IL CENTRO ANTICO DI MILANO Sviluppo E Declino Della Città Settecentesca Ëéëé

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IL CENTRO ANTICO DI MILANO Sviluppo E Declino Della Città Settecentesca Ëéëé IL CENTRO ANTICO DI MILANO Sviluppo e declino della città settecentesca ëéëé:. IL CENTRO ANTICO DI MILANO Sviluppo edeclino della città settecentesca testo di GIANNI MEZZANOTTE EDITO DALLA BANCA LOMBARDA NEL SUO PRIMO CENTENARIO Alle trasformazioni urbanistiche, ambientali, edilizie del centro antico di Milano negli ultimi secoli è stata dedicata una bibliografia fra le più ricche tra quelle che hanno per oggetto città italiane. Studi su edifici, contrade e vicoli, saggi sulla cartografia, storie edilizie e ricostruzioni grafiche hanno individuato le modificazioni successive del volto cittadino, sicché le caratteristiche e l’immagine della città sette e ottocentesca sono ormai ben note, almeno quanto lo sono gli eventi politici, culturali ed economici che hanno segnato la vita di quei secoli. Poco invece è stato fatto per precisare i legami tra quel complesso di eventi e il risultato urbanistico, ambientale ed edilizio della città, come di decennio in decennio si è configurata, e che il nostro secolo va progressivamente distruggendo. La configurazione definitiva del centro antico di Milano, infatti, è prodotta in gran parte da una serie di provvedimenti e interventi settecenteschi che ebbero intenzioni assai più ampie dell’organizzazione urbanistica, configurazione che fu realizzata anche attraverso uno straordinario complesso di più specifiche norme coerenti a quelle premesse, e con il concorso profondamente partecipato dei costruttori e degli abitanti stessi. In queste pagine la città settecentesca è descritta soprattutto come risultò dalle premesse politiche degli ordinamenti della vita civile, e dal concorso corale degli amministratori, dei costruttori, degli abitanti. E ciò non soltanto per chiarire alcuni aspetti di un capitolo importante e complesso della storia urba­ nistica ed edilizia di Milano, ma perchè dall’indagine sul passato possa derivare qualche suggerimento al confuso operare attuale nell’ambiente residuo del centro antico, che ha i lati più negativi nella incertezza amministrativa e nel comune disinteresse. Nella storia recente di Milano, i periodi di profonda trasformazione urbana possono riconoscersi negli ultimi cinquant’anni del secolo XVI, e nella seconda metà del secolo XVIII; infine, con l’Unità inizia quella serie di fenomeni, tuttora in corso, collegati allo sviluppo industriale e all’inurbamento, che dà nuova dimensione alla città, e riduce l’abitato compreso entro le mura spagnole a « centro » di un orga­ nismo assai più complesso ed esteso. Al termine del primo dei periodi di rinnovamento ricordati, caratterizzato dal tracciamento delle fortificazioni spagnole e dalle riforme di Carlo Borromeo, la pianta compilata da F. M. Ricchino nel 1603 — la prima interamente pianimetrica, eseguita in seguito a una misurazione geometrica — disegna la città nella forma destinata a non subire modificazioni sostanziali per centocinquant’anni. Tra la cinta dei bastioni e l’anello del naviglio si stende la fascia dei borghi e degli orti, costellata di monasteri. Alcune grandi vie portano ai centri di maggior rilievo : il Corso di Porta Nuova e quello di Porta Orien­ tale alla piazza dei Mercanti, quello di Porta Tosa al Verziere; altri corsi (delle Porte Romana, Ludovica, Ticinese, Vercellina, Comasina) sono per se stessi centri di vita, accanto al Cordusio, alla contrada Larga, al Ponte Vetero, al Carrobbio, alle piazze del Duomo, dei Mercanti, di S. Sepolcro. La città non appare tanto un sistema di vie di comunicazione, quanto una costellazione di centri o un insieme omogeneo di aree abitate equivalenti, ma con caratteristiche definite. Gli edifici di servizio pubblico sono distribuiti uniformemente, spesso identificandosi con quelli religiosi; circa 115 parrocchie spartiscono l'abitato. Grande rilievo acquistano le vere vie di comunicazione commerciali, i navigli, lungo i quali sono distri­ buite le più diffuse attività artigianali. Alla metà del secolo successivo le planimetrie non disegnano una città apparentemente diversa, e nep­ pure un esame più attento palesa una realtà edilizia molto differente. La città ospita allora circa 110.000 abitanti, una popolazione equivalente a quella seicentesca; essa è al centro di una regione dalla economia ancora prevalentemente agricola; vi si svolge una intensa attività di scambi U; industrie e manifatture hanno ancora uno sviluppo tanto limitato da non generare alcun fenomeno di inurbamento e da non porre neppure il problema della localizzazione delle attività produttive2). Le «case da nobile» sono circa 600, poche di più quelle borghesi, 225 sono gli edifici religiosi 3). Il benessere e lo sviluppo della struttura sociale della popolazione sono accusati dal crescente traffico stradale e dalla maggior 5 cura dedicata alle case della media e piccola borghesia. Le facciate delle abitazioni comuni sono d’into­ naco, i portali e le finestre sono contornate di pietra, i balconcini ai piani superiori sono retti da cartocci o conchiglie di stucco; l’edilizia popolare è fatta di semplici edifici a ringhiera, a due o tre piani, con botteghe e depositi al piano terreno. Non si avvertono segni di crisi che indichino l’immi­ nenza di sostanziali rivolgimenti; tuttavia la città è proprio allora alle soglie di un grandioso rinnova­ mento, le cui ragioni sono politiche e ideali prima che economiche, generato da una volontà direttiva ancor più che da spontanea determinazione. Esso è connesso soprattutto con le riforme che rinnovano l'intero apparato amministrativo austriaco, alla « Behòrdenorganisation » iniziata nel 1746. Nella se­ conda metà del secolo XVIII, nei cinquant'anni di pace dopo Aquisgrana, il rinnovamento della città registra puntualmente i mutamenti della vita pubblica e del costume : a quelle innovazioni deve riferirsi principalmente chi voglia riconoscere le ragioni della trasformazione urbana e della forma attuale del centro antico. Con un’azione assai a monte rispetto all’attività edificatoria la pubblica amministrazione infatti finisce a condizionare, e in definitiva a promuovere, l'intera ristrutturazione della città. Dalle riforme volte a rigenerare lo Stato e l’amministrazione, attuate da Maria Teresa e da Giuseppe II, allo scopo di consolidare l’autorità centrale, di rendere razionale il funzionamento dello Stato in tutte le sue manifestazioni, derivano capillari riflessi in ogni attività connessa con l’edificazione urbana. Dalla riforma fiscale discende il catasto e il censimento dei beni immobiliari e fondiari; dalle riforme religiose prende avvio l’esproprio dei beni immobiliari ecclesiastici e la devoluzione di aree ed edifici a nuovi impieghi; dalla riforma dell’istruzione deriva fra l’altro la creazione delle accademie statali di Belle Arti; dalla sistemazione delle professioni discende anche il nuovo statuto del Collegio degli ingegneri e architetti. Dal riordino amministrativo e dei servizi origina la costruzione di molti edifici pubblici, tutti di estrema semplicità4), e il riordino di un cospicuo numero di altri già esistenti5). Accanto alle condizioni per un orientamento nuovo dell'edilizia e per una diversa configurazione della città, più specifici interventi sono dedicati anche all'attività edilizia. E’ istituita una commissione inca­ ricata di giudicare i progetti architettonici, premessa alle « Commissioni d’ornato » napoleoniche e alla nostra Commissione edilizia; ma si compila anche un regolamento d’igiene; una serie di decreti ordinano un piano generale stradale per la Lombardia e un regolamento del traffico cittadino. A questi prov­ vedimenti si affiancano altri intesi a rinnovare la pavimentazione stradale, a numerare le case, a illumi­ nare le strade e a renderle agevoli al traffico, mentre è ripristinata e potenziata la rete delle comuni­ cazioni fluviali con la regione. Soltanto nel secondo periodo del governo austriaco, e mai più da allora, la città ha goduto di un complesso tanto organico di provvedimenti atti a regolare la vita cittadina, accompagnato da conseguenti opere pubbliche e private. Tutto ciò ha il suo coronamento e prolunga­ mento nel movimento artistico che indirizza con norme controllabili le forme architettoniche. Le caratteristiche più spiccate della corrente architettonica apparsa in Lombardia poco prima del 1770 — in concomitanza al periodo più denso di riforme civili — e il suo lato più moderno, consistono forse nella riconosciuta dignità dell’edilizia e nella sua sottomissione a regole analoghe a quelle normative della vita associata. Essa fu proposta e protetta inizialmente proprio dall’ente pubblico (il primo inter­ vento neoclassico è esercitato sul palazzo Ducale) ed immediatamente fu acquisita da quella parte della committenza privata che ne appoggiava l’operato riformista, e che diede il ben noto contributo alla nuova cultura. Il recupero del classicismo ha in questa circostanza un significato preciso, connesso con 1 aspirazione ad un’edilizia normalizzata con una serie di elementi decorativi legati fra loro da una grammatica elementare, tali da rendere costante l’uso dei singoli elementi — decorazioni, ma anche intere fronti — e quindi tali da renderne facilmente prevedibile il risultato architettonico e ambientale. Alle premesse amministrative e all’invenzione individuale sovrintende un medesimo indirizzo ideale : queste erano le condizioni più favorevoli a un ordinato sviluppo urbano. Ecco perché si può sostenere che Milano settecentesca, come altre città dell’impero, e fra le altre Trieste, dovette principalmente la sua efficienza urbanistica, la capacità di sviluppo per almeno un secolo, il suo decoro
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