova protezione giuridica automatica, e così ogni componente della famiglia rispetto ai “parenti” degli sposi (genitori, fratelli, nipoti). Fino ad epoca recentissima (dicembre 2012), invece, se un uomo e una donna non erano sposati – per scelta o per necessità – ed avevano comunque due figli, solamente il rapporto tra i figli e i rispettivi genitori (o genitore) trovava protezione giuridica; non, invece, il rapporto tra i due, né il rapporto tra l’uno dei due ed i figli dell’altro, né il rapporto tra i figli. Oggi la situazione è cambiata per effetto della recentissima legge n. 219 del 10 dicembre 2012 (entrata in vigore il 1° gennaio 2013), contenente Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali: i figli non sono più legittimi o naturali ma “figli”; se nascono da una coppia eterosessuale non vi è più alcuna differenza, quanto al loro status ed alla loro protezione giuridica, tra coppia sposata e coppia non sposata. Nulla, però, è cambiato rispetto ai rapporti tra i componenti della coppia. Ciò significa che la “famiglia legittima”, in quanto basata sul matrimonio, viene solo sostituita dalla famiglia legittima in quanto basata sul vincolo di sangue, e, di conseguenza, non viene assolutamente messa in discussione ed, anzi, ne viene rafforzata, nel senso che viene confermato il primato del rappor- to rispetto al quale, essendo eterosessuale, matrimonio e coppia di fatto ven- gono – per effetto della novella legislativa – a coincidere. Rafforzata ne viene, altresì, la distanza tra coppia eterosessuale e coppia omosessuale. La funzione “giuridificatrice” del matrimonio non viene, pertanto, messa in discussione ed anzi continua a fungere da argine del sistema, ove lo spazio di autonomia e libertà delle parti è ridotto allo zero, anche grazie ad un sistema di regole assai rigido, assolutamente non negoziabile. Ma altrettanto rigide sono le norme poste a fondamento della nascita e

. Tale legge, nell’intento di riconoscere a tutti i figli lo stesso stato giuridico (come re- cita l’attuale art. 315 c.c.: «Stato giuridico della filiazione»), ha, per quel che qui interessa, modificato l’art. 74 del c.c. (Parentela) e l’art. 258 del c.c. . Dell’istituto matrimoniale in sé sono rigidamente dettate le regole fin dalla promessa passando attraverso il rito, le condizioni, le formalità preliminari (la pubblicazione, il luogo ecc.), il diritto di opposizione da parte dei parenti (genitori, ascendenti e collaterali), i dirit- ti e doveri reciproci dei coniugi, il cognome della moglie, i doveri verso i figli, il regime pa- trimoniale, lo scioglimento (artt. 45 e seguenti del c.c.).

 stefania guglielmi della morte, che del sistema familiare basato sul matrimonio costituiscono il completamento.

8.3.2. la nascita

Il momento della nascita coincide con la “filiazione”, la quale, dopo la legge del dicembre scorso, non è più ricondotta al matrimonio, ma al sistema fami- liare considerato legittimo dall’ordinamento, ovvero quello fondato sul vinco- lo di sangue. L’attuale disciplina, pertanto, chiude ulteriormente il sistema e confina nel campo della “illegittimità” la filiazione non riconducibile al vincolo di sangue, salvo che non passi attraverso l’adozione che, come noto, nel nostro sistema è accessibile solo alle persone sposate. Insomma, il rapporto di filiazione può esistere, nel nostro ordinamento, solo ed esclusivamente se tra il genitore e il figlio esiste un rapporto di sangue oppure se tra il genitore “di fatto” e il genitore “biologico” del figlio esiste un rapporto matrimoniale o di convivenza more uxorio eterosessuale.

8.3.3. la morte

Quanto alla morte, lo statuto codicistico si rivela ancora più rigido. Ciò che interessa al legislatore attuale, infatti, è solo ed esclusivamente la riconduzione del patrimonio del defunto (la cosiddetta eredità) al sistema familistico dise- gnato dalle norme sul matrimonio e sulla filiazione, secondo regole imposte dall’alto, tanto da far dire che «Il rapporto tra contratto e successione mortis causa è un rapporto tendenzialmente antinomico». Il sistema disegnato dal Codice civile risulta chiaramente dalle prime nor- me contenute nel Libro ii Delle successioni, ove l’art. 456 dispone che «La successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto»; l’art. 457 che «L’eredità si devolve per legge o per testamento. Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Le disposizioni testamentarie non possono pregiu- dicare i diritti che la legge riserva ai legittimari»; infine, l’art. 458 che «è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi».

. Legge 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia, art. 6, comma 1°: «L’a- dozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto». . E. Roppo, voce Contratto, in Digesto, 1989.

 8. la morte non è uguale per tutti

Al momento della morte di taluno/a si apre, pertanto, in maniera automa- tica, la successione secondo le regole dettate dal legislatore: è la legge a sceglie- re chi può ereditare e chi deve ereditare, anche oltre la volontà del testatore. La scelta di coloro che, anche in caso di testamento, hanno diritto ad una quota di eredità (legittimari), riconduce la successione nell’alveo del sistema familistico tratteggiato sopra. Solamente il coniuge, i figli e gli ascendenti, ovvero coloro che sono legati al defunto/a da un rapporto di coniugio o di sangue, ereditano, infatti, in maniera automatica, anche contro la volontà di chi muore.

8.4 La fuga dal matrimonio eterosessuale e l’arcipelago familiare

Mentre le semplici osservazioni che precedono rendono chiaro quanto il no- stro sistema familiare sia chiuso entro schemi rigidi e predeterminati, la realtà pare andare in tutt’altra direzione. Le donne e gli uomini, infatti, eterosessuali ed omosessuali, agiscono e vivono e fanno figli ben oltre i modelli imposti dal diritto. Analizzando i dati istat, risulta statisticamente evidente che, da parte del- le persone eterosessuali, vi è una significativa “fuga dal matrimonio”, mentre le famiglie omosessuali descrivono una realtà oramai ineludibile dell’arcipela- go familiare, non più contestabile né banalizzabile sotto il profilo giuridico sulla scorta della presunta instabilità della relazione e neppure in ragione del- la presunta mancata finalizzazione procreativa. Il “modello culturale tradizionale” sembra, insomma, oramai coincidere più con un’astrazione teorica che con una constatazione di fatto, la quale, all’opposto, registra una liquidità delle relazioni, che si creano a prescindere dai legami biologici e dai modelli giuridici di riferimento.

8.5 Non teoria ma storie di vite vissute nella “invisibilità giuridica”

La distanza fra teoria e realtà produce uno stato di “invisibilità giuridica”: tale è la condizione che caratterizza le persone e le famiglie omosessuali. Infat- ti, benché da sempre accusate dalla cultura omofobica di voler vivere le pro- prie relazioni di nascosto, in realtà le persone omosessuali sono letteralmente

. La disciplina codicistica va, poi, oltre, stabilendo anche se, quando e come chi viene chiamato all’eredità può ad essa rinunciare.

 stefania guglielmi obbligate a vivere nella invisibilità, condizione non desiderata né cercata in alcun modo. Ma non è tutto. La disamina che ci occupa dimostra, infatti, in maniera inequivocabile, che non solo le persone omosessuali sono costrette a vivere nell’invisibilità, ma, in più, esse patiscono una serie di sanzioni, proprio a causa di tale condizione di invisibilità. “Sanzioni” psicologiche ed economi- che. Nel diritto successorio, la condizione di inesistenza giuridica delle persone omosessuali è più che mai evidente e coincide con la riconduzione alla catego- ria degli “estranei”, con ciò intendendo tutti coloro che non sono legati al defunto/defunta da rapporti di coniugio o vincoli di sangue. Gli estranei sono collocati in una situazione di svantaggio rispetto agli altri. Infatti, se chi muore lascia uno o più “estranei”, questi ultimi possono ereditare solo a determinate condizioni: 1. solo se chi muore aveva provveduto a loro favore con testamento; 2. solo se non vi sono legittimari, con i quali debbono condividere l’eredità; 3. solo se sono in grado di sostenere il pesantissimo prelievo fiscale che solo su di loro grava. Secondo il nuovo regime fiscale delle successioni, su donazioni e altri atti a titolo gratuito l’estraneo subisce un prelievo fiscale (l’imposta di successio- ne) pari ad oltre il doppio rispetto ai componenti della famiglia secondo la legge. Ed estraneo è il partner omosessuale, non perché lo desideri, ma perché non può essere altro.

8.5.1. nei rapporti tra partner

Per comprendere bene di cosa stiamo parlando, si pensi alla coppia formata da due donne che decidono di convivere nella casa in proprietà di una delle due. In tal caso, succede, solitamente, che l’altra contribuisca al pagamento di una quota del mutuo, o sostenga spese di ristrutturazione dell’immobile, o sostenga la spesa dell’arredamento. Ebbene, in caso di morte della proprietaria dell’immobile, la compagna non potrà vantare alcun diritto sulla casa né su altro, in quanto “invisibile”. Per tutelarla, la convivente proprietaria deve, pertanto, in maniera imprescindibile, farsi parte attiva fintanto che è in vita, perché poi sarà troppo tardi. Supponiamo che lei decida di “intestare” il 50% del proprio immobile

. Si rinvia per i dettagli alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 3/E del 22 gennaio 2008.

 8. la morte non è uguale per tutti alla compagna; tale risultato può essere ottenuto solo per effetto di compra- vendita o donazione. Sennonché, la compravendita presuppone l’effettivo passaggio di una somma di denaro corrispondente al reale valore del bene, soluzione che, da un lato, pare contraddire lo spirito di liberalità che, in un’ottica solidaristica all’in- terno della coppia, solitamente contraddistingue questo genere di scelta; dall’altro impone un esborso di danaro che non sempre le persone sono in grado di affrontare. Quanto alla donazione, trattasi di un atto che, ai sensi degli artt. 550 c.c. ss., non è definitiva, poiché i legittimari (e i loro eredi o aventi causa) della donna potranno, all’epoca del suo decesso, chiedere la riduzione della dona- zione che leda la porzione di legittima. La donazione è, infatti, un atto che deve farsi per atto pubblico sotto pena di nullità, e che impone un prelievo fiscale sul valore della quota o dei beni la cui aliquota si differenzia a seconda del grado di parentela o affinità intercorrente tra beneficiario e dante causa. Pertanto, esattamente come nel caso delle imposte di successione, mentre a carico del coniuge e dei parenti in linea retta è prevista un’aliquota del 4 per cento sul valore eccedente la franchigia, nel caso di donazione a favore di altri soggetti l’aliquota è dell’8 per cento sull’intero valore del donato. Supponiamo allora che, dissuasa dalla onerosità e dalle incertezze degli atti inter vivos, la donna decida di percorrere la strada degli atti mortis causa e, a tal fine, decida di fare testamento e di devolvere la propria eredità a favo- re della compagna. Ebbene, come già abbiamo osservato sopra, quest’ultima – in quanto estranea – concorrerà all’eredità con gli eventuali legittimari e, d’altro canto, dovrà sopportare un prelievo fiscale pari ad oltre il doppio ri- spetto al coniuge e ai parenti. Il testamento, poi, è per definizione un atto sempre revocabile (art. 587 c.c.), a prescindere dalla forma adottata, che, ai sensi dell’art. 601 c.c., può essere olografa o per atto di notaio, che può essere, a sua volta, pubblico o segreto. Ciò significa che la proprietaria dell’appartamento, nel nostro caso, può decidere di revocare il testamento e di sostituirlo con un altro fino ad un attimo prima del decesso. È, pertanto, immaginabile quanto tale disciplina renda incerta l’aspettati- va della partner sull’immobile nel quale ha vissuto e che ha contribuito a mi- gliorare con il proprio denaro e le proprie risorse. A ciò si aggiunga che la mancanza, oltreché di una legge, anche solo di un orientamento giurisprudenziale, che possa dirsi, oggi, consolidato, sulla con- vivenza tra partner omosessuali espone comunque la compagna al rischio – assai concreto soprattutto nel caso di successioni ingenti – di vedere il testa- mento, redatto pur con tutti i crismi, impugnato in giudizio da parte degli eredi legittimi. Essi potranno, infatti, ritenere comunque conveniente agire in

 stefania guglielmi giudizio per far valere la non genuinità del testamento, anche confidando nel possibile pregiudizio omofobico del magistrato. In tal caso, la donna si vedrà esposta alla necessità di dover dimostrare la genuinità e stabilità della sua re- lazione con la compagna deceduta. Anche il testamento offre, pertanto, dei limiti, che, come ampiamente so- stenuto supra, coincidono con il perimetro tracciato dal legislatore attorno alla famiglia “legittima”. Tuttavia, sia ben chiaro che il testamento rimane, comunque, l’unico stru- mento a cui le coppie omosessuali possono ricorrere per esercitare uno spazio di libertà e che, oltre a tutto, risulta assai facile da redigere. L’art. 602 dispone, infatti, che, per aversi un valido testamento, nella forma olografa, è sufficiente che l’atto sia scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore e che la sottoscrizione sia posta alla fine delle disposizioni. Null’altro è richiesto. Pertanto, ne va assolutamente incoraggiato l’uso. La redazione del testamento, peraltro, oltre ad avere efficacia nella misura che abbiamo visto, serve anche a connotare e descrivere il tipo di rapporto e la sua solidità. Analogamente, va incoraggiato l’utilizzo degli strumenti messi a disposi- zione da certi Comuni, come per esempio gli Elenchi delle Unioni civili, o l’iscrizione anagrafica delle famiglie costituite da persone coabitanti legate da vincoli affettivi.

. Istituito, per esempio, presso il Comune di Ferrara con delibera approvata nella riu- nione di Giunta del 24 gennaio 2006, l’Elenco delle Unioni civili è un registro di natura puramente dichiarativa, che non ha alcuna relazione con i Registri anagrafici e di Stato civi- le. È rivolto alle coppie conviventi unite da vincoli affettivi, ma non legate da rapporti di matrimonio, parentela, affinità, adozione o tutela, o che decidono di convivere per motivi di reciproca assistenza morale o materiale. In seguito all’iscrizione viene rilasciato un documen- to per i fini consentiti dalla legge (attribuzione dei punteggi di assegnazione degli alloggi di Edilizia residenziale pubblica). . Previsto, per esempio, dal Comune di Bologna, l’attestato serve a dimostrare che persone non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione o tutela, coabitan- ti nella stessa unità immobiliare del Comune di Bologna, costituiscono un unico nucleo fa- miliare in ragione dell’esistenza di vincoli affettivi. Il rilascio è subordinato al fatto che in fase di trasferimento di residenza, di cambio di indirizzo o di modificazione della composi- zione familiare le suddette persone abbiano dichiarato l’esistenza di vincoli affettivi. In tal caso, il nucleo così dichiarato gode di tutte le prerogative riconosciute dal Comune ai nuclei familiari. Si veda anche il Registro delle Unioni civili del Comune di Milano, nel quale, il 7 maggio 2013, è stato annotato l’atto di Civil partnership contratto nel 2010 da due cittadini italiani, in ciò facendo esplicita applicazione dei principi enunciati nella sentenza della Cor- te di Cassazione n. 4184 del 2012, nella quale la Suprema Corte aveva affermato che i com- ponenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, pur non potendo contrarre matrimonio in Italia né potendolo trascrivere ove contratto all’estero, sono co- munque titolari del diritto alla “vita familiare” e possono accedere ad un trattamento omo- geneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata.

 8. la morte non è uguale per tutti

Si tratta, ovviamente, di strumenti inadeguati, assai limitati, che, però, al momento, vanno utilizzati per i pur tenui effetti giuridici che possono produr- re e col fine di “lasciare tracce della propria famiglia”.

8.5.2. nei rapporti tra genitori e figli

Ciò detto quanto ai rapporti tra partner, la situazione è ancora più complessa quando dalla relazione nascono dei figli. Immaginiamo, a tal fine, che due donne abbiano due figli procreati biolo- gicamente da una delle due, ma con cui l’altra ha convissuto fin dalla nascita, avendo formato una famiglia, e supponiamo che la “madre biologica” muoia prima del compimento della maggiore età dei propri figli. Ebbene, in tal caso, pur avendo adottato tutte le cautele del caso, nulla potrà garantire all’altra di mantenere il proprio rapporto genitoriale con i figli biologici della compagna, rispetto ai quali, di fronte alla legge, ella è una tota- le estranea. Al massimo, infatti, la “madre biologica” potrà disporre a favore della compagna la designazione a tutrice dei propri figli. La Tutela è istituto disciplinato dal Codice civile (artt. 343 ss.) come un pubblico ufficio che risponde al Giudice tutelare (e in certi casi al Tribunale). Tutore (o tutrice) è nominata dal Giudice, ai sensi dell’art. 348 c.c., la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la potestà dei genitori, per testamento, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Se manca la designazione, ovvero se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore, i quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti. In ogni caso – dispone la norma – la scelta deve cadere su persona idonea all’ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamen- to di educare e istruire il minore conformemente a quanto è prescritto nell’art. 147 c.c. Non è per nulla scontato, pertanto, che ad essere nominata tutrice sia proprio lei, benché designata dalla partner nel proprio testamento. Sia i paren- ti della deceduta, infatti, sia il magistrato stesso potranno ritenere la donna designata nel testamento, anche a causa di un pregiudizio omofobico, non adatta ad assumere su di sé le responsabilità del tutore. In conseguenza di ciò, non può darsi per certo che possa mantenere il proprio rapporto con i figli della partner oltre la sua morte. In ogni caso, anche quando nulla osti alla nomina tutrice dei figli della compagna deceduta, comunque i suoi compiti saranno limitati alla «cura del- la persona del minore», ed alla rappresentanza dei medesimi in tutti gli atti civili ed amministrativi dei loro beni. La tutrice, insomma, non instaura con loro alcun tipo di legame parentale.

 stefania guglielmi

Di certo, non ne può trarre alcun vantaggio, tanto che, anzi, ai sensi dell’art. 596 c.c., sono «nulle le disposizioni testamentarie della persona sottoposta a tutela in favore del tutore» (se fatte dopo la nomina di questo e prima che sia approvato il conto ecc.). Quindi, supponendo che la nomina di tutrice sia resa effettiva e che i pa- renti non abbiano opposto alcunché, comunque, nella migliore delle ipotesi, la genitrice superstite, in quanto “estranea” alla famiglia, viene ad assumere, nei confronti dei figli della compagna, solo ed esclusivamente responsabilità ed obblighi giuridici. Tuttavia, anche in questo caso, pur nella consapevolezza dei significativi limiti che circoscrivono l’istituto in parola, va comunque osservato che la tu- tela si rivela lo strumento più adatto a mantenere il rapporto tra una donna – nel nostro esempio – e i figli della partner, sicché se ne incoraggia senz’altro l’utilizzo.

8.5.3. nei rapporti con i parenti

Infine, una breve notazione, pur ovvia date le premesse, rispetto alla posizione dei parenti delle due donne, sia in linea retta sia in linea collaterale, giusto per ribadire che tra i due gruppi di parenti esiste un abisso, in termini di relazione giuridica con i minori. Mentre, infatti, i parenti della madre biologica sono in tutto e per tutto “i parenti” dei minori e, anzi, possono vantare una posizione giuridica automa- tica e superiore a quella vantabile dalla stessa compagna, i parenti di quest’ul- tima sono, com’è ovvio, totalmente inesistenti. Inutile osservare che, in tal modo, si favorisce una sorta di costruzione ex lege di una famiglia col fine di colmare un vuoto che, in realtà, non esiste, dato che i minori in questione possono contare sulla genitrice superstite.

8.6 Timide aperture al matrimonio tra persone dello stesso sesso

Se, come visto sopra, le persone eterosessuali stanno attuando una vera e pro- pria fuga dal matrimonio, all’opposto le persone omosessuali desiderano for- temente potersi sposare. La richiesta di accesso al matrimonio presenta, infatti, un indubbio forte valore politico in termini di pari opportunità rispetto alle persone eterosessua- li. Inoltre, a dispetto dell’assenza di dati statistici ufficiali, che contribuisce ad alimentare il pregiudizio che le persone omosessuali vivano vite caratteriz-

 8. la morte non è uguale per tutti zate da tristezza e solitudine, va acquistando sempre maggiore visibilità quel- lo che è niente più che un dato di fatto: le persone omosessuali vivono relazio- ni affettive solide, stabili e con un progetto di famiglia, con o senza figli. L’aspirazione al matrimonio, pertanto, non è un mero vezzo, un mero de- siderio di omologazione – che comunque non sarebbe in quanto tale criticabi- le – ma una vera e propria esigenza di protezione giuridica delle proprie fami- glie. Il terreno, invece, in cui si avvertono molteplici movimenti è quello giuri- sprudenziale. Prima di fare cenno alle più significative pronunce, ci sia consentita, però, una notazione: è solamente grazie a persone coraggiose, che hanno deciso di fare un investimento personale di tempo, denaro e risorse “a fondo perduto”, che negli ultimi anni abbiamo assistito a pronunce che non esitiamo a definire storiche. Di questo genere è senz’altro la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 15 aprile 2010, pronunciata ad esito di un percorso giudiziario assai complesso e che ha avuto l’indubbio merito di portare la questione del matri- monio tra persone dello stesso sesso ai massimi livelli del dibattito giuridico italiano. Il caso da cui il procedimento prendeva origine riguardava due signori, entrambi di sesso maschile, ai quali l’ufficiale di Stato civile rifiutava la pub- blicazione di matrimonio e che facevano opposizione, ai sensi dell’art. 98 c.c. Ebbene, come noto, la Corte costituzionale, nella sua lunga e articolata sentenza, pronunciava una serie di principi assai significativi e, anzi, determi- nanti nella materia, per orientare sia la giurisprudenza successiva, sia lo stesso legislatore. In particolare, la Corte riconduceva, in maniera netta ed inequivo- cabile, ed attingendo alle fonti sia nazionali sia sovranazionali, l’unione omo- sessuale alla nozione di formazione sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, e riconosceva alla coppia costituita da persone dello stesso sesso il diritto fon- damentale di vivere liberamente una condizione di coppia. Per tale strada, pertanto, la dignità della coppia tra persone omosessuali veniva sottratta al campo dell’opinabile per essere elevata a principio che nes-

. Pregiudizio che va di pari passo con l’altro, secondo il quale le persone omosessuali costituirebbero una minoranza (rispetto alle persone eterosessuali). In realtà, una minoran- za sono senza dubbio le persone dichiaratamente e visibilmente omosessuali, ma sulla reale entità delle persone omosessuali non è possibile fare alcuna valutazione numerica. . La sentenza prendeva avvio dai giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del Codice civile, promossi dal Tribunale di Venezia con ordinanza del 3 aprile 2009 e dalla Corte d’Appello di Trento con ordinanza del 29 luglio 2009. Nel giudizio si costituivano le parti private Sigg.ri G. M. ed altro, di E. O., ed interve- nivano il Presidente del Consiglio dei ministri, l’associazione radicale Certi Diritti, C. M. ed altri (fuori termine).

 stefania guglielmi suno, da quel momento, potrà più mettere in discussione nella sua esistenza e legittimità. Quanto alla pretesa di estendere il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, la Corte riteneva non rientrasse nei propri poteri, spettando «al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette». In tal modo, la Corte rinviava alla discrezionalità del legislatore solamente la definizione dei tempi, dei modi e dei limiti, non del se. In questa, così come in altre pronunce, ciò che le Supreme Corti hanno scolpito nella trama del nostro ordinamento ha valore determinante e non più discutibile, ovvero che la relazione tra persone omosessuali è dotata di una propria dignità e di valore in quanto tale. Le condizioni costituzionali e normative perché il legislatore possa adot- tare norme in questa materia, pertanto, ci sono, come mai prima d’ora. Ciò che manca è solo la volontà del legislatore, ovvero dei partiti. A loro sta, infatti, decidere se fare di questo nostro paese un luogo in cui le persone possano e desiderino vivere bene e serenamente o, all’opposto, un luogo da cui scappare il prima possibile.

 9 L’elaborazione del lutto nel cinema di Giordano Pariti

9.1 Introduzione

Elaborare un lutto è un processo personale che non segue un iter lineare, non fa riferimento a leggi assolute e generali e non ha un’unica modalità di elabo- razione: esse sono tante quante le persone che nel lutto si trovano a dover agire. Il senso di privazione che deriva da un lutto mette la persona di fronte ad un vuoto, alla necessità di una ridefinizione di sé, al dramma del non poter dimenticare e del dover intraprendere un nuovo cammino. Il percorso di elaborazione non può essere delegato alla sola persona inve- stita dalla perdita: è l’intera rete di relazioni che deve attivarsi per catalizzare il processo di superamento del lutto. In epoche non troppo lontane dalla nostra, e soprattutto nei paesi del Sud, la morte di un capofamiglia o di una giovane madre spingeva l’intera comuni- tà a sostenere materialmente e moralmente le persone segnate dalla perdita; questo aiuto rappresentava il primo passaggio di una elaborazione attiva e cosciente che permetteva alle persone di vivere il proprio dolore, stemperato da quello degli altri, e di ridefinire i contesti privati e sociali in cui continuare la propria esistenza. Oggi, le nostre società complesse stanno spingendo l’evento luttuoso sem- pre più verso la sfera del privato relegando la morte, a meno che non sia quel- la mediatica degli omicidi e dei personaggi famosi, ad una sorta di rimozione, di accantonamento nelle stanze chiuse della propria intimità. Al soggetto mutilato da una perdita, il cinema, attraverso il racconto di diverse realtà, offre un ampio ventaglio di possibilità di lettura dell’evento luttuoso e l’avvio di altrettanti processi di immedesimazione, confronto, ana- logia, opposizione, suggerendo nuove strategie di superamento del dolore le- gato alla morte. Le varie esperienze vissute dai personaggi del film possono indicare una serie di percorsi che permettono ai soggetti interessati di affrontare il lutto, le

 giordano pariti sue complesse ed inattese reazioni o la paralisi emotiva generata dalla scom- parsa di una persona cara. Il cinema arricchisce, cura, coinvolge, offre emozioni, attiva significati ma soprattutto apre ad un rapporto con noi stessi e con gli altri, riducendo il senso di alienazione che si prova sperimentando un lutto. Lo spettatore “vive” l’esperienza del film e si “incarna” nei personaggi re-interpretandoli, ricrean- doli e predisponendosi ad una rilettura del proprio mondo interiore. L’opera cinematografica contribuisce ad esprimere e a far riconoscere le innumerevoli esperienze di dolore che accompagnano la nostra esistenza si- tuando le stesse in una sorta di “contenitore globale” in cui ogni persona può guardare al proprio dramma personale e, nello stesso tempo, collocare il suo particolare destino nell’universale della vita. A partire da queste considerazioni, si propone di seguito una scelta di pellicole che hanno trattato le diverse esperienze del lutto: la perdita di un fi- glio, la perdita del compagno/a, le morti violente o vittime della strada, il suicidio, l’essere orfani. I film proposti nelle varie sezioni non rappresentano una filmografia esau- stiva sull’argomento ma vogliono essere solo una piccola antologia per avviare, attraverso di essi, una riflessione sulla elaborazione del lutto; inoltre, sono stati presentati senza alcuna velleità di analisi o critica cinematografica ma col solo scopo di rappresentare un valido ausilio per le tematiche espresse.

9.2 Perdere un figlio: ascoltando i protagonisti di un lutto

La perdita di un figlio è un tema ricorrente nel racconto cinematografico: i protagonisti, travolti dall’evento luttuoso, si confrontano con esso nei modi più personali: perdita e annullamento della propria identità (Antichrist, L. von Trier, 2009); tentativi di rilettura e di riscrittura della propria esistenza, per offrire ad essa un nuovo corso o semplicemente un nuovo sguardo (La stanza del figlio, N. Moretti, 2001; Welcome to the Rileys, J. Scott, 2010); apertura del proprio cuore alle domande esistenziali sul senso della vita e della morte (The Tree of Life, T. Malick, 2011). L’incapacità a rassegnarsi, l’angoscia e la disperazione per non essere stati in grado di evitare il terribile evento (Stolen, A. Anderson, 2009; Racconto di Natale, A. Desplechin, 2008), il rifiuto degli affetti del figlio scomparso (Gli ostacoli del cuore, S. Feste, 2009) o, nel caso di morte violenta, la ricerca di una giustizia personale, di fronte alle inadempienze della legge, sono altrettante modalità di rapportarsi alla perdita (In the Bedroom, T. Field, 2001). Uno spaccato, dunque, di situazioni luttuose e delle innumerevoli moda-

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema lità di elaborazione che pongono i protagonisti a contatto col dolore più inten- so e meno accettabile che possa colpire un genitore: la perdita della propria creatura. Non a caso, infatti, in nessuna lingua esiste un termine per definire la condizione del genitore che perde il proprio figlio, mentre esistono precise definizioni per la perdita di altri familiari: la vedovanza o l’essere orfani. È il cinema, dunque, a raccontare l’impronunciabile.

la stanza del figlio Regia: Nanni Moretti corsi, Toni Bertorelli, Dario Cantarelli, Ele- Anno: 2001 onora Danco Origine: Italia Produzione: Angelo Barbagallo e Nanni Durata: 99’ Moretti per Sacher Film, Bac Films-Studio Genere: Drammatico Canal+ (Parigi), con la collaborazione di Soggetto: Nanni Moretti Rai Cinema e Tele+ Sceneggiatura: Heidrun Schleef, Linda Fer- Distribuzione: Mikado-Sacher Distribuzione ri, Nanni Moretti Fotografia: Giuseppe Lanci Sinossi breve Montaggio: Esmeralda Calabria La vita tranquilla di una famiglia borghese Scenografia: Giancarlo Basili di Ancona è sconvolta dalla morte improv- Musiche: Nicola Piovani visa del loro figlio diciassettenne. Il lutto Interpreti: Nanni Moretti, Laura Morante, diviene l’abisso in cui le relazioni affettive e Jasmine Trinca, Giuseppe Sanfelice, Silvio gli impegni professionali si sgretolano e si Orlando, Claudia Della Seta, Stefano Ac- mostrano in tutta la loro fragile precarietà.

welcome to the rileys Titolo originale: Welcome to the Rileys ven Zaillian, Ken Hixon, Manny Mashouf Regia: Jake Scott per Scott Free Productions, Argonaut Pic- Anno: 2010 tures Origine: usa Durata: 110’ Sinossi breve Genere: Drammatico La perdita della loro unica figlia diviene l’i- Sceneggiatura: Ken Hixon nizio di un drammatico allontanamento tra Fotografia: Christopher Soos Doug e Lois Riley. Doug a New Orleans Montaggio: Nicolas Gaster conosce Mallory, una spogliarellista sedi- Scenografia: Happy Massee cenne, e decide di diventare il suo angelo Costumi: Kim Bowen custode, mentre Lois resta serrata nella sua Musiche: Marc Streitenfeld bella casa di Indianapolis. Sarà proprio la Interpreti: , James Gandolfi- cura dedicata a Mallory a donare la forza ai ni, Melissa Leo, David Jensen Rileys di ricostruire la loro relazione. Produzione: Ridley Scott, Tony Scott, Ste-

the tree of life Titolo originale: The Tree of Life Anno: 2011 Regia: Terrence Malick Origine: usa

 giordano pariti

Durata: 139’ Gonda per , River Genere: Drammatico, Surreale Road Entertainment Sceneggiatura: Terrence Malick Distribuzione: 01 Distribution (2011) – dvd Fotografia: Emmanuel Lubezki e Blu Ray: 01 Distribution (2011) Montaggio: Hank Corwin, Jay Rabinowitz, Daniel Rezende, Sinossi breve Billy Weber, Mark Yoshikawa L’albero della vita, ovvero: il senso che Scenografia: Jack Fisk ognuno di noi dà alla vita, alla morte, al suc- Costumi: Jacqueline West cesso, all’amore, alla natura, all’origine, alla Musiche: grazia. È questo il nucleo del racconto di Interpreti: Brad Pitt, , Jessica una famiglia cattolica del Texas degli anni Chastain, Fiona Shaw Cinquanta, colpita dalla prematura scom- Produzione: Sarah Green, Bill Pohlad, Brad parsa del loro figlio diciannovenne. Pitt, Dede Gardner, Grant Hill, Nicolas

stolen – rapiti Titolo originale: Stolen, Stolen Lives Mitra, James Van Der Beek, Jimmy Bennett Regia: Anders Anderson Produzione: 2 Bridges Productions, A2 En- Origine: usa tertainment Group, Boy in the Box, Code Anno: 2009 Entertainment Durata: 91’ Genere: Drammatico, Thriller, Poliziesco Sinossi breve Sceneggiatura: Glenn Taranto Il racconto parallelo di due padri, uno am- Fotografia: Andy Steinman bientato nel 1958 e l’altro nel 2008, entrambi Montaggio: Gary Mau accomunati dalla perdita prematura di un Scenografia: Jennifer Spence figlio e dal senso di colpa che li attanaglia Musiche: per non essere riusciti ad evitare l’infausto Interpreti: Josh Lucas, Jon Hamm, Rhona evento.

racconto di natale Titolo originale: Un conte de Noël Thomas Obled, Clément Obled Regia: Arnaud Desplechin Produzione: Why Not Productions Anno: 2008 Distribuzione: Bim Distribuzione Origine: Francia Durata: 150’ Sinossi breve Genere: Drammatico La necessità di un trapianto di midollo os- Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Emma- seo per il figlio Joseph, e l’impossibilità di nuel Bourdieu trovarlo all’interno della loro famiglia, spin- Fotografia: Eric Gautier ge Abel e Junon Vuillard a mettere al mon- Montaggio: Laurence Briaud do un nuovo figlio, Henri; purtroppo il Musiche: Grégoire Hetzel midollo di Henri non sarà compatibile e nel Interpreti: Catherine Deneuve, Jean-Paul frattempo Joseph muore. Stesso destino Roussillon, Mathieu Amalric, Anne Consi- toccherà a Junon, ed Henri, che questa vol- gny, Melvil Poupaud, Hippolyte Girardot, ta è l’unico ad avere il midollo compatibile, Emmanuelle Devos, Chiara Mastroianni, si troverà di fronte al dilemma se salvare o Laurent Capelluto, Emile Berling, Françoi- lasciar morire la madre che non lo ha mai se Bertin, Samir Guesmi, Azize Kabouche, amato.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

in the bedroom Titolo originale: In the Bedroom William Wise, Celia Weston, Karen Allen, Regia: Todd Field Justin Ashforth, Frank T. Wells Anno: 2001 Produzione: , Greenestreet Origine: usa Films Inc., Standard Film Company Inc. Durata: 130’ Distribuzione: Medusa – dvd: Medusa Genere: Drammatico (2002) Soggetto: Andre Dubus Sceneggiatura: Robert Festinger, Todd Field Sinossi breve Fotografia: Antonio Calvache La tranquilla vita di una famiglia del Maine Montaggio: Frank Reynolds è interrotta dall’uccisione del loro figlio per Scenografia: Shannon Hart mano del marito della sua nuova compagna. Costumi: Melissa Economy Quando l’omicida, su cauzione, esce dal Musiche: carcere, i genitori decidono di rendere giu- Interpreti: Sissy Spacek, Marisa Tomei, Tom stizia da sé alla drammatica morte del figlio. Wilkinson, Nick Stahl, William Mapother,

gli ostacoli del cuore Titolo originale: The Greatest Produzione: Barbarian Films, Irish Dre- Regia: Shana Feste amtime, Oceana Media Finance, Silverwo- Anno: 2009 od Films, Tax Credit Finance Origine: usa Durata: 99’ Sinossi breve Genere: Drammatico, Romantico Bennet, un ragazzo di 18 anni, durante la sua Sceneggiatura: Shana Feste prima notte d’amore con Rose, muore in un Fotografia: John Bailey incidente stradale. Rose, rimasta incinta, Montaggio: Cara Silverman viene portata dal padre di Bennet nella sua Scenografia: Judy Rhee famiglia, ma la moglie è disturbata dalla Musiche: Christophe Beck presenza di Rose. Quando a Rose nascerà Interpreti: Susan Sarandon, Pierce Brosnan, una bambina lo scenario familiare cambie- Carey Mulligan, Aaron Taylor-Johnson, rà. I personaggi del film tentano, ognuno a Johnny Simmons, Kevin Hagan, Miles Rob- modo proprio, di elaborare il dolore per la bins, Cara Seymour, Ramsey Faragallah, scomparsa di Bennet. Zoe Kravitz, Lindsay Beamish

antichrist Titolo originale: Antichrist Scenografia: Karl Júlíusson Regia: Lars von Trier Costumi: Frauke Firl Anno: 2009 Musiche: “Rinaldo, Lascia ch’io pianga”, Origine: Danimarca, Germania, Francia, Georg Friedrich Händel Italia, Svezia, Polonia Interpreti: Willem Dafoe, Charlotte Durata: 104’ Gainsbourg Genere: Drammatico, Horror Produzione: Zentropa Entertainments23, Soggetto: Lars von Trier Zentropa International, Slot Machine, Sceneggiatura: Lars von Trier Memfis Film, Trollhättan, Lucky Red, Da- Fotografia: Anthony Dod Mantle nish Film Institute, Nordic Film & Tv Montaggio: Anders Refn Fund, Film I Väst, Swedish Film Institute,

 giordano pariti

Filmstiftung Nrw, Arte, Zdf, Canal+, Dfff, gicamente cadendo dalla finestra. Per supe- Cnc rare il lutto, la coppia decide di ritirarsi in Distribuzione: Key Films – dvd: Lucky Red un bosco dove in una casa isolata (Eden) (2009) tentano con tutte le loro forze di fare luce nelle loro menti devastate dal dolore, ma Sinossi breve violenza e crudeltà avranno il sopravvento. Mentre due coniugi consumano un rappor- to sessuale, il loro piccolo figlio muore tra-

9.3 Accompagnare al lutto

Il momento estremo della morte nel racconto del protagonista e delle persone che accompagnano il proprio caro negli ultimi istanti della sua esistenza. L’avvicinarsi della morte di una giovane donna può innescare nell’intimo dei suoi cari reazioni crudeli o superficiali, di fuga e di terrore (Sussurri e grida, I. Bergman, 1972) oppure, all’opposto, può far sorgere sentimenti di tenerezza e di assoluta compassione in un figlio che riesce a donare alla propria madre la serenità e la cura per una morte contrassegnata da un profondo senso di umanità (Madre e figlio, A. Sokurov, 1997). La sofferenza che anticipa l’ineluttabilità della morte può rappresentare altresì una inaspettata occasione per recuperare la relazione con i propri cari (Le invasioni barbariche, D. Arcand, 2003), per analizzare e ridefinire il rap- porto tra fratello e sorella (La famiglia Savage, T. Jenkins, 2007) o per permet- tere al protagonista, e alle persone coinvolte nel suo dramma, di andare incon- tro alla fine nel modo più autentico e congruo possibile con i propri principi (Mare dentro, A. Amenábar, 2004). Nel percorso di una malattia terminale o nella elaborazione di un lutto (L’ospite d’inverno, A. Rickman, 1997) sarà fondamentale, quindi, evitare di autocondannarsi nelle celle anguste della solitudine, per aprirsi all’incontro e alla presenza dell’altro che può donare senso e nuove ragioni all’orizzonte asfittico del proprio presente.

sussurri e grida Titolo originale: Viskningar och rop Musiche: Johann Sebastian Bach, Frédéric Regia: Ingmar Bergman Chopin Anno: 1972 Montaggio: Siv Lundgren Origine: Svezia Scenografia: Marik Vos-Lundh, Marik Vos Durata: 90’ Costumi: Marik Vos-Lundh, Marik Vos Genere: Drammatico Interpreti: Harriet Andersson, Ingrid Thu- Soggetto: Ingmar Bergman lin, Liv Ullmann, Kari Sylwan, Georg Årlin, Sceneggiatura: Ingmar Bergman Erland Josephson, Henning Moritzen, An- Fotografia: Sven Nykvist ders Ek, Inga Gill, Linn Ullmann, Rosanna

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

Mariano, Börje Lundh, Karin Johansson, compagnia di Karin e Maria, le sue due so- Greta Johansson, Lena Bergman, Lars- relle, e di Anna, la governante. Karin è egoi- Owe Carlberg, Ingrid von Rosen, Ann- sta, crudele, Maria è estroversa e superficiale. Christin Lobråten L’unica ad essere realmente toccata dal Produzione: Cinematograh Ab, Svenska Fil- dramma di Agnese è Anna, che se ne pren- minstitutet derà cura fino alla morte. Alla scomparsa di Distribuzione: Medusa-San Paolo Audiovi- Agnese le due sorelle si divideranno per sivi – dvd: 01 Distribution Home Video sempre mentre la governante rivive la fuga- ce serenità delle tre sorelle sfogliando le Sinossi breve pagine del diario di Agnese. Agnese trascorre i suoi ultimi giorni di vita in una villa alla periferia di Stoccolma in

l’ospite d’inverno Titolo originale: The Winter Guest Lewis, Billy McElhaney Regia: Alan Rickman Produzione: Ken Lipper, Steven Clark-Hall, Anno: 1997 Edward R. Pressman Origine: Gran Bretagna Distribuzione: Medusa-Medusa Video Durata: 108’ Genere: Metafora Sinossi breve Soggetto: Sharman Macdonald Frances, una fotografa rimasta vedova, si Sceneggiatura: Sharman Macdonald, Alan rifiuta di affrontare il lutto e si rinchiude in Rickman casa, affidandosi alle cure del suo unico fi- Fotografia: Seamus McGarvey glio adolescente. Nel freddo paesino in cui Montaggio: Scott Thomas abita, viene raggiunta dall’anziana madre Scenografia: Robin Cameron Don che farà di tutto per incoraggiarla ad uscire Costumi: Joan Bergin dall’isolamento in cui si è forzatamente co- Musiche: stretta. Interpreti: Emma Thompson, Phyllida Law, Frances vorrebbe partire per l’Australia do- Gary Hollywood, Arlene Cockburn, Sheila ve poter cominciare una nuova vita ma la Reid, Sean Biggerstaff, Douglas Murphy, vicinanza della madre le farà cambiare idea. Sandra Voe, Tom Watson, Jan Shand, Ross

le invasioni barbariche Titolo originale: Les invasions barbares au, Dorothée Berryman, Louise Portal, Do- Regia: Denys Arcand minique Michel, Marie-Josée Croze, Yves Anno: 2003 Jacques, Pierre Curzi, Marina Hands Origine: Canada, Francia Produzione: Cinemaginaire Inc., Produc- Durata: 99’ tion Barbares Inc., Pyramide Productions, Genere: Commedia, Drammatico Astral Films, Centre National De La Cine- Soggetto: Denys Arcand matographie, Harold Greenburg Fund, Le Sceneggiatura: Denys Arcand Studio Canal+, Société Radio-Canada, So- Fotografia: Guy Dufaux ciété de Développement des Entreprises Musiche: Pierre Aviat Culturelles, The Harold Green Montaggio: Isabelle Dedieu Distribuzione: BiM Distribuzione Scenografia: François Séguin Costumi: Denis Sperdouklis Sinossi breve Interpreti: Remy Girard, Stéphane Rousse- Remy, insegnante di storia, a causa di un

 giordano pariti tumore è costretto a vivere i suoi ultimi Sébastien, in pena per le gravi condizioni giorni in ospedale. Il figlio Sébastien, dietro del padre, organizza una grande rimpatriata pressione della madre, ritorna da Londra di tutti i suoi parenti, amici, allievi, amanti per visitare il padre, nonostante da lungo che doneranno agli ultimi istanti di vita di tempo i due non avessero nessun contatto. Remy serenità e leggerezza.

la famiglia savage

Titolo originale: The Savages Gbenga Akinnagbe, Cara Seymour Regia: Produzione: Fox , Lone Anno: 2007 Star Film Group, This Is That Productions Origine: usa Distribuzione: Fox Searchlight Pictures Durata: 114’ Genere: Commedia, Drammatico Sinossi breve Sceneggiatura: Tamara Jenkins Lenny, a seguito della morte della compa- gna, si ritrova a non avere più casa; i suoi Fotografia: W. Mott Hupfel iii Montaggio: Brian A. Kates due figli John e Wendy, dopo anni di rottu- Scenografia: Jane Ann Stewart ra col padre, decidono di prendersene cura. Costumi: David C. Robinson Lenny, ormai anziano, è affetto da demenza Musiche: Stephen Trask senile e la sua condizione offrirà ai figli l’oc- Interpreti: , Philip Seymour casione per conoscersi meglio e per rielabo- Hoffman, Philip Bosco, Peter Friedman, rare il loro difficile passato.

mare dentro Titolo originale: Mar adentro Amenábar per Himenoptero/Sogecine, Regia: Alejandro Amenábar Ugc Images, Eyescreen, Tve, Canal+, Tvg, Anno: 2004 Filmanova Invest, Eurimages/Icaa Origine: Spagna, Francia, Italia Distribuzione: Lucky Red Durata: 125’ Genere: Drammatico Sinossi breve Soggetto: Alejandro Amenábar, Mateo Gil Le conseguenze nefaste di un tuffo in mare Sceneggiatura: Mateo Gil, Alejandro Ame- hanno reso Ramon tetraplegico. La famiglia nábar del fratello si prende amorevolmente cura Fotografia: Javier Aguirresarobe di lui, ma Ramon non si rassegna ad una Montaggio: Iván Aledo, Alejandro Amená- vita mortificata e da 28 anni tenta caparbia- bar mente di ottenere l’eutanasia. Una avvoca- Scenografia: Benjamín Fernández tessa (anch’essa affetta da una patologia Costumi: Sonia Grande degenerativa) si innamora di Ramon e insie- Musiche: Alejandro Amenábar me meditano il suicidio, ma nel momento Interpreti: Javier Bardem, Lola Dueñas, Be- del gesto estremo la donna si tira indietro. len Rueda, Mabel Rivera, Celso Bugallo, Sarà dunque Rosa, un’operaia amica Clara Segura, Joan Dalmau, Alberto Jime- dell’uomo, che lo aiuterà nel suo intento nez, Tamar Novas, Francesc Garrido, José finale permettendogli di liberare la sua vita María Pou, Alberto Amarilla da una sofferenza mai accettata. Produzione: Fernando Bovaira e Alejandro

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

madre e figlio Titolo originale: Mat i syn Produzione: Lenfilm (St. Petersburg), Zero Regia: Aleksandr Sokurov Film e O-Film (Berlino) Anno: 1997 Distribuzione: Istituto Luce (1998) Origine: Russia, Germania Durata: 75’ Sinossi breve Genere: Drammatico In campagna, tra sterminate distese di gra- Soggetto: Yuri Arabov no, alberi e colline, un uomo si prende cura Sceneggiatura: Yuri Arabov della propria madre gravemente ammalata Fotografia: Aleksei Fyodorov e ormai prossima alla morte. Insieme riper- Montaggio: Leda Semyonova corrono amorevolmente il loro passato Scenografia: Vera Zelinskaya, Esther Ritter- muovendosi come uniche ombre di un pae- busch se in totale abbandono. Alla morte della Musiche: Otmar Nussio, Mikhail Ivanovich, madre, al figlio, rimasto completamente Mikhail Glinka solo, non resterà che un saluto ed un ap- Interpreti: Alexei Ananischnov, Gudrun puntamento per ritrovarsi di nuovo in una Geyer prossima vita.

9.4 Coppie omosessuali e lutto: prevenire il dolore delle esclusioni omofobiche

Nelle coppie omosessuali la perdita di un compagno/a e la conseguente elabo- razione del lutto, a causa dei pregiudizi e delle esclusioni sociali, può rappre- sentare un dolore aggiunto al dramma già terribile della morte. La solitudine, lo scherno della società e l’impossibilità di esternare il pro- prio dolore possono spingere una persona fino al desiderio infausto della pro- pria fine (A Single Man, T. Ford, 2009) mentre, all’opposto, anche un singolo incontro, accogliente e sincero, potrebbe essere sufficiente per aprire il pro- prio animo devastato dal dolore a nuove relazioni che trasformino radicalmen- te la propria esistenza (Ciao, Y. Tan, 2008). Su questo scenario, un possibile elemento contenitivo del dolore è rappre- sentato da una rete di relazioni autentiche e sane che sollevano dall’abisso ed offrono prospettive di confronto e di condivisione (Saturno contro, F. Ozpetek, 2006).

a single man Titolo originale: A Single Man Soggetto: Christopher Isherwood Regia: Tom Ford Sceneggiatura: Tom Ford, David Scearce Anno: 2009 Fotografia: Eduard Grau Origine: usa Montaggio: Joan Sobel Durata: 95’ Scenografia: Dan Bishop Genere: Drammatico Costumi: Arianne Phillips

 giordano pariti

Musiche: Abel Korzeniowski, Shigeru Um- Sinossi breve ebayashi California 1962. George, un professore uni- Interpreti: Colin Firth, Julianne Moore, versitario, decide di togliersi la vita a distan- Matthew Goode, Ginnifer Goodwin, Ni- za di otto mesi dalla morte del suo amato cholas Hoult, Ryan Simpkins, Keri Lynn compagno Jim, con cui ha felicemente con- Pratt, Teddy Sears, Aaron Sanders vissuto per 16 anni. Contrastato dalla fami- Produzione: Tom Ford, Chris Weitz, An- glia di Jim e vessato dai pregiudizi sociali, drew Miano e Robert Salerno per Artina George, ormai solo, organizza minuziosa- Films, Depth of Field, Fade to Black Pro- mente l’ultima giornata della sua vita ma ductions l’incontro con Kenny, uno studente univer- Distribuzione: Archibald Film (2010) – dvd sitario, gli offre l’occasione per rimandare il e Blu-Ray: Cg Home Video suicidio; tuttavia l’appuntamento con la morte lo coglierà comunque. ciao Titolo originale: Ciao Sinossi breve Regia: Yen Tan L’improvvisa morte di un amico in comune Anno: 2008 (Mark) mette in contatto due ragazzi, Jeff e Origine: usa Andrea (il primo statunitense e l’altro italia- Durata: 87’ no). Jeff è stato l’amante e il migliore amico Genere: Drammatico di Mark, mentre Andrea aveva instaurato Sceneggiatura: Alessandro Calza, Yen Tan con Mark una fitta corrispondenza online, Fotografia: Michael Roy senza mai conoscersi personalmente. A Montaggio: David Lowery Dallas i due ragazzi si incontrano, si fre- Scenografia: Michael Corenblith quentano e, conversando intimamente sul Musiche: Stephan Altman senso della perdita e del lutto, finiranno per Interpreti: Adam Neal Smith, Alessandro coinvolgersi sentimentalmente in una rela- Calza, Ethel Lung, Chuck Blaum, John S. zione che muterà la loro esistenza. Boles, Margaret Lake, Tiffany Vollmer Produzione: Unauthorized Films saturno contro Regia: Ferzan Özpetek Michelangelo Tommaso, Milena Vukotic, Anno: 2006 Luigi Diberti, Lunetta Savino, Benedetta Origine: Italia Gargari, Gabriele Paolino Durata: 110’ Produzione: Tilde Corsi e Gianni Romoli Genere: Drammatico per R&C Produzioni Soggetto: Gianni Romoli, Ferzan Özpetek Distribuzione: Medusa (2007) – dvd: Cg Sceneggiatura: Gianni Romoli, Ferzan Home Video (2012) Özpetek Fotografia: Gian Filippo Corticelli Sinossi breve Montaggio: Patrizio Marone La vita di Davide, uno scrittore di favole per Scenografia: Massimiliano Nocente ragazzi, e del suo gruppo di amici è dilania- Arredamento: Massimiliano Sturiale ta dalla improvvisa morte di Lorenzo, il suo Costumi: Alessandro Lai giovane compagno. Questo triste evento Musiche: Neffa costringerà il gruppo di amici ad elaborare Interpreti: Stefano Accorsi, Margherita Buy, insieme il dolore della perdita mettendoli Pierfrancesco Favino, Luca Argentero, reciprocamente in confronto con i loro uni- Ambra Angiolini, Serra Yilmaz, Ennio Fan- versi personali ed intimi, densi di paure ed tastichini, Isabella Ferrari, Filippo Timi, insicurezze.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

9.5 Morti violente e vittime della strada: il trauma della perdita

L’irruzione nella propria vita di una morte inaspettata è un dramma che scuo- te la persona fino a farle smarrire ogni ragione e senso dell’esistenza. Non sono pochi i lutti irrisolti che segnano il percorso di uomini e donne in balia di una perdita che lascia davvero minime possibilità di risalita. Di fronte alla improvvisa scomparsa di un congiunto alcune persone, per poter continuare a vivere, si affaticano ad annientare tutti i ricordi e le tracce della sua vita (Tre colori. Film Blu, K. Kieslowski, 1993; Rabbit Hole, J. Came- ron Mitchell, 2010), oppure si abbandonano a quel senso di impotenza e di sgomento che, inevitabilmente, la morte porta con sé (Il dolce domani, A. Egoyan, 1997). Ma la circostanza della morte per incidente stradale, o a causa di violenza, fa nascere spesso un senso di vendetta che non lascia altro scopo se non quel- lo di poter realizzare la stessa morte, quel “personale” senso di giustizia il cui unico desiderio è di poter punire il carnefice del proprio caro (Tre giorni per la verità, S. Penn, 1995; Pietà, K. Ki-duk, 2012). Questo genere di lutto può suscitare, inoltre, il desiderio di voler entrare nel corpo esanime del defunto per cercare di comprendere le strutture più intime della vita e della morte (Vital, S. Tsukamoto, 2004), oppure il continua- re a vivere unicamente per tentare di realizzare il desiderio inseguito dal pro- prio caro nella sua breve esistenza (Tutto su mia madre, P. Almodóvar, 1999).

rabbit hole Titolo originale: Rabbit Hole Distribuzione: Videa-Cde (2011) Regia: John Cameron Mitchell Anno: 2010 Sinossi breve Un incidente stradale ha portato via per Origine: usa Durata: 90’ sempre dai suoi genitori un bimbo di quat- Genere: Drammatico tro anni. Per rimuovere il lutto Becca si de- Soggetto: David Lindsay-Abaire dica ossessivamente all’eliminazione di ogni Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire traccia del figlio, mentre Howie guarda Fotografia: Frank G. DeMarco continuamente i filmati del piccolo sul pro- Montaggio: Joe Klotz prio telefonino. Le vite dei due sembrano Scenografia: Kalina Ivanov allontanarsi quando il marito frequenta una Musiche: Anton Sanko donna conosciuta in una seduta di terapia Interpreti: Nicole Kidman, , di gruppo e Becca si apre al giovane che era Dianne Wiest, Tammy Blanchard, Sandra alla guida dell’auto che ha ammazzato il po- Oh, Miles Teller, Giancarlo Esposito vero figlio. Sarà la forza del loro amore a Produzione: Nicole Kidman, Geoff Linville, permettergli di elaborare il lutto e a farli Blossom Films, Odd Lot Entertainment, ritornare insieme. Olympus Pictures

 giordano pariti

tre colori. film blu Titolo originale: Trois couleurs: Bleu Produzione: Mk2 Productions, Ced Pro- Regia: Krzysztof Kieslowski ductions, France 3 Cinema (Paris), Tor Pro- Anno: 1993 duction (Varsavia) Origine: Francia, Polonia, Svizzera, Gran Distribuzione: Academy Pictures (1993), Bretagna dvd: San Paolo Multimedia (2009) Durata: 97’ Genere: Drammatico Sinossi breve Soggetto: Agnieszka Holland, Slawomir Id- Patrice e la sua piccola figlia Anna restano ziak, Edward Zebrowski, Krzysztof Kie- vittime di un terribile incidente stradale. slowski, Krzysztof Piesiewicz Jolie rimasta completamente sola cerca di Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski annientare ogni ricordo della sua vita fami- Krzysztof Piesiewicz liare passata eliminando ogni traccia che Fotografia: Slawomir Idziak possa far rivivere la presenza dei suoi cari. Montaggio: Jacques Witta Dopo un fallito tentativo di suicidio, si con- Scenografia: Claude Lenoir vince che solo la cancellazione totale del Musiche: Zbigniew Preisner passato potrà farle superare il lutto che la Interpreti: Juliette Binoche, Benoit Regent, divora, ma in realtà sarà la forza di una vita Florence Pernel, Charlotte Very, Hélène che comincia a offrile la possibilità di una Vincent, Julie Delpy, Alain Ollivier nuova esistenza.

il dolce domani Titolo originale: The Sweet Hereafter Distribuzione: Lucky Red-Lucky Red Home Regia: Video Anno: 1997 Origine: Canada Sinossi breve Durata: 110’ Un autobus scolastico sprofonda in un lago Genere: Drammatico ghiacciato e tutti i bambini muoiono; si sal- Sceneggiatura: Atom Egoyan vano solo Dolores, la conducente del bus, e Fotografia: Paul Sarossy Nicole, una ragazza che resterà sulla sedia a Montaggio: Susan Shipton rotelle. Mitchell, un avvocato, arriva nella Musiche: Mychael Danna cittadina devastata dal lutto per fare chia- Interpreti: , , Ga- rezza sulle cause dell’incidente e per far ri- brielle Rose, , Arsinée sarcire i genitori delle vittime. La visita Khanjian, Tom Mccamus, Stephanie Mor- dell’avvocato nelle famiglie delle vittime genstern, , Earl Pastko, Caer- svela il dramma di sopravvivere ad una così than Banks, Bruce Greenwood, David immane tragedia, il senso di impotenza e di Hemblen, Peter Donaldson, Brooke John- abbandono degli adulti di fronte a questo son sovrumano dolore. Produzione: Camelia Frieberg e Atom Egoyan

tre giorni per la verità Titolo originale: The Crossing Guard Genere: Drammatico Regia: Sean Penn Soggetto: Sean Penn Anno: 1995 Sceneggiatura: Sean Penn Origine: usa Fotografia: Vilmos Zsigmond Durata: 106’ Montaggio: Jay Cassidy

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

Scenografia: Michael Haller Sinossi breve Costumi: Jill Ohanneson La piccola Emily viene investita ed uccisa Musiche: Jack Nitasche da una macchina guidata da John, un auto- Interpreti: John Savage, Priscilla Barnes, mobilista ubriaco. Freddy, che gestisce una David Morse, Jack Nicholson, Robbie Ro- gioielleria, è profondamente sconvolto dal- bertson, Robin Wright, Kari Whurer, Anje- la morte dell’amata figlia tanto da arrivare a lica Huston, Piper Laurie lasciare la moglie e ad abbandonare, insie- Produzione: Sean Penn, David S. Hambur- me a lei, anche gli altri due suoi figli. L’uni- ger co scopo della sua vita ora è quello di atten- Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione dere che John esca dalla prigione per ucci- (1996)-Cecchi Gori Home Video derlo e farsi giustizia.

tutto su mia madre Titolo originale: Todo sobre mi madre Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione – Regia: Pedro Almodóvar dvd Cecchi Gori (2002) Anno: 1999 Durata: 101’ Sinossi breve Origine: Spagna All’uscita dal teatro, Esteban cerca di otte- Genere: Drammatico, Sociale nere un autografo da Huma, l’attrice del Soggetto: Pedro Almodóvar Tram chiamato desiderio, ma viene investito Sceneggiatura: Pedro Almodóvar da una macchina e muore. La tragedia si Fotografia: Affonso Beato consuma sotto gli occhi di Manuela, la ma- Montaggio: José Salcedo dre del ragazzo. Manuela parte per Barcel- Scenografia: Antxón Gómez lona per trovare il padre di Esteban che nel Costumi: José María De Cossío, Bina Daige- frattempo è diventato donna, col nome di ler Lola. In città conosce e fa amicizia con Musiche: Alberto Iglesias Agrado, un travestito, Rosa, una suora sie- Interpreti: Cecilia Roth, Marisa Paredes, ropositiva, e con Huma, l’attrice del Tram. Candela Peña, Antonia San Juan, Penélope Rosa è incinta e il padre è Lola, già padre di Cruz, Eloy Azorín, Toni Cantó, Fernando Esteban. Manuela incontra Lola e le conse- Fernán Gómez, Carlos Lozano, Rosa Maria gna tutti i terribili lutti che la coinvolgono Sardà, Juan Márquez liberando il proprio animo da oppressioni Produzione: El Deseo, Renn Productions, ed affanni. France 2 Cinema, Via Digital

pietà Titolo originale: Pietà Produzione: Kim Ki-duk Film Production Regia: Kim Ki-duk Distribuzione: Good Films Anno: 2012 Origine: Corea del Sud Sinossi breve Durata: 104’ Kang-do, insensibile e crudele, recupera i Genere: Drammatico crediti per conto di un potente strozzino Sceneggiatura: Kim Ki-duk torturando fino alla morte le sue povere vit- Fotografia: Jo Yeong-jik time. Un giorno, una donna che dice di es- Montaggio: Kim Ki-duk sere sua madre irrompe nella sua vita e gli Scenografia: Lee Hyun-joo chiede perdono per averlo abbandonato. Costumi: Ji Ji-yeon Kang-do prima di fidarsi della donna la sot- Musiche: Park In-young topone a numerose prove ma, col tempo, Interpreti: Jung-Jin Lee, Choi Min-Soo accetta che sia proprio lei la madre che lo ha

 giordano pariti abbandonato. In realtà la donna porta con sua vendetta consiste proprio nel trasfor- sé un drammatico segreto: anche il suo ama- mare Kang-do da carnefice a vittima to figlio è stato ucciso da Kang-do ed ora la dell’immenso dolore che ha seminato. vital Titolo originale: Vital Sinossi breve Regia: Shinya Tsukamoto Hiroshi e Ryoko sono coinvolti in un inci- Anno: 2004 dente d’auto: Ryoko muore e il ragazzo per- Origine: Giappone de parzialmente la memoria. Per attivare un Durata: 86’ recupero della sua vita, Hiroshi intraprende Genere: Drammatico gli studi in medicina e durante le lezioni co- Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto nosce una ragazza, Ikumi, con cui stringe Fotografia: Shinya Tsukamoto amicizia. Un giorno sul tavolo di dissezione Montaggio: Shinya Tsukamoto del corso di autopsia si imbatte in un corpo Musiche: Chu Ishikawa che riconosce essere quello di Ryoko. Attra- Interpreti: Tadanobu Asano, Nami Tsuka- verso lo studio della struttura anatomica moto, Kiki (Ii), Kazuyoshi Kushida, Lily, della sua ragazza, Hiroshi cerca di riappro- Hana Kino, Jun Kunimura, Ittoku Kishibe priarsi della memoria e di un proprio posto Produzione: Shinya Tsukamoto per Kaijyu nella vita. Theater Distribuzione: Revolver

9.6 Sopravvivere al suicidio: quel dolore di cui non si parla

La morte di un familiare a causa di un suicidio fa precipitare le persone inve- stite da questo atto estremo in uno stato di grave confusione e smarrimento; ad esso si aggiungono il profondo senso di vergogna sociale, l’ossessione dei perché, il senso di frustrazione per non essere stati in grado di fermare la vo- lontà distruttiva della persona amata o per non aver saputo cogliere in anticipo il suo disperato appello. Sopravvivere al suicidio di una persona significativa toglie ogni ragione alla propria esistenza, inchioda ad un destino che si desidera emulare, genera, nei rapporti umani, rifiuto e disaffezione e pervade l’animo di laceranti sensi di colpa (Gente comune, R. Redford, 1980; La samaritana, K. Ki-duk, 2004). Dal suicidio può scaturire, altresì, una analisi lucida e disincantata della vita e dei suoi fondamentali valori per offrire all’esistenza una possibilità di riscatto e di affermazione positiva (Monsieur Lahzar, P. Falardeau, 2011; La bottega dei suicidi, P. Leconte, 2012). Ricercare la morte, prima che la stessa vita abbia fatto scadere il tempo a disposizione, si rivela una impresa non facile (Kill Me Please, O. Barco, 2010), così come immaginare la propria morte può risultare una strategia efficace per rinunciare ad essa e continuare a vivere (Il sapore della ciliegia, A. Kiarostami, 1997).

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

monsieur lazhar Titolo originale: Monsieur Lazhar dik Benslimane Regia: Philippe Falardeau Produzione: Micro_Scope Anno: 2011 Distribuzione: Officine Ubu (2012) Origine: Canada Durata: 94’ Sinossi breve Genere: Drammatico Una insegnante delle scuole elementari di Soggetto: Évelyne de la Chenelière Montréal si è tolta la vita e nella sua classe Sceneggiatura: Philippe Falardeau Évelyne arriva a sostituirla Bachir Lazhar, un immi- de la Chenelière grato algerino, che fa di tutto per poter ave- Fotografia: Ronald Plante re quel posto. Anche nel passato di Bachir Musiche: Martin Léon c’è un grave lutto, che l’uomo non riesce a Montaggio: Francesca Chamberland superare, così la relazione con i suoi alunni Scenografia: Emmanuel Fréchette diventerà l’occasione per poter affrontare Interpreti: Mohamed , Sophie Né- insieme il senso della perdita e per poter lisse, Émilien Néron, Brigitte Poupart, Da- elaborare una strategia comune di supera- nielle Proulx, Louis Champagne, Francine mento del dolore. Ruel, Jules Philip, Sophie Sanscartier, Sed-

kill me please Titolo originale: Kill Me Please Distribuzione: Archibald Film (2011) – dvd: Regia: Olias Barco Cg Homevideo (2011) Anno: 2010 Origine: Belgio Sinossi breve Durata: 96’ Una clinica dove si pratica l’eutanasia è ge- Genere: Commedia, Grottesco, Noir stita dal dott. Kruger il quale, prima di aiu- Sceneggiatura: Olias Barco, Virgile Bramly, tare i pazienti a compiere l’ultimo viaggio, Stéphane Malandrin cerca di dissuaderli in tutti i modi possibili Fotografia: Frédéric Noirhomme per verificare se la loro volontà estrema è Montaggio: Ewin Ryckaert realmente radicata. Nella struttura si muo- Scenografia: Manu de Meulemeester vono personaggi alquanto strampalati (tra Costumi: Elise Ancion cui una cantante lirica che ha perso la voce, Interpreti: Aurelien Recoing, Virgile Bramly, un depresso con la fissa del Vietnam, un Daniel Cohen, Virginie Efira, Bouli Laners, regista malato di cancro, un uomo che non Benoît Poelvoorde, , Zazie De possiede più nulla a causa del gioco). Ognu- Paris, Clara Cleymans, Philipe Nahon, Vin- no di essi, prima di morire, ha diritto ad un cent Tavier, Olga Grumberg, Bruce Elison, ultimo desiderio, ma l’incursione nella cli- Gerard Rambert nica di un gruppo di attivisti scatenerà il Produzione: Olias Barco, La Parti, Oxb, Les pandemonio. Armateurs, Rtbf

la bottega dei suicidi Titolo originale: Le magasin des suicides Soggetto: Jean Teulé Regia: Patrice Leconte Sceneggiatura: Patrice Leconte Anno: 2012 Montaggio: Rodolphe Ploquin Durata: 85’ Musiche: Etienne Perruchon Origine: Francia, Canada, Belgio Produzione: Arp Sélection, Caramel Film, Genere: Animazione, Commedia Diabolo Films, Entre Chien et Loup, Kai-

 giordano pariti bou Productions, La Petite Reine te per porre fine alla vita grigia e disperata Distribuzione: Videa-cde degli abitanti di una città totalmente spenta ed appassita. Gli affari vanno a gonfie vele Sinossi breve fino al giorno della nascita del loro terzoge- Se la tua vita è un fallimento, fai della tua nito che, con la sua incontenibile gioia di morte un successo, questo lo slogan di un vivere, getterà la famiglia in un profondo negozio gestito da Mishima e Lucréce che stato di disgrazia. vende corde, veleni, lame e tutto l’occorren- gente comune Titolo originale: Ordinary People wood, Regia: Robert Redford Distribuzione: cic (1981)-cic Video Anno: 1980 Sinossi breve Origine: usa Durata: 121’ Conrad, dopo la morte in un incidente del Genere: Drammatico, Psicologico fratello maggiore Buck, non riesce più a da- Soggetto: Judith Guest re un senso alla propria vita e tenta il suici- Sceneggiatura: Alvin Sargent dio, ma i suoi genitori riescono in extremis Fotografia: John Bailey a salvarlo. Durante la permanenza in ospe- Montaggio: Jeff Kanew dale, Conrad conosce Karen; nonostante il Scenografia: Phillip Bennett, J. Michael Riva ritorno alla sua vita di ragazzo, i sensi di Costumi: Bernie Pollack colpa per la morte del fratello lo attanaglia- Musiche: Marvin Hamlisch no. Un brutto giorno Karen si suicida e per Interpreti: , Mary Tyler Conrad sarà un duro colpo. Intanto il rap- Moore, Judd Hirsch, , M. porto con la madre diviene sempre più pro- Emmet Walsh, Elizabeth McGovern, Di- blematico, tanto da costringere il padre ad nah Manoff, James Sikking, Scott Doebler, allontanarla da casa per poter finalmente Fredric Lehne, Basil Hoffman ristabilire con Conrad un rapporto maturo Produzione: Ronald L. Schwary per Wild- e sereno. la samaritana Titolo originale: Samaria Distribuzione: Mikado (2005) Regia: Kim Ki-duk Anno: 2004 Sinossi breve Origine: Corea del Sud Yeo-Jin e Jae-Young sono due liceali che, Durata: 95’ per poter racimolare il denaro per un viag- Genere: Drammatico gio in Europa, organizzano un giro di pro- Sceneggiatura: Kim Ki-duk stituzione in cui la prima prende gli appun- Fotografia: Sun Sang-Jae tamenti con i clienti e la seconda vende il Montaggio: Kim Ki-duk suo corpo. Un giorno Jae-Young, per sfug- Scenografia: Kim Ki-duk gire ad un controllo della polizia, si getta Costumi: Lim Seung-Hee dalla finestra della camera in cui si stava Musiche: Park Ji offrendo ad un uomo, e muore. Yeo-Jin Interpreti: Lee Uhl, Kwak Ji-Min, Seo prende il suo posto e, rintracciando tutti i Ming-Jung, Kwon Hyun-Min, Oh Young, clienti annotati in agenda, restituisce loro i Im Gyun-Ho, Jung Yoon-Soo, Shin Taek- soldi guadagnati insieme all’amica. Quando Ki, Park Jung-Gi, Kim Gui-Seon, Seo il padre scopre la doppia vita della figlia, si Seung-Won, Yoo Jae-Ik, Jung In-Gi, Jeon metterà a sua volta sulle tracce degli uomini Jin-Bae, Yook Sae-Jin che la ragazza ha incontrato per stanarli e Produzione: Kim Ki-duk Film punirli.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

il sapore della ciliegia Titolo originale: Ta’m e guilass Distribuzione: Columbia Tristar Italia-Mon- Regia: Abbas Kiarostami dadori Video Anno: 1997 Origine: Iran, Francia Sinossi breve Durata: 98’ Badii, con la sua automobile, vaga nelle stra- Genere: Metafora de polverose di un villaggio iraniano alla ri- Soggetto: Abbas Kiarostami cerca di qualcuno a cui affidare un compito Sceneggiatura: Abbas Kiarostami particolare: se si fosse suicidato, avrebbe Fotografia: Homayoun Payvar dovuto coprire con la terra la tomba che Ba- Montaggio: Abbas Kiarostami dii stesso si è scavato, o al contrario, nel caso Scenografia: Homayoun Payvar rinunciasse ad ammazzarsi, avrebbe dovuto Musiche: Jahangir Mirshekari riaccompagnarlo a casa. A questa proposta Interpreti: Homayon Ershadi, Abdolrahman un giovane soldato curdo scappa terrorizza- Bagheri, Afshin Khorshid Bakhtiari, Safar to, un seminarista afghano cerca invano di Ali Moradi, Mir Hossein Noori, Ahmad dissuaderlo, mentre un signore anziano lo Ansari segue e, attraverso il racconto delle bellezze Produzione: Abbas Kiarostami Produc- della vita, riesce a farlo desistere e a fargli tions, Ciby 2000 ripensare il suo gesto estremo.

9.7 Sopravvivere all’essere orfani: aiutare un bambino ad elaborare il lutto dei genitori

Per un bambino la morte di un genitore è una esperienza immensamente do- lorosa: in questa mutilazione egli non perde solo una sicurezza fondamentale della vita, ma viene intaccata duramente anche l’innocenza del suo sguardo sul mondo. La scomparsa della madre rappresenta per il bambino il più terribile lutto da accettare, che mette in pericolo ogni sua certezza. Primo attore in questa tragedia è il padre, a cui è affidato l’arduo compito di ripristinare un nuovo equilibrio negli affetti e nei ruoli all’interno del nucleo familiare (La mia vita è uno zoo, C. Crowe, 2011). Non c’è un iter stabilito per far superare ad un bam- bino il lutto per il proprio genitore; è impensabile che semplicemente nascon- dendo o mascherando l’atroce perdita si possa proteggere il bambino dalla sofferenza che questo evento comporta. Tuttavia il potere della fantasia e dell’immaginazione di un bambino, al- meno nella fase iniziale del lutto, lo aiutano a mettere in campo una personale sublimazione del dolore (L’albero, J. Bertucelli, 2010), mentre gli adulti tentano le soluzioni più varie e concrete, come andare a vivere in un altro paese per ricostruire insieme una nuova vita (Genova, M. Winterbotton, 2008) o intra- prendere un viaggio per approfondire la conoscenza reciproca e per elaborare insieme il dramma della morte (Paradiso amaro, A. Payne, 2011).

 giordano pariti

Infine, uno sguardo a due differenti condizioni sociali e culturali: in una realtà mediorientale di grave povertà, l’essere orfani fa crescere il coraggio, la solidarietà, lo smisurato bene tra fratelli (Il tempo dei cavalli ubriachi, B. Gho- badi, 2000); mentre un adolescente americano, il cui unico interesse, dopo essere rimasto orfano, è quello di frequentare le cerimonie funebri, si aprirà nuovamente alla vita quando l’amore per una ragazza lo investirà con tutto il suo carico di bellezza e disincanto (L’amore che resta, G. Van Sant, 2011).

l’amore che resta Titolo originale: Restless – Blu-Ray: Home Entertain- Regia: Gus Van Sant ment (2012) Anno: 2011 Sinossi breve Origine: usa Durata: 95’ Dopo essere uscito da tre anni di coma, a Genere: Drammatico causa di un incidente che gli ha fatto perde- Sceneggiatura: Jason Lew re entrambi i genitori, Enoch ritorna a vive- Fotografia: Harris Savides re ma i suoi interessi sono limitati alle fre- Montaggio: Elliot Graham quentazioni di cerimonie funebri. Enoch ha Scenografia: Anne Ross come unico compagno il fantasma di un Costumi: Danny Glicker kamikaze giapponese morto durante la Se- Musiche: Danny Elfman conda guerra mondiale. Durante una ceri- Interpreti: Mia Wasikowska, Henry Hop- monia funebre incontra Annabel, una dolce per, Jane Adams, Ryo Kase ragazza sua coetanea alla quale un cancro le Produzione: Brian Grazer, Bryce Dallas Ho- sta strappando la vita. L’amore che nascerà ward, Ron Howard per Imagine Enter- tra i due adolescenti permetterà ad Annabel tainment, 360 Pictures di finire in serenità la sua breve esistenza e Distribuzione: Warner Bros Pictures Italia ad Enoch di aprirsi nuovamente alla vita.

l’albero Titolo Originale: L’arbre wdr, zdf, Screen Australia et Pacific Film Regia: Julie Bertucelli and Television Commission Anno: 2010 Distribuzione: Videa-cde (2011) Origine: Francia, Australia Durata: 99’ Sinossi breve Genere: Drammatico La serenità di una famiglia australiana è Soggetto: Judy Pascoe (romanzo) sconvolta dalla tragica morte del padre in Fotografia: Nigel Bluck un incidente d’auto in cui rimane coinvolta Musiche: Grégoire Hetzel anche la piccola figlia Simone. L’auto si è Montaggio: François Gédigier fermata su di un imponente albero di fico Scenografia: Steven Jones-Evans del loro giardino e Simone si è persuasa che Costumi: Joanna Park l’anima del padre continui a vivere nella Interpreti: Charlotte Gainsbourg, Marton grande pianta, che da sempre ha rappresen- Csokas, Morgana Davies tato un riparo sicuro per tutta la famiglia. Produzione: Les Films du Poisson, Taylor Col tempo le maestose radici e i grandi rami Media, Centre Images, Backup Films, dell’albero minacciano la sicurezza della Dorje Films, Canal+, Arte France Cinéma, loro casa tanto da spingere Dawn, la madre, a prendere una drastica decisone.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

genova Titolo originale: Genova Giuggioli, Gabriella Santinelli, Monica Regia: Michael Winterbottom Bennati, Margherita Romeo, Gherardo Anno: 2008 Crucitti, Dante Ciari, Kyle Griffin Origine: Gran Bretagna Produzione: Revolution Films, Film4, uk Durata: 92’ Film Council, Aramid Entertainment Fund, Genere: Drammatico Hanway Films Sceneggiatura: Michael Winterbottom, Lau- Distribuzione: Officine ubu (2009) rence Coriat Fotografia: Marcel Zyskind Sinossi breve Montaggio: Paul Monaghan Dopo aver perso la moglie in un incidente Scenografia: Mark Digby d’auto, Joe decide di lasciare l’America e di Costumi: Celia Yau andare a vivere a Genova con le sue due fi- Musiche: Melissa Parmenter glie, Kelly e May, coinvolte ma sopravvissu- Interpreti: Colin Firth, Katherine Keener, te al tragico evento. Nella città ligure i tre Hope Davis, Willa Holland, Perla Haney- cercheranno di ricostruirsi una nuova vita Jardine, Kerry Shale, Demetri Goritsas, affrontando il dolore per la perdita dell’a- Trevor White, Gary Wilmes, Alessandro mata madre.

il tempo dei cavalli ubriachi Titolo Originale: Zamani barayé masti Distribuzione: Andrea Occhipinti e Geor- asbha gette Ranucci per Lucky Red (2001) Regia: Bahman Ghobadi Anno: 2000 Sinossi breve Durata: 80’ Nel Kurdistan iraniano, una famiglia di cin- Origine: Iran, Francia que orfani (tra fratelli e sorelle) vivono in Genere: Drammatico condizioni di estrema povertà. Una grave Soggetto: Bahman Ghobadi patologia ha bloccato la crescita di Madi, il Sceneggiatura: Bahman Ghobadi fratello minore, che, se non viene operato Fotografia: Saed Nikzat urgentemente, rischia di morire. Per racco- Montaggio: Samad Tavazoee gliere l’ingente somma di denaro necessaria Scenografia: Bahman Ghobadi all’operazione la sorella accetta di sposare Musiche: Hossein Alizadeh un iracheno disposto a pagare l’intervento, Interpreti: Nezhad Ekhtiar-Dini, Ekhtiar- ma mentre attraversano il confine la mam- Dini Ameneh, Younessi Rojin, Madi Ekh- ma dello sposo non accetta di farsi carico tiar-Dini, Ayoub Ahmadi, Karim Ekhtiar- del ragazzo malato, lo rifiuta e gli offre co- Dini, Osman Karimi, Kolsolum Ekhtiar- me indennizzo un cavallo. Tutti i fratelli Dini, Rahman Salehi continueranno a prendersi cura di Madi Produzione: Bahman Ghobadi Films, Fara- con affetto e coraggio. bi Cinema Foundation, mk2 Productions

la mia vita è uno zoo Titolo originale: We Bought a Zoo Genere: Biografico, Commedia, Drammati- Regia: Cameron Crowe co Anno: 2011 Soggetto: Benjamin Mee (memorie) Origine: usa Sceneggiatura: Aline Brosh McKenna, Ca- Durata: 124’ meron Crowe

 giordano pariti

Fotografia: Rodrigo Prieto Distribuzione: 20th Century Fox Italia (2012) Montaggio: Mark Livolsi Scenografia: Clay Griffith Sinossi breve Costumi: Deborah L. Scott A Benjamin, un giornalista, muore la moglie Musiche: Jónsi e si ritrova a dover crescere da solo un figlio Interpreti: Matt Damon, Scarlett Johans- adolescente ed una bambina. Il dolore della son, Elle Fanning, Thomas Haden Church, perdita pervade la sua vita e quella dei suoi Patrick Fugit, Angus Macfadyen, J.B. figli; così, per dare una svolta al triste pre- Smoove, Colin Ford, Erick Chavarria, John sente, si licenzia dal lavoro e investe tutti i Michael Higgins, Carla Gallo, Maggie Eli- suoi risparmi per acquistare un vecchio zoo zabeth Jones e rimetterlo in sesto. L’ardua impresa per- Produzione: Julie Yor, Cameron Crowe e metterà a Benjamin e ai suoi figli di elabora- re il lutto e di ricominciare serenamente una Rick Yorn per lbi Entertainmen, Vinyl Films nuova vita. paradiso amaro Titolo originale: The Descendants Krause Regia: Alexander Payne Produzione: Alexander Payne, Jim Burke, Anno: 2011 Jim Taylor per Ad Hominem Enterprises Durata: 110’ Distribuzione: 20th Century Fox Italia (2012) Origine: usa – dvd e Blu-Ray: 20th Century Fox H.E. Genere: Commedia, Drammatico Soggetto: Kaui Hart Hemmings Sinossi breve Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Fa- Un incidente nautico ha fatto entrare in co- xon, Jim Rash ma irreversibile Elisabeth, la moglie di Fotografia: Phedon Papamichael Matt, un avvocato hawaiano. Dopo aver Montaggio: Kevin Tent deciso di staccare la spina alla moglie, Matt Scenografia: Jane Ann Stewart apprenderà che Elisabeth aveva da tempo Costumi: Wendy Chuck una relazione con un altro uomo. Matt de- Interpreti: George Clooney, Judy Greer, cide di intraprendere un viaggio alla ricerca Shailene Woodley, Matthew Lillard, Beau dell’amante della moglie e porta con sé le Bridges, Robert Forster, Rob Huebel, Patri- sue due figlie, cresciute lontane dal padre cia Hastie, Michael Ontkean, Mary sempre impegnato col lavoro. Sarà proprio Birdsong, Milt Kogan, Amara Miller, Nick il viaggio a farli conoscere meglio e a far ri- cucire i loro complessi rapporti.

9.8 Morti traumatiche per eventi naturali, catastrofi e stragi

Terremoti, alluvioni, uragani ma anche catastrofi generate dalla furia devasta- trice dell’uomo lasciano dietro il loro funesto passaggio una lunga scia di mor- te e disperazione. La prima reazione di fronte ad un lutto causato da questi eventi è l’impres- sione di aver perso, insieme alla persona cara, anche parte di noi stessi; quindi, tentare il recupero in uno scenario di morte di questo tipo richiede particolare volizione e coraggio.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

La furia di uno tsunami o un terribile incidente aereo insegnano che la vita può terminare all’improvviso, ma che ha in sé qualcosa di misterioso e di immenso per cui vale sempre la pena rialzarsi e ricominciare (Hereafter, C. Eastwood, 2010; Senza paura, P. Weir, 1993). Anche in uno scenario post-nucleare, dove il mondo ha perduto la sua bellezza e gli uomini sono in preda ai loro istinti più crudeli, la speranza di un padre di trovare un rifugio sicuro per suo figlio lo aiuta a continuare a dare un senso alla loro vita (The Road, J. Hillcoat, 2009). Allo stesso modo, l’atomica sganciata su Nagasaki, insieme al lutto e alla devastazione, ha generato nell’animo dei sopravvissuti il desiderio di rendere giustizia e di dare dignità a quelle morti innocenti attraverso il ricordo dell’im- mane tragedia alle generazioni future (Rapsodia in agosto, A. Kurosawa, 1991).

the road Titolo originale: The Road hunt, Michael K. Williams, Bob Jennings, Regia: John Hillcoat Jack Erdie, Brenna Roth Anno: 2009 Produzione: 2929 Productions, Chockstone Origine: usa Pictures Durata: 112’ Distribuzione: Videa-cde (2010) Genere: Drammatico, Fantascienza, Thril- ler Sinossi breve Soggetto: Cormac McCarthy Il mondo è stato devastato da una guerra Sceneggiatura: Joe Penhall nucleare, la natura, gli animali, tutto è cor- Fotografia: Javier Aguirresarobe rotto, deturpato e gli uomini sono dominati Montaggio: Jon Gregory dai più bassi istinti di sopravvivenza arri- Scenografia: Chris Kennedy vando a cibarsi dei loro stessi simili. In que- Costumi: Margot Wilson sto triste e funesto paesaggio, un padre cer- Musiche: Warren Ellis, Nick Cave ca di portare al riparo il suo unico figlio e Interpreti: , Kodi Smit- mentre camminano gli narra della bellezza McPhee, Charlize Theron, Robert Duvall, del mondo prima della catastrofe e della sua Guy Pearce, Molly Parker, Garret Dilla- dolce madre scomparsa.

rapsodia in agosto Titolo originale: Hachigatsu no rapusodi Scenografia: Yoshirô Muraki Regia: Akira Kurosawa Costumi: Kazuko Kurosawa Anno: 1991 Musiche: Shinichirô Ikebe Origine: Giappone Interpreti: Sachiko Murase, Hisashi Igawa, Durata: 95’ Narumi Kayashima, Tomoko Otakara, Genere: Drammatico Mitsunori Isaki, Toshie Negishi, Hidetaka Soggetto: Kiyoko Murata Yoshioka, Mie Suzuki, Richard Gere, Choi- Sceneggiatura: Akira Kurosawa chiro Kawarasaki Fotografia: Masaharu Ueda, Takao Saitô Produzione: Hisao Kurosawa Montaggio: Akira Kurosawa

 giordano pariti

Distribuzione: Life International-Multivi- ca e del lutto seminato presso la sua fami- sion, Videopiù Entertainment glia. In America vive i suoi ultimi giorni il fratello della donna che esprime il desiderio Sinossi breve di incontrarla. Ma mentre Kane sta per par- Kane è una donna anziana che vive in cam- tire, apprende che il nipote nippo-america- pagna nei pressi di Nagasaki, sopravvissuta no è all’oscuro della morte del nonno a all’atomica del 1945. Durante l’estate quat- causa dell’atomica. Sarà quindi proprio il tro nipoti vanno a trovarla e la loro presenza nipote americano a presentarsi dalla zia Ka- offre alla nonna l’occasione per raccontare ne per ridare dignità alla morte del nonno e ai nipoti la devastazione della bomba atomi- di tutti i giapponesi sterminati nel 1945. senza paura Titolo originale: Fearless Produzione: Paula Weinstein, Mark Rosem- Regia: Peter Weir berg/Spring Creek Anno: 1993 Distribuzione: Warner Bros Italia-Warner Origine: usa Home Video (Gli Scudi) Durata: 121’ Genere: Drammatico Sinossi breve Sceneggiatura: Rafael Yglesias Max, un architetto di successo, e il suo col- Fotografia: Allen Daviau lega sono in volo verso Huston. Durante il Montaggio: Lee Smith, William M. Ander- volo l’aereo ha un serio problema al motore son e inizia a precipitare. Max non si perde d’a- Musiche: Maurice Jarre nimo e non solo accetta la triste sorte che sta Interpreti: , Isabella Rossellini, per avverarsi, ma si prodiga per dare sereni- Rosie Perez, Tom Hulce, John Turturro, tà agli altri passeggeri. L’aero si schianta, , Deirdre O’Connell, John Max si salva ma la sua vita è cambiata: con- De Lancie, Cordis Heard, Steven Culp, vinto della propria immortalità, si allontana Doug Ballard, Molly Cleator, Stephanie dalla moglie, lascia il lavoro e si frequenta Erb, Paul Ghiringhelli, Schylar Gholson, con Carla, una donna superstite come lui, Trevor Gholson, Anne Kerry Ford, Cliff caduta, a seguito dell’incidente, in un pro- Gober, Rance Howard, Michael Mulhol- fondo stato depressivo da cui Max tenterà land di salvarla. hereafter Titolo originale: Hereafter pany, Regia: Clint Eastwood Distribuzione: Warner Bros Italia Anno: 2010 Sinossi breve Origine: usa Durata: 129’ Tre personaggi fanno esperienza della mor- Genere: Drammatico te in tre differenti modi: Marie, una giorna- Sceneggiatura: Peter Morgan lista francese, la sperimenta sulla propria Fotografia: Tom Stern pelle sopravvivendo allo tsunami in Indone- Montaggio: Joel Cox, Gary Roach sia; Georges, un sensitivo, riesce a parlare Scenografia: James J. Murakami con i morti, ma fa di tutto per ritagliarsi una Costumi: Deborah Hopper esistenza normale, ripudiando il suo dono; Musiche: Clint Eastwood Marcus, che ha perso il fratello gemello in Interpreti: Matt Damon, Cécile De France, un incidente d’auto, non si rassegna alla sua Jay Mohr, Bryce Dallas Howard morte ed è alla disperata ricerca di un con- Produzione: The Kennedy/Marshall Com- tatto con lui.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

9.9 Elaborare il lutto attraverso la fede

La spiritualità e i credo religiosi possono offrire un grande sostegno, a chi in- timamente è animato da queste scelte, nel superamento di un evento luttuoso. Perpetuare la memoria di un proprio caro attraverso la sua essenza spiri- tuale, riconoscere il valore della trascendenza nell’animo mutilato da una gra- ve perdita può contribuire a dare un senso, una ragione profonda al dolore con cui si è costretti a fare i conti (Il cammino per Santiago, E. Estevez, 2010). La collera che nasce da una tragedia, l’impossibilità di accettare lo strazio di una mutilazione se, in un primo momento, sfociano in una efferata vendet- ta poi si redimono e trovano requie nel trascendente che accoglie e rasserena (La fontana della vergine, I. Bergman, 1960). Così la fede, nel tempo funesto della perdita, riesce ancora ad instillare nel cuore il tepore della speranza, della luce che si apre negli occhi dei semplici e che riesce a far vedere ciò che nessuno oserebbe mai immaginare (Ordet, C.T. Dreyer, 1955).

il cammino per santiago Titolo originale: The Way Produzione: Emilio Estevez, David Alexa- Regia: Emilio Estevez nian, Julio Fernández, Lisa Niedenthal per Anno: 2010 Elixir Films, Filmax Entertainment Origine: usa, Spagna Distribuzione: rai Cinema-01 Distribution Durata: 134’ (2012) Genere: Avventura, Commedia, Drammati- co Sinossi breve Soggetto: Jack Hitt (racconti) La morte improvvisa dell’unico figlio spin- Sceneggiatura: Emilio Estevez ge Tom, un odontoiatra americano, a com- Fotografia: Juan Miguel Azpiroz piere il cammino per Santiago che lo stesso Montaggio: Raúl Dávalos figlio aveva intrapreso ed improvvisamente Scenografia: Víctor Molero interrotto a causa di un incidente che gli ha Costumi: Tatiana Hernández causato la morte. Il viaggio diviene un cam- Musiche: Tyler Bates mino personale di elaborazione del lutto Interpreti: Emilio Estevez, Martin Sheen, che fa comprendere al padre i valori in cui James Nesbitt, Deborah Kara Unger, Joa- il figlio credeva, e soprattutto lo sprona a quim de Almeida, Yorick van Wageningen, rivedere la propria vita in funzione della Tchéky Karyo, Spencer Garrett, Antonio perdita, intesa come possibilità di un nuovo Gil corso della propria esistenza.

la fontana della vergine Titolo originale: Jungfrukällan Origine: Svezia Regia: Ingmar Bergman Durata: 89’ Anno: 1960 Genere: Epico, Drammatico

 giordano pariti

Soggetto: Leggenda popolare rin viene barbaramente violentata ed uccisa Sceneggiatura: Ulla Isaksson da tre pastori. I tre balordi dopo il misfatto Fotografia: Sven Nykvist cercano rifugio nella fattoria di Töre, il pa- Montaggio: Oscar Rosander dre della fanciulla, ignari della paternità Scenografia: P.A. Lundgren dell’uomo. Quando uno di loro cerca di Costumi: Marik Vos-Lundh vendere all’uomo il vestito della fanciulla, Musiche: Erik Nordgren Töre intuisce la loro vera natura e li uccide Interpreti: Max von Sydow, Birgitta Val- senza pietà. La vendetta per la figlia è fatta berg, Gunnel Lindblom, Birgitta Petters- ma al padre non dona serenità; così, per son espiare il suo peccato, decide di far edifica- Produzione: Svensk Filmindustri re una chiesa sul luogo in cui è stata uccisa Distribuzione: indief-San Paolo Audiovisi- Karin, lo stesso luogo da cui, una volta sol- vi – dvd: bim-01 Distribution (2012) levato il corpo della ragazza, ha zampillato una sorgente d’acqua. Sinossi breve Nel Medioevo, in un piccolo villaggio, Ka-

ordet Titolo originale: Ordet Sinossi breve Regia: Carl Theodor Dreyer Borgen ha tre figli: Johannes, che nella sua Anno: 1955 follia crede di essere Gesù Cristo, Mikkel, Origine: Danimarca un ateo sposato con Inger, e Andersen inna- Durata: 124’ morato di Anna, alla cui relazione si oppon- Genere: Drammatico gono fermamente, per motivi religiosi, la Soggetto: Kaj Munk famiglia di Borgen e quella di Peter (il padre Sceneggiatura: Carl Theodor Dreyer di Anna). Inger, mentre dà alla luce un bam- Fotografia: Henning Bendtsen bino, muore; la famiglia di Borgen è distrut- Montaggio: Edith Schlussel ta dal dolore e Johannes, sconvolto, scappa Scenografia: Erik Aaes di casa. Il giorno del funerale Johannes, in- Musiche: Poul Schierbeck spiegabilmente guarito dalla sua follia, fa Interpreti: Henrik Malberg, Preben Ler- ritorno a casa, invita la figlia di Inger a “sve- dorff Rye, Brigitte Federspiel, Hemil Hass gliare” la madre ed egli stesso, prima che la Christensen, Ann Elisabeth Rud, Cay donna venga chiusa nella bara, le ordina di Christiansen, Sylvia Eckhausen, Ove Rud, alzarsi. La fede fa compiere il miracolo: In- Gerda Nielsen, Ejner Federspiel, Henry ger è di nuovo viva. Skjær, Edith Trane, Susanne Rud Produzione: Palladium Film Distribuzione: Globe, Deltavideo, Lab 80 Film

9.10 Rituali funebri

Sin dai tempi più remoti, il rituale funebre ha rappresentato un elemento di catarsi, personale e collettiva, nella celebrazione condivisa della fine di una esistenza.

 9. l’elaborazione del lutto nel cinema

Ogni cultura, ogni popolo dedica al culto dei morti cerimonie ancestrali e usanze particolari che conferiscono a questo rituale di passaggio una fonda- mentale importanza nella elaborazione del lutto. Presso un’antica popolazione di una remota regione della Russia, il mo- mento che precede la cremazione è quello in cui il vedovo fa il “fumo”, ossia racconta ai presenti tutto il vissuto dell’amata moglie (Silent Souls, A. Fedor- chenko, 2010). In Giappone, la tradizione “nokanshi” dedica alla composizione del mor- to una cura minuziosa e precisa affinché il rito della deposizione rappresenti anche un momento di riconciliazione col defunto (Departures, Y. Takita, 2008). Nei riti collettivi trovano spazio, talvolta, anche particolari rituali persona- li, manie che trasformano il luogo abitato dal defunto in un santuario in cui custodire ossessivamente memorie e ricordi (La camera verde, F. Truffaut, 1978).

silent souls Titolo originale: Ovsjanki Media Mir Foundation Regia: Aleksei Fedorchenko Distribuzione: Microcinema (2012) Anno: 2010 Origine: Russia Sinossi breve Durata: 80’ Miron, il proprietario di una cartiera, perde Genere: Drammatico la moglie e decide di darle sepoltura rispet- Sceneggiatura: Denis Osokin tando le antiche usanze dei Merja, un’antica Fotografia: Mikhail Krichman etnia di una remota regione della Russia. Montaggio: Sergei Ivanov, Anna Vergun, Per raggiungere il luogo della cremazione Violetta Kostromina del corpo e della conseguente dispersione Scenografia: Andrey Ponkratov, Aleksei Po- delle ceneri nelle acque del fiume, Miron tapov compie un lungo viaggio in macchina ac- Costumi: Anna Barthuly, Lidiya Archakova compagnato da Aist, un suo fidato dipen- Musiche: Andrei Karasyov dente. Durante il viaggio, proprio rispettan- Interpreti: Igor Sergeyev, Yuriy Tsurilo, Yu- do le antiche usanze dei Merja, rivela all’uo- liya Aug, Victor Sukhorukov mo i particolari più intimi della vita dell’a- Produzione: Igor Mishin, Mary Nazari per mata moglie.

departures Titolo originale: Okuribito Montaggio: Akimasa Kawashima Regia: Yojiro Takita Scenografia: Fumio Ogawa Anno: 2008 Musiche: Origine: Giappone Interpreti: Masahiro Motoki, Tsutomu Ya- Durata: 131’ mazaki, Kazuko Yoshiyuki, Ryoko Hirosue, Genere: Drammatico Kimiko Yo Soggetto: Shinmon Aoki (autobiografia) Produzione: Amuse Soft Entertainment, Sceneggiatura: Kundo Koyama Asahi Shimbunsha, Dentsu, Mainichi Ho- Fotografia: Takeshi Hamada so, Sedic, Shochiku Company, Shogakukan,

 giordano pariti

Tokyo Broadcasting System (tbs) il trucco dei defunti) riscoprendo l’antica Distribuzione: Tucker Film (2010) – dvd e tradizione giapponese del nokanshi, il rito Blu-Ray: cg Homevideo (2010) della deposizione e della riconciliazione con i morti. La moglie, gli amici e i parenti si Sinossi breve allontanano da Daigo, a causa del suo fune- Daigo, un violoncellista, perde il lavoro a reo lavoro, ma egli, invece, proprio in esso causa dello scioglimento dell’orchestra, e troverà la serenità e la forza per riflettere sui decide di fare ritorno nel suo paese d’origi- fondamentali valori della vita. ne. Qui trova un nuovo impiego come ceri- moniere funebre (lava, veste, cura il corpo e

la camera verde Titolo originale: La chambre verte Berbert, Guy D’Ablon, Antoine Vitez Regia: François Truffaut Produzione: Les Films du Carrosse-Les Pro- Anno: 1978 ductions Artistes Associes Origine: Francia Distribuzione: Italnoleggio Cinematografi- Durata: 93’ co (1979)-mgm Home Entertainment, L’uni- Genere: Drammatico tà Video (Gli Scudi), dvd: 20th Century Fox Soggetto: Henry James Home Entertainment (2008) Sceneggiatura: François Truffaut, Jean Gruault Sinossi breve Fotografia: Néstor Almendros In una cittadina francese degli anni Trenta Musiche: Maurice Jaubert, Concert Fla- vive Julien, un uomo a cui il destino ha tolto mand la sua adorata moglie Giulia. Julien non ac- Montaggio: Martine Barraqué cetta la morte della moglie, così trasforma la Scenografia: Jean-Pierre Kohut-Svelko sua camera in un santuario, colmandola di Costumi: Monique Dury, Christian Gasc tutti i suoi ricordi più cari. Un giorno la ca- Interpreti: François Truffaut, Nathalie Ba- sa prende fuoco, distruggendo ogni cosa; ye, Jean Dasté, Patrick Maleon, Jeanne Lo- così Julien sposterà il suo santuario in una bre, Marie Jaoul, Christian Lentretien, An- cappella abbandonata del cimitero dove, nie Miller, Jean Pierre Moulin, Anna Pa- aiutato da Cecilia sua sacerdotessa, passerà niez, Laurence Ragon, Serge Rousseau, il tempo a dialogare con i suoi cari defunti. Monique Dury, Jean Pierre Ducos, Marcel

 10 «Con la terra che ho spostato per seppellire il tuo corpo ho costruito una collina da cui contemplo il mondo». Installazione artistica di Giordano Pariti

L’installazione artistica di Giordano Pariti, presentata a Ferrara (Grotte del Boldini) nel gennaio 2013, è un racconto archetipico; il racconto di una perdi- ta. È la perdita di un figlio vissuto una sola stagione, rievocato dai suoi calzari – quelli di una volta tagliati in cima, perché in estate il piede potesse respirare. Un’unica stagione della vita, un unico paio di calzari che si muovono su terre su cui non potranno mai più lasciare impronta. Una storia privata, simile ad infinite altre e che non dovrebbe interessare il pubblico dell’arte, se non per i contenuti universali capace di veicolare una volta fattasi immagine. In questa opera scatta invece qualcosa di nuovo. Giordano Pariti non si limita ad accettare il postulato dell’espediente stilistico in cui riversare il pro- prio sentire per farne un sentire di tutti, ma propone qualcosa di nuovo e potente: la narrazione di un processo psichico, l’elaborazione di un lutto che non si confronta con la perdita definitiva ma con la presenza dell’assenza. Massimo Recalcati scrive che l’oggetto assente (l’oggetto morto, l’oggetto perduto) è l’oggetto massimamente presente nell’affetto luttuoso, cioè appare, si manifesta come indimenticabile. Nell’elaborazione del lutto lo strazio intollerabile dell’impossibilità di di- menticare il dolore non è che l’altra faccia del bisogno quasi ossessivo che l’uomo ha di ricordare il passato e tutto ciò che è associato alla persona scom- parsa – anche il suo unico e solo paio di scarpe. In realtà il dolore terribile della perdita che sembra inizialmente insoppor- tabile è, a sua volta, una forma di difesa, perché sta al posto della perdita, riem- pie lo spazio affettivo di quell’assenza e consente di farci progressivamente ar- rivare, non a dimenticare, ma a neutralizzare l’affetto connesso a quella perdita. Il ricordo esiste ancora, ma fa sempre meno male, trasformandosi progres- sivamente in presenza creativa, in quella collina dove ci conduce Pariti per fornirci di uno sguardo nuovo sul mondo.

. M. Recalcati, Lavoro del lutto, melanconia e creazione artistica, Poiesis Editrice, Albe- robello (ba) 2009.

 giordano pariti

L’artista riesce in questo lavoro a realizzare compiutamente il lungo e fati- coso processo di elaborazione di un lutto e, contravvenendo ai presupposti della Narrative Art in voga negli anni passati, usa l’immagine fotografica come una potente lente sull’inconscio, attribuendo ad ogni immagine proposta un valore unico e insostituibile. Ogni immagine risulta così un dato esistenziale, esclusivo, irripetibile e indispensabile alla narrazione; ogni immagine crea un contatto immediato con il pubblico e lo immette in una dimensione temporale assolutamente privata, intrapsichica, dove il tempo dei fatti non corrisponde a quello delle emozioni, dove gli eventi non sono in sequenza, dove l’unica cronologia riconoscibile sono le fasi di elaborazione del dolore del lutto. È il tempo interiore, è il linguaggio dell’inconscio che dà immagine all’as- senza, dilatando a dismisura l’oggetto scelto a simbolizzare quell’assenza che acquisisce la consistenza drammatica, a tratti onirica, di una presenza impo- nente continua e totalizzante, in un drammatico scambio di prospettiva tra l’assente (il figlio morto) e chi vive (la madre nella bara-scatola, le scarpe den- tro le scarpe rosa del nuovo figlio). La scatola che conteneva le scarpe per la sepoltura diventa il monumento funebre, che da sempre racchiude nella storia dell’umanità la continuità tra la morte e la vita, tra l’assenza dell’oggetto amato e la presenza del dolore prova- to. In questo senso Giordano Pariti impiega l’agire artistico inteso come agi- re esistenziale, offrendo al pubblico una chiave di lettura del processo di elaborazione del lutto non priva di un evidente valore metaforico, la metafo- ra per cosi dire “progressiva” di un’archiviazione che, tramite alcune presen- ze (le scarpette rosa legate da un nastro rosso che rappresentano la vita che continua, il dono di una nuova vita), ci parla in qualche modo anche del fu- turo, della vita che procede e persiste ad essere inestricabilmente immagine e sentimento, senza un confine preciso tra privato ed universale, tra chi non c’è e chi rimane. Rinnovare il tonfo di un vuoto per ricordare a questa società, che prende sempre più le distanze dalla morte, che una perdita, aldilà di tutti gli aspetti drammatici, rituali e collettivi, rimane un fatto intimamente personale che però non ci annienta, se da esso facciamo scaturire uno sguardo sulla vita di- sincantato e pulito, uno sguardo che sappia accettare l’abisso e da esso ripar- tire per costruire un nuovo percorso di vita.

Paola Bastianoni

 figura 1 figura 2 figura 3 figura 4 figura 5 figura 6 figura 7 figura 8 figura 9 figura 10 figura 11 figura 12 figura 13 figura 14 figura 15 figura 16 Riferimenti bibliografici

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 Gli autori

chiara baiamonte è medico specialista in Psicologia clinica, psicoterapeuta. Svolge da anni consulenza formativa per insegnanti sui temi dell’omogenito- rialità, del contrasto all’omofobia e della prevenzione del bullismo omofobico; e consulenza psicologica sui temi della tutela delle soggettività di genere e di orientamento sessuale. È docente di “Tutela e protezione delle soggettività di genere” nel Master di “Tutela, diritti e protezione dei minori” dell’Università degli Studi di Ferrara. paola bastianoni è professore associato di Psicologia dinamica presso l’Uni- versità degli Studi di Ferrara. Dirige il Master “Tutela, diritti e protezione dei minori”. Tra le sue pubblicazioni cliniche presso la nostra casa editrice ricor- diamo: con O. Codispoti e A. Taurino, Dinamiche relazionali ed interventi clinici. Teorie, metodi e contesti (2008), con A. Simonelli e A. Taurino, ll collo- quio psicologico (2011). stefano caracciolo è professore ordinario in Psicologia clinica presso l’U- niversità degli Studi di Ferrara. È autore di oltre 150 pubblicazioni a stampa su riviste scientifiche italiane ed estere del settore, nonché di diverse monografie; è socio di società scientifiche nazionali e internazionali fra cui: sip, Società italiana di psichiatria; siep, Società italiana di epidemiologia psichiatrica; au- rac, Associazione universitari per lo sviluppo e la formazione alla relazione d’aiuto e al counselling; each, European Association for Communication in Health; iasp, International Association for Suicide Prevention. rosangela caruso è dottorando di ricerca in Oncologia molecolare e Farma- cologia, Clinica psichiatrica, Dipartimento di Scienze biomediche e chirurgico specialistiche, Università degli Studi di Ferrara. luigi grassi è professore ordinario di Psichiatria, direttore del Dipartimento di Scienze biomediche e chirurgico specialistiche, Università degli Studi di Ferrara; Chair International Federation Psycho-Oncology Societies.

 gli autori stefania guglielmi è avvocato, docente di “La tutela dei diritti delle nuove famiglie” nel Master “Tutela, diritti e protezione dei minori” dell’Università degli Studi di Ferrara. Svolge da anni consulenza legale sui temi della tutela delle soggettività di genere e di orientamento omosessuale. fiorella monti è professore straordinario in Psicologia dinamica presso l’U- niversità degli Studi di Bologna, dove è responsabile clinico del Servizio uni- versitario di aiuto psicologico per l’infanzia. Bambini e famiglia (suapi). È autrice di numerosi saggi sulle tematiche inerenti lo sviluppo e la patologia nella perinatalità e sugli effetti della depressione pre e post partum sulla fun- zione materna, sulle interazioni precoci e sullo sviluppo infantile. marilena moretti, psicologa, specializzanda in Psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia e dell’adolescenza, ha svolto il dottorato di ricerca, presso il Di- partimento di Psicologia dello sviluppo e dei processi di socializzazione dell’U- niversità degli Studi di Padova, sul tema “Metodi di valutazione e modelli di intervento sul lutto patologico nei minori che hanno perso una figura di attac- camento”. Tra le pubblicazioni si ricordano: l’articolo, pubblicato nel 2011 sulla rivista “Personalità Dipendenze”, dal titolo La resilienza nel lutto infan- tile dopo la morte di un genitore e il lavoro, pubblicato nel 2010, Aiutare i bambini a superare lutti e perdite: un progetto per il Coordinamento Regionale Trapianti del Veneto, edito nel volume Quando il legame si spezza: i servizi so- ciosanitari di fronte alla morte. maria giulia nanni è ricercatore di Clinica psichiatrica, Dipartimento di Scienze biomediche e chirurgico specialistiche, Università degli Studi di Fer- rara. paolo panizza è amministratore unico amsef. giordano pariti è artista e musicista (prof. d’orchestra, Orchestra sinfonica ico “T. Schipa”, Lecce).

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