Parte Ii IL PSI NELLA CRISI DELLA PRIMA REPUBBLICA

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Parte Ii IL PSI NELLA CRISI DELLA PRIMA REPUBBLICA parte ii IL PSI NELLA CRISI DELLA PRIMA REPUBBLICA AA.Craxi_Crollo_parte.2.indd.Craxi_Crollo_parte.2.indd 659659 223/11/123/11/12 116.596.59 AA.Craxi_Crollo_parte.2.indd.Craxi_Crollo_parte.2.indd 660660 223/11/123/11/12 116.596.59 piero craveri L’IRRESISTIBILE ASCESA E LA DRAMMATICA CADUTA DI BETTINO CRAXI Di fronte a queste interviste, tutte seriamente impegnate a una rifl essione sul passato socialista, allo storico viene fatto di porsi un problema ovvio, perfi no banale, se debbano essere utilizzate per comporre una storia del Partito socialista o piuttosto un profi lo del politico e dello statista Bettino Craxi, della sua irresistibile ascesa e drammatica caduta. Ora la seconda scelta è obbligata, perché, al- meno a partire dal 1980, ancor più dall’elezione diretta di Craxi a segretario nel congresso di Palermo, c’è solo più una storia sociolo- gica, ma non politica, del partito in quanto tale, essendosi tra l’altro spento lentamente quello slancio corale, fortemente creativo, che aveva caratterizzato la sua vicenda, a partire dagli eventi del Midas fi no all’assise programmatica di Rimini. Del resto di quei primi anni in queste interviste si dice poco, se non della cangiante trama politica interna che portò Craxi a por- si stabilmente alla guida del partito. E paradossalmente a segnare quest’ultimo evento sono principalmente due fatti esterni: la dram- matica vicenda che segna la morte di Aldo Moro e il successivo rove- sciamento della sua strategia politica con il congresso democristiano del preambolo. Il congresso del preambolo cancellava infatti ogni ulteriore proposito della sinistra socialista, come nella sua intervista sottolinea Signorile, di dare un ruolo al psi in un rinnovato quadro di unità nazionale, già di per sé velleitario, non essendo più questa un’inclinazione realistica, e aprendosi a Craxi la strada di una rinno- vata collaborazione di centrosinistra. L’opposizione socialista alla linea della fermezza, anche se era sta- ta, come alcune di queste interviste sottolineano, principalmente se- 661 AA.Craxi_Crollo_parte.2.indd.Craxi_Crollo_parte.2.indd 661661 223/11/123/11/12 116.596.59 piero craveri gnata da un impulso umanitario intrinseco alla tradizione socialista, tuttavia certamente contribuì poi a porre Craxi nel ruolo di «erede virtuale» di Moro. La linea della fermezza era innanzitutto una cintu- ra di sicurezza per il pci1. Se si fosse aperta una trattativa, e nella dc questa disposizione era diffusa, si sarebbero necessariamente sciolte le briglie di un dibattito politico incontrollabile, il cui esito successi- vo avrebbe potuto essere la rottura di quella convergenza che Moro aveva costruito pezzo a pezzo e che aveva trovato nel governo Andre- otti il suo punto di equilibrio. Anche quest’ultimo poi ne era consa- pevole e dal canto suo difendeva quel suo ruolo, con quella concreta e insieme ristretta visione e avulso sentimento che era propria della sua indole, appoggiandosi di fatto all’intransigenza dei comunisti, coassiale al suo personale punto di vista, giacché dal canto loro essi, in una più strategica considerazione, paventavano altrimenti il crollo dei presupposti stessi della strategia del «compromesso». Si aggiunga che fi n dal 1968 il pci aveva utilizzato la spinta che veniva dalle pulsioni extraparlamentari, anche nei primi anni Set- tanta, quelli della prima fase del terrorismo, a seguito di uno scontro interno, nel quale solo Giorgio Amendola aveva ipotizzato «la lotta sui due fronti»2, cioè anche verso l’estrema sinistra, mentre la mag- gioranza del pci aveva inteso fi ancheggiarla, servendosi dell’impatto delle sue suggestioni, specie sul mondo giovanile, sottolineando con Longo, come positivo, proprio il suo tratto «eversivo»3. Solo con l’avvento della seconda fase del terrorismo (1974) sarebbe avvenuto un deciso e defi nitivo cambiamento di rotta, confermato dallo scon- tro aperto con l’ultra-sinistra nel 1977. Qualsivoglia apertura di una trattativa con le br, anche se indirettamente, costituiva comunque un loro riconoscimento come soggetti politici, su cui l’ostracismo comunista era diventato oltremodo motivato e nessun lembo del sipario, ormai decisamente calato, anche in termini di impatto con la pubblica opinione, doveva essere sollevato. Questo rinviava poi a un ulteriore punto cruciale, nell’evidenza che l’azione terroristica 1 In proposito vedi l’esauriente lavoro di A. Giovagnoli, Il caso Moro. Una tragedia repub- blicana, Bologna 2005 e aa.vv., Moro-Craxi. Fermezza e trattativa trent’anni dopo, a cura di G. Acquaviva e L. Covatta, Venezia 2009. 2 G. Amendola, Necessità della lotta sui due fronti, in «Rinascita», 7 giugno 1968, pp. 3 ss. 3 L. Longo, Il movimento studentesco nella lotta anticapitalistica, in «Rinascita», 3 maggio 1968, p. 15. 662 AA.Craxi_Crollo_parte.2.indd.Craxi_Crollo_parte.2.indd 662662 223/11/123/11/12 116.596.59 l’irresistibile ascesa e la drammatica caduta di bettino craxi del rapimento di Moro portava un’impronta sovietica, cosa che al partito di Berlinguer non poteva sfuggire: la considerazione cioè che ogni presa d’atto delle br come interlocutori politici sul piano nazio- nale, quali già erano a tutti gli effetti per gli apparati di intelligence dell’urss e dei paesi dell’Est, avrebbe indebolito ulteriormente la po- sizione del pci rispetto ai suoi principali interlocutori dell’Interna- zionale comunista4, sigillando, tra l’altro, quello che era già avvenuto a partire dal 1968 e cioè la fi ne di un suo esclusivo monopolio, quello della forza eversiva, fosse o meno rivoluzionaria. La fermezza comunista, che aveva alla base queste motivazioni, si espresse con estrema durezza verso la dc con la minaccia di far salta- re la maggioranza di governo e aprire una crisi politica estremamente pericolosa (è, a riguardo, signifi cativo il resoconto, che fa nella sua intervista Signorile, dell’incontro, durante la prigionia di Moro, tra Craxi e Fanfani, con quest’ultimo che assicurava una sua posizione incline alla trattativa nella dc, ma sul presupposto di un sostegno alla maggioranza di governo del psi, rispetto a cui Craxi rimaneva momentaneamente interdetto). La posizione politica assunta dal pci, sostenuta da Andreotti come presidente del Consiglio, pesò così in modo decisivo in quella vicenda, chiudendo ogni possibile varco per un esito diverso. La morte di Moro avrebbe di lì a poco fatto salta- re anche la collaborazione che egli aveva avviata tra la dc e il pci, lasciando i comunisti italiani privi di quella strategia che avevano costruito negli anni e che ambiva superare il piano consociativo e aprire la diretta partecipazione del partito al governo, come un pri- mo decisivo salto in avanti, secondo le loro premesse ideologiche, sulla via democratica al socialismo5. Il preambolo democristiano su cui si cementò una nuova alle- anza al congresso della dc del 1980, fu la pietra tombale di questa lungamente coltivata prospettiva comunista. E così fu percepita da Berlinguer, donde il suo arroccamento in una posizione che non era di alternativa politica, ma di sistema, con le parole d’ordine della 4 È la tesi, tra altri, sostenuta da S. Pons, Berlinguer e la fi ne del comunismo, Torino 2006. Sul tema, cfr. M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino 2011. 5 Sul tema, cfr. S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la Crisi della Repubblica, Roma-Bari 2006. 663 AA.Craxi_Crollo_parte.2.indd.Craxi_Crollo_parte.2.indd 663663 223/11/123/11/12 116.596.59 piero craveri «questione morale» e della sopravvenuta «inagibilità democratica»6. Gli anni Ottanta, dopo la morte di Moro, si aprono con un primo dramma, che è quello di Berlinguer, che morirà sul campo di una battaglia elettorale e che segnerà, dopo la sua morte, nel risultato elettorale, un’ultima sua effi mera vittoria, quasi l’onore delle armi. Ma per intendere questo dramma occorre considerare che il pre- ambolo democristiano non fu il frutto solo di motivazioni interne. Poco sappiamo sulle pressioni americane e soprattutto tedesche sulla dc al fi ne di rompere la collaborazione con i comunisti (la delegazio- ne della cdu a quel congresso era guidata da Helmut Kohl e sappia- mo che fece intendere duramente la sua voce). Ma una cosa è certa. Gli anni Ottanta segnarono l’acme di un ritorno alla guerra fredda, che aveva avuto origine nella seconda metà degli anni Settanta, con la strategia sovietica di tentare un distacco dell’Europa occidentale dagli americani, intimidendola con il suo accresciuto potenziale mi- litare e missilistico e che, al contrario, determinò un riavvicinamento delle posizioni dei paesi dell’Europa occidentale, compresa la Fran- cia (in Germania porterà alla crisi della socialdemocrazia nel contra- sto tra Schmidt e Brandt che era su posizioni di appeasement verso i sovietici) con gli Stati Uniti, in un solidale blocco antisovietico7. E questo fu anche l’ultimo revenant ad avere come riferimento gli accordi di Yalta, su cui insiste De Michelis, che cinque anni più tardi vedrà rovesciata totalmente la prospettiva verso l’esito del 1989. Per intendere il dramma di Berlinguer non si può non fare riferimento a questi eventi. Le sue relazioni con l’urss e l’Internazionale comunista si erano indebolite, l’inasprirsi del contrasto Est-Ovest gli rendeva più diffi cile l’approdo interno fi no a farlo completamente sfumare. Si trovava così senza vie d’uscita, non potendo svincolarsi dalla gabbia sovietica, da cui aveva cercato di mettere fuori la testa, e rimanendo sulla soglia del campo occidentale. Moro si sarebbe trovato di fronte le stesse diffi coltà, ma la sua 6 Sul tema, cfr. aa.vv., Socialisti e comunisti negli anni di Craxi, a cura di G. Acquaviva e M. Gervasoni, Venezia 2001. 7 Sulla cosiddetta seconda guerra fredda, cfr. G. Formigoni, Storia della politica interna- zionale nell’età contemporanea.
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