Apostolo Zeno Ormisda (Cosroe)

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Apostolo Zeno Ormisda (Cosroe) Apostolo Zeno Ormisda (Cosroe) a cura di Giordano Rodda, con una prefazione di Alberto Beniscelli Biblioteca Pregoldoniana lineadacqua edizioni 2017 Apostolo Zeno Ormisda (Cosroe) Apostolo Zeno Ormisda (Cosroe) a cura di Giordano Rodda, con una prefazione di Alberto Beniscelli 2017 Giordano Rodda, Alberto Beniscelli 2017 lineadacqua edizioni Biblioteca Pregoldoniana, nº 19 Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou www.usc.es/goldoni [email protected] Venezia - Santiago de Compostela lineadacqua edizioni san marco 3717/d 30124 Venezia www.lineadacqua.com ISBN: 978-88-95598-70-3. La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldo- niano II: base de datos y biblioteca pregoldoniana (ARPREGO II: FFI2014-53872-P), finanziato dal Ministerio de Eco- nomía y Competitividad spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome del curatore e del prefatore, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione del curatore, del prefatore e del direttore della collana. Apostolo Zeno Ormisda (Cosroe) a cura di Giordano Rodda, con una prefazione di Alberto Beniscelli Biblioteca Pregoldoniana (I dintorni), nº 19 Indice Prefazione, di Alberto Beniscelli 9 Introduzione 13 1. Il giorno del debutto 13 2. Prima di Zeno. Cellot, Rotrou, Corneille 17 3. L’Ormisda del 1721 26 4. Le ragioni del sangue. Maria Teresa e Artenice 29 5. Esibite noncuranze. La messa in scena dell’Ormisda 36 Nota al testo 41 Ormisda 47 Argomento 49 Attori 50 Atto I 51 Atto II 69 Atto III 87 Apparato 107 Commento 119 Nota sulla fortuna 127 Appendice 133 Bibliografia 167 Prefazione L’Ormisda di Apostolo Zeno viene rappresentato la prima volta nel 1721, presso il Teatro di Corte e su partitura di Antonio Caldara, in occasione dell’onomastico di Carlo VI d’Asburgo. La messinscena ottiene un notevole successo di pubblico, in netto contrasto con l’oblio che —da lì ad una decina d’anni, comunque segnati dal predominio della parola e della musica italiane— sembra avvolgere l’intero corpus melodrammaturgico dell’autore. Schiacciate dall’ingombrante presenza di Metastasio, che aveva sostituito il veneziano nella carica di poeta cesareo, e da un teatro che ormai sta sperimentando altre strade, le offerte della libret- tistica zeniana perdono peso e significato, anche rispetto alla produzione di carattere erudito verso la quale Zeno, rientrato a Venezia dopo il periodo viennese, si era ormai convintamente indirizzato. È un dato di fatto, certo, accentuato però dalla vulgata critico-storiografica dei secoli sucessivi e suscettibile perciò di un forte ripensamento, a partire da un rinnovato studio dei singoli testi per musica. Grazie al progetto ARPREGO1 è oggi possibile proporre il re- stauro di opere come l’Ormisda, per toglierle dall’isolamento in cui, almeno in apparenza, le aveva confinate lo stesso Zeno, assai meno convinto, rispetto a Metastasio, della novità e della tenuta del melodramma rispetto ad altri generi teatrali e ad altre forme di comunicazione letteraria. In questa prospettiva, l’edizione dell’Ormisda offre diversi punti di interesse. Anzi- tutto va sottolineata l’importanza dell’aspetto testuale-filologico, nella situazione proverbial- mente complessa della librettistica sei-settecentesca. Il curatore ha opportunamente indivi- duato come testo di riferimento quello edito da Gasparo Gozzi per la stampa Pasquali 1744 delle Poesie drammatiche: pur con tutte le cautele del caso, Zeno aveva approvato la scelta dell’amico, che presentava peraltro un significativo ammodernamento grafico rispetto all’ori- ginale del 1721. Non va tuttavia ignorata la messe di varianti allografe legate alle diverse rappresentazioni: a partire da quella bolognese del 1722 —con scene soppresse e, come d’uso, arie del tutto cambiate— fino al caso estremo di un’Artenice messa in scena nel 1723, al cospetto di Carlo Emanuele III di Savoia, con l’introduzione, nell’impianto scenico-narra- tivo compattamente alto, di scene e personaggi a curvatura tragicomica. Quasi sempre impu- tabili alle necessità contingenti dei musicisti e alle caratteristiche dei cantanti, nella presente edizione le variazioni più significative sono collocate in appendice, in modo da evidenziare 1 Archivio del Teatro Pregoldoniano I (FFI2011-23663) e II (FFI2014-53872-P) finanziati dal Ministerio de Eco- nomía y Competitividad spagnolo: www.usc.es/goldoni. Apostolo Zeno le fasi di riscrittura e di riadattamento scenico effettuate in un breve giro di anni. Per non parlare qui dell’oscillazione della stessa titolatura del melodramma, che nel caso dell’edizione romana del 1723, ‘presentata’ a Giacomo III Stuart per la recita al Teatro d’Alibert, assume il nome di Cosroe. Un secondo elemento di rilievo riguarda l’uso delle fonti. L’Ormisda dà autorevol- mente conto dell’attenzione che Zeno ebbe nei confronti del teatro francese del secolo XVII: in questo caso sono chiamati in causa il Rotrou di Cosroès e il Corneille del Nicomède, senza dimenticare il gesuita Louis Cellot, autore a sua volta di un Chosroes pieno di ammonimenti morali che ad una attenta analisi risulta essere uno dei precedenti osservati con maggior scru- polo dal librettista veneziano. La fitta intersezione tra fonti plurime si complica ulteriormente per il complesso gioco di rimandi e citazioni interne al corpus zeniano —si veda ad esempio il rapporto con il Pirro—, illuminante, quest’ultimo aspetto, per definire con maggior preci- sione le strategie autoriali messe a punto dal librettista. Anche dal fitto lavorìo intratestuale emerge un ulteriore campo di indagine, relativo alla declinazione del tragico in direzione lie- tificante. È in questione l’intera teoria settecentesca intorno al melodramma, che Metastasio assumerà con ben maggiore convinzione di quanta non ebbe il suo predecessore, ricono- scendo all’opera in musica lo statuto di tragedia proprio perché sterilizzata dal lieto fine. Per altro verso ancora si potrebbe aprire il discorso verso la varietà dei generi che Zeno osserva e rilancia nelle sue «poesie drammatiche» —con piena rivalutazione allora del lavoro edito- riale di Gasparo Gozzi—, non esclusa l’attenzione alla pastorale a cui avrebbe guardato il Maffei della Merope. Ma la rielaborazione di una vicenda storica di stampo tragico e dai mar- cati accenti macabri attenuata e trasformata in senso positivo viene di necessità a riguardare la celebrazione del potere «illuminato», dunque il ruolo e i vincoli della committenza asbur- gica. Zeno compone l’Ormisda per un imperatore amante della musica ma gravato in quegli anni da molte preoccupazioni dinastiche, che possono offrire altrettante possibilità di deci- frazione del testo: Carlo VI è fratello cadetto, proprio come Arsace, non a caso personaggio virtuoso ben più degli omologhi di Rotrou e Corneille; è ancora in attesa di un erede maschio, ma allo stesso tempo si dichiara pronto —come dimostra il patto successorio della Pramma- tica Sanzione— a garantire il trono alla sua diretta discendenza femminile. Non sarà del tutto un caso, ipotizza Rodda, se Artenice, la vera deuteragonista del dramma, appare un modello di virtù, temperanza e regalità, sul quale avrebbe potuto modellarsi, e così farà, Maria Teresa d’Austria. Altri meriti possono essere riconosciuti ad iniziative riguardanti l’edizione di melo- drammi zeniani. Anzitutto la ricostruzione di un percorso che porta Zeno a farsi modello 10 Biblioteca Pregoldoniana, 19 Prefazione per successive competizioni. In proposito l’episodio dell’Ormisda-Cosroe è esemplare, dal mo- mento che, sceneggiando il Siroe, Metastasio deciderà di riscrivere daccapo il testo di riferi- mento e di gareggiare con esso. Ma il quadro potrebbe utilmente animarsi fino a prendere in considerazione —di rappresentazione in rappresentazione, di variante in variante— il ‘labo- ratorio’ che coinvolge i ‘rappezzamenti’ del teatro zeniano sui palcoscenici italiani, e vene- ziani in particolare. Attraverso i prelievi che —volente o meno l’autore, spesso consenziente però, a leggere le testimonianze dell’epistolario— fecero i ‘rappezzatori’ dei teatri Grimani, da Domenico Lalli allo stesso Goldoni della Griselda, si potrebbe insomma tracciare una sto- ria, non ancora scritta, della resistenza o addirittura della ‘fortuna’ dei testi zeniani nella con- creta realtà del far teatro, in prosa e per musica, e ricostruire la durata lungo il Settecento dell’esempio melodrammaturgico di Zeno —malgré lui, ma ne siamo proprio sicuri?— a fianco dell’altro, proposto da Metastasio. Alberto Beniscelli www.usc.es/goldoni 11 Introduzione 1. Il giorno del debutto «Direi che per quest’anno son libero d’ogni impiccio».2 Così scrive Apostolo Zeno al fratel- lastro Andrea Cornaro l’8 novembre del 1721. A Vienna, dove lo Zeno è poeta cesareo da tre anni, è stato appena rappresentato per la prima volta il dramma Ormisda, con la musica di Antonio Caldara. Tre settimane più tardi —il 29 novembre— a proposito di questo «impic- cio», giunto ormai alla sua quinta replica, il veneziano dirà che «mai più qui non si è recitato tante volte alcun dramma, né con tanto concorso; e difficilmente se ne vedrà altro così ma- gnifico, e così gradito».3 Com’è noto, il distacco con cui Zeno parla delle proprie opere una volta che queste hanno lasciato la penna è una costante del suo epistolario.4 I codici raffinati —e sovente
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