Quando mi è stato proposto di inventare un percorso d'arte attraverso gli innumerevoli monumenti della nostra città, il primo pensiero è stato per i musei, i tanti musei di che, amati e conosciuti dai turisti, sono spesso una meta accantonata dai bolognesi stessi. Lavorando nella Pinacoteca Nazionale da più di trent'anni, vi trascorro giornate intere e il tempo speso in un lavoro, che è anche una grande passione, vola. Ho scelto e proposto alla Fondazione dei DCEC di Bologna, quindi, un percorso d'arte che mi desse modo di comunicare un po' di questa mia passione, ma soprattutto di guidare chi volesse seguirmi dentro la storia della nostra città e dentro le istituzioni che ne sono parte fondante . Un museo, che svolge la propria funzione correttamente, è un organismo vivo che comunica, invita a conoscere, crea un circolo virtuoso di idee e conseguenti attività. Nel fare questo programma mi sono prefissata un obiettivo: convincere i poco convinti, stimolare non tanto gli amanti d'arte, ma coloro che sono rimasti sempre un po' distanti, per pigrizia, a volte annoiati da precedenti esperienze. Un obiettivo molto più' ambizioso di quanto si possa credere e una scommessa ancora da vincere. Proprio per ricordare quello che abbiamo visitato insieme ai numerosi partecipanti e per dare uno stimolo a chi invece non si è unito a noi, è nata l' idea di questo articolo, un ripasso con testo e immagini dei primi tre incontri che abbiamo portato a termine con discreto successo. Il nostro percorso attraverso la storia delle istituzioni museali bolognesi (contenitori e contenuti) è iniziata il 16 marzo con l' ultimo nato tra i Musei Civici: il Museo Internazionale della Musica, prestigioso e nuovissimo contenitore musicale inaugurato nel 2003 in Palazzo Sanguinetti.

Ho iniziato volutamente non con l' istituzione più famosa e conosciuta, proprio per incuriosire e poter raccontare la storia interessante e internazionale di Padre Martini, erudito storico della Musica e grande

collezionista della Bologna del '700. L' occasione offerta dal Museo della Musica per un viaggio trasversale attraverso musica, storia della pittura e storia della città, è straordinaria. Già il palazzo stesso dove il museo è ubicato racconta molte cose della trasformazione secolare della città'. L' antico Palazzo che il senatore Ercole Riario nel XVI fece ricostruire e ampliare, trasformando le singole abitazioni che lo componevano in una struttura unitaria intorno allo scalone scenografico, che tuttora caratterizza l'edificio, diviene un modello di Palazzo senatorio bolognese. Dal momento che la storia del gusto evolve, il palazzo subì un secondo intervento strutturale importante per volere del conte Antonio Aldini, al quale nel 1796 il marchese Raffaello Riario Sforza aveva concesso il palazzo in enfiteusi: egli diede incarico all'architetto Giovanni Battista Martinetti (1774-1830) di rimodernare il palazzo, aggregandovi anche parte della confinante casa con la torre degli Oseletti. A seguito della caduta di Napoleone e della rovina economica di Aldini il palazzo fu venduto al nobile cubano don Diego Pegnalverd e, nel 1832, passò al celebre tenore Domenico Donzelli, amico e ospite di Gioachino Rossini . Infine nel 1870 il palazzo fu acquistato dalla famiglia Sanguinetti, alla quale si devono le più recenti decorazioni nella parte dell'edificio destinata a biblioteca. Nel 1986 l'ultima erede, la signora Eleonora Sanguinetti, ha donato al Comune di Bologna la gran parte dell'edificio, a ricordo del padre perché fosse destinato a museo musicale e biblioteca. Questa vicenda che ora sintetizzo in poche righe è stata da me illustrata sia salendo il magnifico scalone, che sul ballatoio prima di entrare nelle sale del Museo. Davanti al ritratto poi di Padre Gianbattista Martini realizzato da Angelo Crescimbeni nel 1775 e nella sala che espone i volumi de La storia della Musica, opera dell' erudito francescano edita in tre riprese tra il 1757 e il 1781, ha preso avvio il percorso guidato. Nella seconda sala dedicata agli amici musicisti di Padre Martini, ben rappresentati nei ritratti della sua collezione, mi sono soffermata sulla cosiddetta libreria di Giuseppe Maria Crespi, originariamente ante decorate a natura morta per lo stipo personale del frate francescano, per poi passare al ritratto del musicografo Charles Bourney (1781), a quello di Christoph Gluck (1773) e infine del giovane Mozart, che trascorse un periodo di studio al conservatorio bolognese. Dopo aver visitato le sale dedicate alla trattatistica musicale dal XVI al XVIII secolo e agli strumenti, siamo entrati nella sala dedicata all' opera Italiana del Settecento, al trionfo del bel canto incarnato dalla voce artificiale e dalle movenze dei cantanti detti “castrati”. Al centro di questa sala svetta il bellissimo ritratto, opera di Corrado Giaquinto, nel quale appare a grandezza naturale e in compagnia di Reali di Spagna, Carlo Broschi detto il Farinelli (1705 - 1782), senza dubbio il più famoso e ammirato cantante dell' epoca. Il XVIII secolo è anche il momento delle grandi trasformazioni tecniche del luogo dei concerti, l'edificio teatrale assume una nuova connotazione architettonica e scenografica grazie all' ingegno della famiglia Galli Bibiena e di Anonio abbiamo potuto ammirare il modello ligneo del Teatro Comunale, eretto nel 1757 e inaugurato nel 1763 con l'opera "Il trionfo di Clelia" di Gluck , riproposta poche settimane orsono.

Il nostro percorso è poi proseguito nella sala dedicata all'opera dell'Ottocento da Gioacchino Rossini a Richard Wagner, del quale Bologna ospitò la prima del Lohengrin nel 1871. Di Rossini abbiamo ammirato la partitura autografa del Barbiere di Siviglia , un disegno che lo ritrae sul letto di morte nel 1868, ma soprattutto il bellissimo ritratto della sua prima moglie, la famosa cantante spagnola Isabella Colbran.

La nostra visita si è conclusa nella piccola sala dedicata al Novecento, epoca musicalmente importante a Bologna per la presenza di innovatori direttori d' orchestra come Giuseppe Martucci, qui in un ritratto di Giuseppe De Sanctis, e compositori come Ottorino Respighi. Dal punto storico-artistico l'opera più significativa a fine percorso è rappresentata dal ritratto di Arrigo Serato di Felice Casorati. A distanza di tre settimane, il 6 aprile, ci siamo dati appuntamento per visitare un altro recente recupero per la museografia bolognese, il Complesso di San Colombano, gestito dalla Fondazione Carisbo e pietra miliare del progetto Genusbononiae.

Il complesso, costituito dall' antica parrocchiale del VII secolo, dall’adiacente cappella della Madonna dell'Orazione e dalla sala di riunione al piano superiore, che, dopo il restauro recente, ospita la preziosa collezione di strumenti musicali del Maestro Tagliavini. Prima di arrivare all'assetto attuale, il complesso ha vissuto vicende alterne: l'abbandono come parrocchia a favore della vicina Chiesa di San Gregorio e Siro, l'affido alla Confraternita della Madonna dell'Orazione e la decorazione ad opera dei pittori carracceschi del salone al primo piano, la soppressione nel 1798 e infine la vendita a privati nel XIX secolo. Sede dal 1931 dell'associazione “Mutilati e Invalidi”, l’oratorio interamente affrescato è ora finalmente visitabile. Dopo una breve visita all'aula dell'antica chiesa dedicata a San Colombano, più volte trasformata a partire dal VI secolo fino al XIX secolo, siamo entrati nell’adiacente Cappella della Madonna dell'Orazione, spazio costruito ex novo nel 1576 per venerare l' immagine della Madonna di Lippo di Dalmasio, affresco già in via Parigi, ma traslato nel 1547 sul muro esterno della Chiesa di San Colombano.

La cappella rientra in quel fervere di lavori di rinnovamento architettonico delle chiese bolognesi, che ha luogo tra gli anni 1580 e 1600. Anni cruciali di piena Controriforma, nei quali le imprese decorative assumono un grande e potente significato in seno alla Chiesa Cattolica. Le storie dei Santi sono il mezzo più immediato per rendere semplice la comprensione profonda dei misteri della fede e sono scelti come soggetto privilegiato per abitare le pareti di chiese ed oratori. In questa cappella un manipolo di giovani seguaci dei Carracci, Lorenzo Garbieri, Lionello Spada e danno il primo saggio delle loro capacità ormai acquisite nei riquadri parietali. Siamo quindi saliti al piano superiore nella bellissima sala delle riunioni, affrescata tra il 1597 e il 1602 dalla "carrazia manus”, come recita la lapide posta nella parte di sinistra. Dopo la posa della prima pietra da parte di Monsignor Alfonso Paleotti , cugino del noto Cardinale Gabriele, la sala diviene il luogo di preghiera della Confraternita dell' Orazione , fondata dal visionario e preveggente Giovanni Francesco Parenti, legato alla famiglia Paleotti. La confraternita ottiene l' approvazione dei propri statuti nel 1597 e la decorazione della sala con le Storie della Passione di Cristo, quasi una commissione pubblica, viene affidata all' entourage dei Carracci. Seguono le grandi imprese collettive che portano la mano di Ludovico, Agostino ed Annibale in Palazzo Fava (1584) e Palazzo Magnani (1592), e precede la decorazione del Chiostro di San Michele in Bosco (1604 - 1605).

Ludovico Carracci rimasto a Bologna, unico responsabile dell' Accademia degli Incamminati, alla partenza dei cugini per Roma e Parma, non mette mano all' impresa di San Colombano, ma probabilmente funge da garante e da tramite per orientare la committenza verso Francesco Albani, giovane e valente allievo al cui talento si devono alcuni degli episodi più famosi e struggenti. Nell’impaginazione degli affreschi all’interno di termini monocromi, frutto di un progetto unitario anche se non riconducibile ad una personalità precisa, è riconoscibile il tributo agli archetipi carracceschi già citati . Un lavoro collettivo, nel quale emergono le personalità degli allievi più anziani come Francesco

Brizio (autore della articolatissima Salita al Calvario), le cui abilità nell’uso della prospettiva e della “quadratura” sono ampiamente sottolineate dalla storiografia. Molti tra i tanti studiosi che si sono cimentati con questi affreschi, sono soliti circoscrivere l’esecuzione del ciclo entro il 1602, ritenendo la parete frontale e laterale destra, che ospitano gli episodi solitamente attribuiti a Francesco Albani (La deposizione e Cristo davanti a Ponzio Pilato), (la Trasfigurazione e Cristo coronato di Spine) e Domenichino (La Flagellazione di Cristo), terminate entro il 1600, anno della partenza di questi pittori per Roma. Mentre travalica questa data la realizzazione degli episodi disposti sulla parte d’entrata e su quella di sinistra, dovuti alla mano di Francesco Brizio (La salita al Calvario e la deposizione dalla croce), Lucio Massari (La crocifissione) e Galanino, allievi di stretta osservanza ludovichiana. Mi sono soffermata in particolare sulla figura di Lucio Massari, autore meno noto, ma del quale il segno aggraziato è rimasto in numerose pale d’altare sparse nelle chiese di Bologna come San Paolo Maggiore e Santa Maria di Nosadella detta dei Poveri. La sua Crocifissione, resa in colori tersi e smaltati è strutturata con un equilibrio quasi arcaico, se paragonato agli “arpeggi” dei corpi dipinti da Albani sulla parete di fronte. Riassumere in poche righe la storia dell’Oratorio e la “gloriosa gara” tra quei giovani pittori può essere estremamente riduttivo rispetto all’emozione di poter raccontare davanti agli affreschi stessi, perciò non mi soffermerò oltre e passerò all’argomento del nostro terzo incontro.

Sabato 11 maggio l’appuntamento per i fedelissimi è stato alle Collezioni Comunali d’Arte situate al secondo piano di Palazzo D’Accursio, in quello che era nella Bologna pontificia l’appartamento invernale del Cardinal Legato. Ho scelto questo museo, come ulteriore tassello nel nostro grande mosaico delle istituzioni cittadine, perché storicamente uno dei più antichi e significativi per la storia della città.

Le Collezioni nascono per volere di Guido Zucchini nel 1936, nelle sale dove era stata allestita l’anno precedente la Mostra del Settecento bolognese. L' esposizione era stata l’occasione per riscoprire lo splendore del Settecento bolognese, straordinariamente interpretato da Donato Creti le cui opere ancor oggi esposte nella galleria Vidoniana, erano di proprietà comunale grazie al lascito Collina Sbaraglia del 1744. Altri lasciti cospicui e prestigiosi si erano aggiunti nei secoli dal fondo Pelagio Palagi, al lascito Baruzzi fino all’acquisizione della collezione del marchese Pier Ignazio Rusconi nel 1930. Il dopo mostra, durante la quale gli appartamenti erano stati allestiti come casa museo, forniva l’occasione per riequilibrare la mappa museografica della città, priva di una Galleria Civica, e sbilanciata tutta a favore della Regia Pinacoteca, dove un cospicuo numero di importanti dipinti comunali avevano trovato esposizione. L’appartamento Farnese diviene così il luogo più adatto per una galleria civica dai saloni arredati (Sala degli Svizzeri) ai quali si aggiunge in seguito la manica su Piazza del Nettuno, allestita cronologicamente con criteri prettamente da Pinacoteca. Dopo questa premessa, operando una scelta come sempre qualitativa tra le opere presentate, abbiamo iniziato la nostra visita ai capolavori dal Seicento all’Ottocento.

Nella prima sala ci siamo soffermati sul quadro sicuramente protagonista, il Ritratto di Gonfaloniere di Artemisia Gentileschi, a figura intera memore del chiaroscuro di eredità caravaggesca, il dipinto ha figurato nelle recenti mostre dedicate alla pittrice. Ci siamo poi spostati nella Galleria Vidoniana, antica Loggia aperta, trasformata durante il periodo napoleonico in salone a più finestre e arricchito di nicchie con statue neoclassiche. Nella galleria sono esposte 18 tele del pittore classicista Donato Creti, eseguite per Marcantonio Collina Sbaraglia entro il 1732. Nella stessa sala le sculture di Cincinnato Baruzzi, ultimo allievo di Canova, tra cui una copia in dimensioni ridotte della famosa Venere dei Medici, aiutano nella comprensione del passaggio dal settecento leggiadro, ma severo della tradizione bolognese al neoclassicismo più puro nell’omaggio all’antico, che caratterizza la scultura del primo trentennio dell’ottocento. Abbiamo poi proseguito nelle sale Rusconi, dove l’intero lascito del marchese, costituito dall’intero arredo della sua casa (mobili, supellettili, dipinti ed oggetti d’arte minore) è organizzato in stanze che ripropongono la collocazione originaria. In queste sale mi sono soffermata su due nature morte con soggetto sacro dell’interessante Pier Francesco Cittadini, pittore bolognese attivo intorno alla metà del XVII secolo. Siamo quindi ritornati verso la seconda sala della Galleria, dalla quale prende avvio a ritroso un percorso che dalla Bologna di inizio novecento rappresentata dell’Aemilia Ars ci conduce verso il nucleo più rappresentativo delle opere di Pelagio Palagi (1775-1860), al quale sono dedicati due ampi saloni. Il poliedrico artista bolognese, famoso nel quadro della cultura italiana e straniera, fu pittore, scultore, scenografo, architetto, progettista di interni e arredi, decoratore, nonché un grande collezionista dotato di un’ampia cultura e interessi molteplici. Della fase giovanile durante la quale iniziò a studiare con passione l’architettura, la prospettiva e il disegno sono esempio di piccoli paesaggi con rovine antiche, tuttavia in queste sale abbiamo potuto ammirare capolavori della sua ritrattistica naturale e intensa, tra tutti il Ritratto della Famiglia Insom, realizzato a Bologna al ritorno da uno dei suoi innumerevoli viaggi per l’Italia. Sempre proseguendo a ritroso ci siamo soffermati sul dipinto Ruth di Francesco Hayez realizzato su commissione del bolognese Severino Bonora ed esposto all’Accademia nel 1853. Si tratta di uno dei più famosi nudi dell’ormai maturo pittore veneziano (1791-1882) che affronta il tema dell’eroina biblica con notevole maestria e spregiudicatezza. Identificabile dalla spighe che porta in seno, Ruth ci appare più come una donna sensuale che un personaggio dell’Antico Testamento.

Con questo dipinto abbiamo concluso l'ultimo incontro prima dell'estate con la promessa di continuare a partire da settembre con il nostro progetto che prevede le visite a Palazzo Fava, ai Musei Universitari di Palazzo Poggi, alla Pinacoteca, al Museo Medievale nonché alla bellissima Biblioteca di San Michele in Bosco. Emanuela Fiori