IL CENTRO ANTICO DI MILANO Sviluppo e declino della città settecentesca ëéëé:. IL CENTRO ANTICO DI MILANO Sviluppo edeclino della città settecentesca

testo di GIANNI MEZZANOTTE

EDITO DALLA BANCA LOMBARDA NEL SUO PRIMO CENTENARIO

Alle trasformazioni urbanistiche, ambientali, edilizie del centro antico di Milano negli ultimi secoli è stata dedicata una bibliografia fra le più ricche tra quelle che hanno per oggetto città italiane. Studi su edifici, contrade e vicoli, saggi sulla cartografia, storie edilizie e ricostruzioni grafiche hanno individuato le modificazioni successive del volto cittadino, sicché le caratteristiche e l’immagine della città sette e ottocentesca sono ormai ben note, almeno quanto lo sono gli eventi politici, culturali ed economici che hanno segnato la vita di quei secoli. Poco invece è stato fatto per precisare i legami tra quel complesso di eventi e il risultato urbanistico, ambientale ed edilizio della città, come di decennio in decennio si è configurata, e che il nostro secolo va progressivamente distruggendo. La configurazione definitiva del centro antico di Milano, infatti, è prodotta in gran parte da una serie di provvedimenti e interventi settecenteschi che ebbero intenzioni assai più ampie dell’organizzazione urbanistica, configurazione che fu realizzata anche attraverso uno straordinario complesso di più specifiche norme coerenti a quelle premesse, e con il concorso profondamente partecipato dei costruttori e degli abitanti stessi. In queste pagine la città settecentesca è descritta soprattutto come risultò dalle premesse politiche degli ordinamenti della vita civile, e dal concorso corale degli amministratori, dei costruttori, degli abitanti. E ciò non soltanto per chiarire alcuni aspetti di un capitolo importante e complesso della storia urba­ nistica ed edilizia di Milano, ma perchè dall’indagine sul passato possa derivare qualche suggerimento al confuso operare attuale nell’ambiente residuo del centro antico, che ha i lati più negativi nella incertezza amministrativa e nel disinteresse. Nella storia recente di Milano, i periodi di profonda trasformazione urbana possono riconoscersi negli ultimi cinquant’anni del secolo XVI, e nella seconda metà del secolo XVIII; infine, con l’Unità inizia quella serie di fenomeni, tuttora in corso, collegati allo sviluppo industriale e all’inurbamento, che dà nuova dimensione alla città, e riduce l’abitato compreso entro le mura spagnole a « centro » di un orga­ nismo assai più complesso ed esteso. Al termine del primo dei periodi di rinnovamento ricordati, caratterizzato dal tracciamento delle fortificazioni spagnole e dalle riforme di Carlo Borromeo, la pianta compilata da F. M. Ricchino nel 1603 — la prima interamente pianimetrica, eseguita in seguito a una misurazione geometrica — disegna la città nella forma destinata a non subire modificazioni sostanziali per centocinquant’anni. Tra la cinta dei bastioni e l’anello del naviglio si stende la fascia dei borghi e degli orti, costellata di monasteri. Alcune grandi vie portano ai centri di maggior rilievo : il Corso di e quello di Porta Orien­ tale alla piazza dei Mercanti, quello di Porta Tosa al Verziere; altri corsi (delle Porte Romana, Ludovica, Ticinese, Vercellina, ) sono per se stessi centri di vita, accanto al Cordusio, alla contrada Larga, al Ponte Vetero, al Carrobbio, alle piazze del Duomo, dei Mercanti, di S. Sepolcro. La città non appare tanto un sistema di vie di comunicazione, quanto una costellazione di centri o un insieme omogeneo di aree abitate equivalenti, ma con caratteristiche definite. Gli edifici di servizio pubblico sono distribuiti uniformemente, spesso identificandosi con quelli religiosi; circa 115 parrocchie spartiscono l'abitato. Grande rilievo acquistano le vere vie di comunicazione commerciali, i navigli, lungo i quali sono distri­ buite le più diffuse attività artigianali. Alla metà del secolo successivo le planimetrie non disegnano una città apparentemente diversa, e nep­ pure un esame più attento palesa una realtà edilizia molto differente. La città ospita allora circa 110.000 abitanti, una popolazione equivalente a quella seicentesca; essa è al centro di una regione dalla economia ancora prevalentemente agricola; vi si svolge una intensa attività di scambi U; industrie e manifatture hanno ancora uno sviluppo tanto limitato da non generare alcun fenomeno di inurbamento e da non porre neppure il problema della localizzazione delle attività produttive2). Le «case da nobile» sono circa 600, poche di più quelle borghesi, 225 sono gli edifici religiosi 3). Il benessere e lo sviluppo della struttura sociale della popolazione sono accusati dal crescente traffico stradale e dalla maggior 5 cura dedicata alle case della media e piccola borghesia. Le facciate delle abitazioni comuni sono d’into­ naco, i portali e le finestre sono contornate di pietra, i balconcini ai piani superiori sono retti da cartocci o conchiglie di stucco; l’edilizia popolare è fatta di semplici edifici a ringhiera, a due o tre piani, con botteghe e depositi al piano terreno. Non si avvertono segni di crisi che indichino l’immi­ nenza di sostanziali rivolgimenti; tuttavia la città è proprio allora alle soglie di un grandioso rinnova­ mento, le cui ragioni sono politiche e ideali prima che economiche, generato da una volontà direttiva ancor più che da spontanea determinazione. Esso è connesso soprattutto con le riforme che rinnovano l'intero apparato amministrativo austriaco, alla « Behòrdenorganisation » iniziata nel 1746. Nella se­ conda metà del secolo XVIII, nei cinquant'anni di pace dopo Aquisgrana, il rinnovamento della città registra puntualmente i mutamenti della vita pubblica e del costume : a quelle innovazioni deve riferirsi principalmente chi voglia riconoscere le ragioni della trasformazione urbana e della forma attuale del centro antico. Con un’azione assai a monte rispetto all’attività edificatoria la pubblica amministrazione infatti finisce a condizionare, e in definitiva a promuovere, l'intera ristrutturazione della città. Dalle riforme volte a rigenerare lo Stato e l’amministrazione, attuate da Maria Teresa e da Giuseppe II, allo scopo di consolidare l’autorità centrale, di rendere razionale il funzionamento dello Stato in tutte le sue manifestazioni, derivano capillari riflessi in ogni attività connessa con l’edificazione urbana. Dalla riforma fiscale discende il catasto e il censimento dei beni immobiliari e fondiari; dalle riforme religiose prende avvio l’esproprio dei beni immobiliari ecclesiastici e la devoluzione di aree ed edifici a nuovi impieghi; dalla riforma dell’istruzione deriva fra l’altro la creazione delle accademie statali di Belle Arti; dalla sistemazione delle professioni discende anche il nuovo statuto del Collegio degli ingegneri e architetti. Dal riordino amministrativo e dei servizi origina la costruzione di molti edifici pubblici, tutti di estrema semplicità4), e il riordino di un cospicuo numero di altri già esistenti5). Accanto alle condizioni per un orientamento nuovo dell'edilizia e per una diversa configurazione della città, più specifici interventi sono dedicati anche all'attività edilizia. E’ istituita una commissione inca­ ricata di giudicare i progetti architettonici, premessa alle « Commissioni d’ornato » napoleoniche e alla nostra Commissione edilizia; ma si compila anche un regolamento d’igiene; una serie di decreti ordinano un piano generale stradale per la Lombardia e un regolamento del traffico cittadino. A questi prov­ vedimenti si affiancano altri intesi a rinnovare la pavimentazione stradale, a numerare le case, a illumi­ nare le strade e a renderle agevoli al traffico, mentre è ripristinata e potenziata la rete delle comuni­ cazioni fluviali con la regione. Soltanto nel secondo periodo del governo austriaco, e mai più da allora, la città ha goduto di un complesso tanto organico di provvedimenti atti a regolare la vita cittadina, accompagnato da conseguenti opere pubbliche e private. Tutto ciò ha il suo coronamento e prolunga­ mento nel movimento artistico che indirizza con norme controllabili le forme architettoniche. Le caratteristiche più spiccate della corrente architettonica apparsa in Lombardia poco prima del 1770 — in concomitanza al periodo più denso di riforme civili — e il suo lato più moderno, consistono forse nella riconosciuta dignità dell’edilizia e nella sua sottomissione a regole analoghe a quelle normative della vita associata. Essa fu proposta e protetta inizialmente proprio dall’ente pubblico (il primo inter­ vento neoclassico è esercitato sul palazzo Ducale) ed immediatamente fu acquisita da quella parte della committenza privata che ne appoggiava l’operato riformista, e che diede il ben noto contributo alla nuova cultura. Il recupero del classicismo ha in questa circostanza un significato preciso, connesso con 1 aspirazione ad un’edilizia normalizzata con una serie di elementi decorativi legati fra loro da una grammatica elementare, tali da rendere costante l’uso dei singoli elementi — decorazioni, ma anche intere fronti — e quindi tali da renderne facilmente prevedibile il risultato architettonico e ambientale. Alle premesse amministrative e all’invenzione individuale sovrintende un medesimo indirizzo ideale : queste erano le condizioni più favorevoli a un ordinato sviluppo urbano. Ecco perché si può sostenere che Milano settecentesca, come altre città dell’impero, e fra le altre Trieste, dovette principalmente la sua efficienza urbanistica, la capacità di sviluppo per almeno un secolo, il suo decoro urbano stesso, ai principi che sostennero l’attività dell'amministrazione austriaca, in parte ripre­ si e precisati nel primo cinquantennio dell’Ottocento. Naturalmente, se questo è il ruolo sostenuto dall'amministrazione austriaca, — qui astratto dal generale e più noto contesto di ragioni concorrenti al risultato della città settecentesca — non si deve per altro tacere l’ovvio rilievo che essa ebbe effi­ cacia anche grazie alla cultura e all’élite locali, preparate ad accettarne e favorirne l’azione come condi­ zione particolarmente propizia. Essa, insomma, trovò un consenso diffuso, altrove mancato, che ne permise un’attuazione coerente e puntuale. Il generale interesse per la città come entità rappresenta­ tiva si manifesta, fra l’altro e proprio allora, tanto attraverso gli studi storici intrapresi — fra i quali è appena necessario ricordare quelli del Grazioli, del Giulini, dell’Allegranza, del Fumagalli sulla città antica — quanto nello studio di edifìci significativi di memorie pubbliche, attestato dal moltiplicarsi delle « guide » : quelle del Latuada (1737-38), del Sormani (1751-52), del Bianconi (1787) e delle « descri­ zioni » anonime. Pietro Verri fa rilevare il palazzo Marliani prima dell’adattamento a sede del Monte di Santa Teresa e ne ripara qualche avanzo nella propria casa; un Gallarati raccoglie i rilievi della demo­ lita ; un Beigioioso acquista il tabernacolo gotico rimosso dalla via S. Antonio; altri raccoglie gli avanzi della chiesa di S. Maria della Scala, distrutta per far posto al teatro del Pier- marini. L’arca di Azzone Visconti, asportata dalla chiesa di S. Gottardo durante il rifacimento del palazzo Ducale e finita in un magazzino, è trasferita dai Trivulzio nel loro palazzo, finché Luigi Alberico Trivulzio ordinerà di ricollocarla nella primitiva sede. M. A. Dal Re e D. Aspari disegnano vedute di ambienti e monumenti antichi e nuovi; cartografi incidono planimetrie della città. Il più ampio àmbito degli interessi associati alla generale ripresa della coscienza storica comprende dunque anche una più attenta considerazione dei valori urbani (si dovrebbero ricordare gli studi di Pietro Verri sull'economia e storia milanese, e i suoi appunti sulle novità edilizie); l’operato amministrativo, sovrapponendosi a un orientamento concorde, rappresenta del comune indirizzo l'aspetto pratico più appariscente, non determinante ma direttamente efficace, e perciò posto in rilievo in queste pagine. L’atto amministrativo più importante del periodo teresiano, tra quelli connessi all'attività edificatoria, consiste nella riforma censuaria, che comportò la misura e la stima dei fondi immobiliari dell’intera regione, come la stessa imperatrice aveva attuato in Boemia, e come già in uso in Inghilterra e in Prussia. In Francia un esatto rilievo di Parigi fu iniziato soltanto più tardi, intorno al 1780; i risultati furono utilizzati per il piano della Commissione degli Artisti (1794-1797). L’operazione catastale, diretta a dare un fondamento all’imposta fondiaria, iniziata sotto Carlo VI, e la successiva stima, erano destinate a ripercuotersi in ogni ramo della vita del paese; furono perciò osteggiate, e poterono essere realizzate soltanto in un gran numero d’anni (in Boemia richiesero un secolo). Tra il 1720 e il 1723 erano state stese le grandi mappe, ma la stima si protrasse tra contestazioni e interruzioni. Ripresa a metà secolo, essa si compì in un decennio, finché nel 1760 un rapporto del Firmian poteva riepilogare la materia. Le conseguenze dell'operazione andarono ben oltre, com'è noto, al riordino del sistema fiscale, fino ad acquistare un significato politico nell’affermare il principio di equiparare i carichi alle ricchezze, e fino a investire l’intera vita economica del paese, non soltanto per l’impulso seguito all’applicazione del criterio di dedurre dalle stime le spese occorrenti per migliorie, riparazioni e rifacimenti, ma soprat­ tutto per l'incentivo ad attuare radicali trasformazioni, prodotto dalla stabilita invariabilità della cifra stimata 6). Ma in particolare, per ciò che interessa queste note, deve essere rilevata la formazione del primo catasto urbano e agricolo dello Stato di Milano secondo una misurazione « stimata una delle più esatte che siano mai state fatte », come scrisse Adamo Smith7). Fra l’altro, esso poneva le premesse per il futuro 7 controllo pubblico sull’attività edilizia; incomincia con ciò l’età moderna nello sviluppo della città. Più tardi, esso fu preso a modello dallo Stato francese, che ne fece studiare accuratamente i dettagli nell’imminenza del censimento del 1808; rimase, in ogni caso, il termine di raffronto per ogni analoga iniziativa. Ma ancor più decisivi provvedimenti interessano la proprietà e l'uso di aree e fabbricati. In seguito alle riforme religiose — intese principalmente a utilizzare a scopi sociali l'opera del clero, e in un secondo momento ad affermare il primato dello Stato e a sostituire il potere pubblico alla Chiesa nell'attività sociale — a Milano nella seconda metà del Settecento estesissime aree e un gran numero di edifici mutano destinazione, con riflessi immensi sulla vita stessa della città. Fra tutte le città del­ l'impero, a Milano particolarmente una cospicua parte del patrimonio fondiario, finito in proprietà di enti ecclesiastici, era di fatto sottratto al mercato. Giuseppe II, nella sua visita in Italia del 1769, stimava che all’inizio del secolo le proprietà religiose coprissero la metà circa dei beni immobili dello Stato 8) e quella valutazione fu confermata da uno studio successivo9); entro le mura della città sorgevano circa 160 chiese; interi quartieri si configuravano in rapporto ai monasteri e agli istituti reli­ giosi che vi sorgevano; i lati di intere contrade erano chiuse da muraglie racchiudenti gli orti e gli edifici dei monasteri (via dei Tre Monasteri, borgo del Gesù, borgo di S. Spirito, corso di Porta Orientale); le chiese claustrali erano spesso precedute da cortili chiusi da muraglie (S. Paolo, S. Barbara, S. Agnese, S. Sofia e anche S. Maria della Scala); quelle parrocchiali da sagrati difesi da colonnette che delimita­ vano l'ancor vigente diritto d’asilo. Questi edifici ospitavano le comunità dedite al culto e alla vita contemplativa, cresciute ormai senza alcun rapporto con le esigenze della popolazione, e racchiudevano anche gran parte degli istituti cari­ tativi (ospedali, scuole, case di lavoro, ospizi) che per altro si erano allontanati in molti casi dalle fina­ lità originarie, come non è il caso di ricordare. Le riforme religiose seguite allo scioglimento della Compagnia di Gesù, allorché « la stagnazione di un troppo riguardevole numero di Fondi stabili presso le Manimorte della Lombardia Austriaca sembrava esigere le più efficaci provvidenze, onde far rien­ trare almeno una parte di essi nella libera contrattazione » 10) colpirono questo aspetto della città, autonomo ed estraneo al controllo pubblico D), trasferendo una serie di attività all’amministrazione statale e polverizzando un cospicuo patrimonio fondiario. Scomparve in tal modo una manomorta, la cui estensione e incidenza sulla vita cittadina si può oggi approssimativamente apprezzare ricono­ scendo le aree espropriate nella planimetria della città settecentesca. Alla metà del secolo successivo le proprietà ecclesiastiche in città erano discese a una frazione trascurabile. La soppressione di comunità religiose, monasteri, chiese e oratori 12>, la loro riorganizzazione, la ridu­ zione del numero delle parrocchie 13 ), la devoluzione a opere di assistenza dei fondi finanziari incame­ rati, provocando l’abbandono di edifici e di aree, trasforma la vita di quartieri e di isolati, ma una parte soltanto di quelle aree ed edifici è destinata a fini pubblici; la rimanente maggiore è venduta a pri­ vati, secondo il più generale orientamento liberistico governativo. Già la Prammatica di Maria Teresa pubblicata nel 1767 prospettava questo criterio affermando che « uno degli oggetti, che ha sempre inte­ ressata la vigilanza de’ Nostri predecessori nel Ducato di Milano, è stato quello... d’impedire gli ecces­ sivi acquisti delle Mani-morte, per mezzo de' quali si sottrae così gran parte di Bpni alla libera con­ trattazione, e alla sussistenza de’ Sudditi... » 14). Se ad alcuni monasteri e chiese soppressi e demoliti (per esempio quelli di S. Radegonda, delle Carcanine, di S. Dionigi, di S. Giorgio al Pozzo, delle scuole Canobiane, di S. Lazzaro) corrisponde l’apertura di una nuova strada, di giardini, la costruzione di teatri, e se ad altri monasteri e chiese soppressi (per esempio quelli di S. Pietro in Gessate, di S. Caterina alla Ruota, di S. Antonino a P. Romana, di S. Giovanni al Gonfalone, degli oratori dei Disciplini, di S. Martorella, di S. Ulderico al Bocchetto, della Senavra) corrisponde l’apertura di locali d’utilità pub- 8 blica (un orfanotrofio, due ospedali, alcune scuole, un manicomio) il maggior numero di edifici è convertito dagli acquirenti privati ad impieghi di fortuna : ad abitazioni d’affitto, a magazzini e fabbri­ che, destinati dunque in breve tempo ad essere atterrati e sostituiti. Per la stessa natura e i fini della operazione settecentesca, nel provocare un mutato impiego di molti edifici non si guardò alla consi­ stenza edilizia, al significato e ruolo formale sostenuto nel complesso cittadino, e quasi neppure alle conseguenze del diverso uso. Perciò si verificò pure una grande dispersione di valori, la perdita di un patrimonio architettonico insostituibile, la scomparsa di ambienti ricchi di memorie e altamente signi­ ficativi. Si pensi soltanto alle chiese di S. Maria di Brera, distrutta all’inizio dell’Ottocento, e di S. Vin­ cenzo in Prato, ridotta a magazzino, alla demolizione di quasi tutti gli oratori e piccole chiese seicen­ tesche, alla dispersione di archivi e biblioteche famose. Alla fine del secolo erano già state demolite 78 chiese, la metà di quelle esistenti prima della riforma 15). E la cosa si accentuò quando, con la rivo­ luzione, gran parte delle proprietà già religiose, trasformate in sedi di enti pubblici, e parte di quelle rimaste tali, fu occupata da caserme, scuderie, magazzini militari, che riprodussero in alcuni casi la stessa iniziale estraneità all'abitato. Gli effetti della riforma religiosa sullo sviluppo della città furono dunque assai complessi; essi non sempre furono controllati daH'amministrazione pubblica, variamente orientata nel succedersi delle iniziative, e anche ostacolata da una resistenza locale, molto efficiente soprattutto negli anni di Giuseppe II, quando l’opposizione si identificò con legittime esigenze di auto­ nomia locale e con la sopravvivenza di vitali tradizioni. Accanto ai risultati cercati dalla riforma, è resti­ tuita alla vita civile una buona parte dell’edilizia rimasta o divenuta estranea, sono riattivate alcune funzioni di utilità sociale, ma altre scompaiono; sono cancellati pesanti gravami su alcune zone (special- mente attorno ai monasteri degli ordini mendicanti); sono aperte al pubblico vaste zone verdi, sono utilizzate a scopo fabbricativo molte aree, ma anche ne decadono altre; scompaiono moltissimi monu­ menti significativi, molti altri rimangono inutilizzati o sono impiegati per scopi inferiori. Comunque, si pongono in tal modo alcune importanti premesse a quella ordinata ricostruzione della città che fu propria dell’età neoclassica, fino all’epoca della Restaurazione e oltre. Cade così l'intera intelaiatura della città controriformista, fondata sulla proprietà e gestione ecclesiastica di alcuni fra i principali istituti pubblici, e formalmente articolata sulla ossessiva ripetizione dei simboli del culto e della poten­ za ecclesiastica in ogni ambiente urbano, sulla configurazione anzi, di numerosissimi ambienti in rap­ porto a quegli scopi. Vi si sostituisce la città laica, fondata sulla efficienza dei servizi pubblici statali e sulla distribuzione della proprietà, sulla funzionalità dell'edilizia rispetto agli infiniti aspetti della vita associata, sulla rappresentazione inibita e seria dei valori collettivi e civili, ma anche tanto più povera di profonde e autentiche espressioni. L'intero settore della città compreso tra le Porte Orientale e Nuova è risistemato; il quartiere di Montenapoleone comincia a essere riedificato da privati sulle rovine e gli orti dei conventi e delle chiese soppresse, di cui le contrade conservano il nome (Santo Spirito, del Gesù, Sant’Andrea) e similmente avviene per la via del Monte di Pietà, il Borgonuovo, la Corsia del Giardino, e molte altre; tutta la città partecipa a un’analoga trasformazione. Su aree già ecclesia­ stiche sono costruiti fra tanti altri il palazzo Bovara, la villa Beigioioso, il Palazzo del Genio Militare, il palazzo Kevenhùller, il palazzo Diotti a Porta Monforte, mentre analogamente sorgono case d’affitto, botteghe, officine e depositi, che si allontanano dalla fascia attorno al Naviglio, luogo tradizionale del loro concentrarsi per la facilità di comunicazione e d’uso delle acque. Tutto ciò si riflette, almeno inizialmente, soltanto minimamente sul tracciato viario, intaccato soltanto da alcune lievi correzioni. Avviene, insomma, l’opposto di quanto propose poi, in anni napoleonici, il progetto della Commissione d’Ornato, preoccupato soprattutto di allineare gli edifici e di razionaliz­ zare la rete stradale : e « piano dei rettifili », infatti, fu chiamato. Certo in conseguenza di questa sola riforma e nel solo aspetto viario molti chiusi sagrati di chiese sono 9 trasformati in piazze pubbliche, alcuni edifici ricostruiti arretrano in corrispondenza alle « strette », come in contrada Sant’Agostino (via Monte di Pietà) e in corso di Porta Romana; la demolizione di una chiesa (S. Maria di Caravaggio) consentirà di aprire la contrada di Monforte verso i Bastioni. Tut­ tavia, la grandiosa trasformazione e il rinnovamento integrale della consistenza stessa della città non ne muta la figura geometrica. A un vasto complesso di provvedimenti dedicati all’istruzione pubblica e all’esercizio delle professioni si collega il « Regolamento Generale per gli ingegneri nello Stato di Milano » del 1776 16). Esso fissa le norme per istruire gli operatori edili e ne limita le competenze stabilendo una graduatoria decrescente dall’ingegnere all'architetto, al geometra e al campomastro. In sostanza, il regolamento ribadisce la direttiva generale di attribuire a un solo ente pubblico la facoltà di istruire e abilitare, e si avvicina a realizzare l’aspirazione di consentire l’esercizio della professione a chiunque, come appunto si volle affermare nel 1791, aprendo le scuole pubbliche gratuitamente « per tutti indistintamente gli scolari », abolendo « ogni differenza di trattamento fra i ragazzi poveri e facoltosi » 17). Se ciò riuscì per le scuole d’arte non fu invece realizzato per abilitare alle professioni, dove la tradizione e gli interessi locali frenarono le più avanzate iniziative statali. Ma il regolamento per gli ingegneri interessa soprattutto perché è legato a due altre capitali realizzazioni. La scuola preparatoria alla professione è infatti quella d’architettura, presso l’Accademia delle Belle Arti, aperta nel 1776 18). Questo istituto fra l’altro vuole diffondere nei decoratori e nei costruttori il gusto confacente ai criteri che ispirano le norme sulla attività edilizia. L’interesse degli stessi amministratori pubblici per forme architettoniche severe, poco appariscenti, di economica realizzazione, riflettenti anche 1’« ordine » politico, è testimoniato anche da alcuni scritti del Kaunitz. Nel 1775 egli critica infatti un progetto per opere pubbliche non soltanto in rapporto all’impiego dell’edificio e alla utilità e funzionalità di alcuni accorgimenti, ma dà anche precise disposizioni di carattere formale 19). Varrebbe la pena di controllare, a questo proposito, la esistenza di opere pubbliche decorate dall’ordine composito, giudicato sconveniente per sedi di istituti pubblici privi di interesse celebrativo. Il significato, l'importanza e l’efficacia dell'accademia di Brera sono tanto noti da dispensare di parlarne. Va piuttosto sottolineato del « Regolamento » del 1775 questo paragrafo : « affinchè le Fabbriche della città contribuiscano all’ornamento della medesima, non potrà in avvenire eseguirsene alcuna nè farsi una grande ed essenziale alterazione delle facciate, senza che sia stato riveduto ed approvato il disegno da tre architetti, che verranno a ciò destinati. (...) Uno di questi tre architetti revisori, dovrà sempre essere il Professore di architettura pratica dell’Accademia e gli altri due saranno scelti dal Governo... ». E' l’atto di nascita di quella che sarà la nostra commissione edilizia20). E con questo si chiude, compatto, l’ordinamento statale austriaco relativo all’attività edifi­ catoria. Censimento delle aree e degli edifici, e loro tassazione proporzionale; esproprio dei beni osta­ colanti la libera contrattazione ed uso; controllo statale dell’istruzione dei costruttori e dei progetti architettonici: ecco i criteri destinati a regolare l’ambiente cittadino, contenuti in un ampio contesto di norme per lo sviluppo civile. In questo quadro prendono significato i più particolari provvedimenti dedicati alla vita cittadina. Amministrativamente, si erige a Comune autonomo nel 1781 il territorio adiacente alla città, detto dei Corpi Santi. Nello stesso 1781 è compilato il primo regolamento d’igiene della città. Fra i tanti articoli, prendono retrospettivamente rilievo quelli che proibiscono di installare filande e concerie entro la cerchia del Naviglio e fabbriche alimentari nel recinto della città; si limita pure la possibilità di colti­ vare orti nella città stessa21). Fu pure proibito di coltivare risaie entro un raggio di quattro miglia dalle mura della città, tenere prati a marcita e coltivare bachi da seta entro i bastioni22). « La salubrità dell aria » — dice un proclama del 1799 — « è un oggetto di tanta importanza, che ogni ben regolato Governo se ne fa oggetto della speciale sua cura » opponendosi all’« eccessiva avidità di taluni, la 10 quale fa che il privato interesse sia in opposizione al pubblico bene »23). Nel 1768 si proibisce di seppellire nelle chiese e nel 1782 e ’86 si ordina di aprire cimiteri lontano dall’abitato24). Un tentativo di ordinare il regime dei fitti appare nel 1773, quando un editto proibisce di sublocare più di una casa d’abitazione 2S). Gli affitti, per altro, non furono esosi, almeno fino all’avvento della repubblica Cisal­ pina, e non richiesero altri provvedimenti26). Agli effetti urbani hanno importanza i progetti di aprire o riattivare la navigazione tra Milano, il lago di Como e Pavia. Dei canali previsti, richiesti anche per irrigare le campagne e favorire le fabbriche, quello di Paderno è aperto nel 1777, consentendo più facili ed economiche comunicazioni con la regione a nord-est. Quanto alla viabilità, è istituita nel 1768 una Giunta per le strade, modificando quella tradizionale. Al 1777 risale un nuovo « Piano stradale » della Lombardia — contemporaneo alle analo­ ghe riforme francesi e inglesi — che regola la manutenzione delle vie provinciali, comunali e private, i lavori lungo le aree pubbliche, e le questioni di proprietà. Ogni proprietario è tenuto a produrre i propri titoli, può essere espropriato con indennizzo per opere di pubblica utilità, è impedito a occupare le aree aperte al passo comune. Nel 1788 si perfezionano nuove norme, demandando la competenza delle questioni stradali a una Intendenza Politica Provin­ ciale27). Ma la viabilità cittadina è oggetto di ulteriori, frequenti provvedimenti. Se già nel secolo precedente per le strade correvano più di 1500 carrozze 28) «pel cui utile soltanto sembrano fatte le strade di Milano » 29), ora l’intensificato traffico pone problemi anche edilizi. Nei palazzi si estendono i locali destinati alle scuderie e agli annessi, le fronti arretrano talvolta rispetto al filo stradale (palaz­ zo Clerici), oppure sono inflesse a esedra (palazzo Cagnola in via Guastalla), oppure il portale si conforma a imbuto (palazzo Visconti in via Camminadella, altri nelle vie dei Bigli, Medici, Amedei, S. Maurilio) 3°) per consentire la svolta e l’ingresso agli equipaggi. I piani terreni verso strada sono quasi sempre occu­ pati dalle scuderie, l’ultimo dai fienili, con danno, secondo i contemporanei, al decoro pubblico. Com­ pito anche di disciplinare la strada ebbe la police) prime norme di viabilità si decretano nel 1740 31); diritti di precedenza sono regolati nel 1760, obblighi di mano e posteggio nel 177132). Nel 1780 si decide la pedonalità della via S. Margherita, della contrada dei Moroni e della stretta di- S. Giovanni in Conca, e si indicano percorsi obbligati alle carrozze in occasione delle rappresentazioni teatrali alla Scala, alla Canobiana, al Collegio dei Nobili e alla Ca’ dei Cani33). Nel 1751, '60, ’61, ’63 34) e più tardi nel 1785, '91 e ’97 sono emanati editti contro l’eccesso di velocità delle vetture (un mese di carcere ai trasgressori)35). Un nuovo regolamento stradale è redatto nel 1788 e 1789 36). Ma questo aspetto della vita cittadina è pure tutelato sotto altri riguardi. Nel 1786 si comincia a nume­ rare le case37) e intitolare le strade, nel 1788 a illuminarle con lampade a olio38). Tutto ciò avviene con qualche ritardo rispetto a Parigi, dove si era iniziato a numerare le case nel 1775 e a illuminare le strade già nel secolo precedente. A un pavimento stradale uniforme si pensa nel 1773, prendendo a modello quello della via di S. Giovanni alle Case Rotte, a corsie centrali per le vetture, scarichi delle acque sotterranei, e marciapiedi per i pedoni 39) Ciò si accompagna all'obbligo di canalizzare le acque dei tetti, come ricorderà ammirato lo Stendhal40). Già era stata selciata la piazza del duomo nel 1769 41) e nel 1766 la via Lanzone. In pochi anni è sistemata l’intera rete viaria. Sono resi carroz­ zabili i bastioni (1750) 42); si rettifica il corso di Porta Tosa fino alla Senavra (1780) coprendo il « Navi- glietto »; similmente si procede per il « Pontaccio ». Pure selciato e rettificato è il corso di Porta Romana43), che per altro perde il primato goduto nei secoli precedenti, e sono pavimentate la con­ trada di Borgonuovo e il corso della « Cittadella » a 44). Perchè le date ricordate abbiano un senso, si noti che a Parigi — dove le norme prescrivevano la larghezza minima delle strade e le altezze massime degli edifici in rapporto con la larghezza stradale — furono installati i primi « trot­ toirs » in alcune strade soltanto a partire dal 1781. 11 A ragioni viabilistiche si collega pure la demolizione della Porta Romana (1793), decisa per aprire un più agevole valico sul Naviglio, e l’allargamento dell'ingresso da Porta Orientale, offrendo una prospet­ tiva famosa sulla via alberata per Monza (1787). Altro provvedimento viabilistico fu l’incarico attribuito a Leopoldo Pollack di indagare l’opportunità di conservare nelle vie le colonne e le croci stazionali delle soppresse congregazioni religiose, ormai riguardate come intralci al traffico. Ne deriva una nota relazione del 1786, che propone di rimuovere un gran numero di « crocette », molte delle quali scom­ paiono in breve tempo45). Infine, il riordino del corso di Porta Orientale, ingombrato da un fossato 46), va oltre il significato di miglioramento viario, per assumerne uno urbanistico di ben altra portata, e di maggior rilievo rispetto alle iniziative prese per aprire aree di verde pubblico a Parma (1767), Modena, Firenze, Grosseto, Lucca, Siena (1779) e Napoli (1778). Da un lato la sistemazione segue i criteri ormai acquisiti dall'urbanistica contemporanea, ovunque indirizzata ad inserire giardini negli abitati e a distribuire il verde ad anello attorno alle città, come adombra anche il Milizia47); per altri aspetti sembra sorpassarli, concernendo più vasti interessi. Infatti, si incoraggiano con esenzioni fiscali il restauro e la ricostruzione degli edi­ fici ai margini del corso e nel quartiere 48), mentre nei pressi sono tracciati i giardini (1782-86) e i boschetti (1787), si adattano i bastioni adiacenti, fino alla Porta Nuova, pavimentati, alberati e ridotti a « pas­ seggio pubblico » (1789). Un intero settore della città dunque, esteso quanto l’area occupata dal castello, prende un nuovo aspetto, divenendo centro di prestigio, di residenze rappresentative, e anche luogo di ricreazione per il tempo libero, secondo le opportunità offerte della zona : la via Marina e quel tratto dei bastioni erano infatti divenuti il luogo preferito delle passeggiate e dello svago dell’intera popo­ lazione49). Ma l’incremento del quartiere era sollecitato anche dalla maggiore richiesta di abitazioni, per essersi qui stabilito il Consiglio di Governo, e non nascondeva il significato politico di valorizzare l'ingresso da Vienna nella città. Mentre si realizzano le riforme, si definisce il nuovo assetto sociale della città, che non vede mutamenti sensibili nel numero degli abitanti in questo mezzo secolo. A Porta Nuova si stabilisce il primato dell’in­ sediamento di più alto livello borghese e nobiliare; Porta Orientale sostituisce Porta Romana come cen­ tro della più brillante vita cittadina ed è prevalentemente borghese50); Porta Vercellina rimane la meno abitata. Porta Comasina mantiene un carattere popolare e quasi rurale, mentre le abitazioni popolari caratterizzano i quartieri delle Porte Ticinese e Romana51). E’ già in regresso, e destinata a contrarsi ulteriormente, la proprietà immobiliare della classe nobile, di fronte al progresso economico della borghesia. Sorgono intanto le prime grandi officine, fondate sul sistema capitalistico del salariato, favorite da esenzioni e privilegi, a Porta Nuova (1739), a Porta Ludovica (1724), a Porta Ticinese e presso S. Vittore (1746); altri importanti stabilimenti si insediano nella città tra il 1747 e il '65 52), senza per altro provocare problemi nuovi; si dirada l’artigianato. La città si rinnova attraverso il complesso dei provvedimenti descritti, concepiti secondo il criterio di attribuire il carattere di interesse pubblico a qualunque intervento edilizio, ma conservando alla attività privata un ampio margine di scelta. Gli stessi provvedimenti destinati ad esercitare le maggiori ripercussioni sull’attività edilizia, gli espropri delle aree e degli edifici, non ebbero una primaria fina­ lità urbanistica; non risulta anzi che alcuna considerazione urbanistica abbia diretto la scelta delle aree e degli edifici espropriati, mentre qualche attenzione si ebbe nel conveitire l’uso dei fabbricati e delle aree55). Non vi fu alcuna pretesa di « organizzare la nazione » attraverso l’opera degli architetti parificati in uno scritto ufficiale ai «ragionati» — consci a loro volta della immensa prospettiva econo­ mica e sociale nella quale si inseriva la loro attività. Insomma, più generalmente, in tutta la serie dei drastici interventi pubblici austriaci manca qualunque volontà di « gestire » l’urbanistica e l’attività edificatoria, tanto da non considerare neppure l’opportunità di formare un « piano » della città, come in Francia fu prescritto per Parigi, per urbanizzare le aree ecclesiastiche confiscate 54) : e questo si inqua- 12 dra bene, come è stato detto, nell'orientamento prevalentemente liberistico della politica economica, perseguita soprattutto sotto Giuseppe II. Anche in questo campo l'intervento statale è diretto a toglie­ re di mezzo le limitazioni e gli impedimenti che ostacolano lo sviluppo delle iniziative individuali. Del resto, queste note sono comuni a tutti gli interventi urbanistici austriaci attuati nei territori italiani, che pure si realizzarono con mezzi diversi, commisurati alle circostanze e ai problemi affrontati. Così l'equilibrato sviluppo economico e demografico di Milano non richiese uno speciale coordinamento, che fu invece adottato per Trieste, centro di una imponente immigrazione, provocata al fine di creare un artificiale emporio dell’impero. Ma anche in questo caso l’intervento statale nei riguardi urbanistici fu limitato a predisporre le condizioni più favorevoli allo sviluppo edilizio, come particolare aspetto di un più vasto esperimento liberistico. Come avviene in ogni periodo di rivolgimenti profondi, l'interesse a conservare l’antico raramente affiora esplicito. Tuttavia, è sempre sottintesa la volontà di salvaguardare e rivalutare ciò che ancora sembra rappresentare un valore attuale. Le polemiche attorno alla nuova architettura mostrano la preoccupazione di conservare e precisare le caratteristiche ritenute peculiari della città, che per altro non si pensa di identificare soltanto con la sopravvivenza di alcuni edifici. Proprio nel momento della maggiore attività riformatrice si compie la guglia maggiore del duomo (1765-1773), che insieme completa l'edificio antico e definisce il nuovo profilo della città. In questo equilibrato agire pure i maggiori interventi pubblici non negano interessi conservatori: si accentua la vita laica, si creano ambienti rappresentativi dei valori nuovi, ma anche si lascia inalte­ rata, si ribadisce anzi, la forma stessa della città, che nel suo insieme raccoglie le più autentiche memo­ rie. Lo confermano le principali modificazioni dell’abitato. Al termine del secolo sono aperte alcune piazze — quella a fianco del duomo, utilizzando l’antico cortile del palazzo Ducale, la piazza Fontana (la prima « regolare » e non dominata da un simbolo del culto) geometrizzando l’antico Verziere, e la piazzetta Beigioioso amplificando il sagrato di una chiesa soppressa —; la nuova via di S. Rade- gonda prolunga un vicolo già esistente; i corsi principali — delle Porte Romana, Tosa, Orientale, Ticinese----sono riordinati sul tracciato antico; la grande area di Porta Orientale è ridotta a giardino e a centro di svago seguendo l’inclinazione del luogo. Case d’abitazione ed edifici per il lavoro sostitui­ scono monasteri, chiese ed oratori, ma l’edilizia sorta sulle aree riimmesse nel mercato ha intenzioni ambientali prima che architettoniche. Dove infatti l’ampiezza delle aree consente una ricostruzione coordinata, gli edifici presentano uguale altezza e medesimo disegno, come avviene in piazza Fontana, nella via S. Radegonda e nel contorno della chiesa di S. Pietro Celestino, e qui anche si sperimenta un nuovo tipo di abitazione con bottega 55). I fuochi della rappresentazione urbana sono gli spazi pubblici — i giardini, le piazze, i corsi — ma anche le lunghe pareti delle case borghesi. Tutto ciò trasforma profondamente la città secondo uno spirito nuovo, ma su uno sfondo che è quello tradizionale. Con­ trariamente al luogo comune, che rimprovera alle riforme austriache di essere state tali e non rivolu­ zione, si può affermare che l’azione esercitata sull'abitato milanese derivò la propria efficacia precisa- mente nella misura con la quale seppe contemperare il rinnovamento con la conservazione, riconoscendo i valori fondamentali della città nello stesso suo organismo complessivo. Con ciò, sono ormai definite le caratteristiche che, largamente approfondite nel primo Ottocento, — ma non modificate sostanzial­ mente, non ostante la compilazione di una ipotesi, non realizzata, di città rivoluzionaria — e sia pure con le modificazioni imposte dalla generale e radicale evoluzione economica che ancora viviamo, si riconoscono perfino ai nostri giorni, e sono quelle con le quali deve fare i conti qualunque intervento sul centro antico. Cospicui avanzi dell’edilizia e degli ambienti ordinati dall’amministrazione settecentesca e del primo Ottocento sono oggi frammentariamente inseriti nell’abitato quasi informe, enormemente esteso nell’ul- 13 timo secolo senza che si sia affacciata una nuova idea della città — quando si trascuri il volonteroso tentativo seguito all’Unità — e neppure realizzato un più integrato modo di vivere. Ora, l'estraniazione dell’antica città dal nuovo abitato — così esemplarmente appariscente in Milano — ha cause di tale entità, da coinvolgere le ragioni più generali della moderna crisi di civiltà, non riducibili alla cultura e alla condizione locale. Le riassume forse la constatazione che, riconoscendo i soli valori nell'utile e nell’efficienza pratica, la città ancora più di altre pare aver rinunciato a giustificarsi come forma rappre­ sentativa. Quella del passato, infatti, nel suo complesso, è spesso giudicata come la città dei pochi — un'élite o una classe —, di coloro che l'hanno voluta di generazione in generazione a rappresentare una concezione di vita variabile, e dunque sempre superata: se ne è dedotto spesso che essa fosse suscettibile di qualunque trasformazione, trascurando quali ragioni potessero legittimarla. Ora, gli avanzi antichi, per la loro estensione, potrebbero ancora offrire ampie opportunità di riqualificare l'abitato, in un'età di crisi architettonica e urbanistica come la nostra, quando ad essi fosse attribuito un ruolo determinante rispetto alla edificazione attuale, in un recupero giustificato anche dalla nega­ zione di quei motivi per i quali la distruzione è stata esercitata. Ma quando anche si è affacciata una preoccupazione di tal ordine, come appunto traspare da qualche recente iniziativa, la manchevole con­ sapevolezza storica si è aggiunta come altro fattore negativo. Mentre per ogni aspetto della pianifica­ zione sembra accettato il criterio della competenza, per quanto attiene al ruolo pertinente all'antico nel tessuto moderno vale tuttora l’abito mentale e l’esercizio della mezzacultura. Ed è costume tanto diffuso, da affiorare perfino nelle note aggiunte a progetti urbanistici anche rilevanti e di vivo impe­ gno, dove può capitare di trovare scambiato il regno Italico col regno d’Italia. Ora, lo storico non può indicare criteri per l’azione futura, e inutilmente si eserciterebbe a processare il passato. Può però proficuamente giudicare un evento in corso, e cioè precisare ciò che nei progetti presenti contrasta con un riordino della città che non neghi ogni rapporto col suo passato. Non gli spetta infatti di tracciare le linee teoriche del recupero ambientale — del resto tanto ampiamente studiato dalla cultura attuale da rendere superflua ogni citazione — né delineare criteri direttivi e modi di attuare una tanto complessa programmazione (che, anche al solo scopo di riordinare il centro antico, non può limitarsi al nucleo originario, ma interessa l’intero suolo urbano); bastano alcuni rilievi, che pongano alcune condizioni all’operato altrui. Al riguardo, il piano regolatore tuttora vigente a Milano documenta esaurientemente l'esito negativo della svalutazione della ragione storica e critica nello studio dell’abitato, indice dell’indifferenza sostanziale a ricercare una continuità autentica tra passato e presente. Trascurando le prescrizioni più risolute ormai abbandonate (la « racchetta », la demo­ lizione dei quartieri delle Porte Garibaldi, Romana e Ticinese) vi si riconoscono ancora strade tracciate sul perimetro di edifici antichi, perchè se ne ignorò l'esistenza, il consenso a edificare su aree occupate da una ancor valida edilizia, la svalutazione di alcuni singolari edifici, come la neoclassica prima sta­ zione ferroviaria, destinata alla demolizione, la noncuranza perfino del significato di taluni spazi pub­ blici. Una tavola del piano regolatore non propone forse di conservare i geometrici boschetti pariniani ma di trasformarli in un giardino approssimativamente all’inglese? E negli stessi boschetti non si è con­ sentito di affiancare all’obelisco centrale un impianto utilitario che lo sostituisce come centro focale di quello spazio, un tempo di misurata e sommessa poesia? Con che non soffre, naturalmente, la quan­ tità di verde al servizio pubblico, ma proprio la sua rappresentatività. Ma la relazione preposta al progetto di revisione del piano regolatore attualmente in studio presenta sotto tale aspetto lacune significative56). Mentre la breve nota introduttiva indica nel piano napoleo­ nico l’inizio della storia urbana moderna di’'Milano, forse perché corrispondente a un progetto dise­ gnato, nei tre volumi della pubblicazione soltanto poche pagine e una tavola sono dedicate al centro antico. Con ciò è negata implicitamente la sua funzione rappresentativa unitaria, ancora avvertibile 14 nonostante la frantumazione subita nell’ultimo secolo. Vi sono ricordati gli opportuni provvedimenti presi recentemente — dalle varianti eseguite al piano per alcune zone, alla riduzione delle volumetrie edificabili, al censimento del patrimonio artistico e ambientale — ma è taciuto ogni riferimento alle meno generiche indagini ormai consuetamente esercitate su centri di anche minimo interesse. La plani­ metria illustrativa dei vincoli imposti e degli edifici e aree « rilevati al fine di totale o parziale conser­ vazione », pur estendendo apprezzabilmente il campo dell'indagine, ripete con evidenza visiva l’esclu­ sivo criterio di segnalare singoli edifici ed aree verdi — cioè di ridurre all’essenziale gli oggetti del recupero — mentre l’attenzione consapevole è indirizzata oggi soprattutto ad ambienti, aree libere, edilizia comune e alle loro connessioni. E ciò perchè l’ambiente è sentito come opera collettiva da salvare in quanto tale e cioè « non come integrale conservazione di una somma di particolari ... ma come rapporto di masse e di spazi che consenta la sostituzione di un edificio antico con uno nuovo pur­ ché esso sia subordinato al rapporto suddetto »57). Ma anche accettato come ripiego di comodo il criterio seguito — che riprende inavvertitamente e in meno inaccettabile aspetto il concetto dell’isola­ mento monumentale — risulta omessa la segnalazione di gruppi di edifici che pure meritano qualche attenzione. Non vi è annotato, per esempio, sotto alcun titolo il vasto complesso della darsena di Porta Ticinese, con le fughe prospettiche dei navigli contornati da un’eccezionalmente uniforme edilizia, né sono considerati i « borghi » che pure composero la città antica, né le « sostre » sparse lungo il naviglio interno, tipo edilizio estinto ma forse recuperabile (nelle vie Mulino delle Armi, S. Sofia, De Amicis), e neppure le diffuse abitazioni popolari e piccolo borghesi sette e ottocentesche, dalla tipologia di note­ vole interesse (per esempio in corso Italia ai n. 35, 46, in via S. Sofia, in corso di Porta Nuova) oppure alcuni complessi di particolare decoro, come il contorno della piazza S. Eustorgio, recentemente valo­ rizzata efficacemente dall’isola pedonale istituita ai suoi margini; e ancora alcuni vicoli residui (come quello di S. Maria Valle) sopravvissuti in numero esiguo ma ancora vivi di artigianato minuto, e infine le pareti modeste ma significative di alcuni corsi. Il semplice rilevamento quantitativo del patrimonio edilizio non approda dunque a risultati apprezzabili se non è sorretto da una attenta consapevolezza critica e storica, né può sostituirla la sensibilità dell’architetto e del pianificatore : rilievo ovvio, e anche penoso, quando si rammenti la complessità raggiunta dagli studi ambientali. E dunque si ripresenta l'esigenza già segnalata, che cioè la competenza storica non sia chiamata, attra­ verso la Soprintendenza, soltanto a giudicare progetti già elaborati, ma partecipi direttamente a indi­ viduare le premesse e a progettare il piano. Essa potrebbe ricordare, fra l’altro, che non soltanto con­ tano edifici ed aree, ma il tracciato stesso di alcune vie e piazze, talune visuali, alcuni riferimenti archi- tettonici e panoramici, non modificabili senza annullare importanti memorie e alterare il significato stesso di edifici e ambienti, pur nella loro fisica sopravvivenza. Che, insomma, il margine di contem­ plazione, di gioco, di libera convivenza umana è inseparabile da soluzioni edilizie e urbane precisate da una lunga tradizione spontanea, non riducibile ai canoni dettati dalla ragione e dall'utile privato e pubblico. A tale proposito è significativo il recente episodio della piazza Fontana, dove sono stati igno­ rati i motivi che avrebbero potuto indurre a conservare l’albergo Commercio, dalla facciata di docu­ mentabile architettura piermariniana. Ma, già decisa la cancellazione della piazza, si è permesso di sopralzare l’Arcivescovado, e si è affidata la ristrutturazione di quel complesso a un concorso di dubbia riuscita per le condizioni stesse poste alla progettazione. Pochissimi progetti presentati hanno ricono­ sciuto in quello il luogo dell’antico Verziere, e dell’attuale mercato agricolo, qui stabilito per inaffer­ rabile forza di consuetudine. Eppure, i costruttori settecenteschi avevano saputo osservare, in un trac­ ciato così apparentemente elementare, le opportunità offerte dalle preesistenze : l'inserimento della fron­ te dell’Arcivescovado nel nuovo spazio, le visuali sul duomo e sul portale del palazzo di Giustizia, costanti formali di quel sito. 15 Ma concorre a contrastare la riqualificazione dell’abitato anche una ragione che è stata anticipata dalle pagine precedenti, dedicate a un’amministrazione esemplare; l’assenza cioè di una coerente azione degli enti pubblici, successori di quelli che in modo tanto complesso ed efficace delinearono il volto definitivo del centro antico. Per ricorrere a esempi modesti, che trascurino la ben nota vanificazione del piano regolatore attraverso la sua gestione amministrativa, vediamo proporre in questi giorni di inserire nel « parco delle basiliche » — l’area verde ricavata nel centro della città, e giustificata anche dal tradi­ zionale sussistere in quella zona di estesi giardini — un museo d’arte moderna, senza che il bando del concorso d’idee ponga alcun limite all'occupazione dell’area; intanto, nei pressi, si demoliscono (feb­ braio 1970) gli edifici settecenteschi prospettanti la chiesa di S. Eustorgio, che il piano, riveduto recen­ temente, sostiene dotati di « fronti di interesse storico e ambientale da conservare » 58). Come tali, la amministrazione comunale aveva l’indeclinabile dovere di tutelarle, per l’impegno assunto con la citta­ dinanza e per rispetto ad una elementare interna coerenza. E ancora in tema di verde, la citata tavola comunale (1969) 59) — mentre designa come strada carrozzabile l’area dei boschetti (forse dimenticati nel pure ricordato « censimento del patrimonio artistico e ambientale ») — espande il verde su terreni adiacenti al parco della villa Beigioioso, in contrasto col piano regolatore operante e con la successiva revisione, ma proprio su quell’area vediamo compirsi in questi giorni un importante edificio. Il rimaneg­ giamento del piano ha dunque ancora aggravato le condizioni ambientali della zona. Quando poi da quella comunale si passi alla statale, gli esempi degli esiti negativi di una amministrazione distratta si moltiplicano. Basti ricordare che gli unici edifici pubblici ancora bisognosi di restauri dai danni della guerra sono o sono stati di proprietà statale : il secondo cortile del palazzo del Senato, il collegio Arcimboldi, alcuni ambienti del palazzo reale. Per alcuni fabbricati di eccezionale valore dunque è man­ cato — anzi, manca — perfino il più elementare strumento della più generale tutela. Infine, tra i fattori negativi che ostacolano la presente azione di un’amministrazione locale ufficialmen­ te interessata a contrastare la degradazione ambientale, sta pure l’ottusa insensibilità che consente di sconvolgere con mezzi ritenuti innocui ambienti ancora rappresentativi. Da decenni ormai le aree pub­ bliche sono considerate non spazi dotati di forma, ma luoghi dove collocare qualunque oggetto, purché utile e per sè decoroso. Ciò è talmente diffuso, che pochi avvertono come offensivo il moltiplicarsi delle insegne stradali e linee elettriche, inserite talvolta con tanto clamore nell’ambiente da annullare le pur scarse residue possibilità di contemplazione, attività negata all’abitante del centro antico. Lo zelo del­ l’amministrazione è tale, da consentire non soltanto di rivestire con cartelli pubblicitari ponderate architetture antiche (vedere i caselli di Porta Ticinese), ma perfino di istituire nuovi segnali turistici, indicanti la presenza di « monumenti artistici » (il duomo, la Scala), spesso collocati in modo da impe­ dire di godere quegli stessi monumenti. Laddove il provvedimento di escludere l’incoerente da alcuni ambienti — come il traffico veicolare, opportunità avvertita e attuata già due secoli fa, come si è visto — ha dimostrato l’ampia possibilità di rivalutare spazi pubblici considerati ormai perduti. I recenti rimedi riduttivi del traffico stradale stanno infatti tra i più utili raggiungimenti in tema ambientale. Non si tratta di problema marginale, perchè coinvolge l'intero quadro della vita comune, e colpisce vasti interessi. Ma è assai arduo convincere pubblico e amministratori che il recupero dei valori urbani — ossia 1 affermazione di una vita umanamente accettabile —, come non è ufficio di spirito pregiudi­ zialmente conservatore, non è affidato neppure a spettacolari imprese, colpi di mano, nuove tecniche d intervento, piani apocalittici, tanto facili da immaginare quanto impossibili da realizzare, ma piutto­ sto all esercizio costante del sincero interesse, della corretta amministrazione, della competenza speci­ fica nelle singole decisioni. Questo, almeno, sembra il massimo programma civilmente perseguibile, in assenza delle più generali favorevoli condizioni che età più serie e fortunate seppero imporre anche alla vita urbana, come le pagine precedenti hanno cercato di illustrare. 16 NOTE

1) In città e nei Corpi Santi le botteghe sono 4345 nel patrimoniali sarebbe stato posseduto da nobili e bor­ 1768; quasi un quarto di esse è distribuito tra la pesche­ ghesi, il 24,5% da ordini religiosi, luoghi pii, confraternite ria vecchia e S. Babila, lungo il corso di Porta Comasina, religiose e personalmente da ecclesiastici. Rispetto al da S. Giorgio al Carrobbio al ponte sul naviglio, in valore capitale, le percentuali sarebbero ammontate Cittadella, lungo il corso di Porta Romana (P. Verri, rispettivamente al 70 e al 28%. Memorie storiche sulla economia pubblica dello Stato di 9) A. Pavesi, Memorie per servire alla storia del com­ Milano, in Scrittori classici italiani di economia politica, mercio dello Stato di Milano, Como 1778, pag. 93. Cfr. vol. XVII, Milano 1804, pag. 40). Vaisecchi, op. cit., pag. 367, n. 1. 2) « ... giacché è problema non peranco sciolto fra noi benché altrove deciso, se le fabbriche e manifatture 10) Prammatica 25 ottobre 1794. debbano tenersi nelle Capitali o nei luoghi forensi ... » 11) In occasione della costruzione, non autorizzata, del (G. R. Carli, Saggi inediti sull’economia pubblica dello nuovo monastero di S. Luca a (l’attuale Stato di Milano, Firenze 1938, pag. 94). caserma), Maria Teresa lamenta che le aree utilizzate per il nuovo edificio abbiano mutato proprietario: « ... era 3) C. A. Vianello, Il Settecento milanese, Milano 1934, ben diverso che quel fondo rimanesse in potere dell’Ospe­ pag. 15. dale Mag.re ... che sempre acquista, e sempre vende, 4) Le carceri a Porta Nuova, (1758-66), i Luoghi Pii sicché gli stabili dal med.mo possedute non sono affatto Uniti (1782-83), il Monte di Santa Teresa (1783), il Monte esclusi dalla pubblica contrattazione, nel che consiste lo di Pietà (1783-86), la nuova Zecca (1787). spirito delle nuove costituzioni, ed altro che passasse in 5) Oltre al palazzo Ducale, l’archivio notarile ricavato mano dei PP., che essendo del tutto mani morte, non sopralzando il palazzo della Ragione (1771), il Luogo Pio rimaneva speranza che ne sortisse mai più... » (lettera Trivulzio (1771), il manicomio alla Senavra (1775), gli di Maria Teresa a Francesco duca di Modena, 3 giugno ospedali e le sedici scuole per i poveri aperte nel 1786 1763, Gridario Gallarati). (Avviso 12 dicembre), le scuole di Brera, il palazzo del 12) Una trentina nello Stato tra il 1768 e il 1780, ma governo nella sede del Collegio Elvetico (1786), il collegio alla fine del secolo superano il numero di 150 nella sola Calchi (1796), gli orfanotrofi di S. Pietro in Gessate e di città (V. Forcella, Chiese e luoghi pii soppressi a Milano S. Maria di Loreto (1784). dal 1764 al 1808, in « Arch. Stor. Lombardo », 1889 6) Raccolta degli editti, ordini, istruzioni, riforme, e pag. 646 e segg.). lettere circolari istruttive della Real Giunta del censi­ 13) Un Avviso del 16 novembre 1787 annuncia che dal mento generale dello Stato di Milano..., ivi 1760. Cfr. C. 25 dicembre successivo le parrocchie, in Città e Corpi Cattaneo, Lombardia antica e moderna, Milano 1943, pag. Santi, sarebbero state ridotte a 40, e stabilisce il distretto 84 e seg.; C. Lupi, Storia de' principi, delle massime e di ciascuna. Cfr. A. Belloni, Milano come era un tempo, regole seguite nella formazione del catasto prediale vol. I, i vicoli, Milano 1952, pag. 9. introdotto nello Stato di Milano l’anno 1760, Milano 1825, passim. 14) Prammatica 5 settembre 1767. L’articolo primo 7) A. Smith, Ricerche sopra la natura e le cause della proibisce di costruire case, collegi, oratori, ospizi, senza ricchezza delle nazioni, Torino 1927, pag. 660. Cfr. M. il preventivo consenso statale. Il decreto è richiamato Romani, L'economia milanese nel Settecento, in Storia di da un successivo, datato 18 aprile 1780. La Prammatica Milano, vol. XII, Milano 1959, pag. 503 e segg.; F. Vaisec­ del 25 ottobre 1794, già citata, tempera i termini dell’edit­ chi, Dalla pace di Aquisgrana alla battaglia di Lodi, to precedente, perchè « massime le soppressioni seguite ibid., pag. 290 e segg.; E. Cortese, voce Catasto nella di Monasteri, e Conventi, danno luogo a potersi mettere Enciclopedia del diritto, vol. VI, Varese 1960. in circolazione una considerevole massa di beni stabili ». 8) Vaisecchi, op. cit., pag. 305. La distribuzione della 15) Il numero si ricava da Forcella, op. cit. Cfr. anche proprietà fondiaria ed edilizia in Milano intorno al 1760 Quadro storico di Milano, ivi 1802. è stata valutata da Vianello (op. cit.) in questi rapporti: 16) Reale dispaccio 15 maggio 1775. Cfr. P. Mezzanotte, su 1501 stabili il 33,33% sarebbe stato posseduto da 671 Storia del Collegio degli ingegneri di Milano, ivi 1960, nobili, il 33,28% da borghesi, il 33,39% dal clero e da pag. 71 e segg. opere pie. Rispetto al valore, il 40,78% sarebbe stato pos­ seduto dai nobili, il 29,65% da borghesi, il 29,57% dal 17) Provvidenze generali per lo Stato di Milano, 20 gen­ clero e dalle opere pie. Tali cifre sono state più recen­ naio 1791. temente valutate da M. Romani (Note sul patrimonio 18) Precisamente, chi volesse esercitare la professione edilizio milanese intorno alla metà del Settecento, in d’ingegneria doveva frequentare per due anni l’università Studi in onore di Armando Sapori, Milano 1957, vol. II, di Pavia, poi, per un anno, la scuola d'architettura a pag. 1303 e segg.) in questi termini: il 62% delle unità Brera (Avviso 6 novembre 1786). 17 19) Per l’orfanotrofio di Mantova cfr. Arch, di Stato (Collegio dei Nobili); 3 settembre 1776 e 4 gennaio 1777 di Milano, Luoghi Pii, p.a. cart. 240. (Cà dei Cani). 20) Gli esaminatori dei progetti sono ridotti al solo 34) Vianello, op. cit. pag. 34. professore di architettura pratica all’Accademia da un 35) Avvisi del 7 settembre 1785 e del 20 dicembre 1791. Dispaccio del 13 febbraio 1777; i disegni devono però Cfr. Monti, op. cit., pagg. 123 e 125. essere preventivamente presentati al Giudice delle strade. Grida 36) Vianello, op. cit., pag. 34. Un Editto del 26 aprile La disposizione è ribadita dalla successiva del 26 1784 e un Avviso del 3 novembre 1799 diffidano artigiani e aprile 1784. bottegai dall’occupare strade pubbliche (L. Peroni, Indice 21) Grida generale degli ordini del Magistrato alla Sani­ delle leggi, avvisi ed ordini, ecc., publicati nello Stato di tà in tutto lo Stato, 26 aprile 1781. Cfr. Raccolta di leggi, Milano... dal 1765 al 1821, Milano, 1823, vol. II, pag. 144). regolamenti e discipline ad uso de’ Magistrati e del corpo degli ingegneri d’acque e strade, vol. I, Milano 1806. Cfr. 37) Una Grida del 9 novembre 1786 detta norme per la anche il precedente Ordine di Sanità 16 marzo 1778. numerazione delle case. Già sono stati posti i cartelli col nome delle strade. 22) Supplemento al primo, e al secondo volume degli Statuti di Milano volgarizzati, Milano 1775, pag. 205 e 38) Un Avviso del 22 gennaio 1788 indice una gara segg. Cfr. le Gride del 12.IV.1755, 18.1.1763, 28.III.1761, d'appalto per le opere per l'illuminazione stradale. 28.IV.1769, 31.V.1772, 26.IX.1772, 16.III.1781, 26.IV.1781, 39) Un tempo a Milano « si facevano a spese de’ 8.III.1784, 26.IV.1790, 13.III.1793, 31.X.1794, 26.IX.1799, Frontisti delle Case li marciapiedi di mattoni riuniti a 20.III.1800. spica, e nel metodo ordinario con danno del Pubblico questi marciapiedi per la massima parte furono strap­ 23) Proclama del 26 settembre 1799 (Vianello, op. cit., pati sostituendo rozzi sassi borianti, e le suddette bevole, pag. 31). o altre vecchie lastre ai mattoni, con profitto di chi ha 24) Circolari 11 ottobre 1768, 31 dicembre 1774; 1 no­ interesse di fare una sostituzione tanto incomoda » (Ger­ vembre 1776; 30 dicembre 1778; 15 settembre 1779; 6 no­ ii, op. cit., pag. XVIII). vembre 1787. Cfr. A. Monti, Nostalgia di Milano, ivi 1945, pag. 132, Vianello, op. cit., pag. 21. Tra il 1720 e il 40) « ... cette police a forcé les citoyens à faire des 1731 era stato costruito il Foppone dell’Ospedale Mag­ choses prodigieuses pour l’embellissement de la ville. Par exemple, l’on peut passer près des maisons quand il giore a Porta Tosa. pleut; des conduits de fer-blanc amènent les eaux des 25) Grida del 15 marzo 1773. toits dans le canal qui passe sous chaque rue. Comme" les 26) Vianello, op. cit., pag. 31. Al 26 marzo 1734 risale corniches sont fort saillantes, on est presque à l’abri de per altro una « supplica per minorare il carico degli la pluie en marchant le long des maisons... est la alloggi» (Gridario Gallarati, I, ff. 90, 91). ville d’Europe qui a les rues les plus commodes » (Stendhal, Rome, Naples et Florence, Paris s.d., pagg. 27) Raccolta di leggi, regolamenti, cit., vol. II, Milano 15-17). 1807 (decreto 2 ottobre 1790). I termini delle disposizioni sono precisate da circolari successive (1778, 1780, 1790). 41) A. Visconti, Milano d'una volta, ivi 1945, vol. II, Un nuovo Piano stradale è pubblicato il 26 aprile 1784. pag. 18. Cfr. Regolamenti, ed ordini per l’attuazione del Piano 42) Vianello, op. cit., pag. 33. Stradale dello Stato di Milano, ivi s.d.; Raccolta degli ordini e de' regolamenti delle strade della Lombardia 43) Avviso d’appalto 14 marzo 1793. austriaca, Milano 1785; A. Cantalupi, Prospetto storico 44) Avvisi d’appalto 27 dicembre 1794 (Borgonuovo) e statistico delle strade di Lombardia, Milano 1850, pag. 2; 15 giugno 1793 (Porta Ticinese). A. Cantalupi, Trattato pratico di architettura stradale, vol. I, Milano 1870, pag. 14 e segg. 45) Archivio di Stato di Milano, Autografi ingegneri e architetti, cart. 86. P. Ghinzoni, La colonna di Porta 28) G. Gualdo Priorato, Relatione. della Città, e Stato Vittoria a Milano, in « Archivio Storico Lombardo », di Milano, ivi 1666, pag. 131. 1887, e ibid., pag. 682, Con un Avviso del 19 agosto 1786 29) A. Gerii, Vista patriotica sopra le strade della città sono poste in vendita 22 « crocette ». di Milano, ivi (1792). 46) I. Fumagalli, Elogio dell’architetto Giuseppe Pier- 30) P. Mezzanotte, Note di storia edilizia milanese, in marini, in Atti dell'I.R. Accademia delle Belle Arti in P. Mezzanotte e G. C. Bascapè, Milano nell'arte e nella Milano, ivi 1837, pag. 20. Una relazione della commissione storia, Milano 1948, pag. 64. per i restauri ricorda nel 1825 alcuni aspetti della città precedenti le riforme: « ... il corso di Porta Orientale 31) A. Visconti, Storia di Milano, ivi 1937, pag. 511. fiancheggiato dalle squallide mura di un monastero e 32) Regole per la direzione del Corso Pubblico in Porta fiancheggiato da un fosso pantanoso, presentava l’aspetto Orientale e sopra le mura di essa Porta, 20 aprile 1771. della tristezza e della miseria,.... il corso di Porta Roma­ Altri Avvisi analoghi sono datati 27 agosto 1783, 28 gen­ na, ad ogni minima pioggia, veniva allagato dalle acque naio 1788, 17 febbraio 1800. pluviali... il passeggero era ad ogni tratto avviluppato in tortuose e anguste contrade, né v’era altro luogo dove 33) Avvisi 20 agosto 1779 (Canobiana); 1 agosto 1778, respirare un’aria aperta fuorché le mura della città in­ 8 settembre 1789, 3 agosto 1799 (Scala); 22 aprile 1776 gombre di sassi e di spini, l’insalubre spalto del Gastello » 18 (V. Adami, Le strade di Milano al principio del secolo 51) Romani, Note sul patrimonio edilizio, cit., pag. 1316. XIX, in « Arch. Storico Lombardo », 1937, pag. 230). 52) Vianello, op. cit., pag. 224 e segg. Tra le maggiori 47) F. Milizia, Dizionario delle Belle Arti del disegno..., industrie era la manifattura Pensa e Loria in via Ruga­ Milano 1804, voce Giardino, vol. I, pag. 264. Cfr. M. Zocca, bella, che occupava più di 600 operai; quella Clerici, de­ Francesco Milizia e l’urbanistica del Settecento, in « Atti scritta dal Lalande, ne occupava 450. Nel 1790 nell'indu­ dell’VIII Conv. naz. di storia dell’architettura », Caserta stria cittadina sembrano impiegati 2901 operai; la mag­ 1953, pagg. 228, 236, n. 27, 28, 29. gior parte delle industrie, tuttavia, era sparsa nei dintor­ ni. Sulle industrie milanesi cfr. E. Greppi, Saggio sulle 48) Un Avviso del 4 luglio 1786 esenta dal dazio sui condizioni economiche del Milanese verso il 1780, in materiali da costruzione chi edificherà o restaurerà edi­ « Annali di statistica », II s., voi. 19, 1881, pag. 57 e segg. fici lungo il corso di Porta Orientale e nei pressi. 53) Un Editto del 26 gennaio 1785, relativo alla gara di 49) Il monastero delle Carcanine dopo la soppressione vendita all’asta di alcuni monasteri soppressi nei din­ era stato adattato a « trateur ad uso di chi volesse farvi torni di Milano, precisa che nell’aggiudicazione saranno pranzi o cene, con comodo di caffè e bigliardo ». Alla preferiti gli acquirenti « che vorranno servirsi di detti Cavalchina era stato aperto un maneggio. In strada Fabbricati, per introdurre, o per aumentare le Manifat­ Marina era pure stato aperto nel 1778 il « Fauxall » di ture ». imitazione inglese (Vianello, op. cit., pag. 33). I giardini, cintati, contenevano anche un’area per il gioco del pal­ 54) P. Lavedan, Histoire de l'urbanisme. Renaissance et lone (C. Bianconi, Nuova guida di Milano per gli Amanti Temps modernes, Paris 1941, pag. 358; L. Hautecœur, delle Belle Arti, Milano 1787, pag. 80). Cfr. Gerii, op. cit., Histoire de l’Architecture classique en France, Paris A. Giulini, Milano e i suoi dintorni nel diario di una dama 1953, vol. V, pag. 127; P. Lavedan, Les villes françaises, romana del Settecento, in « Arch. Stor. Lombardo », 1917, Paris 1960, pag. 145. pag. 353 e segg.; Archivio Storico Civico di Milano, 55) ... «l’intera contrada di S. Radegonda, le di cui case Località -foresi e milanesi, cart. 209. Sulla strada Marina tutte elevate ad uno stesso livello, distribuito con bellis­ cfr. F. Boyer, Les promenades publiques en Italie du sima euritmia, non meno che quelle fiancheggianti S. Ce­ Nord au XVIII siècle, in « La vie urbaine », luglio-sett. lestino, furono le prime ad indicare come costruirsi 1959, pag. 170 e segg. Sulla sistemazione seicentesca cfr. dovessero le abitazioni con annesse botteghe » (I. Fuma­ C. Torre, Il ritratto di Milano, ivi 1674, pag. 273. galli, op. cit., pag. 19). È da ricordare che già nel 1770 era stato proposto di sistemare l’intera area tra la Cavalchina e la via Marina, 56) Comune di Milano, Un nuovo piano regolatore per qui collocando il nuovo palazzo ducale (disegno presso Milano, a cura di F. Hazon, Milano 1969, vol. I, tav. 7, la Biblioteca Civica di Foligno). Anche per la Scala fu pagg. 52, 53, 79, 93; vol. II, pag. 83. inizialmente designata un’area situata presso la via 57) R. Pane, Città antiche edilizia nuova, Napoli 1957, Marina. pag. 71. 50) Nel 1787 a Porta Orientale, su 1104 stabili, 282 ap­ 58) Comune di Milano, op. cit., vol. I, tav. 7. partenevano 'a nobili (25,5%), 579 a borghesi (52,4%), 230 59) Variante al piano regolatore generale per la zona al clero (21%), 13 alla amministrazione pubblica (1,1%) compresa tra le vie Soncino, Stampa, Olmetto, Amedei, (Vianello, op. cit., pag. 67, rimanda a: Indice delle case ... corso Italia, ... piazza XXIV maggio, ... vie C. Correnti, di Porta Orientale col numero e il possessore, in Archivio del Torchio, Circo, ... via S. Sisto e Carrobbio, adottata di Stato di Milano, Popolazione, p.a., 1787). il 10 luglio 1964.

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TAVOLE

Le sei tavole seguenti rappresentano i circondari delle Porte della città intorno al 1784. Derivate dalle note mappe catastali disegnate per il censimento di Maria Teresa, sono attri­ buite al monaco olivetano Mauro Fornari. Ogni incisione è accompagnata da una approssi­ mativa veduta acquarellata di un edificio — antico o nuovo — emergente nel corrispondente settore della città: le colonne di S. Lorenzo, la Porta Romana, la cinta dei giardini a Porta Orientale, la Scala, il palazzo della Ragione. (Fogli di cm. 30 x40; scala 1000 braccia mila­ nesi = cm. 12. Archivio Storico Civico, raccolta cartografica).

A ogni tavola è sovrapposta la pianta del medesimo settore cittadino nelle condizioni presenti, perché possano facilmente riconoscersi le modificazioni subite dall’abitato nel corso degli ultimi due secoli.

Porzione della città di Milano che comprende il Circondano di Porta Ticinese

I - Porta Ticinese 25

Porzione della Citta di M ilano, che comprende il Circondano di Porta Rom ana

II - Porta Romana 27

Porzione della Città di Milano che comprende il Circondano di Porta Orientale

III - Porta Orientale 29

Porzione della Citta di Milano, che comprende il Circondario di Porta N uova

IV - Porta Nuova

Porzione della Città di Milano . che comprende il Circondario di P orta Comasina

V - Porta Comasina 33

P orzione della C ittà di VercellinaMilanoil Circondario che di comprende P o r ta

VI - Porta Vercellina

Le sei illustrazioni seguenti sono ricavate da una pianta incisa da G. Prada e ripubblicata nel 1869, e comprendono i medesimi distretti rappresentati dalle incisioni settecentesche. A colori sono contornati i rioni della città. (Foglio di cm. 76 x 60; scala 1:6000. Archivio Sto­ rico Civico, raccolta cartografica).

A ogni tavola è sovrapposta la pianta del medesimo settore cittadino nelle condizioni presenti, perché possano facilmente riconoscersi le modificazioni subite dall’abitato nel corso degli ultimi due secoli.

VII - Porta Ticinese 39

VIII - Porta Romana 41

IX - Porta Orientale 43

X - Porta Nuova

XI - Porta Comasina 47

XII - Porta Vercellina 49

INDICE DEI NOMI E DELLE VOCI

Accademia delle belle arti a Brera, 10, 17, 18. Chiesa di S. Vincenzo in Prato, 9. Adami Vittorio, 19. Chiesa di S. Vittore, 12, VI, XII. Affitti, 11, 18. Clerici, manifattura, 19. Albergo Commercio, 15. Collegio Arcimboldi, 16. Allegrarla Giuseppe, 7. Collegio Calchi, 17. Aquisgrana, pace di, 6. Collegio Elvetico, 17. Arcivescovado, 15. Collegio degli ingegneri e architetti, 6, 17. Aspari Domenico, 7. Colonna di , 18. Bastioni (mura spagnole), 5, 10, 11, 12. Colonne di S. Lorenzo, 23. Behordenorganisation, 6. Commissione d’ornato, 9, 10. Beigioioso, 7. Como, 11. Belloni Amerigo, 17. Compagnia di Gesù, 8. Bianconi Carlo, 7, 19. Consiglio di Governo, 12. Boemia, 7. Contrada di S. Agostino (via Monte di Pietà), 10. Borghi, 15. Contrada di S. Andrea, 9, IV, X. Borgo del Gesù, 8, 9, IV, X. Contrada di Borgonuovo, 11, 18, IV, X. Borgo di Santo Spirito, 8, 9, IV, X. Contrada di Monforte, 10, III, IX. Borromeo Carlo, 5. Contrada dei Moroni, 11, IV, X. Boschetti (via Marina), 14, 16, III, IX, X. Cordusio, 5, XII. Boyer F., 19. Corpi Santi, 10, 17. Canale di Paderno, 11. Corsia del Giardino, 9,- IV. Cantalupi Antonio, 18. Corso Italia, 15, 19. Carceri a Porta Nuova, 17. Corso della Cittadella a Porta Ticinese, 11, 17, I. Carli Gian Rinaldo, 17. Corso di Porta Comasina, 5, 17, V. Carlo VI, 7. Corso di Porta Ludovica (corso di S. Celso), 5, I, VII. Carrobbio, 5, 19. Corso di Porta Nuova, 5, 15, IV, X. Carrozze, 11. Corso di Porta Orientale, 5, 8, 12, 13, 18, III. Caselli di Porta Ticinese, 16. Corso di Porta Romana, 5, 10, 11, 13, 17, 18, II, Vili. Castello Sforzesco, 12, 18. Corso di Porta Ticinese, 5, 13, 18, I, VII. Catasto urbano e agricolo, 6, 7, 8, 10, 17. Corso di Porta Tosa, 5, 11, 13, III. Cattaneo Carlo, 17. Corso di Porta Vercellina, 5, VI. Cavalchina, 19, IV. Cortese E., 17. Censuaria, riforma, 7. Croci stazionali, 12, 18. Chiesa di S. Agnese, 8. Dal Re Marc’Antonio, 7. Chiesa di S. Babila, 17, III, IX. Darsena di Porta Ticinese, 15, I, VII. Chiesa di S. Barbara, 8. Duomo, guglia maggiore, 13. Chiesa di S. Eustorgio, 16, I, VII. Edilizia popolare, 6, 15. Chiesa di S. Giorgio, 17, I, VII. Fabbriche alimentari, 10. Chiesa di S. Giovanni al Gonfalone a Porta Tosa, 8. Fauxall in via Marina, 19. Chiesa di S. Gottardo, 7. Filande, 10. Chiesa di S. Maria di Brera, 9, IV. Firenze, 12. Chiesa di S. Maria di Caravaggio, 10, III. Firmian Carlo, 7. Chiesa di S. Maria della Scala, 7, 8. Foppone dell’Ospedale Maggiore, 18. Chiesa di S. Paolo, 8, I, VII. Forcella Vincenzo, 17. Chiesa di S. Pietro Celestino, 13, 19, III, IX. Fornari Mauro, 23. Chiesa di S. Sofia, 8, II, Vili. Francesco duca di Modena, 17. Fumagalli Angelo, 7. Oratorio di S. Martorella, 8. Fumagalli Ignazio, 18, 19. Oratorio di S. Ulderico al Bocchetto, 8. Gallarati, 7. Ordini mendicanti, 9. Gerii Agostino, 18. Orfanotrofio di Mantova, 18. Ghinzoni Pietro, 18. Orfanotrofio di S. Maria di Loreto, 17. Giardini a Porta Orientale, 12, 19, 23, III, IX, X. Orfanotrofio di S. Pietro in Gessate, 17. Giudice delle strade, 18. Ospedale Maggiore, 17. Giulini Giorgio, 7. Ospedali, 17. Giunta per le strade, 11. Palazzo Bovara, 9. Giuseppe II, 6, 8, 9, 13. Palazzo Cagnola in via Guastalla, 11. Grazioli Pietro, 7. Palazzo Clerici, 11. Greppi Emanuele, 19. Palazzo Diotti, 9. Grosseto, 12. Palazzo Ducale, 6, 7, 13, 16, 17. Gualdo Priorato Galeazzo, 18. Palazzo del Genio Militare, 9. Hautecoeur Louis, 19. Palazzo di Giustizia, 15. Hazon Filippo, 19. Palazzo del Governo, 17. Illuminazione stradale, 6, 11, 18. Palazzo Kevenhiiller, 9. Inghilterra, 7. Palazzo Mainoni in via Amedei, 11. Intendenza Politica Provinciale, 11. Palazzo Marliani, 7. Kaunitz-Rietberg Wenzel, 10. Palazzo Medici di Marignano in via Medici, 11. Lalande, 19. Palazzo Olivazzi poi Trivulzio, in via Bigli, 11. Latuada Serviliano, 7. Palazzo della Ragione (archivio notarile), 17, 23. Lavedan Pierre, 19. Palazzo del Senato, 16. Lucca, 12. Palazzo Visconti in via Camminadella, 11. Luoghi Pii Uniti, 17. Palazzo Visconti in via S. Maurilio, 11. Luogo Pio Trivulzio, 17. Pane Roberto, 19. Lupi Carlo, 17. Parco delle basiliche, 16. Magistrato alla Sanità, 18. Parigi, 7, 11, 12. Marciapiedi, 11, 18. Parma, 12. Maria Teresa, 6, 8, 17, 23. Parrocchie nella città seicentesca, 5. Mezzanotte Paolo, 17, 18. Parrocchie alla fine del secolo XVIII, 8, 17. Milizia Francesco, 12, 19. Pavesi A., 17. Modena, 12. Pavia, 11. Monastero di S. Antonino a Porta Romana, 8. Pavimentazione stradale, 6, 11, 18. Monastero delle Carcanine, 8, 19. Pensa e Loria, manifattura in via Rugabella, 19. Monastero di S. Caterina alla Ruota, 8. Peroni Luca, 18. Monastero di S. Dionigi, 8. Pescheria Vecchia, 17. Monastero di S. Lazzaro, 8. Piano della Commissione degli Artisti a Parigi, 7. Monastero di S. Luca a Porta Ludovica, 17. Piano generale stradale per la Lombardia, 6, 11, 18. Monastero di S. Pietro in Gessate, 8. Piano dei rettifili (piano regolatore napoleonico), 9, 14 Monastero di S. Radegonda, 8. Piazza Beigioioso, 13, IV, X. Montenapoleone, 9. Piazza del Duomo, 5, 11, II, III, VII, Vili, IX, X. Monte di Pietà, 17. Piazza di S. Eustorgio, 15, I, VII. Monte di S. Teresa, 7, 17. Piazza Fontana, 13, 15, III, IX. Monti Antonio, 18. Piazza dei Mercanti, 5, da II a XII. Napoli, 12. Piazza reale, 13, II, VII, V ili, IX. Navigazione fluviale, 11. Piazza di S. Sepolcro, 5, VI, XII. Naviglio, 5, 9, 10, 12. Piazza XXIV Maggio, 19, VII. Numerazione delle case, 6, 11, 18. Piermarini Giuseppe, 7, 18. Obelisco ai boschetti, 14. «Police», 11. Officine nella città, 12, 19. Pollack Leopoldo, 12. Oratorio dei Disciplini, 8. Pontaccio, 11, V, XI. Ponte Vetero, 5, V, XI. Trieste, 7, 13. Porta Comasina, 12, V, XI. Trivulzio Luigi Alberico, 7. , 13. « Trottoirs » di Parigi, 11. Porta Ludovica, 12. Università di Pavia, 17. Porta Nuova, 12. IV, X. Vaisecchi Franco, 17. Porta Orientale, 9, 12, 13, 19, III, IX. Verri Pietro, 7, 17. Porta Romana, 7, 12, 14, 23, II, VIII. Verziere, 5, 15. Porta Ticinese, 12, 14, 15, I, VII. Via Amedei, 19. Porta Vercellina, 12, VI, XII. Via S. Antonio, 7. Prada G., 37. Via Circo, 19. Proprietà ecclesiastiche, 8, 17, 19. Via Cesare Correnti, 19. Proprietà edilizia, 17, 19. Via di S. Giovanni alle Case Rotte, 11. Prussia, 7. Via Lanzone, 11. « Racchetta », 14. Via Larga, 5, II, Vili. Regolamento generale per gli ingegneri, 10. Via Marina, 12, 19, III, IX, X. Regolamento d’igiene, 10. Via S. Margherita, 11, IV, IX, X. Ricchino Francesco Maria, 5. Via del Monte di Pietà, 9, 10, IV, X. Romani Mario, 17, 19. Via Mulino delle Armi, 15, I, VII. Scuola d’architettura presso l’Accademia di Brera, 10, Via Olmetto, 19, I, VII. 17. Via di S. Radegonda, 13, 19, III, IX, X. Scuole Canobiane, 8. Via Rugabella, 19, II, Vili. Scuole per i poveri, 17. Via S. Sisto, 19, I, VII. Scuole pubbliche, 10. Via S. Sofia, 15, II, Vili. Senavra, 8, 11, 17. Via Soncino, 19. Siena, 12. Via Stampa, 19, I, VII. Smith Adamo, 7, 17. Via del Torchio, 19, I, VII. Sormani Nicolò, 7. Via dei Tre Monasteri (Monte di Pietà), 8. « Sostre », 15. Viale per Monza, 12. Stazione ferroviaria a Porta Nuova, 14. Vianello Carlo Antonio, 17, 18. Stendhal (Henri Beyle de), 11, 18. Vicolo di S. Maria Valle, 15. Stretta di S. Giovanni in Conca, 11. Vienna, 12. Teatro alla Cà dei Cani, 11, 18. Villa Beigioioso (Reale), 9, 16, X. Teatro alla Canobiana, 11, 18. Visconti Azzone, arca di, 7. Teatro al Collegio dei Nobili, 11, 18. Visconti Alessandro, 18. Teatro alla Scala, 11, 18, 23. Zecca, 17, X. Traffico stradale e viabilità, 6, 11, 18. Zocca Mario, 19. INDICE DELLE TAVOLE

I circondari della città settecentesca: Dalla carta ottocentesca I, Porta Ticinese, pag. 25. VII, Porta Ticinese, pag. 39. II, Porta Romana, pag. 27. VIII, Porta Romana, pag. 41. III, Porta Orientale, pag. 29. IX, Porta Orientale, pag. 43. IV, Porta Nuova, pag. 31. X, Porta Nuova, pag. 45. V, Porta Comasina, pag. 33. XI, Porta Comasina, pag. 47. VI, Porta Vercellina, pag. 35. XII, Porta Vercellina, pag. 49.

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