Un Museo Per Non Morire Precisazione
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1 Editoriale Un museo per non morire Cos’è un museo? Un deposito di cultura? Roba vecchia accatastata o sparpagliata negli angoli? Defi- nirlo è più difficile che visitarlo. I musei, da sempre, sono luoghi di dialogo. Si parla col passato. Si sentono le voci dei nostri antenati, si vedono i volti scolpiti sulla pietra. Nell’intaglio o negli attrezzi contadini (come a Volturara, come a Lioni, ad Aquilonia o a Guardia dei Lombardi) si avverte il respiro d’una civiltà. Un museo – parafrasando Pavese – è come un paese: perché sai che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. E cosa sono i frammenti, i vasi, una falce, un utensile, un quadro? Sono vita, corpi che anche nel buio e nel silenzio di un luogo parlano e si riconoscono. Montella non ha mai avuto un museo. Forse neppure mai ne ha sentita la necessità. O, cosa più probabile, nessun amministratore comunale, nessun assessore alla Cultura si è mai preoccupato di come conservare il nostro passato, come tutelarlo e raccoglierlo per salvaguardo in un luogo sicuro e facilmen- te fruibile. Quasi tutti si sono preoccupati di mettere su, al men peggio, d’estate, uno straccio di pro- gramma per diminuire il vagabondaggio davanti ai bar. Il risultato? Ogni amministratore si è prodigato molto per la sua parte e la sua competenza a relegare Montella agli ultimi posti in quanto ad attività culturali. In questo tutti hanno parità di merito. La nostra cittadina è diventata tristemente e sconsola- tamente il fanalino di coda in provincia: nemmeno uno straccio di sagra della frutta secca, che oggi nessuno si nega! Basti, del resto, guardate a cosa bisogna assistere per la Sagra o la Mostra vendita della castagna. In tempi di crisi, di parsimonia amministrativa e di contrasti, sono riusciti anche a dividerla. In questo panorama desolante merita invece un plauso la “Festa dei casali”, un modello che andrebbe ripreso e sviluppato, sempre se non la saboteranno prima. Torniamo al museo. Si dirà: un museo ha bisogno di una sede, di un custode, di testimonianze, di catalogatori. Vero a Montella, come è vero a Lioni, ad Aquilonia, a Guardia, a Volturara. Guardiamoci intorno. Quante strutture comunali sono disponibili? Quanti immobili sono abbandonati, nel degrado, nella solitudine? Molti. E molti sarebbero sicuramente disponibili, considerato che al Comune tutto si può rimproverare meno che di avere progetti culturali di ampio respiro. Ecco perché l’idea di Giovanni Bello, sostenuta dalla nostra rivista, merita rispetto e condivisione. Ecco perché vogliamo che anche altre associazioni culturali presenti sul nostro territorio si facciano sentire su questo tema; che tanti giovani escano dal letargo e trovino momenti di aggregazione fattiva; si scopra uno spazio di confronto culturale costruttivo, assente da tempo immemore in un paese “abban- donato in questa dolina che ha il languore di un circo prima o dopo lo spettacolo”. Gianni Cianciulli Precisazione In merito alla lettera-testamento inviata da Giovanni Bello a questa rivista lo stesso precisa che là dove aveva scritto che erano stati ritrovati “una decina di semi di grano carbonizzati”, intendeva dire “una decina di chili di grano carbonizzato” e che là dove elencava “un altare in ferro fatto a mano di epoca tra ‘700 e ‘800” intendeva dire “un alare in ferro battuto, vale a dire un capifuoco con due portavivande che servivano per riscaldare la cena” 2 IL MONTE Lettura... Stragi borboniche «Nessun sentimento più potentemente dispone gli uomini a rassegnarsi alla morte quanto la perdita di ogni speranza di ottenere giustizia sulla terra. Alcuni nella fede che troveranno altrove un giudice più equo; altri nella certezza di un riposo ininterrotto oppongono il coraggio alla oppressione, abbandonandosi (forse con ragione) alla speranza di anticipare la immediata ricompensa, ed esasperando il futuro rimorso dei loro nemici. Infatti i Napoletani, dotati come sono da natura di un’inquieta e ardente immaginazione, poveri e ricchi, dotti e ignoranti, scettici e ecclesiastici (tanto i puri quanto i corrotti), vecchi indeboliti dall’età e donne ardenti della giovanile prospettiva di una vita gioiosa, quasi tutti salirono il patibolo con uguale serenità. [...] Perì pure allora la parte generosa della nobiltà, spezzata nel fiore delle sue speranze; poiché, sebbene i padri si fossero fatti schiavi per loro indolenza, i figli avevano appreso dalle ultime calamità del loro paese che con l’uso delle armi e con la partecipazione all’amministrazione dei pubblici affari l’aristocrazia di una nazione può da sola sperare di opporsi al dispostismo sì domestico che straniero. [...] La prima persona giustiziata, due mesi avanti la istituzione della grande corte criminale, e anzi prima dell’arrivo del Re, fu il Principe Fr. Caracciolo, ammiraglio della marina napoletana, il quale in settant’anni di vita attiva si era tenuto lontano dal torpore in cui i patrizi italiani sono proclivi a languire; e alla esperienza della sua professione egli aggiungeva la dottrina di un uomo di scienza. Aveva dapprima seguita la corte in Sicilia, ed era ritornato a Napoli col permesso del Re, che lo diffidò di immischiarsi negli affari della repub- blica. Tuttavia egli si credette obbligato di riassumere il comando di una flottiglia di cannoniere, i soli avanzi delle navi da guerra, per timore che i Francesi vi mettessero ufficiali della loro nazione; e quando gli Alleati attaccarono Napoli, egli tentò di far uscire la squadra inglese dall’isola di Procida. Fu messa una taglia sulla sua testa, ed egli fu condotto alla presenza di Nelson, il quale ordinò che una corte marziale procedesse sommariamente e «riferisse a lui quale punizione il prigioniero dovesse subire». Il conte Thurn, che aveva precedentemente bruciata la flotta napoletanza, era uno di quegli avventurieri stranieri che intrigano per ottenere favori dai principi, e sono ovunque gelosi del verace merito; e benché il prigioniero allegasse che Thurn era suo dichiarato nemico, fu lui che riunì la corte marziale di ufficiali napoletani a bordo della nave ammiraglia di Lord Nelson, e ne fu nominato presidente. Il latore della sentenza trovò l’ammiraglio inglese seduto nella sua cabina tra Sir William e Lady Hamilton, e, udendo che Caracciolo era stato condannato al bando e alla confisca, ordinò che la sentenza fosse riveduta; essendo stata la pena commutata nel carcere perpetuo, desiderò che la rivedessero ancora. [...] Il processo cominciò alle dieci del mattino e Nelson subito dopo mezzogiorno firmò la sentenza e ordinò che il reo fosse impiccato. Questi temendo piuttosto il modo della morte che la fine della sua vita, chiese di essere fucilato come ufficiale o decapitato secondo i privilegi de’ suoi antenati. L’ammiraglio inglese rispose «che egli non aveva alcun diritto di intervenire in un giudizio pronunziato lealmente da ufficiali del suo paese». Dopo queste parole egli passeggiò su e giù agitato e silenzioso; e mentre visibilmente si sforzava di far tacere nel suo cuore il presentimento della macchia inflitta alla sua reputazione, Lady Hamilton fu presente al supplizio. Il marinaio italiano che ricevette l’ordine di passare la corda intorno al collo dell’ammiraglio, esitò e si curvò innanzi come se desiderasse baciargli la mano. «Lasciatemi morire solo», disse Caracciolo [...]. Lady Hamilton non abbandonò il vascello finché non vide Caracciolo impiccato; mandò due volte per sapere quando stesse per essere tirato giù dall’albero di trinchetto; tornò di nuovo in una barca all’approssi- marsi della notte per vederlo gettar in mare; allora scrisse per assicurare la regina «che anche i resti del nemico di Sua Maestà non si sarebbero più potuti vedere». Tredici giorni dopo il re, passeggiando sul ponte con Nelson, esclamò improvvisamente con un grido di orrore: «Vieni! Vieni!». Il cadavere del vegliardo, dritto dalla cintola in su sopra le onde, fu visto galleggiare verso la nave, non essendo abbastanza pesante la palla che era stata attaccata ai piedi allo scopo di affondarlo. Due marinai, senza che nessuno avesse osato di approvarli o biasimarli, raccolsero il cadavere del loro ammiraglio e lo portarono in una chiesa per la sepol- tura». Da: Ugo Foscolo, An account of the Revolution at Naples during the Years 1798-9. 3 Il M Periodico trimestrale dell’Arciconfronteaternita del Santissimo Sacramento - Montella SOMMARIO Proprietà Arciconfraternita SS. Sacra- Editoriale mento - Montella Un museo per non morire Gianni Cianciulli 1 Direttore Responsabile Gianni Cianciulli Lettura... Direttore di Redazione Stragi borboniche - U. Foscolo 2 Carlo Ciociola Pittura ... astratta - Plinio il Vecchio 6 Il fuoco che scoppietta - E. Montale 8 Comitato di Redazione La storia non si snoda - E. Montale 22 Alessandro Barbone L’angosciante questione - E. Montale 42 Tullio Barbone Iolanda Dello Buono I ricordi, queste ombre .... - V. Cardarelli 90 Virginio Gambone Il lamento di una contadina - Su Shih 94 Giuseppe Marano La pioggia nel pineto - G. D’Annunzio 110 Nadia Marano Simona Pannullo Teresa Romei Personaggi Paolo Saggese Il ricordo: Alessandro Moscariello Fra’ Agnello Stoia La Redazione 9 Silvestro Volpe Un montellese dimenticato: l’Ammiraglio Collaboratori Salvatore Pelosi Giacinto Barbone Salvatore Bonavitacola 11 Paolo Barbone Il ricordo: Carmelino Marinari Salvatore Bonavitacola La Redazione 14 Maurizio Capone L’Erranza di Carlo Muscetta Raimondo Chieffo Aristide Moscariello 18 Lucio Cione Adriano Garofalo Aristide Moscariello Storia Fabio Palatucci Gennaro Passaro Storia