Tesi C. Bellotta.Pdf
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INTRODUZIONE Il progetto di ricerca, dal titolo Storia del monachesimo basiliano in Campania. Analisi del patrimonio fondiario di tre abbazie attraverso lo studio delle platee dei beni (secoli XVII- XVIII), è nato come una naturale continuazione di studio su un argomento trattato per la stesura della tesi di laurea magistrale, incentrata sulle vicende del cenobio basiliano di San Giovanni a Piro, situato nel basso Salernitano, nel Golfo di Policastro1. Muovendo da questo punto di partenza, si è cercato di reperire la maggior parte di documenti e informazioni su altri enti monastici italo-greci ubicati nelle vicinanze e ci si è chiesto se effettivamente esistesse un monachesimo basiliano di età moderna innestatosi e sviluppatosi in Campania, più precisamente nell’area meridionale del Principato Citra. Scorrendo la bibliografia sull’argomento i lavori più autorevoli e scientificamente rilevanti (Mario Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale; Biagio Cappelli, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani; Silvano Borsari, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell’Italia prenormanne) sono stati incentrati sullo studio delle dinamiche del fenomeno in epoca medievale, relativi, per lo più, alle regioni dell’estremo meridione della nostra penisola: Sicilia, Calabria e Basilicata. L’obiettivo del lavoro è quello di spostare in avanti i termini del discorso, ossia analizzare gli «ambiti storico-geografici» da un nuovo punto di vista temporale e spaziale, in modo da proporre uno studio del monachesimo basiliano campano di età moderna. Le fonti principali scelte per l’indagine sono state le platee dei beni di tre monasteri, ognuno dei quali è usato come caso-campione di una microarea: la badia di Santa Maria di Pattano per il Cilento, il monastero di San Pietro al Tumusso di Montesano sulla Marcellana per il Vallo di Diano e il cenobio di San Giovanni a Piro per il Golfo di Policastro. Queste fonti documentarie – tutte più o meno coeve, essendo state redatte tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo – sono state utilizzate per delineare un profilo socio-economico non solo dei monasteri che le hanno prodotte, ma anche dei territori su cui tali enti sorgevano e avevano possedimenti fondiari. Dalle platee si è deciso di estrapolare le notizie più significative per tracciare un quadro globale delle società e di quei feudi che appartenevano al patrimonio monastico. 1 L’argomento è stato trattato anche in C. BELLOTTA, Il monachesimo basiliano in età moderna. Analisi di tre casi: San Giovanni a Piro, Pattano e Montesano sulla Marcellana, «Misure critiche», Nuova Serie Anno XI, numero 1-2, 2012, pp. 86-103. 1 Innanzitutto bisogna affrontare brevemente la questione dell’esattezza dell’aggettivo “basiliano”. Coloro che ne rifiutano l’utilizzo sottolineano, giustamente, che San Basilio non ha mai fondato un ordine e che quindi l’uso del termine andrebbe evitato. Infatti l’Ordine basiliano è stato fondato soltanto il 1 novembre 1579, istituito da papa Gregorio XIII (1572- 1585). Per questo motivo preferiscono servirsi dei sinonimi italo-greco e bizantino. Volendo rimanere fuori da queste controversie di natura strettamente etimologica, in quest’analisi il termine basiliano verrà usato per una comoda e immediata individuazione dell’argomento in questione, per indicare quei monaci bizantini di lingua e cultura greca che fuggirono dall’Oriente a causa delle persecuzioni iconoclaste e giunsero nella nostra penisola. A questo punto appare evidente la migliore connotazione del termine bizantino, ma solo per il primo periodo del loro insediamento, avvenuto in piena epoca medievale (VI-VIII secolo). Difatti dal X secolo in avanti, e soprattutto per l’età moderna, forse sarebbe più esatto parlare di monaci italo-greci, in modo da evidenziare la loro doppia natura, italiani – o meglio latini – di nascita e greci di lingua e cultura2. In questo lavoro abbiamo optato per una scelta metodologica ben precisa: esaminare le platee dei beni non solo per ricostruire la ricchezza e la consistenza del patrimonio immobiliare – soprattutto fondiario – dei tre monasteri presi a campione d’indagine, ma per capire se e quali influenze avessero i tre enti sulla realtà sociale e agricola circostante. La comparazione delle tre platee è sembrato un buon modo per avviare una nuova ipotesi di ricerca, usando come momento iniziale l’indagine sugli enti religiosi, per poi allargare lo sguardo sull’investigazione dei mutamenti che il fenomeno monachesimo basiliano tout-court ha prodotto. Le fonti esaminate sono state prodotte in un periodo coevo, nell’arco temporale dei 26 anni che intercorrono tra la stesura della platea del cenobio di San Giovanni a Piro e quella della badia di Santa Maria di Pattano (1696-1722). Un’omogeneità degli «ambiti storico- geografici» che aiuta l’analisi dei dati raccolti e che permette di arrivare a delle considerazioni finali che si possano estendere all’intera area presa in esame. I dati aiuteranno a dimostrare la tesi secondo cui, in età moderna, il monachesimo basiliano conservava ancora una notevole forza economica, ma anche una reale incidenza sul paesaggio agrario campano e sulla vita delle popolazioni che abitavano le aree in cui l’ente monastico aveva dei possedimenti. La struttura dell’opera è suddivisa in tre sezioni fondamentali. La prima (capitoli I e II) è di ordine generale. Per prima cosa tratta la storia del monachesimo basiliano (capitolo I): dove è 2 Sulla problematica etimologica del termine “basiliano” cfr. P. Abbate, Cenobi italo-greci e paesi del Basso Cilento, Palladio Editrice, Salerno 1999, p. 17. 2 nato e si è sviluppato; le vicende del fondatore di questo fenomeno; le migrazioni dei monaci (circoscritte soprattutto in tre momenti fondamentali) da Oriente verso Occidente, con la conseguente diffusione delle nuove idee monastiche; le vicende del monachesimo italo-greco durante l’età medievale (in particolar modo durante la dominazione normanna, il cui inizio coincise con l’epoca d’oro del monachesimo basiliano) e quella moderna; la costruzione dei primi cenobi bizantini nel basso Salernitano. La seconda parte della prima sezione (capitolo II) è incentrata sulla descrizione della realtà religiosa e istituzionale del territorio in cui ricadevano i tre enti monastici oggetto della ricerca: è raccontata la storia della diocesi di Policastro e di quella di Capaccio, dalle origini al XVIII secolo. Con la seconda sezione si comincia a entrare nello specifico della questione. Qui vengono studiati i tre monasteri di San Giovanni a Piro (capitolo III), di Pattano (capitolo IV) e di Montesano sulla Marcellana (capitolo V), prestando particolare attenzione alle vicende accadute durante l’epoca moderna. La terza e ultima sezione (capitolo VI) rappresenta il punto centrale, e originale, del lavoro. Attraverso l’analisi delle platee dei beni – con l’ausilio di grafici e tabelle – abbiamo ricostruito, per prima cosa, l’estensione e la composizione del patrimonio fondiario, la quantità e la qualità dei beni immobili, e la gestione delle rendite dei tre soggetti religiosi durante la piena età moderna. Si è messo in luce il legame tra i monaci e lo sviluppo di pratiche irrigue più moderne e funzionali: questo rapporto era nato nelle regioni d’origine (soprattutto in Cappadocia) in cui scarseggiava l’acqua. Per tale motivo i basiliani s’industriarono per attingere da siti limitrofi, ad esempio attraverso i canali, l’importante elemento necessario alla sopravvivenza e alle pratiche agricole. Una volta giunti in Occidente cercarono di stanziarsi nei pressi dei corsi d’acqua, presenti in buon numero nella parte meridionale del Principato Citra, mettendo a disposizione delle popolazioni locali le loro conoscenze. Non è un caso che la badia di Pattano e il monastero di Montesano sulla Marcellana sorgevano nelle vicinanze di alcuni fiumi e tutti e tre gli enti monastici gestivano mulini. La tesi si occupa, poi, delle liti che sorsero a causa di usurpazioni della giurisdizione di alcuni territori e del rapporto tra il “mondo basiliano” e la realtà feudale. Uno degli obiettivi primari della ricerca consiste nel tracciare una mappatura dei possedimenti delle abbazie basiliane e nel qualificare l’assetto economico e giurisdizionale delle signorie ecclesiastiche durante l’epoca moderna. Temi centrali di questa analisi sono la definizione della struttura e della consistenza della rendita, la dialettica tra abati, vescovi e baroni nello scenario campano, i rapporti tra la feudalità ecclesiastica basiliana e l’ampia categoria dei suoi subordinati – affittuari, coloni, contadini –, i modi di conduzione delle strutture monastiche e 3 le implicazioni che essi ebbero nella formazione e modificazione della realtà colturale delle campagne del Principato Citra. Dal confronto tra le tre fonti documentarie, infine, abbiamo voluto descrivere l’organizzazione del paesaggio agrario di una parte del Principato Citra, individuando la preponderanza di vigneti e uliveti – che occupano la maggior parte dei terreni registrati nelle platee esaminate –, senza dimenticare la presenza parallela dei castagneti, soprattutto nei territori di San Giovanni a Piro e dell’interno del Cilento. Leggendo con attenzione i documenti, infine, è stato possibile tracciare anche una parabola – parziale e relativa alle aree geografiche esaminate – della storia e dello sviluppo della vite e dell’olivo, importanti nella liturgia e nella realtà socio-economica basiliana, ma non meno significative nella civiltà mediterranea in generale, e in quella dell’Italia