Guelfi&Ghibellini

Artemio Franchi Un genio del calcio con il Palio nel sangue

Parte Prima

Gli uomini, i cittadini e coloro che guidano le comunità, defi niscono il valore di un territorio. Un’idea di cui ChiantiBanca, per la conoscenza e lo stretto legame che la unisce alle realtà dove opera ed è presente, è fermamente convinta. Sono le persone che decidono il corso degli eventi e contribuiscono a rendere migliori gli ambienti. Ovviamente, e siamo fi eri di appartenere a queste comunità, il Chianti, e Firenze, possono permettersi di ricordare tanti soggetti che hanno contribuito allo sviluppo di questi scenari e del più ampio conte- sto. È, così, nata l’idea di ripercorrere le vicende di chi, come , ha scritto alcune pagine della storia delle nostre collettività. Parlare di un personaggio così eclettico e stimato, che ha raggiunto im- portanti risultati e contribuito alla crescita di differenti settori, signifi ca rifl ettere sul calcio e sullo sport; sul Palio di Siena e sulla sua contrada la Torre; sul mercato dove ha operato con la sua impresa; sulle sue esperienze che rappresentano degli episodi che il tempo non cancella. La scelta di ChiantiBanca e della Fondazione ChiantiBanca Monterig- gioni di dedicare una strenna editoriale a uomini di valore non è ca- suale: è un’ulteriore testimonianza del rapporto che ci lega al territorio e che confermiamo anche rendendo omaggio ai suoi protagonisti. La decisione di raccontare Artemio Franchi, presidente dell’Uefa e della Figc, capitano della contrada della Torre e molto altro, è anche fi ne a se stessa. È un omaggio ad un grande manager, sportivo e non solo, nel trentesimo anniversario della sua scomparsa: una ricorrenza che non poteva passare inosservata. Il nostro scenario, Firenze a nord, Siena a sud, nei secoli è stato ani- mato da uomini importanti, di cui, e giustamente, sono già state scritte tante pagine. Artemio Franchi, comunque, fi orentino di nascita, senese di origine, è ricordato soprattutto con i fatti e con le parole. Cioè, oggi, attraverso la Fondazione Artemio Franchi che ha raccolto la sua eredità morale, professionale e sviluppa la sua esperienza; inoltre, nelle altre situazioni che direttamente o indirettamente si collegano al suo percor- so. Di Artemio Franchi se ne parla, ieri come oggi, nel calcio mondiale e nazionale; negli altri ambienti, come la contrada della Torre ed il mer-

5 cato della sua azienda, dove continua a rappresentare un riferimento. Ma, nonostante i tre decenni che ci separano dal tragico incidente in cui perse la vita, la biblioteca continua a restare orfana, salvo rari esem- pi, di titoli dedicati a questo presidente e capitano. Così, abbiamo tentato di recuperare. Il nostro progetto è stato sostenu- to dalla disponibilità di coloro che direttamente o indirettamente han- no interagito con Artemio Franchi e gli ambienti che ha frequentato ed hanno accettato di collaborare arricchendo queste pagine con le loro testimonianze. I contributi di personaggi ai vertici del calcio, come il presidente mondiale della Fifa Joseph Blatter, dell’Uefa , della Figc Giancarlo Abete, dimostrano la stima che ha sostenuto Arte- mio Franchi e che continua a rappresentare una sua grande referenza. Questa varietà di interventi conferma anche la versatilità che gli ha permesso di operare con risultati superiori in molte situazioni. L’idea di dedicare un libro ad Artemio Franchi ha un’altra motivazione: risponde alla natura e alla vocazione della nostra Banca, un po’ senese e un po’ fi orentina. Proprio come Artemio Franchi, fi orentino di nascita, senese di origini, l’unico a cui siano dedicati due stadi in diverse città. È stato un guelfo ghibellino che, pur sempre molto legato ai suoi territori, è andato molto lontano e, come cittadino del mondo, ha concretizzato eccellenti obiettivi nel calcio, nello sport, altrove. Un comportamento condiviso da ChiantiBanca: istituto locale che lavora per lo sviluppo globale delle sue comunità nell’avanzato scenario internazionale. Questo libro è un sincero ringraziamento ad Artemio Franchi. È ar- rivato molto in alto e lontano; è stato un eccellente veicolo di promo- zione ed ha contribuito a far parlare bene delle realtà dove è nato ed ha iniziato il suo percorso. Lo stesso mondo dove oggi ChiantiBanca lavora per un futuro sempre migliore.

Claudio Corsi Presidente ChiantiBanca

6 Il presidente ChiantiBanca Claudio Corsi mi ha chiesto una sera in piazza del Campo l’autorizzazione a realizzare un volume su mio pa- dre, nell’ambito di una «collana editoriale» dedicata da ChiantiBanca agli uomini di valore che hanno contribuito con la loro attività allo sviluppo del territorio. La nostra Fondazione non avrebbe potuto in- dividuare un’occasione migliore e più adatta per ricordare Artemio nell’anniversario dei trenta anni dalla sua scomparsa. La proposta ha commosso tutti noi della famiglia, in primis mia madre e mia sorella Giovanna. Così, non abbiamo esitato a manifestare subito il nostro consenso. L’attenzione che Artemio Franchi, trascorsi tre decenni dal tragico incidente, continua a stimolare è un conforto rispetto al dolore che, per la sua prematura morte, non ci abbandona. La Fondazione Artemio Franchi e Antonella Leoncini, che con accor- tezza ha curato la realizzazione del libro, hanno raccolto molte testi- monianze di importanti dirigenti del calcio nazionale e mondiale oltre che tante, altrettanto signifi cative rifl essioni di coloro che per motivi di Palio o professionali, hanno conosciuto e apprezzato Artemio. È stata una grande soddisfazione ma anche una commozione, constatare che il nome di Artemio Franchi è sempre un’occasione stimolante per ricordare il suo ruolo e ciò che ha realizzato. Adesso, completato questo lavoro, è molto positivo il nostro bilancio di questa esperienza di cui, insisto, ringraziamo ChiantiBanca e la Fon- dazione ChiantiBanca Monteriggioni per la scelta di dedicare a papà questo primo libro della nuova collana «Guelfi & Ghibellini». Il ricordo di tanti momenti della vita di Artemio ha inevitabilmente suscitato rim- pianti e tristezza, ma l’affetto e la stima che abbiamo raccolto da chi lo ha conosciuto o ha avuto modo di intrecciare la sua esperienza, sono state dimostrazioni molto importanti per tutti noi della famiglia, che lo abbiamo amato ed ancora lo amiamo.

Francesco Franchi Presidente Fondazione Artemio Franchi

7 8 Ero poco più che un bambino quando un pomeriggio dell’estate del 1983 perse la vita Artemio Franchi, uno dei più grandi dirigenti sportivi che la nostra nazione abbia mai espresso. In seguito, però, frequen- tando la sezione fi orentina degli arbitri, ho avuto modo di conoscere Franchi in tutta la sua saggezza, abilità e diplomazia. Ho capito i motivi per i quali tanti sono stati i dirigenti che, cresciuti sotto la sua guida, si sono poi affermati nel calcio e in altri sport. Non è un caso che sia l’unico personaggio a cui sono stati intitolati due stadi: quello di Firenze, sua città natale, e quello di Siena, luogo di origine dei genitori e a cui lo legava l’amore per il Palio e per la contra- da della Torre. Una passione che gli è stata fatale quel tragico 12 agosto 1983 e che gli ha impedito, è opinione generale, di sedere sulla poltrona più importante del calcio mondiale: quella della Fifa come successore designato di João Havelange. Sarebbe stato il giusto riconoscimento fi nale di una carriera che ha visto Artemio Franchi salire rapidamente i vari gradini delle gerarchia del calcio italiano, europeo e internazionale. La sua brillante carriera ha assicurato prestigio e autorevolezza anche alla nostra comunità per la quale Franchi ha rappresentato orgoglio e modello da esibire fi eramente. Senza scivolare in un forzato campani- lismo, è evidente che personaggi come Artemio Franchi ci sono stati «invidiati» in Italia e all’estero. Trovo particolarmente importante che, nel trentennale della sua scom- parsa, si sia concretizzato questo interessante progetto editoriale: per- metterà a tanti di conoscere fatti, episodi e aspetti noti che raccon- tano Artemio Franchi. Voglio complimentarmi con chi ha pensato e realizzato queste belle pagine: rappresentano uno «spaccato» di vita di un grande personaggio che appartiene di diritto alla storia dello sport nazionale e della nostra città.

Matteo Renzi Sindaco di Firenze

9 10 Indice

I ARTEMIO FRANCHI ...... pag. 17 Testimonianza Joseph Sepp Blatter, Un italiano arrivato in alto ...... » 23

II INIZIA UNA STORIA ...... » 31

III LA CRESCITA ...... » 43 Testimonianza Fino Fini, Lo sport interessa tutti ...... » 51

IV IL RINNOVAMENTO ...... » 61 Testimonianza Franco Carraro, Le idee e le strategie ...... » 67

V I GRANDI CAMBIAMENTI ...... » 81 Testimonianza Giancarlo Abete, Federclacio, il cammino continua ...... » 87 Franco Calamai, Filo diretto ...... » 95

VI LA SVOLTA ...... » 105 Testimonianza Michel François Platini, Uefa, una successione virtuosa ...... » 115

VII UN FIORENTINO NEL MONDO ...... » 123 Testimonianza Benito Guazzi, Ius sanguinis. La città del Palio ...... » 137 Massimo Brogi, L’impero di Salicotto ...... » 151

VIII UN LEGAME DI SANGUE ...... » 163 Testimonianza Giuseppe Accorinti, L’altra faccia della medaglia ...... » 179

IX L’IMPRENDITORE ...... » 187 Testimonianza Piero Gratton, Oltre la grande muraglia ...... » 191

X UN DESTINO MOLTO STRANO ...... » 199 Testimonianza Franco Torrini, La società ...... » 191 Paolo Nasti, La Fondazione Artemio Franchi ...... » 211 Vincenzo Fiorenza, L’insegnamento ...... » 217

XI IL CAMMINO CONTINUA ...... » 225

11 12 Presentazione

Il ricordo di Artemio Franchi, nell’anniversario dei trenta anni dalla sua scomparsa, non può limitarsi ad un racconto celebrativo della perdita che ha rappresentato per il calcio e la più vasta società, oltre che ovvia- mente per la famiglia e per le persone a lui più vicine. Signifi ca, invece, per il suo ruolo nello sport, nei diversi ambienti e per la ricca eredità di esperienze che ha lasciato, rifl ettere sul suo percorso che continua a rappresentare un valido riferimento. La storia offre esempi di personaggi che il tempo non dimentica. Ar- temio Franchi appartiene a questa rara categoria di cittadini: senza ca- dere in un’inutile retorica, ha offerto un mix di giusti comportamenti, capacità, intuito, diplomazia, versatilità, raramente presenti in un unico soggetto. Si è, così, sviluppata l’idea di ChiantiBanca e della Fondazio- ne ChiantiBanca Monteriggioni che, attente a ciò che accade nelle loro realtà, hanno voluto rendere omaggio ad Artemio Franchi, personag- gio dei nostri territori. Era nato a Firenze ma le sue origini lo legavano a Siena: la sua seconda patria ex aequo e con la quale ha sempre avuto un intenso legame. Artemio Franchi, comunque, è andato molto lonta- no: è diventato un cittadino del mondo, impegnandosi negli ambienti del calcio nazionale, europeo, mondiale. Ha prevalso la scelta di arricchire il ricordo di Artemio Franchi e di ciò che ha realizzato con i contributi di coloro che lo hanno conosciuto, oppure operano oggi nei settori dove il suo comportamento rappre- senta un modello che supera il tempo. Le testimonianze dei presidenti della Fifa, dell’Uefa, della Figc, dei personaggi fi orentini, senesi, delle altre realtà, dopo trenta anni dalla sua scomparsa, sono le credibili con- ferme di chi era e di cosa ha realizzato Artemio Franchi, dei consensi che continua a ricevere la sua azione. Parlare di Artemio Franchi vuol dire soffermarsi sullo sport ed il calcio, dove continua a distinguersi come uno dei più importanti dirigenti che la storia ricordi. Il racconto è complesso, perché il suo percorso è stato articolato e molteplici sono stati i suoi contributi: anche, fra gli altri, alla Nazionale che, dal suo arrivo nel 1967 alla presidenza della Figc, dopo un lungo periodo di delusioni, visse una nuova fase di successi

13 e vittorie. Artemio Franchi contribuì a migliorare l’organizzazione e il management del calcio nazionale e del più vasto mondo sportivo; è ricordato come uno degli attori del Centro tecnico federale di Cover- ciano, la più effi cace ed integrata organizzazione su base scientifi ca e per un ampio sostegno allo sport. Artemio Franchi continuò il suo cammino nel mondo del calcio eu- ropeo fi no a raggiungere nel 1973 il gradino più alto: la presidenza dell’Uefa, l’Unione europea delle federazioni calcistiche. Confermò il suo status di manager proiettato nel futuro: fu protagonista di una sta- gione di rinnovamento; promosse riforme e sviluppo. Un ruolo di cui sicuramente si avvantaggiò il calcio italiano potendo contare a livello internazionale sulla presenza di un manager che, sebbene super partes, non dimenticava le sue origini. La storia di Artemio Franchi ci conduce da Firenze, dove viveva la famiglia, dove gravitavano i suoi interessi economici ed anche sportivi, alle altre realtà di ogni parte del mondo. Il percorso raggiunge Siena, la città a cui era molto legato. Un rapportò che esaltò con la contra- da della Torre, di cui fu capitano per un lungo periodo ed alla quale fi nalizzò il suo impegno, la capacità e la professionalità. Ma nel Palio e nella Piazza del Campo, la sorte è sovrana: ogni volta che Artemio aveva costruito un favorevole intreccio di situazioni, il destino annullò ciò che il capitano aveva realizzato negandogli la soddisfazione della vittoria di un Palio. Artemio Franchi sarebbe andato ancora molto avanti. Avrebbe sicura- mente raggiunto la presidenza della Fifa, la Federazione internazionale, cioè l’organo di governo del calcio mondiale, di cui dal 1974 era il vice presidente e per il quale era il candidato più accreditato. Il cammino fu tristemente interrotto dalla sua scomparsa in quel tragico incidente il 12 agosto 1983. Il caso decise che Artemio, abituato a viaggiare nel mondo e ad affrontare diffi cili situazioni, perdesse la vita accidental- mente in una strada di provincia, nelle vicinanze di Siena. Volle dire la fi ne di un personaggio, di cui si piange la scomparsa ma non quella del suo patrimonio di contributi e progetti. Continua a rappresentare una ricchezza morale e professionale: spetta a coloro che ne hanno raccolto l’eredità sviluppare e realizzare gli obiettivi che, sempre attuali, Arte- mio Franchi aveva assegnato ai suoi progetti.

L’Autore Antonella Leoncini

14 I Artemio Franchi

15 Alcuni eventi possono cambiare il corso della vita. Per Artemio Franchi, uno dei più affermati dirigenti della storia del calcio nazionale ed internazionale, la svolta che decise il suo futuro si verifi cò a Firenze agli inizi degli anni trenta dello scorso secolo. Alunno modello delle elementari «Antonio Meucci», per i brillanti risultati scolastici fu premiato con un abbonamento alle partite della Fiorentina. Il piccolo Artemio, anno di nascita 1922, tanto bravo a scuola quanto già interessato al cal- cio e al pallone, non perse l’occasione e, al primo incontro casalingo, si presentò allo stadio «Giovanni Berta», diventato poi «Comunale» e oggi «Artemio Franchi». Si accomodò nella tribuna «distinti» insieme ai personaggi e agli ospiti di riguardo della squadra gigliata, in quel periodo già agli onori della massima serie. Artemio diventò un habitué delle partite ed il calcio una sua sempre più grande passione.

16 Un’interessante esperienza

Fu l’inizio di una lunga vicenda, che racconta l’esclusivo percorso di uno dei grandi manager del calcio di ogni tempo. Raccontare oggi, a trenta anni dalla scomparsa, il cammino di Artemio Franchi, ha un signifi cato molto più profondo della celebrazione dell’anniversario di quel venerdì 12 agosto 1983, quando il tragico incidente sulla statale 438 mise fi ne alla sua vita. Franchi offre un modello che supera il tem- po. È stato un personaggio che non si dimentica: nel calcio come nello sport; nella sua contrada la Torre, come nel mercato petrolifero, dove è stato un bravo manager. Il suo nome resta negli annali della storia di Firenze e di Siena; in Italia e nel mondo, negli ambienti dove è stato presente e ha lavorato. Lo sport e il calcio diventarono presto il pane quotidiano di Artemio, entrarono nel vocabolario del suo linguaggio corrente. Ma, nonostante la grande passione e il divertimento, Franchi giovane calciatore non andò oltre le partite nel cortile di casa e nella strada. Riprovò nuo- vamente durante gli anni del liceo: dopo aver molto insistito, riuscì ad entrare nelle fi la della squadra di calcio della scuola con il ruolo di ala sinistra, generalmente riservato ai giocatori meno capaci. Ma nem- meno quella volta fu una felice esperienza; saggiamente Artemio ri- nunciò a qualsiasi velleità sportiva ed accantonò la tuta, la maglietta e le scarpette. L’abilità e la vocazione che gli avrebbero permesso negli anni successivi di contribuire al miglioramento e al progresso dell’or- ganizzazione e della gestione del calcio, non valevano altrettanto per Artemio attaccante o difensore. Archiviata, dopo una breve parentesi, anche l’esperienza da arbitro, smise di correre in campo e si concentrò nel management sportivo. Da quando Franchi iniziò a farsi conoscere, sono passati dei decenni; quaranta anni da quando fu nominato presidente dell’Uefa. Un tempo abbastanza lungo che nel futuro si allungherà ogni volta che si parlerà o si ricorderà Artemio Franchi. Fu, invece, molto breve il periodo che

17 gli consentì di affermarsi, di raggiungere importanti traguardi e di otte- nere incarichi di prestigio. La sua scomparsa lasciò un profondo vuoto. Si ricordano, con la pro- fessionalità e la capacità manageriale, gli aspetti umani e personali. La sua conoscenza delle regole e dei meccanismi che guidano il calcio era sostenuta dalla capacità di dialogo, sicuramente ereditata dalle sue ori- gini toscane. Saggezza e fermezza nelle decisioni, combinate con una buona dose di virtuosismo diplomatico e con la consapevolezza che le polemiche non aiutano le migliori decisioni, gli permisero di raggiun- gere i migliori risultati e di adottare le giuste scelte. Artemio Franchi era ispirato anche da un intuito superiore che gli con- sentì di anticipare i tempi, alcune grandi svolte nel calcio italiano e internazionale. Comprese, fra l’altro, che l’organizzazione sportiva ai differenti livelli doveva essere strutturata secondo formule capaci di conciliare il riconoscimento professionale delle competenze con il vo- lontariato, senza il quale ogni disciplina non potrebbe esistere.

1980, Hotel Hilton, Roma: João Havelange, presidente della Fifa dal 1974 al 1988, e Artemio Franchi

18 Un percorso complesso

Artemio Franchi ha reso grande il calcio italiano e quello internazionale. Il suo cammino è stato ricco di soddisfazioni e risultati, di importanti incarichi e riconoscimenti. Fra l’altro, all’inizio della sua carriera nel management sportivo, quello di segretario generale della Fiorentina dal 1951 al 1952. Dopo aver raggiunto il vertice della Lega IV serie, fu il primo presidente della Lega nazionale semiprofessionisti, oggi Lega Pro: dal 1959, anno della sua costituzione, al 1965. Il ruolo coincise con quello di vice presidente della Figc, la Federazione italiana giuoco calcio. È diffi cile ripercorrere con continuità, temporale o di settore, l’esperienza di Artemio Franchi e certe situazioni possono essere ricorrenti: dopo aver operato in alcuni ambienti sportivi ed averli lasciati per altre competenze, diverse volte ritornò, semmai con incarichi più importanti, dove già era stato presente. Fu nominato commissario straordinario della Lega Calcio, pure dell’Associazione italiana arbitri; in quegli anni, iniziò a partecipare alle commissioni dell’Uefa, l’Unione europea delle Federazioni calcistiche, cioè l’organo di governo del calcio in Europa. Ricoprì una prima volta l’incarico di presidente della Figc dal 1967 al 1976. Con la sua gestione, la Nazionale italiana, guidata dal commissario tecnico , per la prima volta dagli anni ’30, tornò a vincere. Il 15 marzo 1973, Franchi fu eletto presidente della Uefa, di cui era vice presidente. Nel 1974, fu nominato vice presidente della Fifa, dove operò, fra l’altro, anche come responsabile dei settori fi nanza e arbitri. Nel 1976, cedette il testimone della presidenza della Figc a Franco Carraro ma, nel 1978, con l’insediamento di Carraro alla presidenza del Coni, Artemio ritornò ai vertici della Federcalcio italiana. Restò fi no al 1980 quando, per lo scandalo del calcioscommesse, con un gesto sollecitato dalla sua indole e dalla sua vocazione alla trasparenza, preferì dimettersi. Grazie anche al suo impegno si è sviluppato il Centro tecnico federale di Coverciano, di cui è stato presidente: la più effi ciente struttura organizzata secondo criteri scientifi ci e manageriali a favore dello sport. Altre azioni realizzate nel nostro calcio si devono ad Artemio Franchi: iniziò vari progetti continuati dai suoi successori. Questo racconto si allunga con altri episodi che testimoniano il suo contributo in differenti situazioni. Partecipò al consiglio nazionale del Coni; ricoprì le cariche di vice presidente per quattro anni e di

19 presidente del comitato per lo sport. Dopo aver raggiunto gli alti livelli del calcio nazionale e mondiale, continuò a collaborare con il Coni; contribuì a differenti programmi e partecipò a comitati ed iniziative.

Una vita intensa

Artemio Franchi è stato un personaggio particolare. La sua brillante carriera nel calcio nazionale e mondiale, i suoi ruoli e i rapporti negli ambienti sportivi, si intrecciarono con altre situazioni. Innanzitutto, con le vicende familiari: con la moglie Alda, i fi gli Giovanna e Fran- cesco, che assecondarono ed accompagnarono la sua carriera. Così, come positiva fu l’infl uenza dei genitori, di babbo Alfredo e di mam- ma Maria: trasmisero al fi glio i principi dell’onestà, dell’attaccamento al lavoro, che nel tempo aiutarono il manager Franchi a ponderare le migliori scelte.

4 dicembre 1980, il presidente dell’Uefa in udienza da papa Giovanni Paolo II

20 Poi gli amici, che condividevano le sue azioni. Franchi è stato sostenuto da persone che apprezzavano i suoi obiettivi che, per essere importanti, devono sempre interessare una collettività, piccola o grande. La ca- pacità di intessere relazioni rappresentò una sua importante referenza che gli consentì di coinvolgere e trasmettere il suo slancio. Fu facile per Artemio trasformare i rapporti formali e professionali in relazioni confi denziali e personali, alimentate da stima e comprensione. Questa collaborazione, con un intreccio di positive situazioni, facilitò il lavoro, le sue scelte a favore dello sviluppo del calcio e degli altri settori dove si attivò. Un capitolo a parte deve essere riconosciuto alla vita senese, alla pas- sione e all’attaccamento di Franchi per il Palio e la sua contrada: la Tor- re, che per anni ha guidato come capitano. Lo scenario che gli regalò l’occasione per maturare questa vocazione, è quello della campagna di Basciano, nelle vicinanze di Siena, dove Artemio bambino trascorreva le vacanze estive dai nonni materni. Diventò amico di don Ferruccio Calamati, il parroco di Basciano e contradaiolo della Torre. Il passo fu breve e il giovane Franchi iniziò a frequentare Salicotto: è uno dei rioni delle diciassette contrade di Siena e quello dove si estende la Torre. Incontrò molti amici, condividendo gioie, ma anche speranze e pure delusioni; diventò, cioè, un vero «cittadino» di Salicotto. Ma non fu un contradaiolo qualsiasi. Il suo impegno, il consenso di questi ambienti, sostennero la sua elezione a capitano: il responsabile della conduzio- ne degli affari del Palio, cioè una delle questioni più importanti della contrada. Artemio Franchi fi nalizzò il suo patrimonio di esperienze e di competenze agli obiettivi della Torre, che si avvantaggiò della sua professionalità. Ma il Palio è un mondo esclusivo, la casualità spesso prevale sulle regole che possono valere altrove: la capacità di Franchi non permise alla Torre di superare il destino che per anni ha continuato a privarla della vittoria nella piazza del Campo. La fatalità è stata molto cattiva con Artemio e decise che con Siena si intrecciasse l’ultimo ricordo. Percorreva la strada per raggiungere Ba- stiano, il fantino della Torre, quando la macchina, fra Taverne d’Arbia ed Asciano, sulla Lauretana Antica, sbandò in sull’asfalto bagna- to e si schiantò contro un camion. Era il 12 agosto 1983. Nel luogo del tragico incidente, è stata eretta una stele in travertino e bronzo, opera dello scultore Mauro Berrettini, e il nome di Artemio Franchi è stato scritto nei libri che raccontano la grande storia dello sport e del calcio. Altre pagine devono essere dedicate ad Artemio Franchi imprenditore: operò con effi cienza e managerialità nel mercato della commercializza-

21 zione dei prodotti petroliferi. È stato un amministratore delegato re- sponsabile, consentendo alla sua azienda, la società Bruzzi, di affermarsi e di competere nel suo scenario. Il lavoro rappresentò un’importante esperienza che gli garantì le occasioni economiche che il calcio, a cui si dedicò tanto per passione quanto per volontariato, non poteva assi- curare. Questa storia si allunga ancora con le azioni e le iniziative che Franchi, personaggio poliedrico e volitivo, sviluppò in tutti i settori dove la sua presenza e i suoi contributi assicurarono valore.

La Coppa del mondo

L’ultimo regalo che Artemio fece al nostro calcio nazionale fu l’assegnazione da parte della Fifa dei campionati del mondo in Italia nel 1990. Nella rosa per la scelta fi nale, con l’Italia, vi erano Francia, Germania, Inghilterra ed Unione Sovietica. Il presidente della Fifa João Havelange ed i suoi più stretti collaboratori a Coverciano, nell’agosto del 1983, in occasione dell’ultimo saluto a Franchi, si impegnarono a decidere l’anno successivo a favore dell’Italia, dimostrando con un gesto concreto il tributo che il calcio mondiale rendeva alla memoria di Artemio Franchi. Il successo di un’operazione iniziata con equilibrio e lungimiranza dall’allora presidente dell’Uefa, cittadino di Firenze e di Siena, si concretizzò sette anni dopo con Italia ’90, la quattordicesima edizione della massima rassegna calcistica che, in ricordo di Artemio Franchi, dopo 56 anni tornò in Italia, di nuovo protagonista dello scenario sportivo mondiale. Solo un decennio prima, difatti, con Euro ’80, il nostro Paese, ancora una volta soprattutto grazie anche all’impegno e al ruolo attivo di Artemio Franchi, aveva accolto il campionato europeo di calcio.

22 Testimonianza

Un italiano arrivato in alto

Joseph Sepp Blatter è presidente della Fédération Internationale de Football Association, la massima organizzazione calcistica mondiale. Entrato in Fifa nel 1977, è stato direttore tecnico e dopo segretario. Lasciò l’incarico nel 1998, anno della sua elezione alla presidenza. È stato confermato per la quarta volta il 1° giugno 2011. Ha promosso alcune riforme che hanno modifi cato le regole del calcio ispirate, fra l’altro, dalle priorità della sicurezza negli stadi, certezza del gioco, affi dabilità e correttezza. Amico di Artemio Franchi, hanno condiviso, accomunati da idee ed obiettivi, alcune esperienze nella Fifa, dove le loro presenze si sono incrociate.

Se mi si chiede di ricordare Artemio Franchi, confesso di provare una profonda emozione, solamente al pensiero che quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della sua scomparsa. Ancor oggi ripeto ciò che dissi quella maledetta sera del 12 agosto 1983, scuotendo la te- sta. Il mondo dello sport subì una grandissima perdita, la sua morte lasciò un vuoto incolmabile. Ricordo bene la sequenza, che mi han- no raccontato, di quel tragico giorno: mentre guidava la sua auto, il presidente dell’Uefa si schiantò contro un camion che andava in dire- zione opposta. I soccorritori riconobbero immediatamente Artemio Franchi. Purtroppo tutti i tentativi per salvarlo furono inutili. Morì mentre l’ambulanza lo trasportava a folle velocità verso l’ospedale di Siena. Poco dopo le 19,30, l’agenzia Ansa diramò il primo, breve dispaccio: «In un incidente stradale in provincia di Siena, è morto il dottor Artemio Franchi, grande dirigente del calcio italiano e mondiale». Il destino ha voluto che un uomo così importante morisse in un modo molto ba- nale. Siena rimase sconvolta. È la città alla quale restano collegate le ultime vicende di Artemio Franchi che, negli anni, si era diviso anche con Firenze e le altre realtà. Arrivarono subito dopo la sua scompar- sa, molti dirigenti dello sport nazionale e internazionale. Non tutti riuscivano a comprendere perché quell’uomo, cittadino del mondo, era morto proprio in una strada di provincia.

23 L’esperto

Artemio è stato un grande personaggio dello sport, un dirigente che viveva il calcio con molta passione. Amava la sua regione, la Toscana. Teneva ad essere sempre elegante. Era, posso dire, quasi un’incarnazio- ne perfetta dell’uomo che rappresenta il savoir faire italiano. Il suo stile diplomatico in ogni occasione, lo rendeva gentile e apprezzato da tutti. Franchi era una persona saggia: sapeva esprimersi in modo adeguato e al momento giusto. È stato il dirigente più rassicurante, più esperto che forse l’Italia abbia mai avuto. La sua tolleranza, il senso di equilibrio, la capacità di mediazione, l’arte superiore di una diplomazia naturale, lo hanno distinto come un punto di riferimento prezioso e sempre disponibile. Franchi era un pilastro al quale per tanti anni il calcio e la gente, consapevoli della sua forza, si sono appoggiati. È stato, ritengo, uno dei pochi italiani capace di arrivare molto in alto nel mondo dello sport, riuscendo a farsi valere per quello che rappresentava. Ecco chi era Artemio Franchi.

1960, Artemio Franchi

24 Posso chiamarla Sepp?

Artemio Franchi curava le sue amicizie in modo particola- re. Il nostro rapporto, sia personale che professionale, é stato sempre ottimo. Abbiamo avuto molte occasioni negli ambien- ti del calcio e dello sport per conoscerci e stimarci reciprocamen- te, diventando così buoni e sinceri amici anche nella vita privata. Già prima di diventare nel 1981 segretario generale della Fifa, avevo avuto molti contatti con Artemio. Oltre ad essere all’epoca presidente dell’Uefa, ricopriva nella Fifa gli incarichi di vicepresidente, responsabile delle fi nanze e del settore arbitri. Ci capivamo; eravamo sempre dello stesso parere per le decisioni importanti, e non solo. Ci legava molto l’amore di entrambi per i pensieri del Machiavelli. Agli inizi degli anni ottanta, non erano molti i fondi a disposizione del calcio mondiale e nella Fifa dovevamo veramente affrontare dei sacrifi ci. Era già un aspetto straordinario poter pagare gli stipendi puntualmente. Quando diventai segretario generale, un giorno incon- trai Artemio per parlare della situazione fi nanziaria della Fifa. Dopo quell’incontro, mi disse in un francese squisitissimo con cui solo lui sapeva parlare, con le espressioni e i suoi tipici gesti: «Signor Blatter, posso chiamarla Sepp?». «Certo», risposi. Artemio Franchi aveva sempre il sorriso stampato sulle labbra. Anche se qualche volta avrebbe preferito far esplodere il suo temperamento toscano, con una calma ed una diplomazia esemplari, fu sempre capace di controllarsi. Pure nei momenti in cui le decisioni dei vari comitati non rispondevano ai suoi concetti. Con la pacatezza che mai dimen- ticherò e con quel francese particolare, sapeva subito far capire con una semplice e innocua domanda, che disapprovava la scelta decisa dai suoi colleghi di consiglio. Mai, però, accennava un gesto o una frase polemica. Non apparteneva al suo naturale status comportarsi in un modo scorretto e non mostrare la solita diplomazia, che prevaleva anche dopo aver subito una sconfi tta. Sapevo che Artemio si fi dava di me e contava sul mio appoggio. Ri- teneva che fossi un grande esperto di calcio, ed io apprezzavo pro- fondamente tutta la sua fi ducia nei miei confronti. Ero un po’ il suo riferimento nel comitato esecutivo. Lui è stato la persona con la quale in quel comitato andavo forse più d’accordo.

25 Profeta del gioco moderno

Il giorno che Artemio Franchi fu eletto presidente dell’Uefa, per il calcio del vecchio continente fu un giorno speciale. Dal 1973 fi no al giorno della sua tragica morte, condusse l’Uefa con uno stile diverso da quello del suo predecessore . Erano tempi in cui nel calcio era diffi cile essere un personaggio importante a carattere dirigenziale. Invece, nel periodo in cui lo sport stava cambiando anche grazie al sempre più ampio e frequente interesse della televisione, Ar- temio Franchi riuscì nell’intento.

Spagna ’82, stadio del Real Madrid: Artemio Franchi parla con Guillermo Cañedo, presidente della Federcalcio messicana dagli anni sessanta alla Coppa del mondo Messico ‘70

Gli incarichi internazionali lo costrinsero a lasciare la presidenza della Federcalcio italiana ma, dietro i presidenti designati, c’era sempre lui a suggerire il giusto comportamento. Nel 1982, quando l’Italia guidata da vinse il titolo mondiale, Franchi era in Spagna ad as- sistere alla fi nalissima di Madrid insieme al presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. I commenti di Franchi, anche per le prestazioni poco convincenti degli azzurri nelle prime tre partite di gruppo e per qualche decisione arbitrale a favore dell’Italia, furono cauti: mostrò a tutto il mondo calcistico il suo famoso self-control. Riuscì a frenare la sua euforia, nel momento del trionfo della «sua» Nazionale italiana. Artemio Franchi era un innovatore, preferiva essere considerato come

26 uomo moderno. Con la sua gestione, l’evoluzione del calcio fu con- tinua. Chissà, è inevitabile chiederci, come sarebbe il settore oggi, se Artemio non fosse scomparso in quell’incidente. Nel 1983, il calcio moderno era ancora agli inizi; i grandi cambiamen- ti dovevano ancora arrivare, ma stava crescendo rapidamente. I fondi erano disponibili: grazie e soprattutto alla Tv, anche alla pubblicità ed alle dirette, non solo a livello dei club. Artemio sicuramente, penso, sarebbe stato contento di essere oggi il dirigente nel mondo del calcio. Anche se era sempre contrario ad ingaggi, come li defi niva lui, «pazze- schi» di alcuni giocatori, il calcio come è oggi, gli sarebbe sicuramente piaciuto. Lo avrei voluto volentieri al mio fi anco negli ultimi trenta anni. Purtroppo non possiamo comandare il nostro destino, e Artemio ci ha lasciati troppo presto.

Sfi de particolari

Artemio Franchi è sepolto nel cimitero di Soffi ano, alla periferia di Firenze: quasi trent’anni dopo la morte, la sua tomba continua a essere la meta di sportivi e dirigenti. Sono andato tempo fa a visitarla con suo fi glio Francesco. Sono situazioni che continuano a regalare sempre un’emozione indescrivibile. In quei momenti, la mente è attraversata da tanti pensieri: affi orano le storie vissute insieme e certi episodi che non dimenticherò. Sicuramente sono tante le piacevoli esperienze che ho condiviso con Artemio. Ricordo con molto piacere anche tutti gli inviti personali nella sua casa di Firenze. Organizzava sempre delle serate speciali. Una volta mi pre- sentò il famoso professor Paolo Barile, di cui divenni molto amico. Le nostre partite a ping pong non solo erano divertentissime, ma diventa- rono delle particolari competizioni. Il calcio era la sua passione: oltre al suo intuito per il business e il management, Artemio Franchi è stato un grande uomo di calcio. Pensando a lui, mi viene in mente il suo sorriso che emanava una profonda e spontanea emozione. Si capiva che era particolarmen- te entusiasta ed orgoglioso di potersi occupare del mondo del calcio.

Per il bene comune

Quella di Artemio Franchi è stata veramente una vita dedicata al cal- cio, una carriera in irresistibile ascesa. Dal suo amore per il calcio, nacque il Centro tecnico federale di Coverciano, la più effi ciente ed

27 organizzata realizzazione di una base scientifi ca e di un valido sup- porto organizzativo al servizio dello sport. Il grande impatto visivo assicurato dalla struttura deve essere riconosciuto ad Artemio Fran- chi. Molto altro di ciò che oggi è realtà per il calcio, è stato realizzato grazie al suo impegno. Altri programmi sono stati iniziati da Franchi, ma sono stati terminati da altri, per le ragioni che tutti noi sappia- mo. Conosceva i problemi di ciascuna federazione come nessun altro e tutti si rivolgevano a lui per avere consigli, incoraggiamenti, verifi che. Mi ricorderò sempre e volentieri di Artemio Franchi. Non dimentiche- rò l’uomo, il dirigente corretto, il perfezionista che sorrideva sempre, anche nei momenti nei quali non c’era molto di cui essere contenti. Con la sua diplomazia e le sue capacità di mediazione, si è fatto ap- prezzare da tutti. Resta nella mia memoria l’amico Artemio Franchi con il quale potevo parlare di tutto, scherzare anche nei momenti diffi - cili, essere partecipe dell’evoluzione del calcio moderno, che lui amava tanto. La sua morte è stata una tragedia; la sua scomparsa, una perdita grandissima. La sua correttezza e la sua diplomazia sono state, e sono ancor oggi, un esempio per tanti di noi: anche trenta anni dopo quel tragico incidente, il 12 agosto 1983. Un giorno tristissimo per la storia del nostro calcio: che tanto amiamo e che Artemio ha tanto amato nella sua vita, tristemente conclusa a soli sessantuno anni.

Joseph Blatter

28 II Inizia una storia

29 Come ogni vicenda umana, anche quella di Artemio Franchi alterna molte esperienze: buone ma anche negative, luci e ombre. Era, comunque, abituato a pensare positivo. Questo atteggiamento giocò a suo favore in differenti situazioni, consentendogli di assorbire certe delusioni come future occasioni di riscatto. Accadde dopo i Mondiali di calcio in Cile nel 1962 e in Inghilterra nel 1966: fece tesoro di queste esperienze come opportunità per migliorare e non ripetere certi errori nel periodo in cui, dal 1967 al 1976 e dal 1978 al 1980, fu presidente della Figc. Sotto la sua guida federale, gli azzurri conquistarono nel 1968 il titolo europeo, raggiunsero il secondo posto ai Mondiali in Messico nel 1970, si classifi carono quarti nel 1978 in Argentina, per poi concretizzare i frutti del lavoro di Artemio Franchi in Spagna, nel 1982, quando la Nazionale guidata da Enzo Bearzot vinse la Coppa del mondo.

Il babbo di Artemio, il signor Olinto Franchi, secondo da sinistra, con lo staff del ristorante Sabatini La famiglia

L’opera di Artemio Franchi, i suoi contributi e le esperienze sportive, appartengono alla grande storia del calcio. La sua vita, comunque, si incrociò e condivise le vicende di molte famiglie italiane dello scorso secolo. Nacque a Firenze dove i suoi genitori si erano trasferiti da Siena. Ius sanguinis: senese per discendenza della famiglia; o ius soli: cioè fi orenti- no per luogo di nascita? Questa incertezza lo stimolò e lo coinvolse; la sensazione di essere un po’ senese e un po’ fi orentino, ghibellino e guelfo, lo convinse sempre ad impegnarsi per l’una e l’altra realtà. Le origini dei genitori rimandavano alla campagna senese, a Monterig- gioni, in un borgo sulla strada per Colle Val d’Elsa. Suo padre Alfredo, Olinto per i familiari e gli amici, emigrò in Svizzera, alla ricerca di mi- gliori prospettive di quelle che poteva riservargli l’agricoltura. Seppe far tesoro della sua abilità fra i fornelli e si fece apprezzare come cuoco. In poco tempo, prima a Berna poi a Lugano, riuscì a guadagnare quanto aveva previsto e, quando decise che poteva bastare, tornò in Toscana. Si fermò a Firenze dove, con i risparmi della Svizzera, rilevò una tratto- ria in via del Porcellana, nel centro della città. I tempi e le condizioni gli consentirono di mantenere le promesse che lo legavano a Maria Masti, rimasta ad attenderlo da signorina a Basciano, un borgo nel territorio di Monteriggioni e vicino al paese di origine di Olinto. Si sposarono nel 1921 con una bella cerimonia. Non rinunciarono al viaggio di nozze: andata e ritorno a Viareggio, dove soggiornarono qualche giorno. Rientrati a Firenze, andarono ad abitare in via del Porcellana, vicino alla trattoria del signor Alfredo. Si sistemarono in un appartamento, in su- baffi tto dalla signorina Annina che, discendente di una buona famiglia svizzera e con un passato di dama di compagnia, fu una preziosa amica della famiglia Franchi. Le buone notizie circolano velocemente ed anche l’abilità fra i fornelli del signor Olinto si diffuse negli ambienti fi orentini; raggiunse il signor Gino, proprietario del ristorante Sabatini che, già apprezzato in quei periodi, è diventato un nome importante della vita fi orentina. Il signor

31 Olinto lasciò la sua trattoria, diventò chef del famoso locale che, dopo qualche mese, si trasferì da via Valfonda a via Panzani.

Nasce Artemio Gino

Artemio non si fece attendere e, dopo un anno dal matrimonio, la fa- miglia Franchi aveva il suo erede. Nacque l’8 gennaio1922 nel reparto maternità dell’ospedale di Firenze, in una fredda domenica invernale, ricordata per una forte nevicata che, secondo la tradizione popolare, fu interpretata all’insegna dei migliori auspici. Non fu un parto facile per mamma Maria che, stanca e disorientata, quando le suore le chiesero il nome del neonato, preferì affi darsi alla loro decisione. Ebbe la meglio Artemio, scelto anche per onorare i martiri del giorno. La motivazione, tuttavia, dopo qualche anno fu smentita proprio da Artemio che, curioso di conoscere le origini del proprio nome, scoprì l’errore. In effetti, l’8 gennaio la Chiesa venera diversi santi e martiri, ma nessun Artemio. Bab- bo Olinto, inoltre, lo giudicò molto altisonante; così, all’anagrafe decise di aggiungere un secondo nome più semplice e breve: Gino.

1931, scuola elementare «Meucci», IV classe: dal basso, seconda fi la, Artemio è il primo da sinistra Con il rientro a casa, a babbo, alla mamma e ad Artemio Gino, si ag- giunse la sorella della signora Maria: Nella, una ragazza quindicenne arrivata da Basciano per aiutare la famiglia Franchi. Il signor Olinto lavorava a tempo pieno nel ristorante Sabatini e la signora Maria era

32 occupata a mettere ordine in uno studio di professionisti nelle vicinan- ze di piazza Vittorio. Così, con entrambi i genitori fuori casa e occupati a far quadrare i bilanci familiari, fu la zia Nella che seguì il piccolo Artemio Gino. L’erede di casa Franchi ebbe un’infanzia movimentata: aveva da poco compiuto tre anni, quando la famiglia si trasferì in un appartamento in via Valfonda; rimase qualche mese per poi cambiare di nuovo residenza e spostarsi in via della Spada. Artemio non si dimenticò mai di quel periodo quando, raccontava da adulto, trascorreva molti pomeriggi in casa e i suoi passatempi erano quelli di sistemare i santini raccolti nelle sue visite in chiesa con mamma Maria, devota di San Paolino e di Santa Maria Novella. Non cancellò soprattutto il ricordo dei sacrifi ci della sua famiglia che, con altre rifl essioni, può aver sostenuto la vocazione socialista che da adulto alimentò le sue convinzioni politiche.

In vacanza

Con l’ingresso nel mondo della scuola, per Artemio si aprì un nuovo scenario e sin dalle prime classi alla scuola elementare «Antonio Meuc- ci», in piazza Santa Maggiore, rivelò una mente brillante, la sensibilità alla storia, alla letteratura, alle arti. Il suo calendario era ben scandito. In autunno e in inverno era a Fi- renze; nei mesi estivi il giovane Franchi trascorreva le vacanze in cam- pagna a Basciano, ospite dei nonni materni Emilio, Modesta, degli zii Nella e Nello. In questi ambienti scoprì e si avvicinò al Palio. Galeotto fu don Ferruccio Calamati, il parroco di Basciano e grande appassio- nato della Torre che, fra una preghiera ed una lezione di catechismo, trovava anche il tempo per raccontare cosa accadeva in Salicotto, per descrivere il suo entusiasmo per il Palio e la piazza del Campo. Così, il piccolo Franchi iniziò a frequentare il rione e, quando a quattro anni ricevette il fazzoletto, diventò un vero contradaiolo e acquisì lo status di «cittadino» della Torre a tutti gli effetti.

Le prime scelte

Artemio cresceva, studiava e doveva decidere cosa fare da grande. La scelta della scuola fu ardua ed incerta. La sua vocazione e i meriti lascia- vano intendere che avrebbe dovuto continuare con il liceo. L’istituto ad indirizzo commerciale, però, assicurava più certezze, incontrava le

33 esigenze della famiglia e di babbo Alfredo: un diploma avrebbe garanti- to un più facile e rapido inserimento di Artemio nel mondo del lavoro. Fu provvidenziale l’intervento della signora Annina, le cui vicende già si erano intrecciate con quelle della famiglia Franchi. Si affezionò mol- to ad Artemio; la sua generosità fu strategica consentendogli di iscri- versi al liceo classico fi orentino «Galileo Galilei», in via Martelli. Frcnhi non disattese le aspettative e le promesse, anche se il suo percorso fu interrotto dalla delusione alla fi ne di un anno scolastico di recuperare nei mesi estivi un’insuffi cienza a latino. Non si scoraggiò. Ridusse le sue vacanze e superò brillantemente l’esame con un buon giudizio del professor Guido Pasqualetti: un latinista tanto competente quanto te- muto dai suoi studenti. Accantonata questa parentesi, ad ottobre tornò fra i banchi di scuola e riprese il suo percorso di bravo studente. Gli anni del liceo furono una piacevole parentesi che Artemio ha sem- pre raccontato con entusiasmo. In questa scuola, fra le migliori della città e frequentata dai fi gli di personaggi conosciuti nella Firenze del periodo, incontrò molti amici, avviò rapporti e relazioni che lo accom- pagnarono nei successivi decenni. Il liceo fu una vera palestra di vita che gli consentì anche di sviluppare la sua vena culturale. Il giovane Franchi iniziò ad appassionarsi di letteratura, arte, teatro, musica e poe- sia. Questi interessi divennero i passatempi degli anni successivi quan- do, impegni del calcio permettendo, frequentava musei e teatri, dedi- cava il suo tempo libero alle commedie, ai concerti, a mostre ed altro.

I sentimenti

Il tempo passava, le vicende si alternavano e Artemio Franchi conobbe Alda Pianigiani, la brava ragazza di due anni più giovane che tanta im- portanza ha avuto nella sua vita e che, prima amica e studentessa dello stesso liceo, diventò sua moglie e la fedele compagna della sua vita. Si incontrarono casualmente nell’ingresso del palazzo abitato dalla fa- miglia Franchi, dove il padre di Alda, Giovanni Pianigiani, autotraspor- tatore a Firenze e anche lui di origini senesi, nell’attesa di trovare un appartamento adatto alle esigenze familiari, aveva subaffi ttato alcuni ambienti. I primi incontri non furono molto incoraggianti anche per- ché i due giovani avevano aspirazioni diverse. Né la situazione migliorò quando Alda si iscrisse allo stesso liceo di Artemio, forse ancora sepa- rati da differenti stili di vita, diversi obiettivi e comportamenti. Bastaro- no, comunque, solo pochi mesi perché l’amicizia si consolidasse e i due giovani scoprissero di condividere varie situazioni: libri, latino, racconti e molto altro. Il loro rapporto diventò qualcosa di più importante. I

34 sentimenti si rafforzarono e, sebbene non abitassero più nello stesso palazzo e l’impegno dello studio rendesse più diffi cile conciliare i loro incontri, gli appuntamenti si intensifi carono. L’amore può fare molto: riuscì a convincere Alda ad allentare a 16 anni il vincolo, sacro a Siena, con l’Istrice, la sua contrada di nascita, e ad avvicinarsi alla Torre di Artemio, già allora molto presente in Salicotto. Si arrivò al primo grande passo: il fi danzamento uffi ciale nel 1941, quando i due giovani dichiararono apertamente i sentimenti e le loro intenzioni. Erano momenti in cui la generale situazione scoraggiava grandi feste. Così, preferirono annunciare il reciproco impegno in un ritrovo di famiglia con i futuri consuoceri, Maria e Teo Franchi, Flo- ra e Giovanni Pianigiani, a cui si aggiunsero qualche parente e amico intimo. La vita, nonostante le grandi diffi coltà del periodo, andava avanti. Ar- temio, superata la maturità classica, decise di iscriversi alla facoltà di economia e commercio dell’Università di Firenze. Una scelta sostenu- ta dai futuri progetti che anticipavano un suo inserimento nell’azienda di trasporto Pianigiani. Ma i programmi furono superati dai grandi eventi della seconda guerra mondiale. In quegli anni, Franchi, con i suoi amici frequentava i Guf, gruppi universitari fascisti: gli consen- tirono di ampliare le sue conoscenze, di entrare in contatto con coe- tanei destinati a segnare, come Giovanni Spadolini, futuro presidente del consiglio dei ministri e del Senato, importanti pagine della nostra storia. Erano ambienti frequentati da giovani di diversa formazione che, sebbene condizionati dalle pressioni e dai controlli del regime, si dedicavano ad attività socio-culturali, sportive e assistenziali. Condivi- devano, cioè, differenti iniziative, motivate da intenti diversi da quelli politici prevalenti nel periodo: non coincidevano con la sensibilità del giovane Franchi che, tanto più convinto dall’avversione alla guerra, al fascismo ed al nazismo, aveva già maturato una formazione socialista e liberale.

La guerra

Ma quando, dopo lo sbarco il 10 luglio 1943 degli alleati in Sicilia, il destino dell’Italia era segnato, il corso degli eventi precipitò, sconvol- gendo la vita e i programmi di Artemio Franchi. La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, Benito Mussolini fu esautorato dal gran consiglio del fascismo e deposto dal re Vittorio Emanuele III che nominò capo del governo il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Nonostante che la sor- te dell’Italia fosse segnata, alla fi ne dell’estate, alla vigilia oramai della

35 fi rma dell’armistizio, Artemio fu chiamato in extremis alle armi e, il 16 agosto 1943, lasciò Firenze per raggiungere con altri commilitoni un battaglione d’istruzione a Copertino, nella provincia di Lecce, dove avrebbe dovuto frequentare un corso uffi ciali. Ma, sfi duciato per una guerra il cui epilogo era già deciso, rinunciò al grado; fu, così, assegna- to, prima da soldato semplice e dopo da sergente, al servizio comu- nicazioni. Il suo battaglione avrebbe dovuto spostarsi dalla Puglia in Sicilia; tuttavia, a settembre, l’ordine di partenza fu revocato. Le con- dizioni, con il trasferimento del re, del governo e degli stati maggiori a Brindisi, degeneravano ora dopo ora. Nel generale clima di terrore e disorientamento, si ritenne che la migliore soluzione fosse quella di non abbandonare la Puglia.

16 agosto 1943, Artemio, secondo da sinistra della fi la in alto, in partenza con altri commilitoni per Copertino Artemio non dimenticò mai i diffi cili momenti di quel periodo. Gli orrori e i danni della guerra, lo sconforto e i timori per il futuro, si in- crociavano con la nostalgia per Alda e la famiglia. In questo desolante scenario, lo aiutavano i legami con gli altri commilitoni, in particolare con Renzo Boniotto, Carlo Calderai. Artemio diventò amico di Aldo Bertagna: questo pittore, a testimonianza della loro amicizia, regalò ad Artemio degli acquarelli che raffi guravano il paesaggio di Oria, un borgo nelle vicinanze di Copertino. Artemio custodì negli anni le ope- re che, ricordo di quella diffi cile fase della sua vita, restarono sempre appese alle pareti della sua casa fi orentina. Gli alleati avanzavano; con l’esercito italiano oramai lasciato al suo de- stino e con la lontananza dagli affetti che diventava sempre più doloro- sa, fi nì per avere la meglio la scelta di raggiungere la Toscana e tornare a casa. Una breve sosta a Roma, appena liberata dalla V armata ameri-

36 Franchi, a sinistra, nel cortile della caserma a Copertino

1944, Artemio, dietro ad un altro commilitone, a Porretta Terme, sede di un centro di raccolta per prigionieri

37 cana, e Artemio raggiunse Siena. Fu accolto da Nella Masti, la zia che si era presa cura di lui negli anni dell’infanzia. Doveva rimanere fi no alla liberazione di Firenze dalle truppe tedesche. Ma preferì anticipare e si incamminò verso il capoluogo; alla vigilia di ferragosto raggiunse Gras- sina. Ma ancora una volta il destino annullò i suoi programmi. Artemio fu fermato ad un posto di blocco dai partigiani e, senza documenti, come sospetto fascista, fu inviato a un centro di raccolta per prigionieri a Porretta Terme, nell’Appennino tosco emiliano. Solo poche ore dal suo arresto e la situazione fu ancora sconvolta dall’ordine di trasferire i prigionieri ad Afragola, nelle vicinanze di Napoli. In questo campo, ingiustamente accusato di idee fasciste, subì umiliazioni e costrizioni. L’errore dopo qualche giorno fu fi nalmente chiarito e poté tornare in Toscana. Raggiunse la città nel novembre 1944, atteso e festeggiato dai genitori, da Alda, da parenti ed amici. Finita la guerra, gli anni della ricostruzione, quando l’Italia si confron- tava con le diffi coltà della ripresa sociale ed economica, anche per Ar- temio rappresentarono periodi di sacrifi ci e ristrettezze. Comunque, giorno dopo giorno, recuperò le abitudini e i ritmi quotidiani. Decise di riprendere i corsi universitari in economia e commercio e contem- poraneamente tornò alla scrivania da contabile nell’azienda Pianigiani. L’economia camminava di nuovo, gli affari crescevano e l’impresa si ampliò, diversifi cando l’attività nel trasporto del petrolio con autobotti, un settore in quegli anni in forte sviluppo.

L’arbitro

Intanto, Franchi iniziava a maturare altri progetti; recuperò le sue am- bizioni per il calcio che la guerra aveva obbligato ad accantonare, ma non aveva cancellato. Si confi dò con Alda, la prima a conoscere, in un caldo pomeriggio dell’estate 1945, la sua idea di diventare arbitro. Avevano deciso di trascorrere qualche ora al cinema Gambrinus, ma il fi lm fu dimenticato quando Artemio anticipò alla fi danzata le sue aspi- razioni. Per spiegarle certe idee, le mostrò la notizia pubblicata nella pagina centrale di un giornale sportivo dell’organizzazione di un corso federale a Firenze. Alda, che aveva priorità ed anche passatempi diversi dal calcio, per amore e affetto, assecondò le idee del fi danzato, con la speranza che il nuovo impegno non sottraesse tempo ai loro incon- tri. Così, forte di questo consenso, si iscrisse al corso organizzato dal gruppo arbitri Poderini di Firenze, diventato la sezione Giacinto Zoli. Superò il test fi nale con brillanti risultati ed ottenne il tesserino. Questa esperienza non ebbe lunga vita ed il fi schietto di Artemio non si fece

38 sentire oltre i campi della . Comunque, non mancarono occa- sioni in cui il futuro presidente dell’Uefa si conquistò gli onori della cronaca, pur se non sempre con giudizi positivi e complimenti. Non è stato dimenticato l’agitato epilogo della partita sul terreno dell’Assi Giglio Rosso, quando l’arbitro Franchi dovette rifugiarsi ne- gli spogliatoi per evitare l’assalto dei tifosi, non contenti del risultato fi nale. Sopiti gli animi caldi e le reazioni degli ultras, poté allontanarsi e rientrare a casa. La presenza sui campi di Artemio, la sua vocazione a dirigere e coordi- nare, non passarono inosservate. Furono scoperte dai fratelli Antonio e Dante Berretti, affermati dirigenti del calcio toscano. Iniziarono a seguire i passi, i movimenti di Franchi e furono convinti dalle sue ca- pacità, più organizzative che atletiche. Artemio fu nominato segretario della sezione arbitri di Firenze. L’impegno, dal 1945 al 1950, rappresen- tò il primo incarico di una lunga e brillante carriera, percorsa per meriti personali e professionali: tutti aspetti che, con il rispetto e il confronto, sono stati alcuni dei suoi eccellenti me- riti. Questa parentesi gli consentì di instau- rare contatti e di conoscere alcuni fra i grandi personaggi del mondo del calcio del periodo: come Giacinto Zoli, Giu- seppe Ferrari Ag- gradi, Enzo Bianda, Alfredo Anichini. I rapporti si rivelaro- no importanti anche nel futuro e Franchi fece sempre tesoro nelle diverse situa- zioni delle relazioni avviate anche in al- tre precedenti espe- rienze.

Artemio Franchi arbitro, negli anni sessanta, nei campi del Centro tecnico federale di Coverciano

39 40 III La crescita

41 Artemio Franchi agiva in diverse direzioni: eclettico e molto abile a sincronizzare differenti azioni, riusciva a conciliare il lavoro e il calcio con l’università. Nonostante la sua intensa giornata ed un carnet denso di impegni, non smentì l’altra sua vocazione di studente modello. Nell’estate del 1948 si laureò in economia e commercio con una brillante tesi in diritto internazionale. Anche negli ambienti universitari Artemio Franchi preferì partner di livello: relatore della sua tesi il professor Giuseppe Vedovato, esperto e studioso di relazioni internazionali e di istituzioni giuridiche, uomo politico in carriera. Intanto, anche Alda Pianigiani, in sintonia con il fi danzato pure per i ritmi degli studi, diventò dottoressa in lettere antiche.

42 Il matrimonio

Con la maggiore tranquillità e molti oneri soddisfatti, esistevano le premesse perché i due giovani potessero programmare insieme il loro futuro. Il fatidico sì fu pronunciato il 22 giugno 1949 nel Duomo di Firenze. La gioia del matrimonio aiutò Artemio a superare il disorientamento che, dopo la tragedia di Superga, colpì il calcio italiano. L’aereo che riportava in Italia la squadra del da Lisbona, dove aveva disputato un’amichevole con il Benfi ca per celebrare l’ultima partita del capitano José Ferreira, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, sulle colline torinesi. Trentuno le vittime. Il disastro sconvolse Artemio, tanto maggiormen- te perché colpito dalla perdita di cari amici. Il matrimonio con Alda, l’impegno per i preparativi, pure la gioia e l’emozione, furono le miglio-

22 giugno 1949: Alda Pianigiani e Artemio Franchi dicono sì nel Duomo di Firenze davanti a monsignor Raffaele Bensi

43 ri cure per lasciarsi alle spalle questo diffi cile momento. La cerimonia in cattedrale fu celebrata da monsignor Raffaele Bensi, un sacerdote amico di famiglia: il loro rapporto, uniti dall’intesa e dalla solidarietà reciproca, si era consolidato negli anni del confl itto. Il destino ha vo- luto che monsignor Bensi fosse sepolto nel cimitero di Soffi ano, dove riposa Artemio. Una vicinanza sicuramente casuale, anche se non si può non rifl ettere sulla coincidenza di situazioni molto particolari. Testimoni degli sposi parenti stretti e amici intimi a cui i due giovani erano legati da rapporti di stima e fi ducia: Antonio Berretti per Arte- mio; lo zio paterno Carlo Pianigiani per Alda. Fu una bella festa con un cerimoniale da grandi occasioni: arrivarono molti invitati; non manca- rono il riso lanciato agli sposi all’uscita della chiesa e molte foto. Dopo il pranzo, la torta e il brindisi, i coniugi Franchi salutarono gli invitati e partirono per il viaggio di nozze. Destinazione Losanna, dove furono ospiti di Enzo Bianda, compagno di studi negli anni dell’Università e grande amico di Artemio. Al ritorno dalla Svizzera, dopo un breve periodo in cui Artemio ed Alda furono accolti in casa Pianigiani, in via Brunelleschi, si trasferiro- no nell’appartamento che i genitori di Alda avevano riservato ai giovani sposi in via Poggi.

La Fiorentina

Il matrimonio coincise con l’inizio di un periodo per Artemio ricco di novità: personali e professionali. Difatti, dopo poche settimane, il segretario della Fiorentina Ermanno Ugolini lasciò il suo incarico e il presidente del consiglio direttivo Carlo Antonini chiamò a sostituirlo il giovane Franchi. Una scelta a favore della quale giocarono differenti situazioni: la capacità di Artemio ed anche, fra l’altro, il sostegno di Giovanni Pianigiani, consigliere viola, sicuramente disposto a spende- re più di una parola a favore del marito della fi glia. L’accettazione fu immediata. Questo incarico segnò il suo vero battesimo con un ruolo da manager nel mondo del calcio professionistico. Fu un’esperienza preziosa che gli consentì di frequentare importanti club ed ambienti, di avvicinare gli opinion leader degli stadi di quei decenni. Tuttavia, la presenza di Artemio Franchi nella segreteria della Fiorentina si esaurì prima della scadenza, conseguenza delle diffi coltà economiche ed anche dei pro- blemi che in quel periodo tormentavano il calcio italiano. Nonostante un brillante quinto posto conquistato nel campionato 1950-51, la socie- tà gigliata fu colpita da una grave crisi e dalle dimissioni del presidente Antonini. Il rinnovamento avviato dal suo successore Enrico Befani

44 Artemio, negli anni quaranta, fra il babbo Olinto e la mamma Maria

1951, Firenze: Alda, in piedi quinta da sinistra, e Artemio primo a destra, alla festa di Carnevale degli arbitri fi orentini

45 coinvolse anche il segretario Franchi che, personaggio della precedente gestione, nel 1951 fu revocato. Artemio aveva, comunque, la mente occupata anche da questioni pri- vate e la delusione per l’allontanamento dalla Fiorentina fu mitigata da altre soddisfazioni personali. Casa Franchi fu, difatti, allietata il primo aprile 1952 dalla nascita di Giovanna, la primogenita della famiglia. La decisione del padrino fu molto meditata per il timore dei coniugi Franchi di non deludere i tanti amici: dopo varie rifl essioni e consul- tazioni, la scelta cadde su Enzo Bianda, intimo di Artemio e di Alda. Una preferenza motivata anche dal riconoscimento della ospitalità e della piacevole accoglienza che il padrino della neonata aveva riservato ai signori Franchi nella loro luna di miele. La questione del nome ali- mentò un dibattito che in famiglia si protrasse per qualche giorno: fi no a quando all’anagrafe, Giovanna Franchi fu registrata con gli altri nomi di Antonella, Fiammetta e, come la nonna paterna, Maria.

Le responsabilità

Con la famiglia diven- tata più numerosa e i bisogni aumentati, anche il reddito dove- va salire. Artemio, da buon padre di famiglia, si dedicò molto al la- voro, per assicurare un buon tenore di vita alle persone più care. Fece qualche conto e decise di riprendere il suo im- piego a tempo pieno nell’azienda Pianigia- ni. Altre novità erano in arrivo e, quando il signor Giovanni deci- se di cessare l’attività, Artemio non si lasciò sorprendere. Si orga- nizzò e nel 1954 fondò con altri soci la ditta Angiolo Bruzzi, azien- Giugno 1950, Alda e Artemio Franchi in visita a Parigi

46 da per la commercializzazione di prodotti petroliferi e per il riscalda- mento. In un periodo in cui per la ripresa dell’economia c’era grande necessità di materie prime e combustibili, la scelta si rivelò vincente. L’azienda, nel palazzo della borsa merci, nel centro di Firenze, a pochi metri dal Ponte Vecchio, di cui Franchi era amministratore delegato, si impose nel mercato, diventò partner di cittadini, imprese, pubbliche amministrazioni.

1950, i coniugi Franchi a Milano

1958, incontro fra alcuni vertici del calcio toscano: Franchi, in piedi, parla con Antonio Berretti

47 Cresceva anche la notorietà di Artemio nel mondo del calcio; aumen- tavano gli incarichi e le responsabilità. Il percorso era meritato ma fu pagato con i cari prezzi delle rinunce personali, del sempre maggiore tempo sottratto alla famiglia che doveva accontentarsi di dividere il manager con un’agenda molto impegnata. Il calcio ed il lavoro furono per Artemio delle importanti alternative: gli consentirono anche di alleggerire la mente e di affrontare con più forza i momenti tristi e diffi cili. Come nel febbraio 1953, quando la morte della mamma lo mise di fronte al grande dolore della scomparsa di una delle persone più care, a cui Artemio era legato da un profondo affetto. Riuscì nel tempo a metabolizzare questo negativo momento, anche dedicandosi alla sua famiglia, all’azienda e meditando importanti decisioni. Come quella, d’accordo con la moglie Alda, di accogliere babbo Olinto. Fu una felice scelta che regalò un nonno affettuoso ed un nuovo compagno a Giovanna e a Francesco, il secondogenito che avrebbe rallegrato casa Franchi qualche anno più tardi.

Il pugno di ferro

La presenza di Franchi nel mondo del calcio diventava sempre più autorevole. Intorno al capoluogo toscano, si intrecciavano differenti situazioni che furono delle palestre e dei buoni trampolini di lancio per l’ascesa del futuro presidente della Figc. Ovviamente Franchi co- nosceva le persone giuste, di cui aveva conquistato la fi ducia e la stima. Intensifi cò i rapporti con il presidente della Lega interregionale della

1959, gruppo di arbitri toscani: Artemio Franchi a braccetto di Alfredo Conticini, consigliere della Lega nazionale dilettanti

48 IV serie e vicepresidente della Figc Dante Berretti, che si adoperò per l’ingresso di Artemio nel consiglio direttivo della sua Lega. Una realtà un po’ ibrida che viveva soprattutto grazie al volontariato, tanto impor- tante nel mondo del calcio, e intorno alla quale gravitavano società non dilettantistiche ma non ancora professionistiche. Artemio non deluse la fi ducia: arrivato nel 1952 negli ambienti della Lega IV serie, bruciò rapidamente le tappe, prima segretario e dopo, dal 1957, commissario. Pragmatico, tanto disponibile ad ascoltare ed aperto al confronto, quanto deciso nelle sue motivazioni, Artemio, se certo di ciò che so- steneva, non abbandonava le sue battaglie. La fermezza si rivelò spes- so essenziale per i risultati che raggiunse: anche a dispetto della sua incolumità. Come quella assemblea della Lega interregionale IV serie quando Franchi, dopo aver inutilmente spiegato ai suoi interlocutori le migliori motivazioni, dalle maniere gentili decise di passare a quelle più forti: prima con un tono di voce più alto e dopo, senza incertezze, si fece capire con un pugno sul tavolo. Le sue richieste furono accolte. Ma Artemio Franchi pagò un caro prezzo: la forza dell’urto gli procurò un viaggio al pronto soccorso e la diagnosi di una frattura.

Nessuna follia

Questi piccoli inconvenienti non rallentarono l’ascesa di Franchi. Nel 1959 fu eletto primo presidente della Lega nazionale semiprofessioni-

1960, i dirigenti del calcio toscano: Franchi, primo a sinistra, è davanti a Dante Berretti vice presi- dente Figc

49 sti, nata dalla ex Lega nazionale IV serie: un incarico che gli assicurò anche la vice presidenza della Figc. Restò fi no al campionato 1963 - ’64, per poi diventare commissario straordinario della Lega nazionale professionisti. Nel suo discorso di presentazione, in occasione dell’insediamento alla presidenza della Lega nazionale semiprofessionisti, Artemio fece capi- re molto bene le sue idee ai presidenti delle società: «Non permetterò che facciate follie nel calciomercato. Da voi esigo chiarezza nei bilanci e soprattutto la massima onestà». Una priorità che per Artemio rimase sempre tale, e gli consentì di affrontare con maggiore sicurezza le complesse situazioni che si alternarono nel suo percorso. Nel tempo e nonostante che la sua carriera ai massimi livelli del calcio lo allontanasse dalle realtà sportive locali, rimase sempre vicino e non dimenticò le società dei piccoli centri. Franchi si adoperò molto per migliorare la situazione di questi club. Le sue azioni erano sostenu- te dalla consapevolezza dei sacrifi ci di coloro che si impegnano per queste squadre e dalla necessità di assicurare strutture ed impianti per consentire ai giovani di praticare lo sport. Il suo obiettivo era quello di superare l’approssimazione e l’incertezza di cui soffrivano queste associazioni costrette, anche per la mancanza di un quadro normativo e per le limitate risorse, a destreggiarsi fra imprevisti, inconvenienti e diffi coltà. Con alcune, anche per rapporti personali, come la Rondi- nella Marzocco di Firenze, mantenne strette relazioni. La disponibilità ad offrire la sua professionalità e l’esperienza fu premiata con la presi- denza onoraria. Quando, nel 1970, con la nascita delle regioni a statuto ordinario, la Toscana diventò un polo istituzionale, Artemio si attivò per garantire accordi di , un’organizzazione effi ciente e lo sviluppo di programmi sportivi.

50 Testimonianza

Lo sport interessa tutti

Fino Fini, già medico della Nazionale italiana e della Nazionale juniores, è stato direttore del Centro tecnico federale di Coverciano e segretario del settore tecnico della Figc. Dirige la Fondazione museo del calcio. Ha partecipato alla commissione tecnica dell’Uefa, a quella consultivo medica della Federazione internazionale.

Sono trascorsi trenta anni dalla scomparsa di Artemio Franchi: il tempo è passato, ma la memoria resta indelebile. Il suo comportamento, il modo di agire, l’energia che scaturiva dalla sua persona ed altro, sono aspetti sempre presenti. Ci mancano la sua riservatezza, la forza, la determinazione. Ricordo Artemio nelle sua duplice personalità: quella di uomo e l’altra di dirigente.

51 52 Sì o no

Il tempo è trascorso e, pensando al passato, mi piace oggi racconta- re i tratti salienti della fi gura e della personalità di Artemio Franchi. Possono servire a far comprendere a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, attraverso quali strade e con quali meriti sia riuscito a creare attorno a sé l’alone di fi ducia, stima e simpatia che caratterizza la «classe» di una persona. In ogni circostanza positiva o negativa, poiché nello sport, come do- vunque, le situazioni si alternano, aveva un atteggiamento equilibrato ma non distaccato, intimamente un po’ ironico, ma mai insofferente. La sua migliore arte, secondo un’opinione diffusa, era la diplomazia. Chi crede che questo atteggiamento serva per mascherare o alterare pensieri e sentimenti, con Franchi deve ricredersi. Era di una sincerità trasparente, con convinzioni e posizioni nette ed inequivocabili. Tre le sue parole più ricorrenti: «sì», «no», «vedremo». Tutte espressioni che testimoniano il coraggio e la fermezza di un dirigente, ma anche la pazienza di un uomo capace di chiedere al tempo distacco e pacatezza, alla ragione spiegazioni e soluzioni. Artemio riconosceva sempre all’interlocutore la possibilità di esprimer- si secondo le proprie convinzioni e di agire conseguentemente. Faceva appello all’intelligenza altrui, per non abusare della propria. In questo, ricordava i «grandi» della sua regione, gli antichi signori di Toscana, ovverosia la generosità medicea che stimolava le menti, premiava meriti e talenti. Nello sport, nel calcio in particolare, convergono molti soggetti, situa- zioni, interpretazioni, insegnamenti e apprendimenti, che lo rendono contemporaneamente complesso e coinvolgente: per i suoi valori in- trinseci ma anche secondo l’ottica con cui lo si analizza. Lo sport ha un signifi cato particolare che chiama in causa le problematiche sociali e, conseguentemente, interessa tutti: inteso, cioè, non come limitato strumento di soddisfazione agonistica, ma come esperienza positiva e mezzo di crescita individuale per ogni fase della vita. Franchi era consapevole del valore dello sport e questo riconoscimento era una costante che lo ispirava continuamente.

53 Un granduca dei tempi moderni

Era un uomo ai vertici, titolare di un potere; la sua indole era quella del «nobile» e del «granduca». Ma la sua nobiltà era semplice: ricordava la concretezza e la naturalezza che valgono nei saloni delle cerimonie come nell’intimità della più modesta riunione. Artemio era forte, sicuro: irremovibile nella difesa di certe sue idee e principi. Rispondeva con un sorriso, magari tagliente e sarcastico, oppure si affi dava al suo humour, ad un aggettivo; anche ad una certa ironia: ma mai scontata, fi nalizzata invece a risvegliare, ammonire, a far pensare.

1975, Coverciano: Artemio alla fi nale del Trofeo Nagc; in alto, a sinistra Fino Fini, a destra Mario Ferrari

54 Franchi sapeva valutare adeguatamente ciò che ascoltava: con equi- librio, ma secondo il suo metodo, il suo modo di essere e di agire. Ricordo le lunghe passeggiate insieme a Coverciano: camminavamo, parlavamo di tutto, della sua vita, dei suoi ricordi, della politica fe- derale, di quella cittadina e di quella nazionale. Avvertiva con una telefonata: «vengo per una passeggiata. Se non è il caso, rimandiamo». Sempre gentile, mai facendo pesare il suo ruolo di presidente della Federazio- ne o dell’Uefa.

Non ho fame

Quando gli presentavano un quesito o gli prospettavano una solu- zione che giudicava non positivamente, semplicemente, rispondeva: «Non condivido il parere, ma presenterò la proposta nella sede opportuna: l’as- semblea deciderà». Perché era sua convinzione, che l’assemblea fosse sovrana. Ma in quelle occasioni chi orientava le situazioni era Artemio. Nel suo intimo riservato ed introverso, poteva diventare estroverso e

Madrid, Spagna ‘82: il re di Spagna Juan Carlos riceve Artemio Franchi

55 pungente, grazie anche ad una dialettica fi ne e nel contempo sostan- ziale. Tanto più accesi erano gli incontri, tanto più certa era la sua presenza con la capacità di incidere nelle decisioni. Se il confronto si indeboliva, riusciva ad individuare nuovi stimoli per animarlo. Poteva protrarre una riunione fi no ad ore impossibili tanto, diceva, «non mi stanco e non ho fame». Le vicende del settore tecnico gli stavano particolarmente a cuore: non tanto perché era fi orentino, sebbene di origini senesi, ma perché cre- deva fermamente che il Centro di Coverciano dovesse sempre rappre- sentare un fi ore all’occhiello per la Figc e contemporaneamente per la sua città. Riconosceva che la «scuola» alle pendici delle colline di Settignano, nata in mezzo ad incertezze ed indecisioni, ostacolata da diversi ambienti, criticata e talvolta anche derisa, fosse invece una orga- nizzazione fl essibile e vitale, destinata a divenire un centro di attrazione e di iniziative capaci di assicurare la continuità del nostro sport e della nostra attività organizzativa. Voglio ricordare la costante presenza del «presidente» nel «suo» Cover- ciano. Se doveva ricevere delle persone od autorità importanti, le acco- glieva nel Centro tecnico federale. Non veniva soltanto a «presenziare» le diverse attività, ma a dare impulso e prestigio. A volte, mi capitava di partecipare agli incontri e colloqui; altre volte, invece, con il suo solito garbo mi chiedeva di lasciarlo, oppure con un gesto mi faceva capire la riservatezza dell’incontro. Resta con simpatia nella mia mente, il sorriso di Artemio davanti ad una nuvola colorata di magliette indossate dai ragazzi del Nucleo ad- destramento giovani calciatori. Penso che non abbia mai mancato un trofeo del Nagc, anzi voleva che si organizzasse sempre contando sulla sua presenza. Durante la premiazione, era generoso di parole di so- stegno agli operatori ed ai giovani. Erano momenti uffi ciali ma anche molto spensierati. Era uno spettatore tanto entusiasta delle esercita- zioni e delle dimostrazioni quanto felice di assistere ad una partita fra i calciatori dilettanti.

I quattro amori

Artemio aveva quattro grandi amori: la famiglia, Firenze, Siena ed il calcio. La famiglia, sempre unita, era il suo riferimento, gli ha assicurato un forte sostegno. Questo comportamento è uno specchio dello stile di vita celebrato dalla tradizione toscana, che unisce nella stessa casa il babbo, la mamma, i fi gli, anche altre generazioni. Il suo amore per i fi gli

56 era grande, ed era evidente dalla felicità che traspariva dal suo sguardo quando si parlava di Giovanna o Francesco. Firenze è la città dove era nato e dalla quale, attraverso il Centro tec- nico di Coverciano, diffondeva messaggi positivi nel mondo calcistico e non solo. Franchi accoglieva in questa struttura molte personalità, anche perché voleva dare lustro e visibilità a questa struttura. In effetti, almeno nei decenni passati, l’importanza di Coverciano era riconosciu- ta più negli ambienti internazionali che in quelli della Federazione. Siena: Artemio era legato a questa città da un amore profondo. Un rapporto che signifi cava Palio, la sua contrada della Torre, il suo popo- lo. Franchi affermava che il Palio era la grandezza di Siena ma anche il suo limite. Era attratto da questa stupenda e antica corsa di cavalli, come la falena dal fuoco. Artemio diventò capitano della Torre speran- do appassionatamente di conquistare il «cencio». Non riuscì, anzi perse tragicamente la vita proprio mentre percorreva la strada per incontrare il fantino della Torre. Il calcio lo attirava anche per l’imprevedibile incertezza che anima qual- siasi incontro. Comunque sia, di alto livello o amatoriale, sarà sempre seguito da una discussione a favore o contro il risultato e ciò che è accaduto in campo. Artemio Franchi era ironico con una simpatia che sconfi nava nel sarca- smo; era fedele e coerente con se stesso; incapace anche per un attimo di tradire il suo spirito toscano. Per queste ed altre ragioni diventò amico e riuscì ad accattivarsi sim- patie e credibilità anche nel mondo internazionale. Diventò vice presi- dente della Fifa ed ogni giorno riceveva una telefonata dal presidente João Havelange, di cui era un prezioso consigliere, entrambi certi che il prestigio è l’identità che deve distinguere il calcio internazionale.

Fino Fini

57 58 IV Il rinnovamento

59 Il 1958 è ricordato come un anno molto importante per il calcio e lo sport nazio- nale. Fu, difatti, inaugurato il Centro tecnico federale di Coverciano che, fra i più famosi e prestigiosi nuclei sportivi in Europa e nel mondo, ancor oggi, dopo oltre mezzo secolo dal suo avvio, si distingue come la più articolata organizzazione in Italia a sostegno dello sport. Il giorno del taglio del nastro, il 6 novembre, davanti al commissario straordinario della Federcalcio Bruno Zauli e al gotha sportivo, furono in molti a comprendere che Artemio Franchi, allora un giovane manager a 36 anni già presidente della Lega nazionale IV serie, sarebbe diventato, a Coverciano e nel più vasto scenario, un opinion leader del calcio nazionale e internazionale.

60 Il Centro tecnico federale di Coverciano

Artemio si adoperò molto per l’avvio e per lo sviluppo del Centro di Coverciano; per la crescita e il miglioramento degli impianti capaci di garantire un’offerta polifunzionale e un’organizzazione costantemente all’avanguardia. Il suo mandato di presidente del settore tecnico, di cui ricevette il testimone da Franco Carraro, coincise con un periodo di sviluppo strutturale ed organizzativo; è merito soprattutto di Artemio se oggi il complesso si distingue con la duplice identità di «casa degli azzurri» e di vera «università del calcio». Anche Firenze e il territorio, aspetto di cui Franchi era consapevole, si avvantaggiano del vasto in- dotto economico, anche di relazioni e di immagine, attivato e che ruota intorno a questo complesso. Coverciano fu il risultato di un processo impegnativo protratto nel tempo. Da quando il progetto iniziò a prendere vita, soprattutto per volontà del marchese Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano, primo presiden- te dell’Acf Fiorentina, e di Dante Berretti, dovettero trascorrere sette anni per il taglio del nastro. Il marchese Luigi Ridolfi , personaggio po- liedrico, federale di Firenze, dirigente sportivo, eroe pluridecorato della grande guerra, magnate disponibile a fi nanziare opere di vasto interes-

Il Centro di Coverciano oggi: un corso per calciatori mondiali

61 se, donò alla Federazione il terreno, a valle delle colline di Fiesole e di Settignano, su cui costruire il Centro. Tuttavia, la burocrazia che anche allora penalizzava ed allungava i tempi, non consentì al nobil uomo di assistere all’inaugurazione del Centro. Fu dedicato alla sua memoria, come riconoscimento del suo grande contributo e dell’impegno. Altra mente e primo presidente di Coverciano, fu Dante Berretti. Le vicen- de di questo personaggio, dirigente sportivo, presidente del direttorio regionale, della IV serie, vice presidente della Figc, si intrecciarono più volte con quelle di Artemio Franchi. L’obiettivo che ispirò inizialmente la realizzazione del Centro tecnico fu quello di costruire una struttura architettonica integrata con l’am- biente esterno, capace di rispondere alle molteplici esigenze tecnico- sportive del calcio nazionale. Il marchese Ridolfi andò oltre e, dopo aver visitato diverse realtà in Europa, decise che il Centro, oltre che ri- ferimento per l’attività calcistica, doveva essere funzionale anche per le altre discipline. Oggi Coverciano, con quattro campi da calcio di misu- re regolamentari, un campo «pratica», uno a 5 in erba artifi ciale ed uno «gabbia» per speciali sessioni di allenamento, è dotato di due palestre, una pista di atletica, una piscina e due campi da tennis. Le importanti attività che ospita sono alcune delle migliori referenze del Centro. È la sede del settore tecnico della Figc: dal 1959 è l’organo di servizio della Federazione, incaricato delle attività di studio e di qualifi cazione per la diffusione ed il miglioramento della tecnica del calcio. Negli anni, ha ampliato le sue funzioni all’interno dell’organizzazione federale; ha competenza nei rapporti internazionali per la defi nizione delle regole del gioco e le tecniche di formazione di atleti e tecnici; svolge attività di ricerca, formazione e specializzazione in tutti gli aspetti del calcio. Le interazioni fra settore tecnico e Coverciano sono intense, caratterizzati da una storia e da un percorso comuni, tanto da aver determinato la prassi di usare indifferentemente i due termini. Il settore tecnico della Figc sovrintende alla gestione del Centro tecnico federale secondo le direttive del consiglio federale. Coverciano è anche la «casa degli azzurri». La Nazionale A; la under 21, quelle 15, 16, 17 e 18, sia della Lega professionisti che della Lega di serie C; la Nazionale militare e del calcio a 5, la Nazionale femminile, tutte per i loro raduni, le selezioni, gli allenamenti, sono ospiti della struttura. L’accoglienza si estende anche squadre di club e rappresen- tative straniere. Il Centro tecnico federale ospita la Fondazione «Museo del calcio – centro di documentazione storica e culturale del giuoco del calcio». È la sede del comitato regionale della Lega nazionale dilettanti, di quello regionale del settore giovanile scolastico, del comitato regionale arbitri;

62 della sezione Aia di Firenze, anche dell’Associazione italiana allenatori calcio. Oltre alle installazioni sportive, il Centro dispone di strutture complementari che garantiscono un’offerta a 360°: aula magna, sale riunioni, biblioteca, reparto medico, hotel e ristorante.

I cicli

Il 1958 fu un anno speciale per Artemio, e non solo per ciò che acca- deva nel mondo del calcio dove, giorno dopo giorno, cresceva la sua notorietà e la stima che lo sostenevano. Altre le vicende che segnarono delle svolte nella sua vita. Il 5 agosto la famiglia Franchi appese un fi oc- co azzurro per la nascita di Francesco: l’erede del babbo, non per una questione di araldica condivisa con la sorella maggiore Giovanna. L’e-

Artemio Franchi con , responsabile dal 1974 al 1982 del centro sportivo di Coverciano, in occasione dell’inaugurazione di un master per manager nell’aula magna del complesso

63 sperienza di Francesco ricorda quella di Artemio. Professionalmente impegnato nel settore dei petroli, dal babbo ha ereditato la vocazione sportiva. Al calcio ha, comunque, preferito la rete del volley: è stato fi no al 2012 un affermato dirigente della pallavolo mondiale e membro dell’esecutivo della Fivb, la Federazione internazionale volleyball. La nascita di Francesco incrociò un momento particolare del calcio italiano in un periodo in cui l’inaugurazione del Centro tecnico federa- le di Coverciano rappresentò, in effetti, una parentesi di gloria in uno scenario offuscato da molte nubi. Il mondo del pallone è un mosai- co di vicende a volte divertenti, a volte negative ma che, comunque, insieme concorrono ad un’appassionante storia. In questa evoluzione temporale, gli anni successivi alla seconda guerra mondiale coincisero con una diffi cile fase. Tutto lo sport era stato colpito dal confl itto che aveva provocato la distruzione di un grande e inestimabile patrimonio di risorse e valori. Il calcio italiano, dopo l’interruzione dei campionati imposta dagli eventi bellici, doveva trovare un nuovo equilibrio. Ma il cammino fu interrotto da vari ostacoli. Le tensioni furono aggravate dalla mortifi cazione della Nazionale che negli anni cinquanta colle- zionò una serie di delusioni ed esclusioni. Fu merito soprattutto di un gruppo di validi dirigenti, come , presidente della Fe- dercalcio dal 1946 al 1958, se il calcio italiano iniziò a muovere i primi passi per uscire dalla grande impasse.

La tragedia

È comprensibile che quando, alla fi ne degli anni cinquanta, Franchi fu nominato presidente della Lega nazionale semiprofessionisti e vice presidente della Figc, il calcio italiano non poteva che puntare alla sua riqualifi cazione. L’obiettivo era complesso: complici sia le generali diffi coltà che i problemi innescati dal dramma di Superga dove nel 1949 perse la vita l’intera squadra del Torino al rientro da Lisbona, dove aveva disputato un’amichevole con il Benfi ca. Non era facile sostituire campioni come, fra gli altri, , , , Valerio Bacigalupo: il portiere Baci Baciga, ricordato perché «parava tutto, anche i calci di rigore, e il cui difetto era quello di odiare il pallone». La scomparsa di questi calciatori, deceduti nell’aereo che si schiantò sulla collina torinese contro il muraglione del terrapieno po- steriore della basilica di Superga, pesò fortemente per molti anni. Tra l’altro, la situazione fu aggravata dalla tendenza, ricorrente nelle so- cietà di , di privilegiare la situazione interna e le proprie squa- dre, trascurando la priorità della Nazionale. Dopo il tremendo ko in-

64 fl itto nel 1950 dalla Svezia all’Italia ai Mondiali in Brasi- le, alcune società, offuscate dal mito dei giocatori scan- dinavi, decisero di inserirli nelle loro squadre. Questa strategia non in- vestiva nel futuro del nostro calcio e nella formazione dei vivai: ostacola- 1960, Artemio Franchi a Montecatini passeggia con gli amici va l’affermazione degli italiani e po- neva una seria ipoteca sul futuro della selezione della Nazionale. La dinamica innescata dalla presenza di calciatori stranieri, non tardò ad emergere aprendo quello che è ricordato come uno dei periodi più diffi cili della Nazionale. Nel 1954, in Svizzera fu esclusa nelle fasi di qualifi cazione; nel 1958, l’Italia fallì addirittura l’ammissione alla sesta edizione dei campionati del mondo in Svezia, esclusa nel girone europeo di qualifi cazione.

Ricchi scemi

Solo una grande svolta poteva consentire all’Italia di avviare una nuova ripresa. Il 3 agosto 1958, in un duro intervento, il presidente del Coni Giulio Onesti attaccò i presidenti delle società della massima serie, accusati di spendere troppo: «ricchi scemi» è la defi nizione coniata nel suo discorso rimasto famoso. La grande accusa fu quella di spendere troppo per il calcio e soprattutto i calciatori. Ottorino Barassi si dimi- se dalla presidenza della Federcalcio aprendo la strada a una gestione commissariale. Bruno Zauli avviò un profondo risanamento della Figc, completando le riforme che Barassi aveva solamente avviato. La sua azione si basò su un aspetto essenziale: il settore professionistico, intorno al quale ruota- vano in quel periodo trentasei società, per evitare la commistione che aveva causato la crisi del calcio italiano, doveva essere nettamente diviso dalle altre categorie. Furono istituite le tre Leghe: Lega nazionale dilet- tanti, Lega nazionale semiprofessionisti, Lega nazionale professionisti.

65 Altri i cambiamenti e le riforme. L’Associazione arbitri passò sotto l’in- fl uenza della Figc: il risultato rappresentò l’atto fi nale di un’equilibrata azione condotta da Artemio Franchi dal 1959 al 1961, periodo in cui fu commissario dell’Aia. Nell’ambito della Figc nacquero altri due settori di servizio con sede a Coverciano: quello tecnico, l’altro giovanile sco- lastico che promuove lo sviluppo dei vivai e il rapporto con il mondo della scuola. Il 30 giugno 1959, con l’elezione delle cariche federali per il quadriennio 1959-1962, Zauli terminò la gestione commissariale del- la Figc, anche se la storia non cancellerà mai quel diffi cile periodo. Al vertice della Federazione arrivò il 9 agosto 1959 ; nel 1961 decise di lasciare l’incarico perché assorbito dagli impegni Fiat. Tutto il mondo del calcio italiano sopportò un profondo disorienta- mento ed anche la Lega nazionale professionisti subì una forte impasse. Subito dopo il ko con l’Irlanda del Nord, a Belfast il 15 gennaio 1958, la Lega nazionale elesse nuovo presidente Giuseppe Pasquale. Nel di- rettivo entrarono Andrea Rizzoli, Umberto Agnelli e Angelo Moratti, i «padroni» di Milan, Juve e Inter, decisi ad accentuare l’autonomia delle società nei confronti della Federcalcio, soprattutto in materia di stranieri. La stessa sorte del commissariamento che aveva colpito la Figc interessò anche la Lega professionisti, affi data sempre a Pasquale. Il 21 luglio 1959 fu confermato alla presidenza. Lasciò il testimone a Giorgio Perlasca che, eletto il 24 luglio 1962, se ne andò a sorpresa il 12 luglio 1964 quando si rese conto di non poter tener fede al proprio programma: «massima organizzazione e minori debiti». Le sue dimissioni lasciarono spazio all’ingresso del commissario Artemio Franchi. Nell’agosto 1965, la Lega nominò nuovo presidente Aldo Stacchi. Re- stò fi no al marzo 1973 escludendo, dopo la disfatta contro la Corea del Nord, la parentesi commissariale di Franchi dal luglio 1966.

1962, summit fra alcuni vertici del calcio dilettantistico

66 Testimonianza

Le idee e le strategie

Franco Carraro, tre volte ministro della Repubblica italiana e sindaco di Roma dal 1989 al 1983, è stato il 24esimo, 26esimo e 31esimo presidente della Figc. Tre volte campione europeo di sci nautico, iniziò la carriera di dirigente sportivo come presidente della Federazione nazionale e dell’Unione mondiale di questo sport. La sua notorietà crebbe quando, nel 1967, divenne commissario e poi presidente del Milan. È stato, fra l’altro, presidente della Lega nazionale professionisti, del Coni, commissario straordinario della Lega calcio; membro del consiglio esecutivo dell’Uefa e del Comitato olimpico internazionale

Nel settembre 1964, Felice Riva propose a mio padre ed a me di di- ventare rispettivamente vice presidente e consigliere del Milan. Con il parere favorevole del presidente del Coni Giulio Onesti, accettammo. Nell’ottobre dello stesso anno, andai a Tokyo come membro della dele- gazione del Coni. In quell’occasione, conobbi Artemio Franchi, venuto per rappresentare l’Italia al congresso della Fifa. Mario Saini, allora se- gretario generale del Coni, mi disse: «è il miglior dirigente del calcio italiano, un giorno diventerà certamente presidente della Figc». La previsione divenne realtà nel 1967, lo stesso anno in cui, per l’improvvisa scomparsa di mio padre, diventai presidente del Milan.

67 68 1970, Franchi con Ottorino Barassi

Dove entra il pallone?

Il reciproco rapporto di amicizia e di affetto con Artemio Franchi ini- ziò con un episodio che ricorderò sempre. Nell’agosto 1967, il Milan a Firenze giocava con la Fiorentina la prima importante partita ami- chevole della stagione, dedicata alla memoria di mio papà. Per questo motivo, era presente mia madre, che certamente non era un’esperta di calcio. Mi chiese in quale porta, affi nché il Milan segnasse, avrebbe dovuto entrare il pallone. Artemio, che aveva sentito la domanda e seguiva l’azione del giocatore del Milan, disse: «dove sta entrando adesso!». Da quel momento, si consolidò un rapporto profondo, interrotto il 12 agosto 1983. Quel giorno ero ospite dell’allora ministro del turismo e dello spettacolo Lelio Lagorio, sull’aereo di Stato che ci portava ad Helsinki per la prima edizione dei campionati del mondo di atletica leg- gera. Alla scaletta dell’aereo ci attendeva il presidente della Federazione mondiale di atletica leggera, Primo Nebiolo, che ci annunciò la notizia della morte di Artemio. Durante il periodo dell’intensa collaborazione con Franchi, avevamo ruoli diversi, ma frequentemente i contatti erano più che quotidiani. Le opinioni erano quasi sempre convergenti, leali e trasparenti. Ho im- parato molto da Franchi sul piano umano, della concezione della vita, del calcio a livello nazionale ed internazionale e di tutto lo sport. Spero che la moglie Alda, i fi gli Francesco e Giovanna, mi abbiano perdonato o almeno dimenticato le infi nite volte nelle quali chiamavo Artemio e disturbavo la famiglia con lunghe telefonate.

69 Un pendolare

Franchi era timido, riservato, aveva senso dell’umorismo, sapeva sor- ridere e divertirsi: ma con educazione, quasi con pudore. Aveva un grande senso della misura; sapeva quanto il calcio, come sport e feno- meno sociale ed economico, fosse importante in Italia e nel mondo. Era consapevole di essere il leader del calcio italiano e di avere un ruolo di fondamentale rilievo nello scenario mondiale ed europeo: ma non si atteggiava mai a persona importante; aveva le sue idee, ben radicate, ma le verifi cava sempre con se stesso e con gli interlocutori che stimava. Era determinato nel conseguire gli obiettivi, ma sempre garbato nei modi, cioè aveva «il pugno di ferro e il guanto di velluto».

1972, Artemio all’aeroporto di Madrid Barajas: per la necessità di spostarsi velocemente, spesso da una nazione all’altra, l’aereo era quasi il suo taxi quotidiano Conosceva il calcio in ogni suo aspetto per averlo vissuto direttamente all’interno: il mondo arbitrale, quello delle squadre dilettantistiche, il professionismo minore, quello delle grandi società nazionali ed inter- nazionali. Era molto appassionato di sport e, in particolare, del calcio ma decise che non fosse l’unico interesse della sua vita. Per questo motivo, continuò sempre, con le stesse caratteristiche, l’attività profes- sionale nel settore dei petroli e coltivò attivamente la passione per il Palio. A tutto ciò occorre aggiungere l’intenso rapporto con la famiglia e gli amici di ambienti diversi dallo sport e dall’attività professionale. Continuò a vivere a Firenze, senza organizzare un appoggio a Roma, malgrado ogni settimana dovesse organizzare numerosi spostamenti in Italia e all’estero, e la residenza toscana lo obbligasse a percorsi note- volmente più lunghi. La sua versatilità gli consentì di valutare i proble- mi nel contesto generale nel quale andavano individuate le soluzioni.

70 Lo star system

Del calcio italiano, insisto, sapeva tutto. Diventò presidente della Figc in un momento molto delicato. Era uno sport popolarissimo; duran- te le partite della Nazionale, dei campionati italiani, delle coppe eu- ropee, milioni di italiani andavano allo stadio, erano davanti al tele- visore o ascoltavano la radio. Stava diventando un fenomeno sociale con rilevanti implicazioni economiche. Iniziavano le sponsorizzazioni; la televisione avviava un percorso di analisi di ogni dettaglio; i gio- catori iniziavano ad essere personaggi dello «star system». Le società professionistiche erano state obbligate a diventare Spa, ma non per questo erano amministrate in modo economicamente razionale. Dal

1968, in udienza da Papa Paolo VI: primo da sinistra, il presidente della Fifa Stanley Rous; a destra del pontefi ce João Havelange; alla sua sinistra, Franco Carraro, le signore, Artemio Franchi, altri personaggi dopoguerra, la Nazionale azzurra aveva accumulato una serie di insuc- cessi nelle competizioni internazionali. Ricordo il primo discorso di Franchi come presidente Figc rivolto, seppur indirettamente, al mondo professionistico. A Viareggio, prima dei campionati di serie A e B, al raduno degli arbitri disse che nel calcio italiano aveva raggiunto il mas-

71 simo traguardo, cioè la presidenza della Federcalcio. Da quel momento, avrebbe cercato di realizzare i suoi progetti. Se non fossero stati con- divisi da altri, avrebbero pure potuto allontanarlo ma lui, comunque, aveva conseguito il suo obiettivo. Forse, può aver usato altre parole, ma il signifi cato non consentiva dubbi interpretativi. Riuscì a realizzare i suoi programmi di adeguamento della Federazione italiana e delle sue componenti alla nuova realtà socio-economica. La spinta del ’68 in Ita- lia arrivò praticamente nel ’69, ma gli effetti continuarono molto più a lungo rispetto alla Francia, dove il movimento era nato, e agli altri paesi sviluppati del Continente. Fu, comunque, ben assorbita dal movimen- to calcistico, anche grazie alla collaborazione dell’Associazione italiana calciatori, la cui nascita fu assecondata dalla gestione Franchi. In quel periodo, manifestazioni, scioperi, episodi di violenza, terrorismo erano all’ordine del giorno. Ma tutte le partite della Lega dilettanti, del settore giovanile, dei semi-professionisti fi no a quelle di vertice, si svolgevano con la consueta puntualità; la violenza dentro e fuori gli stadi rappre- sentava una rara eccezione. Artemio era un riformista sincero e pacato. Quando voleva realizzare un progetto, lo sussurrava a grandi linee agli amici, si impegnava affi nché emergesse dalla discussione negli organi- smi competenti; poteva anche modifi care sensibilmente le situazioni: ma con gradualità, senza enfatizzare.

La delusione

La macchina del calcio si evolveva e funzionava secondo un deter- minato disegno, ma all’osservatore non attento poteva sembrare che i processi andassero avanti per forza di inerzia. Artemio controllava direttamente la Nazionale anche se, durante la sua presidenza in Feder- calcio, un dirigente aveva il particolare incarico di seguirla. Con Franchi presidente della Figc, gli azzurri sotto la guida del ct Ferruccio Valca- reggi, che viveva a Firenze, frequentava sempre Coverciano e aveva continui contatti con Artemio, riconquistarono il prestigio che il calcio italiano aveva avuto negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Nel 1968, abbiamo vinto il campionato d’Europa a Roma; nel 1970, siamo arrivati in Messico secondi al campionato del mondo, sconfi tti in fi nale da un Brasile stellare che, a 2000 metri di altitudine di Città del Messico, era imbattibile da chiunque. Quello che accadde al ritorno da Città del Messico rappresentò uno dei più grandi dispiaceri nella vita sportiva di Franchi. Dopo esse- re stati eliminati al primo turno ai campionati mondiali di calcio nel 1950, ’54, ’62 e ’66, nemmeno qualifi cati alla fase fi nale del ’58, ave- vamo ottenuto un grande risultato. Eravamo andati in fi nale dopo la

72 «storica» vittoria 4 a 3 in semifi nale con la Germania. Affrontammo il Brasile, squadra straordinaria, eccezionalmente superabile solo rea- lizzando al meglio il contropiede. Ma all’altitudine di Città del Messico era impossibile sorprendere in velocità i palleggiatori carioca. La più eloquente immagine della differenza fu il primo gol brasiliano. Palla alta, saltarono Pelé e Burgnich, all’epoca forse il più forte difensore al mondo di interdizione. Dopo un po’, l’azzurro ridiscese a terra, men- tre Pelé rimase in aria: con un colpo di reni riuscì addirittura ad alzarsi ulteriormente. E segnò.

1972, Coverciano: le performance da guardialinee del ct Ferruccio Valcareggi e da arbitro del presidente Figc Artemio Franchi Nell’aereo che riportava la squadra e la comitiva, c’era entusiasmo e la consapevolezza che il calcio italiano era fi nalmente ritornato all’apice dei valori mondiali. Prima dell’atterraggio, il comandante disse a Fran- chi: «a Fiumicino ci sono 10.000 tifosi; per avere maggiore tranquillità, potremo anche atterrare a Ciampino». Non possiamo, rispose Artemio, «privare i tifosi della gioia di abbracciare i giocatori». All’arrivo, invece, ci furono fi schi, insulti; le discussioni continuarono per mesi. La polemica sul mancato utilizzo di Rivera nel secondo tempo della partita aveva, per l’ennesima volta, diviso il nostro Paese in guelfi e ghibellini. Il fi orentino Artemio conosceva bene la storia, ma ciò non attenuò il suo profondo dispiace- re per un trattamento veramente ingiusto. Il paradosso di essere passati dal giustifi cato entusiasmo per la vittoria in semifi nale sulla Germania, agli eccessi polemici dopo la fi nale andò avanti per qualche mese. Pas- sata questa esperienza, la Nazionale riprese tra luci ed ombre la propria attività. Dopo l’insuccesso del Mondiale del ’74, la Nazionale fu affi da-

73 ta al ct . Prima da solo e dopo con la collaborazione di Enzo Bearzot, operò un totale ricambio dei giocatori: impostò il gruppo che, protagonista di un’eccellente partecipazione al Mondiale in Argentina, vinse dopo quattro anni la Coppa del mondo del 1982.

I rapporti con il Coni

II calcio era fondamentale nell’ambito del Comitato olimpico naziona- le italiano. Era grandemente lo sport più importante per popolazione di sportivi attivi; per l’impatto economico-sociale e per le emozioni che suscitava. L’autonomia dalla politica era determinata dall’autofi nanzia- mento attraverso parte delle entrate dal totocalcio. Franchi conosceva molto bene le altre discipline e le rispettava. Era molto presente alle riunioni del consiglio nazionale e della giunta del Coni. Partecipava al dibattito in modo costruttivo, animato dalla passione e dalla consape- volezza del suo ruolo. Artemio Franchi e Giulio Onesti si sono stimati

L’intervento di Franchi al 24° congresso nazionale della Federazione italiana di atletica leggera a Firenze; alla sua destra, Primo Nebiolo presidente della Federazione internazionale di atletica leggera reciprocamente, hanno collaborato sempre in modo leale: ma non si sono amati. Ho avuto un rapporto molto intenso con entrambi, dai quali ho imparato moltissimo e altrettanto ho ricevuto. Ma non ho capito perché fra di loro non si instaurò mai un vero feeling. Entrambi erano onesti, intelligenti, spiritosi. Avevano il senso del limite e della realtà; erano riservati, discreti, consapevoli delle loro responsabilità ma lontani dal sovrastimarsi. Erano entrambi educati, gentili, aperti al dia- logo; poco disponibili a concedersi pubblicamente. L’unica differenza era che Onesti, pur riservato, aveva una naturale disposizione ad in-

74 staurare un contatto umano molto aperto con l’interlocutore. Franchi, invece, era riservato anche nell’approccio con le persone, seppur sem- pre gentile e disponibile ad ascoltare. Ma, aspetto importante, nei mo- menti delicati sempre collaboravano positivamente. Quando, nel 1973, Renzo Nostini prima criticò profondamente la gestione del Coni e poi si candidò, Franchi si schierò con decisione a sostegno di Onesti. Alla vigilia del consiglio nazionale elettivo del Coni, quando ero presidente della Lega nazionale professionisti, nella sede della Federcalcio con Ar- temio organizzammo una riunione allargata a molti presidenti federali per organizzare le elezioni del giorno successivo.

L’Intent de

La scelta di laurearsi in diritto internazionale è stata premonitrice del suo grande interesse a guardare oltre i confi ni della nostra nazione. Certamente nella nostra storia sportiva è stato colui che si è dedicato al calcio internazionale con il maggior impegno e con i migliori risultati. Iniziò con la costituzione de «L’Intent de Florence», un raggruppa- mento informale di diverse nazioni europee che poteva contare su una rappresentanza più numerosa, più variegata e più rappresentativa

1968, Palazzo Vecchio, Firenze: Artemio Franchi presiede un’assemblea dell’Intent de Florence

75 del raggruppamento dei paesi allora comunisti, di quello anglosassone e di quello dei paesi scandinavi. Franchi si confrontò sui problemi; era attivo sulle vicende che riguardavano l’organizzazione, i problemi dell’arbitraggio e ogni aspetto dell’evoluzione del calcio. Sicuramente uno sport con grandi capacità di crescita ma che, anche in quei decen- ni, si confrontava con i problemi della tutela dei valori etici rispetto al rilevante ampliamento degli interessi economici collegati ai diritti televisivi, alle sponsorizzazioni, al merchandising e allo sviluppo delle imprese di abbigliamento sportivo. Nel 1973, la nomina di Artemio presidente dell’Uefa e nel 1974 quella di vice presidente della Fifa, come le altre di presidente delle commis- sioni fi nanze e degli arbitri, non sorpresero: né all’estero e né in Italia. Sul piano internazionale, Franchi si era sempre ispirato al criterio che l’Europa fosse il continente leader e che dovesse prioritariamente esse- re mantenuta l’unità. Nel 1974, due candidati si contendevano la presi- denza della Fifa: Stanley Rous, inglese e presidente uscente; João Have- lange, brasiliano. Havelange era favorito: fi n dal 1966, aveva condotto una compagna elettorale moderna e dinamica; era amico personale di Artemio e di molti italiani; aveva una sensibilità latina molto vicina alla nostra ed era il primo dirigente a livello mondiale che, nel movimento olimpico e in tutto lo sport mondiale, si opponeva alla leadership an- glosassone nel calcio. Stanley Rous rappresentava una visione superata del calcio: guardava le altre nazioni e, soprattutto quelle latine, dall’al- to in basso. Franchi, comunque, da europeo schierò tutta l’Uefa, che lo seguì, a favore di Rous, pur sapendo di sostenere una candidatura perdente. Havelange fu eletto; Franchi divenne vice presidente della Fifa, ottenendo il peso e l’autorevolezza di rappresentare tutta l’Euro- pa, continente leader.

L’Europa, un ideale

A metà degli anni settanta, la Comunità Europea doveva far compren- dere, anche alla gente comune, il proprio ruolo e desiderava che la popolazione condividesse l’ideale europeo. La commissione europea iniziò ad occuparsi di calcio, mettendo in discussione i regolamenti di alcune federazioni nazionali, che vietavano o limitavano l’utilizzo dei calciatori provenienti dall’estero, senza distinguere tra paesi comunitari e non. Anche in questo confronto, Franchi fu il leader del calcio. Colla- borando con lui, ho apprezzato la sua perizia, la fermezza e la duttilità con cui impostava il dialogo e la trattativa. Furono garantite soluzioni che consentirono uno sviluppo equilibrato e ordinato dell’attività cal- cistica. Fu salvaguardata l’importanza delle squadre nazionali per un

76 periodo di tempo suffi cientemente lungo: cioè, fi no all’avvento, nel 1995, della sentenza della Corte di giustizia europea sul caso Bosman. Franchi era legatissimo alla Toscana e all’Italia; era radicato nel suo ter- ritorio, ma contemporaneamente aveva una grande visione internazio- nale. Tutti nel mondo gli riconoscevano la capacità di avere un progetto globale, la conoscenza dei problemi concreti, l’abilità diplomatica, la fermezza dei principi, la linearità di comportamento. Non si era mai occupato, insisto, di calcio a tempo pieno. Dedicò a Siena e alla sua con- trada, la Torre, passione, tempo, dedizione. Non spetta a me spiegare il rapporto assolutamente speciale e peculiare tra Siena e il Palio. Per Artemio occuparsi della Torre con il massimo impegno, fi no a diven- tarne il capitano, signifi cava rimanere agganciato alle proprie radici, alle tradizioni, ad un aspetto importante della sua vita. Siena sembrava quasi compiacersi del fatto che Franchi, capace di avere il controllo sul calcio italiano ed internazionale, come capitano della Torre, registrasse succes- si ma anche diffi coltà, problemi e sconfi tte. Il 14 agosto 1983 ho verifi - cato quanto fosse amato e rispettato. Dopo la celebrazione della funzio- ne in chiesa, la salma portata a spalle dagli amici contradaioli attraversò la piazza del Campo e, con un lungo percorso, le vie della città: sempre nel silenzio assoluto alla presenza di migliaia di senesi che assistevano al passaggio e si aggiungevano al corteo. Quando il feretro giunse ad una delle porte della città, vi fu un applauso scrosciante, commosso, affettuoso e sobrio. Sono passati trent’anni ma l’immagine è vivissima.

Il vuoto

Artemio Franchi mi ha considerato e mi ha trattato come un fratello minore. Mi ha insegnato quasi tutto nel calcio, moltissimo nella vita; mi ha aiutato, ha tollerato i miei impeti e le mie asprezze. Quando riteneva che sbagliassi o aveva opinioni diverse, non mi affrontava mai dura- mente, non assumeva toni cattedratici: con garbo e pazienza, mi con- vinceva a cambiare opinione e atteggiamento, a capire dove e perché avevo sbagliato. Mi è stato vicino, ed è stato molto, molto generoso. Dedicò le sue capacità ed il suo prestigio per fare accettare al mondo del calcio, complesso, articolato e dove operavano ai vari livelli perso- naggi di rilievo, la mia crescita così rapida. Nel 1976, lasciò la presiden- za della Federazione italiana giuoco calcio predisponendo tutto affi n- ché fossi il suo successore. Quando, dopo le improvvise ed impreviste dimissioni di Giulio Onesti, diventai presidente del Coni, per spirito di servizio, malgrado i suoi impegni internazionali fossero diventati mol- to gravosi, Franchi accettò di ritornare a dirigere il calcio italiano. Sotto la sua guida la Federazione organizzò molto bene l’Europeo del 1980

77 e, nello stesso anno, dimostrò effi cacia e autorevolezza nella vicenda del «calcioscommesse». L’ultimo «omaggio» al calcio italiano Artemio lo regalò indirettamente proprio il giorno dei suoi funerali. Da Siena, la sua salma fu portata a Coverciano, il Centro tecnico che lui aveva volu- to e reso importante. João Havelange, presidente della Fifa, pronunciò parole bellissime e, fra l’altro, disse: «molte nazioni, tra cui l’Italia, hanno chiesto di organizzare la Coppa del mondo 1990. Per onorare la memoria di Ar- temio Franchi, la Fifa l’anno prossimo assegnerà l’organizzazione al suo Paese». Il che puntualmente avvenne. La sua morte tragica e improvvisa creò un enorme vuoto e un grande problema nel calcio italiano, europeo, mondiale. Indipendentemente dai ruoli istituzionali e dalla generale previsione che, non oltre il 1990, sarebbe diventato il presidente della Fifa, l’improvvisa scomparsa del suo contributo ha reso più diffi cile il compito di chi operava nel calcio. Ha lasciato in tutti il ricordo di una persona di qualità; in chi lo ha conosciuto, l’affettuosa riconoscenza per ciò che ha ricevuto da Artemio e la possibilità di ispirarsi al suo esempio.

Franco Carraro

1980, Franchi ospite con la Nazionale alle cappelle medicee

78 V I grandi cambiamenti

79 Le capacità di conciliare diversi interessi e di garantire certi equilibri appartenevano alla indole di Artemio Franchi: sono state due grandi referenze che hanno aiutato il suo percorso.

80 Il mediatore

Anche nel mondo del calcio le buone notizie si diffondono rapida- mente e, già negli anni cinquanta Franchi era un personaggio molto conosciuto oltre gli ambienti della IV serie e del semiprofessionismo. Così, per placare il clima bollente che animava il mondo arbitrale ita- liano diviso da una profonda spaccatura, il presidente della Lega calcio Giuseppe Pasquale nel 1958 affrontò il malessere nominando Fran- chi commissario dell’Aia, l’Associazione italiana arbitri. La missione si concluse felicemente e nel 1961 Artemio, dopo aver riportato l’Aia nell’ambito della Figc, passò il testimone a Saverio Giulini.

1962, Franchi con Mario Pescante e Giulio Onesti

81 È evidente che in alcuni momenti di tensione del calcio italiano, Fran- chi dimostrò di essere la persona giusta per superare le criticità e rag- giungere un nuovo equilibrio. D’altro lato, il buon esito delle azioni contribuì nel tempo ad aumentare le sue credenziali nel più vasto sce- nario del calcio internazionale. Agli inizi degli anni sessanta, la sua agenda iniziò ad allungarsi con im- pegni internazionali: l’ingresso nella commissione promozione dell’Ue- fa e l’incarico di responsabile della delegazione della Nazionale italiana per i mondiali in Cile. Anche quella volta, Franchi dovette far ricorso a tutte le sue scorte di professionalità, esperienza ed altro, per affrontare una trasferta che fu tutt’altro che una facile missione. A Lisbona, nel 1956, la Fifa decise di riportare, dopo dodici anni, i campionati mon- diali di calcio del 1962 nel Sud America: in Cile. La scelta suscitò molte reazioni: dell’Argentina, la nazione candidata ad ospitare una manife- stazione a cui ambiva da tempo, e dei paesi europei, compresa l’Italia. La stampa cilena reagì aspramente ai dubbi manifestati dai giornalisti italiani sulle capacità di questa nazione di ospitare una manifestazione tanto importante. Un altro motivo di contrasto, soprattutto a causa dell’accesa rivalità tra Cile ed Argentina, era la critica per la presenza nella Nazionale italiana di giocatori oriundi, sudamericani naturalizzati italiani, cioè i due argentini Omar Sívori e . Nella partita Cile-Italia, gli azzurri guidati da e , cercarono di resistere ma, in nove contro undici e con Maschio infor- tunato, non evitarono la sconfi tta. La perdita costò cara all’Italia che, nonostante il netto successo contro la Svizzera, fu eliminata proprio a causa del risultato negativo sul campo di Santiago. La partita è ricordata come una delle più violente nella storia del calcio. L’arbitro inglese Ken Aston fu criticato dall’opinione pubblica internazionale. La Federcal- cio, pur non potendo evitare le accuse alla Nazionale, dimostrò, grazie soprattutto all’azione di Franchi, grande fermezza. Una dote sicura- mente riconosciuta dalla vasta opinione e soprattutto negli ambienti del calcio dove si decidevano le scelte importanti. Così quando, il 12 luglio 1964, Giorgio Perlasca lasciò improvvisamente la presidenza del- la Lega nazionale, la migliore soluzione che si prospettò fu quella di nominare commissario Artemio, di nuovo in causa come personaggio capace di risanare diffi cili situazioni.

Nel Paese dei tulipani

Oramai, la carriera nel calcio di Artemio Franchi era già proiettata verso i massimi livelli, anche se a discapito della sua vita privata e del tempo dedicato alla famiglia. Nel marzo 1963, fu accolta con grande gioia la

82 proposta di un viaggio ad Amsterdam: tutti insieme babbo e mamma, i fi gli Giovanna e Francesco. La verità impone di ricordare che Artemio conciliò la gita con una missione professionale. Il viaggio, in ogni caso, rappresentò una felice parentesi, ricordato negli album con tante foto della famiglia tutta unita in visita a musei, canali e giardini di tulipani. Gli impegni di Franchi, in ogni caso, erano tali da non concedere molti fuori programma e, così, dovette spesso rinunciare agli incontri con gli amici, ai divertimenti e ad altre occasioni. Sacrifi cò anche la sua passio- ne culturale, la presenza agli appuntamenti musicali e teatrali. Quando la sua agenda lo permetteva, comunque, accettava gli inviti; accom- pagnava Alda a mostre e ad altre iniziative; capitava di incontrarli nei foyer e nelle platee di concerti e commedie. Purtroppo, il 1963 fu un anno anche segnato da tristi episodi con l’im- provvisa scomparsa di babbo Olinto. Artemio, avvertito in ritardo, non poté essergli vicino e salutarlo un’ultima volta, ma solo accompagnarlo al cimitero di Soffi ano, che accoglie la famiglia Franchi.

1968, vernissage: Artemio Franchi con la moglie Alda e il pittore Giovanni Bruzzi

83 Alcuni scandali

La fermezza e soprattutto la certezza di aver sempre agito per il bene del calcio italiano, consigliarono nel 1964 a Franchi, nonostante il forte scontro con il presidente della Figc Giuseppe Pasquale, di non lasciare la vice presidenza. Oggetto della controversia quello che fu defi nito come uno dei primi scandali doping. Fu merito anche di Franchi, della sua pacatezza, del suo ruolo di giudice imparziale, se il campionato 1963/64, nonostante i contrasti e le polemiche, fu archiviato senza ulteriori con- seguenze. Proprio quando il duello tra Inter e Bologna per la conquista dello era diventato molto serrato, sul campionato si abbatté lo scandalo doping. Per cinque giocatori del Bologna, gli esami il 4 marzo 1963 furono positivi. L’Italia del calcio si divise in due fazioni. Dopo una prima condanna, fu riconosciuta l’innocenza dei felsinei che riuscirono a raggiungere l’Inter in testa alla classifi ca. Le squadre terminarono en- trambe a 54 punti e fu necessario ricorrere allo spareggio. Ebbe la meglio il Bologna che vinse il suo settimo e da allora ultimo scudetto. Nel 1964, intanto, l’agenda internazionale di Artemio si allungò con il suo ingresso nella commissione per l’organizzazione della Coppa dei campioni d’Europa.

La battaglia dei pomodori

Nonostante la disfat- ta della Nazionale in Cile, la consapevolez- za che la valida presta- zione e l’azione di Ar- temio Franchi a San- tiago avevano evitato diffi coltà e reazioni anche peggiori, gli val- se, dopo quattro anni, la conferma da parte del consiglio federale dell’impegnativo in- carico di responsabile delle delegazione az- zurra alla Coppa del mondo in Inghilterra. 1966, Coppa del mondo, Londra: Artemio Franchi parla con gli Ma altri problemi era- azzurri Francesco Janich e, dietro, Gianfranco Leoncini no ancora all’orizzon-

84 te del calcio italiano. La squadra che nel 1966 affrontò l’ottava Coppa del mondo era più accreditata della formazione che si era presentata in Cile. Ma, se nel 1962, gli azzurri poterono invocare come attenuante per l’eliminazione anche la generale tensione, in Inghilterra dovettero riconoscere il mea culpa. L’eliminazione della Nazionale in Inghilterra fu sicuramente conse- guenza anche di certe scelte tecniche. Il commissario tecnico , originario di Castel Bolognese, aveva un debole per i rossoblu e molta avversione per la squadra neroazzurra di Mago Herrera. Decise delle esclusioni sorprendenti, come la mancata convocazione del genio interista Mariolino Corso: il suo posto fu occupato da Ezio Pascut- ti, preferito perché calciatore del Bologna. Anche il talento dell’Inter Armando Picchi fu superato dalla convocazione di Francesco Janich, libero rossoblu. Inserita probabilmente nel girone più facile, con Urss, Cile e Corea del Nord, l’Italia vinse 2 - 0 nell’esordio-rivincita contro i sudamericani, ma perse 1 - 0 con i sovietici. La partita con la Corea del Nord divenne determinante; agli azzurri per ottenere la qualifi cazione sarebbe bastato un pareggio. Invece, nonostante la squadra asiatica fosse nettamente sfavorita, la partita si presentò subito diffi cile, e il nord coreano Pak Doo Ik condannò la squadra italiana ad una delle sue più forti umilia- zioni. Pur non avendo responsabilità della negativa prestazione degli azzurri, Franchi dovette sopportare le reazioni degli italiani alle scon- fi tte, ed anche qualcosa di più. La notte del 24 luglio 1966 all’aeroporto Cristoforo Colombo di Genova, seicento tifosi arrabbiati per la clamo- rosa disfatta contro la modesta Corea del Nord, armati di uova mar- ce e pomodori, aspettarono l’aereo degli azzurri in arrivo da Londra. Nessuno dello staff della Nazionale riuscì a cavarsela senza ricevere almeno un pomodoro. Nemmeno Franchi evitò questo assedio ma, consapevole degli errori in campo, considerò questa esperienza come una valida lezione per il futuro.

La paura

Le polemiche continuarono. Con il medico della nazionale Fino Fini, Artemio fu ingiustamente accusato da Edmondo Fabbri di averlo at- taccato alle spalle per colpire indirettamente il presidente Giuseppe Pasquale. Queste dichiarazioni costarono un caro prezzo al ct che, que- relato da Fini, dopo la sospensione in via cautelativa, fu rimosso dall’in- carico. Artemio Franchi non si accontentò e pretese il riconoscimento uffi ciale del suo corretto comportamento da una commissione di in- chiesta federale composta da tre magistrati. Questi ed altri avvenimenti

85 sancirono la chiusura dell’epoca Pasquale. Fu accusato di essere stato assente in Inghilterra ed anche in Cile: per negligenza ed anche perché - ed era una sua debolezza nota all’opinione pubblica - terrorizzato dall’idea di volare. Pasquale uscì nel 1966 con un anno di anticipo dal mondo del calcio rassegnando le sue dimissioni dalla Figc. Fu sostituito l’anno successivo da Artemio Franchi, a cui deve essere riconosciuto il grande merito di aver permesso al calcio italiano di riconquistare un ruolo da protagonista in campo internazionale. Un obiettivo, co- munque, che gli era già stato affi dato dal luglio 1966 con il suo ritorno come commissario straordinario della Lega calcio: un ruolo che già aveva ricoperto dopo la presidenza Perlasca. Anche in questi ambienti, la migliore soluzione per superare il disorientamento successivo alla sconfi tta degli azzurri contro la Corea del Nord, fu quella di affi darsi nuovamente alle capacità di Franchi. Questa straordinaria gestione si rivelò strategica: il temporaneo allontanamento di Aldo Stacchi dalla presidenza della Lega nazionale consentì di raggiungere un solido equi- librio e gli permise, una volta recuperato il ruolo al vertice, di mantene- re la presidenza fi no al marzo 1973.

86 Testimonianza

Federcalcio, il cammino continua

Giancarlo Abete dal 2 aprile 2007 è presidente della Figc; è stato confermato il 14 gennaio 2013. È stato deputato nell’ottava, nona e decima legislatura. Imprenditore ed esponente del mondo industriale, è stato presidente del settore tecnico della Figc; della Lega professionisti serie C; per due volte, vicepresidente della Federazione. È stato re- sponsabile della delegazione azzurra ai Mondiali di Germania del 2006. Dal 2011, è vicepresidente Uefa.

L’anniversario della scomparsa di Artemio Franchi coincide con una fase storica di profonda evoluzione del calcio internazionale, sia sotto il profi lo geopolitico ed economico, che della struttura delle competi- zioni. È quindi anche l’occasione per una rifl essione su alcuni dei cam- biamenti più signifi cativi intercorsi negli ultimi trenta anni.

87 1973, Franchi e la Nazionale: dietro ad Artemio, l’attaccante Ciccio Graziani; da sinistra, nella foto: , Felice Pulici, ,

88 Un omarino furbo e accorto

L’avvento nel 1967 di Franchi alla presidenza della Figc segnò l’inizio di un processo di sostanziale cambiamento dei meccanismi in grado di condizionare l’apparato e il funzionamento del pianeta calcio. La cre- scente infl uenza di alcuni elementi, come gli sponsor, i diritti televisivi, le infrastrutture, la libera circolazione dei giocatori stranieri, furono identifi cati da Franchi con pragmatico realismo come variabili, se non adeguatamente governate, potenzialmente destabilizzanti. Una visione molto lungimirante: a distanza di tempo, oggi più che mai, trova ri- scontri oggettivi in rapporto alle linee di indirizzo e sviluppo del calcio mondiale, alle implicazioni strutturali, alle sfi de e opportunità connesse allo sviluppo delle competizioni. Nella «Storia critica del calcio italiano», descrive Franchi, alla vigilia della sua elezione alla massima carica federale, come «omarino furbo e accorto. (…) Anche quando lo conosciamo poco, ammettiamo tutti che la sua applicazione porterà a risultati apprezzabili». Considerazioni che, se nella premessa tradiscono un velo di diffi dente cautela, nella sostanza testi- moniano le grandi aspettative riposte dal principale cronista calcistico del secolo scorso nell’avvento di una personalità come Artemio, giudi- cato capace di interpretare il ruolo di presidente della Figc in maniera moderna. Cioè, era un manager d’azienda che, con la necessaria for- mazione culturale, garantiva le premesse per proiettare il calcio italiano in una prospettiva ambiziosa, in una visione più moderna di quella che animava il panorama calcistico nazionale dell’epoca.

Il più importante dirigente del calcio azzurro

Non ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere o lavorare al fi an- co di Artemio Franchi, senz’altro il più grande dirigente italiano della storia del calcio. Abbiamo avuto un percorso in parte simile sia nell’esperienza impren- ditoriale che nel cursus honorum della famiglia del calcio italiano dove,

89 a partire dal 1988, ho avuto l’onore di presie- dere il settore tecnico della Figc in due di- stinte fasi storiche e la Lega professionisti di serie C; di coordinare la delegazione azzurra in occasione della vittoria nella Coppa del mondo in Germania nel 2006; per poi, nel 2007, essere eletto presidente fede- rale e quattro anni dopo vice presidente della Uefa. Queste esperien- ze hanno contribuito in maniera determinan- te a comporre il mio background culturale e sportivo attraverso un confronto quotidiano con le diverse proble- matiche del mondo del calcio, la sua gover- nance, le molteplicità e le variegate specifi cità delle componenti fede- 1975, Artemio Franchi: per il suoi impegni, era un cittadino rali. Di tutto ciò, così del mondo come delle esperienze tramandate dai miei il- lustri predecessori nel defi nire linee di indirizzo chiare e condivise, ho cercato di fare tesoro nella costante ricerca di un equilibrio che, fun- zionale a un processo di sviluppo compatibile con gli scenari sportivi, economici, politici e sociali di riferimento, sia orientato alla crescita virtuosa del calcio.

L’università del pallone

La realizzazione del Centro tecnico federale, fortemente voluta dal mar- chese Luigi Ridolfi e da Dante Berretti, ha costituito il fulcro sul quale ha fatto perno l’opera riformatrice di Artemio Franchi. Sotto la sua pre-

90 sidenza, Coverciano acquistò defi nitivamente un preciso ruolo strategi- co nel quadro di un progetto più complesso, caratterizzato dall’impegno di tradurre in elementi tangibili le linee guida tracciate da Franchi all’atto del suo insediamento. Le sue azioni furono indirizzate al processo che in seguito sarà identifi cato come il più formidabile sviluppo strutturale, organizzativo e tecnico conosciuto dal calcio italiano nel dopoguerra. Nel periodo dell’inizio dell’ascesa di Artemio, il calcio nazionale usciva da un ventennio 1946/1966 denso di diffi coltà, caratterizzato da insuc- cessi e amare delusioni, come la tragedia del Grande Torino, la mancata qualifi cazione della Nazionale ai Mondiali di Svezia del 1958; la dop- pia, prematura eliminazione dalle fasi fi nali delle edizioni in Cile 1962 e Inghilterra nel 1966. Nella prospettiva disegnata da Franchi, l’Italia calcistica intravide fi nalmente la possibilità di far emergere in maniera organica un potenziale rimasto sino a quel momento inespresso sia sul piano tecnico che soprattutto politico. La proiezione internazionale del nuovo gruppo dirigente, che integrò la presidenza Franchi nel corso degli anni contribuì in maniera decisiva, in un periodo di tempo relativamente breve, a qualifi care l’esperienza della scuola calcistica italiana. Dall’impulso assicurato allo sviluppo del settore tecnico, improntato sulla logica della ricerca, del confronto e interscambio con le altre culture del calcio mondiale, scaturì un pro- cesso di evoluzione della didattica che fu presto integrato con la formazione delle va- rie fi gure professionali dell’attività calcistica. Coverciano diventò una vera e propria uni- versità del calcio eu- ropeo, un laboratorio di idee costantemente proiettato verso il fu- turo, un punto di rife- rimento qualifi cato e prestigioso nel conses- so del calcio europeo e mondiale.

1976, Artemio Franchi

91 Un modello sempre attuale

Con sagacia, accortezza e buon senso, Franchi ha insegnato al mondo del calcio italiano a prendere consapevolezza della propria dimensione per proiettarla in un fenomeno più globale. Lo ha aiutato a consolidare e mettere a frutto un consistente patrimonio di esperienze culturali per predisporlo alle sfi de che, dopo pochi anni, avrebbero profondamente modifi cato la fenomenologia, la diffusione, le variabili economiche e sociali del calcio; per governare i meccanismi, le criticità e risponde- re adeguatamente all’imminente trasformazione del calcio moderno, Franchi sottolineava la necessità di articolare un approccio più struttu- rato e organico allo scenario che si delineava già all’indomani della vit- toria azzurra nel campionato europeo del ‘68. Soprattutto evidenziava l’esigenza inderogabile che l’Italia doveva recitare un ruolo da prota- gonista nello scenario calcistico internazionale, partecipare attivamente alla formulazione dei nuovi meccanismi gestionali, delle sue regole di indirizzo e funzionamento. La Federcalcio è stata più volte ispirata da questi principi negli ulti- mi trenta anni di storia, soprattutto ogni qualvolta si è manifestata la necessità di compiere una profonda rifl essione, mirata a individuare nuove prospettive di indirizzo in relazione al mutare degli scenari dove è istituzionalmente preposta ad operare.

Il rilancio

Come in passato, anche nei periodi più recenti, alcune vicende sportive hanno costituito l’innesco di un processo di revisione: l’amara elimi- nazione dalla Coppa del mondo in Sudafrica, la clamorosa esclusione della under 21 dalle fi nali europee e dal Torneo olimpico imposero, nell’estate 2010, un’approfondita analisi sull’insieme dell’attività di for- mazione di alto livello, sul ruolo interpretato dai vari stakeholders, sulle opportunità offerte dal sistema di norme che regolano il sistema cal- cistico, sulle nuove sfi de correlate all’introduzione di inediti strumenti di governance. Seppur con qualche fi siologica criticità, ripercorrendo quest’ultimo triennio, il calcio italiano, ancora una volta, ha saputo trovare nelle pro- prie risorse sostanziali e morali la forza per tornare ad interpretare un ruolo da protagonista. Ha individuato soluzioni effi caci, ha sviluppato modalità di approccio originali nell’implementare un programma di ri- lancio capace di valorizzare al meglio il consistente patrimonio tecnico, manageriale e sportivo di cui dispone. I risultati conquistati sul campo

92 e le modalità con cui sono stati conseguiti, come la fi nale del cam- pionato europeo 2012, la qualifi cazione alla fase fi nale dell’Europeo degli under 21 e del campionato europeo femminile, testimoniano una corretta metodologia nell’individuazione dei percorsi intrapresi, le pro- fessionalità e risorse coinvolte, le soluzioni implementate. Dall’altro, hanno anche apportato valore aggiunto sul piano squisitamente emo- zionale conseguendo l’obiettivo di riconquistare il consenso di tifosi e appassionati. Lo spirito che ha accompagnato l’intero percorso, la capacità del calcio italiano di fare sistema e superare insieme ogni diffi coltà attingendo al consistente patrimonio di conoscenza, esperienza, risorse, valori, testi- moniano ancora oggi la modernità del messaggio trasmesso da Arte- mio Franchi. Ho avuto l’onore di presiedere, dal 1997 al 2002, la Fondazione Fran- chi, così come ho avuto l’opportunità, come presidente della Lega di serie C, di collaborare in altre occasioni su una pluralità di iniziative culturali e progettuali. Nel 2013, nel trentennale della morte di Artemio Franchi, la Fede- razione e la Fondazione Franchi hanno l’obiettivo di individuare un percorso comune, riunire le proprie progettualità, le proprie iniziative e dare vita alla Fondazione Museo del Calcio Artemio Franchi affi nché il nome di Artemio Franchi accompagni anche nelle generazioni future il calcio, la sua storia, il suo avvenire.

Giancarlo Abete

30 novembre 1977, davanti al presidente dell’Uefa Artemio Franchi in occasione del sorteggio del campionato europeo di calcio 1978/80

93 94 Testimonianza

Filo diretto

Franco Calamai, affermato giornalista sportivo, è stato responsabile della reda- zione fi orentina della Gazzetta dello Sport e inviato nel mondo. La sua professionalità è stata riconosciuta con vari premi. Molto vicino ad Arte- mio, il loro rapporto si è consolidato con la presidenza di Franchi alla Figc.

L’ironia, indice di grande intelligenza, era una delle armi vincenti di Artemio Franchi. La usava spesso, fi no a sconfi nare nel sarcasmo, negli incontri con i giornalisti e non solo con loro. Le sue battute, mai banali ma anzi cariche di signifi cati, pronunciate sempre con semplicità, sim- patia e accompagnate da un sorriso disarmante, bastavano per «chiude- re» un discorso, che diversamente lo avrebbe costretto a dichiarazioni molto impegnative.

95 1982, Artemio Franchi con

96 Ventidue uomini in mutande

Artemio era un personaggio molto abile nell’unire pazienza, arguzia, scetticismo, disponibilità. Erano alcune sue qualità che metteva in cam- po ogni volta che i cronisti lo incalzavano con insidiose domande. Oc- correva sdrammatizzare una situazione? Nessun problema. Qualche volta Artemio sorridendo diceva: «Non prendete troppo sul serio una partita di calcio. In fondo, sono ventidue uomini in mutande che corrono dietro ad un pal- lone». Oppure: «Non siate troppo severi con il nostro mondo. Se rifl ettete bene, in Italia solo le partite di calcio rispettano rigorosamente l’orario di inizio». L’ironia la utilizzava anche in circostanze diverse dai rapporti con la stampa. Una volta a Coverciano incrociò Antonio Matarrese, diventato da poco presidente del Bari Calcio. Una stretta di mano, i complimenti e dopo Artemio disse: «Non so se la sua scelta sia stata giusta, considerato che avrà da soffrire molto e non soltanto nel portafoglio». Dopo, per concludere, una fi ne risata. Ricorreva all’ironia anche nel commentare alcune vicende personali. Quando ero studente liceale, ricordava, «chiesi di far parte della squadra di calcio della scuola. Dopo tanti no, fi nirono per accettarmi. Mi schierarono all’ala sinistra, ruolo notoriamente riservato alle schiappe. Dentro di me provavo rabbia ma ero rassegnato e consapevole che purtroppo quello era il ruolo che meritavo». Più volte sosteneva che era determinante esprimere pareri od assumere atteggiamenti nei tempi e nei modi giusti. Come conferma di questa sua tesi, raccontò, con parole nelle quali non mancava l’ironia, un epi- sodio personale. «Quasi segretamente mi ero iscritto ad un corso per arbitri di calcio. Non sapevo come dirlo alla mia fi danzata, sapendo che non avrebbe appro- vato. Una sera al cinema Gambrinus, era molto coinvolta dal fi lm. Mi feci coraggio, le sussurrai la mia aspirazione. Non sorrise, né fece cenni di contentezza. Ma non disse nemmeno no». Non solo ironia, ma anche grande disponibilità con la stampa e se- gnatamente con noi giornalisti italiani. Franchi si faceva sempre vede- re in occasione delle competizioni internazionali. Così, nel 1976, alle Olimpiadi di Montreal arrivò in sala stampa per sapere se avevamo dei problemi. Fu una visita molto utile perché non riuscivamo ad ottenere

97 l’autorizzazione per entrare nel settore stampa dello stadio. Il suo inter- vento fu immediato e, naturalmente, decisivo.

L’uomo in nero

Artemio amava ricordare anche una sua «avventura» da arbitro, sebbe- ne come tale non andò oltre la direzione di partite di serie C. «Un giorno, spiegava Artemio, diressi a Firenze un incontro sul campo dell’Assi Giglio Rosso. «Si concluse con un assedio dei tifosi inferociti verso l’uomo in nero, chiuso a doppia mandata negli spogliatoi. Per fortuna – aggiungeva in modo ironico –, la stanza era confortevole, il clima benigno, il panorama gradevole. Dopo due ore di assedio, la liberazione».

1974, cena con gli arbitri: fra gli invitati, a destra di Franchi, Albino Buticchi presidente del Milan dal 1972 al 1975 I rapporti con i giornalisti iniziarono nel 1949, quando il giovanissimo Artemio fu chiamato a sostituire il maestro Ermanno Ugolini nel ruolo di segretario alla Fiorentina Calcio. Rimase alla società viola un periodo molto breve, ma suffi ciente per scambiare pareri con i giornalisti, do- mande e risposte: ma sempre con i giusti modi e toni. Già allora nelle parole di Franchi si coglieva il senso sia di una profonda conoscenza sia del calcio che dell’umorismo. Fu licenziato dalla Fiorentina nel 1951 dall’allora neo presidente Enrico Befani. I contatti con Franchi proseguirono e si intensifi carono quando, nel 1959, assunse la presidenza, con sede nel centro storico fi orentino, del- la costituente Lega semiprofessionisti. La nomina assicurò continuità perché Artemio era già stato commissario di quella Lega, che prima si chiamava interregionale.

98 Una volta arrivato ai vertici del football, prima quello nazionale poi quello mondiale, erano sempre più rari a Firenze i suoi incontri con i giornalisti. Anche perché, comprensibilmente, oltre ad affrontare i gravosi e complessi problemi del calcio internazionale, doveva anche gestire la sua azienda nel settore petrolifero.

La rimpatriata

Capitava che riuscisse a ritagliarsi del tempo per organizzare una «rim- patriata» con i cronisti fi orentini in un ristorante nella zona di piazza Santa Trinita. Erano incontri molto piacevoli. Reciprocamente: per noi giornalisti, ma anche per Franchi. Talmente tanto apprezzati che, su- perata mezzanotte, il ristoratore ci invitava ad uscire perché doveva chiudere il locale. Ma non ci salutavamo; restavamo nella piazza ancora per molto tempo continuando i nostri discorsi. La stampa ha avuto un bel rapporto con Franchi. Lo conferma un aspetto: in molti anni di frequentazioni, non si ricorda un suo litigio con i giornalisti. Un momento di crisi, o più giustamente di incompren- sione, in effetti, si verifi cò, conseguenza di una polemica alimentata dai giornalisti del nord e del sud. Fu quando il capoluogo toscano aveva nello stesso momento un esponente di fama mondiale come Franchi;

Euro ’80, tribuna d’onore allo di Roma: nella seconda fi la, con Artemio Franchi, fra gli altri, il presidente della Repubblica Sandro Pertini, Franco Carraro, Federico Sordillo

99 l’allenatore della nazionale Ferruccio Valcareggi; il Centro tecnico fe- derale di Coverciano ed alcuni arbitri molto quotati, tra cui Gino Me- nicucci. I giornalisti del nord e del sud d’Italia assunsero atteggiamenti ostili verso Franchi. Gli rimproveravano, fantasticando, di essere stato lui a voler concentrare il «potere» del calcio nella sua città, cioè ad eleg- gere Firenze capitale del football italiano. Artemio, consapevole di es- sere al di sopra di ogni sospetto, affrontò subito l’argomento. Ristabilì la verità: anche in virtù del suo carisma, della sua onestà intellettuale, della sua grande abilità nel mediare le situazioni anche più delicate. Ma anche in quel dialogo, non mancò un pizzico di ironia. Risolse la que- stione; tornarono la serenità, la stima e la collaborazione: tra Franchi e la stampa nazionale. Ho già ricordato la preziosa presenza di Artemio tra i giornalisti negli appuntamenti internazionali. Uno dei suoi interventi risolutivi fu in occasione dei Mondiali del 1982 a Madrid, vinti dall’Italia. Prima dell’i- nizio delle partite, si era creata una situazione delicata e grave: cioè, una spaccatura tra alcuni rappresentanti dell’informazione italiana ed il commissario tecnico Enzo Bearzot in ritiro con la squadra. Alcuni quotidiani avevano pubblicato delle notizie maliziose su qualche cal- ciatore azzurro. Queste voci fecero veramente infuriare Bearzot. La reazione del ct fu drastica tanto da imporre a tutto il team azzurro il silenzio stampa con i media italiani.

Momenti di gloria

Franchi intervenne con estrema rapidità e determinazione. Organizzò degli incontri ravvicinati tra le parti in causa. Erano situazioni come, del resto, nei momenti di tensione, in cui emergeva un Artemio molto severo e deciso. Riuscì a raggiungere l’obiettivo. Ristabilì un clima di di- stensione, riportando prima la calma e dopo una nuova collaborazione. Tornò l’equilibrio in un ambiente dove, invece, si temeva che per molto tempo avrebbe prevalso la guerra. Artemio, nei periodi in cui occupava posti di grande responsabilità ai massimi livelli del football mondiale, era molto stimato dai direttori dei più importanti organi d’informazione, non solo sportivi. Franchi è stato, diceva Candido Cannavò direttore della Gazzetta dello Sport, «ai vertici del nostro sport in una dimensione mondiale. Dirigente rassicu- rante, esperto, equilibrato con una grande capacità di mediazione, dotato di una di- plomazia naturale. Ha gestito con la stessa abilità i momenti di gloria e quelli tur- bolenti della grandi sconfi tte del nostro calcio». Toscano pieno di intelligenza ed ironia, proseguiva, «ha dato al calcio italiano più di quanto si possa pensare.

100 1968, Artemio Franchi accompagna il presidente della Fifa Stanley Rous in udienza da papa Paolo VI

1972, il congresso Uefa all’Hotel Hilton, Roma: con Franchi, al tavolo dei relatori, fra gli altri, presidente della Fédération française de football dal 1969 al 1972, Hans Vangerter segretario Uefa Dobbiamo riconoscere che in grandissima parte la crescita del nostro calcio è un suo merito. È stato uno dei padri, forse il maggiore, dell’Europa calcistica moderna». Era generale l’opinione dei meriti di Franchi. È stato un pilastro del calcio, sosteneva Giorgio Tosatti, direttore del Corriere dello Sport. «Ha trovato grande spazio e gloria in campo internazionale. È stato uno dei pochi italiani che sia arrivato a contare nel mondo: signorile e pacato candidato a sostitui-

101 re Havelange alla guida del calcio mondiale. Franchi con la sua capacità decisionale e la sua intelligenza ha dato al movimento calcistico impulso, razionalità, freschez- za, maggiore giustizia e strutture idonee ad adeguarsi ai tempi». Ha allargato, aggiungeva, «il calcio ai paesi del terzo mondo e lo ha aperto alla Cina; ha contri- buito a diffondere questo sport in zone dove era inesistente o ai primordi. Diventato presidente della Figc, dopo la sconfi tta degli azzurri contro la Corea ai campionati mondiali di calcio del 1966, Franchi fu artefi ce della rinascita della Nazionale che vinse la Coppa Europa nel 1968; fu seconda ai Mondiali in Messico; terza in Europa e prima in Spagna nel 1982. Insomma è stato un personaggio di cui l’Italia può essere orgogliosa». L’ultimo suo omaggio al calcio italiano quindi anche a noi cronisti, fu l’assegnazione dei campionati mondiali all’Italia del 1990. Lo appren- demmo a Coverciano il 14 agosto 1983, in una giornata oppressa da un caldo soffocante, ascoltando Havelange, presidente della Fifa, quando, davanti al feretro di Franchi, sommerso da una montagna di fi ori, disse: «Dobbiamo impegnarci a realizzare il desiderio di Artemio». La promessa fu solennemente mantenuta l’anno successivo quando fu decisa la sede di quella Coppa del mondo. Fu, difatti, assegnata all’Italia preferita a Germania, Inghilterra e Unione Sovietica.

Franco Calamai

102 VI La svolta

103 Il 1967 fu un anno molto importante per Artemio Franchi che, dopo il periodo da vice, si insediò alla presidenza della Figc, la Federazione italiana giuoco calcio.

104 La Figc

Ai vertici della Figc, Franchi raggiunse risultati memorabili, che ele- varono il calcio italiano. Dopo un periodo negativo continuato per trent’anni, la Nazionale, guidata dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi, tornò a vincere nelle competizioni internazionali: conqui- stò il campionato europeo di calcio 1968 e arrivò seconda alla Coppa del mondo 1970. Per Franchi, fu l’inizio di una parentesi molto positiva che decretò la sua affermazione anche nel contesto internazionale. Solo pochi mesi e, nel 1968, fu nominato vice presidente dell’Uefa, l’Unione europea delle federazioni calcistiche per poi, il 15 marzo 1973, arrivare alla presiden- za. Nel 1974, Franchi fu eletto vice presidente della Fifa, la Federazione internazionale del calcio. Artemio Franchi fu presidente della Figc fi no al 1980, con un’interru- zione di due anni. Furono anni intensi: realizzò importanti iniziative; concluse accordi, viaggiò molto. Per le sue responsabilità internaziona- li, lasciò la presidenza dal 1976 al 1978 anche se, nella realtà da Berna, sede della presidenza dell’Uefa, consigliava le giuste strategie negli am- bienti del calcio italiano. Fin dal suo insediamento al vertice della Figc, iniziò un’effi ciente azione di rinnovamento. Il calcio è materia molto complessa: certi fenomeni possono essere oggetto di differenti interpretazioni. Qual- che decisione di Franchi, anche per la lunga parentesi in cui guidò la Figc, può non essere stata condivisa. Ma è anche evidente che il tempo ha offerto la migliore conferma dell’ampio consenso che ha accompagnato la sua azione. Grande è stato il suo contributo come presidente della Figc ed importante la sua opera. In primis, deve es- sergli riconosciuta la paternità della scelta del nuovo commissario tecnico della Nazionale Ferruccio Valcareggi: un triestino uscito dal Centro di Coverciano, senza un curriculum di prestigio ma, comun- que, capace con equilibrio e pacatezza, ma anche autorevolezza, di guidare una squadra con molti divi.

105 La «partita del secolo»

La riscossa della Nazionale, con Franchi presidente Figc, non si fece attendere: nel 1968, con Valcareggi in panchina, a Roma conquistò il titolo europeo superando nell’incontro fi nale la Jugoslavia e, dopo due anni, ai Mondiali in Messico, contese al Brasile il titolo più ambito: la Coppa del mondo Rimet. Vinsero i brasiliani, guidati da un attaccante prodigio: Pelé. Gli azzurri uscirono, comunque, a testa alta per la su- periore prestazione allo stadio Atzeca, il 17 giugno 1970, nella partita delle semifi nali contro la Germania Ovest, vinta dall’Italia con un ro- cambolesco 4 a 3 ai tempi supplementari. Resta uno dei più celebri incontri, elevato poi effettivamente a «partita del secolo».

Nelle foto, l’incontro al Quirinale con il capo dello Stato Giuseppe Saragat dello staff azzurro dopo Euro ’68 a Roma

106 Mexico ’70: Artemio Franchi parla con Gigi Riva

La Nazionale italiana della partita del secolo

La presentazione della targa che i messicani fecero erigere allo stadio Azteca di Città del Messico per ricordare la spettacolare partita delle semifi nali di Messico ’70 quando l’Italia, il 17 giugno 1970, vinse contro la Germania Ovest con un entusiasmante 4 a 3

107 I campionati mondiali in Messico nel 1970 coincisero con un’altra svol- ta: quella di un cambiamento del rapporto fra i giornalisti e Franchi che adottò un diverso approccio: quello del confronto e del colloquio per prevenire polemiche e accuse. «Buongiorno», il saluto con cui Artemio una mattina, quando si delineava la possibilità per l’Italia di arrivare alla fi nalissima dei campionati del mondo, si presentò ai giornalisti nella sala del Maria Isabel, l’hotel che a Città del Messico ospitava gli inviati. Ovviamente, fu ben accolto; l’approccio fu l’occasione per migliorare la conoscenza ed avviare relazioni di simpatia e confi denza. Fu il pri- mo di una lunga serie di incontri perché Artemio si ripresentò pun- tuale ai giornalisti prima di ogni importante partita. Si instaurò, così, un rapporto più stretto con vantaggi reciproci: ad Artemio servì per prevenire commenti non graditi, ai giornalisti assicurò la disponibilità di una preziosa fonte delle informazioni che Franchi poteva decidere di diffondere.

L’orologio in ritardo

Alla fi nalissima a Città del Messico, gli azzurri non erano i favoriti: la stanchezza accumulata nella semifi nale era alta, l’altitudine condiziona- va la resistenza fi sica e le prestazioni sportive. Altro aspetto importante e negativo era l’ostilità dei tifosi messicani nei riguardi dell’Italia, che

Mexico ’70, fi nalissima Brasile-Italia: Pelé, intelligenza e velocità, precisione e senso del gol esemplari

108 aveva eliminato i padroni di casa ai quarti con un sonoro 4 - 1. Soprat- tutto, l’avversario era la squadra considerata più forte di tutti i tem- pi: il Brasile di Pelé che, oltre all’asso del Santos, schierava anche altri campioni, come Jairzinho, Carlos Alberto e Tostao. A tenere banco fu ancora una volta, secondo un copione conosciuto alla cronaca sportiva del periodo, il dualismo Mazzola - Rivera e alcune diffi coltà di Valca- reggi a gestire la squadra. Nel primo tempo, al primo gol di Pelé, l’Italia rispose stringendo i denti e trovando con Boninsegna il pareggio al trentasettesimo. Il secondo tempo premiò i brasiliani; il clima e la fatica bloccarono gli azzurri, incapaci di reagire alle iniziative dei sudameri- cani che passarono per altre tre volte. L’ingresso in campo di , a tempi quasi scaduti, passati alla storia come «i sei minuti» del centrocampista milanista, servirono solo ad alimentare le polemiche, ma non riequilibrarono una gara ormai dominata dai carioca. L’atteggiamento di Franchi ancora una volta fu quello, nell’interesse ge- nerale, di limitare le contestazioni. «Valcareggi aveva il cronometro che andava indietro, credeva che si dovessero giocare ancora più di trenta minuti quando ha mandato in campo Rivera», disse Artemio in sala stampa. Ed aggiunse. «Alle alte altitudini le lancette funzionano male. E non soltanto gli orologi, purtroppo!». Il risultato fi nale se, da una parte, mortifi cò l’Italia, dall’altra sancì in modo inequivocabile la superiorità di quel Brasile, fra le migliori for- mazioni della storia del calcio. Nonostante la sconfi tta, in ogni caso, la Nazionale azzurra che partecipò a Messico ’70 continua ad essere ricordata come una delle migliori dal dopoguerra, grazie alla combina- zione di alcune soluzioni vincenti: il portiere preferito a , già titolare nella squadra vittoriosa al campionato europeo 1968; una difesa solida; la coppia d’attacco eccellente Boninsegna - Riva; il centrocampo che poteva permettersi di tenere fuori il pallone d’oro Rivera. Inoltre, la partita del secolo fra Italia e Germania Ovest fu tanto spet- tacolare da convincere i messicani ad erigere in ricordo una targa che riconosce l’eccellente prestazione azzurra: «El rinde home- naje a las selecciones de Italia (4) y Alemania (3) protagonistas, en el Mundial de 1970, del partido del siglo. 17 de junio de 1970».

L’attacco

La Coppa del mondo Rimet andò in Brasile, mentre la Nazionale az- zurra tornò in Italia: a Fiumicino, i ragazzi furono accolti trionfalmen- te, mentre per Ferruccio Valcareggi e l’accompagnatore Walter Man- delli vi furono attacchi ed insulti. Da questa campagna denigratoria

109 contro lo staff, si salvò Artemio Franchi: vuoi per un comportamento non opinabile ed anche perché il rapporto confi denziale che aveva in- staurato con i media e il favore dell’opinione pubblica giocarono a suo favore. La reazione dei tifosi contro lo staff tecnico deluse Franchi amareggiato da un comportamento capace di cancellare con una scon- fi tta, comunque dignitosa, una grande vittoria con la Germania Federa- le: costruita nel tempo, risultato di anni di impegno e sacrifi ci. In ogni caso, quando la Nazionale, squadra e staff, furono ricevuti al Quirinale, per il tradizionale incontro con il capo dello Stato Giuseppe Saragat, i sorrisi furono generali e i dissapori defi nitivamente accanto- nati. Dall’edizione successiva nel 1974, il campionato mondiale cambiò nome e prese il nome di Coppa del mondo Fifa.

1970, Franchi con

110 Il compleanno

Il 75° anniversario della Figc fu un lungo compleanno: iniziò il 15 mar- zo 1973, con il quinto congresso straordinario Uefa a Roma e l’elezio- ne di Franchi alla presidenza europea; continuò con un calendario di grandi incontri e partite, anche una doppia amichevole importante con Brasile e Inghilterra. 75 anni di vita sono un’importante ricorrenza tanto più se riguarda- no una Federazione, come sottolineava Franchi, «discussa in ogni periodo della sua vita», arrivata, comunque, «al traguardo di oltre 700mila calciatori tesserati». Il 7 giugno, i 75 anni della Figc furono celebrati in Quirinale dove Franchi incontrò un altro presidente della Repubblica: Giovanni Leone, che consegnò il premio ai giocatori che avevano indossato la maglia azzurra più di venti volte. Artemio lasciò la presidenza della Figc nel 1976, per ritornarvi nel 1978 quando il suo successore Franco Carraro fu nominato presidente del Coni.

75° anniversario Figc: il 7 giugno 1973, il presidente Artemio Franchi e i vertici Federcalcio furono ricevuti in Quirinale dal presidente della Repubblica Giovanni Leone

111 Artemio Franchi consegna il volume celebrativo del 75° anniversario della Figc al presidente della Repubblica Giovanni Leone Il terremoto in Friuli

Gli impegni dell’agenda di Franchi non diminuirono dopo la decisione, nel luglio 1976, di lasciare la presidenza della Figc. Artemio fu, difatti, chiamato alla guida della Lega nazionale dilettanti. Non è certo, ammise all’assemblea in occasione del suo insediamento, «la mancanza di tempo che mi ha convinto ad abbandonare la presidenza federale. Altre considerazioni, comunque, mi suggeriscono che non è opportuno restare in una stessa poltrona per molto tempo». Lascio, continuò Franchi, «con ramma- rico la Figc, ma ho accettato la designazione alla presidenza della Lega nazionale dilettanti con grande entusiasmo». Confermò il suo impegno nell’editoriale del giornale Calcio Dilettanti, l’house organ, il periodico di questa ca- tegoria. «Mi inserisco nella grande famiglia del calcio dilettantistico con profonda umiltà e grande rispetto, con la speranza che, come i miei predecessori Ottorino Barassi e Carlo Grassi, al termine del mandato possa lasciare al mio successore una Lega forte e sana». Franchi fu un presidente della Lega dilettanti molto presente, rappresentativo ed anche generoso. Portò il suo conforto alle popolazioni del Friuli duramente colpite dal terremoto del 1976 e si impegnò per assicurare un importante contributo. In questa parentesi, visse il calcio in modo umano ed immediato; par- tecipò alle assemblee regionali, sensibile ai problemi dei dirigenti locali dei quali apprezzava il grande lavoro. Un terzo degli italiani che prati-

112 cano il calcio attivo, sia a carattere agonistico che ricreativo, intervenne Franchi, «svolge l’attività nell’ambito della Lega dilettanti. Questo fenomeno non può essere ignorato dalle forze politiche e dagli enti locali. Deve rappresentare uno stimolo affi nché sostengano l’azione sociale del settore». Tanti gli aspetti per i quali Franchi si impegnò per contribuire al miglioramento di questa realtà: impianti sportivi, calcio nella scuola e inserimento nei giochi della gioventù, attività giovanile con l’istituzione dei campionati under 20; ancora molti altri i contributi di Franchi al mondo del calcio dei dilettanti. Dopo il suo ritorno, dal dicembre 1978, alla presidenza della Figc, non abbandonò la Lega dilettanti e continuò a sostenere questi ambienti che, osservava, «si prendono a cuore centinaia di migliaia di calciatori, il cui spettacolo non è scenografi co come quello della massima serie anche se, per la sua importanza, è altrettanto spettacolare». Artemio si allontanò defi nitivamente dalla Federcalcio nel 1980, ama- reggiato per lo scandalo del calcio scommesse, che coinvolse anche alcuni giocatori della Nazionale. Franchi, raccontò Dario Borgogno, in quegli anni segretario della Figc, «non volle mai parlare del calcioscommes- se, nemmeno dare un suo giudizio. Mi disse che non avrebbe più accettato la ca- rica di presidente federale perché sentiva la respon- sabilità di quanto avve- nuto». È la voce di un Artemio Franchi mol- to indignato e deluso: la coerenza ai principi dell’onestà e della tra- sparenza gli imposero di dimostrare con scel- te diffi cili e concrete la sua protesta a cer- te degenerazioni, che purtroppo nel futuro avrebbero continuato ad attaccare e minare il calcio italiano. Euro ’68, Roma: Franchi si congratula con la squadra azzurra per la vittoria del campionato europeo; dietro Artemio, Dario Borgogno segretario della Figc dal 1971 al 1987

113 114 Testimonianza

Uefa, una successione virtuosa

Michel François Platini è presidente Uefa dal 26 gennaio 2007; è stato con- fermato il 22 marzo 2011. È un ex allenatore di calcio e calciatore francese. È stato uno dei migliori cen- trocampisti d’attacco; legò il suo nome alla Juventus dal 1982 al 1987. Con la Nazionale francese, vinse il campionato europeo 1984, del torneo. Calciatore francese del XX secolo, è l’unico ad aver vinto il Pallone d’oro per tre anni consecutivi. L’Istituto internazionale di storia e statistica, riconosciuto dalla Fifa, lo ha inserito al 7º posto nella classifi ca dei migliori calciatori del XX secolo. Fra gli altri incarichi, ha ricoperto il ruolo di commissario tecnico della Nazionale francese dal 1988 al 1992.

Non ho avuto il piacere e il privilegio di incontrare personalmente Ar- temio Franchi. Scomparve tragicamente dal calcio e da questo mondo nell’agosto del 1983, appena un anno dopo il mio arrivo in Italia, a Torino, dove ho giocato nella Juventus.

115 1972, Hotel Hilton, Roma: Artemio Franchi al congresso Uefa

Il taglio della torta di Franchi e Havelange per l’inaugurazione negli anni settanta della nuova sede dell’Uefa a Berna

116 Il regista

Ho, però, avuto occasione di conoscerlo e di apprezzarlo, pur indi- rettamente. Di Artemio Franchi ho saputo molto dal presidente della Federazione francese Fernand Sastre, di cui fui compagno di viaggio nell’organizzazione dei Mondiali del 1998. Una conoscenza che ho ap- profondito anche con il suo successore: Jacques Georges, che ereditò dal dottor Franchi la poltrona alla massima carica dell’Uefa. Sicuramente Franchi ha segnato un momento importantissimo per l’e- voluzione e la maturazione del calcio italiano sia a livello europeo che mondiale. Un’azione che ha avuto effetti positivi non soltanto per la promozione dell’immagine ma anche nel terreno delle idee organizza- tive e manageriali. Nessuno può dimenticare gli anni in cui la Nazionale azzurra arrivò in fi nale contro il Brasile nel Mondiale in Messico ’70. Una conquista raggiunta dopo una incredibile semifi nale contro la Germania ai tempi supplementari. Resta sempre nella memoria e negli annali del calcio la crescita della squadra azzurra guidata dal commissario tecnico Ferruc- cio Valcareggi. Ma la regia esterna di ciò che accadeva in campo, dei nuovi e brillanti risultati della Nazionale italiana, era sicuramente opera di Artemio, di cui conservo un grande ricordo e rispetto. Questi pensieri coprono un lungo periodo di tempo. Inizia con l’eccellente prestazione degli azzur- ri ai Mondiali in Argentina nel 1978: in questa Coppa, la mia Nazionale francese incontrò gli azzurri nell’incontro di apertura del girone. Que- sto arco temporale, in una successione di importanti eventi, arriva al titolo mondiale conquistato dagli azzurri nel 1982 in Spagna.

Una positiva coincidenza

Tutto questo riguarda dati certi ed oggettivi, situazioni raccontate nei libri di calcio e che alimentano la storia. Osservavo dalla Francia il fenomeno azzurro, non immaginando ancora che l’Italia mi avrebbe

117 concesso la possibilità di proseguire la mia carriera e di accrescere le mie qualità professionali con la maglia della Juventus. Mi sono mancati il tempo e l’occasione per avvicinare Artemio Fran- chi, di frequentare un grande dirigente. Ma in Francia ho seguito la sua esperienza alla presidenza dell’Uefa. Sono stato onorato negli anni successivi quando, nel 2003, ho incontrato a Siena il fi glio Francesco, nell’occasione della consegna del premio intitolato a suo padre: il rico- noscimento, uno dei più importanti promossi in ambito arbitrale, mi fu consegnato in un pomeriggio dedicato ai campioni. Ricordo che fu premiato anche Varenne, un cavallo fenomenale che ha stupito l’am- biente dell’ippica, imponendosi nelle corse più diffi cili italiane ed inter- nazionali. Era particolare anche per il suo nome perché, pur essendo un cavallo italianissimo, portava un nome francese, quello della via di Parigi, dove ha sede l’ambasciata italiana. Penso che anche Artemio Franchi avrebbe sicuramente sorriso per questa coincidenza. Una casualità che, comunque, può aver avuto una positiva infl uenza. Difatti, ha coinciso con l’inizio di un favorevole intreccio di situazioni che riguardano soprattutto il mio insediamento alla presidenza dell’Ue- fa, che già aveva occupato Artemio.

15 marzo 1973: congresso straordinario Uefa

118 Il nuovo scenario

Il mio ruolo potrebbe sollecitare un confronto fra lo status del presi- dente dell’Uefa trenta anni fa, quando è scomparso Artemio Franchi, ed oggi. Ma questo paragone è quanto mai diffi cile, anche perché lo scenario è molto diverso. Il mondo del calcio, quello europeo e mondiale, in questi ultimi anni, si è trasformato ad una velocità impressionante. Il numero di partite che quotidianamente sono giocate in tutto il nostro vecchio continente continua ad aumentare. È una questione a se stante la constatazione che sia cambiato il lavoro, non soltanto il ruolo del presidente dell’Uefa. Forse i tifosi non sanno che il calcio europeo e quindi l’attività dell’Ue- fa, non si fermano alle grandi manifestazioni, come la Champions Le- ague e l’Europa League, ma si aprono a mille altri appuntamenti che riguardano le Nazionali, anche quelle giovanili, tutte le under, il calcio a 5, quello femminile; anche gli arbitri e i loro assistenti. Cioè, sono aumentati e si sono diversifi cati i problemi organizzativi, logistici, di strategia del calcio che riguardano cinquantatre paesi in tutti i loro set- tori di attività nel calcio.

Michel François Platini

1976, Artemio Franchi in visita a Mosca allo stadio Lušniki, già stadio Centrale Lenin

119 1982, Madrid, fi nalissima Italia – Germania; Artemio Franchi parla con Federico Sordillo

120 VII Un fiorentino nel mondo

121 Il 15 marzo 1973 fu un giorno memorabile: Artemio, proprio in coincidenza con l’inizio delle celebrazioni del 75° anniversario della Figc, fu eletto presidente dell’Uefa, l’Unione delle federazioni calcistiche europee. La nomina fu decisa dai delegati delle 32 nazioni europee, con l’assenza dell’Albania, riuniti in congresso straordinario nella sala convegni dell’Hotel Jolly a Roma. Il 7 luglio 1972, il presidente dell’Uefa Gustav Wiederkehr improvvisamente morì. La scomparsa, superati lo sconcerto e il disorientamento, dette avvio ad una forte campagna per la designazione del suo successore per i quattordici mesi fi no alla scadenza del mandato. La presidenza dell’Uefa fu affi data ad interim a Sándor Barcs, dirigente sportivo ungherese e vice presidente Uefa dal 1962. La candidatura di Franchi, sin dall’inizio, fu sostenuta dai più importanti ambien- ti del calcio europeo. La stima di cui godeva, valorizzata con un’attenta e oculata strategia, sfociarono nella sua elezione a presidente dell’Uefa.

La fi nale della Coppa dei campioni 1977, vinta dal Liverpool che sconfi sse il Borussia: a destra di Franchi, Sándor Barcs dirigente sportivo ungherese, presidente ad interim dell’Uefa dal 7 luglio 1972 al 15 marzo 1973, quando fu sostituito da Artemio

122 Il presidente

L’insediamento al più alto vertice della struttura organizzativa e di controllo del calcio europeo, cioè della più infl uente e ricca delle confederazioni continentali affi liate alla Fifa, per Artemio Franchi si- gnifi cò automaticamente diventare il più autorevole personaggio del calcio europeo. Una posizione che, d’altro lato, per il suo status di cittadino italiano, assicurò importanti vantaggi anche al nostro calcio nazionale. Il consenso che sosteneva Franchi fu dimostrato dalla sua nomina al primo turno con una grande maggioranza: ottenne ventun voti con- tro i sette dell’ungherese Barcs e i quattro dell’inglese Follows. L’altro candidato, l’olandese Coler, si ritirò dalla competizione per cui i suoi voti confl uirono su Franchi. Il posto vacante nel comitato esecutivo Uefa fu ricoperto dal solo candidato, lo svizzero Lucien Schmidlin. Il congresso straordinario dell’Uefa fu l’occasione per un summit ad alti livelli nella capitale fra i vertici del calcio mondiale e del governo italiano. Davanti alla platea dei rappresentanti delle Federcalcio nazio- nali europee, con Franchi, parlarono il presidente del consiglio Giulio Andreotti, il presidente del Coni Giulio Onesti, anche il presidente del- la Fifa l’inglese Stanley Rous ed altri dirigenti sportivi. Spettò ovviamente a Franchi, come presidente della Federcalcio ospi- te, fare gli onori di casa. Nel discorso, non si dimenticò di un suo pre- decessore Ottorino Barassi che, oltre ad essere stato presidente della Figc, fra l’altro, era stato membro del comitato esecutivo della Fifa ed uno degli attori della nascita dell’Uefa che, dagli anni cinquanta dello scorso secolo, disse Franchi, «si è molto attivata per acquisire una dimensione estesa a tutto il continente. Ma è necessario andare avanti, rafforzare le strutture dell’Uefa, consolidare i risultati raggiunti e puntare a creare una vera unità del calcio europeo». Cari amici, continuò Franchi rivolgendosi ai partner eu- ropei, «siete i benvenuti e contraccambiamo, testimoni delle relazioni fra stati, la vostra amicizia. La spinta all’internalizzazione è forte e il mondo è sempre più grande».

123 Franchi passò il testimone a Rous; poi parlarono Andreotti ed Onesti. Ultimo atto del congresso le votazioni, lo scrutinio e l’elezione di Fran- chi. Sono rimaste negli annali le parole con cui, fedele al suo establi- shment, ringraziò per la fi ducia e la nomina: «Comprenderete bene come io sia commosso poiché il compito che mi avete affi dato è veramente il punto di arrivo di una vita dedicata al calcio e allo sport. Questa elezione è valida per quattordici mesi e ciò offre a noi tutti grandi e inattese occasioni. Per me, è l’opportunità di dimostra- re la capacità di ricoprire tale carica; a voi, garantisce la possibilità di riesaminare tra un anno soltanto la vostra scelta. Posso assicurare che assumo questo incarico con modestia e con tanta buona volontà». Franchi, come nelle previsioni, non disattese le aspettative e, nel maggio 1974 al congresso ordinario Uefa ad Edimburgo, fu confermato per acclamazione al vertice dell’Unione delle federazioni calcistiche europee. Il congresso dell’Uefa si allungò con l’esame da parte dei delegati euro- pei della proposta dell’Argentina di portare da 16 a 20 le fi naliste della Coppa del mondo. La soluzione fu respinta dal mondo del calcio del vecchio continente, con 25 voti contrari e 7 favorevoli. Ma per Franchi il calcio vero, quello che suscitava emozioni, era so- prattutto quello, come ricordò al congresso dell’Uefa, che si giocava sui campi e negli stadi. Non si dimenticò, quindi, di invitare gli ospiti ai grandi appuntamenti di cui fu scenario l’Italia nel 1973: le amichevoli dell’Italia con il Brasile e l’Inghilterra; il campionato europeo under 18 Uefa, che decretò i giovani inglesi campioni europei della loro categoria.

Cema di gala: a destra di Franchi, Horst Dessler, patron dell’azienda Arena e fi glio di Adi, il fondatore dell’

124 Un’amichevole di lusso

Il 75° anniversario della Figc fu celebrato con una doppia amichevole di lusso, con il Brasile e l’Inghilterra ospiti d’onore. Queste partite con- sentirono agli azzurri di rialzare momentaneamente la testa nel declino che aveva colpito la nostra Nazionale. Tra la fallimentare corsa agli Europei 1972 e quella che fu la disfatta di Monaco 1974, gli italiani assaporarono un momento di gloria nella ricorrenza federale. Una bella vittoria sui brasiliani nei precedenti cinque giorni preparò l’incontro con gli inglesi. Il Comunale di Torino, nel pomeriggio del 14 giugno, fu scenario di una partita mai dimenticata: agli attacchi degli inglesi nel caldo opprimente, gli italiani risposero colpendo con fred- dezza e manovre di alta qualità. Un’invenzione di Rivera per Pulici, il sostituto di Riva, portò al primo gol: un fulmineo guizzo di Anastasi ribatté in rete la respinta del portiere. Nel secondo tempo, una stangata di Capello su assist di testa di Pulici, confezionò il raddoppio: Rivera riuscì a cogliere l’incrocio dei pali con un gran destro in corsa e Shilton dovette superarsi su Anastasi. 2 a 0, e fu la prima vittoria in assoluto contro i professori inglesi. L’altra grande soddisfazione arrivò sul suolo degli eterni avversari che scelsero come data per l’amichevole il 14 novembre, trentanovesimo anniversario della battaglia di Highbury. Si giocò nel tempio di Wem- bley sotto una pioggerellina fastidiosa. La vigilia della partita fu ali- mentata da varie polemiche anche perché gli inglesi avevano defi nito la Nazionale azzurra una squadra «di camerieri»: il chiaro riferimento al passato di Chinaglia in Inghilterra fornì al nostro centravanti un for- midabile stimolo. L’Inghilterra si presentò stanca e delusa ed il primo tempo si conclu- se con un pareggio. Nel secondo tempo, gli azzurri presero coraggio, si affacciarono con maggiore decisione nella metà campo avversaria. Spinsero in avanti e al 42’, su contropiede, ottenne il gol della storica vittoria. Per la prima volta nella sua storia, la Nazionale azzurra riuscì ad espugnare il tempio del calcio mondiale. Un risultato che consentì al presidente Artemio Franchi di archiviare in bellezza l’anno del 75° anniversario della Figc.

La fi ducia dei potenti

Franchi diventò sempre più cittadino del mondo, pendolare fra Firen- ze, Roma, Berna ed il resto del mondo dove lo portava la sua agenda. Da tempo, comunque, frequentava gli ambienti internazionali ed i suoi

125 impegni nazionali si incrociavano con quelli dello scenario mondiale del calcio. Per ripercorrere questo cammino, occorre andare indietro nel tempo, al 1962, con l’incarico di responsabile della delegazione del- la Nazionale italiana per i Mondiali in Cile, confermato quattro anni dopo quando Artemio accompagnò la delegazione azzurra alla Coppa del mondo nel 1966 in Inghilterra. Altre le occasioni in cui aveva avuto occasione di lavorare negli ambienti internazionali come membro, fra i vari impegni, delle due commissioni arbitrale e tecnica dell’Unione Eu- ropea, per poi entrare anche in quella tecnica della Federazione mon- diale. Ed ancora, fra gli altri incarichi internazionali, Franchi era stato segretario dell’Ente football de Florence, presidente della Coppa Uefa e della .

1974, l’intervento di Artemio Franchi all’assemblea della Figc

Incontro uffi ciale con il re Juan Carlos del presidente della Fifa João Havelange e di Artemio Franchi presidente Uefa in occasione di Spagna ’82

126 Il virtuosismo di Franchi, la sua modernità e la sua capacità di proiet- tarsi verso il futuro, furono qualità presto riconosciute in ambito euro- peo e mondiale. Fu facile per Franchi conquistare la fi ducia di Stanley Rous, il potente presidente della Fifa dal 1961 al 1974, che si adoperò per il riconoscimento ad Artemio della presidenza della commissione per l’organizzazione della Coppa dei campioni d’Europa. L’arrivo di Artemio alla presidenza dell’Uefa coincise con l’inizio di un periodo di grandi cambiamenti e novità, di cui fu portatore all’insegna del miglioramento del calcio europeo. Continuò il cammino e perfe- zionò le strategie avviate come vice presidente. Franchi fu artefi ce di alcuni dei processi che consentirono all’Uefa, come ente di riferimento delle Federazioni nazionali europee, di au- mentare nello scenario mondiale la sua importanza. La diplomazia di Artemio Franchi si rivelò strategica nella gestione dei rapporti fra l’Uefa e la Comunità Europea, in un periodo in cui agiva per convincere la comunità a condividere l’ideale di un continente uni- to. La commissione europea iniziò a contestare i regolamenti di alcune Federazioni nazionali, che limitavano l’ingresso di calciatori stranieri senza distinguere le origini: comunitarie o non. Anche in questo caso, Franchi riuscì a gestire la questione assicurando l’equilibrio fra la richie- sta delle Federcalcio nazionali e la tutela delle matrici delle formazioni nazionali.

Lo sbandieratore dei borghi

Per Franchi, il Centro tecnico federale di Coverciano doveva essere la struttura polivalente di riferimento per il calcio e lo sport nazionale, sviluppare rapporti con i differenti ambienti sia mondiali che locali, cioè con la Toscana e, in particolare, il suo capoluogo. Del resto, se il presidente dell’Uefa era un cittadino importante per Sie- na lo era altrettanto per Firenze che presentò la sua contromossa al ruolo senese di Franchi capitano della Torre. Nominò Artemio membro onorario dell’associazione «Sbandieratori dei borghi e sestieri fi orenti- ni». Per l’investitura, il 25 aprile 1975, al Centro di Coverciano arrivaro- no molti ospiti, anche giornalisti dall’Italia e dalle sue isole. Il riconosci- mento era motivato dalla simpatia e dall’interessamento dimostrato da Artemio Franchi, spiegò il presidente degli sbandieratori Barone Man- noni, «nell’apprezzare la loro attività tesa a diffondere nel mondo gli antichi giochi e sport della bandiera ed a perpetuare questo nostro antico patrimonio culturale e sportivo». Fu una cerimonia plurima; con Artemio diventarono membri onorari degli sbandieratori Teobaldo Mazzilli e Edoardo Speranza, an- che loro per l’occasione ovviamente presenti a Coverciano.

127 Per dare più lustro all’investitura, gli sbandieratori fi orentini si esibiro- no in uno spettacolo, regia Carlo Cirri, di alta tradizione e modellato in tre tempi. Dopo il «singolo tradizionale» e il «salvataggio della bandie- ra», presentarono un gran fi nale: un’evoluzione «alla corte dei Medici» per esprimere «deferenza e riverenza a dignitari e saluto a nuove am- bascerie». Tanti gli applausi e pure un bis degli sbandieratori. Comun- que, nessuna bandiera fi orentina entrò in casa Franchi né si aggiunse a quella rosso cremisi della Torre. Artemio si considerava cittadino sia di Firenze che di Siena, ma riconosceva un differente status alle sue città: il capoluogo toscano voleva dire calcio, gli amici del Lions, gli altri ambienti e situazioni che lo proiettavano anche nello sport mondiale. Ma quando parlava di Palio e, quindi, di bandiere, il cuore di Artemio batteva solo per Siena e Salicotto.

Foto depliant sbandieratori

128 È vero che Firenze muore?

Solo pochi mesi dopo la sua nomina a presidente della Uefa ed il 30 maggio 1973 Artemio era in Jugoslavia, a Belgrado. La fi nale allo stadio Stella Rossa della Coppa dei campioni tra la Juventus e il Belgrado se- gnò, con la consegna del grande trofeo ai calciatori jugoslavi vittoriosi, il debutto uffi ciale di Franchi ai vertici del calcio europeo. Nonostante gli impegni lo obbligassero a girare il mondo, Franchi non trascurava gli ambienti fi orentini e il Lions Club, di cui era socio dal 1964. L’attaccamento al suo territorio e la vocazione a stabilire profi cui legami, lo stimolarono ad entrare in questo Club, frequentato da per- sonaggi impegnati negli ambienti sociali, economici e con cui Artemio aveva molto da condividere. Per il Lions, sicuramente la presenza di un opinion leader come Franchi, era una referenza certa. Da tempo, lo reclamavano presidente e Artemio non poté rifi utare. Vuoi per le insistenze e per i rapporti di amicizia che lo univano a molti soci, vuoi forse anche per non creare differenze tra Firenze e Siena dove era operativo come capitano della Torre, Artemio accettò l’incarico di presidente Lions di Firenze per l’anno sociale 1974/75. Nonostante che il calcio lo obbligasse a veri tour de force, a sincro- nizzare incontri a Roma, Berna e altrove, orari dei voli e dei treni, fu un presidente molto presente e attivo: realizzò un programma ricco di iniziative sociali, di solidarietà e volontariato. Si prese a cuore la città, riconoscendo al Lions Club «un ruolo nello svi- luppo delle strategie che interessavano la patria dei Medici». Ne parlò nel ciclo di incontri «È vero che Firenze muore?»: un argomento di grande interesse, sul quale si confrontarono con il presidente Uefa, le istituzioni e anche la Fiorentina. L’importante legame di Franchi con il Lions ha dato i suoi frutti: in questi ambienti è poi maturato ed è stato concretizzato il progetto della Fondazione Artemio Franchi.

La Fifa

Nel 1974, Franchi presidente dell’Uefa, diventò anche vice presidente della Fifa. In questo scenario, comunque, il nome di Artemio Franchi già da tempo era conosciuto ed operava con ruoli di prestigio come, fra gli altri, anche quelli di responsabile dei settori fi nanze e arbitri. Tutto lasciava intendere che avrebbe raggiunto il massimo vertice se quel tragico incidente, il 12 agosto 1983, non avesse ingiustamente in- terrotto la sua vita.

129 Franchi fu un presidente Uefa molto operativo, capace di concretizza- re in breve tempo le idee in validi progetti. Mise ordine fra i conti e i bilanci. Ne guadagnò l’assetto generale dell’Uefa che, con una migliore situazione fi nanziaria, poté disporre di fondi fi nalizzati ad una migliore organizzazione. Negli anni settanta, il calcio non solo era lo sport più diffuso ma era già diventato uno dei fenomeni di maggiore impatto e coinvolgimen- to sociale, capace di esercitare una grande attrazione sulla collettività. Franchi era consapevole che negli ambienti sportivi, dove il giudizio dell’opinione pubblica è essenziale, occorre che la diffusione delle no- tizie e degli eventi, attraverso i giornali, la Tv, la radio e gli altri canali, avvenga in modo adeguato e secondo certe regole. Così, il presidente dell’Uefa promosse accordi con le reti della comunicazione, defi nì i metodi per la trasmissione televisiva delle partite e degli altri eventi del mondo del calcio. Anche il sistema delle Coppe fu interessato da una generale riorganiz- zazione. Alla Coppa dei campioni, che nei suoi primi quindici anni di vita vantava detentori di prestigio come Real Madrid, Milan, Benfi ca, Manchester United, Inter, Aiax, si era allineata la Coppa delle coppe che, in dieci anni, aveva già archiviato la vittoria del Bayern Monaco e dello stesso Milan. Il dibattito su quale potesse essere la migliore squadra di club in Europa determinò l’organizzazione di una nuova competizione per sancire l’assoluta superiorità continentale. Nel 1973, Artemio Franchi mise il sigillo dell’Uefa sull’organizzazione del torneo e lo uffi cializzò con il nome di Supercoppa d’Europa, poi Supercop- pa Uefa. Tuttavia, a causa degli impegni dell’Ajax campione d’Europa 1973, e del Milan vincitore della Coppa delle coppe, non si poté pro- cedere in tempi brevi. L’organizzazione slittò al mese di gennaio del successivo anno quando, dopo le due partite a Milano e ad Amsterdam, Artemio consegnò la Supercoppa all’Ajax. Franchi cambiò il campionato europeo di calcio: il torneo che, con periodicità quadriennale, mette a confronto a livello europeo le mi- gliori squadre nazionali di calcio. Dal 1960 fi no al 1976, partecipava- no solo quattro squadre; dall’edizione 1980, con una formula rispet- tata fi no al 1992, furono ammesse otto formazioni. L’attuale sistema con sedici partecipanti è stato introdotto nel 1996 in Inghilterra; nel 2016, si passerà a ventiquattro squadre. Il presidente Uefa migliorò le condizioni di sicurezza delle partite e, fra l’altro, introdusse le raccomandazioni vincolanti sul mantenimento dell’ordine negli stadi. Fu promotore di altre azioni in campo organiz- zativo e amministrativo.

130 I giovani

Franchi presidente Uefa promosse con importanti iniziative la diffu- sione del calcio fra le giovani generazioni. Una strategia sostenuta dalla convinzione del suo importante ruolo come strumento sia di forma- zione, educazione, aggregazione, che per lo sviluppo dei vivai come bacini di futuri campioni. Istituì il campionato per giocatori under 21,

1971, Coverciano: Artemio Franchi con i giovani calciatori

1980, Roma, congresso Uefa: con il presidente Franchi, al centro in basso, gli altri membri del consiglio

131 modifi cando la precedente categoria riservata agli under 23. Prima del 1976, si disputava la Challenge Cup, una competizione introdotta nel 1964 per i calciatori al di sotto dei 23 anni. L’Uefa, con Franchi presi- dente, cambiò la categoria in under 21. Nel 1980, i campionati europei Uefa under 19 diventarono under 18, testimoniando così ancora una volta l’impegno di promuovere ed inco- raggiare lo sviluppo del calcio giovanile. L’edizione inaugurale del tor- neo under 16 fu disputata nel periodo 1980-82. Nei decenni successivi, cioè nel 2001-02, le competizioni sono diventate campionati europei under 17 e under 19, in armonia ad una direttiva Fifa per emendare le date di idoneità alla partecipazione dei giocatori. Con Franchi, le pari opportunità entrarono nei campi e il calcio fem- minile plasmò la sua identità. Dopo la prima competizione europea nel 1982, il settore si adeguò progressivamente. Il lavoro portato avanti an- che da Artemio consentì di arrivare al campionato europeo femminile di calcio europeo Uefa, disputato per la prima volta nel 1984.

Euro ’80

Dall’11 al 22 giugno, l’Italia fu scenario di Euro ‘80, la sesta edizione del campionato europeo di calcio 1980, organizzato ogni quattro anni dall’Uefa e che solo dopo dodici anni ritornò nel nostro Paese. Una scelta per la quale un ruolo importante deve essere riconosciuto ad Artemio Franchi che, come presidente dell’Uefa, si attivò molto per consentire all’Italia di battere la concorrenza di Inghilterra, Germania Ovest, Paesi Bassi, Svizzera e Grecia. Un grande risultato che consentì all’Italia, primo stato ad organizzare per la seconda volta il campio-

La cerimonia di inaugurazione dei campionati europei di calcio a Roma nel 1980

132 nato europeo di calcio, di benefi ciare di un vasto indotto ben oltre gli ambienti sportivi. Franchi e il calcio italiano erano consapevoli che l’assegnazione di Euro ’80 implicava un forte impegno organizzativo e fi nanziario ma era anche l’opportunità per dimostrare di essere una nazione effi ciente e potente, per mettere in mostra nello scenario mon- diale la vetrina Italia. Tutta la nazione si avvantaggiò del business, del turismo, della promozione e delle altre possibilità che ruotano intorno al campionato europeo di calcio. La formula di Euro ‘80 mutò radicalmente rispetto a quella delle prece- denti edizioni. In primo luogo, l’Italia fu designata ancor prima dell’av- vio delle qualifi cazioni e la sua Nazionale fu ammessa d’uffi cio alla fase fi nale. Le altre formazioni si affrontarono in gironi di qualifi cazione, che determinarono le altre sette nazioni ammesse alla fase fi nale. I primi due turni del gruppo A vennero giocati nei campi di Roma e Napoli, mentre quelli del gruppo B a Milano e Torino. Le sedi era- no invertite tra i due gironi in oc- casione dell’ultimo incontro. Furono disputati quattor- dici incontri. Oltre 350mila persone af- follarono gli stadi. Il campionato fu vinto dalla Germa- nia Ovest che, che nella fi nale il 22 giu- gno 1980 allo stadio Olimpico di Roma, sconfi sse per 2-1 il Belgio. Fu l’unica edizione in cui non si disputarono le semifi nali e l’ultima con una fi nale, abo- lita a partire dall’e- dizione successiva, per il terzo e quarto posto, conquistato dall’Italia.

La principessa Paola di Liegi e il presidente della Repubblica Sandro Pertini, all’Olimpico di Roma per i campionati europei di calcio 1980, insieme a Artemio Franchi e Franco Carraro

133 Euro ’80

Olimpico di Roma: il presidente della Repubblica Sandro Pertini in tribuna d’onore con, alla sua destra, Franco Carraro; alla sinistra, Artemio Franchi

Artemio Franchi con Juan Antonio Samaranch presidente Cio dal luglio 1980, João Havelange, Federico Sordillo, altri personaggi

134 Lacrime di gioia

Nel 1982, quando l’Italia guidata da Enzo Bearzot vinse in Spagna la Coppa del mondo, Franchi non perse una partita della nostra Naziona- le. Ma, nonostante l’euforia per un evento così importante, il presiden- te dell’Uefa affrontò questa Coppa del mondo con strani presentimen- ti. Così, prima della partenza per Madrid si era confi dato con l’amico,

Spagna ’82, stadio del Real Madrid: Franchi parla con il presidente della Repubblica Sandro Pertini

Gli azzurri esultano per la conquista del terzo titolo mondiale

135 il giornalista Alfeo Biagi: «Inizio ad essere un po’ stanco. A volte penso di ritirarmi, ma poi la passione prende il sopravvento e vado avanti. Adesso c’è il Mondiale ho una strana fi ducia in questa Nazionale». Il suo ruolo di presidente Uefa gli imponeva un comportamento super partes. Ma certamente quando, l’11 luglio 1982, l’Italia in fi nale conqui- stò il terzo titolo mondiale battendo 3 – 1 la Germania Ovest, Artemio fece capire di avere l’azzurro nel cuore. Quando il capitano della Na- zionale Dino Zoff, uno dei portieri più abili nella storia del calcio ed anche il vincitore più anziano della Coppa del mondo, alzò in alto la coppa della Fifa, Artemio si commosse. L’affetto per la sua Nazionale ebbe la meglio e, nonostante la vicinanza del re di Spagna Juan Carlos e del presidente della Repubblica Sandro Pertini, Franchi non si vergo- gnò di piangere lacrime di gioia. Da tempo, Artemio aveva dimenticato l’imbarazzo per la vicinanza di un pontefi ce, un re, un presidente o un capo del governo, tutti perso- naggi con cui era abituato a dialogare. I vertici di Stato e i ministri si alternavano mentre Franchi, per la continuità della sua carriera, rego- larmente nelle importanti occasioni si presentava da protagonista del calcio. Così, nel luglio 1970, al ritorno da Città del Messico, Artemio e lo staff azzurro furono ricevuti dal presidente della Repubblica Giu- seppe Saragat. Nel giugno 1973, in occasione delle celebrazioni per il 75° anniversario della Figc, Franchi e la Nazionale tornarono al Qui- rinale dove, intanto, era arrivato un altro presidente della Repubblica: Giovanni Leone, che consegnò il premio Pozzo ai giocatori più assidui della Nazionale. Ed ancora, oltre ai Mondiali in Spagna nel 1982, altre le situazioni in cui Artemio aveva già avuto occasione di stringere la mano al presidente della Repubblica Sandro Pertini che, nel 1980 alla fi nale degli Europei, allo stadio Olimpico di Roma, era nella tribuna di onore con Paola di Liegi ed altri personaggi illustri. Per Franchi, anche le porte del Vaticano si aprirono più volte. Dopo essere stato ricevuto in udienza dal pontefi ce Paolo VI, fu accolto ed ebbe modo più volte di parlare e di confi darsi con Papa Giovanni Paolo II. Diverse anche le occasioni in cui Artemio Franchi entrò negli ambienti della Santa Sede in compagnia del presidente della Fifa João Havelange e di altri ospiti. Questo calendario di prestigio si allunga con altri eventi, illustri nomi, autorità, molti leader, che Artemio Franchi incrociò nel suo percorso.

136 Testimonianza

Ius sanguinis

la città del Palio

Benito Guazzi, conosciuto medico senese e amministratore pubblico, è stato priore della Torre, incrociando Artemio Franchi capitano. È stato presidente del Comitato amici del Palio, dell’Azienda autonoma di turismo e del Concistoro del Mangia, che assegna i premi cittadini annuali. È stato insignito del Mangia d’Argento. Ha percorso una carriera di prestigio nel sistema sanitario; è stato consigliere e assessore del Comune di Siena

Artemio Franchi è sicuramente stato un importante personaggio: sia come uomo per le sue caratteristiche, sia come dirigente sportivo con una carriera che lo ha elevato ai massimi livelli del calcio nazionale e mondiale. È stato anche un cittadino particolare per la sua duplice identità: fi orentino per nascita, ma senese di origini. Gianni Brera lo ha, difatti, defi nito «un senese di Firenze».

137 15 agosto 1972, teatro dei Rinnovati, Siena: Artemio Franchi, accompagnato dai paggi della Torre, alla cerimonia di consegna del Mangia d’oro

138 Gino, il bambino

Artemio Franchi nacque a Firenze nel 1922, dove da due mesi i suoi genitori senesi si erano trasferiti per motivi di lavoro. Il padre Olinto, dopo aver lasciato Siena per andare a lavorare in Svizzera come cuoco, tornato in Toscana, si fermò a Firenze. A Siena ritornò per sposare Maria Masti che, originaria di Basciano, piccola frazione dei dintorni senesi, aveva vissuto nel centro di Siena, nel territorio della contrada della Torre. Artemio, nella sua infanzia, nei mesi estivi lasciava spesso Firenze per trascorrere le vacanze dai nonni materni Emilio, Modesta, dagli zii Nel- la e Nello. Per gli amici senesi, era «Gino il fi orentino». Entrò in confi den- za con don Ferruccio Calamati, il parroco di Basciano che, appassiona- to contradaiolo dalla Torre, insegnava ai suoi ragazzi il Palio, parlava di Salicotto e della storia della sua contrada. Iniziò a frequentare questo rione, giocava nelle sue strade e assorbì l’amore per la contrada. A quattro anni ricevette in dono il fazzoletto della Torre: è il simbolo di appartenenza e distinzione, denota senso associativo, sottolinea il legame con la contrada. È un chiaro, netto, inequivocabile riconoscimento; come lo ha giustamente defi nito il fa- moso antropologo francese Claude Lévi-Strauss, è «la bandiera personale dei senesi».

La Torre

Nell’ottobre 1970, fui eletto nella commissione incaricata della ricerca del nuovo capitano. Andammo a Firenze per incontrare Artemio. Lo pregammo calorosamente di accettare questo ruolo in un periodo per la contrada molto sfavorevole nelle carriere del Palio. Artemio accettò con entusiasmo. L’assemblea generale della contrada unanime lo nomi- nò e il 21 gennaio 1971 diventò capitano della Torre. Sapevamo di aver assunto una decisione di fondamentale importanza per il futuro della

139 contrada con la scelta di una personalità di grande livello, che sarebbe stata rispettata in Piazza e nella città. Nel 1972, Artemio Franchi fu insignito del «Mangia d’oro»: il premio cittadino annuale che dal 1952 è conferito «a coloro che per la loro opera abbiano bene meritato della città di Siena in campo internazionale e nazionale». Il Mangia è consegnato con una solenne cerimonia nel teatro comunale dei Rinnovati il giorno della vigilia del Palio: il 15 agosto, festa dell’As- sunta, la patrona di Siena.

L’incontro

Ho incrociato il percorso di Artemio capitano della Torre dall’inizio: dal 1970, come membro della commissione elettorale che lo indicò capitano, al suo epilogo nel 1983, quando negli ultimi cinque anni gli sono stato vicino come priore. I rapporti tra capitano e priore rappresentano uno snodo assai delicato in tutte le contrade: possono sorgere rischi di incomprensione che de- vono essere gestiti con grande tolleranza; si alternano frequenti scambi di opinioni, di consigli, di strategie attraverso un continuo dialogo che deve superare la rigidità dei diversi ruoli. La contrada deve essere sem- pre presente e il capitano non si deve isolare. Franchi era già capitano da vari anni, quando fui eletto priore. Subito i nostri rapporti furono ottimi e molto corretti, lontani da arroganze e sudditanze. Fu molto facile instaurare un’intensa collaborazione e valorizzare le nostre affi nità. I legami furono stretti anche con tutti i componenti della dirigenza della contrada.

L’invasione nell’Onda

Gli ultimi anni di Artemio capitano della Torre, quando ero priore, non furono facili. Ricordo, in particolare, due episodi che abbiamo vissuto e affrontato insieme: l’invasione nel territorio dell’Onda e l’infortunio del cavallo Rimini. Nell’agosto del 1980, un folto gruppo di torraioli invase il territorio della confi nante contrada dell’Onda. Fu la spontanea reazione a una grave provocazione da parte del fantino dell’Onda: alla mossa irrego- larmente si era lanciato ripetutamente addosso a quello della Torre, im- pedendone l’allineamento alla partenza. Dopo alcuni minuti, riuscim- mo a calmare i nostri contradaioli e a riportarli in Salicotto. Tuttavia, le

140 violenze e le intemperanze di quella reazione avevano violato la sacra- lità del territorio di una contrada. Il sindaco Mauro Barni giustamente dichiarò che nel Palio alcune azioni non possono essere ignorate. Dovemmo affrontare un muro di ostilità da parte di tutto il mondo contradaiolo. Artemio sfoderò tutta la sua grande diplomazia e riu- scimmo a smussare le intransigenti parti della critica. Così, superammo l’isolamento e ottenemmo la sanzione di un solo Palio di squalifi ca.

Il cavallo salvato

Tanti episodi confermano un’altra dote di Artemio: l’abilità diplomati- ca esercitata con fi nezza psicologica da moderatore paziente, da abile tessitore di relazioni. Il capitano Franchi era gentile, di maniere garbate e affi dabile nei rapporti con gli altri. Ma, se necessario, sapeva essere deciso, fermo nell’agire, capace di superare gli ostacoli lottando con tenacia. Nel Palio del luglio 1982, dopo una lunga sequenza di cavalli poco competitivi, fi nalmente il sorteggio assegnò alla Torre Rimini, cavallo vincitore di tre Palii e sicuramente indicato come favorito della corsa. Proprio la mattina del Palio, il cavallo si infortunò seriamente provo- cando in contrada un pesante clima di disperazione collettiva. Subito si presentò il dilemma se essere presenti in piazza del Campo per la carriera. Approvato da tutta la contrada, Artemio decise di non parte- cipare alla corsa; fu scartata l’alternativa di arrivare fi no alla mossa per tentare di lucrare qualche patteggiamento: il rischio era troppo grande, quello dell’abbattimento del cavallo nel dopo corsa. Dopo lunghe ore di trepidazione, avvertimmo le autorità comunali che confermarono e resero pubblica la scelta della Torre di non correre. Salvammo la vita di Rimini, che non corse più nella Piazza e la contrada si comportò da animalista ante litteram.

Stia in guardia!

Artemio scelse di non essere un notabile ma di essere uno di noi, ac- quistando passo dopo passo esperienza e prestigio, anche imparando a proprie spese quanto sia imprevedibile e capricciosa la magica sorte del Palio: gli ha negato la soddisfazione di quella vittoria a cui teneva più di ogni altra cosa e di cui nell’agosto del 2005 è stato testimone il fi glio Francesco, mangino con il capitano Maria Aurora Misciattelli. La contrada aveva un’immensa stima di Artemio, anche oltre il risultato

141 e le critiche: in certi momenti non sono mancate, come è quasi naturale in una contrada di popolo, vivace e dialettica come la nostra, dove nes- suno è idolatrato e dove non ci sono dirigenti infallibili. In quegli anni ho apprezzato la sua lealtà, la fedeltà alla parola data e alle amicizie, la semplicità di linguaggio; la serenità che lo portava, sen- za strafare, a non approfi ttare del suo eccezionale prestigio e della sua intelligenza. Da condottiero sapeva reagire alle inevitabili delusioni nel Palio. Ci fece capire che essere forti e fi eri non obbliga all’arroganza, che provoca alla contrada antipatie, ostilità, inimicizie e isolamenti.

1973, pranzo in contrada

142 La Torre tante volte riconfermò al «dottore», come era chiamato anche in Salicotto, la fi ducia: merito anche del suo carisma, delle sue qualità di eccelso diplomatico e di grande conoscitore delle relazioni umane e sociali. Con tenacia e abilità sceglieva le energie migliori, trasformando l’oppositore in prezioso collaboratore, dominando anche le assemblee nelle quali, magari dopo una sconfi tta, partiva svantaggiato. Artemio, capitano della Torre per oltre dodici anni, visse un’intensa stagione di Palio tra speranze e disperazioni, tra tenacia e rabbia, con le soddisfazioni e i dolori che scandiscono il tempo di ogni dirigente di contrada. Ricordo le parole di Fosco Doretto, noto contradaiolo e storico della Torre: «dottore stia in guardia, lei è un personaggio troppo grosso, gli tirano le coltellate».

Il triste addio

È stato il capitano che in più occasioni lasciò i Mondiali di calcio: in Argentina e in Spagna, perché la Torre lo chiamava. Quello che pensa- va a tutto, quello che è morto per il Palio, al servizio della sua contrada. Alla vigilia della tratta del Palio, il 12 agosto 1983, l’incidente stradale mortale ci lasciò sconvolti, sconcertati, increduli, consapevoli di aver perduto un grande fi glio giustamente famoso nel mondo. A quelle tristi giornate di lutto e al suo funerale ci fu una partecipazio- ne totale della città e del mondo contradaiolo. Il governatore Luciano Tancredi e il capitano Algero Bani della rivale contrada dell’Oca in- contrarono il priore e la dirigenza della Torre, davanti alla cappella di piazza del Campo e si abbracciarono. L’imponente corteo funebre attraversò la città fi no alla porta di Camol- lia, con l’ultimo corale saluto al feretro portato a spalla dai torraioli; in qualità di priore ho salutato commosso il compagno di tante battaglie paliesche. Il corteo con le bandiere abbrunate di tutte le diciassette contrade, lasciò Siena con un sincero applauso in un mare di fazzoletti e di bandiere.

La piazzetta

Il 23 giugno 1984 la contrada della Torre, in occasione dell’inaugu- razione della nuova fontanina, ha dedicato alla memoria di Artemio Franchi la piazzetta che la ospita, lungo la strada principale del rione di Salicotto. La piazzetta è il luogo dove i torraioli di tutte le età si incon- trano, sostano e parlano. La denominazione uffi ciale Piazzetta Artemio Franchi fu approvata con delibera del consiglio comunale del 1990.

143 Sempre nel 1984, nel luogo del maledetto incidente, fu posata una ste- le: da allora il 12 agosto di ogni anno sono deposti i fi ori mentre nell’o- ratorio della contrada è celebrata una messa. Non deve dunque meravigliare che la Torre non lo abbia dimenticato. Nei locali della società Elefante il 17 aprile 2009 si è svolto un incontro- dibattito con la proiezione di fi lmati e di fotografi e: «Artemio Franchi: uomo e capitano. La Torre ricorda». Non è stata una commemorazione, ma un modo per rifl ettere sulle radici anche umane della contrada attraver- so quei contradaioli che, come Artemio, hanno rappresentato nel tem- po i momenti signifi cativi del suo passato. È stata anche un’occasione per molti giovani che non hanno avuto il privilegio di conoscerlo, per avvicinarsi ad Artemio Franchi. In un ambiente familiare, torraioli di varie generazioni si sono ritrovati; con loro anche i priori delle consorelle, vecchie conoscenze dell’am- biente sportivo senese ed ex dirigenti di contrada nel periodo Franchi. Ammirazione, emozione e una presenza più che mai viva. Erano pre- senti all’iniziativa, tra gli altri, Giancarlo Abete presidente della Figc e Fino Fini, ex medico della Nazionale di calcio. Sono stati proiettati alcuni video concessi dall’archivio Rai, anche un fi lmato amatoriale in cui l’allora capitano Franchi arbitrava divertito a Coverciano una parti- ta tra ragazzi della Torre. Il pubblico contradaiolo non ha mancato di aggiungere altri signifi cativi aneddoti, condividendo poi l’emozione di rivedere in chiusura un video di archivio, in cui capitan Franchi parlava alla cena della prova generale del 1982. Quante contrade dopo così tanti anni ricordano un capitano che non ha mai vinto il Palio? Talvolta non si ricordano neanche di quelli vit- toriosi.

1984, la scopertura e la benedizione della stele a Vescona

144 Il numero del magazine della contrada della Torre che anticipa l’inaugurazione della piazzetta dedicata ad Artemio Franchi

145 Lo stadio

Ad Artemio Franchi è intitolato dal 10 ottobre 1987 lo stadio comu- nale di Siena, Il Rastrello, inaugurato nel 1938, situato in prossimità del centro storico, tra la Fortezza Medicea e piazza Matteotti; è sempre in attività per la squadra Ac Siena dopo il fallimento del progetto di creare uno stadio nuovo in periferia. Il «Premio Siena», con periodicità biennale, fu istituito nel 1973 da Loris Guiggiani dell’Associazione italiana arbitri, sezione senese. Nel 1984, la sezione chiese alla Figc di intestare l’iniziativa alla memoria di Franchi. Così il «Premio Siena» si è trasformato in premio «Artemio Franchi» e continua anche oggi la sua storia come una delle più impor- tanti manifestazioni sportive di prestigio europeo. Artemio è stato soprattutto un grandissimo contradaiolo per la sua Torre, ma anche un sostenitore della sua città di adozione, come lo sono i contradaioli autentici. Spesso in silenzio ha dato una mano va- lidissima al futuro di molti giovani senesi di tutte le contrade e a tante istituzioni cittadine.

Siena, lo -Montepaschi Arena

146 Tre sindaci

Oggi ci manca molto, ma credo che sia mancato anche a Siena di cui era impareggiabile ambasciatore nel mondo, molto sensibile a tutti i suoi problemi: da quelli sportivi a quelli sociali, da quelli economici a quelli dello sviluppo complessivo, collaborando con discrezione alla loro soluzione.

1971, Palio di Siena: Artemio Franchi alle trifore del palazzo Sansedoni per il Palio. Alla sua destra, Umberto Agnelli; alla sua sinistra Antonella Piaggio, Danilo e Giovanna Nannini

147 Artemio Franchi non è stato solamente Torre, Palio, Sport. Legato umanamente a Siena, si è impegnato per istituzioni, enti o per singole persone senza distinzioni di parte. Forte e fi ero è stato un grande di- plomatico che ha seguito i problemi della città, anche quando era agli antipodi del mondo. Ricordo che una volta, mi telefonò chiedendomi un incontro urgente e io gli proposi di trovarsi a metà strada. Lui mi rispose: «Sono d’accordo, incontriamoci a mezza strada. Però tieni presente che al momento mi trovo in Austra- lia». Era la fi ne degli anni settanta: le comunicazioni non erano facili, non c’erano telefoni cellulari, né internet. Franchi si è confermato un uomo generoso e pronto, senza esibizioni di potere, ad aiutare concretamente sia le istituzioni sia i singoli cittadi- ni per risolvere situazioni alle quali si dedicava con impegno ed entusia- smo, ogni qual volta si chiedeva il suo interessamento. Gli anni da capitano della Torre trascorrevano mentre tre sindaci si avvicendavano al Comune di Siena: Roberto Barzanti dal 1971 al 1974, Canzio Vannini dal 1974 al 1979 e Mauro Barni dal 1979 al 1983. Roberto Barzanti ricorda il generoso apprezzamento che Artemio ma- nifestò per collaborare con un sindaco giovane. Fu proprio lui a con- segnargli a nome della città il Mangia d’oro 1972. In quel periodo vi furono due proposte per il Palio straordinario che Artemio sostenne fortemente. Entrambe furono bocciate e rimase molto deluso. Furono anni di rapporti fecondi con un uomo cordiale, fraterno, umano. Canzio Vannini, sindaco socialista, mi descrisse le numerose iniziative realizzate in un clima di comune appartenenza politica e sociale. Ar- temio si interessava sempre alle vicende del Comune, aiutandolo a ri- solvere qualche problema. Sapeva ascoltare il prossimo; dialogava con tutti e quando prendeva un impegno si adoperava per assolverlo. «Ha dimostrato impegno, calore ed entusiasmo sociale al di fuori di egoismi e parti- colarismi». dice Mauro Barni. Ha avuto un rapporto di stima e di amicizia con Artemio, spesso presente in Comune per acquisire la conoscenza diretta delle problematiche cittadine. A Siena partecipava con grande entusiasmo alle molteplici manifestazioni. Artemio fu anche coinvolto nella vita dell’Università di Siena. Quando gli fu chiesto un aiuto per istituire la scuola di specializzazione in medicina dello sport, la seconda in Italia dopo Chieti, si impegnò moltissimo con il ministero compe- tente e così nacque la scuola. Artemio è stato un profondo conoscitore dei rapporti umani e delle rela- zioni sociali, tessitore e moderatore abile e paziente. Gentile, di maniere garbate e affi dabili nei rapporti con gli altri, ironico, di battuta facile, sem- pre sorridente. Un capo carismatico in tutti i settori della sua molteplice

148 attività, fermo nelle decisioni, costante nell’azione e capace di superare gli ostacoli lottando con tenacia.

Siena non dimentica

Nella nostra società civile un clamoroso avvenimento, quale la morte improvvisa di un grande personaggio è capace di evocare il massimo di emotività collettiva. Poi, abbastanza velocemente, il mare dell’oblio ricompone tutto. Ma Siena e la Torre dopo trenta anni non hanno dimenticato Artemio Franchi.

Benito Guazzi

149 150 Testimonianza

L’impero di Salicotto

Massimo Brogi, affermato personaggio senese, è stato capitano della Torre dal 1996 al 1998, priore dal 2001 al 2007 quando, il 16 agosto 2005, la contrada spezzò la sorte negativa che da quarantaquattro anni la privava della vittoria nella piazza del Campo, dove conquistò il suo 44° Palio. Pur separati da età diverse, ha incontrato e conosciuto Artemio Franchi, che ha rappresentato un modello di riferimento per elaborare le strategie che in Salicotto hanno ispirato le sue scelte.

«Sono in Piazza, fra poco parto e vengo a cena da voi». Una telefonata come tante altre a casa di Silvano Vigni con Artemio Franchi che, all’altro capo del telefono, avvertiva di aspettarlo.

151 152 Stasera viene il dottore

Il copione era sempre il solito: Artemio Franchi telefonava, da Sali- cotto come da qualsiasi parte del mondo, annunciando il suo arrivo. Dall’altra parte, Bastiano il fantino che, individuato per la «rinascita» sul Campo della Torre, fi nito il colloquio, avvertiva la madre: «Stasera viene il dottore». Così i piatti in tavola da quattordici diventavano quindici, la grande famiglia si allargava appena un po’ con un ospite ormai quasi di casa, tanta era la consuetudine instaurata negli ultimi tempi. Una sera come tante, appunto. Animata dalla passione e dal calore umano, dal rapporto professionale e dalla semplicità. Artemio si lascia- va alle spalle, abbandonava per qualche ora il mondo dorato e intricato del grande calcio ed entrava in quello del Palio, della Torre la sua con- trada, in una realtà di rapporti genuini. L’obiettivo era quello di una vit- toria a coronamento di un percorso lungo e non sempre facile, ma che aveva già ottenuto il primo e alla fi ne più importante risultato: esaltare l’identità di un popolo, dare entusiasmo e fi ducia ai giovani. Un’opera lunga e paziente, frutto di una personalità generosa, naturalmente in- cline, come quella di Artemio, al contatto con la gente. Quel percorso era iniziato nel 1971. Dodici anni prima, quasi un secolo almeno in rapporto all’importanza di ciò che era successo in quell’arco temporale: ovverosia, il grande cambiamento dell’approccio di Franchi al mondo del Palio. Un aspetto, però, era rimasto immutato: il cari- sma che emanava. La sensazione, cioè, che la sua innata eleganza nei modi, nelle parole, nei rapporti potesse in qualche modo contagiare tutti quelli che lo circondavano: in questo caso, potesse estendersi ad un’intera contrada che voleva conquistare l’affermazione ed il riscatto. I miei ricordi, che sicuramente coincidono con quelli di tanti amici della Torre, sono nitidi: dalla fi nestra della mia casa, in via degli Archi, proprio sopra la stalla della contrada, nei giorni del Palio, osservavo Franchi in azione nelle vesti di capitano alla ricerca di quel successo sul tufo della piazza del Campo che solo il destino gli ha negato.

153 Troppo buono

Era naturale che la Torre avesse ammirazione nei riguardi di Artemio Franchi e riponesse grande fi ducia nelle sue capacità, con la certezza che avrebbe saputo trasportare nel mondo del Palio la grande abilità dimostrata in altri campi della vita. Ma alcuni aspetti del suo carattere non erano adatti in un ambiente come quello del Palio. Cioè, ricorda Roberto Marini, per lungo tempo capitano della contrada della Selva e amico di Franchi, «era troppo buono, umile, trasparente, tutti aspetti che in que- sto mondo rischi di pagare a caro prezzo. Non lo dico per facile piaggeria, ma perché era proprio così. Ebbi anche modo di dirglielo, tutte le volte che ci siamo visti anche al di fuori degli impegni palieschi. Per la mia esperienza, ho nella mente il ricordo di due diversi Franchi. Il primo riguarda la sua tendenza a fi darsi troppo del rapporto con gli altri capitani, dai quali riceveva poche attenzioni. L’altro, invece, è un Arte- mio più smaliziato e fi nalmente convinto che, al di là dei buoni uffi ci e relazioni con le altre dirigenze, la vittoria del Palio sarebbe passata inevitabilmente da un dialogo più diretto con i fantini. Il suo periodo di apprendistato fu, gioco forza, più lungo a causa dell’impossibilità di vivere quotidianamente la città. Ma, comunque, gli consentì di imboccare la giusta strada. Una volta compreso questo processo, rimase fermamente convinto, come lo percepiva anche chi, come me, era dirigente di un’altra contrada». Un processo di maturazione che attendeva solo di raccogliere i frutti di un lungo e attento lavoro.

Occorre sorridere

L’adattamento di Franchi alla gestione dei rapporti interni nella Torre si era invece evoluto più velocemente: aveva subito saputo porsi con simpatia, semplicità, facilità di linguaggio. Aveva sempre una parola, un minuto da dedicare a tutti, un consiglio su quale fosse la strada migliore da seguire. «Ricordati, occorre sempre sorridere alla vita», mi disse quando io, torraiolo di 18 - 19 anni, gli chiesi una parola di conforto e di indirizzo in un passaggio cruciale della vita. Io come tanti altri: perché la sua capacità di ascolto e di indirizzo soprattutto delle giovani generazioni, è uno dei lasciti più duraturi della sua interpretazione del ruolo di di- rigente. Il ricordo della sua fi gura, ancora oggi, a trenta anni dalla sua scomparsa, sempre attuale, ne è una viva testimonianza. Sul Campo non raggiunse lo scopo, ma indubbiamente il suo Palio lo vinse in con- trada. Aveva, difatti, trovato un grande equilibrio capace di convogliare tutte le risorse e le forze interne verso un unico obiettivo, stemperando le divisioni e trasformandole in differenze che contribuivano all’arric- chimento delle idee. Franchi è stato sicuramente il capitano in tutto e per tutto: moderno nell’approccio alla contrada, antico per modi e

154 signorilità. Non ha mai fatto pesare il capitolo delle spese sul bilancio ordinario, provvedendo in prima persona a sostenere tante uscite. Se non altro, sicuramente per questo, avrebbe meritato che la sorte con lui fosse stata più benevola. Nel 1982, aveva visto il suo sogno sgretolarsi in un attimo, proprio quando sembrava vicino a trasformarsi in realtà. «Io quel Palio l’avrei vin- to, ne ero sicuro allora e, ripensando a quella situazione, ne sono ancora convinto», dice oggi Bastiano. Il Palio era quello di Rimini, preparato alla perfe- zione a tavolino, non corso per una zoppia del cavallo, uno infortunio grande protagonista in Piazza. Guardammo la corsa insieme in televisione, ricorda il fantino che avrebbe dovuto correre quel Palio con il giubbetto della Torre, «quasi senza parlare dopo la disperazione del pomeriggio. Era una persona che aveva co- struito un impero e in un attimo aveva visto franare tutto. Avremmo potuto perdere in corsa, anche se sarebbe stato diffi cile, ma così fu un vero dramma».

La scultura dell’elefante nella fontanina davanti alla piazzetta Artemio Franchi in Salicotto

155 Artemio Franchi testimone di Pier Camillo Pinelli al suo matrimonio con Stefania Savelli

156 Una vicenda bellissima

Fino a quel momento, nell’assegnazione dei barberi, Franchi non era sta- to molto fortunato. L’esordio da capitano il 16 agosto 1971, avvenne con Topolone, il vecchio campione della Piazza al suo penultimo Palio. Poi, gli altri cavalli assegnati alla Torre nei Palii con Franchi capitano: Pedula, Pitagora, Marco Polo, ancora Pitagora, Orbello, Rossana, Sirena, Manon, Umorista, Zirbo, Uana, Ariana, Zalia, Tessera, fi no all’ultima corsa con Cuana. Per quanto riguarda i fantini, Franchi per sette volte montò Spil- lo, tre Canapetta, due Bazzino, una Canapino, Primula Rossa, Ercolino, Bastiano. Il nostro rapporto nacque nel 1973, ricorda Spillo, per l’anagrafe Pier Camillo Pinelli. «Montai due prove su Marco Polo perché Canapetta si era infor- tunato. Fu l’inizio di una storia bellissima, anche perché tra me e il dottor Franchi c’era una relazione non di lavoro, ma come quella tra fi glio e padre. Avevo appena 18 anni, per me è stato un riferimento eccezionale, imprescindibile». Anche per- ché trovarsi a 18 - 19 anni fantino della Torre, sarebbe un’esperienza impegnativa per chiunque. È vero, non era una situazione facile, ag- giunge Pier Camillo Pinelli. «Ma il dottor Franchi accettò il mio carattere deciso e mi dette fi ducia. Ricordo che mi apprezzò soprattutto per come nelle prove riuscii a restare su Pitagora, nonostante fosse un cavallo molto impegnativo. Poi il Palio del 16 agosto 1979, corso su Uana: sembrava una corsa già vinta. Invece, Urbino era davvero un cavallo imbattibile e il Palio, invece della Torre, lo vinse l’Aquila». Anche quella volta, il legame e la disponibilità andarono oltre le que- stioni di Palio. Camillo chiese a Franchi di essere il suo testimone al matrimonio con Stefania Savelli: ed ovviamente la risposta del capitano fu affermativa. Il ricordo più nitido? Nel ’76, continua Spillo, «ebbi un brutto incidente e caddi battendo la testa. Il dottor Franchi mi è sempre stato vicino, accanto al letto. È l’immagine della sua umanità. Il rimpianto più grande è quello che un destino crudele l’ha fermato troppo presto. Avrebbe potuto vincere, ma era un vero signore e ha trovato molte persone che si sono approfi ttate di lui. Ma ha fatto del bene a tutti e questo non può e non deve essere dimenticato».

Il dramma

Poi Bastiano. L’uomo inconsapevole strumento nelle mani del destino per il compimento della parabola terrena di Artemio Franchi. «Sono in Piazza, fra poco parto e vengo a cena da voi». Era il 12 agosto 1983, vigilia dell’assegnazione dei cavalli, giorno intenso di parole e trattative, di affi namento delle strategie in vista del Palio ormai imminente.

157 Casa Vigni è a Vescona, sulla strada Lauretana che conduce ad Ascia- no. Uno scenario da fantascienza, una bellezza mozzafi ato nella sua semplicità. La Fiat Argenta di Franchi aveva percorso mille volte quel tragitto: impervio ma senza segreti. L’interesse era nato nel 1978, quan- do Bastiano aveva vinto il suo primo Palio nella Selva. Poi l’attenzione di Franchi era cresciuta negli anni successivi, dopo altre vittorie di Ba- stiano e soprattutto con la piena consapevolezza da parte del capitano della Torre che fosse proprio lui l’uomo giusto per vincere. Quella sera ero preoccupato, ricorda Bastiano: «passava il tempo e il dot- tore non arrivava. Non era normale: casomai si presentava cinque minuti prima di un appuntamento, mai dopo. Quando sono venuti ad avvertirmi dell’incidente, sono corso a vedere e ho capito subito che era fi nita. Al di là del Palio, è stata una tragedia personale perché, nonostante la distanza che ci separava, lo consideravo un amico: quelli che ci sono sempre quando hai bisogno. Ho pensato mille volte all’assurdità di quanto accaduto: Franchi era sempre in giro per il mondo, è venuto a morire sulla strada per Vescona che conosceva a memoria. Per me, resterà sempre una ferita non risarcita. Nel 2005, quando la Torre vinse il Palio, dopo 44 anni dalla precedente vittoria, ho preso mio fi glio e la bandiera che mi aveva regalato il dottore. Siamo andati insieme a sventolarla sul luogo dell’incidente, dove c’è il cippo che lo ricorda. È stato il mio modo di festeggiare con lui».

158 Un lampo

Le parole di Silvano Vigni sono quelle che potrebbe pronunciare ogni torraiolo, vorrei dire ogni senese, che visse quel dramma. In Salicotto, non avevamo dubbi: pensavamo che Artemio Franchi fosse una fi gura invincibile. A tutti sarebbe potuto accadere qualcosa di male, non a lui. La parola che più identifi ca quei momenti, oltre al dolore, è smar- rimento. Il senso di una perdita che destabilizza l’orientamento collet- tivo, nasconde la vista dell’orizzonte. Nel nostro oratorio, nelle nostre strade, il giorno dell’ultimo saluto, c’era tutto il mondo: personaggi di livello altissimo. Ma soprattutto c’era il popolo, il suo popolo, e c’era la partecipazione collettiva di tutta la città, travolta dalla commozione. Non è rituale affermare che poche persone lasciano un ricordo indele- bile e sempre vivo come è stato per Artemio Franchi. Era tutto fi nito in un lampo, ma noi della Torre il nostro capitano non l’avremmo mai dimenticato.

Massimo Brogi

Il cippo sulla strada per Vescona

159 160 VIII un legame di sangue

161 Il 1971, l’anno successivo del secondo posto degli azzurri ai Mondiali del Messico, Artemio Franchi fu eletto capitano della Torre, la contrada a cui era legato sin dall’infanzia. Anche in questo rione di Salicotto, Artemio si confermò un manager attento e capace, anche se la sorte, che niente comanda, gli impedì di regalare alla Torre un Palio.

162 La contrada

Artemio ha sempre avuto un intenso rapporto con Siena, a cui lo av- vicinavano sia le origini della famiglia che il legame con la Torre, dove incontrò molti amici, sinceri e fi dati. La diplomazia, la sua duttilità, ovviamente anche il suo prestigio, fu- rono le referenze che gli consentirono di essere ben accolto negli am- bienti senesi. Un positivo atteggiamento, tanto più in una città come Siena. L’attaccamento, anzi quasi una sorta di gelosia della città per le sue tradizioni, la storia e gli avvenimenti che da secoli continuano a caratterizzare la vita all’interno delle sue mura, alimentano spesso una prevenzione nei riguardi di tutti coloro che arrivano da fuori, anche se conosciuti ed affermati. Comunque, la città del Palio e Salicotto segui- vano con interesse il percorso di questo cittadino, un po’ senese e un

22 settembre 1979, il corteo per il dono della di Czestochova all’oratorio della Torre di San Giacomo e Sant’Anna: a destra dell’arcivescovo di Siena Ismaele Castellano, il priore della contrada Benito Guazzi e, a sinistra, il capitano Artemio Franchi

163 po’ fi orentino. Poter contare sulla presenza nella propria comunità di un personaggio ai vertici del calcio, era sicuramente motivo di onore ed anche un grande vantaggio per la possibilità di avere un riferimento negli ambienti che contano. Un’amicizia che Franchi contraccambiava accettando gli inviti, con la sua disponibilità ad ascoltare ed aiutare gli amici senesi. Il rapporto si consolidò con la sua elezione a capitano della Torre. La vita a Siena delle diciassette contrade è regolata da una complessa organizzazione. L’amministrazione durante l’anno è diretta dal priore: rappresenta la contrada nelle manifestazioni uffi ciali, mantiene i rap- porti con le altre consorelle e ne decide l’organizzazione. Ma lo stratega è il capitano; è il responsabile della gestione e degli affari di Palio, cioè la guida nei periodi più importanti, quelli dei giorni del 2 luglio e del 16 agosto, intorno ai quali ruota tutta la vita della contrada. Per Artemio, la contrada rappresentò una vera passione che lo coinvol- se fi no a quel tragico 12 agosto 1983 quando, nei giorni precedenti al Palio dell’Assunta, perse la vita in un incidente nelle Crete senesi men- tre percorreva la strada per raggiungere Bastiano, il fantino della Torre. La sorte ha voluto che Siena fosse la città del suo destino fi nale. Per ben dodici anni, Franchi ricoprì il ruolo di capitano della contrada della Torre. Un lungo periodo, durante il quale si alternarono ben tre sindaci: Roberto Barzanti, Canzio Vannini e Mauro Barni, con i quali instaurò un profi cuo intreccio di buoni rapporti.

Un capitano di prestigio

Fedele e appassionato contradaiolo della Torre, dopo aver partecipato al seggio della contrada, Franchi fu sollecitato dalla commissione elet- torale ad accettare la carica di capitano. Come ogni nomina importante, anche quella a Siena della elezione del capitano in ognuna delle diciassette contrade, è un processo complesso che si protrae nel tempo. Tanto più in quegli anni in Salicotto, dove era opinione diffusa la priorità di avere un nuovo capitano capace di assicurare una positiva svolta. Occorreva spezzare il ciclo negativo che privava la contrada della vittoria sulla piazza del Campo dal 16 agosto 1961, quando aveva festeggiato l’ultimo Palio vinto con il fantino Vit- torino sulla cavalla Salomé de Mores. Spettò alla commissione elettorale, insediata nell’ottobre 1970, indivi- duare il nuovo capitano, successore di Sergio Manetti, da sottoporre all’approvazione dei contradaioli. Con il presidente Renato Pianigiani, ne facevano parte, in ordine ai voti ricevuti dal popolo di Salicotto, gli

164 altri contradaioli Benito Guazzi, Massimo Bianchini, Luciano Carluc- ci, Giancarlo Ceccuzzi, Otello Bellaccini e Luciano Daviddi. Dopo un lungo lavoro di consultazioni e sondaggi, alla fi ne del gennaio 1971, la commissione concluse il suo mandato con la scelta unanime di Ar- temio Franchi come nuovo capitano da proporre ai contradaioli. Un nome che piacque molto ai torraioli che, dopo qualche settimana si presentarono alle urne per esprimere il parere. Il risultato rispettò le aspettative e il consenso fu unanime con l’elezione il 21 gennaio 1971 di Artemio Franchi capitano della Torre. L’alter ego in contrada di Artemio capitano era in quel periodo il priore Enzo Balocchi. Un incontro alla pari fra Franchi, ai massimi vertici del calcio, e Balocchi che, con un curriculum di onorevole, consigliere Rai, docente universitario, era abituato a muoversi negli ambienti alti dell’amministrazione e della politica italiana. Per il presidente della Figc, forse, questo incarico senese era un impe- gno diverso e stimolante rispetto alle altre sue attività. Aveva anche il valore di un recupero di alcuni momenti della sua infanzia, di un ritor- no ai luoghi delle origini dei suoi genitori. Non solo, era anche un’op- portunità per interrompere i ritmi del lavoro in azienda e le tensioni delle responsabilità nel mondo del calcio. Sicuramente, la contrada gli regalò sincere amicizie e situazioni meno complesse di quelle con cui conviveva quotidianamente. Franchi ebbe un’ottima intesa anche con gli altri priori che si alternarono a Balocchi: Egidio Monaci, Piero Mi- gliorini e Benito Guazzi che in Salicotto accompagnò Artemio negli ultimi anni. Il contributo di un manager affermato nel contesto nazionale ed in- ternazionale, era motivo di orgoglio. Ma la capacità e l’impegno di Ar- temio non furono ripagati con il Palio. La contrada ha atteso ancora molto tempo dopo la scomparsa di Artemio prima di gioire per una nuova vittoria: fi no al 16 agosto 2005, quando la Torre con il fantino Gigi Bruschelli, conosciuto come Trecciolino, e il cavallo Berio ha vin- to il suo quarantaquattresimo Palio.

Il Mangia d’oro

Siena apprezzava Artemio e riconosceva il suo ruolo: era sicuramente una grande soddisfazione poter annoverare nella sua comunità un ma- nager del calcio nazionale e mondiale. Nel 1972, dimostrò la sua stima premiandolo con il «Mangia d’oro»: è il massimo riconoscimento che la città ogni anno, il 15 agosto, vigilia del Palio e festa dell’Assunta patrona della città, consegna ai suoi per-

165 sonaggi più illustri: «a coloro che per la loro opera abbiano conseguito chiara fama di livello internazionale con ciò contribuendo ad illustrare la città nel mondo». Il cerimoniale fu quello delle grandi occasioni. Franchi, accolto al tea- tro dei Rinnovati nella piazza del Campo con tutti gli onori da primo protagonista, fu presentato dal giornalista Antonio Ghirelli: davanti ad un’importante platea, ricordò la missione di Artemio, il suo percorso, i meriti e ciò che aveva realizzato. Dopo sul palco per ritirare i riconosci- menti minori, salirono Ugo Brandi premiato con il «Mangia d’argento» e Luigi Socini Guelfi a cui fu consegnata la medaglia d’oro. Ma già precedentemente, Siena aveva testimoniato il suo attaccamen- to ad Artemio con il «Premio al merito sportivo», Città di Siena 1968, consegnato dalla Mens Sana in corpore sano. Un attestato ricono- sciuto a Franchi perché si era dimostrato, era spiegato nella motiva- zione, «costantemente ed affettuosamente fedele alle sue origini senesi. Dirigente di illuminate competenze, presidente delle più importanti federazioni sportive italiane, apprezzato rappresentante in organismi sportivi internazionali, sensi- bile ai problemi dello sport della sua città di origine, si è sempre prodigato con risultati concreti per avviarli a soluzione: con ciò onorando e servendo in maniera tangibile lo sport di Siena».

Artemio Franchi riceve al teatro dei Rinnovati il Mangia d’oro: il massimo riconoscimento che Siena riserva ai suoi cittadini più illustri

166 Nel Campo

La dedizione di Artemio per la Torre era tanto grande quanto sincera- mente era forte la sfortuna che penalizzava il popolo di Salicotto. Franchi, come stabilisce lo statuto della contrada, per raggiungere il suo obiettivo doveva lavorare in piena autonomia ma anche con la cer- tezza di poter contare su uno «staff Palio» fi dato e che rispondeva alle sue direttive. Questo gruppo è composto dai mangini o tenenti, perso- ne di assoluta fi ducia non votate dalla contrada ma scelte dal capitano. All’indomani della sua elezione, Franchi nominò mangini Massimo Bianchini e Renato Pianigiani. Scelse anche il barbaresco, Menotti Stracciati, i vice, Otello Magnelli e Eugenio Franci, cioè i tecnici re- sponsabili del benessere, della dieta, della pulizia e della custodia del cavallo durante i quattro giorni del Palio. Ovviamente, per il lungo periodo in cui Franchi è stato capitano della Torre, i mangini e i barbareschi negli anni si sono alternati, differen- ti contradaioli lo hanno accompagnato ed hanno partecipato al suo staff. L’esordio nel 1971 di Arte- mio da capitano non fu fe- lice. Nel Palio del 16 agosto 1971, la Torre si presentò ai canapi grande favorita con un cavallo vincente, Topo- lone, e il fantino Canapino, per l’anagrafe Leonardo Viti, appena reduce dalla vittoria del Palio di luglio. A niente valse questa buona combinazione e quel Palio dell’Assunta fu vinto dalla contrada della Giraffa con il fantino Bazza su Orbello. L’anno successivo, al Palio del 2 luglio, la sfortuna si abbatté nuovamente sulla Torre: quando il mossie- re abbassò i canapi, il suo fantino e il cavallo schizza- rono avanti ma poi accadde qualcosa di strano. Il cavallo dell’Oca, la contrada acer- 1° luglio 1974, cena della prova generale

167 rima nemica della Torre, improvvisamente si fermò davanti al palco delle comparse; il cavallo della Torre, che lo seguiva, fece altrettanto. Franchi, nel palco dei capitani, fu assalito da un impeto di collera, che si protrasse anche nei successivi giorni. Le infl uenze negative continuarono. Artemio voleva dimettersi; abban- donò il suo proposito di abdicare dalla poltrona di capitano solo per le insistenze degli amici e dei contradaioli. Dopo vari episodi, incomprensioni e chiarimenti, fedele alla sua voca- zione decisionale, decise di occuparsi direttamente delle trattative con le altre contrade e i fantini. Ma a niente valsero i viaggi di Artemio a Livorno per convincere il celebre fantino Rondone, alias Donato Tamburelli, a correre con i colori della Torre. Nemmeno si rivelarono vincenti alcune scaramanzie contro la cattiva sorte, come la decisione di dormire sempre durante i suoi soggiorni a Siena in un albergo, La Toscana, nella centralissima via Cecco Angiolieri, a poche decine di metri da Salicotto.

Gli amici senesi

Franchi si fi dava molto degli amici senesi, soprattutto dei suoi mangini, che in Salicotto portavano avanti le sue strategie. Con Massimo Bian- chini aveva instaurato un legame che andava oltre le questioni della Torre e del Palio, tanto da nominarlo suo accompagnatore in situazioni e viaggi ben oltre i confi ni senesi. Differenti le occasioni in cui il lega- me si era consolidato. Artemio, testimone di Massimo al suo matrimo- nio con Patrizia Casini, spese molte parole per il giovane senese.

28 luglio 1974, battesimo contradaiolo di Marco, il fi glio del mangino Massimo Bianchini: nella foto, con Artemio Franchi e il priore della contrada Enzo Balocchi

168 Franchi, per affetto e stima, in quegli anni più volte entrò in chiesa per accompagnare i giovani amici di Salicotto che convolavano a nozze: certamente dire sì con a fi anco un testimone così autorevole era garan- zia che il matrimonio sarebbe stato più importante e la festa più bella. Nella metà degli anni settanta, il capitano della Torre aveva bisogno che Bianchini si impegnasse per la Torre. In quel periodo, tuttavia, il giova- ne torraiolo era ad Ascoli Piceno dove, alla caserma Clementi, frequen- tava un corso per allievi uffi ciali. Per raggiungere il suo scopo, quello di trasferire il mangino a Siena, Franchi non esitò a contattare qualche uffi ciale, forse sottosegretario o ministro, con cui era in confi denza. La soluzione consentì a Bianchini, pur residente in caserma, di dedicare il suo tempo libero alla Torre e a ciò che chiedeva Franchi. La tenacia, pure l’orgoglio di non riuscire a vincere la sfortuna, con- vinsero Artemio a non desistere dal suo impegno di capitano: anche a scapito della sua salute e pure della sua sicurezza. Forse, colpa dello stress e della stanchezza, nel 1973, una sera mentre percorreva la Siena Firenze, in prossimità di San Casciano Val di Pesa, perse il controllo dell’auto, che si catapultò e si disintegrò contro un albero. Artemio si salvò e ne uscì illeso.

Il delirio

Alla vigilia del 2 luglio 1973, c’erano tutte le premesse perché la Torre conquistasse il Palio: il fantino era Canapetta, molto esperto della Piazza del Campo. La tratta assegnò alla Torre il cavallo Marco Polo: uno dei big, fra i migliori sul tufo. Ma si verifi cò un grave imprevi- sto. Canapetta improvvisamente fu colpito da un’alta febbre. Non furono effi caci le cure del medico, le aspirine, gli antipiretici ed altro. Il fantino passò dall’infl uenza al delirio: urlava di essere una vittima del malocchio, diceva che la sua febbre era la conseguenza di una forte malìa di coloro che non volevano la sua vittoria nel Campo. Le parole e i consigli di Artemio caddero nel vuoto. Canapetta non cedeva; insisteva che le briglie del cavallo erano state colpite da una fattura e solo il mago poteva liberarlo dal vincolo malefi co. Artemio era disposto a tutto pur di tranquillizzarlo e non perdere l’occasione del cavallo vincente. L’alternativa fu obbligata: quella della benedizione del mago. Gli im- pegni come capitano nelle ore di vigilia del Palio, i serrati incontri per defi nire accordi e la strategia della Torre nella corsa non consentivano a Franchi di lasciare Siena. Delegò la sua persona senese di fi ducia Mas-

169 simo Bianchini e il barbaresco Otello Bellaccini. Ovviamente si trattava di una missione molto segreta, di cui nessuno doveva essere informato. Il gruppo scelto della Torre, subito dopo la provaccia e la segnatura, per non destare sospetti, uscì velocemente da Salicotto e si dileguò. I due torraioli con il fantino febbricitante, dopo aver sistemato in mac- china le briglie del cavallo, il giubbetto e lo zucchino con cui Canapetta avrebbe corso in Piazza, improvvisamente la mattina del 2 luglio, par- tirono a tutta velocità in direzione Massa Marittima nel grossetano per incontrare il famoso mago. Sarà stata la suggestione, oppure l’effetto benefi co del mago, in ogni caso, la febbre improvvisamente sparì e il fantino riacquistò la buona salute. Bianchini e Bellaccini, sempre molto rapidamente, ma quella volta con il fantino sano, tornarono a Siena. Arrivarono in extremis, giusto in tempo per consentire a Canapetta con Marco Polo di presentarsi nella chiesa della Torre per la tradizionale benedizione del cavallo prima del corteo storico e del Palio. Ma anche quella volta le previsioni furono smentite. Il malocchio era stato sconfi tto, Canapetta era rasserenato, Marco Polo si comportò abbastanza bene, ma la Torre invece non ri- uscì ad avere la meglio sulla cattiva sorte ed il Palio non arrivò in Sali- cotto.

Aquila selvaggia

Franchi aveva molte responsabilità ed impegni, fra gli altri, quelli di essere, come presidente della Figc e dell’Uefa, presente agli appunta- menti del calcio italiano e mondiale. Ma quando, nel mese di ottobre 1975, andò a Kiev per assistere alla fi nale della seconda edizione della Supercoppa Uefa fra Dinamo Kiev e Bayern Monaco, Artemio si pre- sentò non con il suo vice o altro personaggio del calcio, ma con il suo mangino senese Massimo Bianchini. La presenza del presidente Uefa valeva bene un’eccellente ospitalità. Gli ospiti russi, ignari di chi fosse l’accompagnatore, accolsero Franchi e Bianchini con la banda e gli inni nazionali. I due italiani furono scortati, secondo il cerimoniale riservato alle autorità molto importanti, dall’aeroporto allo stadio, dove ovvia- mente assistettero alla partita e alla vittoria della Dinamo Kiev nella tribuna d’onore. Restarono a Kiev nel miglior hotel della città, impe- gnati fra incontri e appuntamenti. Il soggiorno però si prolungò oltre i tempi previsti. Ebbero la sfortuna di incrociare «aquila selvaggia», lo sciopero delle compagnie aeree che in quei giorni bloccò i voli e co- strinse Artemio e Massimo a prolungare la permanenza all’estero. Non

170 furono abbandonati, parteciparono ad altre feste e cerimonie. Ma dopo due giorni, l’agenda di Franchi non concedeva altri fuori programma e doveva necessariamente rientrare in Italia. Il governo dell’Urss mise a disposizione dei due ospiti un aereo militare Tupolev a elica: un po’ superato, ma era il mezzo che in quei periodi poteva concedere l’aero- nautica militare russa. Non fu un viaggio tranquillo, con i due viaggia- tori e il personale in balia di venti e spostamenti. Comunque, riuscirono ad atterrare a Francoforte dove un altro aereo, organizzato dall’Uefa, accompagnò rapidamente Franchi e Bianchini a Milano. Arrivarono a Siena carichi di doni e souvenir russi. Dopo il viaggio con Franchi, Massimo Bianchini non è più tornato a Kiev.

La trasferta

Fra Coverciano e Salicotto si era creato, merito dell’abilità di Artemio Franchi di avvicinare le due realtà, un positivo intreccio di situazioni e rapporti. Poteva accadere che certe questioni della Torre e di Palio si discutessero anche negli ambienti del Centro tecnico federale. Erano frequenti le missioni dei mangini e dei dirigenti della Torre a Firenze per incontrare il capitano. Artemio non si faceva attendere, era puntuale e accelerava gli altri impegni. Parlavano della Torre e degli affari di contrada. Era buona abitudine dei senesi trattenersi a pranzo o a cena, invitati da Artemio. Nel mese di ottobre 1975, oltre cento torraioli furono ospiti al Centro tecnico federale di Coverciano con il privilegio di essere accompagnati da un cicerone eccezionale: Artemio Franchi. Visitarono i campi di calcio e da tennis, le piscine, la palestra e tutti gli impianti sportivi. Non solo: poterono anche scendere in campo, disputare delle partite di calcio e dei tennis games. Anche quella volta la gita si concluse felice- mente e il gruppo di Salicotto con Artemio Franchi rimase al ristorante di Coverciano. Erano frequenti le visite al Centro tecnico federale dei diversi gruppi della Torre. Era spesso ospite anche La Paglietta, la congrega nata nel 1967 «come espressione di orgoglio di un gruppo di contradaioli in contrapposizione alla grande ingiustizia subita dal commissario Padalino con la sospensione della Torre per due Palii», spiegò Enzo Balocchi in un’intervista a L’Avvenire il 15 luglio 1972. Il programma generalmente si ripeteva: visita agli impianti, qualche parola o scambio di opinioni con il capitano Franchi; prima di partire, pranzo o cena.

171 Una missione speciale

Il rinnovo delle monture delle comparse del giro e di rappresentanza della Torre, come di ogni contrada senese, è un processo lungo, com- plesso e si protrae per anni. La confezione di questi abiti di velluto e pregiati tessuti, degli accessori, delle bandiere, dei tamburi e di tutto ciò che è necessario, richiede il rispetto di linee e modelli che si tramanda- no nei secoli. Inoltre, sono molti i costumi da preparare perché il giro della comparsa è numeroso. Le nuove monture del 1981 furono com- missionate già negli anni settanta alla prestigiosa sartoria teatrale Tirelli di Roma. Furono necessari diversi viaggi nella capitale di tutte le com- parse per provare i modelli. L’11 novembre 1975, comunque, il viaggio nella capitale dei contradaioli della Torre fu ben ripagato ed ebbe un piacevole epilogo. Terminate le prove delle monture nell’atelier Tirelli, furono ancora una volta ospiti di Artemio Franchi allo stadio Olimpico per la partita Italia - Olanda per le qualifi cazioni al campionato europeo di calcio 1976. Dopo la vittoria della NazionaIe, il rientro a Siena dei torraioli fu allegro, anche se la partita non valse a salvare l’Italia già matematicamente esclusa dai campionati europei del 1976.

La Paglietta ospite a Coverciano

172 All’Alberino

«Il gioco del calcio deve far capire che gli sforzi di ciascuno non sono effi caci, se non si uniscono a quelli degli altri»: parole che Artemio Franchi pronun- ciò al campo sportivo parrocchiale dell’Alberino. Non era estate ma il presidente dell’Uefa era nella città del Palio. L’occasione, domenica 27 marzo 1977, fu offerta dall’inaugurazione della II Coppa Fabio Cresti, atteso appuntamento del calendario sportivo senese: Franchi, invitato

27 marzo 1977, Siena: inaugurazione della II Coppa Cresti; Artemio Franchi parla con la signora Nella Cresti

L’intervento di Artemio Franchi al campino dell’Alberino

173 dal presidente del Gs Alberino Maurizio Madioni, incontrò le autorità, i personaggi sportivi e la signora Nella Cresti, vedova del famoso spor- tivo senese a cui è dedicato questo trofeo, riservato ai bambini tesserati Figc. Una presenza non casuale quella di Artemio Franchi che si impe- gnò molto per conciliare il viaggio senese con la sua agenda internazio- nale. La scelta di essere all’Alberino, circondato da centinaia di ragazzi, confermò ancora una volta la sua attenzione alle giovani generazioni e la disponibilità ad essere presente a Siena, a Firenze, nel mondo, ogni qualvolta la sua presenza era utile per veicolare importanti messaggi. Il Palio del 2 luglio generalmente coincideva con i campionati mondiali, gli Europei di calcio o con altri impegni, ma niente poteva impedire ad Artemio, così come accadeva per il Palio dell’Assunta ed anche per i giorni della festa di San Giacomo e Sant’Anna protettori della Torre, di essere a Siena. Nel 1978, Franchi dimostrò in modo molto tangibile il suo attacca- mento alla Torre. Era l’anno dei campionati del mondo di calcio in Argentina e Artemio, membro del comitato organizzatore della Fifa, doveva ovviamente garantire un presenza costante. Ma il 2 luglio, in ogni caso, non poteva mancare da Siena perché la Torre partecipava al Palio. Si adoperò per sincronizzare e conciliare il calendario della Coppa del mondo con il suo affetto per la Torre e il Palio. Con un escamotage di cui solo Franchi conosceva il segreto, riuscì con una lunga interruzione in Argentina fra i quarti e le semifi nali della Coppa del mondo, a creare il suo spazio per essere presente al Palio. A dispet- to di qualche dubbio avanzato da chi riteneva eccessivo l’intervallo, Artemio non ritornò sulle sue decisioni. Conclusi i quarti di fi nale, salì in aereo a Buenos Aires, attraversò l’Atlantico, percorse migliaia di chilometri e il 2 luglio puntuale era nella piazza del Campo ad assistere al Palio. Ma anche a soffrire per la Torre. Il viaggio e il sacrifi cio non furono ripagati. La sua contrada incassò un’altra delusione e Artemio con il sangue amaro rientrò in Argentina per assistere alle fasi fi nali della Coppa del mondo.

Le trattative

Queste ed altre situazioni contribuirono a far maturare la consapevo- lezza che per contrastare la negativa sorte, la Torre doveva puntare in alto, al massimo: al miglior fantino di Piazza. Cioè, Silvano Vigni, alias Bastiano. Era l’unico capace di contrastare la capacità e pure la popolarità di Aceto, il leggendario fantino di Piazza del Campo, ma inavvicinabile per la Torre: era, difatti, uffi cialmente legato all’Oca, la contrada rivale di Salicotto.

174 I contatti non furono facili. Bastiano avanzava molte pretese: econo- miche e non solo. La sua decisione era sofferta; diceva di accettare, poi smentiva, ed ancora altro. Finalmente disse sì. Artemio non perse tempo e ingaggiò Bastiano con un contratto triennale. Ma nemmeno questa azione strategica consentì di infrangere la cattiva sorte: la Torre e Bastiano non hanno mai formato un binomio vincente nella piazza del Campo.

Dono della congrega de La Paglietta a Franchi

Aggiungi un posto a tavola

L’arrivo in Salicotto di Bastiano fu un evento epocale e molto comples- so. Silvano Vigni non dimentica ciò che accadde. Abbandonata l’espe- rienza di fantino, oggi è un importante allevatore di cavalli. Quando fui avvicinato da Artemio Franchi, ricorda, «ero il fantino uffi ciale della Selva: non avevo autonomia e, per il Palio, la mia sorte era decisa da questa contrada». Era anche una questione di relazioni: la Selva è una realtà più piccola ma, comunque, in buoni rapporti con la Torre. Occorreva essere cor- retti e rispettare l’accordo. Franchi, comunque, non cedette: continuò ad insistere con il capitano della Selva Roberto Marini per avere Silvano Vigni. Dottor Marini, disse, una volta Franchi, sconsolato per la sfortuna della sua contrada, «se non mi concede Bastiano, non mi resta che gettarmi dalla Tor- re». Ovviamente, Franchi, tanto attaccato alla vita quanto disponibile a percorrere tutte le strade per convincere i suoi interlocutori e per sfi da- re la sorte del Palio, ironizzava. Dopo qualche giorno, continua Silvano Vigni, «Franchi e Marini raggiunsero un tacito accordo. Uffi cialmente ero ancora il fantino della Selva ma nella realtà, con un contratto triennale, ero già legato a Salicotto. I due capitani concordarono che, almeno per il primo anno, avrei corso per

175 la Torre solo se le fosse stato assegnato un cavallo superiore. Non potevo lasciare un giubbetto per un altro, senza solide garanzie. Per me andava bene la parola, l’onestà del capitano della Torre era già una garanzia. Franchi, invece, volle mettere tutto nero su bianco: era abituato ad avere la fi rma». Nel 1981, la Torre non partecipò al Palio e, così, l’ingresso nella piazza del Campo di Silvano Vigni con il giubbetto rosso fu rinviato al 1982. Artemio per Bastiano era molto di più che il capitano della contrada: era un vero amico. Veniva spesso a trovarmi, a Vescona, nella mia fatto- ria vicino ad Asciano, continua Silvano. «Era considerato uno della famiglia e con lui non occorrevano tante cerimonie. Parlavamo di Palio e di molto altro. Spesso capitava che arrivasse improvvisamente, quando pranzavamo o cenavamo. C’erano solo due ‘Artemio’, a cui mio babbo Gennarino era disposto a cedere il posto da capotavola: il capitano della Torre e lo zio, che casualmente avevano lo stesso nome».

Foto Bastiano e Franchi

Stefano Vigni, alias Bastiano, e Artemio Franchi

176 La preghiera

Il destino assegnato in quegli anni a Salicotto era veramente molto nero, più forte di ogni benefi ca infl uenza e preghiera. Artemio Franchi accompagnò nel 1982 il presidente della Fifa Johao Havelange, in oc- casione della sua visita in Italia, all’udienza privata concessa dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Sicuramente Artemio nel suo intimo, nono- stante la sua formazione laica, avrà chiesto anche la grazia di un Palio alla Torre. Ma nemmeno quella preghiera, in una sede così autorevole, valse la conquista della vittoria nella Piazza del Campo. La Torre continuò a non vincere: anche a dispetto dell’abilità di Bastia- no e, nel luglio 1982, di un cavallo eccellente. La situazione, aggiunge Bastiano, «era un po’ confusa. Alla Torre fu assegnato Rimini, un big; la Selva ebbe Panezio, un altro cavallo forte con cui avevo vinto il Palio straordinario del 1980. Ma ormai l’accordo era stato deciso; inoltre, per la Selva la vittoria non era una priorità come, invece, lo era per la Torre». Ma successe un altro impre- visto e la sfortuna ancora una volta sconvolse le attese perché Rimini fu vittima di un infortunio. Il Palio, il sogno della Torre e di Artemio Franchi svanirono un’altra volta. Ma l’amicizia fra Artemio e Bastiano rimase. Al funerale di Artemio ho pianto, dice Bastiano: «non persi solo un capitano, anche e soprattutto un grande amico».

177 178 Testimonianza

L’altra faccia della medaglia

Giuseppe Accorinti è stato amministratore delegato e vice presidente di Agip Petroli. La svolta nella sua carriera nel 1960 quando, dopo il suo ingresso in Eni settore commerciale, fu nominato da Enrico Mattei direttore di fi liale e dopo respon- sabile del coordinamento delle società Agip commerciale in Africa. È stato presidente della scuola Enrico Mattei. Ha lasciato il gruppo nel 1996. È consigliere della Fondazione Artemio Franchi.

È una mia grande soddisfazione raccontare e parlare di Artemio Fran- chi, che giustamente la Fondazione ChiantiBanca Monteriggioni e la Fondazione Artemio Franchi hanno voluto ricordare nel trentesimo anniversario della sua scomparsa. Nonostante gli anni che ci separano dal quel tragico 12 agosto 1983, Artemio continua a rappresentare un riferimento e la sua esperienza resta un modello molto attuale: ha la- sciato una grande eredità e lo stupore per la sua scomparsa non è stato assorbito.

179 1978, Artemio Franchi «in cattedra»

180 Lo smarrimento

La fatalità ha voluto che Artemio, a 61 anni, abituato a sopporta- re grandi impegni e a viaggiare nel mondo, rimanesse vittima di un incidente nelle vicinanze di Siena, mentre guidava la sua auto per recarsi a casa di un fantino e defi nire, come capitano della contrada della Torre, accordi per la sua partecipazione al Palio dell’Assunta. La scomparsa signifi cò un gravissimo smarrimento per la famiglia, per la moglie Maria, per i fi gli Giovanna e Francesco, giustamente orgogliosi di Artemio. La perdita è stata grande per il mondo del calcio: nazionale che continua a ricordarlo e a dedicargli iniziative; europeo e mondiale, dove erano in molti a ritenere che sarebbe salito sul gradino più alto, cioè quello di presidente della Fifa. Un ruolo che comprensibilmente lo affascinava ma per il quale, fedele al suo equi- librio, si muoveva con cautela e diplomazia. La contrada della Torre rimpiange la scomparsa del suo capitano, che si era dedicato a questa missione con impegno e passione. Ma anche il mondo imprenditoria- le ha sofferto per quel tragico incidente.

Un bravo manager

Sono molti gli aspetti di Artemio che devono essere ricordati. Aveva una grande coscienza etica. Era consapevole dell’importanza del cal- cio. In più occasioni, mi aveva confessato la sua preoccupazione per la presenza della bandiera tricolore negli stadi. La situazione lo emo- zionava, ma contemporaneamente lo preoccupava perché, nel diffi cile periodo degli anni ‘70 - inizio ‘80, temeva si potessero verifi care degli incidenti. Artemio era un personaggio conosciuto, apprezzato e sicuramente la sua notorietà era collegata al suo ruolo nel calcio. Ma ricordarlo solo come dirigente sportivo signifi ca svalutare la sua azione. Era an- che un bravo manager nel comparto del petrolio e la sua scomparsa ha determinato una grave perdita per gli ambienti dell’Agip con cui

181 Artemio lavorava e collaborava. Il ruolo di Franchi come imprendi- tore, ed è motivo di rammarico, fu trascurato nella cerimonia per il XX anniversario della sua scomparsa. Una lacuna di cui non man- cai di lamentarmi, anche se il programma e il corso degli eventi mi convinsero a rinunciare all’intento di manifestare apertamente la mia protesta. Un aspetto sminuito anche su Internet. Wikipedia ed altri siti ricordano Artemio, descrivono la sua vita e la sua attività. Ma le informazioni riguardano essenzialmente la sua presenza e la carriera nel mondo del calcio; i riferimenti a Franchi imprenditore manager nel mercato della distribuzione dei prodotti combustibili e al suo ruo- lo nella società Bruzzi sono stati ingiustamente sottovalutati.

La società Bruzzi

Franchi aveva iniziato ad operare in questo settore negli anni cinquanta con la società Bruzzi di Firenze, che commercializzava prodotti petro- liferi. Il nostro rapporto iniziò alla fi ne degli anni sessanta. Artemio, amministratore delegato della società presieduta da Angiolo Bruzzi, dopo un periodo di rapporti con l’inglese Bp, la British petroleum, de- cise di avvicinarsi all’Agip. In quel periodo, l’Azienda aveva iniziato una grande campagna di investimenti per l’introduzione del gasolio nelle centrali termiche e di promozione nel settore del riscaldamento civile. La competenza e l’impegno di Franchi erano tali che non si può condi- videre l’affermazione riportata su wikipedia dove si legge che Artemio «Si inserì quasi per gioco nella distribuzione dei prodotti combustibili e, nel 1954, fondava con altri soci la ditta petrolifera Angelo _ in realtà era Angiolo _ Bruz- zi assumendone le funzioni di amministratore delegato». Queste parole non rendono giusto onore all’esperienza professionale e a ciò che, come imprenditore, ha realizzato Artemio. La nostra intesa fu immediata e si consolidò tanto che, dopo la deci- sione dell’Agip di diventare socia dell’azienda Bruzzi, confermammo Franchi nel ruolo di amministratore delegato. Nel periodo in cui abbiamo lavorato insieme, con una collaborazio- ne continuata per quindici anni e diventata una vera amicizia, Franchi non si è mai comportato in modo da far ritenere che considerasse il suo lavoro un gioco. Era sempre presente, informato, tenace ma con eleganza, fermo nella difesa della sua impresa: sia per quanto riguar- dava i prezzi che per le disponibilità dei prodotti. Sono aspetti molto importanti per questa attività, tanto più in quegli anni quando l’incer- tezza determinata dalle due crisi petrolifere era causa di problemi e controversie.

182 L’intelligenza dell’imprenditore, la sua correttezza plasmavano il suo comportamento. Conservo due piacevoli lettere speditemi da Artemio per congratularsi quando fui nominato direttore generale ed ammini- stratore delegato di Agip Petroli. Poteva direttamente contattarmi te- lefonicamente ma, per una questione di rispetto dei miei collaboratori, interagiva con la struttura. L’affabilità e la trasparenza appartenevano alla indole di Franchi. Sicuramente sono state delle qualità che hanno favorito il suo grande successo anche come dirigente sportivo. Artemio non solo era un manager di successo era anche un leader. Questa referenza lo distingueva nel mondo sportivo, ma anche come imprenditore: era capace di suscitare ammirazione, stima e, quindi, consenso. Era equilibrato e molto accorto nella gestione delle rilevanti risorse fi nanziarie che un’attività, come quella dei prodotti petroliferi, può mobilitare: i bilanci della Bruzzi sono sempre stati molto in ordine e redditizi per i soci.

Una politica aggressiva

Con il nuovo assetto societario, la Bruzzi Spa, diretta da Artemio, mo- difi cò sostanzialmente con una politica più aggressiva la presenza nel mercato dei prodotti combustibili. Come Agip, eravamo talmente soddisfatti del rapporto e ci fi davamo dell’effi cienza di Franchi che, nonostante la rilevante partecipazione azionaria, decidemmo di non distaccare a Firenze alcun funzionario Agip, affi dandoci completamente ad Artemio. La scelta si rilevò vin- cente: registrammo un rilevante incremento dei nostri movimenti, acquisimmo molti nuovi clienti sia tra le amministrazioni pubbliche che tra i privati. Sinceramente, riconosco, la presenza di un ammini- stratore come Artemio Franchi, personaggio affermato e stimato in Italia e non solo, che seguiva personalmente i clienti più importanti, favorì la nostra attività. Nel mercato del petrolio gli affari comportano impegnativi fl ussi mo- netari. La professionalità di Franchi assicurava le garanzie che ogni cliente responsabile chiede quando decide l’acquisto di un bene o di un servizio di grande valore, come il petrolio. Non ho mai dimenticato un episodio. Era un pomeriggio di inizio degli anni ottanta. Da qualche giorno non lo sentivo. Squillò il telefono, ri- sposi e sentii la voce di Artemio. «Dove è dottore?», gli chiesi. Mi rispose: «Sono a New York e sto tornando dal Brasile». Altra mia domanda: «Come sta?». E lui: «Dottore mio, s’è tra l’uscio e il muro». Rimasi interdetto perché non avevo mai sentito questa frase. Guardai la porta del mio uffi cio

183 e osservai che il battente, aprendosi, urtava contro il muro. Aggiunsi: «Perché? Quale è il problema?». E Franchi: «A Calenzano, non c’è gasolio». Cioè, anche quando per il calcio era molto lontano, in un altro conti- nente, non si dimenticava di parlare con la Toscana utilizzando il tono fi orentino; soprattutto, aveva sempre a cuore la sua impresa e il suo lavoro.

L’ultima parola

Artemio Franchi con grande equilibrio, riusciva a conciliare l’attività dell’azienda con la sua presenza nel mondo del calcio. Coordinava en- trambe le attività senza sacrifi care nessun impegno. Non abbiamo mai avuto occasione di lamentarci e sicuramente era così anche negli am- bienti del calcio dove aveva importanti responsabilità. Capitava qualche volta di assistere insieme alle partite. Frequentavo lo ; era un mio onore avere un così importante amico e interlocutore. Ma, quando si parlava di calcio, Artemio era super partes. Ascoltava, spiegava con una disponibilità che potrei oggi interpretare quasi come un onere imposto dai rapporti di lavoro. I nostri giudizi non sempre coincidevano, in particolare, quelli sugli arbitri. Insisteva con gentilezza, ma la ragione e l’ultima parola erano sempre di Artemio Franchi.

Giuseppe Accorinti

Anni settanta, Artemio Franchi in gita con gli amici a Madrid

184 IX L’imprenditore

185 La versatilità è stata una caratteristica che apparteneva alla indole di Artemio Franchi: gli permise di dedicarsi a varie attività, sempre ispirato dalla manageria- lità, dall’intuito, dalla professionalità. Franchi, ad ogni livello, ha agito nel mondo dello sport stimolato da una grande passione e il volontariato ha prevalso rispetto ad altre motivazioni. Artemio è stato un imprenditore molto dinamico, ha lavorato con la stessa vitalità che lo spingeva a dare il meglio di sé nel calcio. Le priorità di una certa sicurezza e di non lasciarsi mai sorprendere dall’imprevisto, gli consigliarono di non dedicarsi esclusivamente al calcio: assicurava grandi soddisfazioni personali ma non quelle economiche. La società Bruzzi ha rappresentato un’esperienza che, con la famiglia, si è alternata allo sport e alla contrada.

186 Il petrolio

L’azienda Bruzzi, società per la commercializzazione del petro- lio e dei derivati, con la quale dal 1954 si incrociarono le vicende di Artemio Franchi, ha rappre- sentato un’importante parentesi professionale. In questa attivi- tà, investì energie economiche e personali con un coinvolgimento imposto anche dalle sue respon- sabilità di amministratore delega- to. Nel tempo, la società si con- solidò; l’espansione degli affari e della clientela resero conveniente diversifi care la struttura con l’or- ganizzazione a Badia Settimo di un deposito in proprio per gli ap- 1971, Artemio nel suo uffi cio della società Bruzzi provvigionamenti e l’apertura di un uffi cio di rappresentanza nel centro di Firenze, in Lungarno Vespucci. Successivamente, l’amplia- mento del mercato rese necessario trasferire il deposito in un centro più grande a Calenzano. Negli anni settanta, Franchi decise di cam- biare strategie e fornitori. Cessò i rapporti con la società inglese Bp, la British petroleum, e diventò cliente e distributore di Agip. Stabilì, così, un legame preferenziale con l’Eni presieduto da Enrico Mattei. Nel periodo degli anni cinquanta - sessanta, era sicuramente uno degli uomini più potente d’Italia, che agiva ispirato da una moderna visione dei problemi dell’economia e della politica. Cioè, la stessa fi losofi a che Franchi portava avanti nella società Bruzzi ed anche nel calcio. L’intesa si trasformò in un vero sodalizio economico tanto da convin- cere l’Agip a diventare socia. L’elemento decisivo che convinse l’Azien-

187 da generale italiana petroli ad assumere il controllo della Bruzzi fu la presenza di Franchi: un manager capace, da quando era iniziata la col- laborazione, di ampliare il raggio di azione dell’attività e di aumentare il pacchetto clienti a ritmi esponenziali. L’azienda cambiò nuovamente assetto quando il presidente Angiolo Bruzzi cedette le sue quote alla Fintermica, altro rivenditore Agip. Ar- temio decise che i tempi erano maturi per rafforzare la sua presenza con una sottoscrizione del 10%. Questo passo consolidò la sua posizione di amministratore delegato e fu un ulteriore stimolo per lo sviluppo del mercato. La ditta Bruzzi diventò leader del territorio nel mercato della commercializzazione dei prodotti petroliferi, partner nel suo settore di grandi industrie, della Regione e di altre amministrazioni locali. La società Bruzzi ha accompagnato il percorso di Franchi, intreccian- dosi con le ultime vicende. Difatti, il 12 agosto 1983, l’agenda quoti- diana del presidente dell’Uefa iniziò negli uffi ci della sua azienda, da cui partì per quel maledetto viaggio di andata che non ha mai avuto un ritorno.

Lo scià di Persia

Artemio Franchi sapeva come muoversi nello scenario mondiale e co- nosceva personaggi molto infl uenti, anche oltre gli ambienti del calcio e del pallone. Era notizia della cronaca del periodo che il presi- dente della Figc aveva un canale preferenziale con Mohammad Reza Pahlev, l’ultimo scià di Persia che ha governato l’Iran fi no alla rivoluzione islamica del 1979. Questa confi denza fu molto utile e si rivelò strategica negli anni della crisi petrolife- ra che, nel periodo 1973 - ‘76, sconvolse l’economia dell’Italia e del mondo occidentale. L’im- provvisa e inaspettata interru- zione dell’approvvigionamento di petrolio dalle nazioni appar- tenenti all’Opec, provocò an- che in Italia un black-out ener- Artemio Franchi conosceva molto bene Mohammad getico. L’amministratore della Reza Pahlavi, l’ultimo scià di Persia società Bruzzi non si lasciò sor-

188 prendere, fece buon uso della sua amicizia con Reza Pahlev. Lo scià, grazie alle sollecitazioni di Franchi e soprattutto come riconoscimento della loro amicizia, si attivò per far arrivare, destinataria una delle socie- tà petrolifere italiane con cui Artemio aveva rapporti, un cargo carico di oro nero. La notizia fece molto scalpore perché in un diffi cile perio- do di embargo petrolifero fu l’unico mercantile che in rotta dal Medio Oriente sbarcò sulle coste nazionali. Dovettero ringraziare il presidente italiano dell’Uefa se in quella diffi cile fase qualche catena di montaggio poté funzionare e se, in un periodo in cui l’austerity obbligava ad an- dare in bici, alcuni italiani poterono eccezionalmente muoversi in auto.

Il Chianti

Nei primi anni settanta, Artemio Franchi intraprese anche un’altra stra- da: quella degli investimenti immobiliari. Il boom economico per lo spostamento della popolazione e la maggiore ricchezza favorirono l’e- spansione dell’edilizia. L’intuito per gli affari suggerì a Franchi che era conveniente investire in questo mercato, tanto maggiormente quando gli shock petroliferi contribuirono a spostare l’attenzione verso i beni rifugio. In un periodo in cui il Chiantishire, per l’attrazione che esercitava sugli inglesi e sul resto del mondo, era già un fenomeno tangibile, Franchi guardava con interesse alle campagne senesi e fi orentine. L’occasione gli fu presentata dal suo mangino della contrada della Torre Massimo Bianchini. Informò Artemio che la famiglia Lenzi, importante dinastia della provincia, era disponibile a cedere alcune proprietà nella località di Quercegrossa, nel comune di Castelnuovo Berardenga, a pochi chi- lometri da Siena. Franchi non si lasciò sfuggire l’occasione e conclu- se rapidamente la trattativa. Non fu diffi cile, vuoi per lo scenario del Chianti e la posizione ideale, vuoi per l’interessante offerta, ricollocare sul mercato questi terreni. Conclusa con successo questa operazione, Franchi poté dedicarsi ad altri programmi.

189 190 Testimonianza

Oltre la Grande Muraglia

Piero Gratton è uno dei più affermati designer italiani nel mondo del calcio, dello sport, dei media. È stato responsabile del gruppo grafi co dei servizi giornalistici del Tg 2, per il quale ha creato nel 1976 il logo; ha fi rmato molte sigle Tv. Sono sue idee, fra l’altro, il lupetto stilizzato della Roma; il logo di Euro ’80 della Uefa – 1983, dei campionati europei di ginnastica ritmica – 1986, del campionato del mondo ciclismo su pista Sicilia ’94, della quadra di calcio del Bari.

12 agosto 1983. Era notte profonda quando raggiunsi Siena, dopo un viaggio rocambolesco tra le intense nebbie della Val di Chiana. Riuscii a parcheggiare la macchina vicino alla piazza del Campo, transennata nei giorni del Palio dell’Assunta e immersa nell’atmosfera della gran- de festa. I carabinieri, che presidiavano la città, mi indicarono i vicoli per raggiungere la piccola chiesa di San Giacomo e Sant’Anna nella contrada della Torre, in via Salicotto, alle spalle del maestoso palazzo Comunale.

191 192 La terribile notte

C’era molta agitazione all’ingresso della chiesetta; mi feci largo e fu lì che, circondato dalla folla, rividi il presidente Franchi, l’amico Artemio dopo la sua tragica scomparsa. Intorno, la veglia dei contradaioli in lacrime, vittime dello sgomento, increduli. Ricordo le grida disperate e inconsolabili che provenivano dall’esterno: «C’è morto il capitano! ... C’è morto il capitano….!», ripeteva in modo ossessivo qualcuno sommerso dalle altre persone. Fu una notte che non dimenticherò mai. Mi raccontarono cosa era accaduto. «Franchi andava ad accordarsi con un fantino. La sua Argenta era sbandata in una curva ed era stata trascinata contro un camion che proveniva in direzione opposta». Artemio era capitano della contrada della Torre, un ruolo a cui teneva moltissimo e niente avrebbe potuto convincerlo a non essere lì, a Siena, in quei giorni, così come faceva da tanti anni per il Palio. Era il perio- do di metà agosto e molte persone erano in vacanza, compresa la sua famiglia. Fui informato dell’incidente da un ultimo Tg 1 della giornata, appena rientrato a casa, dopo una giornata di lavoro al Foro Italico dove si stavano organizzando i XVI campionati d’Europa di nuoto, in programma dopo pochi giorni. Il resto del mondo dello sport e del Coni era in viaggio verso Helsinki per la prima edizione dei Mondiali di atletica leggera. Roma era abitata solo da turisti. Chiamai subito un collega alla segreteria di redazione del Tg 2, dove lavoravo, che purtroppo mi confermò la notizia. Dopo qualche minuto ero già alla guida della mia macchina, diretto a Siena. Una decisione spontanea, dettata da sentimenti di sincera amicizia che mi legavano al presidente Franchi. Sentivo di dovergli essere vicino in quel momento.

L’intesa

Conobbi Franchi per motivi professionali: lui super presidente rico- nosciuto dal calcio internazionale, io incaricato di occuparmi dell’im-

193 magine dei campionati europei di calcio che l’Italia avrebbe ospitato nel 1980. Ricordo il primo incontro a Coverciano, al Centro tecnico federale, una «creatura» nata dal suo grande amore per questo sport. Nacquero subito una reciproca simpatia reciproca ed i presupposti per un’effi cace collaborazione destinata a continuare. E fu così.

1973, Artemio Franchi, al centro della foto, con altri dirigenti del calcio mondiale

Artemio Franchi era un dirigente sportivo di eccezionali qualità; un personaggio con tanti interessi; un uomo di grande sobrietà, di naturale simpatia e di indiscussa autorevolezza. Forse era più stimato all’estero, come il tempo avrebbe successivamente dimostrato, di quanto non lo fosse nella sua nazione: frequentemente coinvolta da spesso inutili po- lemiche alim entate dal nostro calcio. Ricordo che eravamo seduti vicini nel viaggio aereo di ritorno da Pari- gi, dove avevamo partecipato alla cerimonia di presentazione dei cam- pionati europei di calcio 1984, organizzati dalla Francia e per i quali avevo realizzato il simbolo. Durante il volo lo intrattenni con il ricordo delle avventure dei miei primi viaggi con Piero Angela, in luoghi poco conosciuti nel mondo. A sua volta, Artemio mi raccontò la sua stra- ordinaria esperienza in Cina nei precedenti mesi. Una storia che forse pochi conoscono.

Sulle tracce di Marco Polo

Morto nel 1976 Mao Tse Tung, il successore Deng Xiaoping iniziò un processo di revisionismo. I giovani, dopo aver sbandierato per tan-

194 ti anni il famoso libretto rosso, furono ispirati da nuove esigenze di libertà. I dirigenti di questo gigante d’Oriente, che per lungo tempo aveva boicottato tutte le manifestazioni sportive dove era riconosciuta «l’altra Cina», cioè Taiwan, decisero di aprire la nazione e di indirizzarla, anche nello sport, verso un futuro di grande potenza emergente. Così, le autorità sportive cinesi individuarono in Franchi il dirigente sportivo internazionale con cui iniziare un dialogo per il loro rientro nel mon- do sportivo. Volevano, comunque, che fosse riconosciuto il ruolo che competeva ad una nazione con oltre un miliardo e mezzo di abitanti. Artemio mi disse che, superando porte considerate all’epoca pressoché insuperabili, era stato invitato a Pechino nella cabina di comando di questo affascinante e sterminato Paese. Mi raccontò di aver visto fi le di piccoli industriali, di consulenti, di procacciatori d’affari di tutto il mondo obbligati, con le loro borse colme di progetti, a fare anticamera per intere settimane, in attesa di un improbabile colloquio con qualche funzionario cinese.

La bandiera rossa con le stelle gialle

Artemio Franchi era anche un importante imprenditore fi orentino nel settore petrolifero. Per questa attività e competenza, anche per senso di ospitalità, gli fu concessa una privilegiata ricognizione sulle strutture e sull’organizzazione del settore energetico di quell’immensa nazione: un paese per molti aspetti sconosciuto e, tanto maggiormente nel passato, isolato dentro le mura del suo potere. Conclusa questa visita, era stato assediato dagli italiani che lo accompagnava- no con richieste di notizie su ciò che aveva visto ed ascoltato, sulle persone con le quali ave- va parlato o che aveva incontrato. Fu subito invitato a cena dal nostro ambasciatore a Pechino per conoscere situazioni che anche lui ignora- va. L’importante risultato fu, comunque quello che, dopo poco tempo, la bandiera rossa con le stelle gialle riprese a sventolare sui pennoni del mondo olimpico insieme a quelle con i cinque cerchi.

195 Anche in questo caso, Artemio Franchi confermò di essere il gran- de uomo che, nelle attività di sua competenza, ha onorato la nostra nazione, e non solo. Mi ha lasciato in eredità la fraterna amicizia con suo fi glio Francesco, molto simile per tanti aspetti ad Artemio, e con il quale ho una felice consuetudine di rapporto. Questi piccoli ricordi del legame che ho avuto con suo babbo sono i miei doni a Francesco. Anche se resta la delusione per un’amicizia purtroppo interrotta pre- maturamente. Piero Gratton

Ps - Sono tornato a Siena qualche tempo fa. Ho ripercorso con commozione i passi di quella triste notte. Era una bella giornata di sole. Ho rivisto la cappella di San Giacomo e Sant’Anna, poi la piazzetta costruita e dedicata dalla comunità della Torre ad Artemio Franchi, l’amato capitano e presidente. Ho ammirato una bella fontana moderna di marmo bianco dove l’acqua scorre sotto una fonte battesimale. A fi anco, su un piedistallo di marmo, si eleva la scultura in bronzo dell’elefante con sopra la Torre: il simbolo della sua contrada, tanto amata a cui sfortunatamente il destino ha voluto si collegassero gli ultimi ricordi di Artemio.

196 X Un destino molto strano

197 A dispetto del tragico epilogo, Franchi aveva iniziato il 1983 con buoni auspici. Il calcio internazionale si evolveva secondo le sue aspettative ed era sempre più certa la sua futura presidenza della Fifa. Anche la vita personale gli regalava molte soddisfazioni. Nei primi mesi dell’anno, era nata la prima nipotina: Maria, la fi glia di Giovanna. La scelta del nome, caro ad Artemio perché ricordava la sua mamma, incontrò il generale consenso della famiglia. Erano anche altre le piacevoli novità. Il fi glio Francesco aveva annunciato che avrebbe sposato la fi danzata Titti. Il matrimonio inizialmente era stato programmato in estate, ma gli impegni di Artemio convinsero a spostare la data a settembre. A rendere ancor più importante questa festa, l’altra notizia che i futuri sposi gli avrebbero regalato un altro nipote. Tante piacevoli situazioni che furono invece disattese dalla tragedia che mise fi ne alla vita di Franchi.

198 La curva fatale

Quello del 1983 fu un agosto anomalo: il meteo incerto non consen- tiva all’estate di regalare il miglior clima. Secondo il suo stile, Artemio anche quel giorno aveva i minuti contati. La sua Fiat Argenta lo aspet- tava davanti al palazzo dell’uffi cio dell’azienda Bruzzi. Partì dopo aver avvertito gli amici della Torre che li avrebbe raggiunti in Salicotto: del resto, come sempre accadeva nei giorni del Palio quando il presidente dell’Uefa era molto presente nella piazza del Campo. Il suo percorso era già deciso: dopo Siena, avrebbe proseguito per Vescona, nelle vici- nanze di Asciano, dove avrebbe cenato a casa del fantino della Torre Bastiano. Aveva anche salutato al telefono Alda. I familiari avrebbero preferito che Artemio li avesse raggiunti a Vittoria Apuana, Forte dei Marmi, dove abitualmente trascorrevano le vacanze estive. Ma gli impegni non consentirono a Franchi di prolungare le vacanze estive oltre un breve weekend all’inizio del mese. Con il lavoro e il calcio, doveva occuparsi della Torre e del Palio del 16 agosto. Quel giorno, così, secondo i suoi programmi, dopo essere passato da Siena, salì di nuovo in macchina: direzione Vescona, per incontrare Silvano Vigni, cenare insieme e defi nire alcune questioni di Palio. Era il tardo pomeriggio: un temporale d’estate aveva imperversato sulla Toscana e la pioggia aveva reso scivoloso il tratto stradale 438, vicino a Siena, tra Taverne d’Arbia e Asciano. Artemio guidava con cautela ma ogni curva era una minaccia. Gli amici senesi avevano cercato di convincerlo a non mettersi in viaggio. Tutto inutile: l’impegno per la Torre e l’amicizia con Bastiano dissero a Franchi di andare. Erano le 19,10, quando la Fiat Argenta del presidente dell’Uefa si schiantò contro un camion che procedeva in direzione opposta. Lo guidava Alveno Sani, ma il proprietario era Danilo Boschi: il capita- no, casualità della sorte, della contrada del Bruco. Il conducente non riuscì ad evitare l’Argenta e in un attimo si consumò il dramma. Gli

199 interventi furono immediati e i soccorritori riconobbero subito che alla guida dell’Argenta era seduto il presidente dell’Uefa Franchi. Fe- cero tutto e il possibile per rianimarlo, ma inutilmente: Artemio morì nell’ambulanza che lo trasportava a folle velocità verso il policlinico Le Scotte di Siena. Il referto dell’autopsia parlò di sfondamento del torace e di rottura dell’aorta.

L’epilogo

Poco dopo le 19,30, l’agenzia Ansa diramò il primo, breve lancio che annunciava la morte di Artemio Franchi. In quei minuti, squillò anche il telefono nella casa al mare della famiglia Franchi a Vittoria Apua- na. La signora Alda pensò che fosse Artemio e lasciò rispondere a Francesco. Invece, era Massimo Bianchini, amico senese dei Franchi, contradaiolo e mangino della Torre. Disse di andare subito a Siena perché Artemio era rimasto vittima di un grave incidente. Niente altro. Giovanna doveva seguire la piccola Maria e rimase a Vittoria Apuana. Alda e Francesco partirono immediatamente. Mentre percorrevano la strada speravano, ma non sapevano che il telegiornale della sera aveva già diffuso la notizia dell’incidente e della morte di Artemio, oramai di dominio del mondo. Quando la signora Franchi e il fi glio arrivarono al policlinico Le Scotte e incontrarono gli amici senesi, capirono: non una parola, bastarono gli sguardi per far svanire ogni illusione. Compresero e si lasciarono accompagnare nella stanza dell’ospedale dove era stato accolto Artemio. I contradaioli della Torre la notte trasferirono la salma del loro capi- tano nella cappella di Salicotto dedicata ai protettori Sant’Anna e San Giacomo. Sin dall’alba, iniziò un fl usso continuo di parenti, amici, conoscenti, autorità e personaggi sportivi: tutti solidali e stretti intor- no ad Alda, Francesco e Giovanna che aveva raggiunto la famiglia. All’esterno della chiesa, lungo la strada furono sistemati e si accu- mularono mazzi e corone di fi ori della Torre e delle altre contrade, dei personaggi senesi e del mondo del calcio, di amici e di autorità: tanti omaggi che testimoniavano il dolore del mondo sportivo, delle contrade e di quello istituzionale; di Siena e Firenze, dei tantissimi sostenitori di Franchi.

200 L’affetto

Erano le 9,30 quando, la mattina del 14 agosto, monsignor , correttore della contrada della Torre, celebrò nella cappella della Torre gremita di persone la messa: l’omelia fu tanto sintetica quanto carica di messaggi. Basta- rono poche parole per ricordare chi era stato, ciò che aveva realiz- zato, i grandi contributi e risultati di Artemio Franchi. Dopo la be- nedizione, il corteo iniziò il suo percorso. Aprivano due alfi eri con le bandiere abbrunate a lut- to con il fi occo nero, scortati dal tamburino della Torre che batteva 1982, Artemio Franchi a rullo lento, scandendo il ritmo di questa triste cerimonia; poi il paggio maggiore e il duce della contrada con altri due paggi. Artemio fu portato in spalla da sei contradaioli, gli amici che si alternarono in questo gravoso impegno. Poi i fi gli Fran- cesco e Giovanna; Alda aveva ceduto al dolore e poté raggiungere il corteo quando si avviò verso Firenze. Dietro di loro il priore della Torre Benito Guazzi e gli altri priori con i capitani delle sedici consorelle, se- guiti dalle loro bandiere tutte abbrunate in segno di lutto e di cordoglio; dietro una grande folla di migliaia di persone arrivate per l’ultimo salu- to ad Artemio. Una lunga e sofferente marcia percorse Siena. Superò Salicotto, attraversò piazza del Campo e, all’angolo del Chiasso Largo, prima di lasciare la Torre del Mangia, Artemio Franchi, come vuole il rito che Siena riserva ai suoi fi gli più cari, fu girato verso tutti gli angoli della Piazza. Il percorso proseguì in Banchi di Sotto e Banchi di Sopra, attraverso le vie Montanini e Camollia. Tanti cittadini assistevano in as- soluto silenzio, ancor più signifi cativo perché in contrasto con l’euforia che anima Siena nei giorni del Palio. All’uscita da una delle porte della città, un fragoroso applauso ed un caloroso «Addio Artemio» salutaro- no per sempre il capitano della Torre e il presidente dell’Uefa. Fu una sincera dimostrazione del forte legame che univa Artemio Franchi a Siena: lo aveva convinto ad accettare e a portare avanti con passione ed entusiasmo l’incarico di capitano della contrada. Si ricorda una famosa frase che circolava dopo la prima esperienza da capitano della Torre e che Gianni Brera riportò sul Guerin Sportivo: «Franchi aveva comperato i fantini di tutti i cavalli, ma si era dimenticato di comperare quello della Torre».

201 Cioè, la trasparenza di Artemio gli impediva di cedere agli intrighi, che la tradizione riconosce legittimi per il Palio.

14 agosto 1983, migliaia di persone nel centro di Siena parteciparono al corteo per l’ultimo saluto ad Artemio Franchi

L’ultimo saluto

Dopo l’omaggio di Siena, Artemio Franchi percorse il suo ultimo viag- gio a Firenze, in direzione del Centro di Coverciano: è il grande contri- buto che il calcio toscano attraverso i suoi dirigenti, da Dante Berretti e Luigi Ridolfi a Artemio Franchi e gli altri, ha regalato allo sport na- zionale e mondiale. Alle 12,30, il corteo scortato dai motociclisti della polizia municipale entrò nel Centro; si fermò nel cortile, subito stretto da centinaia di persone che volevano abbracciare ed essere vicini ai fa- miliari di Artemio. La Nazionale, il calcio mondiale, lo sport, la politica e la società, abbassarono la testa, si inchinarono nella cerimonia che rese omaggio ad Artemio Franchi. C’erano, fra gli altri, il presidente della Fifa João Havelange arrivato da Rio de Janeiro, Jacques Georges che sostituì Artemio Franchi alla presidenza dell’Uefa, numerosi rap- presentanti delle federazioni europee; ovviamente i presidenti del Coni Franco Carraro, della Figc Federico Sordillo, della Lega Calcio Antonio Matarrese, Fino Fini medico della Nazionale vittoriosa alla Coppa del mondo, il commissario tecnico degli azzurri Enzo Bearzot e tutto lo staff, la squadra della Fiorentina; ed ancora tanti cittadini e personaggi

202 arrivati dalle diverse realtà. Bastò il messaggio di Havelange a testimo- niare il grande valore di Franchi. «Conosceva come nessun altro i problemi di ogni federazione e tutti avevamo bisogno dei suoi consigli e suggerimenti». Tele- grammi e pensieri arrivarono da ogni nazione e da ogni ambiente: dalla Santa Sede, dal presidente della Repubblica, dal Senato e dalla Camera dei deputati, dalla presidenza del consiglio, dal Comune di Firenze, da tante altre persone, da luoghi e situazioni. La cerimonia, fedele all’in- dole di Franchi, fu molto semplice e sobria, celebrata al centro di uno dei campi di calcio. Il corteo sempre guidato dai familiari nel pomeriggio di quella afosa e op- primente giornata di agosto arrivò al cimitero di Soffi ano, dove Artemio fu sepolto vicino alla mamma Maria e al babbo Alfredo. Si concludeva una grande esperienza. Trent’anni dopo la morte, la sua tomba continua ad essere visitata non solo dai familiari, da parenti ed amici, ma anche da tanti sportivi e manager per i quali Artemio Franchi resta un modello per stile di vita e per impegno professionale. Nessuno fra coloro che lo hanno conosciuto, lo ha dimenticato, particolarmente a Firenze e Siena che gli hanno dedicato il loro stadio. Con la scomparsa di Arte- mio Franchi, il cal- cio, l’Italia, Firenze, Siena, la contrada della Torre, il resto del mondo dove il presidente dell’Ue- fa negli anni era stato presente, per- devano un grande uomo. Restavano la sua esperienza, il suo esempio e le sue scelte: sono le ricche testimonian- ze e l’eredità che Artemio Franchi ha lasciato a chiunque.

La cappella della Torre dove fu accolto Artemio

203 204 Testimonianza

La società

Il 9 maggio 1974, Artemio Franchi fu eletto presidente del Lions Club Firenze. Un incarico, ricorda Franco Torrini, socio Lions, a cui si dedicò con dedizione, conciliando questo impegno con la famiglia, lo sport ed il calcio, la sua impresa e la Torre, che spesso lo allontanavano da Firenze.

È diffi cile ricordare, senza il rischio di ripetersi, un personaggio ap- prezzato e importante come Artemio Franchi. Di Artemio, dei suoi ruoli, della sua attività e dei grandi contributi al mondo del calcio e alla società, è stato scritto molto. Ho il privilegio, grazie al’intesa che ci avvicinava, di poter aggiungere altre situazioni personali, le vicende particolari del periodo in cui abbiamo collaborato, avvicinati da una re- ciproca stima e soprattutto dall’amicizia. Un sentimento che distribuiva con sapiente e saggia cautela ma che, per la sua indole, sapeva rendere molto allettante, tanto da rischiare di cadere nella sfera di chi poteva approfi ttarsene.

205 1966, Piero Bargellini, sindaco di Firenze negli anni dell’alluvione, relatore al Lions Club di Firenze, A destra di Franchi, Lelia Bargellini

206 Una palestra formativa

Artemio aveva frequentato la scuola elementare «Antonio Meucci» a Firenze con mio fratello Aldo. Diventarono amici; rimasero in contatto durante la seconda guerra mondiale e dopo il confl itto, anche accomu- nati dalle ristrettezze e dalle privazioni nelle diffi cili fasi della ricostru- zione. Grande, quindi, fu la gioia di entrambi quando dopo venti anni, il 28 gennaio 1964, si incontrarono ancora al Lions Club International di Firenze, in occasione dell’ingresso di Artemio. Partecipai all’evento come socio del Club. Fu facile stabilire con Artemio un buon rapporto senza altri fi ni, se non quello della sola vera amicizia: si è consolidata nel tempo, fi no alla sua prematura scomparsa. Il Lions Club è una palestra formativa di grande valore sociale ed uma- no; i soci sono uniti da rapporti sinceri, mai vissuti come strumenti per raggiungere altri fi ni. Artemio incontrò nel Club molti amici, come Umberto Benedetto, regista della Rai Firenze, entrambi appassionati di calcio con il cuore colorato del viola della Fiorentina. La partecipazione di Artemio alla vita del Club era comprensibilmente condizionata dagli altri impegni, che lo obbligavano a continui spo- stamenti nel mondo. Era, comunque, sempre presente nei momenti importanti. Umberto seguiva telefonicamente ogni suo spostamento anche se, in periodi in cui non esistevano i telefoni cellulari e internet, i collegamenti non sempre erano facili. Ma non cedeva e riusciva a contattare Artemio. Avevo un ruolo di collegamento ed eravamo molto affi atati.

Noi serviamo

Ricordo con nostalgia, anche se sono trascorsi quaranta anni, quei pe- riodi che, però, sembrano appartenere a decenni più vicini. Il merito della nostra amicizia, penso, debba essere attribuito soprattutto a Fran- chi che riusciva a mettere a suo agio ogni interlocutore. Non solo per una questione di feeling, ma anche per il suo comportamento, il suo

207 modo di presentarsi e di parlare: sempre al momento giusto, lineare e sintetico, con poche ma giuste parole. Un’intelligenza pura, che lo ha elevato a personaggio indimenticabile nel calcio, degli ambienti fi oren- tini e del Lions. «Noi serviamo» è il motto del nostro movimento inter- nazionale. Artemio ripeteva che servire non è un obbligo, non com- porta nessun sacrifi cio, ma regala e rende partecipi del grande valore dell’amicizia. Una condizione che vale in ogni luogo e tempo. Il suo stile continua ad essere un riferimento; sia per il suo comportamento che per l’importanza delle azioni che portava avanti: con correttezza e onestà. Non solo negli ambienti del Lions fi orentino, ma anche nelle altre realtà dove era presente.

Una platea attenta

Il 28 gennaio 1969, Artemio raccontò al nostro Club la preparazione della Nazionale italiana per i campionati del mondo di calcio del 1970. Parlò con la sua semplicità e chiarezza, davanti ad ospiti molto interes- sati: come i giornalisti Nando Martellini e Alfeo Biagi, i giocatori della Fiorentina e della Nazionale e . Il suo intervento si inserì fra la vittoria della squadra azzurra nel campionato europeo di calcio del giugno 1968 in Italia e il brillante risultato, con il piazzamento d’onore, alla Coppa del mondo 1970 in Messico. Artemio Franchi il 9 maggio 1974 fu eletto presidente del Lions Club Firenze. Un incarico a cui si dedicò con dedizione e senso del dove- re, riuscendo a conciliare questo impegno con il calcio che spesso lo allontanava da Firenze. La mia nomina a vice presidente intensifi cò la nostra intesa. Concluse il suo anno di presidente con una conferenza sul calcio al Centro tecnico federale di Coverciano. Artemio continuò ad essere im- pegnato nel Lions e per altri due anni partecipò al consiglio direttivo. Il calcio è un argomento che coinvolge e non stanca. Tanto più se raccontato da un personaggio come Franchi, che fu ancora relatore il 22 novembre 1982 davanti ad una platea molto attenta. Purtroppo, per la sua immatura scomparsa nell’agosto del 1983, fu la sua ultima conferenza al nostro Club. Solo qualche giorno e, il 26 settembre 1983, Artemio Franchi fu ricor- dato al Lions Firenze dal nuovo presidente Aldo Torrini, il suo amico d’infanzia. Gli interventi si alternarono; il vice presidente Francesco Picotti propose di dedicare a Franchi un successivo meeting. Ma la perdita di un personaggio come Artemio, non poteva essere archiviata con alcune commemorazioni. Con Umberto Benedetto, suggerimmo

208 che avremmo potuto fare di più, anche dare vita ad un’organizzazione che proiettasse nel tempo i principi e gli esempi di dirigenza sportiva di Artemio Franchi, che rappresentano una sua grande eredità. Con i soci Enrico Martellini, presidente della Fiorentina Calcio dal 1979 al 1980, e Bruno Zavagli, con incarico dal presidente, iniziammo ad elaborare il programma. Dopo ore di verifi ca e di confronto, aveva- mo ipotizzato uno statuto che rispondeva alle aspettative, ed individua- to le iniziali risorse economiche per consentire che l’azione continuasse nel tempo. La Fondazione Artemio Franchi stava nascendo. Il progetto fu completato alla fi ne del 1984 con il presidente Lions Francesco Picotti. L’atto costitutivo fu redatto il 13 maggio 1985 dal notaio Paolo Nasti.

I primi passi

Per la presentazione uffi ciale della Fondazione Artemio Franchi do- vemmo attendere il 12 maggio 1986 quando in Palazzo Vecchio il vice sindaco Michele Ventura e il presidente del Lions Club Firenze Mario Di Stefano incontrarono, con i fi gli di Franchi Francesco e Giovanna, alcuni esponenti del gotha del calcio: Franco Carraro, Ugo Cestani, Federico Sordillo, Antonio Matarrese, Antonio Ricchieri e numerosi dirigenti di società sportive. Ventura annunciò le intenzioni del Comu- ne di intitolare lo stadio comunale di Firenze ad Artemio Franchi, idea diventata realtà nel 1991, e di costituire una biblioteca sportiva. Non ha potuto concretizzarsi perché la raccolta libraria di Giordano Goggioli, che doveva rappresentare il nucleo essenziale, è stata ceduta al Coni di Firenze. L’inizio dell’attività della Fondazione Artemio Franchi non fu facile. Fu nominato primo presidente Ugo Cestani, in quegli anni ai vertici della Lega calcio serie C. Mancava una sede; il tempo dedicato era limita- to; i fondi erano esigui. Nel 1989, con Francesco Franchi e Giordano Goggioli, decidemmo di andare a Forlì per incontrare il vice presidente del Coni Bruno Grandi. Fu un colloquio semplice, sincero, diretto. Il risultato fu incoraggiante e Grandi accettò il ruolo di presidente del comitato di Fondazione. Questo passaggio rese necessario modifi care lo statuto, per il quale si adoperò il socio Lions Paolo Nasti. Nei succes- sivi anni, quando Bruno Grandi passò il testimone a Giancarlo Abete, fu sostituto da un altro testo. Decidemmo, ancora nelle fasi iniziali, di dare vita ad un consiglio di amministrazione per le attività correnti, e di cui fui nominato presidente. Era, così, defi nita la giunta esecutiva. Il

209 processo fu completato in breve tempo. Iniziammo a co-organizzare il primo importante evento della Fondazione: il convegno «Sport e alimen- tazione» a Castrocaro Terme. Il resto è cronaca dei giorni più recenti. Lo scopo che ha animato la nascita della Fondazione è stato quello di rendere il giusto merito alla fi gura di Artemio Franchi. Un amico mai dimenticato, dinamico socio Lions, espressione di un modus operandi che accumunava sport e cultura con la capacità di instaurare effi caci relazioni, sia nelle occasioni di successo ma anche nelle sconfi tte, al ta- volo come in panchina. Sono questi ed altri i motivi che mi convincono a considerarlo come uno dei migliori dirigenti sportivi nello scenario internazionale che ricordi la storia del calcio italiano.

Franco Torrini

210 Testimonianza

La Fondazione Artemio Franchi

Il 13 maggio 1985 fu costituita, su impulso del Lions Club Firenze e con volontà unanime, la Fondazione Artemio Franchi: per onorare, precisa l’atto costitutivo re- datto dal notaio Paolo Nasti, «con una iniziativa concreta e duratura la memoria di Artemio Franchi»

La Fondazione Artemio Franchi è nata nel 1985, lo stesso anno in cui fui accolto come socio nel Lions Club Firenze.

211 Firenze, lo stadio comunale «Artemio Franchi»

212 L’eredità

Ho avuto la fortuna di aver conosciuto e di essere stato amico di Ar- temio Franchi. Questa fortuita circostanza mi assegnò il privilegio di rogare l’atto pubblico che consacrò uffi cialmente la nascita della Fon- dazione Artemio Franchi. Dico uffi cialmente perché la Fondazione era già viva nel cuore dei soci del Lions Club Firenze che, con profondo affetto e grande stima verso Artemio Franchi, avevano iniziato a con- cepirla sin dal tristissimo 12 agosto 1983, data della sua immatura e tragica scomparsa. Franco Torrini ne era il più convinto promotore. Queste situazioni mi consentirono di legare il mio nome a quello della Fondazione Artemio Franchi, potendo, così, oggi offrire la testimo- nianza della nostra azione. Quando mi fu chiesto, come notaio, di procedere alla costituzione della Fondazione, molti furono i soci che, ciascuno secondo le competenze e le inclinazioni, si prodigarono con suggerimenti e consigli. Con Fran- co Torrini, Umberto Benedetto, Camillo Bornia, Mario Giovannini, Bruno Zavagli, personaggi di grande prestigio e, purtroppo, scomparsi. Con loro, anche i soci Massimo Fabio, Paolo Fanfani e, ovviamen- te, Francesco Franchi che, con altri, assicurarono un tanto qualifi cato quanto importante contributo. Finalmente, dopo i necessari confronti e le consultazioni, come pre- visto dalla delibera del consiglio direttivo del Lions Club Firenze, con mio atto pubblico, il 13 maggio 1985, fu costituita la Fondazione Ar- temio Franchi; fi rmatari Francesco Picotti presidente pro tempore del Lions Club Firenze, Francesco Franchi fi glio di Artemio e socio del Club, Ugo Cestani presidente della Lega calcio serie C. Queste fi rme documentavano i tre riferimenti imprescindibili della Fondazione: 1 - Il Lions Club Firenze, a cui deve essere riconosciuto il merito dell’iniziativa e i cui soci avevano fortemente voluto la Fondazione. Questo impegno testimoniava la sincera amicizia e la grande riconoscenza per Artemio Franchi, stimato socio e presidente pro tempore del Club; 2 – La fami- glia, legittima erede e custode dei valori espressi e sostenuti da Artemio Franchi; 3 – Il mondo del calcio dove, nella sua complessa e multifor-

213 me realtà, Artemio Franchi si era distinto a livello mondiale con totale e altamente qualifi cata dedizione. Questi nomi rappresentavano le tre realtà che più compiutamente potevano esprimere gli affetti e le passio- ni del personaggio che si voleva ricordare.

I tre protagonisti

L’atto costitutivo defi niva la volontà di dar vita ad un’iniziativa con- creta, capace di produrre delle testimonianze sempre attuali, quindi destinate a permanere nel tempo, della spiccata personalità di Artemio Franchi. Questi concetti furono espressi con le parole «Al fi ne di onorare con una iniziativa concreta e duratura la memoria di Artemio Franchi, su impulso del Lions Club Firenze e per volontà unanime, viene costituita la Fondazione denominata Fondazione Artemio Franchi». Lo stretto legame tra la Fondazione e il Lions Club Firenze, la famiglia Franchi e il mondo del calcio, fu consacrato dall’articolo 8 dello statuto allegato all’atto costitutivo che, tra l’altro, disponeva che del consiglio di amministrazione «sono membri di diritto un delegato del consiglio direttivo del Lions Club Firenze ed i signori Francesco Franchi in rappresentanza della famiglia Franchi e il grand’uffi ciale Ugo Cestani», quale presidente della Lega calcio serie C. Lo statuto, rimarcando il legame con la famiglia Franchi precisava: «In mancanza del signor Francesco Franchi, sarà membro di diritto del consiglio di amministrazione il più prossimo dei suoi parenti in linea retta, ovvero, in mancanza, il più prossimo dei parenti in linea collaterale ed a parità di grado il più anziano».

L’organizzazione

Successivamente, nel tempo, lo statuto fu adeguato alle esigenze emer- se nei primi periodi di attività. In particolare, negli anni 1995-1996, per deciso impulso, tra gli altri, di Giancarlo Abete, Franco Torrini e Fran- cesco Franchi, per promuovere una dimensione anche internazionale dell’azione della Fondazione, adeguata alla fi gura di Artemio Franchi, furono introdotte nello statuto varie novità di signifi cativo rilievo: tra le quali, il comitato di Fondazione, con il suo presidente che si identifi ca con quello della Fondazione; la giunta esecutiva; il segretario generale e il comitato dei garanti. Il comitato di Fondazione, pur confermando lo stretto legame con i fondatori che intervennero nell’atto costitutivo, assicura che la Fonda- zione sia effi cacemente collegata con una più vasta realtà sociale. Que-

214 sta condizione è assicurata dalla presenza nel suo organigramma di enti e personalità di spiccato prestigio e professionalità come, tra gli altri, il Coni, la Figc, la Provincia e il Comune di Firenze, il Panathlon Club Firenze. Il comitato di Fondazione, per statuto, è il principale organo della Fondazione: ha poteri di nomina e revoca degli altri organi, di vi- gilanza e garanzia; formula i programmi e gli indirizzi dell’attività della Fondazione. Il presidente del comitato di Fondazione ha la rappresen- tanza legale. Attualmente il presidente del comitato di Fondazione è Francesco Franchi, succeduto a Giancarlo Abete. La giunta esecutiva cura la promozione, lo sviluppo delle iniziative e dei programmi decisi dal comitato di Fondazione; ha i poteri dell’ordi- naria amministrazione, anche deliberativi in alcuni ambiti stabiliti dalla statuto. Il segretario generale è nominato dal comitato di Fondazione e, secon- do i poteri che gli sono riconosciuti dallo statuto, assicura l’attuazione delle decisioni del comitato e della giunta. Nell’ambito delle proprie funzioni, ha la rappresentanza legale della Fondazione. Oggi è segreta- rio generale Marcello Magni. Il comitato dei garanti, i cui componenti sono nominati dal comitato di Fondazione tra le personalità di prestigio nel mondo dello sport, assicura sostegno e tutela della Fondazione, nel suo ruolo di interprete della fi gura di Artemio Franchi. Il comitato promuove la Fondazione negli ambienti e nei rapporti con le massime istituzioni sportive na- zionali e internazionali. Oggi, sono membri del comitato dei garanti, Paolo Bagnoli, Franco Carraro, Bruno Grandi e Mario Valitutti. L’attuale struttura statutaria assicura un’organizzazione vivace, vitale, tale da poter assolvere al meglio i compiti affi dati da chi ha voluto e realizzato trenta anni fa e sapientemente condotto fi no ad oggi la Fon- dazione Artemio Franchi. E’ accolta negli ambienti del settore tecnico della Figc al Centro di Coverciano: per i positivi legami e la disponibili- tà delle strutture, è la giusta sede per sviluppare le azioni e le differenti iniziative.

Una lezione indimenticabile

È opportuno ricordare ciò che, fra l’altro, Umberto Benedetto scrisse in occasione della costituzione della Fondazione, a cui riconosceva la funzione di «tenere sotto gli occhi e nel cuore, la indimenticabile lezione di vita di Artemio Franchi». Per far comprendere le sue idee, preferì citare un pensiero del Machiavelli: «Quando la fortuna ci ha tolto un amico, non è altro rimedio che il più che a noi è possibile cercare di godere la memoria di quello

215 e ripigliare se da lui alcuna cosa fosse stata o accuratamente detta o saviamente trattata». Ed un brano degli Annali di Tacito: «Non è compito dell’amico piangere inutilmente l’amico scomparso, ma ricordarlo e tradurre in opere concrete la sua volontà e i suoi intenti». Cioè, aggiunse: «Sarà questa la missione che dovrà assolvere l’istituto che sa sorgendo». Molte, siamo certi, furono le cose, per dirla con Machiavelli, «accura- tamente dette o saviamente trattate» da Artemio Franchi e degne di essere ricordate e tradotte in opere concrete. Tutti coloro che si sono adoperati, si adoperano e si adopereranno per attuare i suggerimenti di Machiavelli e Tacito, ricordati da Umberto Benedetto, avranno il privilegio di potersi professare veri amici di Ar- temio Franchi, anche se non avessero potuto purtroppo incontrarlo in vita.

Paolo Nasti

216 Testimonianza

L’insegnamento

Vincenzo Fiorenza, vice responsabile settore tecnico Associazione italiana arbi- tri Aia ed osservatore Can serie A, è stato per venti anni arbitro, per sei anni diri- gente regionale, da diciotto anni è dirigente nazionale. Ha vinto il premio nazionale «Carlo Angeletti» come miglior arbitro debuttante della categoria. Nominato «arbitro benemerito», fra l’altro, è stato presidente della commissione regionale arbitri della Toscana. Premio nazionale come miglior presidente Cra, ha partecipato al comitato nazio- nale Aia.

Il 1922 è l’anno che, per nascita, accomunava Artemio Franchi con mia madre. Questo non perché mia mamma si occupasse di gioco e stadi: se non nella misura in cui per impegno nel calcio si intende anche il tempo che dedicava a lavare e stirare la mia divisa da arbitro. Il valore di questa analogia temporale è, comunque, particolare ed ha un profondo signifi cato: il mio rapporto con il «dottor Franchi», l’appellativo con cui preferivo chiamarlo, è stato come quello con un genitore capace di indicare con determinazione la strada da percorrere.

217 1982, Franchi con il ct della Nazionale Enzo Bearzot e il suo assistente Guido Vantaggiato

218 Il metodo

Artemio, con il giusto metodo, i suoi modi semplici e trasparenti, ma anche fortemente intrisi di verità e competenza, sicuramente sapeva e riusciva sempre ad individuare la migliore alternativa. Fra i momenti che hanno segnato il mio percorso, alcuni si collegano ad Artemio Franchi. Ero un giovane arbitro, avviato ad una «promet- tente» carriera quando, nel 1973, ricevetti il «Premio Siena», diventato successivamente il premio «Artemio Franchi». Fu l’occasione per co- noscerlo. Una persona che subito avvertii come speciale, con un forte carisma. Mi rivolse poche ma intense battute; mi augurò di ottenere molti successi sportivo arbitrali. Adesso, con piacere, riconosco che ha anticipato il corso degli eventi e le sue parole possono aver avuto un’infl uenza favorevole. Nel tempo, i suoi auguri si sono quasi tutti concretizzati nel percorso che ho intrapreso e negli obiettivi raggiunti. Ecco chi è e come si riconosce un grande uomo: non sono né il cap- pello, né il vestito che indossa a decidere la vera differenza o l’auto- revolezza. Sono soprattutto i pensieri, le azioni, i gesti, le parole, che determinano il prestigio e la credibilità . Non sempre la competenza si associa al rispetto e alla semplicità che, ritengo, garantiscono i migliori approcci. Sinceramente nei miei am- bienti professionali e sportivi, non sono molti i personaggi di alto profi lo che, una volta raggiunti certi vertici, hanno continuato a com- portarsi secondo il buonsenso, il rispetto, la semplicità. Sono caratteri- stiche che dipendono dalla personalità e di cui Artemio Franchi sapeva fare buon uso. Così, un incontro casuale, anche nell’affollato centro di Siena, come in Banchi di Sopra, davanti al ritrovo del bar Nannini, poteva trasformarsi in un breve, ma intenso colloquio con cui Franchi riusciva a far comprendere con poche e semplici parole le sue teorie e strategie del calcio. Artemio aveva il grande pregio di ascoltare sempre i suoi interlocutori. Questo atteggiamento apparteneva alla sua indole: una dote che lo ha aiutato a raggiungere grandi risultati, a far valere le sue scelte che, dopo trenta anni, continuano nel mondo del calcio, gra- zie anche alla lungimiranza che le ha ispirate, ad essere valide e attuali.

219 Quando scompare una persona, il ricordo resta soprattutto se, come nel caso di Artemio, rimane il suo grande patrimonio di esperienze e progetti, di azioni intraprese e da continuare.

Per caso o scelta?

Una domanda, che nel tempo continua ad attendere una risposta, ri- guarda l’esperienza di Artemio, prima dell’inizio della sua carriera da dirigente, come arbitro: ovverosia, se quel breve periodo sia stato ca- suale o, invece, una conseguenza del suo modo di essere, di pensare, di agire. Dopo tanti anni di attività, posso affermare che chi si avvicina e adotta lo stile e il modo di ragionare particolare dell’arbitro, resta infl uenzato ed acquisisce un insostituibile bagaglio che vale per l’intera vita, sportiva e non. Un approccio che deve essere stato utile a Franchi negli anni in cui è stato responsabile del settore arbitri della Fifa, l’organismo mondiale del calcio dove, senza il tragico incidente del 12 agosto 1983, avrebbe sicuramente raggiunto il gradino più alto di presidente. I consensi che Artemio ottenne all’inizio della sua attività, erano il frutto dello stesso impegno che negli anni successivi gli avrebbero consentito di ottenere altri e molto importanti risultati negli ambienti internazionali. Si mo- difi cavano gli scenari, ma Artemio Franchi non cambiava i modi di pensare e di agire. Un esempio vale per comprendere la capacità di Franchi di anticipare i tempi e di adottare le migliori soluzioni per il calcio, consentendo di ottimizzare risorse umane e materiali. Il concetto che sosteneva era semplice: ogni provincia o ambito territoriale di una certa importanza aveva ed ha una sede locale della Figc, quasi sempre affi ancata da una sede della sezione arbitri. Nella stessa località, sono presenti rappre- sentanze del Coni e di altre federazioni sportive. La concentrazione in un’unica struttura di queste diverse unità avrebbe rafforzato la loro do- tazione patrimoniale, consentito di ammortizzare i costi e di sviluppare sinergie fra i differenti ambienti sportivi. Questa strategia, sempre mol- to attuale ed effi cace, era un progetto a cui stava lavorando Artemio e che, se il destino fosse stato diverso, avrebbe sicuramente realizzato.

Un cittadino molto ambito

Ghibellino per i senesi, guelfo per i fi orentini. Artemio ha vissuto que- sta «duplice» cittadinanza con grande equilibrio e con generosità, tanto

220 da essere ambito da entrambe le città, divise da un remoto campanili- smo e con il quale oggi simbolicamente convivono. E’ impossibile dimenticare la folla che, in occasione dell’ultimo saluto ad Artemio, percorse Siena, da Salicotto fi no fuori della porta Camol- lia. Una vastissima e sentita partecipazione che si ripeté quando il cor- teo arrivò alle porte di Firenze, prima a Coverciano e poi al cimitero di Soffi ano, che da quel giorno lo accoglie. Fu una grande testimonianza dell’affetto e della stima che Siena e Firenze, il calcio, lo sport, il vasto scenario, riservavano al presidente dell’Uefa. Quella grande folla dimostrava l’incontro fra le realtà a cui era legato Artemio: da un lato, Coverciano a Firenze ed il calcio per il quale si era impegnato stimolando progresso e sviluppo; dall’altro, Siena e la sua contrada la Torre, alla quale come capitano voleva regalare la vittoria del Palio. Potrà sembrare strano ma, quando a Cortona, nell’intervallo di una amichevole di serie C per la preparazione estiva, un amico mi informò del terribile incidente nel quale perse la vita Artemio Franchi, il primo pensiero al quale associai il presidente dell’Uefa fu proprio il suo bipo- larismo. La capacità di dividersi in modo equilibrato per portare avanti con autorevolezza due diversi percorsi. La popolarità, il consenso che nella vita hanno accompagnato Arte- mio Franchi, il suo ruolo super partes, sono dimostrati dalla scelta di dedicargli a Siena e Firenze i due grandi stadi di queste città. La Fon- dazione, che porta il suo nome, ha raccolto la sua eredità: sportiva ma anche personale e professionale. Sono molto riconoscente ad Artemio Franchi. Nel mio percorso, ieri come arbitro sui terreni di gioco, oggi come dirigente sportivo nell’ambito arbitrale, ha rappresentato un rife- rimento costante per la scelta dei valori da privilegiare.

Vincenzo Fiorenza

221 222 XI Il cammino continua

223 È grande il patrimonio di valori umani e professionali, che ha lasciato Artemio Franchi. La sua eredità è stata raccolta dalla Fondazione Artemio Franchi che, voluta dal Lions Club Firenze, sviluppata con partnership e vasti consensi, è ac- colta presso il Centro tecnico federale di Coverciano. Valorizza e diffonde i principi che ispirarono Artemio Franchi; realizza iniziative sportive, ma anche scientifi che, sociali, culturali, che ricordano la sua azione umana e sportiva; promuove il premio di laurea «Artemio Franchi», borse di studio, convegni scientifi ci, studi, ricerche, altre iniziative. Consegna riconoscimenti a personalità, atleti, società, associazioni sportive e non, altri enti e soggetti che si distinguono nello scenario delle relazioni sportive e che ricordano l’esperienza di Artemio Franchi.

224 Una catena virtuosa

Siena e Firenze hanno dedicato, la città del Palio dal 1987, il capoluogo toscano dal 1991, al dirigente sportivo gli impianti che ospitano le pri- me squadre di calcio: lo stadio Artemio Franchi - Montepaschi Arena casa dell’Ac Siena, lo stadio comunale «Artemio Franchi» campo di gioco dell’Acf Fiorentina. Artemio Franchi è l’unico personaggio della nostra storia a cui sono state dedicate due grandi strutture sportive. L’Acf Fiorentina e l’Uefa organizzano l’Artemio Franchi Memorial, ovverosia una partita speciale, nello stadio di Firenze, tra la Fiorentina ed altri importanti club europei. L’obiettivo è quello di regalare il gran- de spettacolo di amicizia, impegno sportivo e tutti gli altri valori di cui Artemio Franchi è stato testimone. Anche la città del Palio ha il suo premio «Artemio Franchi», già «Premio Siena»: è assegnato, per concludere degnamente la stagione sportiva, ai migliori arbitri senesi. Sono, inoltre, consegnati dei riconoscimenti a coloro che nello scenario mondiale si sono distinti per meriti sportivi. La contrada della Torre ha voluto siglare nel tempo il suo legame con Artemio Franchi, dedicandogli la piazzetta che, luogo centrale della contrada, accoglie la fontanina. Ed ancora, a Siena, a Firenze, in Italia e nel mondo, tante le situazioni che ricordano e rendono merito al personaggio e alla grande azione di Artemio Franchi. La sua opera ha continuato a manifestare posi- tivi effetti ben oltre quel tragico 12 agosto 1983. Il presidente della Fifa João Havelange a Coverciano davanti alla vasta platea di coloro che non mancarono l’ultimo saluto ad Artemio Franchi, si impegnò per assegnare all’Italia la quattordicesima Coppa del mondo 1990, come riconoscimento dell’azione del presidente dell’Uefa. Un grande successo per l’Italia che, dopo aver accolto i campionati Euro ’80, dopo solo dieci anni con la Coppa Fifa diventò la capitale mondiale del calcio. Italia ‘90 fu l’ultima importante competizione calcistica di questo livello

225 Occorre, ha insegnato Artemio Franchi, «sempre sorridere alla vita»

226 disputata nel nostro Paese. Un evento memorabile che, tuttavia, non liberò dalla malinconia coloro che, sette anni dopo la scomparsa di Artemio Franchi, pur entusiasmandosi per la splendido spettacolo cal- cistico offerto dall’organizzazione italiana, non potevano dimenticare l’uomo che ne era stato l’ideatore e l’animatore. Una secolare rivalità continua a contrapporre in una retorica diatriba, animata dalla tradizione superata dai moderni eventi, Siena a Firenze. L’Unità d’Italia, una superstrada, altre situazioni non sono riuscite nel tempo a ricomporre in una generale armonia queste realtà. È rilevante che, uniche città ad avere il loro stadio dedicato allo stesso personaggio, si siano invece incontrate per promuovere la grande eredità di valori personali e professionali ricevuta da Artemio Franchi.

Antonella Leoncini

227 15 marzo 2013, il messaggio

L’Uefa ha parlato ancora di Artemio Franchi in occasione, il 15 marzo 2013, del 40° anniversario della sua elezione a presidente. Per celebrare il suo grande contributo allo sviluppo del calcio europeo e mondiale, ha scelto le parole con le quali il france- se Jacques Georges successore, come vice presidente vicario, di Franchi alla presidenza dell’Uefa, rese omaggio al suo ruolo e alla sua azione: « (…) un uomo del suo spessore non può lasciarci senza aver formato una profonda e permanente impronta nella nostra memoria. Ha permeato la nostra mente con l’esempio che ha rappresentato (…). La di- mensione del lavoro che ha completato nell’ambito dell’Uefa è più chiaramen- te rifl esso nell’organizzazione delle competizioni; oggi, ogni evento promosso dall’Uefa porta il suo marchio. « (…) Ha sempre voluto che il calcio fosse un gioco corretto, uno sport leale ed onesto, per anni combatté per sconfi ggere la violenza che minacciava il gioco, e per proteggere l’immagine del calcio come sport per veri uomini sportivi che intendono non arrecare alcun danno (…) e credeva anche che il solo linguaggio capace veramente di superare tutte le barriere e frontiere fosse quello dello sport».

228 Artemio Franchi elected Uefa president

The main purpose of this meeting, gramme. «We have been shown the way. held in the Italian capital to mark the Now we must follow it and reinforce UE- 75th anniversary of the Italian Foot- FA’s structures», he said, adding that, ball Federation, was to elect a new although the UEFA competitions UEFA president for the remaining were already very well organised 14 months of the term of Gustav and UEFA itself was in a strong po- Wiederkehr from Swiyzerland, who sition, there was still a lot to do to had died suddenly on 7 July 1972 du- consolidate what had already been ring his third term as president. achieved and to create true unity in In accordance with the UEFA Sta- European football. tutes of the time, the most senior UEFA vice-president, Hungarian Tragic accident Sandor Barcs, who had been a vice- Confi rmed as president by acclama- president since 1962, became care- tion at the Ordinary UEFA Congress taker president until the congress in in Edinburgh in May 1974, Artemio . Franchi remained at the UEFA helm for ten years, until a car accident in Four candidates on 12 August 1983 tragically Four men had initially put their na- brought his life and brilliant career in mes forward for the presidential elec- sposrts administration to an end. tion, although Dutcham Jos. Coler His successor as president, fi rst vice- withdrew bewfore the vote and the president Jacque George (France), electors had to choose between San- paid the following tribute to him in dor Barcs, Italian Artemio Franchi, a the UEFA Bulletin: «[…] a man of UEFA vice-president since 1968, and his stature cannot leave us without having Englishman Denis Follows. formed a deep and lasting imprint on our One round of voting was enough for memories. Let us bear in minf the example Artemio Franchi, with 21 votes, to he has set us […]. The scale of the work he become the third UEFA president, accomplished within UEFA is most clearly following in the footsteps of Ebbe refl ected in the form of its competitions; each Schwartz and Gustav Wiederkehr. and every one of the UEFA events today The vacant seat on the Executive bears his mark. Committee was fi lled by the only […] He always wanted football to be a candidate, Switzerland’s Lucien Sch- good game, a fair and honest sport, and for midlin. years he fought to overcome the violence per- vading the game, and to preserve football as Strong position a sport for true sportsmen who had no in- After this election, Artemio Fran- tention of doing each other harm […] and chi thanked the UEFA Congress. he also knew that the only language capable He said that his term would barely of truly overcoming all sorts of barriers and be long enough to draw up a pro- frontiers was the language of sport».

229 Ringrazio Alda Pianigiani Franchi, Francesco e Giovanna Franchi, preziosi consulenti per ripercorrere il complesso cammino del protagonista di questo racconto; Massimo Bianchini che, amico senese e persona di fi ducia di Artemio, ha rivelato interessanti aspetti che hanno animato il loro rapporto; Fino Fini e Benito Guazzi che, vicini a Franchi, il primo a Firenze e nel calcio, l’altro a Siena e nella contrada della Torre, hanno assicurato collaborazioni più importanti delle loro testimonianze; Orlando Pacchiani: professionista dei rapporti con i media, esperto di calcio e di Palio, con la sua esperienza e la disponibilità, ha partecipato ad alcune pagine essenziali di questo volume. Strategici i sostegni di Ilaria Ghinoi e Marcello Magni, Fondazione Artemio Franchi. Un ringraziamento a Francesco Fusi e Maurizio Madioni per aver aperto gli archivi: il primo della contrada della Torre, l’altro del calcio giovanile; a Pietro Cinotti fotografo e Agostino Murgia giornalista; per l’aiuto nella correzione delle bozze a Alessandro Rigacci e Giancarlo Torracchi valido referente in molte situazioni; a ChiantiBanca; a tutti coloro che hanno contribuito ad animare la storia delle vicende, dei percorsi e delle vocazioni di Artemio Franchi.